SIC Malattie.tricuspide

March 24, 2018 | Author: maffix | Category: Heart Valve, Ct Scan, Myocardial Infarction, Angina Pectoris, Blood Pressure


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Capitolo 18MALATTIE DELLA TRICUSPIDE E DELLA POLMONARE Ketty Savino, Sandra D'Addario, Elisabetta Bordoni, Giuseppe Ambrosio STENOSI TRICUSPIDALE STENOSI TRICUSPIDALE Definizione. La stenosi tricuspidale consiste nel restringimento dell’orifizio valvolare, cui consegue un ostacolo al passaggio del sangue dall’atrio al ventricolo destro. Si viene, perciò, a creare un gradiente di pressione tra atrio e ventricolo, e l’aumento della pressione atriale determina una dilatazione dell’atrio destro. Eziologia ed anatomia patologica. La stenosi tricuspidale riconosce varie cause ma la più frequente è la malattia reumatica (vedi Capitolo 13), una sindrome infiammatoria acuta sistemica che coinvolge l’endocardio valvolare. In genere la malattia tricuspidale non è isolata ma si associa ad una valvulopatia mitralica ed aortica. Gli esiti sono la fibrosi e la retrazione delle strutture coinvolte. Il quadro anatomo-patologico ricorda quello della stenosi mitralica con fibrosi e retrazione delle cuspidi valvolari, fusione delle commissure e delle corde tendinee. I tumori dell’atrio destro, se di cospicue dimensioni, possono provocare un’ostruzione al flusso trans-valvolare e simulare una stenosi tricuspidale. In questi casi la stenosi è “funzionale”, cioè non sono presenti alterazioni dell’anatomia valvolare. La sindrome da carcinoide (vedi oltre) può determinare una stenosi tricuspidale anche se, in genere, è causa di insufficienza valvolare. Fisiopatologia. La riduzione dell’area valvolare tricuspidale ostacola il riempimento ventricolare destro, che tende ad essere mantenuto normale da un aumento della pressione atriale destra. Data l’assenza di valvole tra vene cave e atrio, l’incremento della pressione atriale si ripercuote immediatamente sul circolo cavale, determinando un’ipertensione venosa sistemica. Sintomi e segni clinici. La stenosi tricuspidale è in genere ben tollerata: frequentemente i pazienti adulti sono asintomatici e la patologia viene identificata esclusivamente in base ai reperti ascoltatori. L’esame obiettivo evidenzia i segni dell’ipertensione venosa sistemica: edemi declivi, turgore giugulare, epatomegalia ed ascite. L’ascoltazione cardiaca è simile a quella della stenosi mitralica, caratterizzata da schiocco d’apertura e da rullio diastolico tricuspidale (vedi Capitolo 2). A differenza di quanto si verifica nella stenosi mitralica, i reperti acustici si ascoltano in corrispondenza del focolaio tricuspidale (IV spazio intercostale lungo la margino-sternale destra) e si accentuano durante l’inspirazione profonda (segno di Rivero-Carvallo). Quest’ultima caratteristica consegue all’aumento del ritorno venoso indotto dall’inspirazione: durante tale fase, l’incrementato passaggio di sangue attraverso la valvola induce un aumento del gradiente trensvalvolare e quindi del rullio. Altro reperto obiettivo importante è la pulsazione della vena giugulare, soprattutto a destra, per la presenza di un’ampia onda “a” che corrisponde alla sistole atriale (vedi Capitolo 2). Diagnostica strumentale ECG: All’esame elettrocardiografico l’ingrandimento atriale destro si evidenzia per la presenza di onde P ampie e appuntite nelle derivazioni II, III, aVF e V1 (vedi Capitolo 3); quando l’atriomegalia diventa severa, insorge la fibrillazione atriale. Rx torace: L’esame radiologico del torace evidenzia una marcata atriomegalia con prominenza del profilo cardiaco destro (secondo arco). Diversamente da quanto si osserva nella stenosi mitralica, il tronco polmonare è di normali dimensioni e non vi sono segni di congestione polmonare. Ecocardiografia: L’esame bidimensionale transtoracico consente un accurato studio anatomo- funzionale dell’apparato valvolare tricuspidale. Valuta lo spessore dei lembi, la ridotta motilità valvolare, l’ispessimento e la retrazione delle corde tendinee e la dilatazione dell’atrio destro. L’esame color-Doppler consente di definire la presenza e l’entità della stenosi valvolare attraverso la valutazione del gradiente pressorio tra atrio e ventricolo destro e le variazioni del gradiente durante l’inspirazione profonda. Un gradiente medio superiore a 5 mmHg identifica una stenosi valvolare di severa entità. Cateterismo cardiaco: Poiché lo studio dell’emodinamica valvolare tricuspidale è fattibile con elevata sensibilità e specificità mediante ecocardiografia, il ricorso al cateterismo cardiaco è limitato solo a pochi casi. Cenni di Terapia. Il trattamento del vizio valvolare è influenzato sia dall’eziologia che dalla gravità della valvulopatia: se questa è secondaria (per esempio ad endocardite infettiva o sindrome da carcinoide) deve essere trattata la patologia di base. Se la stenosi tricuspidale ha eziologia reumatica generalmente si associa ad una valvulopatia mitralica, per cui l’intervento chirurgico è volto principalmente alla sostituzione valvolare mitralica ed alla riparazione tricuspidale (vedi Capitolo 63). Nei casi in cui la valvola tricuspide sia particolarmente compromessa e le corde tendinee retratte è possibile dover ricorrere alla sostituzione tricuspidale. INSUFFICIENZA TRICUSPIDALE INSUFFICIENZA TRICUSPIDALE Definizione. L’insufficienza tricuspidale è caratterizzata dalla incapacità dei lembi valvolari a collabire fra loro, per occludere completamente l’ostio valvolare quando il ventricolo si contrae. Si verifica, di conseguenza, un flusso retrogrado (rigurgito) di sangue dal ventricolo all’atrio destro durante la sistole. Eziologia e anatomia patologica. L’insufficienza tricuspidale è, al contrario della stenosi, una patologia frequente, determinata da numerose cause: la più frequente è la dilatazione del ventricolo destro e dell’anello tricuspidale. Questo tipo di valvulopatia è “funzionale”, poiché i lembi valvolari sono morfologicamente integri, e si instaura anche per lievi dilatazioni, dal momento che l’area di coaptazione dei lembi tricuspidali è molto più limitata di quella che si osserva per la valvola mitrale. Queste forme sono più spesso la conseguenza di ipertensione polmonare primitiva o valvulopatie mitro-aortiche, cuore polmonare ed infarto ventricolare destro. La causa più frequente di insufficienza tricuspidale organica è l’endocardite, che può essere infettiva o non infettiva. L’endocardite infettiva del cuore destro si riscontra principalmente nei tossicodipendenti, nei portatori di shunt sinistro-destro (es. fistole, dialisi) e, molto più raramente, nei pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco (vedi Capitolo 34). Gli agenti microbici principali sono gli stafilococchi, i gonococchi, i funghi. È patognomonica la presenza di vegetazioni di consistenza friabile, composte da microorganismi e detriti trombotici. Le lesioni possono complicarsi con perforazioni ed erosioni dei lembi valvolari o ascessi anulari. L’endocardite non infettiva si può riscontrare in corso di Lupus Eritematoso Sistemico (endocardite di Libman-Sachs) ed è di tipo trombotico-abatterico. Essa è caratterizzata dalla deposizione di piccole masserelle sterili, costituite da fibrina e da altri elementi del sangue, su lembi valvolari in genere indenni. Altra causa di insufficienza tricuspidale è rappresentata dalla sindrome da carcinoide: questa condizione è secondaria alla produzione di sostanze serotoninergiche da parte di tumori carcinoidi che favoriscono la comparsa di ispessimenti localizzati di endocardio murale e valvolare (placche carcinoidi), con conseguente alterazione della morfologia valvolare. Quadri anatomo-patologici simili alla sindrome da carcinoide associati ad insufficienza tricuspidale possono essere indotti da assunzione di una grande varietà di farmaci e tossici che fungono da agonisti serotoninergici, condividendo quindi con la sindrome da carcinoide non solo il quadro anatomo-patologico ma anche il meccanismo eziopatogenetico. Tra queste sostanze annoveriamo derivati dall’amfetamina quali farmaci anoressizzanti (fenfluoramina e fentermina), ormai ritenuti pericolosi e quindi non più in uso, agenti tossici (ecstasy e metilendiossimetamfetamina o MDMA), ma anche farmaci dopaminergici comunemente utilizzati per il trattamento del morbo di Parkinson (pergolide e cabergolina) e dell’emicrania (metisergide ed ergotamina). Fungendo da agonisti della serotonina e stimolando in particolare i recettori 5HT 2b, queste sostanze, attraverso l’attivazione di protein-chinasi, indurrebbero un’inappropriata stimolazione mitogenica a livello valvolare (“overgrowth valvulopathy”) che esiterebbe nella formazione di placche morfologicamente indistinguibili da quelle che caratterizzano la sindrome da carcinoide. Cause più rare di insufficienza tricuspidale con alterazioni anatomiche valvolari sono i traumi toracici e i tumori cardiaci; vi sono anche forme iatrogene secondarie ad impianto di pacemaker o defibrillatore cardiaco. Infine, il prolasso valvolare tricuspidale e la disfunzione dei muscoli papillari del ventricolo destro possono indurre insufficienza tricuspidale con le stesse modificazioni anatomiche e meccanismi eziopatogenetici riconosciuti per la valvola mitrale ed il ventricolo sinistro. Fisiopatologia. Il rigurgito di sangue in atrio destro durante la sistole ventricolare provoca aumento della pressione atriale e dilatazione dell’atrio. Come nella stenosi tricuspidale, l’ipertensione atriale destra si ripercuote immediatamente a monte, nel circolo cavale, instaurando una congestione venosa sistemica fino a determinare, nelle forme severe, un’inversione del flusso venoso. Sintomi e segni clinici. Le insufficienze valvolari del cuore destro sono in genere ben tollerate fino ad una fase avanzata, e diventano clinicamente manifeste solo in presenza di ridotta portata cardiaca o di ipertensione polmonare. Il quadro clinico è caratterizzato dai segni di congestione sistemica quali astenia, facile affaticabilità, calo ponderale; si associano inoltre i sintomi e i segni di stasi venosa del sistema portale quali senso di peso addominale, nausea, vomito, ascite ed epatomegalia dolente e, in caso di scompenso ventricolare destro, da tutti i segni e sintomi ad esso correlati. Nell’insufficienza tricuspidale si apprezza alla palpazione il margine debordante del fegato, con pulsazione epatica. Il polso venoso giugulare presenta un’ampia onda “a” sistolica. La pulsazione (analogo dell’onda v al flebogramma) dipende dal rigurgito sistolico in atrio destro che inverte il flusso nella vene cave. All’ascoltazione, sulla margino-sternale destra lungo il IV spazio intercostale, si rileva un soffio olosistolico dolce, ad alta frequenza, che si accentua con l’inspirazione per aumento del ritorno venoso (segno di Rivero-Carvallo). Spesso sono udibili un terzo tono destro e, se è presente ipertensione polmonare, un’accentuazione della componente polmonare del secondo tono. Diagnosi strumentale ECG: Non sono presenti peculiarità del tracciato elettrocardiografico, ma è possibile a volte rilevare segni di ingrandimento atriale destro, ipertrofia ventricolare destra o blocco di branca destra. Spesso è presente fibrillazione atriale. Rx torace: L’esame radiologico del torace mostra una cardiomegalia con accentuazione del secondo arco destro del cuore (da dilatazione atriale destra). Ecocardiografia: L’indagine bidimensionale consente uno studio accurato della morfologia della tricuspide, evidenzia la dilatazione dell’atrio e del ventricolo di destra, valuta la contrattilità del ventricolo destro e l’eventuale movimento paradosso del setto interventricolare, espressione del sovraccarico di volume del ventricolo destro. Segni di ridotta funzione ventricolare sono rappresentati da una riduzione dell’escursione dell’anello tricuspidale (TAPSE), della frazione di eiezione ventricolare destra, e dalla riduzione dell’ampiezza dell’onda sistolica (S’) dell’anello tricuspidale al Tissue Doppler Imaging (Vedi Capitolo 4). Il color-Doppler permette di effettuare la stima dell’entità del rigurgito tricuspidale (ECO 24) e di valutare la pressione in arteria polmonare, (Figura 1). Cateterismo cardiaco: Attualmente lo studio dell’emodinamica valvolare tricuspidale è fattibile con elevate sensibilità e specificità mediante ecocardiografia, per cui il ricorso al cateterismo cardiaco è ispessiti ed a superficie liscia e regolare. ECG: Il tracciato elettrocardiografico presenta di solito un quadro di ipertrofia del ventricolo destro. Fisiopatologia. cui consegue un ostacolo al passaggio del sangue dal ventricolo destro all’arteria polmonare. Se la stenosi è severa si riscontra dilatazione post-stenotica dell’arteria polmonare ed ipertrofia del tratto di efflusso ventricolare destro. STENOSI POLMONARE STENOSI POLMONARE Definizione. La diagnosi viene sospettata dalla presenza di un soffio sistolico da eiezione in area polmonare. tetralogia di Fallot) INSUFFICIENZA POLMONARE INSUFFICIENZA POLMONARE Definizione L’insufficienza polmonare è caratterizzata dalla incapacità delle cuspidi valvolari a collabire sufficientemente durante la diastole. La stenosi isolata della polmonare è una valvulopatia ben tollerata e asintomatica o paucisintomatica. secondaria a dilatazione dell’anello polmonare provocata . Cenni di Terapia. Con l’andar del tempo. se il vizio valvolare è importante è possibile ricorrere alla valvuloplastica tricuspidale nei casi di insufficienza tricuspidale funzionale. A volte può essere un reperto isolato ma. Ecocardiografia: L’ecocardiografia è la tecnica diagnostica più utilizzata per la diagnosi di stenosi polmonare. l’aumento della pressione ventricolare si ripercuote per via retrograda a livello atriale ed al circolo cavale. Eziologia e anatomia patologica. La stenosi polmonare è quasi esclusivamente una malattia congenita (Patologia 57) e solo eccezionalmente può riconoscere come causa la malattia reumatica o la sindrome da carcinoide. l’incremento dei valori pressori in ventricolo destro induce ipertrofia ventricolare. Il restringimento dell’orifizio valvolare polmonare determina un gradiente ventricolo-arterioso. Tuttavia. All’esame bidimensionale è possibile rilevare la presenza di un anello polmonare di dimensioni minori di quello aortico. Il ricorso all’intervento chirurgico è giustificato solo se la stenosi polmonare è severa o quando fa parte di una cardiopatia congenita complessa (es. e spesso anche di ingrandimento dell’atrio destro (ECG 04). mentre gravi alterazioni dell’anatomia tricuspidale necessitano di sostituzione della valvola. Per l’insufficienza tricuspidale non è frequente il ricorso al trattamento chirurgico. I lembi valvolari sono fibrotici. i lembi valvolari sono ispessiti ed ipomobili con movimento di apertura a “cupola” (doming). più spesso.limitato solo a quei pochi casi in cui l’indagine ultrasonografica non risulta di qualità tecnica sufficiente. per cui si verifica un rigurgito di sangue dall’arteria polmonare al ventricolo destro. La stenosi polmonare consiste nel restringimento dell’orifizio valvolare. Diagnosi strumentale. Sintomi e segni clinici. determinando infine un ostacolo al ritorno venoso sistemico. di solito. Eziologia e anatomia patologica L’insufficienza polmonare è. La valvuloplastica polmonare con palloncino (vedi Capitolo 52) è la tecnica più utilizzata per la correzione di questa valvulopatia (Figura 13/52). fa parte di cardiopatie congenite complesse quali la tetralogia di Fallot (vedi Capitolo 52). Al color-Doppler è possibile determinare il gradiente ventricolo-arterioso e graduare la severità della valvulopatia. Cenni di Terapia. .dall’ipertensione polmonare. Nella forma secondaria a dilatazione dell’anello la morfologia della valvola è normale. tra il II ed il IV spazio intercostale. di timbro alitante e in decrescendo. Il soffio è ad alta tonalità. associata ad insufficienza tricuspidale e/o polmonare. Quando il ventricolo destro si dilata è possibile palpare un itto iperdinamico. Il vizio valvolare può essere ben tollerato anche per molti anni. e aumenta di intensità durante l’inspirazione. Diagnosi strumentale ECG: In genere l’ECG risulta normale ma. Fisiopatologia Nell’insufficienza polmonare il rigurgito di sangue provoca sovraccarico di volume e dilatazione del ventricolo destro. solo eccezionalmente viene indotta da endocardite infettiva o malattia da carcinoide. si percepisce meglio nella regione parasternale. in mesodiastole. Il color-Doppler consente di visualizzare il rigurgito polmonare e graduare l’entità dell’insufficienza. un tono di eiezione polmonare e un soffio sistolico di accompagnamento. Segni clinici Il rigurgito provoca un soffio diastolico che inizia subito dopo la componente polmonare del II tono e termina. abitualmente. Ecocardiogramma: La tecnica bidimensionale consente di visualizzare la dilatazione del ventricolo destro e la vivacità della cinesi ventricolare destra. sono presenti i segni del sovraccarico di volume del ventricolo destro fino al blocco di branca destro. è possibile apprezzare altri segni quali un rinforzo della componente polmonare del II tono. se l’insufficienza è significativa. In caso di coesistenza di ipertensione polmonare. che va incontro ad ipertrofia eccentrica. Terapia In genere l’insufficienza polmonare è una valvulopatia ben tollerata e non è necessario ricorrere a correzione chirurgica. permettendo di registrare una traccia elettrocardiografica senza troppi artefatti. I parametri più importanti deducibili dal test ergometrico sono la massima capacità di esercizio. un test da sforzo positivo identifica il paziente ad alto rischio e rappresenta un’indicazione ad eseguire un esame coronarografico. Nel presente Capitolo vengono esaminati soltanto alcuni aspetti relativi a: 1) il riconoscimento della cardiopatia ischemica nei casi in cui questa non sia accertata. Il test ergometrico viene effettuato di solito al cicloergometro o al treadmill (tappeto rotante). la Tomografia computerizzata. l’eventuale ischemia viene suggerita dalle modificazioni caratteristiche dell’ECG. Ciro Indolfi DEFINIZIONE La diagnostica strumentale della cardiopatia ischemica è basata su tutte quelle indagini che permettono di dimostrare la presenza di un’ischemia miocardica. La TC coronarica. in particolare il test ergometrico e l’eco-stress. In questo senso l’Elettrocardiografia. etc possono mettere in luce diversi fenomeni suggestivi o dimostrativi dell’ischemia. che si verificano durante l’attività fisica. Questa indagine è in grado di identificare un’ischemia miocardica assente a riposo e di stratificare il rischio in pazienti con angina stabile da sforzo.Capitolo 26 DIAGNOSTICA STRUMENTALE Carmen Spaccarotella. associate o meno a sintomi. Aumenta la frequenza cardiaca. 2) la valutazione del rischio di eventi maggiori (infarto miocardico. Il test al treadmill. viene solitamente utilizzato un protocollo sottomassimale (85% della frequenza massima teorica). il tempo di recupero delle alterazioni elettrocardiografiche (tempo necessario affinché le alterazioni dell’ECG indotte dallo sforzo regrediscano). la scintigrafia miocardica viene trattata nel Capitolo 6. Il test è divenuto ormai pratica corrente perché utile nel predire il successivo andamento della malattia. l’entità del sottoslivellamento o del sopraslivellamento del tratto ST. morte improvvisa) in soggetti con cardiopatia ischemica già nota. nel primo caso il torace e le braccia del paziente sono relativamente stabili. ma soltanto possibile in base ai dati clinici. che prevede un aumento di velocità e di inclinazione del tappeto ogni tre minuti. . la soglia a cui compare il dolore anginoso e le aritmie che si manifestano durante l’esercizio. Lo scopo dello sforzo è quello di incrementare gradualmente la frequenza cardiaca fino a raggiungere la frequenza massimale (220 meno l’età del soggetto). tuttavia. in caso di test ergometrico effettuato dopo infarto miocardico. l’Ecocardiografia. la Coronarografia. tuttavia. con conseguente aumento della portata cardiaca). potendosi adattare la velocità e l’inclinazione del tappeto rotante all’agilità del paziente. il numero di derivazioni in cui compaiono le anomalie del tratto ST. sarebbe preferibile perchè consente di effettuare uno sforzo più fisiologico. Per gli scopi suddetti vengono impiegati test volti a provocare un’ischemia miocardica. Il protocollo più utilizzato per quest’ultimo test è quello di Bruce. L’esercizio fisico provoca una complessa serie di eventi:   Aumenta il ritorno venoso al cuore destro per l’azione di pompa dei muscoli delle gambe e l’aumentata pressione negativa intratoracica nell’inspirazione profonda. la Risonanza magnetica. IL TEST DA SFORZO E’ basato sulla registrazione dell’ECG prima a riposo e poi mentre il soggetto compie uno sforzo. la Scintigrafia miocardica. L’angina instabile. il flusso coronarico si riduce drasticamente solo quando la stenosi diventa molto serrata (> 90 %). nell’insufficienza cardiaca cronica. La miocardite o pericardite acuta. Sono controindicazioni all’esecuzione di un test ergometrico:      L’infarto miocardico acuto. INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI AL TEST DA SFORZO Il test da sforzo può essere indicato per motivi diagnostici. Indicazioni per screening: follow-up nei pazienti con cardiopatia ischemica nota. prognostico-valutativi o di screening. oppure con due o più fattori di rischio coronarico maggiore.pazienti con angina instabile a basso rischio (12-24 ore dall’ultimo sintomo). per scopi assicurativi. ipertesi asintomatici che intraprendono attività fisica intensa.pazienti con angina instabile a rischio intermedio (2-3 giorni dall’ultimo sintomo). per l’incremento delle catecolamine circolanti. mentre una stenosi del 75% non riduce il flusso in condizioni basali. L’esercizio fisico provoca un incremento del consumo miocardico di O2. il flusso si mantiene costante almeno fino ad un certo grado di stenosi. In condizioni di riposo. L’ischemia miocardica è dovuta ad uno squilibrio fra apporto e richiesta miocardica di ossigeno.cardiopatia ischemica sospetta in base ai dati clinico-anamnestici. dalla tensione di parete e dallo stato contrattile. Per tale motivo. Questa è principalmente influenzata dalla frequenza cardiaca. maschi oltre i 40 anni con attività lavorativa ad elevata responsabilità sociale.  Indicazioni Diagnostiche: . lo sforzo può essere utilizzato per diagnosticare una stenosi coronarica.diagnosi di ipertensione precoce borderline. per la stratificazione del rischio). In presenza di stenosi coronariche. . nella valutazione dell’efficacia della terapia antianginosa ed antiaritmica. Aumenta sia la forza di contrazione miocardica (per l’aumento del ritorno venoso.  Aumenta la gittata sistolica. cioè del precarico. Il blocco AV di secondo o terzo grado. . palpitazioni o vertigini. Le tachicardie ventricolari o atriali osservate subito prima dell’esecuzione del test.aritmie ricorrenti durante lo sforzo.           Indicazioni prognostico-valutative: dopo infarto miocardico acuto (alla dimissione del paziente colpito da infarto. . .diagnosi differenziale in soggetti con sintomi da sforzo quali sincope. grazie al meccanismo di autoregolazione coronarica (vedi Capitolo 23). . angina cronica stabile dopo rivascolarizzazione miocardica (angioplastica o by-pass aortocoronarico). e fa sì che il flusso coronarico divenga insufficiente a mantenere un normale metabolismo già in presenza di una stenosi del 50%. o che intraprendono attività fisica intensa. . in accordo con la legge di Frank-Starling) che la contrattilità. sincope) e i segni (pallore. se di grado moderato deve essere eseguito con cautela).1 mV) 80 msec dopo il punto J in almeno tre complessi consecutivi (Figura 1B). le infezioni gravi. vasocostrizione e sudorazione). Altri parametri importanti sono la capacità funzionale. Sono indicative di ischemia le seguenti alterazioni:   Il sottoslivellamento del tratto ST. Indica positività della prova da sforzo un sottoslivellamento orizzontale del tratto ST > 1mm (0. L’ anemia severa. I parametri clinici sono i sintomi (dolore toracico. la risposta cronotropa. gli squilibri elettrolitici. I tumori cardiaci. Lo scompenso cardiaco acuto. Dolore muscolo-scheletrico importante. cioè la capacità massima di compiere lavoro muscolare. l’ipertensione grave (il test può essere eseguito se l’ipertensione è controllabile farmacologicamente). terzo tono. . Fibrillazione o flutter atriale. dispnea. Il sopraslivellamento del tratto ST è diagnostico se > 1 mm (0. rappresentato dal prodotto della frequenza cardiaca per la pressione arteriosa sistolica. l’ostruzione rilevante del tratto di efflusso del ventricolo sinistro (cardiomiopatia ipertrofica nelle sue varie forme). Controindicazioni relative sono: la stenosi aortica (se di grado severo il test è controindicato.1 mV) 80 msec dopo il punto J in almeno tre complessi consecutivi (Figura 1E). L’analisi dell’elettrocardiogramma si concentra sulle alterazioni del tratto ST. I disturbi importanti della deambulazione. mentre il sottoslivellamento ascendente (Figura 1D. Aritmie minacciose (extrasistoli ventricolari con carattere di ripetitività (coppie) o tachicardia ventricolare). l’ipertiroidismo. Associazione del dolore con alterazioni significative del tratto ST. Il sottoslivellamento discendente (Figura 1C) è un indicatore più netto di positività. cianosi. Figura 2) viene considerato diagnostico di ischemia in caso di depressione persistente a 80 msec. CRITERI DI INTERRUZIONE DEL TEST DA SFORZO. espressa dall’incremento della frequenza cardiaca correlato allo sforzo. Raggiungimento della frequenza cardiaca massimale (220 meno l’età). La sospetta embolia polmonare. INTERPRETAZIONE DEL TEST DA SFORZO Il test ergometrico viene interpretato in relazione a parametri clinici e strumentali. e il doppio prodotto. rantoli) dell’ischemia miocardica da sforzo. Il test da sforzo deve essere interrotto quando si verifica :           Angina ingravescente. Blocco atrio-ventricolare di secondo o terzo grado. Estremo aumento della pressione arteriosa . Riduzione della frequenza cardiaca o della pressione arteriosa nonostante la prosecuzione dello sforzo (in particolare repentina diminuzione della pressione sistolica > 10 mmHg). Sintomi da bassa gittata (pallore. il marcato sottoslivellamento del tratto ST già in condizioni basali. la risposta pressoria. già nota. del tronco comune della coronaria sinistra.      La stenosi severa. somministrabili per os 45-60 minuti prima dell’esame TC o per via endovenosa poco prima dell’acquisizione TC. Un’applicazione emergente della TC è la valutazione del paziente con dolore toracico. specialmente quelle calcifiche. dal loro continuo movimento. L’eco-stress trova indicazione soprattutto nei pazienti con alterazioni dell’ECG a riposo. LA TOMOGRAFIA ASSIALE COMPUTERIZZATA MULTISTRATO È una metodica non invasiva per la diagnosi di coronaropatia che va rapidamente estendendosi come indicazioni cliniche. e soprattutto. sottoslivellamento del tratto ST>1mm. ritmo da pacemaker o sindrome di WolffParkinson-White) e in quelli con ECG da sforzo non dirimente. in caso di occlusioni coronariche croniche. Nel caso di frequenze cardiache superiori a 65 battiti per minuto. in questo caso è possibile impiegare farmaci inotropi come la dobutamina. nonché nella distinzione di queste dalle malattie pleuriche o polmonari. Requisiti fondamentali ed imprescindibili di una metodica diagnostica non invasiva nello studio del circolo coronarico sono l’elevata risoluzione spaziale e temporale. e la corretta sincronizzazione delle immagini ricostruite con il ciclo cardiaco. dissezione aortica e trombo-embolia polmonare. nonché nella distinzione di queste dalle malattie pleuriche o polmonari. e . La TC è in grado di identificare le placche coronariche. ottenendo i dati necessari per la ricostruzione delle immagini da cicli cardiaci contigui e non da un singolo ciclo. Un’applicazione emergente della TC è la valutazione del paziente con dolore toracico.L’ECO-STRESS L’ecocardiografia da stress è una metodica alternativa al tradizionale ECG da sforzo. in particolare nella diagnosi differenziale tra sindrome coronarica acuta. dal loro decorso complesso. Lo stress può essere fisico (in genere effettuato al cicloergometro) o farmacologico. E’ consigliabile. è possibile impiegare algoritmi multi-segmentali. tale da consentire l’acquisizione dei dati durante una singola apnea e ridurre così gli artefatti da movimenti respiratori. l’elevata velocità di esecuzione. se lo stress si accompagna a un peggioramento contrattile (Figura 4). dissezione aortica e trombo-embolia polmonare. La TC è in grado di identificare le placche coronariche. e sulla presenza di calcificazioni. specialmente quelle calcifiche. che aumentano la perfusione dei tessuti irrorati da coronarie sane e riducono la perfusione dei territori irrorati da coronarie stenotiche: un fenomeno definito “furto coronarico”. o farmaci vasodilatatori come il dipiridamolo e l’adenosina. può dare informazioni sulla lunghezza dell’occlusione. pertanto. (blocco di branca sinistra. CARATTERISTICHE TECNICHE La “sfida” nella TC è rappresentata essenzialmente dalle dimensioni delle arterie coronarie (2-4 mm). studiare pazienti con frequenza cardiaca <65. tortuoso. Il principio alla base è che l’ischemia miocardica altera l’attività meccanica del cuore: il paragone fra la cinetica ventricolare in condizioni basali (Figura 3) e quella osservata durante stress può suggerire la presenza di una stenosi coronarica. e di valutarne la morfologia. che aumenta il consumo miocardico di ossigeno attraverso l’incremento della frequenza e della contrattilità. LA TOMOGRAFIA ASSIALE COMPUTERIZZATA MULTISTRATO È una metodica non invasiva per la diagnosi di coronaropatia che va rapidamente estendendosi come indicazioni cliniche. in particolare nella diagnosi differenziale tra sindrome coronarica acuta. impiegando in caso di frequenze superiori ed in assenza di controindicazioni farmaci ß-bloccanti. pertanto.alternativa a stress-test o all’angiografia in pazienti con rischio basso-intermedio di malattia ischemica. dal loro decorso complesso. e soprattutto. Nel caso di frequenze cardiache superiori a 65 battiti per minuto. tortuoso. in caso di occlusioni coronariche croniche. CARATTERISTICHE TECNICHE La “sfida” nella TC è rappresentata essenzialmente dalle dimensioni delle arterie coronarie (2-4 mm). l’elevata velocità di esecuzione. le principali limitazioni della TC coronarica. e la valutazione della pervietà/stenosi dei bypass e delle loro anastomosi distali in caso di elevato numero di clip chirurgiche lungo il decorso dei graft arteriosi.follow-up in individui con sintomatologia atipica e precedentemente sottoposti ad intervento chirurgico di rivascolarizzazione miocardica per lo studio dei by-pass. è possibile impiegare algoritmi multi-segmentali. impiegando in caso di frequenze superiori ed in assenza di controindicazioni farmaci ß-bloccanti. A tali limitazioni vanno aggiunte quelle che riguardano la valutazione del lume coronarico in caso di marcata ateromasia calcifica. Lo studio dei by-pass aortocoronarici (Figura 5) rappresenta attualmente la più indiscussa applicazione della tomografia assiale computerizzata cardiaca. Requisiti fondamentali ed imprescindibili di una metodica diagnostica non invasiva nello studio del circolo coronarico sono l’elevata risoluzione spaziale e temporale.alternativa all’angiografia in pazienti con precedente stress-test equivoco. la valutazione del lume degli stent è invece legata in parte alle loro dimensioni: è difficile analizzare stent con diametro inferiore ai 3 mm. dal loro continuo movimento. tale da consentire l’acquisizione dei dati durante una singola apnea e ridurre così gli artefatti da movimenti respiratori. INDICAZIONI CLINICHE In attesa delle imminenti innovazioni. . la capacità di apnea del paziente ed il tempo necessario per il post-processing e l’adeguata valutazione delle immagini costituiscono. E’ consigliabile. sino ad ora. e la corretta sincronizzazione delle immagini ricostruite con il ciclo cardiaco.di valutarne la morfologia. somministrabili per os 45-60 minuti prima dell’esame TC o per via endovenosa poco prima dell’acquisizione TC. può dare informazioni sulla lunghezza dell’occlusione. e sulla presenza di calcificazioni.definizione delle anomalie coronariche. . è possibile ipotizzare per la TC un ruolo diagnostico concreto come: . . . LIMITI ATTUALI Le aritmie. studiare pazienti con frequenza cardiaca <65. ottenendo i dati necessari per la ricostruzione delle immagini da cicli cardiaci contigui e non da un singolo ciclo. come accade per la maggior parte di quelli impiantati in segmenti coronarici non prossimali . della proteina C legante la Miosina. EZIOLOGIA E PATOGENESI La cardiomiopatia ipertrofica è una malattia autosomica dominante a penetranza incompleta. I fattori trofici agiscono sui miocardiociti. Le forme tipiche (a cui andrebbe riservato il nome di cardiomiopatia ipertrofica) sono dovute a mutazioni di geni codificanti per proteine sarcomeriche. con una prevalenza di 1/500. clinicamente. che la rende la più comune cardiopatia su base genetica. che determinano . nella malattia di Fabry. Patologia 29). Ciò è spiegabile solo se si pensa che la mutazione causale interagisce con altri geni e con fattori ambientali per determinare il fenotipo. La definizione si basa. I geni più frequentemente interessati sono quelli delle catene pesanti della beta-Miosina. provocandone l'iperplasia. Individui appartenenti alla stessa famiglia (e dunque portatori della stessa mutazione causale) possono avere fenotipi molto diversi per morfologia del ventricolo sinistro e per quadri clinici. in questa definizione. impropriamente. Questa ipotesi patogenetica è ulteriormente supportata dall'osservazione. ma tutti i geni codificanti per proteine sarcomeriche (contrattili. stenosi aortica). perché situazioni in cui c'è. finora confinata all'animale transgenico. in alcune glicogenosi etc. sul rilievo ecocardiografico di aumentato spessore parietale del ventricolo sinistro: ciò non significa necessariamente che ci sia ipertrofia (aumento della massa muscolare da prevalente aumento delle dimensioni dei miocardiociti). Ne deriva un incompleto rilasciamento ed un'aumentata rigidità del muscolo. che il fenotipo è reversibile o prevenibile con l'uso di farmaci di cui è nota l'interazione con lo sviluppo ed il mantenimento dell'ipertrofia. Un'altra causa di disfunzione diastolica. la cardiomiopatia ipertrofica è malattia relativamente frequente. Maria Angela Losi. e da rallentato re-uptake del Ca++ da parte del reticolo sarcoplasmatico.Capitolo 28 CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA Sandro Betocchi. per quelle della proteina C legante la Miosina la penetranza cresce costantemente fino alla vecchiaia. sui fibroblasti inducendo fibrosi interstiziale. è secondaria all'ipertrofia ed alla fibrosi interstiziale. e sulle cellule muscolari lisce della media delle arteriole coronariche. come l'ipertensione arteriosa o alcune valvulopatie (ad esempio. Questa ipotesi spiega le tre fondamentali caratteristiche morfologiche della cardiomiopatia ipertrofica: ipertrofia e malallineamento (disarray) dei cardiomiociti (Patologia 28). fibrosi interstiziale ed ispessimento della media delle arteriole. FISIOPATOLOGIA Le tre principali caratteristiche fisiopatologiche della cardiomiopatia ipertrofica sono la disfunzione diastolica. questa aumenta lo stress sarcomerico con conseguente attivazione del signaling responsivo allo stress e sintesi di fattori trofici. l'ostruzione al tratto d'efflusso del ventricolo sinistro e l'ischemia. cioè possono esserci individui genotipo+ e fenotipo-. e dipende dall'età in modo variabile a seconda del gene causale: mentre la penetranza è quasi completa entro la terza decade per le mutazioni delle catene pesanti della beta-Miosina e della Troponina T.o extracellulare di sostanze (come nell'amiloidosi. determinandone ipertrofia.) ricadono. Con questa definizione. La disfunzione diastolica dipende da alterata affinità per il Ca++ delle proteine mutate. Massimo Chiariello DEFINIZIONE La cardiomiopatia ipertrofica è definita come ipertrofia ventricolare sinistra non spiegata da cause comuni d'ipertrofia (Patologia 28. accumulo intra. È ancora soltanto un'ipotesi (ma basata su alcune evidenze solide) che l'incorporazione di una proteina mutata nel sarcomero ne determini una ridotta efficienza contrattile. forse più rilevante clinicamente. La penetranza è incompleta. ad esempio. e della Troponina T. modulatrici o strutturali) possono determinare la malattia. anche in assenza di stenosi coronariche epicardiche.A. determina anche insufficienza mitralica. QUADRO CLINICO La cardiomiopatia ipertrofica ha un decorso clinico benigno nella maggioranza dei pazienti.A. e dell'aumento della pressione telediastolica del ventricolo sinistro (che determina un aumento delle resistenze coronariche estrinseche in diastole). e sincope (in circa 1/3 dei pazienti). Non molto è noto circa i meccanismi della morte improvvisa. Altra rilevante caratteristica fisiopatologica è l'ostruzione al tratto d'efflusso del ventricolo sinistro. Questi sono:      familiarità per morte improvvisa storia di sincope recente inspiegata presenza di ipertrofia ventricolare sinistra massiva (massimo spessore di parete >= 30 mm) risposta pressoria anomala all'esercizio (normalmente.M. Il setto ipertrofico sporge nel tratto d'efflusso del ventricolo sinistro. in circa 1/3 dei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica la pressione invece aumenta e poi diminuisce durante l'esercizio. Ovviamente.una ridotta distensibilità del ventricolo sinistro (cioè è richiesta una maggiore pressione atriale per riempirlo). ma si è osservata un'associazione epidemiologica tra alcuni eventi (definiti fattori di rischio) e la morte improvvisa. e lo restringe progressivamente durante la sistole. palpitazioni. L'ischemia è la conseguenza dell'ispessimento della media arteriolare. In conseguenza del meccanismo di generazione. La relazione fra l’intensità del soffio e il volume ventricolare (il . I bambini sono maggiormente interessati. l'incidenza è circa 1%/anno. ed infatti circa 1/3 dei pazienti soffre di questa aritmia. DIAGNOSI La cardiomiopatia ipertrofica è generalmente sospettata per la presenza di un soffio cardiaco o di anomalie elettrocardiografiche. Si definisce come tale la morte entro 24 ore dall'esordio di sintomi. oppure diminuisce fin dall'inizio) tachicardia ventricolare non sostenuta all'ECG Holter La tachicardia ventricolare sostenuta è considerata equivalente di morte improvvisa abortita e non un fattore di rischio. con un'incidenza più che doppia di quella degli adulti. I pazienti sintomatici lamentano soprattutto dispnea (dovuta a disfunzione diastolica e/o ad ostruzione al tratto d'efflusso). dell'ipertrofia (a causa dell'aumentato spessore non seguito da analogo aumento della densità capillare). che si ascolta soprattutto al mesocardio. Il paziente adulto con cardiomiopatia ipertrofica ha un rischio 6 volte maggiore rispetto alla popolazione generale di sviluppare fibrillazione atriale parossistica o permanente. e declina con l'età. vedi sopra). Ciò provoca un'ulteriore riduzione della sezione del tratto di efflusso e lo sviluppo di ostruzione (Figura 1). o S. l'ostruzione al tratto d'efflusso del ventricolo sinistro è meso-sistolica e dinamica (cioè l'entità dell'ostruzione varia a seconda del volume ventricolare e dello stato inotropo). La caratteristica clinica più temuta di questa malattia è la morte improvvisa. lungo la margino-sternale sinistra. il S. ed è pertanto frequente riscontrarla o durante Holter o durante visita clinica. angina pectoris (anche in assenza di malattia coronarica. I pazienti con cardiomiopatia ipertrofica hanno spesso segni d'ischemia.M. Il sangue è costretto ad accelerare fino al punto in cui si genera l'effetto Venturi. In questi ultimi. cioè lo sviluppo di forze centripete che attirano il lembo della mitrale nel tratto d'efflusso (Systolic Anterior Movement. ed è tipicamente dovuta a fibrillazione ventricolare.). la pressione arteriosa cresce costantemente durante l'esercizio. L’ostacolo all’eiezione ventricolare sinistra dipendente dall’ipertrofia settale genera un soffio sistolico eiettivo. mentre diminuisce nella stenosi aortica. I pazienti sintomatici vengono posti in terapia con beta-bloccanti e/o Ca++-antagonisti non diidropiridinici (verapamil o diltiazem o gallopamil). mentre si ascolta il cuore. riduce la pressione negativa endotoracica. si fa eseguire al soggetto la manovra di Valsalva. . o dell'ablazione alcoolica (iniezione di etanolo in uno o più rami perforanti settali in modo da indurre infarto chimico della porzione alta del setto. In circa 1/3 dei pazienti è presente ostruzione al tratto di efflusso del ventricolo sinistro a riposo. coinvolgente il setto interventricolare (Figura 2). anche se le anomalie presenti non sono patognomoniche e possono essere diverse: più comunemente si osserva ipertrofia ventricolare sinistra. cioè alla quantità di sangue che attraversa la valvola. vi è indicazione ad eseguirla. L'ecocardiogramma è esame fondamentale. Una stima dell'ipertrofia è data dallo spessore parietale massimo. ecocardiogramma e. infatti. che contribuisce alla riduzione dell'ostruzione). La distribuzione dell’ipertrofia è eterogenea e in una piccola percentuale di pazienti è localizzata al solo apice ventricolare (forma apicale. e soprattutto distinguerla dalla stenosi valvolare aortica (vedi Capitoli 2 e 16). Con la risonanza magnetica nucleare (RMN) cardiaca è possibile evidenziare tutte le pareti miocardiche e pertanto quando la caratterizzazione anatomica risulta difficile con l’eco. Inoltre. con la RMN viene misurata la massa ventricolare sinistra. ma non ha effetto sulla prognosi. identificata dapprima nelle popolazioni orientali. si può individuare una strategia terapeutica. L’ECG è anormale nella quasi totalità dei casi. Nei pazienti con sintomi e senza ostruzione a riposo è indicata l’esecuzione di esercizio fisico con valutazione del gradiente al picco dell’esercizio. dove l’intensità del soffio è proporzionale alla gittata sistolica. TRATTAMENTO Dopo aver determinato il profilo di rischio per morte improvvisa. Se. se disponibile. e l'impianto di un ICD va valutato caso per caso. Se la terapia medica non è efficace nella riduzione dell'ostruzione. onde Q anomale e segni di ischemia ventricolare. La riduzione del volume ventricolare fa sì che nella cardiomiopatia ipertrofica il soffio aumenti di intensità con la manovra di Valsalva. ma ubiquitaria. è caratterizzata da buona prognosi). Se è presente ostruzione al tratto d'efflusso. I pazienti con un solo fattore di rischio costituiscono una zona grigia. ai beta-bloccanti si può aggiungere la disopiramide (un antiaritmico qui usato solo per il suo marcato effetto inotropo negativo. cioè la forza “aspirativa” (vis a fronte) che favorisce il ritorno venoso: diminuisce quindi il riempimento diastolico dei ventricoli e con esso la gittata sistolica. che mostra ipertrofia generalmente asimmetrica. con questo approccio il 70% dei pazienti ha ostruzione. questa può avvalersi di intervento chirurgico di miotomia-miectomia (asportazione di un cuneo di setto sottoaortico per allargare in tratto d'efflusso). sempre allo scopo di allargare in tratto d'efflusso). La terapia ha la finalità di ridurre i sintomi. analisi genetica. La manovra di Valsalva (espirazione forzata a glottide chiusa). che si accumula tardivamente nell'interstizio (lateenhancement) consente di avere un'immagine della distribuzione di fibrosi in questi pazienti. il gadolinio. Vista l'eziologia di questa malattia. ci si accorge che il soffio della stenosi valvolare aortica si riduce d’intensità mentre quello della cardiomiopatia ipertrofica aumenta.soffio è tanto più intenso quanto più il contenuto di sangue nel ventricolo si riduce) può permettere di diagnosticare all’ascoltazione del cuore la cardiomiopatia ipertrofica. dopo aver identificato un probando (primo paziente identificato in una famiglia) si deve procedere ad uno screening familiare con ECG. non possibile con l’ecocardiogramma per l’eterogenea distribuzione dell’ipertrofia. particolarmente rilevante poiché quando è particolarmente aumentato (>= 30 mm) rappresenta un fattore di rischio per morte improvvisa. Ai pazienti con almeno 2 fattori di rischio per morte improvvisa va consigliato l'impianto di un defibrillatore (ICD). I pazienti senza fattori di rischio per morte improvvisa ed asintomatici non richiedono trattamento. La somministrazione di un mezzo di contrasto. . Il ripristino del ritmo sinusale si ottiene mediante cardioversione elettrica o farmacologica. ma è importante tentare il ripristino del ritmo sinusale finché è ragionevole. per l'anticoagulazione si applicano le linee guida usuali. In caso di fibrillazione atriale parossistica o persistente o cronica.I pazienti che hanno fibrillazione atriale persistente o cronica debbono essere riportati in ritmo sinusale: ciò non è sempre possibile. La prevenzione delle recidive di fibrillazione atriale è usualmente ottenuta con l'uso di amiodarone. di ottime prestazioni funzionali. L’espressione clinica può essere diversa da soggetto a soggetto.Capitolo 31 CARDIOMIOPATIA/DISPLASIA ARITMOGENA DEL VENTRICOLO DESTRO Luciano Daliento. di aritmie ventricolari con morfologia tipo blocco di branca sinistra. invece. soprattutto delle zone che definiscono il cosiddetto “triangolo della displasia” (la regione sottotricuspidale. e fungono da substrato per l’instaurarsi di aritmie da rientro (Figura 3). che la morte improvvisa sia la prima manifestazione clinica nei giovani pazienti. Prevalgano in genere le forme di malattia con estensione lieve. DIAGNOSI Una Task Force della Società Europea di Cardiologia ha definito i criteri diagnostici per la Cardiomiopatia aritmogena. Le metodiche di imaging (ecocardiogramma. in giovani adulti. basati oltre che sui dati clinico-anamnestici anche sulle modificazioni morfo-funzionali individuate con le varie tecniche di imaging (Tabella I). con un non raro interessamento del ventricolo sinistro. Cristina Basso. dal punto di vista morfologico. associate ad alterazioni morfo-funzionali del ventricolo destro. di morti precoci ed inattese o episodi sincopali. in questi è generalmente presente una scarsa sostituzione fibro-adiposa. Nello studio clinico di un soggetto con aritmie ventricolari è fondamentale eseguire un’attenta e completa anamnesi familiare riguardo la presenza. svolgono attività sportiva e spesso gli eventi aritmici maggiori si avverano proprio durante una intensa attività fisica. La maggior parte dei pazienti. Il fatto che venga interessato soprattutto il ventricolo destro spiega perché i pazienti affetti siano capaci. presentano onde T negative nelle precordiali destre (Figura 4). anche in pazienti portatori di un’identica mutazione. Barbara Bauce. ed in alcuni sono anche . sia per quanto riguarda le modificazioni morfo-funzionali cardiache che per il grado di instabilità elettrica. riconoscibili mediante le tecniche di imaging (Figura 2). nella maggior parte dei casi con trasmissione autosomica dominante. assieme allo studio elettrofisiologico e alla ricostruzione della mappa elettroanatomica ventricolare destra. Elettrocardiogramma L’ECG è normale in circa il 20% dei soggetti con diagnosi clinica di cardiomiopatia aritmogena. La malattia è di origine genetica. Alessandra Rampazzo. risonanza magnetica cardiaca ed angiografia) sono indubbiamente le più valide per la definizione diagnostica delle alterazioni morfofunzionali delle pareti ventricolari. sono utili soprattutto per la stratificazione del rischio aritmico. e raramente il processo di sostituzione fibroadiposa è così diffuso da provocare importante cardiomegalia o severa riduzione della funzione di pompa. QUADRO CLINICO La presenza. infatti. molti di essi. anzi. nella maggior parte dei casi. da una sostituzione fibro-adiposa di tratti più o meno estesi del ventricolo destro (Figura 1). Non è raro. sono stati finora identificati diversi geni-malattia. Andrea Nava DEFINIZIONE La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è una malattia caratterizzata. l’elettrocardiogramma. Gaetano Thiene. Le alterazioni anatomiche sono responsabili di modificazioni morfofunzionali delle pareti ventricolari. l’esame Holter delle 24 ore e l’elettrocardiogramma ad alta amplificazione. nel gentilizio. la punta e la regione dell’infundibolo) caratterizzano il quadro clinico e rendono possibile la diagnosi. L’interessamento del ventricolo sinistro è più frequente di quanto non si ritenesse in passato e solitamente lo si ritrova nei soggetti adulti. si dà ormai più importanza al riscontro di alterazioni della cinetica dei ventricoli che all’aumento del segnale riferibile a grasso. La presenza di un bulging (rigonfiamento) diastolico o di discinesie sistoliche della parete infero-basale del ventricolo destro. Dati incoraggianti stanno arrivando dall’utilizzo del mezzo di contrasto gadolinio. l’alterata configurazione dei margini della parete libera. soprattutto dell’apice. Metodiche di imaging L’ecocardiografia (Figura 7). però. esistono anche forme con aritmie ventricolari ripetitive polimorfe. Extrasistoli ventricolari o tachicardia ventricolare con morfologia tipo blocco di branca sinistra sono molto comuni nella cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. Riguardo la risonanza magnetica (Figura 8).evidenti in queste derivazioni onde epsilon. piccole deflessioni presenti nel tratto ST o nell’onda T che esprimono la depolarizzazione estremamente ritardata di alcune zone del ventricolo destro (Figura 5). giusto sotto la inserzione del lembo posteriore della valvola tricuspide. sono segni caratteristici della malattia. Il test ergometrico viene utilizzato non tanto per misurare la capacità funzionale. Biopsia endomiocardica La biopsia endomiocardica rappresenta un valido supporto sia per la diagnosi. sia per la stratificazione del rischio aritmico. In quest’ultimo caso. raggiungono la più elevata sensibilità e specificità diagnostica. La presenza di bulging diastolici della parete anteriore e sottotricuspidale. per cui il processo di depolarizzazione si realizza prima nel ventricolo destro. questa sequenza di diffusione dell’impulso nei ventricoli è identica a quella che si realizza nel blocco di branca sinistra. . L’impulso ectopico genera un’attivazione non simultanea dei ventricoli: dapprima si depolarizza il ventricolo destro. Al momento attuale. capace di identificare le aree miocardiche che presentano fibrosi (vedi Capitolo 7). ispessite e intervallate da profonde fessure. La morfologia dei complessi ectopici somiglia a quella del blocco di branca sinistra poiché le aritmie nascono nel ventricolo destro. quando è presente nel prelievo sostituzione fibro-adiposa. in cui l’instabilità elettrica è particolarmente spiccata. quanto per osservare il comportamento delle aritmie e la loro eventuale scomparsa o insorgenza durante lo sforzo. l’indagine di imaging a maggior grado di sensibilità e specificità rimane la cineventricolografia (Figura 9). nel 70-80 % dei pazienti con forme moderate e in poco più del 50% dei pazienti con forme lievi. la risonanza magnetica nucleare (Figura 8) e la cineventricolografia (Figura 9) sono metodiche idonee alla diagnosi anche nelle forme con scarsa compromissione parietale. poiché la presenza di una significativa componente infiammatoria o necrotica o di elementi apoptosici possono essere messi in relazione con una fase attiva della malattia. All’elettrocardiogramma amplificato si registrano potenziali tardivi (Figura 6) nella quasi totalità dei pazienti che presentano forme severe di cardiomiopatia aritmogena. sede in cui l’impulso nasce. la cui branca è integra. associate ad un maggior rischio di morte improvvisa. e solo tardivamente il fronte d’onda si trasmette anche al ventricolo sinistro. il meccanismo da cui essa dipende è l’incapacità della branca sinistra a condurre l’impulso. la disomogeneità della architettura trabecolare. la dilatazione dell’infundibolo. e poi il processo di attivazione si comunica al ventricolo sinistro. associata a trabecole disposte trasversalmente. localizzato nel cromosoma 17q21.GENETICA Sono stati finora riconosciuti 11 loci di mutazione genetica associati alla cardiomiopatia aritmogena (Tabella II). essendo costituito da 106 esoni. Questa forma è causata da una mutazione del gene della Plakoglobina. La mutazione di questo gene provoca un aumento della concentrazione di ioni calcio all’interno del miocita e favorisce l’insorgenza delle aritmie ventricolari durante sforzo. mostrando a livello dell’epicardio ventricolare sinistro la presenza di fibrosi. Dato che i desmosomi sono presenti in tutto il miocardio. e codifica per il recettore rianodinico. le alterazioni della proteine desmosomiali nei soggetti con mutazione genica sono espresse sia a livello del miocardio ventricolare destro che sinistro. che regola l’omeostasi intracellulare del calcio (Figura 11). soprattutto se queste sono polimorfe o si aggravano sotto sforzo. Il fatto che in questa malattia siano prevalenti le alterazioni morfologiche a carico del ventricolo destro è verosimilmente dovuto al diverso spessore della parete ventricolare. In presenza di episodi ripetuti di tachicardia ventricolare sostenuta o di importanti sintomi aritmici si ricorre all’impianto di un defibrillatore automatico. il primo provvedimento è quello di limitare l’attività fisica ed iniziare un trattamento antiaritmico farmacologico. se durante lo studio elettrofisiologico endocavitario si dimostra essere questa la fonte primaria dell’aritmia ventricolare. Una forma autosomica recessiva associata a keratoderma palmo-plantare e capelli ricci è stata descritta in pazienti che vivono nell’isola greca di Naxos. supportano questa spiegazione. In presenza di aritmie complesse. molto più sottile a destra rispetto al versante sinistro. Sulla base delle conoscenze genetiche. Questo gene è fra i più grandi del genoma umano. aritmie ventricolari polimorfe. che codifica per un componente chiave dei desmosomi. dove svolgono un ruolo fondamentale nell’assicurare la giunzione tra una cellula e l’altra (Figura 10). proteine presenti nei desmosomi. e lievi alterazioni morfo-funzionali del ventricolo destro è stata identificata una mutazione del gene RyR2 che regola l’attività del recettore rianodinico cardiaco. In pazienti che presentavano criteri clinico-diagnostici per la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro sono state identificate mutazioni del gene della Desmoplakina e della Desmogleina-2. un mezzo di contrasto che individua la fibrosi miocardica. Capitolo 48 . CENNI DI TERAPIA Nella maggior parte dei casi l’intervento terapeutico è rivolto alla prevenzione della morte improvvisa attraverso il controllo delle aritmie ventricolari. eseguiti con risonanza magnetica ed iniezione di gadolinio. si può ipotizzare che la patogenesi molecolare di questa malattia risieda nel fatto che il danno della parete ventricolare con successivo processo riparativo sia la conseguenza di una debolezza del sistema delle giunzioni desmosomiali (Figura 12). che in genere non comporta alterazioni della cinetica ventricolare sinistra. Esiste inoltre l’opzione dell’ablazione con radiofrequenza (vedi Capitolo 60) in presenza di una lesione localizzata. Gli studi più recenti. In una famiglia con alta ricorrenza di morte improvvisa giovanile. il suo “circolo” anatomico restò “aperto” almeno fino a quando Marcello Malpighi non rivelò. un’osservazione tanto importante da essere considerata la seconda maggiore scoperta. Raffaele De Caterina L’ENDOTELIO VASCOLARE: DAL CONCETTO DI “CONTENITORE PER LA CIRCOLAZIONE” A QUELLO DI “CONTROLLO DELL’ OMEOSTASI VASCOLARE” I vasi sanguigni giocano un ruolo chiave nel mantenimento dell’omeostasi cellulare e della fisiologia d’organo. Infine. per la prima volta nella storia della medicina. il quale. agli inizi del quindicesimo secolo. Egli rimase talmente impressionato dalla sua complessità da affermare nel suo libro “Exercitatio Anatomica de Motu Cordis et Sanguinis in Animalibus” che sentiva quasi “che il moto del cuore e del sangue potesse essere compreso realmente solo da Dio”. Il passo successivo nella caratterizzazione strutturale e funzionale dei vasi sanguigni. Gli innumerevoli studi che da allora si sono succeduti hanno infatti permesso la caratterizzazione dell’endotelio vascolare come l’organo a più ampia diffusione. i principi fondamentali della circolazione del sangue. Queste funzioni. appaiono costantemente volte al mantenimento dell’omeostasi vascolare: in condizioni fisiologiche le cellule endoteliali garantiscono l’integrità vascolare attraverso una modulazione funzionale della liberazione di vari fattori vasoattivi. Furchgott e Zawadzki hanno dimostrato in vitro che il rilassamento arterioso in risposta all’acetilcolina era subordinato alla produzione. Questa importante osservazione è stata la scintilla per l’esplosione di nuova serie di conoscenze tutte concordanti nell’indicare che l’endotelio svolge un ruolo chiave nell’assicurare la flessibilità funzionale dell’albero vascolare. nel 1661. la circolazione da un punto di vista “meccanico e dinamico”. Egli tuttavia non riuscì a stabilire quale fosse il punto di unione tra sistema arterioso e venoso ossia come il sangue passa dalle arterie alle vene. Essi infatti permettono al sangue di circolare ininterrottamente attraverso tutte le parti dell’organismo. diminuiscono a favore di un’attività specifica che prende il sopravvento (Figura 1). fu ad opera di von Recklinghausen. nel 1861 dimostrò che i vasi sanguigni non sono delle semplici strutture di conduzione che si affondano inerti nei tessuti. da organizzazioni cellulari vitali. Altra tappa fondamentale nella storia della biologia vascolare è stata la scoperta nel 1976 ad opera di Moncada e Vane. il quale attraverso la formulazione delle leggi sulla “meccanica degli scambi capillari” (1896) dell’apprezzò l’endotelio come una “barriera selettiva”. eterogeneità e dinamicità dell’organismo umano espletando funzioni vitali di carattere sintetico. nel 1980. della medicina vascolare. della prostaciclina (PGI2). e così assicurano sia la distribuzione capillare dei nutrienti e dell’ossigeno sia la rimozione dei cataboliti e degli xenobiotici da tutti gli organi e dai tessuti. Altrettanto importanti acquisizioni furono ottenute verso la fine dello stesso secolo da Starling.LE FUNZIONI DELL’ENDOTELIO Marika Massaro. Quindi. ma sono costituiti. Tuttavia è stato solo con gli studi di microscopia elettronica condotti da Palade nella metà degli anni ‘50 e con quelli di fisiologia cellulare condotti da Gowans poco anni dopo che si è dimostrata la possibilità di un’interazioni fisica fra linfociti e cellule endoteliali e quindi si è sancito in via definitiva il ruolo “attivo” giocato dall’endotelio nella fisiologia vascolare. che arterie e vene erano collegate da una finissima rete di capillari. Egeria Scoditti. Ma la genialità della concezione di Harvey fu quella di considerare. come si apprezzerà nei paragrafi successivi. e dunque le potenzialità omeostatiche dell’endotelio. William Harvey fu il primo a descrivere. e internamente ricoperti. di un “fattore” poi identificato da Moncada come nitrossido (NO). mentre negli stati patologici questa flessibilità. da parte delle cellule endoteliali. . Da Cisalpino infatti per la prima volta il moto del sangue fu definito “circulatio” e fu puntualizzato che il cuore. e per il quale riconoscimento Furchgott è stato insignito del premio Nobel nel 1987. per la cui importanza biologica Vane è stato insignito del premio Nobel nel 1982. Gli esperimenti di Harvey confermavano i principi secondo i quali il sangue rifluiva e circolava nel sistema vascolare. e non il fegato. costituiva il centro del movimento. dopo quella di Harvey. un’idea già presente nelle convinzioni di Galeno quindici secoli prima e che era stata successivamente sviluppata da Andrea Cesalpino nella seconda metà del ‘500. Maria Annunziata Carluccio. secretorio. metabolico ed immunologico. di nuove proprietà antigeniche e funzionali che condizionano soprattutto le interazioni dell’endotelio con i leucociti circolanti.RUOLO DELL’ENDOTELIO NELL’OMEOSTASI VASCOLARE Le cellule endoteliali svolgono un ruolo importante in molti processi fisiologici ed eseguono una grande quantità di funzioni. del controllo del tono vascolare. ma anche sostanze con effetti opposti. . Per la loro strategica localizzazione anatomica. i recettori per il fattore di crescita endoteliale (vascular endothelial growth factor receptor. dipende dai processi di riorganizzazione cui vanno incontro le fibre di stress in seguito alle sollecitazioni emodinamiche. l’ACE. la platelet-endothelial cell adhesion molecole(PECAM)-1 (o CD31). Cambiamenti in alcune di queste funzioni indotte da stimoli qualitativamente o quantitativamente anormali possono risultare nell’alterazione localizzata delle proprietà anti-emostatiche. e la E-selettina. mentre la VEcaderina. la molecola simil-mucina CD34. Esse costituiscono un monostrato dello spessore di 0. Si stima che l’endotelio possa coprire in media un’area di 5. Queste alterazioni sono collettivamente indicate con il termine di “disfunzione endoteliale”. immagazzinato nei corpi di Weibel-Palade). il fattore di von Willebrand (vWF. Tuttavia. rappresenta l’1% dell’intera massa corporea.000 km di lunghezza. in maniera ininterrotta. VEGFR) di tipo 1 e di tipo 2. pro-aggregante e pro-mitogena. Marcatori delle cellule endoteliali sono l’enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin converting enzyme. tra il sangue circolante e la muscolatura liscia. il mantenimento della fluidità del sangue nonché la regolazione del calibro dei vasi sanguigni nelle diverse condizioni emodinamiche od ormonali. il CD31. la superficie interna dei vasi. la P-selettina e il CD34 sono presenti anche sui megacariociti. appiattite verso l’estremità e leggermente ingrossate al centro in corrispondenza del nucleo cellulare. e per questo motivo può a ben ragione essere considerato fra i più “grossi” organi del corpo umano. come la regolazione del trasporto di acqua e di soluti. Sia la forma che l’orientamento delle cellule endoteliali dipendono dall’organizzazione del citoscheletro. MORFOLOGIA DELLE CELLULE ENDOTELIALI Morfologicamente le cellule endoteliali si presentano di forma approssimativamente poligonale.2-4 µm che riveste. al plurale. tipicamente nella direzione del flusso ematico. con un peso totale approssimativo di 1 kg per 6 trilioni di cellule.000 m2 e che la rete vascolare possa svilupparsi su 100. con fenotipo spesso diverso (vedi l’endotelio nell’infiammazione acuta contro l’endotelio nell’aterosclerosi). Inoltre. la P-selettina. In particolare l’orientamento delle cellule endoteliali. EDHF). Il termine di “attivazione endoteliale” più specificatamente designa l’insieme delle disfunzioni endoteliali caratterizzate dall’acquisizione. come il trombossano(TX) A2 la prostaglandina (PG)H2. Tali fattori includono il nitrossido (NO). appare appropriato il termine di “disfunzioni”. l'endotelina(ET)-1 e l’angiotensina(Ang) II (Figura 1). la E-selettina e i recettori per il VEGF sono marcatori specifici per l’endotelio. la prostaciclina (PGI2) e il fattore iperpolarizzante di derivazione endoteliale (endothelium-derived hyperpolarizing factor. Tali sollecitazioni sono in grado infatti di determinare la riorganizzazione dei fasci di filamenti di actina ed actinina soprattutto verso la periferia della cellula determinando così l’orientamento cellulare. e poiché sono diverse. sulle piastrine e su diversi altri tipi cellulari ematopoietici (Figura 2). le cellule endoteliali hanno la capacità di percepire variazioni emodinamiche (come le forze di shear stress e di pressione) e chimiche (ormoni. il vWF. sostanze liberate dalle piastrine e peptidi prodotti localmente). l’endotelio. ad azione vasocostrittrice. e di rispondere a tutti questi stimoli con la produzione di molti fattori biologicamente attivi. E’ per questo motivo che l’endotelio viene considerato uno dei più importanti organi che partecipano all’omeostasi cardiovascolare (Tabella I). sotto l’influenza di stimuli specifici. ACE). e nell’acquisizione di un fenotipo iperadesivo verso i leucociti circolati o in una produzione aumentata di citochine e fattori di crescita. la regolazione delle reazioni immunologiche ed infiammatorie. la vascular endothelial (VE)-caderina. c) le cariche elettrostatiche della membrana cellulare e d) la struttura e la composizione della membrana basale. in particolare. la cingolina. giunzioni facilitanti intervallate. b) alcune proteine di legame espresse sulla superficie cellulare. Studi recenti evidenziano che le giunzioni strette proteggono l’endotelio dallo sviluppo di lesioni aterosclerotiche. Le giunzioni strette Le giunzioni strette sono quelle che determinano un contatto serrato fra due cellule endoteliali adiacenti. di trasporto e d’interazione con gli altri membri della stessa famiglia. attraverso un cambiamento nella propria organizzazione strutturale. E’ stato osservato infatti che il numero delle giunzioni strette aumenta nelle cellule endoteliali in coltura esposte a forze frizionali di tipo laminare. detta occludina. Diversi fattori regolano la permeabilità e l’integrità del monostrato endoteliale. che sul versante intracellulare si associa con alcune proteine citosoliche a localizzazione periferica come la zonula occludens(ZO)-1 e -2. Esse sono formate da proteine transmembrana possibilmente legate a proteine citoplasmatiche e/o a proteine del citoscheletro. e costituiscono un sistema così dinamico e reversibile da assicurare entro pochi minuti. maculae communicantes) sono costituite da canali transmembrana che connettono i comparti citoplasmatici di cellule adiacenti permettendo uno scambio diretto di ioni e secondi messaggeri.LA FUNZIONE DI BARRIERA DELL’ENDOTELIO Il monostrato endoteliale si presenta strutturalmente molto compatto. l’endotelio delle venule postcapillari può addirittura non mostrare alcuna giunzione stretta. tanto da impedire il passaggio paracellulare dei fluidi e dei soluti. le giunzioni comunicanti (o gap junctions) e le giunzioni aderenti (zonulae adherentes) (Figura 3). I canali delle giunzioni comunicanti consistono di due emicanali chiamati connessoni ognuno dei quali è costituito da sei unità denominate connessine (Figura 3B). della replicazione e della successiva organizzazione strutturale delle cellule endoteliali. la ZO-1 si localizza immediatamente al di sotto della membrana plasmatica ed interagisce direttamente con l’occludina. Ciò spiegherebbe quanto avviene in vivo in quelle regioni dell’aorta esposte ad alti livelli di forze frizionali (shear stress) e in cui la deposizione dei lipidi e la formazione delle lesioni aterosclerotiche sono eventi piuttosto rari. collegano l’occludina al citoscheletro (Figura 3A). Giunzioni comunicanti Le giunzioni comunicanti o “gap junctions” (sinonimi: nexuses. complessivamente. Nell’endotelio. Strutturalmente sono costituite da una proteina transmembrana. il passaggio dei componenti del sangue all’interno dei tessuti. Questo genere di comunicazione “giunzionale” gioca. La frequenza delle giunzioni strette varia in relazione al letto vascolare: mentre nelle arterie cerebrali e nelle arterie di grosso calibro la loro frequenza è molto elevata. Le giunzioni intercellulari sono delle strutture che determinano uno stato di aderenza stretta tra le membrane cellulari appartenenti a due cellule contigue. Esso infatti mostra degli spazi intercellulari molto ristretti tanto da costituire una barriera altamente selettiva al passaggio di sostanze tra il sangue e i tessuti. dei periciti e delle cellule muscolari di supporto durante l’angiogenesi. e la rabl3 le quali. Questi includono a) le giunzioni intercellulari. ognuno dei quali esibisce differenti proprietà di permeabilità. ad esempio. Le giunzioni comunicanti costituiscono il mezzo di comunicazione intercellulare d’elezione sia tra tipi cellulari omologhi (comunicazione “omotipica” se ad esempio tali giunzioni sono stabilite fra due cellule endoteliali) che fra tipi cellulari diversi (comunicazione “eterotipica” se ad esempio stabilita fra cellule endoteliali e cellule muscolari lisce o fra cellule endoteliali e leucociti). un ruolo critico nella coordinazione della migrazione. Inoltre è stato recentemente ipotizzato un loro possibile coinvolgimento nell’aterogenesi. I tre principali tipi di giunzioni intercellulari identificabili in un monostrato endoteliale sono: le giunzioni strette (o tight junctions). mentre la cingolina e la ZO-2 fanno da ponte tra la ZO-1 e i microfilamenti di actina del citoscheletro (Figura 3A). essendo stata osservata un’alterazione . Le connessine fanno capo ad una famiglia multigenica composta da 15 membri. che catalizza l’ossidazione dell’azoto contenuto nella L-arginina. inducibile in molti tipi cellulari (leucociti. in seguito a stimolazione con citochine proinfiammatrie come l’interleuchina(IL)-1 ed il fattore di necrosi tumorale(TNF)a. e contiene i siti di legame per l’eme. ma anche dalle piastrine. il flavin mononucleotide (FMN). Esse assicurano alle cellule endoteliali il riconoscimento omotipico calcio-dipendente. ed è per questa ragione che molti autori sostengono la loro essenzialità nell’organizzazione dei contatti inter-endoteliali. richiedono una serie di cofattori e gruppi prostetici per esplicare la loro attività. fra i quali il flavin adenina dinucleotide (FAD). Le tre isoforme enzimatiche condividono molte caratteristiche strutturali e presentano dei meccanismi catalitici largamente sovrapponibili. Questo avviene perché la CaM rimane costantemente legata all’enzima. Le tre . primi fra tutti i macrofagi. un dominio di legame della CaM. Giunzioni aderenti (zonulae adherentes) Le giunzioni aderenti sono costituite da una serie di proteine transmembrana conosciute con il termine di caderine (Figura 3C). espressa soprattutto nell’endotelio. Ciò suggerisce che la disorganizzazione delle interazioni fra le cellule endoteliali entro la neovasculatura può costituire un evento significativo alla base della progressione della malattia aterosclerotica LA REGOLAZIONE DEL TONO VASCOLARE E DELLA FUNZIONE PIASTRINICA L’NO: biochimica e funzioni L’NO è il principale vasodilatatore prodotto dalle cellule endoteliali. la VEcaderina è espressa solo dalle cellule endoteliali tanto da rappresentarne un marker di riconoscimento specifico. l’eme. Le isoforme NOS I e NOS III sono invece espresse costitutivamente. Diversamente. la P-caderina e la E-caderina. Il loro ruolo nel mantenimento della struttura endoteliale rimane controverso. e quindi presenti in diversi tipi cellulari. Esso viene sintetizzato per azione della ossido nitrico sintasi (nitric oxide synthase . e la “NOS di tipo III” o “eNOS”. Le caderine non specifiche. in quanto l’attività basale può essere aumentata dal legame della CaM a seguito dall’aumento dei livelli intracellulari di calcio. In particolare. comportandosi come una sua subunità. ed un dominio ossigenasico. cellule muscolari lisce e miociti cardiaci).nel quadro di espressione delle connessine endoteliali e muscolari sia nelle placche aterosclerotiche umane che nelle lesioni sperimentalmente indotte in animali da laboratorio. la BH4 e l’arginina. la calmodulina (CaM) e la tretraidrobiopterina (BH4). dal momento che viene espressa solo dopo attivazione cellulare ed è attiva anche a basse concentrazioni di Ca2+. Per la loro attività catalitica sono necessari tre distinti domini. La sua espressione può essere indotta in diversi tipi cellulari. contenuta nei neuroni e nel muscolo scheletrico. Solo recentemente è stata investigata la sua espressione in relazione all’aterosclerosi.NOS). della crescita e della differenziazione delle cellule endoteliali. Una serie di studi di biologia molecolare ha portato all’identificazione di tre distinti geni che codificano tre diverse isoforme dell’enzima NOS: la “NOS di tipo I” o “nNOS”. endotelio. Si tratta dell’isoforma responsabile della produzione massiva di NO che è alla base dell’azione battericida e tumoricida dei macrofagi e dei neutrofili. e sono calcio-sensibili. includono la N-caderina. A questo riguardo è emersa un‘alterazione della sua espressione nelle lesioni aterosclerotiche in corrispondenza delle cellule endoteliali che hanno dato luogo a fenomeni di neovascolarizzazione intraplacca. Il dominio ossigenasico catalizza la conversione dall’arginina in citrullina ed NO. La NOS di tipo II è l’unica isoforma inducibile e calcio-insensibile. la “NOS di tipo II” o “iNOS”. Le giunzioni aderenti sembrano inoltre giocare un ruolo importante nel controllo della migrazione. la riduzione dell’espressione della VE-caderina in questi neovasi sembra coincidere con un aumento dell’entrata di cellule immunocompetenti nella matrice intimale circostante le strutture neovascolari. che – a partire dall’estremità C-terminale – sono: un dominio reduttasico. producendo NO e L-citrullina in presenza di NADPH. L’endotelio esprime caderine specifiche e non specifiche. Ad esempio. Il dominio reduttasico accoglie il FAD e l’FMN e trasferisce gli elettroni dal NADPH al dominio ossigenasico. dai miociti cardiaci e dai neuroni dell’ippocampo. fra i quali la fosforilazione delle chinasi della catena leggera della miosina (MLCK). aumentano l’espressione della eNOS prolungando l’emivita del suo messaggero. endotelio compreso. fra i quali la simvastatina. inizialmente ritenuta citoplasmatica. Infine sono state mostrate forme di modulazione post-traduzionali dovute a meccanismi di interazione proteina-proteina come con le heat shock protein 90 (hsp90). gli inibitori dell’enzima 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA reduttasi. la caveolina 3 contenuta soprattutto nei muscoli striati. La produzione endoteliale di NO è tuttavia regolabile non solo a livello dell’attività enzimatica. Oltre che in direzione abluminale. Il cGMP determina il rilassamento muscolare attraverso diversi meccanismi. mentre le principali proteine che ne formano l’impalcatura strutturale sono le “caveoline”. Nell’uomo le coronarie con aterosclerosi presentano una ridotta risposta vasodilatatoria all’acetilcolina rispetto alle arterie normali. Diversamente. presente in un’ampia varietà di cellule. la NOS III. Le caveole svolgono una funzione chiave nella regolazione dell’attività enzimatica. sempre secondo meccanismi cGMP-dipendenti. alcuni componenti delle low density lipoprotein (LDL) come la fosfatidilcolina e lo shear stress inducono l’espressione della eNOS a livello trascrizionale. sia pure in modo ancora indefinito. compreso il miocardio. La eNOS infatti lega la caveolina o la CaM in una maniera mutualmente esclusiva: in condizioni basali il legame della eNOS alla caveolina riduce l’attività enzimatica. Il fatto che questa alterata vasomotilità sia presente anche in coronarie angiograficamente integre ne suggerisce un ruolo primario. che determina la riduzione nei tassi di fosforilazione della miosina e quindi aumenta la stabilità della miosina inattiva.isoforme differiscono per la localizzazione intracellulare: la NOS I nel tessuto nervoso è localizzata nella membrana post-sinaptica. tramite un’interazione con il complesso della distrofina. infine. la caveolina 2 espressa principalmente negli adipociti. ma anche a livello pre. In questa maniera viene rimossa l’inibizione che il ferro esercita sull’enzima. L’NO ha un’emivita approssimativa di 3-5 secondi. anche nei vasi di soggetti ipertesi tale risposta risulta diminuita. esso diffonde facilmente verso le cellule della muscolatura liscia dove. in modelli animali . nonché attraverso la riduzione dei livelli intracellulari di calcio. proteine palmitoilate di 20-24 kDa. Gli estrogeni. ma non è chiaro se questi comportamenti anomali siano primari o secondari alla malattia. L’attivazione della guanilato ciclasi è dovuta al legame dell’NO con l’eme dell’enzima: quest’interazione altera la conformazione dell’eme e disloca il Fe3+ dal piano dell’anello porfirinico. in corrispondenza di microdomini altamente specializzati detti “caveole”. in quanto si associano ad una riduzione della vasodilatazione endotelio-dipendente con conseguente riduzione potenziale del flusso ematico locale e ad un ridotto potere antitrombotico e antiaterogeno dell’endotelio. oppure ad eventi di fosforilazione a carico di siti specifici come in ser1177 che aumentano l’attività enzimatica potenziando il flusso di elettroni dal dominio di riduzione a quello ossigenasico. la NOS II.e post-trascrizionale. Qui l’NO può venire in contatto con le piastrine e i leucociti circolanti e sortire altrettanti importanti effetti biologici in termini sia di riduzione dell’adesività leucocitaria che dell’adesione e dell’aggregazione piastrinica. L’NO nelle malattie cardiovascolari Le alterazioni funzionali della trasduzione del segnale lungo la via biosintetica della L-arginina/NO possono svolgere un ruolo importante nella fisiopatologia delle malattie cardiovascolari. attivando la guanilato ciclasi. di cui si conoscono almeno tre isoforme: la caveolina 1. le cellule endoteliali liberano NO anche in direzione luminale e quindi. mentre nel muscolo scheletrico è associata con il citoscheletro. nella circolazione sanguigna. Corrispondentemente. e s’innesca una produzione massiva di guanosin monofosfato ciclico (cGMP) a partire dalla guanosina-5’-trifosfato (GTP). mentre in condizioni di attivazione cellulare l’aumento dei livelli intracellulari di calcio (in seguito ad esempio a stimolazione con acetilcolina o bradichinina) promuove la dissociazione reversibile della eNOS dalla caveolina e il successivo legame alla CaM che ne determina l’attivazione. determina il rilassamento della muscolatura e la vasodilatazione. è situata nella membrana plasmatica. è risultata invece essere associata alla membrana plasmatica. Le caveole si presentano come invaginazioni della membrana plasmatica composte essenzialmente da glicosfingolipidi e colesterolo. Una volta prodotto. noti come isoprostani. e infatti subisce un’immediata conversione enzimatica in una prostaglandina(PG) del tipo D2. l’induzione di COX-2 determina. Nell’endotelio in condizioni basali (di non attivazione). l’espressione di COX-2 è inducibile in risposta a stimolazione con fattori di crescita. E2. a seconda del tipo di isomerasi/sintasi che opera la trasformazione (Figura 4). F2a. un prostanoide fino a pochi anni fa ritenuto di esclusiva produzione piastrinica. i risultati nell’uomo sono stati più contrastanti. causa vasodilatazione e inibisce l’aggregazione piastrinica secondo un meccanismo che prevede l’attivazione della adenilato ciclasi e l’aumento dei livelli intracellulari dell’adenosin monofosfato ciclico (cAMP). in condizioni proinfiammatorie (attivazione cellulare mediata da citochine e fattori di crescita). essenziale per l’attività biologica. Una volta liberato. citochine. oltre all’accumulo di PGI2. la produzione di isoprostani nell’endotelio è inibibile dall’indometacina. e un’attività perossidasica. Questa. Esso tuttavia costituisce solo un prodotto intermedio. un aumento significativo nella produzione di PGE2 (e in minor misura di PGD2). probabilmente a causa del numero limitato di soggetti arruolati e dei brevi periodi di osservazione cui gli stessi soggetti erano sottoposti. i cui prodotti. il profilo dei prostanoidi prodotti varia in maniera tessuto-specifica. E’ stato perciò ipotizzato un modello secondo il quale COX-2 contribuisce alla produzione endoteliale di isoprostani non in termini di catalisi enzimatica classica ma attraverso la generazione di specie radicaliche. ha un’emivita molto breve. attraverso l’attivazione del corrispondente recettore IP presente sulle cellule muscolari lisce e sulle piastrine. Inoltre. Tuttavia sebbene la somministrazione orale di L-arginina in animali ipercolesterolemici abbia generalmente sortito effetti benefici. oppure in TXA2. i trombossani. l’acido arachidonico può essere convertito in prodotti ossigenati da distinti sistemi enzimatici. un componente dei fosfolipidi della membrana plasmatica. mentre un’aumentata disponibilità di NO diminuisce o addirittura reverte la formazione delle lesioni aterosclerotiche. fra i quali le “prostaglandine H sintasi-1 e -2. che catalizza la riduzione del gruppo idroperossido legato al carbonio 15 in gruppo idrossile. l’azione costitutiva e concertata della COX-1 e della PGI2 sintasi (PGIS) produce PGI2. Prostanoidi Il termine “eicosanoidi” indica diverse famiglie di mediatori lipidici bioattivi. i leucotrieni e gli acidi idrossieicosatetraenoici. quali le prostaglandine (compresa la prostaciclina). le cellule endoteliali sono anche in grado di sintetizzare il TXA2. tanto da far considerare questa una “housekeeping molecule”. o in PGI2. La prima tappa nella biosintesi degli eicosanoidi è la liberazione dell’acido arachidonico dalla membrana per azione della fosfolipasi A2 (Figura 4). dell’ordine dei 5 minuti. Mentre molti tessuti umani esprimono costitutivamente COX-1. Poiché esiste una variazione tessutale nell’espressione delle isomerasi. A differenza delle arterie normali che esprimono prevalentemente COX-1. raggruppati sotto il termine di prostanoidi. Gli isoprostani sono prodotti di perossidazione dell’acido arachidonico e strutturalmente possono essere considerati isomeri delle prostaglandine convenzionali. anche per effetto della concomitante induzione della PGE sintasi microsomiale (mPGES). fra i quali il più comune e il più rappresentato è l’acido arachidonico.di ipercolesterolemia l’inibizione farmacologica della NOS accelera l’aterosclerosi. detti anche cicloossigenasi(COX)-1 e -2. la PGH2. Altri prodotti endoteliali dell’acido arachidonico sono rappresentati da una nuova classe di biolipidi. Pur essendo mediata dai radicali liberi. promotori tumorali. Entrambi gli isoenzimi COX possiedono un’attività cicloossigenasica. Queste sostanze derivano dal metabolismo di acidi grassi poliinsaturi a venti atomi di carbonio. e causa vasocostrizione. lipopolisaccaride batterico (LPS) e trombina. Il prodotto dell’attività cicloosigenasica. RNA messaggero sia per COX-1 che . I prostanoidi realizzano i loro effetti cellulari previo legame a recettori appartenenti alla superfamiglia dei recettori accoppiati alle proteine G. Tuttavia. sono tra i più importanti mediatori prodotti dalla parete vasale. responsabile della captazione di due molecole di ossigeno e della ciclizzazione della catena idrocarburica dell’acido arachidonico. Il contributo relativo di COX-1 e di COX-2 alla fisiopatologia dell’aterosclerosi rimane ancora molto dibattuto nonostante l’enorme interesse scientifico e la mole di lavoro prodotto. la MMP di tipo 9. ma anzi possano realizzarsi simultaneamente o sequenzialmente così da determinare un effetto additivo o sinergico. osservazione che coincide con la prevalente attività dell’EDHF nei vasi di minori dimensioni. E’ stato ipotizzato. indipendentemente dall’aumento dei livelli intracellulari di nucleotidi ciclici. Il numero di queste giunzioni eterocellulari infatti aumenta con la diminuzione del diamentro dell’arteria. con e senza inibizione della produzione di PGI2. Si ritiene che l’eterogeneità tessutale e di specie comporti l’esistenza di forme diverse di EDHF. Per queste ragioni si sospettò l’esistenza di quello che fu denominato “fattore iperpolarizzante di derivazione endoteliale”(o endothelium-derived hyperpolarizing factor. di metalloproteinasi della matrice(MMP). infatti. L’ EDHF Già nei primi anni ’80 diverse linee di evidenza cominciavano a indicare che la vasodilatazione endotelio-dipendente non poteva essere spiegata esclusivamente con la produzione endoteliale di PGI2 ed NO. Si ritiene che questi meccanismi non siano mutualmente esclusivi. Una terza ipotesi riconosce gli ioni potassio (K+) come possibili EDHF. e poiché è stato osservato che COX-2. tanto che fino ad ora sono stati proposti almeno quattro candidati. delle cellule muscolari lisce e dell’endotelio. l’inibizione farmacologica o il silenziamento genico delle NOS. E’ stato ipotizzato che l’induzione di COX-2 in sede lesionale possa contribuire all’instabilizzazione della placca favorendo la digestione del cappuccio fibroso. quella oggi più accreditata. EDHF). fenomeni di neoangiogenesi intraplacca sono stati riconosciuti essere criticamente implicati nella crescita e nella instabilizzazione delle placche aterosclerotiche umane. secondo un meccanismo di accoppiamento funzionale fra COX-2 e la produzione. Inoltre. Si constatò in seguito che tale attività vasorilassante residua implicava l’iperpolarizzazione delle cellule muscolari lisce (oltre che dello stesso endotelio). L’anandamide infatti. non riusciva ad inibire completamente il vasorilassamento endotelio-dipendente indotto sia in risposta a stimoli chimici (acetilcolina e bradichinina) che meccanici (shear stress). Questo. indurrebbe l’iperpolarizzazione e il rilassamento delle cellule muscolari attivando i canali del K+ di tipo rettificante in entrata (K IR) e la Na+ -K+ -ATPasi. PGE2mediata. si ipotizza che la produzione di prostaglandine COX-2-mediata possa contribuire alla crescita e all’instabilizzazione della placca aterosclerotica anche attraverso l’induzione e il mantenimento dei processi di neoangiogenesi. attivando i recettori dei cannabinoidi sia nelle cellule endoteliali che nelle cellule muscolari. che almeno in alcuni letti vascolari funzionano come EDHF. gli EET sarebbero sintetizzati e liberati dall’endotelio e diffonderebbero verso le cellule muscolari lisce nelle quali indurrebbero l’iperpolarizzazione in seguito all’apertura dei canali del potassio ad alta conduttanza (BKCa). Rimangono tutt’ora aperte molte questioni. Una quarta ipotesi. a sua volta. induce iperpolarizzazione e vasorilassamento.per COX-2 è stato dimostrato nelle placche aterosclerotiche umane in corrispondenza dei macrofagi. soprattutto nelle arterie di resistenza. a sua volta. l’apertura dei canali del potassio sulle cellule muscolari lisce oppure determinando l’iperpolarizzazione delle cellule endoteliali che sarebbe stata. Gli effetti biologici dell’EDHF . trasmessa alle cellule muscolari lisce da un’accoppiamento elettrico tra i due tipi cellulari. ossia per il cannabinoide endogeno anandamide. Poiché diverse linee di evidenze sperimentali indicano un ruolo proangiogenico dei prodotti enzimatici di COX-2. Evidenze ben documentate propongono un ruolo per i prodotti dell’acido arachidonico ottenuti attraverso la via dell’epossigenasi P450. che porterebbe alla liberazione di K + e quindi all’aumento del K+ extracellulare. ossia degli acidi epossieicosatetraenoici (EET). a seguito di un’adeguata stimolazione recettoriale. che un’adeguata stimolazione dei recettori endoteliali possa attivare l’apertura dei canali del potassio a bassa e media conduttanza (SKCa e IKCa) nelle cellule endoteliali. Ciò è basato sull’osservazione che. e s’ipotizzo che l’EDHF avrebbe potuto sortire i suoi effetti inducendo. direttamente o indirettamente. e la “membrane type-1 MMP” colocalizzano nelle cellule endoteliali dei vasa vasorum di aorte aterosclerotiche umane. Una seconda candidatura è stata proposta per un altro prodotto dell’acido arachidonico. Infatti. prima fra tutte quella dell’identità chimica dell’EDHF. riconosce nelle giunzioni comunicanti mio-endoteliali la struttura essenziale alla base dell’attività vasodilatatoria endotelio-dipendente mediata dall’EDHF. nelle quali la loro stimolazione induce la produzione e la liberazione di NO e PGI2. La stimolazione di entrambi i recettori induce vasocostrizione attraverso due differenti meccanismi: aumento dell’influsso di calcio e attivazione della fosfolipasi C e della fosfolipasi A2. il sistema viene attivato quando si verifica ipovolemia o una caduta di pressione (ad esempio in seguito ad un’emorragia). Gli stessi recettori ETB sono espressi anche dalle cellule endoteliali. nella forma biologicamente attiva a 21 aminoacidi.sono ridotti nella malattia vascolare aterosclerotica associata all’invecchiamento e dall’ipercolesterolemia. l’ACE è localizzato sulla superficie luminale delle cellule endoteliali dove. della pressione sanguigna e del volume dei liquidi extra-cellulari. Il sistema renina-angiotensina nell’endotelio Il sistema renina-angiotensina è un complesso apparato enzimatico-ormonale deputato alla regolazione a lungo termine del bilancio idro-salino. L’ET-1 deriva da un precursore a 203 residui amminoacidici. Si tratta di polipeptidi strettamente affini alla safratossina (componente tossico di alcuni veleni di serpente) e prodotti da diversi tessuti in tre forme: l‘ET-l. aumentando così. L’Ang II agisce da vasocostrittore. gli effetti di contrazione e di stimolazione della proliferazione cellulare . Si ipotizza inoltre che l’ET-1 possa contribuire allo sviluppo dell’aterosclerosi non solo inducendo perturbazioni del flusso ematico. che a sua volta promuove la ritenzione di sodio. AT1B e AT2. in angiotensina (Ang) I. le endoteline (ET) sono dei potenti vasocostrittori. Nelle cellule muscolari lisce. Inoltre l’aumento nella produzione e nell’espressione di ET-1 nelle placche aterosclerotiche umane ne conferma un potenziale ruolo patogenetico. che è stata isolata per la prima volta. In natura esistono diverse isoforme dell’ECE. almeno in parte. molti dei fattori associati allo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche. la renina (che può anche essere liberata dai vasi sanguigni in seguito ad insulto meccanico o di altra natura). In accordo con questo. Le cellule muscolari lisce esprimono soprattutto il recettore ETA e solo scarsamente il recettore ETB. come le citochine infiammatorie e le LDL ossidate. che viene processato in successione per essere definitivamente convertito. l’effetto vasocostrittorio. delle alterazioni della risposta vascolare nell’aterosclerosi. In queste condizioni. la diminuita perfusione dell’apparato iuxtaglomerulare dei reni stimola le cellule iuxtaglomerulari a liberare un enzima. la ECE-lb e la ECE-2. Endoteline In netto contrasto con tutte le sostanze descritte fino ad ora. ACE) espresso principalmente dai capillari polmonari e in generale dall’endotelio vascolare. ma le cellule endoteliali esprimono esclusivamente l’isoenzima-1a. l’ET-2 e l’ET-3. l’espressione endoteliale delle molecole di adesione e la chemiotassi dei leucociti circolanti. mentre il restante 25% è liberato nel lume vasale. nel 1988. detto pre-pro-endotelina. Le cellule endoteliali producono solo l’ET-l. inducono la produzione endoteliale di ET-l. fra le quali la ECE-la. ma anche stimolando la proliferazione delle cellule muscolari lisce. Gli effetti biologici dell’Ang II sono generalmente mediati da una classe di recettori che comprende: AT1A. l’angiotensinogeno. in una reazione catalizzata dall’enzima di conversione dell’endotelina (ECE). allo scopo di ripristinare il normale tono vascolare. noti come recettori di tipo A (ETA) e di tipo B (ETB). oltre a convertire l’Ang I in Ang II. degrada e inattiva la bradichinina. Perciò è stato suggerito che una diminuizione della produzione di EDHF possa essere responsabile. che converte un peptide inattivo di derivazione epatica. aumentando la pressione sanguigna e stimolando la secrezione di aldosterone. proprio dal mezzo condizionato di cellule endoteliali di aorta porcina. questo peptide viene a sua volta convertito in Ang II dall’enzima di conversione dell’angiotensina (angiotensin converting enzyme. In condizioni fisologiche. Un’alterata produzione endoteliale di ET-1 caratterizza gli stati di disfunzione endoteliale legati alla malattia aterosclerotica. Nei vasi sanguigni. con la sua attività. Il 75% della produzione endoteliale di ET-1 diffonde abluminalmente verso le cellule muscolari lisce. cosicché bassi livelli di ET-1 sono misurabili nel plasma anche in soggetti sani. L’ET-1 realizza i suoi effetti biologici attraverso la stimolazione di specifici recettori accoppiati alle proteine G. La ectoADPasi endoteliale. funziona da potente attivatore delle piastrine. e che portano alla formazione di un coagulo o un di trombo. Pur essendo il processo di coagulazione unico. con il risultato di un aumento netto nella produzione di Ang II e quindi dei suoi effetti vasocostrittori e pro-mitogeni. detta emostasi. oltre a regolare il tono vascolare. Inoltre è stato accertato che questi effetti pro-infiammatori sono mediati dall’attivazione dei recettori endoteliali di tipo AT1. L’accumulo dei lipidi all’interno della parete vascolare aumenta l’espressione di tutti i componenti del sistema renina-angiotensina. la stabilizzazione dell’aggregato piastrinico primario è subordinata alla formazione e alla deposizione di un reticolo polimerico di fibrina. dell’enzima anti-piastrinico noto come ecto-ADPasi/CD39. inibisce l’adesione. Moltissime linee di evidenza suggeriscono un profondo coinvolgimento del sistema renina-angiotensina nello sviluppo della malattia cardiovascolare. è possibile distinguere una forma fisiologica. Anche la PGI2. una serin-proteasi che oltre all’attivazione del fibrinogeno contribuisce all’attivazione di diversi altri enzimi e cofattori della cascata coagulativa (Figura 5). Figura 6). la coagulazione e la fibrinolisi. Non è sorprendente quindi che diverse “vie di contro-regolazione” si siano evolute per contrastare fisiologicamente la generazione eccessiva di trombina. e una forma patologica. attraverso l’attivazione dei recettori IP presenti sulle piastrine e il successivo aumento dei livelli di cAMP. In condizioni normali l’endotelio possiede proprietà antipiastriniche. In questo senso l’endotelio gioca un ruolo di primo piano. inibisce fortemente l’aggregazione piastrinica. La fibrina deriva dalla scissione del fibrinogeno ad opera della trombina. dal momento che il loro blocco farmacologico previene ogni effetto pro-infiammatorio dell’AngII. In entrambe le situazioni. di una serie di molecole di adesione. anch’essa costitutiva. Ciò è stato ampiamente dimostrato in vitro dall’induzione. che avviene all’esterno di un vaso e conduce alla riparazione di una ferita. quali la vascular cell adhesion molecule(VCAM)-1 e la intercellular adhesion molecule(ICAM)-1.sono mediati esclusivamente da AT1. Altra attività anti-piastrinica messa in atto dall’endotelio normale è quella che fa capo all’espressione della ecto-nucleasi di membrana conosciuta come ecto-ADPasi/CD39. previene l’aumento intrapiastrinico di calcio. detta trombosi. Ang II-mediata. l’attivazione e l’aggregazione piastrinica attraverso diversi meccanismi. Esso induce l’aumento dei livelli intrapiastrinici di cGMP. e che può portare a conseguenze cliniche anche gravi. Proprietà anticoagulanti dell’endotelio La coagulazione del sangue è il risultato di una serie di processi che possono realizzarsi all’interno o all’esterno di un vaso sanguigno. oltre ad esplicare un potente effetto vasodilatatorio. inibisce l’espressione della P-selettina. metabolizza efficientemente l’ADP in AMP. essendo una ATP-difosfoidrolasi. L’ADP. influenzando la funzionalità piastrinica. contribuendo in tal modo al mantenimento delle piastrine in una condizione basale di non attivazione. caratteristicamente implicate nelle fasi precoci di reclutamento leucocitario che accompagna la formazione della lesione aterosclerotica. in via diretta. L’NO. lo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche attraverso un effetto pro-infiammatorio sulle cellule endoteliali. RUOLO DELL’ENDOTELIO NEL CONTROLLO DELL’EMOSTASI L’endotelio gioca un ruolo chiave nel controllo dell’emostasi. e promuove la disaggregazione piastrinica inibendo l’attività della fosfatidil-inositolo 3-chinasi. Inoltre l’Ang II può modulare. interagendo con il recettore piastrinico P2Y12. Controllo della funzionalità piastrinica In condizioni normali le piastrine circolanti non interagiscono con l’endotelio vascolare sia a causa della liberazione costitutiva di NO e PGI2 da parte dell’endotelio. sia per l’espressione endoteliale. consistente nella formazione di una massa solida nelle cavità cardiache o vascolari. l’instaurazione di uno stato disfunzionale è caratterizzato dallo spostamento della bilancia emostatica da uno stato anti-trombotico verso un franco stato pro-trombotico (Figura 1. anti-coagulanti e pro-fibrinolitiche. orchestrando . Infine le cellule endoteliali contribuiscono agli eventi coagulativi esprimendo sulla propria superficie i recettori per la fibrina e per i suoi prodotti di degradazione. ma questo complesso non sembra più possedere attività anticoagulante. Quando la trombina viene legata dalla trombomodulina (Figura 5). Sia la produzione di TFPI che di AT sono alterate negli stati protrombotici che accompagnano le complicanze cliniche su base aterosclerotica.almeno tre meccanismi anti-coagulanti: a) il sistema eparina-antitrombina. e ciò giustificherebbe l’elevata trombogenicità di alcune placche. L’espressione degli eparansolfati e dei glicosaminoglicani da parte dell’endotelio è ridotta in condizioni pro-infiammatorie. l’espressione del TF è inducibile in vitro in risposta a diversi fattori pro-aterogeni. in una singola sequenza trans-membrana e in un corto dominio intracitoplasmatico. il fattore X e Xa (Figura 5). al rispettivo recettore espresso dalle endoteliali noto come “recettore endoteliale della proteina C” (EPCR). in maniera reversibile (KD ˜ 30 nM). delle vene. Sebbene inizialmente si ritenesse che la produzione e la secrezione di tPA fosse propria di tutte le cellule endoteliali. Poiché il TF catalizza l’attivazione della via estrinseca della coagulazione (Figura 5). Corrispondentemente. E’ stato stimato che le cellule endoteliali della vena del cordone ombelicale possono esprimere fino a 50. ed espressa sulla superficie luminale delle stesse a livello dei capillari. il quale lega e inattiva il fattore Xa in un complesso quaternario costituito da TF/VIIa/Xa/TFPI (Figura 5). e dei vasi linfatici. La fibrinolisi ha inizio con la trasformazione del plasminogeno in plasmina per azione degli attivatori del plasminogeno come il tissue-type plasminogen activator (tPA) o l’urokinase-type plasminogen activator (uPA). TFPI). Una volta attivata. in condizioni normali esso non è espresso. lo shear stress. delle arterie.000 molecole di trombomodulina per cellula. mantiene la sua affinità di legame per ECPR. proteina a funzione anticoagulante prodotta e liberata dal fegato fino al raggiungimento di una concentrazione plasmatica di 4 µg/mL. il fattore VIIa legato al fattore tessutale (TF). quando si dissocia da ECPR. L’endotelio previene la formazione di trombina anche attraverso la produzione dell’inibitore della via del TF (tissue factor pathway inhibitor. Esso invece risulta sovraespresso in corrispondenza di molte lesioni aterosclerotiche. oltre che dall’attivazione del recettore del CD40 da parte di linfociti T e di piastrine esprimenti il corrispondente ligando (CD40 ligando). catalizzando l’inattivazione dei fattori Va e VIIIa (Figura 5). la proteina C (ora “activated protein C”. essa perde le sue proprietà procoagulanti e il complesso diviene un potente attivatore della proteina C. Le cellule endoteliali possono anche liberare il TF nel plasma. Il tasso di attivazione della proteina C è più alto quando essa si lega. APC). La trombomodulina è una proteina di 74 kDa sintetizzata dalle cellule endoteliali. Questo complesso inattiva la trombina. molecole che promuovono l’attivita dell’antitromina(AT). Il riscontro di una ridotta espressione in pazienti con angina instabile ha fatto ipotizzare un ruolo per la proteina S nello sviluppo della malattia vascolare. L’APC infatti. e questo avviene attraverso l’immissione del TF all’interno di strutture microparticellari. Il TF è una glicoproteina di 263 residui aminoacidici strutturati in un dominio extracellulare di 219 residui. forma un complesso con la proteina S. Il TNFa riduce l’espressione della trombomodulina inibendo la trascrizione del suo RNA messaggero e favorendo la degradazione della proteina matura nei lisosomi. studi più recenti condotti in vivo hanno dimostrato la produzione di tPA solo in alcune . Proprietà procoagulanti dell’endotelio Il passaggio chiave nella trasformazione dell’endotelio da una superficie anti-coagulante ad una procoagulante consiste nell’espressione del TF. La matrice extracellulare a contatto con l’endotelio è particolarmente ricca di eparansolfati e glicosamminoglicani di derivazione endoteliale. Controllo della fibrinolisi La fibrinolisi è il processo mediante il quale il reticolo di fibrina viene dissolto dalla plasmina così da evitare la persistenza del coagulo e/o la formazione di trombi. una molecola sintetizzata nel fegato e nelle cellule endoteliali. le IL1a e ß. il TNFa. fra i quali le LDL ossidate. b) il sistema di inibizione della via del fattore tessutale. c) il sistema anticoagulante della trombomodulina-proteina C. TAFI). PAI). Famiglie diverse di proteine. come la monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1) e l’IL-8 mostrano un’elevata selettività per monociti e linfociti T. ognuna con una distinta funzione.PAF-. DANNO ENDOTELIALE E LESIONE ATEROSCLEROTICA Le lesioni aterosclerotiche hanno origine in punti critici della circolazione sanguigna. benché potenzialmente reversibile. Infine il legame della trombina alla trombomodulina determina l’attivazione di una proteasi conosciuta come “inibitore della fibrinolisi attivabile dalla trombina” (thrombin-activatable fibrinolysis inhibitor. e VCAM-1. e -3. La stria lipidica è un’area di ispessimento intimale focale. compreso quello della scimmia con ipercolesterolemia moderata. prendono aspetti assai diversi e variegati. venuti all’osservazione autoptica. Questo tipo di lesione è il primo a comparire nei modelli di aterosclerosi da ipercolesterolemia in diverse specie animali. circondato da una matrice extracellulare e da un numero variabile di linfociti. su neutrofili. l’adesione di leucociti all’endotelio viene riscontrata in un gran numero di disturbi infiammatori ed immunologici. l’esposizione a diversi stimoli pro-infiammatori stimola le cellule endoteliali a produrre abbondanti quantità di PAI indipendentemente dal distretto tissutale di appartenenza. sono bassi od oscillanti. Sebbene il fegato rappresenti la maggiore sorgente di PAI. Il TAFI è una carbossipeptidasi in grado di scindere i residui carbossiterminali della fibrina. proceda invariabilmente verso lesioni più avanzate. Tali condizioni circolatorie probabilmente favoriscono sia il trasporto passivo di componenti del sangue arterioso nella parete vascolare che l’espressione di componenti della matrice (proteoglicani ricchi in condroitina). principalmente nei punti di diramazione di collaterali. Molti considerano questa lesione reversibile. che così vengono intrappolate nel sotto-endotelio. che riconoscono come ligandi “integrine” sulla superficie leucocitaria. nella forma di desquamazione focale con denudamento intimale. come gli N-formil-peptidi. A fronte di questa notevole varietà di aspetti “tardivi”. il primo stadio di sviluppo della placca aterosclerotica è ritenuto essere una lesione precoce denominata “stria lipidica”. ma solo dopo stimolazione con plasmina. Alterazioni delle funzioni endoteliali indotte da stimoli qualitativamente o quantitativamente abnormi possono modificare l’interazione tra componenti cellulari e macromolecolari che agiscono all’interfaccia sangue-parete vascolare. . forniscono “segnali di traffico” per i leucociti. come abitualmente osservate nell’adulto. ed è stato riscontrato nelle coronarie del 50% di adolescenti tra i 10 e i 14 anni. l’uPA non viene prodotto in condizioni basali. ma il consenso attuale è che la stria lipidica. alcuni dei quali. Ciò risulta in una perdita dei siti di legame per il tPA. cioè le forze frizionali messe in gioco dallo scorrimento del sangue contro una parete vascolare ferma. Analogamente.sotto-popolazioni di cellule endoteliali microvascolari. che riconoscono come ligandi i carboidrati sialilati o fucosilati. Queste famiglie comprendono: a) le “selettine”. il modello animale sicuramente più vicino alla patologia aterosclerotica umana. nelle biforcazioni e sul lato convesso di arterie curve. L’endotelio è anche in grado di produrre gli inibitori dell’attivatore del plasminogeno (plasminogen activator inhibitor. eosinofìli. altamente ritensivi verso le LDL. Le lesioni aterosclerotiche avanzate. dove gli shear stress. in condizioni normali l’endotelio vascolare contribuisce all’omeostasi della parete modificando adattativamente il proprio stato funzionale. con conseguente rallentamento del processo fibrinolitico. altri. il leucotriene B4 e il platelet-activating factor. ma piuttosto l’intero processo sembra avere origine da un insieme meno evidente di alterazioni che non richiedono la perdita fisica dello strato endoteliale. agiscono ad ampio spettro. Placche aterosclerotiche si sviluppano negli stessi siti dell’albero vascolare dove si localizzano inizialmente le strie lipidiche. Per questi motivi. Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti. c) la superfamiglia delle immunoglobuline endoteliali quali ICAM-l. b) i chemoattrattanti. In generale. di più recente caratterizzazione. basofìli e monociti. “classici”. Oggi è generalmente accettato che l’inizio dell’aterosclerosi non richieda un “danno” endoteliale. riflettendo stadi diversi dell’evoluzione delle placche e probabilmente storie naturali diverse tra placche diverse. -2. l’origine dell’aterosclerosi può essere ragionevolmente ricondotta alla patogenesi della stria lipidica. componenti del complemento. determinato dall’accumulo di macrofagi carichi di lipidi (cellule schiumose). fra le quali siti di legame per nuclear factor(NF).B e AP-1. dei linfociti e dei basofili all’endotelio attivato. Figura 6). La recente osservazione di un ridotto numero di lesioni aterosclerotiche in topi geneticamente predisposti allo sviluppo dell’aterosclerosi.che etero-dimerici.B1 (p50).B-simili sono stati identificati in molti geni. è aumentata di parecchie volte in risposta ai diversi mediatori molecolari del rischio cardiovascolare. in quanto media specificatamente l’adesione dei monociti. RelB. Spl. .B comprende una famiglia di fattori di trascrizione originariamente identificati nelle cellule B e poi scoperti essere ubiquitariamente espressi oltre che filogeneticamente conservati. In maniera simile a quella di ICAM-1. Le cellule endoteliali a riposo. ha fornito una forte evidenza a sostegno del ruolo causale di VCAM-1 nell’aterogenesi precoce. elementi responsivi all’acido retinoico e C/EBP. Inoltre l’espressione delle diverse molecole di adesione procede simultaneamente all’espressione dei fattori endoteliali solubili. il legame più tenace dei leucociti all’endotelio richiede l’interazione dei ligandi integrinici sulla superficie leucocitaria con immunoglobuline endoteliali quali VCAM-1 e ICAM-1. il cui ligando coniugato integrinico leucocitario è la molecola CD11/CD18. Diverse sequenze induttrici sono state riconosciute nel promotore di ICAM-1. Il suo picco di espressione viene raggiunto dopo sei ore dalla stimolazione e rimane costante per almeno 72 h. Questa molecola è normalmente localizzata in corrispondenza delle giunzioni intercellulari. non attivate. Poiché la maggior parte delle molecole di adesione non viene espressa in condizioni basali. ma esprimenti un forma ipofunzionale di VCAM-1. come le LDL modificate. dove interazioni omodimeriche legano due cellule endoteliali adiacenti (Figura 2. il TNFa e l’interferone(IFN)-( la sua espressione aumenta notevolmente. Poiché PECAM-1 è anche espressa sulla superficie dei leucociti. Noti induttori di VCAM-1 comprendono citochine come il TNFa. cRel. Tuttavia il ruolo patogenetico di PECAM-1 nell’aterogenesi è ancora incerto poiché non si osservano modificazioni significative della sua espressione in corrispondenza delle placche aterosclerotiche umane o in topi geneticamente predisposti allo sviluppo dell’aterosclerosi. la rottura del dimero endoteliale PECAM-1/PECAM-1 a favore della formazione di un nuovo dimero fra leucocita emigrante e la cellula endoteliale costituisce l’evento alla base della diapedesi dei leucociti. le LDL modificate e i prodotti di glicazione avanzata del diabete (advanced glycation endproducts. esprimono quantità trascurabili o assai basse di tali molecole. AGE). ma non l’adesione dei neutrofili.B nella disfunzione endoteliale L'espressione genica delle molecole di adesione endotelio-leucociti come VCAM-1. legato causalmente all’espressione delle molecole di adesione. l’activator protein(AP)-1. e I B(.B. VCAM-1 sembra giocare un ruolo chiave nel reclutamento leucocitario dell’aterosclerosi. e l’IL-1. il più comune dei quali è l’eterodimenro p65/p50 che si lega alla sequenza consensus decamerica GGGRNNTYCC (R=G o A. Il sistema NF. rallentandone la corsa e provocando il loro “rotolamento” sulla superficie endoteliale. I Bß. Sequenze nucleotidiche capaci di legare specificamente fattori NF.B. come pure le loro subunità inibitorie I Ba. I membri di questa famiglia comprendono: p65 (RelA). in particolare. l’attivazione richiede evidentemente l’inizio di una trascrizione del corrispondente gene. Le subunità di NF.Mentre le selettine mediano il legame iniziale dei leucociti all’endotelio. gli AGE o le citochine infiammatorie IL-1 e il TNFa. la regolazione trascrizionale di VCAM-1 richiede l’attivazione di NF. con l’eccezione di ICAM-1. Quest’ultimo. NF. e ciò è reso possibile dall’attivazione di uno o di pochi fattori di trascrizione. ha ricevuto un’attenzione crescente negli ultimi anni come denominatore comune dell’attivazione endoteliale.B2 (p52). ICAM-1. L’espressione di ICAM-1 è regolata soprattutto a livello trascrizionale. Ruolo del fattore di trascrizione NF. essendo stati riconosciuti anche in Drosophila. ICAM-1 e di alcuni chemoattrattanti endoteliali solubili quali MCP-1 e IL-8. e NF. La fase finale di emigrazione dei leucociti attraverso l’endotelio implica invece un ruolo più attivo per la PECAM-1. tra cui NF. è costitutivamente espressa a bassi livelli sulla superficie delle cellule endoteliali non stimolate. tra cui quelli delle molecole di adesione inducibili e delle citochine solubili. ma in seguito alla stimolazione con citochine infiammatorie quali l’IL-1.B formano complessi sia omo. Dunque è necessario che avvenga un’attivazione concertata di tali geni. Indipendentemente dallo stimolo. compresi i meccanismi alla base delle sue modificazioni funzionali acute e croniche.B è quindi una potenziale via comune per coordinare l’espressione di un gran numero di geni implicati nell’attivazione e nella disfunzione endoteliale come VCAM-1. COX-2. tra i quali TNFa. come nell’aterosclerosi. CONCLUSIONI E’ stato ormai definitivamente accettato che l’endotelio non costituisce una semplice barriera di separazione statica tra sangue e tessuti. per la scoperta di nuove strategie terapeutiche per il trattamento di condizioni patologiche in cui la disfunzione endoteliale gioca un ruolo patogenetico di primo piano.B è rappresentata dalla natura rapida e transitoria della sua attivazione che lo rende ben adatto a regolare l’espressione di quei geni che necessitano di essere espressi “su domanda” e per un periodo di tempo limitato. AGE. e iNOS. le cellule endoteliali assicurano l’appropriata regolazione del flusso ematico. prevengono l’attivazione delle piastrine e gli eventi indiscriminati di coagulazione. IL-1. Attraverso la secrezione di una serie di molecole specifiche. le cellule endoteliali rispondono a stimoli diversi modificando dinamicamente le proprie proprietà funzionali a sostegno della crescita dei vasi o della loro riparazione. o per guidare la risoluzione di un processo.B nel nucleo.B possa essere stimolata da modificazioni nel bilancio redox cellulare. Normalmente tale dimero è sequestrato nel citoplasma in forma inattiva attraverso l’interazione con la subunità inibitrice. Queste alterazione transitorie del fenotipo endoteliale terminano di solito con la ristabilizzazione dell’omeostasi vascolare. si assiste alla degradazione proteolitica di I B e alla conseguente migrazione di NF. lipopolisaccardide batterico (LPS). l’attivazione di NF. . ad esempio.B attiva una varietà di geni implicati nell’attivazione endoteliale. alta concentrazione di glucosio. LDL ossidate e ischemia/riperfusione.B risulta ben evidente nelle lesioni aterosclerotiche umane ed animali. Per questo motivo è stato suggerito che l’attivazione di NF. le alterazioni della fisiologia endoteliale assumono una connotazione patologica e dànno l’avvio allo sviluppo della malattia. dove NF. shear stress. Il sistema NF. e forse l’unica.Y=C o T. IL-6. Sotto l’influenza di diversi stimoli fisiopatologici. Questo concetto è supportato dal fatto che l’attivazione di NF. TF. Tuttavia in certe condizioni patologiche. così inducendo l’espressione dei geni bersaglio. Tutti gli sforzi fatti per comprendere le caratteristiche fisiologiche dell’endotelio. IL-8. i meccanismi che sottendono i cambiamenti a lungo termine e la possibilità di correggerli certamente costituiscono la migliore via. ma svolge un ruolo attivo nel mantenimento dell’omeostasi vascolare. IL-1. In condizioni normali. PAI-1. N un qualsiasi nucleotide).B può essere inibita dal trattamento con antiossidanti o chelanti dei metalli. Una peculiarità di NF. in cui il comportamento delle cellule endoteliali è cronicamente perturbato. E-selettina. Negli ultimi vent’anni l’esplorazione della biologia endoteliale ha caratterizzato dal punto di vista cellulare e molecolare le funzioni dell’endotelio.
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