Tesina Maturità

March 21, 2018 | Author: TheodorLudwigWiesengrundAdorno | Category: Karl Marx, Fascism, Capitalism, Totalitarianism, Truth


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Liceo Classico “Siotto Pintor”A.S 2013/2014 Capitalismus sive Natura Capire e combattere la Leitkultur dell’ultracapitalismo odierno. Cristian Perra V E «Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite. – E con tutto ciò non c’è nulla in me del fondatore di religioni – le religioni sono affari per la plebe, io sento il bisogno di lavarmi le mani dopo essere stato in contatto con uomini religiosi… Non voglio «credenti», penso di essere troppo malizioso per credere a me stesso, non parlo mai alle masse… Ho una paura spaventosa che un giorno mi facciano santo: indovinerete perché io mi premunisca in tempo, con la pubblicazione di questo libro, contro tutte le sciocchezze che si potrebbero fare con me… Non voglio essere un santo, allora piuttosto un buffone… Forse sono un buffone… E ciononostante, anzi non ciononostante – perché non c’è mai stato sinora niente di più menzognero dei santi – la verità parla in me. – Ma la mia verità è tremenda: perché fino a oggi si chiamava verità la menzogna. – Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l’atto con cui l’umanità prende la decisione suprema su se stessa, un atto che in me è diventato carne e genio. Vuole la mia sorte che io debba essere il primo uomo decente, che sappia oppormi a una falsità che dura da millenni… Io per primo ho scoperto la verità, proprio perché per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutata… Il mio genio è nelle mie narici… Io vengo a contraddire, come mai si è contraddetto, e nondimeno sono l’opposto di uno spirito negatore. Io sono un lieto messaggero, quale mai si è visto, conosco compiti di una altezza tale che finora è mancato il concetto per definirli; solo a partire da me ci sono di nuovo speranze. Con tutto ciò io sono anche, necessariamente, l’uomo del fato. Perché ora che la verità dà battaglia alla millenaria menzogna, avremo degli sconvolgimenti, uno spasimo di terremoti, monti e valli che si spostano, come mai prima si era sognato.» W.F Nietzsche – Ecce Homo A Laura Parisi e Graziano Fois che hanno saputo essere i migliori cattivi maestri che potessi volere. Alle prof.sse Maria Claudia Annese e Marzia Murgia che sono state prima che insegnanti validissime, persone di cultura che non si piegano alle istanze della cultura dominante. A Bruno Pisanu, Elisa Demartini, Andrea Pisano, Chiara Cau, Simone Mereu, Maura Lai, Ilaria Carta, Elena Argiolas, Cosima Muntoni e Silvia Ganassi per avermi sopportato in questi duri mesi. Sette Anni in Tibet (o meglio, al Siotto) Ancora un passo ed è fatta. Questo scritto, tesina o percorso che sia, vuole essere la degna conclusione di un viaggio pieno di gioie e dolori, ma davvero troppo lungo. Il titolo del celebre film del 1997 di Jean-Jaques Annaud che ho scelto di premettere a questa breve introduzione può essere un riassunto del mio percorso settennale all’interno del Siotto, dopo tre gruppi-classe, tre presidi e decine di collaboratori e insegnanti. Ho cercato di vivere la scuola a pieno, non limitandomi alla lezione frontale della mattina, partecipando alla vita della scuola, tra rappresentanza d’istituto, manifestazioni e occupazioni che mi hanno insegnato a creare un’alternativa a quello che ci è imposto dall’alto. Ho cercato di liberarmi dall’onta del voto che crea classifiche, disparità e discriminazioni non rendendo merito a sensibilità diverse e creando tra gli studenti la gara per il numero più alto e di conseguenza, secondo questa logica criminosa, definendo classifiche di migliori o peggiori. Ho cercato sempre di oppormi essendo socialmente, ma soprattutto culturalmente attivo. Non ho mai considerato la scuola come una prigione, ma come un luogo di aggregazione sociale dove si possano formare delle persone e non macchine. Ho cercato di essere rivoluzionario, battendomi per la verità contro ogni autoritarismo se, come diceva Antonio Gramsci: «la verità è sempre rivoluzionaria». Dalla mia esperienza nasce l’interesse per il disvelamento delle dinamiche della cultura dominante sia interna alla scuola (sebbene mi sia costato parecchio) che presente nei media e nell’ambito sociale dando un’importanza cruciale alla politica, e non quella che si fa nei palazzi del potere, ma stando tra la gente, e alla cultura e alla sua dimensione emancipatrice, lontana dall’accademismo, «dal perbenismo interessato» e «dall'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto». Tutto ciò grazie al grande amore che si può avere solo al liceo e che non morirà mai: quello per la filosofia che ha fatto sì che prendessi quasi come missione di vita la distruzione di quelle che Nietzsche chiamava «costruzioni artificiose dell’occidente» in nome della volontà di emancipazione dalla Leitkultur che questo scritto va a studiare e criticare. Questo è il senso di premettere a questa tesi il brano del filosofo di Röcken, tratto dalla sua autobiografia filosofica, Ecce Homo, (e tra i miei passi preferiti ndr) riguardante la trasfigurazione di tutti i valori come tentativo di rompere con un martello il muro della cultura dominante per diventare liberi. «Io non sono un uomo, io sono dinamite.» Indice Capitolo 1: Capitalismus Sive Natura Capitolo 2: Fabbricare, Fabbricare, Fabbricare…preferi sco il rumore del mare. Capitolo 3: Padroni, Borghesi, Ancora Pochi Mesi! Capitolo 4: In Direzione Ostinata e Contraria Capitolo 5: 1984 Was Not Supposed To Be An Instruction Manual Bibliografia Capitolo1: Capitalismus Sive Natura La formula spinoziana può al meglio descrivere l’orizzonte storico nel quale ci troviamo, dominati da un nuovo spettro che si aggira per l’Europa e per il mondo intero: stiamo parlando del capitalismo e della conseguente Leitkultur che da esso è scaturita. Svelare le dinamiche di questi processi è stato uno dei compiti che si era posta la Scuola di Francoforte e che Theodor Wiesengrund Adorno e Max Horkeimer hanno svolto a pieno nella loro “Dialettica Dell’Illuminismo”. Secondo i due filosofi l’illuminismo, inteso come primato della ragione strumentale sia andato a creare, degenerando nel positivismo, il dominio verso la natura e verso l’altro. Dal momento in cui Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza gli da il potere di dominare il resto del mondo. In questo modo, partendo dal retaggio del «Knowledge is Power» baconiano, l’obiettivo delle scienze, sia quelle pure sia quelle sociali, quali psicologia, pedagogia e sociologia, sarà quello di espandere il dominio della Leitkultur in ogni campo del sapere legittimandola. I due filosofi, sebbene partissero da premesse di tipo marxista, non credevano che la servitù di un servo a un padrone derivasse dal possesso dei mezzi di produzione, quanto dalla volontà di potenza di una piccola élite forte della ragione strumentale illuministica. Da questa volontà di dominio possono sorgere aberrazioni ancora più grandi dei totalitarismi propriamente detti, come l’odierna società ultracapitalistica. Sebbene Karl Marx avesse previsto il crollo del capitalismo del suo tempo, che sarebbe dovuto essere causato dall’eccessivo divario di chi ha il possesso dei mezzi di produzione e di chi possiede solo la propria forza-lavoro, egli non si sarebbe mai aspettato che la proletarizzazione della società arrivasse all’esito odierno in cui ci troviamo del tutto succubi di pochi ultracapitalisti/finanzieri che non detengono i mezzi di produzione ma che detengono l’intera economia rendendola del tutto autoreferenziale. Dal momento in cui si acutizza il divario tra classe dominante e classe dominata il capitalismo dialettico (poiché basato sulle dinamiche marxiane di borghesia e proletariato in lotta per l’autoaffermazione) viene sostituito da un capitalismo: assoluto, in quanto absolutus, sciolto da qualunque legame, autonomizzandosi rispetto alle classi precedentemente in lotta; speculativo in quanto l’andamento del capitale non è più legato al possesso dei mezzi di produzione quanto alla speculazione finanziaria, rendendolo un nemico non più individuabile, come un nuovo fantasma che si aggira nel mondo di marxiana memoria trasformandolo in un processo senza soggetto; totalitario in quanto va ad avere in sé la totalità sociale, produttiva e culturale. Si pensi soltanto all’introduzione di debiti e crediti all’interno della scuola, o al sempre più costante ricordo al termine “azienda” per quanto riguarda uno stato, oppure di termini come “capitale umano” o “risorse umane”, o ancora alla progressiva privatizzazione di beni comuni come l’acqua, andando poi a delegittimare, a deridere e a scoraggiare qualsiasi tipo di dissenso, criminalizzando quei pochi che osano opporsi al suo dominio in difesa di un ideale, con il loro braccio armato: i media. E’ il caso di Erri de Luca che, scagliatosi contro lo scempio della Val di Susa per la costruzione del TAV, si trova ad essere sotto processo per istigazione alla violenza. Il bilancio è quello di una società in cui tutte le istituzioni quali i media, la politica, la cultura e la scuola vanno a essere espressioni e oggettivazioni della classe dominante annichilendo ogni forma di coscienza critica, trasformandoci in polli da allevamento inconsapevoli del macello imminente e trasformando gli intellettuali, dalla guida per l’intera società di memoria gramsciana a servi del capitalismo assoluto e «prostitute della cultura», come definiva Senofonte i sofisti. Capitolo 2: Fabbricare, Fabbricare, Fabbricare…Preferisco il rumore del mare. «Ora quello che voglio sono Fatti. A questi ragazzi e ragazze insegnate soltanto Fatti. Solo i Fatti servono nella vita. Non piantate altro e sradicate tutto il resto. Solo con i Fatti si plasma la mente di un animale dotato di ragione; nient’altro gli tornerà mai utile. Con questo principio educo i miei figli, con questo principio educo questi ragazzi. Attenetevi ai Fatti, signore!» Charles Dickens nel suo “Tempi Difficili” (1854), mostra come l’intero apparato della società vittoriana si basi sull’Utilitarismo, effetto del Positivismo e figlio prediletto della nostra ragione strumentale Illuministica, che dopo l’uscita del “Corso di Filosofia Positiva” di Auguste Comte, pubblicato nel 1830, andrà a condizionare pesantemente l’organizzazione della società e l’educazione delle nuove generazioni secondo il principio dei “fatti”: si lavora per produrre e bisogna produrre sempre di più. Se la fabbrica produce, saranno felici sia i proprietari che gli operai. Secondo questa visione del mondo i fatti valgono più dei valori morali e spirituali, e anche delle emozioni. Sono i fatti concreti, le statistiche, i piani industriali, e non i fatti del pensiero, l’immaginazione e la creatività, a reggere le strutture della società e a promuovere il benessere sociale. L’allontanamento dai valori morali e spirituali, dalle emozioni e dall’immaginazione, in favore di una visione della realtà basata sui crudi fatti, dà impulso al disprezzo tra le persone: i proprietari di industrie disprezzano i lavoratori ed i lavoratori disprezzano i proprietari delle industrie. Nella scuola, gli studenti saranno allora nient’altro che vasi da riempire di “fatti”: date, concetti e nozioni possono formare il buon consumatore, pronto al “mercato del lavoro” e utile all’élite che domina. E in Italia oggi? Siamo lontani dai quei tempi, è vero, ma alcuni eventi ci riportano prepotentemente a quello scenario culturale. Se accostiamo il pragmatismo vittoriano al nostro orizzonte storico, ci accorgiamo che la scuola italiana odierna riflette i presupposti culturali di Hard Times: INVALSI volti a livellare le scuole e i finanziamenti che riceveranno, a standardizzare ogni conoscenza in nome dell’efficienza e a condizionare l’intera struttura del pensiero degli studenti. Cambiando i paradigmi dell’educazione in favore dell’uso che il potere vuole fare di noi va in tal modo a delineare il doublethink orwelliano che permette di dire tutto e il contrario di tutto, arrivando non solo a imporre il volere della stanza dei bottoni, ma anche a far credere che la versione portata avanti dall’intero apparato totalitario della Leitkultur sia quella giusta. Cultura e la scuola però non sono compatibili: le classi sono diventate delle catene di montaggio dove l’operaio-docente, alienato dal lavoro ripetitivo, riempie la testa del prodotto-studente da riconsegnare alle mani del genitore-compratore e da gettare nella giungla del mondo capitalistico applicando alla formazione delle coscienze le dinamiche del mercato a vantaggio di chi comanda, in nome di una finta meritocrazia che premia più il Problem Solving che la coscienza critica. Capitolo 3: Padroni, Borghesi, Ancora Pochi Mesi! La contestazione sessantottina è stata ideologicamente votata alla rivoluzione e soltanto alla rivoluzione, ma nessuna rivoluzione è stata tentata e neppure preparata da questi contestatori. Quasi tutti i suoi protagonisti sono ancora vivi, ed alcuni di lo sono ancora di più oggi negli spazi del potere costituito di quanto non lo fossero allora in quelli della contestazione. Il Sessantotto è stato comunque, un apprendistato all’esercizio del potere soprattutto mediatico di una gioventù borghese – intellettuale le cui ambizioni erano allora ostacolate dal sistema universitario e di accesso alle professioni. La paradossalità dei sessantottini di volere un cambiamento rivoluzionario e di non mettere in piedi la benché minima iniziativa dimostra che essi giocassero alla rivoluzione e che la fantasticassero come autoaffermazione adolescenziale contro i modelli comportamentali e sociali rigidi imposti dai loro padri, e che salvo qualche eccezione, si sarebbero dimostrati tutto tranne che contestatori nel loro futuro adulto. Impegno rivoluzionario in quegli anni non poteva significare che lotta contro l’imperialismo americano, contro il capitale e le sue gerarchie di potere, la lotta per le vertenze operaie e creazione di una contro-cultura che andasse a sostituire i termini del mercato che entravano in ogni campo. Ebbene, salvo qualche eccezione il Sessantotto o non ha saputo neppure raffigurarsi questi obiettivi o se ne è rappresentato protagonista in maniera del tutto immaginaria. Possiamo dire per questo che la contestazione studentesca sia stato l’ideale mito di fondazione del capitalismo assoluto e che, invece che produrre l’emancipazione dai processi capitalistici costituisce l’emancipazione del capitale dalle dinamiche dialettiche di proletariato e borghesia che aveva identificato Marx, andando a costruire un mondo dove esercitare il dominio secondo il motto «non vale la pena di trovare un posto in questa società, ma di creare una società in cui valga la pena di trovare un posto». Capitolo 4: In Direzione Ostinata e Contraria. Indicativa a proposito della sostituzione generazionale che il ’68 ha portato, è la straordinaria esperienza culturale e l’intera vita di Pierpaolo Pasolini, il quale si era reso conto di questa contraddizione e che, dopo la cosiddetta “Battaglia di Valle Giulia”, del 1 marzo 1968, scriverà la celebre poesia “Il PCI ai Giovani”, dove di fronte ai poliziotti del reparto celere egli non identificava la classe operaia, con tutte le sue rivendicazioni pronta a riconquistare la facoltà di architettura appena sgomberata violentemente dalle forze dell’ordine, ma una manica di figli di papà, borghesi pronti a diventare la nostra attuale classe politica e culturale; a Valle Giulia erano presenti Giuliano Ferrara, Paolo Liguori, Ernesto Galli della Loggia e molti altri che oggi costituiscono l’élite culturale del nostro paese. Lo scrittore e cineasta lo aveva capito e aveva individuato i sedicenti rivoluzionari come il futuro del dominio che esercitavano i loro padri, a cui si andavano sostituendo , vedendoli profeticamente come efficienti burocrati e come parte del potere che essi stessi combattevano. Pasolini inoltre era riuscito a delineare a pieno la natura di questo potere basato sull’omologazione che «sperimenta modi per dividere la verità e per porgere la mezza verità che rimane attraverso l’unica voce che ha la borghesia per parlare» definendolo in questo celebre passo che riportiamo integralmente “anarchico” (in senso etimologico, che non segue alcun principio al di fuori del guadagno): «Nulla è più anarchico del potere. Il potere fa praticamente ciò che vuole, e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano.» Pasolini quindi andrà a definire il potere della società dei consumi come fascista, se, come da egli detto, «con la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la “società dei consumi” ha bene realizzato il fascismo». Il “vecchio” fascismo viene inteso da Pasolini come il totalitarismo politico imperfetto di Mussolini, il "nuovo" fascismo a sua volta come la società consumistica di massa, un totalitarismo quasi senza limiti che cambia le persone libere in stupidi automi, obbedienti solo alle leggi del consumismo. La perdita di valori nella società consumistica, secondo l'autore, porta alla disumanità, all'afasia e all'acriticità delle persone, ricorda le SS: «e vedo così stendersi sulle nostre città l'ombra orrenda della croce uncinata». Inoltre, «Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre, ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo.» Capitolo 5: 1984 Was Not Supposed To Be An Instruction Manual In 1984 di George Orwell, Winston Smith, il nostro protagonista, lavora al Ministero della Verità che ha il compito di manipolare e di modificare libri e giornali secondo la volontà del partito. Così la storia viene modificata secondo i dettami della classe dominante: gli oppositori vengono cancellati, le statistiche vengono mostrate sempre al rialzo, anche quando non lo sono, ma soprattutto viene modificato il passato per permettere al partito di modificare le coscienze. Paradossalmente Orwell, il quale pur ispirandosi al totalitarismo stalinista, è andato ad anticipare la attuale società ultracapitalistica, o meglio, probabilmente è stato di ispirazione per le nefandezze della società dei costumi che dalla sua parte ha il controllo della storia attraverso la scuola e i media. «Who controls the past controls the future. Who controls the present controls the past». Che la storiografia sia espressione della volontà di autoaffermazione di una élite culturale lo dimostra il destino storico riservato alla rivoluzione giacobina, vero apice della rivoluzione francese destinata ad essere ricordata come periodo di terrore prima del “benessere” portato dal dominio borghese dimostrando come la storia sia solo una costruzione artificiosa della classe dominante che porta avanti le sue istanze e la propria weltanschauung, ma ancora di più la latinità dal momento che, da Sallustio a Tacito è stata l’espressione della nobilitas, in età imperiale ben poco obiettiva in quanto oscillante tra il servilismo e la denigrazione. Caso esemplare è quello di Tacito, il quale, ponendosi tra deforma obsequim e abrupta contumacia evita di mettersi contro il potere assoluto dell’imperatore e allo stesso tempo non prende posizione relegandosi al ruolo di intellettuale solo apparentemente contro il sistema, come nella parentesi, contenuta nell’Agricola, del discorso di Calgaco contro l’imperialismo ,ma dimostrando di tenere comunque in atto le istanze della classe dominante e le sue strutture che si oggettivano nell’Agricola quando lo scrittore arriva a scrivere che il vero saggio deve adattarsi al volere del potente dato che una sola vita, seppur virtuosa, non avrebbe potuto cambiare niente, come se Socrate, Giordano Bruno e tutti gli altri, morti per delle idee, lo fossero invano. Per Tacito la necessità di ordine e di un governo stabile è superiore alla volontà di libertà «se non si riesce a conciliare ordine e libertà, venga anche l’assolutismo, purché resti lontana la discordia civile : una pacifica signoria è preferibile a una libertà senza pace .» Bibliografia  Theodor W. Adorno - Max Horkeimer, Dialettica dell’Illuminismo, trad.It, Torino, Einaudi, 1997  Diego Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Milano, Bompiani, 2012  Roberto Carnero, Morire per delle Idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini, Bompiani, Milano, 2005  Pier Paolo Pasolini, “Il PCI ai Giovani!” in Saggi sulla politica e sulla società, Milano, Mondadori, 1999  George Orwell, 1984, trad. It, Milano, Mondadori, 2002  Charles Dickens, Tempi Difficili (Hard Times), trad. It, Milano, Garzanti, 2008  Massimo Bontempelli, Il Sessantotto. Un anno ancora da capire, Cagliari, 2008 «Ci sono tante Aurore che devono ancora risplendere». W.F.Nietzsche – Aurora
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