Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 1 INTRODUZIONE ALLA SEMEIOTICA DiagnosiÆ Procedura di permette di ricondurre un fenomeno (o gruppo di fenomeno), dopo averli valutati, ad una categoria. Ci permette di riconoscere una malattia (categoria) in base a dei “sintomi” e dei “segni” (fenomeni) che rappresentano il quadro clinico. Per effettuare una diagnosi bisogna: • Partire dalla storia del pazienteÆ Anamnesi ed esame obiettivo. • Acquisire dati. • Si può poi generare ipotesi diagnostiche preliminari • Si cerca di confermare con esami clinici mirati l’ipotesi diagnostica • Dopo aver valutato i risultati degli esami, o si conferma l’ipotesi oppure bisogna riniziare: o Dalla raccolta dei dati o Dagli esami Per effettuare una diagnosi bisogna però avere alle spalle: • Esperienza • Contesto • Conoscenza SemeioticaÆ Disciplina che studia i segni, cioè le variazioni del normale che il paziente presenta. Oltre a questo tipo di semeiotica, detta anche semeiotica fisica, esistono: o Semeiotica di laboratorioÆ Riguarda gli esami clinici o Semeiotico strumentaleÆ Riguarda la radiografia e le altre tecniche. Noi tratteremo la semeiotica fisica che studia le tecniche di esecuzione ed è quindi una materia pratica. MetodologiaÆ Ciò che deve fare il medico e come deve farlo. Sono regole che regolano l’agire e il ragionare del medico. AnamnesiÆ È la storia medica e può essere: • Familiare • Personale • Patologica • Quella che si sofferma sul problema attuale. Esame obiettivoÆ Prevede 4 tecniche: • Ispezione • Palpazione • Percussione • Ascoltazione RILIEVI CLINICI Bisogna distinguere tra: • SintomiÆ Disturbi riferiti dal paziente • SegniÆ Elementi rilevati all’esame obiettivo dal medico Un medico può convertire i sintomi in segni. I rilievi clinici possono avere: • Valore segnaleticoÆ Capacità di indicare la possibile presenza di una malattia • Valore probatorioÆ Capacità di provare la presenza della malattia. Un rilievo clinico può poi essere: o PositivoÆ Presenza di un segno/sintomo in grado di attestare la malattia o NegativoÆ Assenza di un segno/sintomo in grado di attestare l’assenza della malattia Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 2 Bisogna definire: • SensibilitàÆ Esprime la probabilità che un soggetto realmente affetto dalla malattia considerata presenti una positività per il rilievo clinico. • SpecificitàÆ Esprime la probabilità che un soggetto non affetto dalla malattia considerata presenti una negatività per il rilievo clinico. Possiamo quindi distinguere i pazienti in: • Veri positiviÆ Soggetti malati con positività del rilievo • Falsi positiviÆ Soggetti sani con positività del rilievo • Veri negativiÆ Soggetti sani con negatività del rilievo • Falsi negativiÆ Soggetti malati con negatività del rilievo. Sensibilità e specificità possono essere quindi espresse con percentuali come: • SS = vP vP+PN % • SP = vN vN+PP % Possiamo inoltre definire i concetti di: o Valore predittivo positivoÆ vP vP+PP Æ Esprime la probabilità che un soggetto risultato positivo al test sia realmente affetto dalla malattia. Dipende dalla specificità e dalla prevalenza della malattia. o Valore predittivo negativoÆ vN PN+vN Æ Esprime la probabilità che un soggetto risultato negativo al test sia realmente sano. Possiamo quindi riassumere che la sensibilità è la capacità di identificare correttamente i soggetti malati, mentre la specificità la capacità di identificare correttamente i soggetti sani. I rilievi clinici possono essere: • PatognomonicoÆ Rilievo clinico che per quella malattia non ammette nessun falso positivo. Se quindi è positivo c’è la certezza della malattia, mentre se è negativo non la esclude. • ObbligatoriÆ Rilievo clinico che per quella malattia non ammette nessun falso negativo. Se è assente esclude la malattia con certezza, ma se è presente non afferma la malattia. • PerfettoÆ Non ammette né falsi positivi né falsi negativi. ESAME OBIETTIVO L’esame obiettivo è di pertinenza del medico ed è formato da 4 momenti in successione che però possono variare a seconda dell’apparato. Sono: • IspezioneÆ Dà il concetto di insieme del pazienteÆ Sesso, facies, costituzione, cute, … , tumefazioni, pulsazioni, deambulazione, … • PalpazioneÆ Si effettua con diverse tecniche: manuale, bimanuale, una, due dita di una o delle due mani. Obiettivi: o Confermare e precisare i dati dell’ispezione o Delimitare gli organi (fegato e milza) e le caratteristiche fisiche o Pulsazioni o VibrazioniÆ Possono essere spontanee o provocate. • PercussioneÆ È una tecnica che è stata introdotta nel XVIII° secolo con la semeiotica moderna. L’artefice è Leopoldo Auenbrugger che scrive un libretto in latino. Questo libretto è poi tradotto in francese nel 1808 da Jean‐Nicolas Corvisart. Nel 1828 Piorry, tramite l’uso del plessimetro e del plessore, trasforma la percussione da diretta ad indiretta. Sono poi degli studenti inglesi e americani di Piorry che semplificano la tecnica usando il dito. Nasce così la tecnica che si utilizza oggi, cioè la percussione mediata digito‐digitale. Obiettivi o Delimitare o Comparare Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 3 Si fonda sulla capacità di produrre un suono facendo vibrare la parte del corpo in esame. Dove c’è più aria si produrrà più suono, a livello degli organi parenchimali invece non si produrrà nessun suono. • AscoltazioneÆ Può essere: o DirettaÆ Si poggia l’orecchioÆ L’orecchio è in grado di percepire frequenze che vanno da 20 a 20000Hz. Il range migliore è però tra 1000 e 5000Hz. Siccome i rumori polmonari e cardiaci sono tra 30 e 1000Hz bisogna utilizzare strumenti. o IndirettaÆ Tramite steto‐ e fonendo‐scopiÆ In particolare: StetoscopioÆ Presenta la campanaÆ Amplifica le basse frequenze e filtra le alte frequenzeÆ Deve essere solo appoggiato sulla cute. FonendoscopioÆ Presenta il diaframmaÆ Amplifica le frequenze elevate e attenua le basse frequenzeÆ Deve essere premuto sulla superficie. Quelli moderni hanno sia campana che diaframma. Deve avere un lunghezza di 56 o 69 cm e uno spessore di 22 o 27”. È Laennec che codifica la sistematica dell’ascoltazione. Skoda JosefÆ I reperti della percussione e della ascoltazione non dipendono dalla malattia di per se stessa ma dalle modificazioni che essa induce negli organi. Quindi malattie completamente diverse possono mostrare gli stessi reperti alla percussione e ascoltazione e, viceversa, la stessa malattia può mostrare una grande varietà di reperti quando si percuote o si ascolta perché il suono dipende non dallo stato chimico, ma dallo stato anatomico degli organi. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 4 ANAMNESI È il racconto personale del malato delle proprie malattie e non solo (lavoro, abitudini alimentari, ecc…) I protagonisti sono il medico e il malato. I dati raccolti sono soggettivi del paziente. Il medico deve comunque: ‐ Rispettare la privacyÆ Non fare l’anamnesi in pubblico ‐ Essere neutroÆ Non deve avere pregiudizi ‐ Comunicare in modo sincero, con un linguaggio accessibile, spiegare tutto, senza promettere facili guarigioni. Esistono due tipi di anamnesi: o Completa o EuristicaÆ Le informazioni sono finalizzateÆ Anamnesi per problemi. Il foglio in cui si scrive può essere: ‐ Strutturato ‐ Libero ‐ Semistrutturato. Fasi: • Bisogna presentarsi al paziente • Farsi raccontare la sua sofferenza attuale, il problemaÆ deve essere riportato con le parole del paziente • Storia familiare • Storia fisiologica • Storia farmacologica • Storia passata • Infine si passa in rassegna organi/apparati. ¾ Si invita ad esporre la ragione del ricovero o della visita medica Domande o Cosa posso fare per lei? o Perché è venuto in ospedale? o Che cosa la preoccupa? o Che disturbi presenta? ¾ Si invita a fornire un racconto completo delle malattie con parole proprie. Bisogna inoltre lasciare parlare senza interrompere, non sottovalutare o trascurare dettagli anche apparentemente irrilevanti o bizzarri. Tutto quello che viene riferito deve essere attentamente valutato e analizzato. ¾ Terminato il racconto può essere utile chiedere: o Non ricorda altro? o Ha qualcosa da aggiungere? o E poi? ¾ A questo punto è opportuno precisare il più possibile i sintomi del paziente. È il momento più delicato e difficile. Si possono utilizzare: o Domande aperteÆ Per chiedere informazioni generali o cambiare discorso o Domande diretteÆ Per chiarire un argomento. Le domande devono essere chiare e possibilmente con una sola risposta. Non devono sottintendere la risposta. Per ogni sintomo si dovrebbe conoscere: • Quando • Dove Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 5 • Quanto • Accentua • Attenua • Modifica • Sempre lo stesso • Assomiglia In base a queste caratteristiche bisogna quindi procedere chiedendo: • Modalità d’inizio e cronologiaÆ Bisogna definire con esattezza quando il problema ha avuto inizio: o Quando è iniziato? o Che cosa faceva? o Dov’era? o Quali circostanza hanno caratterizzato l’inizio del sintomo o Se il sintomo è intermittente, si chieda di specificare la periodicità e la frequenza e di descrivere l’episodio tipico. • Sede e irradiazione del sintomoÆ Bisogna chiedere di: o Indicare con il dito la sede e la sua eventuale irradiazione o Individuare la profondità dalla quale sembra aver origine la sensazione abnorme. • Carattere (qualità) del sintomoÆ È difficile da descrivere e spesso il paziente ricorre a paragoni. o Come descriverebbe il suo dolore? o Che tipo di dolore è? o Sordo? o Urente? o Costrittivo? • Intensità e quantitàÆ Bisogna chiedere di quantificare il dolore: o Scala da 1 a 10 o Nella dispnea: dopo quanti passi? Dopo quanti gradini? Dormire con quanti cuscini? o Nelle minzioni: 10? 5? o Nella claudicatio: dopo quanti metri? Dopo quanti passi? • Fattori che modificano il sintomo: o AttenuanoÆ Arresto dell’attività fisica o AggravanoÆ Camminare più in fretta o Decubito o Farmaci. • Sintomi associati: o Nella dispnea spesso può non aver detto se c’è dolore, febbre, edemi o Nell’ematuria macroscopica può non aver detto se c’è febbre, dolore, disuria. • Fattori iatrogeniÆ Chiedere specificatamente i farmaci assunti. • Fattori ambientaliÆ Regione, lavoro, casa, viaggi. Bisogna ricordare di essere obiettivi e quindi di non cercare ciò che si vuol trovare e che il paziente potrebbe selezionare le notizie da dare. Devo ricercare anche ciò che manca??? Ci sono varie teorie: alcuni, tra cui il prof. Faccini credono che questo non è necessario, altri invece pensano che si debba scrivere (per esempio: non c’è febbre). CASI PARTICOLARI ‐ Sede dalla visitaÆ Se la visita avviene in clinica o in ospedale si deve effettuare una anamnesi completa ma se si è a casa del paziente o in condizioni di emergenza bisogna prima cercare di stabilizzare il paziente. L’anamnesi sarà quindi nulla o approssimativa. ‐ Collaborazione del pazienteÆ Se il paziente collabora si deve effettuare un’anamnesi completa. Se il paziente non collabora (coma, disorientato, gravi turbe mentali/psichiche, politraumatizzato, critico) bisogna raccogliere l’anamnesi da un parente. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 6 ‐ Tipo di visitaÆ Se è la prima visita faccio l’anamnesi, se è una visita di controllo o specialistica l’anamnesi sarà sommaria o orientata su certi punti. È importante inoltre avere una buona tecnica di colloquio poiché: Porta ad avere un’accurata storia che è un’ottima base per l’esame obiettivo, per gli esami e per la diagnosi. Stabilisce collaborazione con il paziente (alleanza terapeutica) e aumenta la soddisfazione e la fiducia del paziente. Comporta: o Migliore compliance o A fornire dati potenzialmente importanti prima omessi. ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA È il motivo per cui il paziente ha richiesto la visita. In senso generale si considerano modifiche recenti dello stato di salute del soggetto. ANAMNESI FAMILIARE Conoscenze di patologie “importanti” o geneticamente trasmesse o ad andamento familiare. Bisogna annotare anche causa ed epoca della morte dei genitori, nonni, zii e fratelli. ANAMNESI FISIOLOGICA O PERSONALE Conoscenza del malato dalla nascita al momento della visita. Si può procedere in questo modo: • Ordine di genitura • Parto: o Epoca o Eutocico o distocico. • Allattamento: o Artificiale o Vaccino o Al seno. • Sviluppo: o Fisico o Psichico o Sessuale. • Scolarità: o Scuole frequentate o Rendimento scolastico. • Pubertà: o Nella donna l’inizio coincide con il menarca e va da 8 a 13 anni circa. Bisogna chiedere: Età menarca Successive mestruazioni: • Ritmo • Durata • Quantità • Eventuali disturbi. Gravidanze: • Numero • Numero figli viventi • Numero di aborti, a quale mese e a quale gravidanza. MenopausaÆ Corrisponde alla scomparsa mestruazioni e può essere fisiologica o iatrogena. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 7 o Nell’uomo è più complesso e di solito va dai 9 fino ai 17/18 anni. È caratterizzata da una aumento di dimensioni delle gonadi e del pene, comparsa dei peli, prima eiaculazione, cambiamento della voce. • Stato civile: o Nubile/celibe o Coniugato o Separato/divorziato o Vedovo. • Religione • Lavoro: o Che lavoro o E poi: Soddisfatto? Vorrebbe cambiare? Quanto lavora? o Esposizione a sostanze nocive. • Ambiente • Tempo libero: o Hobby o Sport. • Servizio militareÆ Attualmente si può inserire nella sezione lavoro. • Pensionato • Abitazione: o In rapporto a patologie (spesso polmonari) o Animali domestici o Incidenti domestici. • Soggiorno all’esteroÆ Nei paesi “a rischio” • Abitudini alimentari: o Dieta variaÆ proteine, carboidrati, lipidi o Quanti pasti al dì o Eventuale diario alimentare o DieteÆ Vegetariana, celiaci, diabetici, insufficienza renale. Peso/AltezzaÆ BMI • Abitudini voluttuari: o AlcoliciÆ Quantificare l’alcol tramite l’unità alcolÆ Bicchiere standard (125ml) con gradazione alcolica di 10%. Per la donna la quantità sarebbe 2 unità al giorno, per l’uomo tre. o Caffè o FumoÆ Si possono dividere gli individui in: Non fumatoriÆ Meno di 100 sigarette nella loro vita. FumatoreÆ Al momento dell’esame fuma regolarmente o occasionalmente. Fumatore regolareÆ Fuma almeno una sigaretta al giorno. Fumatore occasionaleÆ Non fuma tutti i giorni. Ex‐fumatoreÆ Ha smesso da almeno un anno. Bisogna quantificare in pacchetto/anno perché questo numero è strettamente correlato a patologie. Bisogna distinguere anche il tipo di tabacco. Fumo passivoÆ Inalazione involontaria da un non fumatore del fumo del tabacco presente nell’ambiente. o Droghe. • Sonno • AlvoÆ Regolare o irregolare • Diuresi: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 8 o Quante minzioni/die? o Difficoltà ad iniziare la minzione? o Minzioni notturne? • Vaccinazioni • AllergieÆ A farmaci o alimenti • Terapia attuale, farmaci assunti ed eventuali effetti indesiderati. ANAMNESI PATOLOGICA REMOTA Bisognerebbe chiedere tutte le malattie dall’età pediatrica fino al momento del ricovero. Sia le malattie senza ricovero ospedaliero che le malattie con ricovero ospedaliero. In questo ultimo caso si deve chiedere se ha la lettera di dimissione e la cartella clinica oppure no. Bisogna indagare le visite mediche, gli esami di laboratorio e strumentali precedentemente fatti. Anche in questo caso se c’è o meno la documentazione. Ogni patologia dovrebbe essere indagata come il problema che ha portato alla consultazione clinica. Non bisogna inoltre riportare le diagnosi riferite dal paziente e dai familiari, ma solo le diagnosi ufficiali (cartelle cliniche, lettere di dimissione,…) Bisogna passare in rassegna tutti gli organi e gli apparati. Bisogna scrivere nella cartella in modo leggibile, in italiano e solo i fatti in ordine cronologico (senza nessun commento). Non bisogna utilizzare acronimi inventati ma solo quelli consegnati dalla letteratura. Bisogna utilizzare i termini tecnici. DIARIO CLINICO Ha l’obiettivo di verificare nei tempi appropriati per il singolo paziente la realizzazione e l’adeguatezza del piano diagnostico, terapeutico e assistenziale. Ogni intervento/prestazione deve essere annotato riportando anche l’ora, il giorno, il mese e l’anno. Se il malato è noto si annotano giorno per giorno le variazioni in ordine alla patologia annotando l’aspetto soggettivo ed oggettivo ed eventuali nuovi provvedimenti, le novità e le urgenze. CARTELLA CLINICA ORIENTATA PER PROBLEMI (CCOP) Consta di: ‐ DatabaseÆ In cui sono raccolti i dati ‐ Lista dei problemiÆ Sia attivi che passivi ‐ PianoÆ Raccolgo: o DxÆ Raccolta dati per la diagnosi o MxÆ Raccolta dati per il monitoraggio o TxÆ Terapia o ExÆ Educazione del paziente. ‐ Diario clinicoÆ In cui raccolgo: o SÆ Informazioni soggettive o OÆ Informazioni oggettive o VÆ Valutazione o PÆ Piano di lavoro (Dx, Mx, Tx, Ex) I problemi devono essere raccolti singolarmente, anche se sono associati al fine della diagnosi. Ogni volta devo sempre scrivere data, ora e firmare. Se ci sono errori non bisogna cancellare con il bianchetto ma con una linea in modo che rimanga visibile. EVIDENCE BASED MEDICINE O MEDICINA DELL’EVIDENZA È un nuovo approccio all’assistenza sanitaria dove le decisioni cliniche risultano dall’integrazione tra l’esperienza del medico e l’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche disponibili. È in pratica un processo di autoapprendimento in cui l’assistenza del paziente individuale stimola la ricerca dalla letteratura biomedica Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 9 di informazioni clinicamente rilevanti, diagnostiche, prognostiche, terapeutiche o relative ad altri aspetti della pratica clinica. Quindi ognuno deve istruirsi ed aggiornarsi dalla letteratura e non solo il primario o il capo reparto come una volta. La medicina dell’evidenza è molto importante per la terapia. Per la raccolta dei dati, la diagnosi ha scarsa utilità mentre per la verifica e la conferma delle ipotesi diagnostiche l’utilità è minima. ALGORITMO Insieme di regole per effettuare un dato compito (risolvere un problema). Deve essere: ‐ Finito ‐ Generale ‐ Completo ‐ Non ambiguo ‐ Eseguibile. Il Flow Chart è un linguaggio visuale per rappresentare un algoritmo che utilizza una serie di simboli. LINEE GUIDA (www.guideline.org) Sono affermazioni esposte in modo ordinato destinate ad aiutare il medico nel decidere la terapia (o altro) appropriata in una data circostanza. Sono raccomandazioni, non obblighi, che nascono dall’incontro tra le revisioni sistematiche delle prove e la loro valutazione critica da parte di una commissione multidisciplinare. Ci sono vari livelli che ne indicano l’importanza. Il primo livello è quasi un obbligo. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 10 ESAME OBIETTIVO DEL TORACE Dimensioni: ‐ Diametro latero‐lateraleÆ 24‐26cm ‐ Diametro verticaleÆ 30‐33cm ‐ Diametro antero‐posterioreÆ 16‐19cm La misurazione della circonferenza toracica non si fa più. Punti di repere AnteriormenteÆ Angolo del LouisÆ È l’unione tra il manubrio e il corpo dello sterno. È dove arriva la seconda costa e appena sotto c’è il secondo spazio intercostale. PosteriormenteÆ C7 o vertebra prominente. Si può anche utilizzare come punti importanti l’angolo inferiore della scapola e la spina della scapola. Linee Anteriormente Individuiamo 5 linee verticali: ‐ Linea medio‐sternaleÆ Passa a metà dello sterno ‐ Linea margino‐sternaleÆ Passa nel margine laterale dello sterno ‐ Linea para‐sternaleÆ Passa a livello del terzo interno della clavicola ‐ Linea emiclaveare o mammillareÆ Passa a metà della clavicola ‐ Linea ascellare anterioreÆ Passa nella parte terminale laterale del torace. Individuiamo 2 linee orizzontali: ‐ Linea xifo‐sternaleÆ Passa a livello dell’apofisi xiforme dello sterno ‐ Linea angolo‐sternaleÆ Passa a livello dell’angolo del Louis. Lateralmente Individuiamo 3 linee verticali: ‐ Linea ascellare anteriore ‐ Linea ascellare media ‐ Linea ascellare inferiore. Posteriormente Individuiamo 2 linee verticali: ‐ Linea vertebraleÆ Passa attraverso i processi spinosi ‐ Linea angolo‐scapolareÆ Passa attraverso l’angolo superiore e inferiore della scapola. Individuiamo 3 linee orizzontali: ‐ Linea soprascapolareÆ Passa attraverso l’angolo superiore della scapola ‐ Linea della spinaÆ Passa attraverso la spina della scapola ‐ Linea dell’angolo inferiore della scapolaÆ Passa attraverso l’angolo inferiore della scapola. Regioni Anteriormente: • Regione sopraclaveareÆ Sopra alla linea che passa per le clavicole • Regione sottoclaveareÆ Tra la linea angolo‐sternale e quella che passa per le clavicole. • Regione mammaria (o precordiale quella sinistra)Æ Tra la linea angolo‐sternale e xifo‐sternale. Posteriormente: • Regione soprascapolareÆ Sopra la linea soprascapolare • Regione sopraspinosaÆ Tra la linea soprascapolare e la linea della spina • Regione sottospinosaÆ Tra la linea della spina e la linea dell’angolo inferiore della scapola. • Regione interscapolareÆ Tra le due scapole. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 11 APPARATO RESPIRATORIO SINTOMI I principali sintomi dell’apparato respiratorio sono: 1. Tosse 2. Escreato 3. Emoftoe 4. Dispnea 5. Fischi 6. Cianosi 7. Dolore toracico 8. Ippocratismo digitale TOSSE Atto respiratorio modificato che ha lo scopo di espellere corpi estranei o muco che vengono a trovarsi nelle vie respiratorie. È un atto riflesso che costa di tre fasi: ‐ Fase inspiratoria ‐ Fase di messa in tensione ‐ Fase espulsiva. Ci sono dei recettori per la tosse, sparsi un po’ ovunque: Mucosa laringea Polmone Pleura Zone innervate dal trigemino e dal glossofaringeo Orecchio Diaframma. Caratteristiche della tosse: • DurataÆ Si distingue in: o AcutaÆ < 4 settimane o SubacutaÆ > 4 settimane o CronicaÆ > 8 settimane • TimbroÆ È legato alle condizioni delle corde vocali e può essere: o Afona, fioca, velata o Bitonale (per lesione delle corde vocali). • Frequenza e ritmoÆ Può essere: o Giornaliera o Notturna o Continua. • Produttiva (o umida) o non produttiva (secca)Æ Nella produttiva si ha escreato che può essere: o Mucoso o Purulento o Ematico. La tosse può essere accompagnata da altri sintomi come febbre, dispnea, toracoalgia, disfonia, vomito. ESPETTORATO Materiale proveniente dalle vie respiratorie, emesso con i colpi di tosse, costituito dall’insieme di: ‐ Secrezioni tracheo‐bronchialiÆ Sono composte da: o Una parte più fluida, acquosa, prodotta dalle ghiandole sierose della sottomucosa o Una parte più densa, insolubile, intimamente commista a formare un vero e proprio gel, costituita soprattutto da muco, prodotto dalle cellule caliciformi mucipare e dalle ghiandole della tonaca mucosa. Il muco è costituito da varie glico‐proteine complesse, denominate “mucine” che possono essere distinte in fuco‐mucine, sialo‐mucine e solfo‐mucine. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 12 Nell’espettorato sono poi presenti sostanze proteiche di origine sierica (albumina, enzimi) o sintetizzate localmente (lattoferrina, callicreina, lisozima, IgA secretorie), alcune con spiccata attività antibatterica. Il muco ha una struttura a fitto reticolo, si stratifica sulla superficie dell’epitelio bronchiale fungendo da filtro per le particelle inalate con l’aria o trasudate dai vasi, che intrappolate nella sostanza vischiosa vengono veicolate nuovamente verso l’esterno dal movimento delle ciglia vibratili che rimuovono continuamente il muco prodotto, attuando così un ricambio costante. ‐ Cellule epiteliali desquamate ‐ Saliva e secrezione dei seni paranasali. Caratteristiche dell’espettorato: • QuantitàÆ Normalmente il volume delle secrezioni prodotte in 24h non supera i 100ml. In genere si considera abbondante un escreato superiore ai 200ml. Oltre i 300ml si parla di broncorrea. VomicaÆ Quando l’emissione di espettorato con un singolo accesso di tosse è tanto cospicua da apparire simile ad un episodio di vomito. • TipoÆ Può essere: o MucosoÆ Costituito quasi esclusivamente da muco, ha un aspetto vischioso, filante, bianco traslucido o perlaceo. È di comune riscontro nelle bronchiti acute e croniche, indice di flogosi con scarsa componente infettiva. Lo si riscontra anche nell’asma bronchiale e nella mucoviscidosi (particolarmente denso e viscoso). o SierosoÆ È caratteristico dell’edema polmonare. Ha un aspetto acquoso e aerato, schiumoso, di colorito rosato. Altre patologie polmonari caratterizzate da iper‐produzione di muco non‐denso, schiumoso ed incolore o biancastro sono il carcinoma bronchiolo‐ alveolare e l’adenomatosi polmonare. o PurulentoÆ È tipico dei processi suppurativi del parenchima polmonare, ma solitamente di raro riscontro puro senza commistione con espettorato sieroso o mucoso. Si osserva per lo più alla brusca apertura all’interno dei bronchi di una raccolta ascessuale polmonare, pleurica o sottodiaframmatica, con un rapido passaggio del pus verso trachea e laringe, per essere emesso con la tosse, senza che abbia tempo di mescolarsi con il muco. È caratteristica la stratificazione in tre strati: superiore (muco), medio (siero), inferiore (pus). o Emorragico o emoftoeÆ Si intende l’emissione di quantità variabili di sangue frammisto a muco, siero o pus con l’espettorazione che va nettamente distinta con le emorragie vere e proprie (emottisi). La presenza di sangue in forme diverse nell’espettorato è di riscontro assai frequente nella maggior parte delle bronco‐pneumopatie infettive, tubercolari e non, e nelle neoplasie maligne del polmone. o FibrinosoÆ Caratterizzato dall’emissione di vere e proprie masse di fibrina, che talvolta riproducono a stampo la forma dei bronchi. Si riscontra solo nella polmonite fibrinosa e non frequentemente. • Colore • Modalità di emissione • Odore. EMOFTOE L’emottisi è l’espulsione con la tosse di sangue originato dalle vie aeree inferiori. Si presenta rosso brillante e schiumoso. Può essere lieve (<100ml) o massiva (>100ml). EmatemesiÆ È diversa dell’emottisi. Non c’è tosse e il colore è più scuro perché il sangue è parzialmente digerito. È inoltre più abbondante. Può contenere particelle di cibo. È dovuto ad una patologia intestinale alta. ANAMNESI Ci sono delle domande da porre per analizzare una tosse: ‐ Come descriverebbe la sua tosse? ‐ Da quanto tempo la tosse è presente? Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 13 ‐ Ha iniziato improvvisamente? ‐ Fuma? Da quanto tempo? Quanto? ‐ La tosse è sempre uguale? ‐ Con la tosse ha sputo? Di che colore? Quanto? Ha un cattivo odore? ‐ La tosse dura da parecchio tempo? ‐ Compare dopo i pasti? ‐ Peggiora variando posizioni? ‐ Cosa la fa passare? ‐ Sintomi associati? ‐ Ha animali in casa? Contatti con TBC? DISPNEA È detta anche respiro corto. Si può definire come qualsiasi alterazione del respiro. Si ha dispnea anche quando il respiro diventa cosciente, volontario, penoso. CIANOSI Colorazione bluastra dei tessuti e delle mucose, legata all’aumento dell’emoglobina ridotta, cioè povera di ossigeno. Questo segno non è sempre presente. IPPOCRATISMO DIGITALE Le dita presentano ingrossamento dell’ultima falange. ESAME OBIETTIVO ISPEZIONE Si valuta: • Forma • Simmetria • DeformitàÆ Ci possono essere malformazioni della componente: o OsseaÆ In particolare: Colonna vertebraleÆ I principali disturbi sono: • Scoliosi • CifosiÆ È fisiologica nell’invecchiamento • Lordosi. SternoÆ Le principali malformazioni sono: • Pectus excavatum • Pectus carinatum • Pectus arcuatum • Sindrome di PolandÆ Ipoplasia unilaterale della parete toracica e malformazione della mano dello stesso lato. • Sindrome di JeuneÆ Distrofia toracica asfissiante, difetto congenito di sviluppo della gabbia toracica. • Distrofia toracica restrittiva acquisita CostoleÆ Ci possono essere: • Fratture saldate male • Interventi chirurgici. ScapolaÆ Scapola alata. o MuscolareÆ Come nel torace a botte o Ghiandola mammariaÆ Ci può essere una ginecomastia, come nella sindrome di Kleinefelter. • Tipo di respiroÆ I tipi di respiro sono: o CostaleÆ Addome immobile, si muovono le coste o Costale inferioreÆ Addome tende a dilatarsi mentre le coste non si muovono. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 14 Esistono poi respiri patologici come: • Cheyne‐Stokes • Kussmaul • Biot • Atassico. • Rientramenti costali • Cute e sottocuteÆ Si valutano la presenza di : o Lesioni cutanee o Esiti di ginecomastia o Circoli collaterali. PALPAZIONE La misurazione della circonferenza non si fa più. Si valuta invece: ¾ Frequenza del respiroÆ Si valuta per un minuto quanti atti respiratori il paziente compie appoggiando una mano aperta sul torace. ¾ Simmetria durante il respiroÆ Si valuta da dietro o da davanti con entrambe le mani affiancate. Con i pollici si solleva una plica cutanea, si chiede al paziente di inspirare. La plica dovrebbe scomparire. Si può fare anche a livello della porzione superiore del torace, sia a livello della porzione inferiore. Si valuta quindi se il torace si espande uniformemente. ¾ Fremito vocale tattile (FVT)Æ Si appoggia il palmo della mano e si percepisce la vibrazione che si crea quando il paziente dice “trentatré”. È determinata dalla vibrazione delle corde vocali che viene trasmessa alla parete toracica attraverso la colonna d’aria accolta nella trachea e nei grossi bronchi. o Formazione dell’onda sonoraÆ È data dalle corde vocali. Devono perciò essere integre. o Trasmissione alla periferiaÆ Si propaga per la via bronchiale. I bronchi devono perciò essere pervi e ci deve essere un normale contenuto aereo (più aria c’è, più il FVT si riduce). Anche il contenuto della cavità pleurica deve essere normale (se aumenta, il FVT diminuisce). o Rilievo alla periferia dell’ondaÆ Può essere ridotta dall’inspessimento della parete toracica per presenza di adipe. TecnicaÆ Si usa una sola mano appoggiando il palmo e non le dita. Bisogna comparare le aree destra e sinistra. Si parte dall’alto e ci si sposta verso il basso e poi dalla parte opposta. Si può ricercare anche con il lato ulnare della mano, che consente di delimitare una zona più ristretta dove il FVT è alterato. ¾ Ricerca di punti dolorosi: o Punti di ValleixÆ Sono i forami d’uscita dei rami perforanti dei nervi intercostali. Si palpano quindi gli spazi intercostali a livello della linea margino‐sternale, ascellare media, paravertebrale. o Punti freniciÆ Si preme: Tra i capi dello sternocleidomastoideo Nel 2 e 3 spazio intercostale sulla linea margino‐sternale Posteriormente, tra la VI° e XII° costa sulla linea paravertebrale. PERCUSSIONE Si distingue in: ‐ TopograficaÆ Serve a delimitare il polmone (basi ed apici) ‐ ComparativaÆ Serve a controllare la simmetria. La percussione può essere: ‐ DirettaÆ Si percuote il torace direttamente ‐ IndirettaÆ SI utilizza il dito medio come plessimetro e l’altro dito medio come plessore. Si deve appoggiare solo il dito medio (non il palmo e le altre dita) e il movimento di percussione coinvolge il polso. Si percuote tra la falange media e distale, appena sotto all’unghia quindi. Il dito utilizzato Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 15 come plessimetro deve essere posto parallelamente al margine che si vuole delimitare. Naturalmente deve essere posto negli spazi intercostali. I suoni possono essere: ‐ Suono chiaro polmonareÆ Normale ‐ IperfoneticoÆ Quando il tessuto è più aerato ‐ OttusoÆ Quando c’è tessuto non aerato. Le caratteristiche del suono sono definite da: • FrequenzaÆ Numero di cicli al secondo. Può essere: o AumentataÆ Suono ottuso o Normale o DiminuitaÆ Suono iperfonetico/ iperchiaro. • AmpiezzaÆ Grandezza dell’onda. Dipende da: o Forza della percussioneÆ Se troppo forte si mette in vibrazione una porzione troppo ampia di parenchima e si perde sensibilità. o Spessore della parete. • QualitàÆ Forma dell’onda. In cavità piene d’aria, con le pareti lisce e poco tese (tipico dello stomaco) si ha un suono con un timbro diverso, detto suono timpanico. Per la comparativa bisogna percuotere prima a destra e poi a sinistra, spostandosi in basso prima di ritornare dalla parte opposta. Per individuare gli apici si percuote, posteriormente, iniziando vicino a collo e allontanandosi verso la spalla. Per individuare le basi si procede verso il basso negli spazi intercostali. Si percuote lungo tutte le linee. Dopo aver individuato la base, si può valutare l’escursione del polmone (bisogna indicare nella cartella i cm di escursione). Dopo aver individuato la base mentre il paziente respira tranquillamente, si scende di qualche centimetro e si fa pare un inspirio profondo trattenendo il respiro al paziente e si nota che quel punto, prima ottuso si schiarisce. Quando poi espiro gli si dice di non respirare per individuare il punto massimo più alto che raggiunge la base. AUSCULTAZIONE Obiettivi: ‐ Riconoscere i rumori fisiologici e le variazioni ‐ Riconoscere i rumori “aggiunti”. Si utilizza il fonendoscopio con il diaframma. Si può però utilizzare anche la campana. Si può effettuare l’ascoltazione a distanza e diretta (orecchio direttamente sul torace) ma non si usa più. Si ascolta sia a destra che a sinistra, alternando e scendendo verso il basso. Sia nella parete anteriore, posteriore che laterale. Se c’è un dubbio con i rumori cardiaci, si fa trattenere il respiro al paziente e se il rumore scompare è polmonare. Regole da non dimenticare: ‐ Bisogna ascoltare sia la fase inspiratoria che espiratoria ‐ Bisogna ascoltare simmetricamente ‐ Il paziente deve respirare a bocca aperta ‐ Bisogna ascoltare anche dopo colpi di tosse e mentre il paziente parla ‐ Se ci sono dei peli che interferiscono bisogna bagnarli. Si ascoltano: • Rumori fisiologici: o Tracheale o Bronchiale o Bronco‐vescicolare o Murmure vescicolare. • Rumori aggiuntiÆ Possono essere: o Discontinui o Continui o Sfregamenti. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 16 • Ascolto della voce. Rumori fisiologici Origine dei rumori fisiologiciÆ I rumori fisiologici originano dal passaggio del flusso d’aria da laminare a turbolento. Viene poi trasmesso in periferia tramite la parete dei bronchioli. In periferia si percepisce il murmure vescicolare che non è generato in periferia ma è un rumore trasmesso. Il polmone funziona da filtro che attenua il rumore creato dalla trachea. ‐ Rumore trachealeÆ Lo si apprezza sia in fase inspiratoria che in fase espiratoria. Tra le due fasi che una pausa molto breve. Lo si percepisce a livello della trachea, ha un’alta frequenza e sembra una “U”. ‐ Rumore bronchialeÆ Lo si apprezza in entrambe le fasi della ventilazione con una pausa. Lo si percepisce tra il manubrio e il corpo dello sterno. Ha un’alta frequenza ed assomiglia al rumore tracheale. ‐ Rumore bronco‐vescicolareÆ Lo si apprezza sia in fase inspiratoria che in fase espiratoria. Tra le due fasi che una pausa molto più breve delle precedenti. Lo si percepisce anteriormente a livello dei margini dello sterno, posteriormente nella zona intrascapolare. È un suono meno intenso dei precedenti ‐ Murmure vescicolareÆ È quasi esclusivamente inspiratorio. Percepibile anche nella primissima fase dell’espirio senza pausa. Si percepisce alla periferia del polmone. È molto più lieve dei precedenti. Rumori patologici Includono: • Assenza di rumore • Rumore fisiologico percepito in altre zoneÆ Per esempio i soffi. I soffi sono i rumori fisiologici che si ascoltano appoggiando il fonendoscopio sulla trachea spostato in periferia. È causato dal fatto che il parenchima polmonare è addensato (non c’è più aria) ma il bronco è pervio. Il polmone non svolge la sua funzione di filtro formando il classico murmure vescicolare e quindi si percepisce il rumore tracheale in periferia. Vengono classificati in 4 tipi: o TubaricoÆ Sia inspiratorio che espiratorio, intenso, suono a “U”, segno di addensamento del parenchima. o CavitarioÆ Solo inspiratorio, intenso, causato da una cavità. o PleuricoÆ Solo espiratorio, dolce, suono ad “E”, causato da un versamento. o AnforicoÆ Solo espiratorio, dolce, poco intenso, tonalità metallica, causato da aria nella cavità pleurica. • Rumori “aggiunti”Æ Si dividono in: o PolmonariÆ Secondo la classificazione del 1976 del “International Lung Sound Association” i rumori aggiunti polmonari sono: Rantoli grossolaniÆ Sono rumori discontinui con una durata di circa 10msec. In genere, sono causati dal passaggio di aria attraverso le secrezioni che contengono delle bolle che si rompono. Con i colpi di tosse si modificano le secrezioni e i rumori dovrebbero modificarsi. Rantoli fini o crepitiiÆ Sono rumori discontinui con una durata di circa 5msec. Sono legati ad una vibrazione della parete delle vie aeree che si aprono improvvisamente. Sono rumori che quindi non si modificano con i colpi di tosse. Fischi ad alta frequenza o sibiliÆ Sono rumori continui che durano da 80msec a 250msec con una frequenza dominante di 400Hz. Fischi a bassa frequenza o ronchiÆ Sono rumori continui che durano da 80msec a 150msec con una frequenza dominante di 200Hz. I fischi in generale, che si dividono in bassa ed alta frequenza, si possono ottenere fisiologicamente con un’espirazione forzata al massimo poiché si mettono in oscillazione le pareti bronchiali. Sono infatti dovuti ad una riduzione del calibro delle vie aeree. Sono determinati da: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 17 • Velocità del flusso • Grado di stenosi. Se la velocità del flusso è elevato e la stenosi è severa si avranno dei fischi ad alta frequenza o sibili, se invece il flusso è lento e la stenosi non è grave i fischi hanno passa frequenza. StridorÆ È il classico rumore che si sente nella fase inspiratoria quando c’è un corpo estraneo nella trachea che causa un’ostruzione. o PleuriciÆ Detti sfregamenti. Sono continui, a bassa tonalità e lunga durata. Sono sia inspiratori che espiratori e si percepiscono meglio a livello delle basi polmonari perché in quelle zone c’è più movimento pleurico. Sono rumori che non si modificano con i colpi di tosse. Suono della voce Alcune Anormalità sono: ‐ BroncofoniaÆ La risonanza della voce aumenta e le parole risultano indistinte. ‐ EgofoniaÆ Si fa ripetere la lettera “E” allungata mentre ascolto. Se si modifica in “A” ho un’egofonia. ‐ PettoriloquiaÆ Quando le parole si sentono molto poco in periferia con il fonendoscopio. SINDROMI CLINICHE PNEUMOTORACE ‐ IspezioneÆ Espansione emitorace ‐ PalpazioneÆ Asimmetria, FVT assente ‐ PercussioneÆ Iperfonesi ‐ AscoltazioneÆ MV assenti, soffio anforico. VERSAMENTO PLEURICO ‐ IspezioneÆ Decubito sul lato malato, espansione dell’emitorace, asimmetria statica ‐ PalpazioneÆAsimmetria dinamica, FVT assente ‐ PercussioneÆ Ottusità ‐ AscoltazioneÆ MV assente, soffio pleurico. ENFISEMA ‐ IspezioneÆ Aumento del torace (a botte) ‐ PalpazioneÆ FVT ridotto ovunque ‐ PercussioneÆ Iperfonesi diffusa ‐ AscoltazioneÆ MV ridotto ovunque. ASMA BRONCHIALE ‐ IspezioneÆ Aumento del torace ‐ PalpazioneÆ FVT ridotto ovunque ‐ PercussioneÆ Iperfonesi diffusa ‐ AscoltazioneÆ MV ridotto ovunque, rumori continui. ADDENSAMENTO ‐ IspezioneÆ Decubito sul lato sano, asimmetria statica ‐ PalpazioneÆ Asimmetria dinamica, FVT aumentato ‐ PercussioneÆ Ottusità limitata ‐ AscoltazioneÆ Soffio tubarico, rumori discontinui. FIBROSI Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 18 ‐ PalpazioneÆ FVT normale ‐ PercussioneÆ Normale ‐ AscoltazioneÆ Rumori discontinui. CAVERNA SUPERFICIALE ‐ PalpazioneÆ FVT ridotto a livello della caverna ‐ PercussioneÆ Iperfonesi a livello della caverna ‐ AscoltazioneÆ Soffio cavitario. ATELECTASIA ‐ IspezioneÆ Asimmetria statica ‐ PalpazioneÆ Asimmetria dinamica, FVT assente ‐ PercussioneÆ Ottusità limitata ‐ AscoltazioneÆ MV assente. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 19 ESAME OBIETTIVO DEL CUORE L’esame obiettivo del cuore comprende anche: ‐ Frequenza polso radialeÆ È anche utile per altre manovre successive. ‐ Misurazione della pressione arteriosa ‐ Valutazione della pressione centrale con la carotide. ISPEZIONE Si ricerca la presenza di bozze precordiali che però è rara. Si può trovare in bambini con cardiopatie congenite che presentano un cuore grande che crea una bozza a livello delle coste. Si può invece osservare spesso l’itto della punta o punto di massimo impulso (PMI). Si individuo comunque con la palpazione. PALPAZIONE Bisogna individuare l’itto della punta. Si deve valutare: ‐ SedeÆ Si trova a livello del 5° spazio intercostale 1cm all’interno dell’emiclaveare e 7‐9cm dalla mediosternale. Una posizione spostata indica un ingrossamento del miocardio. Si può trovare al di là dell’emiclaveare in quei casi. ‐ Quanto dura ‐ IntensitàÆ Può essere aumentato. Il paziente deve essere supino e si ricerca con l’indice e con il medio. Bisogna inoltre prendere il polso periferico e dovrebbe coincidere. Si ricerca poi in decubito laterale sinistro. È importante soprattutto per i pazienti in cui non si sente in posizione supina. Con la palpazione si possono valutare anche la presenza di fregamenti, appoggiando il palmo della mano. È comunque molto raro. PERCUSSIONE Sta cadendo in disuso per la presenza dell’ecocardio che fornisce un’immagine nitida del cuore. Si può valutare l’area di ottusità relativa (relativa perché il cuore è in parte ricoperto dal polmone) e l’area di ottusità assoluta (porzione non ricoperta dal polmone). La delimitazione della porzione sinistra non si faÆ Bisognerebbe comunque farla a raggiera. La delimitazione della porzione destra può invece avere la sua utilitàÆ Il cuore si ferma a livello dello sterno e quindi non si dovrebbe sentire ottusità a destra dello sterno. Si valuta l’angolo epato‐cardiaco che è l’angolo di 90° formato dalla linea che delimita il polmone destro dal fegato (valutata con il dito orizzontalmente) e la linea tra il polmone destro e lo sterno (valutata con il dito verticalmente). L’angolo dovrebbe avere un suono chiaro. Se è ottuso è probabile che il cuore sia ingrossato e che si sia intromesso. In questo caso l’angolo sarà ottuso e non più retto. ASCOLTAZIONE Il paziente deve essere supino, meglio se inclinato di 30°. Come sempre ci si pone alla destra del paziente. La aree da auscultare sono 5: • AorticaÆ II° spazio intercostale destro sulla linea margino‐sternale • PolmonareÆ II° spazio intercostale sinistro sulla linea margino‐sternale • TricuspideÆ V° spazio intercostale sinistro sulla margino sternale • MitraleÆ V° spazio intercostale sinistro sulla emiclaveare (a livello dell’itto della punta) • Seconda aorticaÆ IV° spazio intercostale sinistro sulla margino‐sternale. Sono aree di proiezione delle valvole e sono quindi diverse dalle aree anatomiche che corrispondono alle valvole. Sono aree e quindi sono abbastanza grandi e si può ricercare il punto in cui si sente meglio. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 20 Si può iniziare da dove si vuole, non c’è una regola precisa. Alcuni preferiscono iniziare dalla base del cuore e quindi proseguire verso il basso, altri iniziano dall’itto e proseguono verso l’alto. La cosa importante è non saltare da una parte all’altra ma proseguire con ordine. Con l’ascoltazione si percepiscono: ¾ Rumori di chiusura valvolare (S1 e S2)Æ Si deve: o Identificare S1 e S2 o Caratterizzare S1 e S2 o Identificare la sistole e la diastoleÆ Si effettua grazie al polso periferico. La sistole è tra S1 ed S2, mentre la diastole tra S2 ed S1. Si solito la sistole è più breve della diastole. Sono suoni di chiusura valvolare, in particolare: o S1Æ Corrisponde alla chiusura della valvola mitralica e tricuspide. Corrisponde inoltre anche all’inizio della contrazione del ventricolo sinistro, all’eiezione nei grossi vasi e all’accelerazione del sangue. o S2Æ Corrisponde alla chiusura delle valvole aortica e polmonare. In realtà la chiusura delle due valvole non è perfettamente sincrona. Essendo la pausa molto breve si sente però un tono unico. Fisiologicamente si sente lo sdoppiamento del secondo tono nella fase inspiratoria (facendo un profondo inspirio e trattenendo). Nella fase espiratoria lo sdoppiamento scompare. Quando invece avviene il contrario si parla di paradosso. Viene invece detto fisso quando lo sdoppiamento è presente sia in fase inspiratoria che in fase espiratoria. ¾ Toni aggiuntiÆ Sono toni a bassa frequenza di difficile ascoltazione e possono essere molto vicini: o S3Æ È fisiologico nei pazienti giovani (18‐25 anni). È definito proto diastolico perché è presente all’inizio della diastole. È legato alla fase di riempimento rapido dei ventricoli. o S4Æ Compare poco prima del primo tono e rappresenta la sistole atriale. Quando compare segnala la presenza di qualcosa di patologico. L’ascoltazione di un cuore con i toni aggiunti da una sensazione di galoppo. ¾ ClicksÆ Sono toni sistolici. Sono di 4 tipi: o AorticoÆ È vicino al primo tono e si sente meglio nell’area mitrale o PolmonareÆ È vicino al primo tono e si sente meglio nell’area polmonare. Si percepisce meglio nell’espirazione. o TricuspidaleÆ È più vicino al secondo tono e si sente meglio nell’area tricuspide. Si percepisce meglio nell’inspirazione e quando il paziente è in piedi. o MitraleÆ È circa a metà tra i due toni, un po’ più vicino al secondo. Si sente meglio nell’area mitralica, in inspirazione e con il paziente in piedi. ¾ Schiocco d’aperturaÆ Sono toni diastolici (tra S2 e S3) dovuti all’apertura delle valvole: o MitralicaÆ Si sente quando la mitralica è stenotica e quindi essendo più consistente fa rumore quando si apre. Si sente meglio in espirio e con il paziente in decubito laterale sinistro o sotto sforzo. o TricuspideÆ Si senta quando la tricuspide è stenotica. Si sente meglio in inspirio e a paziente seduto. ¾ SoffiÆ Compaiono quanto il flusso da laminare (in cui non si sente nulla) diventa turbolento. Bisogna indicare: o SedeÆ Bisogna indicare l’area in cui si percepisce. o Tempo di comparsaÆ Possono comparire in sistole o in diastole. Per percepirlo bisogna avere il polso periferico. Si possono quindi classificare in: OloÆ Quando occupa quasi tutta la fase ProtoÆ Quando occupa la prima parte della fase MesoÆ Quando occupa la porzione intermedia della fase TeleÆ Quando occupa la porzione finale della faseÆ Si può indicare anche come Pre seguito dalla fase successiva. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 21 Nelle patologie con pervietà del dotto di Botallo ci possono essere dei soffi che si sovrappongono a S2 e che quindi occupano entrambi le fasiÆ Vengono detti sisto‐ diastolico (o continuo ma meglio non utilizzare questo termine per non fare confusione). o TipoÆ Il soffio può essere: Continuo Crescendo Calando Crescendo‐calando Calando‐crescendo. o TimbroÆ Può essere ad alta o bassa frequenza. o IntensitàÆ Si usa una scala in sesti. 1/6Æ Molto debole e non sempre percepibile in tutte le posizioni 2/6Æ Debole ma non difficile da sentire 3/6Æ Moderatamente forte 4/6Æ Forte più o meno come un thrill 5/6Æ Molto più forte di un thrill 6/6Æ Percepibile anche senza fonendoscopio. o IrradiazioneÆ Possono irradiarsi lungo il percorso del sangue. La mitrale può arrivare fino all’ascella. o Modificazione con i vari decubitiÆ I tre classici decubiti sono supino, seduto (inclinato in avanti) e laterale sinistro. Si ha quindi: ‐ Stenosi mitralicaÆ È un soffio olo‐diastolico calando‐crescendo. C’è una piccola pausa tra S2 e l’inizio del soffio. I vecchi testi lo chiamano anche “rullio”. Si sente meglio nel decubito supino e si accentua con lo sforzo. Quello della stenosi della tricuspide è uguale. ‐ Insufficienza mitralicaÆ È un soffio olo‐sistolico continuo dovuto al fatto che durante la sistole il sangue passa attraverso la valvola. Si sente bene in decubito supino e si accentua con lo sforzo. Quello della insufficienza della tricuspide è uguale. ‐ Stenosi aorticaÆ È un soffio olo‐sistolico crescendo‐calando con una piccola pausa dopo S1. Si sente meglio in espirazione e con il paziente seduto. ‐ Insufficienza aorticaÆ È un soffio proto‐ e meso‐diastolico calando. Si sente meglio in espirazione e con paziente seduto. ‐ Dotto di BotalloÆ È crescendo‐calando e nelle fasi modeste si sovrappone a S2. ¾ Sfregamenti pericardiciÆ Sono dovuti ai foglietti pericardici. Sono superficiali, raspanti. Sono variabili: o Da un ciclo all’altro o Con compressione esercitata dal fonendoscopio o Con la posizione del paziente o Con il passare dei giorni. Non si irradiano e non sono rigorosamente o solo in sistole o solo in diastole. GRAFICAZIONE ‐ Se S1 o S2 sono aumentati si aggiunge una + sopra alla barra ‐ Se S1 o S2 sono diminuiti si aggiunge un – sopra alla barra ‐ Se S2 è sdoppiato si aggiunge una seconda barretta ‐ Se c’è un soffio si aggiunge con le caratteristiche con cui si presenta ‐ Toni aggiuntiÆ Si aggiungono barrette nelle posizioni in cui si sentono ‐ ClicksÆ Si aggiungono come barrette nelle varie posizioni. BOTTOSSO STEFANO Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 1 Polso dicrotoÆCondizione frequente negli ammalati infettivi acuti, negli anemici e nella ipotensione arteriosa: l’ipotonia delle pareti arteriose rende infatti più facile la diffusione centrifuga di questa onda di rimbalzo. SEGNI VITALI I segni vitali sono: ‐ Polso arterioso ‐ Pressione arteriosa ‐ Respiro ‐ Febbre POLSO ARTERIOSO È un esame a basso costo ma a grande resa perché mi da molte informazioni sul sistema circolatorio. È il primo approccio con il malato dopo l’anamnesi. DefinizioneÆ Variazione pressoria corrispondente all’onda sfigmica generata dalla sistole cardiaca, trasmessa nel sistema vascolare e percepibile sui vasi periferici sotto forma di “pulsazione”. L’onda sfigmica presenta una porzione ascendente detta “anacrota”, un plateau e una porzione discendente della “catacrota”. Nel mezzo della porzione discendente c’è l’incisura dicrota con una piccola onda dicrota che non viene percepita. Rappresenta la chiusura delle valvole semilunari. La sistole corrisponde al piede dell’onda (primo tono), mentre la diastole corrisponde all’incisura e all’onda dicrota (secondo tono). Il punto di acme dell’onda rappresenta la pressione arteriosa sistolica, mentre il piede dell’onda la pressione diastolica. La differenza rappresenta la pressione differenziale. Vi sarà pertanto un ritardo fra battito cardiaco centrale che coincide con la contrazione ventricolare e battito del polso dovuto al tempo impiegato dall’onda sfigmica per raggiungere l’arteria esplorata. Le caratteristiche del polso dipendono da: ‐ Gittata cardiaca ‐ Pressione sistolica ‐ Pressione diastolica ‐ Elasticità dell’aorta e delle grandi arterie ‐ Resistenze periferiche ‐ Volume ematico ‐ Viscosità ematica. Le sedi in cui si può percepire il polso arterioso sono: o Radiale o CarotideoÆ Si trova anteriormente al muscolo sternocleidomastoideo e sotto all’angolo mandibolare. o BrachialeÆ Medialmente a livello del gomito. o Femorale o Popliteo o Dorsale del piede o Tibiale posterioreÆ Sotto al malleolo. o TemporaleÆ È patologico e indica l’arterite temporale di Horton. Mi da informazioni su: ‐ Energia contrattile del miocardio ‐ Gittata cardiaca ‐ Frequenza ‐ Volemia ‐ Pervietà delle arterie ‐ Stato anatomico dei vasi. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 2 Tecnica di palpazione del polso radialeÆ L’analisi del polso arterioso si compie palpando con i polpastrelli del 2°, 3° e 4° dito della mano destra l’arteria radiale sinistra e con la mano sinistra l’arteria radiale destra al di sopra dell’apofisi stiloide del radio. CARATTERISTICHE DEL POLSO: FREQUENZA Si stabilisce contando il numero delle pulsazioni in un minuto primo. Bisogna ricordare che: ‐ Nell’adultoÆ Si aggira tra le 60 e 80 pulsazioni/min con valori di 5‐10 battiti superiori nella donna rispetto all’uomo e nei soggetti longilinei rispetto ai brevilinei. ‐ Nel lattanteÆ 130‐140/min ‐ Nel bambinoÆ 90‐100/min Il rilievo della frequenza deve tener conto delle seguenti varianti: o Emozioni o Esercizio fisico o Posizione eretta o Pasti (incrementi di 10‐20 b/min) o Sonno. Si definisce: ‐ TachisfigmiaÆ Frequenza maggiore di 80 pulsazione al minutoÆ Le principali cause possono essere: o Febbre (aumenta di 10 battiti ogni grado) o Ipertiroidismo o Embolia polmonare o Miocarditi, pericarditi, insufficienza cardiaca o Tachicardia parossisticaÆ La frequenza raggiunge i 150 battiti/min. In questo caso il rilievo del polso è patognomonico. I segni di conferma sono l’esordio improvviso e la brusca cessazione della tachicardia. ‐ BradisfigmiaÆ Frequenza minore di 60 pulsazioni al minuto. Le possibili cause sono: o Stimolazione del vago: In via meccanicaÆ Per esempio nella sindrome di ipertensione endocranica In via riflessaÆ Per esempio nella stimolazione del seno carotideo In via umoraleÆ Per esempio nell’ittero occlusivo e nell’avvelenamento da digitale. o Shock o Disturbi di conduzione seno‐atriale e atrio‐ventricolare. Comunque bradicardia e bradisfigmia non sono sinonimi. Quando le pulsazioni non vengono tutte trasmesse alla periferia il numero dei battiti è normale a livello del cuore mentre è ridotto a livello del polso (viene detto deficit di polso). Una bradisfigmia per deficit di polso si ha nel bigeminismo extrasistolico quando le extrasistoli sono così deboli da non terminare una efficiente contrazione ventricolare. RITMO Il polso si definisce ritmico quando gli intervalli fra le singole pulsazioni sono costantemente della stessa durata. Talvolta il polso può apparire ritmico anche in condizioni di aritmia cardiaca, ad esempio nel flutter atriale a conduzione regolare o nella dissociazione atrio‐ventricolare completa. Fra le più comuni aritmie del ritmo del polso va ricordata l’aritmia respiratoria che si manifesta con lieve incremento della frequenza durante l’inspirazione ed una lieve diminuzione di frequenza durante l’espirazione. Questa aritmia scompare in apnea ed è benigno. È più frequente nei bambini rispetto agli adulti. Le alterazioni elementari del ritmo cardiaco percepibili al polso sono: • IntermittenzaÆ È una pausa inaspettata nel corso di una normale successione di battiti che equivale per lo più al doppio di un normale ciclo cardiaco. Può essere dovuta a: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 3 o Momentaneo arresto del battito ventricolareÆ Per esempio nel blocco seno‐atriale, nel blocco atrioventricolare tipo Luciani‐Wenckeback, nel blocco una‐tantum di un impulso a livello sinusale o atri‐ventricolare. o ExtrasistoleÆ Non riesce a forzare le valvole semilunari aortiche e pertanto si esaurisce a livello del cuore senza dare un apprezzabile effetto alla periferia. Solo la contemporanea ascoltazione cardiaca potrà documentare una simile evenienza. • Battito prematuroÆ Pulsazione anticipata sulla normale sequenza dei battiti che indica l’insorgenza di una extrasistole. È percepito al polso in un lieve ritardo rispetto ai corrispondenti fenomeni acustici cardiaci ed è seguito, salvo rare eccezioni (per esempio nell’extrasistole interpolata), da un intervallo diastolico maggiore rispetto a quello che separa i battiti normali. Polso alloritmicoÆ Polso caratterizzato da una particolare cadenza nella successione delle irregolarità dei battiti: o Polso bigeminoÆ Battito prematuro per ogni sistole normale o Polso trigeminoÆ Battito prematuro ogni due battiti normali o Polso quadrigeminoÆ Battito prematuro ogni tra battiti normali. Una accurata valutazione comparativa del polso e del battito cardiaco centrale consente la diagnosi. • Aritmia totaleÆ Il polso è caratterizzato da una successione di battiti assolutamente irregolare, il più delle volte a frequenza elevata (tachiaritmia), altre volte a bassa frequenza (bradiaritmia). L’irregolarità non si limita alla successione dei battiti ma comprende una evidente disuguaglianza. È generalmente dovuta a fibrillazione atriale o a extrasistolia multifocale. UGUAGLIANZA Quando tutte le pulsazioni hanno la stessa ampiezza il polso si dice uguale. Il termine disuguale definisce invece una condizione nella quale si rilevano pulsazioni di diversa ampiezza. Un tipico polso disuguale è il così detto polso alternante caratterizzato da battiti ritmici, alternativamente più ampi e meno ampi. Non sempre l’alternanza meccanica del battito cardiaco emerge come alternanza del polso. Quasi sempre però è possibile accertarla nel corso della misurazione della pressione con metodo ascoltatorio. Se la pressione sistolica varia entro un intervallo superiore a 20mmHg il polso alternante può essere apprezzato anche mediante palpazione di un polso periferico. Il polso alternante è un reperto non molto frequente ma molto significativo: dichiara una grave alterazione dell’energia contrattile del miocardio quale si può osservare nell’infarto del miocardio, nelle miocarditi, nella cardiopatia ipertensiva. L’alternanza si potrebbe spiegare invocando la legge di Maestrini‐Starling: il battito più forte sarebbe dovuto al maggiore carico diastolico che consegue alla precedente sistole insufficiente. Il polso alternante deve essere distinto dal polso bigemino (extrasistolico). In quest’ultimo l’intervallo fra la pulsazione più forte e quella più debole (extrasistolica) è sempre costantemente più breve di quella seguente (detta pausa compensatoria). È chiaro che una disuguaglianza si può avere sia nei battiti prematuri sia dopo una intermittenza come in tutte le aritmie cardiache. Polso paradosso di Kussmaul (detto anche Pulsus Inspiratione Intermittens)Æ Polso disuguale caratterizzato da cicliche variazioni di ampiezza in rapporto con gli atti del respiro. In particolare consiste nella caduta della pressione sistolica durante l’inspirazione. Poiché soggetti normali possono avere nella inspirazione una diminuzione della pressione sistolica di 5‐10mmHg, per definizione il polso è paradosso quando la caduta è di 20‐40mmHg. MeccanismoÆ Durante l’inspirazione aumenta il ritorno venoso al cuore destro sia nel soggetto normale, sia nei soggetti con tamponamento cardiaco. Durante l’inspirazione, inoltre, aumenta la capacità delle vene polmonari, con sequestro vascolare polmonare (“pooling”) di sangue. Il risultato netto di questi due effetti è una riduzione del ritorno di sangue al cuore sinistro, con relativa diminuzione della gittata sinistra e caduta della pressione arteriosa sistolica. Le principali manifestazioni del polso paradosso sono quindi dovute a manifestazioni del cuore destro. Gli effetti di queste modificazioni, tuttavia, vengono ritardati Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 4 durante il passaggio attraverso i vasi polmonari che si dilatano e l’ampiezza del volume della gittata sinistra ritarda di uno‐due battiti rispetto a quella della gittata ventricolare destra. Le possibili cause di polso paradosso sono: ‐ Asma bronchiale ‐ Enfisema polmonare grave ‐ Versamento pericardico. AMPIEZZA Per ampiezza del polso si intende il maggiore o minore grado di espansione dell’arteria sotto l’onda di pressione. L’ampiezza del polso normale dipende da: ‐ Contrazione ventricolare ‐ Massa sanguigna circolante ‐ Elasticità e tono della parete arteriosa. Polso ampio (pulsus magnus)Æ Si realizza: • Nell’ipertrofia ventricolare sinistra in perfetto compenso (insufficienza aortica, ipertensione arteriosa) • Nella bradicardia come conseguenza di un più completo riempimento ventricolare per l’allungamento della diastole (polso solenne del blocco atrio‐ventricolare è dovuto alla particolare ampiezza associata alla bradicardia). • Nelle pletore in conseguenza dell’ipervolemia • Negli sforzi fisici o durante le emozioni. Polso piccolo (pulsus parvus)Æ Si indica come una riduzione di ampiezza dell’onda sfigmica che può essere espressione di: • Deficienze della gittata sistolicaÆ Caso delle tachicardie parossistiche della stenosi mitralica e delle pericarditi • Debole contrazione miocardica in corso di miocardite e infarti cardiaci • IpovolemiaÆ Caso delle emorragie acute e dello shock (il polso può diventare assai piccolo e filiforme). TENSIONE È in rapporto con la pressione che è presente all’interno del vaso arterioso che si palpa. Si valuta con il polpastrello del dito anulare una compressione sull’arteria radiale e si accerta con l’indice e il medio quando l’onda sfigmica scompare: maggiore sarà la compressione necessaria a che l’onda sfigmica scompaia, maggiore sarà la pressione arteriosa sempre che sia normalmente conservata la struttura elastica della parete (in questa valutazione interferiscono anche l’elasticità della parete arteriosa ed il suo tono). • Polso tesoÆ Indice di ipertensione arteriosaÆ Nelle ipertensioni arteriose maligne il polso arterioso piccolo e teso darà la sensazione palpatoria di un filo di ferro (polso a filo di fero). • Polso molleÆ Indice di ipotensione arteriosaÆ Frequentemente è dicroto. L’ampiezza e la tensione del polso opportunamente integrate sono i criteri più importanti per giudicare dal polso la validità della efficienza della contrazione cardiaca. ¾ Polso piccolo e molleÆ Esprime una grave compromissione della efficienza contrattile del miocardio o comunque della portata circolatoria; nei casi più gravi assumerà le caratteristiche del polso filiforme. ¾ Polso piccolo e tesoÆ Si osserva nelle gravi ipertensioni arteriose ed indica una scarsa possibilità di espandersi della parete arteriosa sotto l’onda di pressione. CONSISTENZA Esprime le condizioni anatomiche della parete vasale. Diviene consistente, dura per alterazioni sclerotiche che ne causano indurimento, allungamento e tortuosità e quindi oppone resistenza alla compressione digitale. Si può quindi parlare di: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 5 • Polso duroÆ Quando la parete vasale sclerotica e calcifica oppone resistenza alla compressione digitale pur essendo normale la pressione arteriosa. • Arteria a trachea di polloÆ Nel caso di aterosclerosi avanzata, facendo scorrete le dita leggermente sul vaso, talora si possono apprezzare delle piccole calcificazioni circolari rilevabili anche radiologicamente (esempio radiografico diretto), che danno la sensazione della trachea di pollo. DURATA Indica il tempo in cui si realizza la salita e la discesa dell’onda sfigmica o in altre parole il tempo che intercorre fra l’inizio dell’anacrote e la fine della catacrote. Questo carattere può essere agevolmente accertato sullo sfigmogramma periferico, ma può essere riconosciuto alla palpazione da un medico attento ed esercitato. • Polso celereÆ La durata del polso è accorciata per: o Svuotamento ventricolare eccessivamente rapido o Diminuzione delle resistenze periferiche o Insufficienza aortica (polso di Corrigan)Æ È dovuto alla energica e rapida contrazione ventricolare (che rende breve l’anacrote) ed al reflusso aorto‐ventricolare proto‐diastolico che rende breve la catacrote. Il polso di Corrigan viene anche definito “a colpo d’ariete” per l’urto improvviso che determina a cui segue una altrettanto rapida depressione. o Stati febbrili o Malattia di Basedow o Nevrosi. • Polso tardoÆ La durata del polso è prolungata per stenosi aorticaÆ In questa condizione il polso tardo è dovuto al lento e difficile svuotamento del ventricolo sinistro per l’ostacolo infundibolare od ostiale. Il difficile scarico del sangue dal ventricolo sinistro può determinare anacronismo del polso, cioè la comparsa di una incisura sulla branca ascendente dell’onde sfigmica, dopo la quale più lentamente viene raggiunto l’acme dello sfigmogramma. • Polso piccolo e tardoÆ Caratteristico della stenosi aortica grave. Nella stenoinsufficienza aortica può essere evidenziato il polso “bispheriens”, va però precisato che più spesso il polso è normale. Il polso “bispheriens” può essere meglio identificato palpando la carotide. Questa pulsazione è caratterizzata da due picchi principali. Il primo è denominato onda di percussione e il secondo onda di reflusso. Anche se il meccanismo non è chiaro si pensa che il primo picco rappresenti la pressione del polso mentre la seconda onda sistolica sia dovuta al rimbalzo delle oscillazioni della parete arteriosa alla periferia. SIMMETRIA E/O SINCRONIA Va valutata tra due polsi omologhi. Una asimmetria tra i due polsi radiali suggerisce: ‐ Anomalia di decorso di una arteria radiale ‐ Ostruzione a monte per processo aterosclerotici o embolici ‐ Anomali dell’arco aortico per malattie congenite o acquisite ‐ Presenza di costa cervicale o di sindrome dello scaleno. I polsi femorali vanno sempre esaminati entrambi sia per quanto riguarda l’ampiezza che per il tempo di arrivo della pulsazione in rapporto a quello radiale. Polso bifidoÆ Si definisce polso bifido o a due punte o a due battiti quello in cui si possono palpare due onde sfigmiche per ogni ciclo cardiaco. La prima elevazione viene definita onda di percussione e la seconda onda di trasmissione o di marea. La pulsazione aggiunta può essere palpabile: • Durante la sistole: o Polso BisferiensÆ Può essere palpato più facilmente a livello dell’arteria carotide. Può essere riscontrato nelle condizioni in cui una gittata sistolica elevata è espulsa rapidamente in pazienti con: Stenoinsufficienza aortica Insufficienza aortica apparentemente pura Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 6 Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva Attività fisica forse. o Polso anacrotoÆ Talora nella stenosi aortica severa si riscontra un polso carotideo con due punte sistoliche per la presenza di una incisura molto marcata sulla branca ascendente (incisura anacrota). È tuttavia raro che la parte iniziale del polso venga palpato come onda separata. Quanto più l’incisura anacrota è vicina a piede del polso, tanto più grave sarebbe la stenosi e tanto più marcato il gradiente transvalvolare aortico. Ci sono due possibili spiegazioni: Onda anacrota sarebbe un’onda di rimbalzo legata alla distensione rapida della parete vascolare aortica; sotto l’impulso dell’onda sfigmica si creerebbe infatti una specie di fenomeno di vuoto con reflusso di sangue verso le semilunari aortiche. Il primo picco dell’onda anacrota sarebbe dovuto all’onda di percussione della sistole ventricolare, trasmessa attraverso la valvola al sangue aortico e il secondo picco sarebbe invece prodotto dal getto rallentato di sangue che fluisce attraverso l’ostio valvolare stenotico. • Durante la diastole: o Polso dicrotoÆ È caratterizzato dalla presenza di una seconda elevazione che compare nella diastole, dopo il II° tono e che è prodotta dalla accentuazione della incisura dicrota e dell’onda dicrota normali. La diagnosi differenziale con il polso bisferiens può essere risolta esercitando con il dito una forte pressione sul polso: se si tratto di un polso dicroto, la seconda sommità (diastolica) viene cancellata o Se si tratta di un polso bisferens la seconda sommità (sistolica) viene accelerata. RESPIRO La funzione respiratoria ha lo scopo di far giungere alle cellule l’ossigeno necessario e di allontanare l’anidride carbonica. Comprende: ‐ Una fase polmonareÆ L’aria espirata nell’albero respiratorio raggiunge l’alveolo respiratorio e l’ossigeno in essa contenuto viene trasferito ai globuli rossi del sangue. ‐ Una fase ematicaÆ Durante la quale l’ossigeno viene trasportato dai globuli rossi ai tessuti ‐ Una fase tessutaleÆ Inizia con gli scambi gassosi fra sangue e tessuti e comprende i processi ossido‐riduttivi cellulari. La respirazione in condizioni normali consta di movimenti anatomici di inspirazione e di espirazione. La meccanica di questi movimenti richiede, talvolta, l’intervento di muscoli accessori inspiratori (sternocleidomastoideo e scaleni) o espiratori (addominali) ma in genere si svolge in maniera relativamente armonica e costante. Il rapporto tra espirazione ed inspirazione è di 2:1. L’espirazione è seguita dalla pausa di apnea, è passiva e la retrazione polmonare, associata e conseguente, determina la depressione di Donders, cioè la pressione negativa in cavità pleurica. L’atto del respiro comprende quindi due fasi: ‐ InspirazioneÆ Sostenuta dalla contrazione dei muscoli intercostali e del diaframma, che provoca un aumento del volume del cavo toracico; il polmone attratto dalla pressione negativa endopleurica si espande seguendo i movimenti della gabbia toracica e l’aria atmosferica viene così aspirata entro l’albero respiratorio. Si tratta di una fase attiva che tuttavia si compie involontariamente. ‐ EspirazioneÆ Condizionata dal rilasciamento dei muscoli inspiratori con conseguente diminuzione di ampiezza del cavo toracico e della pressione negativa endopleurica; il polmone non più attratto dalla pressione negativa endopleurica, per la sua elasticità si retrae. Si tratta di una fase passiva che nella respirazione normale non richiede l’intervento dei muscoli espiratori. CARATTERISTICHE DEL RESPIRO Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 7 TIPO Si distingue: • Respirazione di tipo costale o toracicoÆ Tipica delle donne e dei bambini. In questo tipo di respiro prevalendo l’azione dei muscoli intercostale e degli elevatori delle costole si muove soprattutto la parte superiore della gabbia toracica, l’addome restando quasi sempre immobile. • Respirazione di tipo addominale o diaframmaticaÆ In questo tipo di respirazione è il diaframma il muscolo maggiormente interessato. È il tipo di respiro che si osserva nell’uomo. La componente costale diventa prevalente sia nell’uomo che nella donna allorché si ha un aumento volontario o no degli atti della respirazione. In condizioni patologiche può verificarsi una inversione del tipo di respiro fisiologico nei due sessi: ‐ Nell’uomo si può avere un respiro costale: o Quando la motilità diaframmatica è ostacolataÆ Pericardite, pleurite, epatosplenomegalia o Quando aumenta la pressione endoaddominaleÆ Ascite, voluminosa neoplasia addominale, peritonite essudativa. o In caso di paralisi del diaframmaÆ Lesioni del nervo frenico ‐ Nella donna si può avere un respiro addominale: o Per lesioni polmonari alte nel torace in atteggiamento inspiratorioÆ Enfisema polmonare o Per lesioni dell’innervazione dei muscoli intercostali o anchilosi delle articolazioni delle coste. Durante i normali atti respiratori non si apprezzano rientramenti inspiratori della parete toracica. Negli individui magri nella respirazione forzata si può rilevare un rientramento degli ultimi spazi intercostali, limitatamente alla prima fase dell’inspirazione, in relazione ad un aumento della pressione negativa intratoracica e al non perfetto sincronismo tra espansione della parete ed espansione del polmone (fenomeno di LittenÆ patologico quando è omolaterale). In condizioni patologiche si può avere rientramenti inspiratori: ‐ In regione sopra‐ o sotto‐ clavicolare ‐ Al giugulo ‐ Spazi intercostali bassiÆ Fibrotorace, atelettasia ‐ EpigastrioÆ Stenosi laringotracheale o bronchiale, bronchite spastica, enfisema polmonare. Profilo respiratorio incrociato di WenckebachÆ Una riduzione od abolizione del movimento respiratorio in avanti della parete inferiore dello sterno, dell’epigastrio. Si può avere per aderenza tra la parete sternale e pericardio (accretio pericardica). Nella respirazione si proietta in avanti soltanto la parte superiore dello sterno, mentre la parte inferiore e l’epigastrio restano fissi. FREQUENZA È in funzione dell’età, sesso, peso corporeo, ecc… • TachipeneaÆ Aumento della frequenza degli atti ventilatori nell’unità di tempo con riduzione dei volumi dinamici polmonari (“respiro superficiale”) o con scarsa produzione dei volumi dinamici polmonari. È secondaria all’ipossiemia comunque verificatasi. • BradipneaÆ Riduzione del numero degli atti respiratori al minimo con o senza aumento dei volumi dinamici polmonari. È in genere sempre dovuta ad un rallentamento dell’attività del centro bulbare. Evoca in genere danni al sistema nervoso centrale, ipertensione endocranica, meningiti, intossicazioni esogene (barbiturici, oppio, alcool) ed endogene (uremia, diabete), stati di shock. • PolipneaÆ Aumento dei volumi dinamici polmonari. La coordinazione ed integrazione cardiopolmonare si esprime, perifericamente, nel rapporto costante fra la frequenza del polso ed atti respiratori di 4/1. VOLUME Il volume respiratorio esprime la quantità di aria ventilata (volume corrente) di cui 150ml occupano lo spazio anatomico morto e sono inutilizzati. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 8 Volume correnteÆ La quantità di aria che viene ventilata in un normale atto respiratorio. Rappresenta pertanto la quantità di aria inspirata durante una respirazione tranquilla. Nel soggetto normale è di 500ml. Aumenta nello sforzo e nella lieve insufficienza respiratoria. Ventilazione polmonareÆ Si esprime in lt/min correlando il volume corrente con la frequenza respiratoria. Con un volume corrente di 500ml ed una frequenza respiratoria di 16 atti/min, la ventilazione polmonare sarà pari a 8 litri/minuto. A questo equilibrio corrisponde un volume d’aria nei polmoni e nelle vie aeree detto capacità residua funzionale (CRF). Volume di riserva inspiratorio (VRI)Æ È la quantità d’aria che può essere introdotta con una inspirazione forzata; sommando il volume corrente al volume di riserva inspiratoria si ottiene: Capacità polmonare (CI)Æ Quantità di aria che può essere introdotta nelle vie respiratorie e nei polmoni mediante una inspirazione massima. Volume di riserva espiratorio (VRE)Æ Definisce la quantità d’aria che può essere ulteriormente eliminata mediante un’espirazione forzata. Volume residuo (VR)Æ Quantità d’aria che dopo l’espirazione massima all’interno degli alveoli e delle vie aeree è il volume residuo e rappresenta la quota d’aria non ulteriormente ventilabile. Capacità vitale (CV)Æ Volume d’aria eliminato durante un ciclo ventilatorio massimo, cioè mediante un’espirazione forzata preceduta da un’inspirazione massima rappresenta la capacità vitale ed è la somma tra la capacità inspiratoria (CI) e il volume di riserva espiratoria (VRE). Capacità polmonare totale (CPT)Æ Capacità vitale con aggiunto il volume residuo. È la massima quantità d’aria che può essere contenuta nelle vie aeree e negli alveoli. Tra le indagini atte a valutare la meccanica respiratoria, particolarmente per ciò che concerne la pervietà bronchiale e l’elasticità toraco‐polmonare, molto utile è la prova di espirazione forzata di Tiffenau‐Pinelli che permette il calcolo della capacità vitale e il volume espiratorio massimo secondo (VEMS). Il VEMS rappresenta il volume massimo d’aria che può essere emessa mediante un’espirazione forzata massima successiva ad una inspirazione forzata. Una volta calcolato il VEMS viene rapportato alla capacità vitale onde trarne il valore percentuale. L’indice di Tiffenau è quindi uguale a VEMS/CV per 100. I valori normali sono 70‐80%. RITMO Il ritmo respiratorio è tipicamente e regolarmente intervallato da periodi di apnea di durata costante. Normalmente esso consta di 4 tempi: • Inspirazione • Brevissima pausa inspiratoria • Espirazione • Pausa respiratoria (apnea) che dura 1/5 della durata totale dell’atto respiratorio. Respiri patologici: ‐ Respiro di Cheyne‐StokesÆ Caratterizzato dal progressivo incremento di ampiezza degli atti respiratori seguita da una progressiva diminuzione di ampiezza degli stessi e poi da un intervallo di apnea; dopo il periodo di apnea l’accumulo nel sangue di CO 2 riesce a stimolare nuovamente l’inspirazione. È un fenomeno fisiologico durante il sonno REM, ma al di fuori di questa evenienza è riconducibile ad una diminuita eccitabilità del centro respiratorio da una danno cerebrale. Cause: o In condizioni che ritardano il trasporto dei gas dai polmoni all’encefalo come l’insufficienza cardiaca grave o Lesioni cerebrali diffuse o Intossicazione da oppiacei. ‐ Respiro di KussmaulÆ Caratterizzato da una profonda e rumorosa inspirazione, da una pausa inspiratoria, da una espirazione breve e da una pausa espiratoria assai prolungata. È caratteristico di alcuni stati di acidosi. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 9 ‐ Respiro di BiotÆ Caratterizzato dal succedersi di periodi di respirazione normale a periodi di apnea. Esprime una grave sofferenza del centro respiratorio (meningiti, encefaliti, tumori cerebrali, edema cerebrale) ed ha un significato prognostico altrettanto grave. ‐ Respiro dissociato o atassocinetico di GroccoÆ Dipende da incoordinazione costo‐frenica cioè dal mancato sincronismo fra la contrazione del diaframma e dei suoi muscoli della parete toracica. È di prognosi severa perché denuncia un profondo turbamento bulbare. ‐ Respirazione stertorosaÆ Deriva da “stertor” cioè “russare”. È una respirazione rumorosa e spesso accompagnata da rantoli (rantolo della morte) predittiva di fine imminente. PRESSIONE ARTERIOSA I livelli di pressione si possono così dividere: Pressione Sistolica Pressione Diastolica Ottimale < 120 < 80 Normale 120 – 129 80 – 84 Normale alta 130 – 139 85 – 89 Ipertensione lieve (grado I) 140 – 159 90 – 99 Ipertensione moderata (grado II) 160 – 179 100 – 109 Ipertensione severa (grado III) > 180 > 110 Sistolica isolata > 140 < 90 Fa male anche solo la sistolica elevata. Per misurare la pressione si utilizza lo sfigmomanometro. Ha un bracciale in cui riconosciamo due porzioni: ‐ Porzione esterna ‐ Camera d’aria interna Si misura la pressione a livello dell’arteria brachiale che è situata medialmente a livello del gomito. Devo posizionare il bracciale 2‐3cm sopra la piega del gomito e la camera d’aria deve essere sopra all’arteria. Per questo ci sono tre tipi di bracciale: ‐ Per bambini ‐ Standard ‐ Per i soggetti obesiÆ È allungato perché se è troppo corpo bisogna insufflare più aria falsando quindi la misurazione. Il paziente deve rimane a riposo 5 minuti prima della misurazione, deve evitare di parlare prima e dopo la misurazione e non deve accavallare le gambe, non deve avere la vescica piena, non deve aver appena fumato, fatto una corsa, mangiato. Alla prima misurazione bisogna misurarla su entrambe le braccia. Se non ci sono differenze significative, nelle successive misurazioni si utilizza il braccio destro. Se ci sono delle differenze significative, si utilizza nelle seguenti misurazioni il braccio con la pressione più alta. Queste differenze sono date da motivazioni anatomiche. Per prima cosa bisogna insufflare l’aria nel bracciale e palpare il polso. Quando il polso scompare abbiamo raggiunto circa la pressione arteriosa sistolica. Ci serve per capire quanto poi bisogna insufflare il bracciale. Di solito si insuffla 20‐30mmHg in più rispetto alla misurazione del polso. Si aspetta un minuto e si insuffla tenendo il fonendoscopio sopra l’arteria brachiale (meglio usare la campana). Raggiunto il livello si fa scendere la colonnina sino all’auscultazione del primo tono di Korotkoff. Corrisponde alla pressione sistolica. Si continua a far scendere la colonnina finché non si sente più nessun tono (quinto tono di Korotkoff) e corrisponde alla pressione diastolica. La pressione diastolica può non essere facilmente distinguibile. In alcuni pazienti si può sentire anche quando si arriva a 20‐30mmHg che ovviamente è una misurazione falsata. Bisogna quindi valutare il quarto tono di Korotkoff, che corrisponde all’attenuazione dei toni. Accade in soggetti con vascolopatia. Lo sfigmomanometro deve essere posizionato all’altezza del cuore per un problema di idraulica. Bisogna quindi utilizzare un sostegno quando il paziente è seduto. Il paziente deve essere o disteso o seduto. La Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 10 misurazione si può poi rifare con il paziente in piede se si sospetta un’ipotensione ortostatica. Avviene quando i meccanismi di compenso non funzionano. Si possono avere dei problemi ai barocettori, o una risposta ad un farmaco. Possiamo dividere tre tipi di pressione: • Misura al letto del paziente o in clinicaÆ Si ipotizza che sia la stessa pressione per tutto il giorno. • Registrazione nelle 24 oreÆ Con un registratore la pressione viene misurata ogni 15 minuti durante il giorno e ogni 20 minuti durante la notte. Si nota così la fisiologica caduta di pressione durante la notte. Se non accade c’è un rischio aumentato di malattia cardiovascolare. La registrazione viene fatta per valutare gli effetti di un farmaco. • Automisurazione a domicilioÆ Spesso elimina l’ansia dovuta alla presenza del medico. Il valore di pressione va poi messo in relazione con altri fattori di rischio per la malattia cardiovascolare creando così una “carta di rischio”. Normale Normale alta Grado I Grado II Grado III Nessun altro fattore Rischio normale Rischio normale Rischio basso Rischio moderato Rischio elevato 1‐2 fattori di rischio Rischio basso Rischio basso Rischio moderato Rischio moderato Rischio molto elevato 3 o + fattori di rischio Rischio moderato Rischio elevato Rischio molto elevato Rischio molto elevato Rischio molto elevato Co‐morbilità Rischio elevato Rischio molto elevato Rischio molto elevato Rischio molto elevato Rischio molto elevato I fattori di rischio sono: o EtàÆ Uomini sopra i 55 anni, donne sopra i 65. o Abitudine al fumo o DislipidemiaÆ Colesterolo totale >250mg/dl, LDL>155mg/dl, HDL<60mg/dl o Familiarità per malattie cardiovascolari precoci o Obesità addominaleÆ Nei maschi > 102cm, nelle donne >88cm o PCRÆ Maggiore di 1mg/dl. Danno d’organo (TOD)Æ Colpisce: ‐ CuoreÆIpertrofia ventricolare sinistra ‐ VasiÆEvidente inspessimento della parete arteriosa o la presenza di placche aterosclerotiche ‐ Cervello ‐ Occhio ‐ ReneÆ Microalbuminuria e lieve incremento della creatinemia. Il diabete mellito è un fattore che fa aumentare in maniera drammatica il rischio cardiovascolare. Condizioni cliniche associate: Malattia cerebrovascolare: o Ictus ischemico o Emorragia cerebrale o Attacco ischemico. Cardiopatia: o Infarto miocardico o Angina o Procedure di rivascolarizzazione coronarica o Scompenso cardiaco. Malattia renale: o Nefropatia diabetica o Alterazione della funzionalità renale o Proteinuria. Vasculopatia periferica Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 11 Retinopatia avanzata: o Emorragie o essudati o Papilledema. TEMPERATURA CORPOREA L’uomo appartiene agli omeotermi e presenta una temperatura corporea costante, indipendentemente dalle variazioni termiche ambientali. In realtà nel corso delle 24 ore la temperatura corporea non è completamente stabile ma oscilla tra: ‐ Valori minimi di circa 36°C al mattino ‐ Valori massimi di circa 37°C alla sera. La temperatura corporea è mantenuta attraverso meccanismi omeostatici che opportunamente regolano da un lato la produzione, dall’altro la dispersione del calore endogeno: • Produzione di caloreÆ Portato dell’attività metabolica: o Del fegato e del tessuto cardiaco a riposo o Dell’attività dei muscoli scheletrici durante lo sforzo. • Dispersione di caloreÆ Avviene attraverso: o Cute (90%)Æ Di cui il 70% per irraggiamento ed il 30% per evaporazione legata alla perspiratio insensibilis. o Superficie alveolo‐polmonare (10%). Produzione e dispersione di calore sono governate dal centro termoregolatore situato nell’ipotalamo anteriore. Esso funge da vero e proprio termostato il cui set‐point assicura il mantenimento della temperatura con la tolleranza fisiologica già ricordata. Al termocentro giungono informazione dai termocettori superficiali (cute) e profondi (vasi che per fondono i visceri). Dal termocettore partono stimoli che attraverso le strutture autonome e somatiche provocano l’adeguata risposta periferica (per esempio vasodilatazione e sudorazione o vasocostrizione a seconda dei casi). Bisogna distinguere: ‐ FebbreÆ Elevazione termica legata allo spostamento in alto del set‐point termocentrico. Lo spostamento è provocato in via mediata dalle citochine pirogene alla cui iperproduzione si giunge attraverso una catena di eventi innescata da vari stimoli (endotossine di origine batterica, immunocomplessi, citochine tessutali, ecc…) ‐ IpertermiaÆElevazione termica da inadeguatezza dei meccanismi omeostatici di fronte ad eventi fortemente squilibrati (perché inducono eccessiva produzione di calore endogeno o drastica riduzione della sue dispersione). IPERTERMIE • Ipertermie da aumento della produzione di calore: o Sforzo fisico o Crisi tireotossica, feocromocitoma o Ipertermia maligna da anestetici. • Ipertermie da diminuita dispersione di calore: o Disidratazione o Colpo di calore. • Ipertermie a lesioni ipotalamiche: o Traumi o Infezioni o Danno vascolare o Tumori. METODI DI MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA CORPOREA Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 12 ¾ Ascellare o inguinaleÆ Termometro sotto l’ascella o a livello inguinale (valori che oscillano tra 36°C e 37°C) ¾ RettaleÆ Termometro per un minuto nell’ano (valori di 0,3‐0,5°C maggiori rispetto alle precedenti) ¾ OraleÆ Termometro per un minuto sotto la lingua (valori di 0,3‐0,5°C maggiori rispetto alla misurazione ascellare o inguinale) ¾ AuricolareÆ Si inserisce la sonda dell’apparecchio computerizzato nell’orecchio e si preme il pulsato. Risultato immediato. Le misurazioni orale e rettale hanno dei vantaggi: ‐ Miglior contatto tra bulbo del termometro e mucosa ‐ Maggior aderenza dei valori termometrici alla temperatura interna del corpo. Ma presenta anche degli svantaggi: ‐ C’è la necessità di un’accurata antisepsi del termometro ‐ Disagio di dover impiegare lo stesso termometro in persone differenti ‐ Possibilità di errori se il paziente ha da poco bevuto una bevanda calda o fredda ‐ Possibilità di far salire dolosamente la colonna mediante movimenti della lingua o dello sfintere anale. La febbre può insorgere: • In maniera subdolaÆ In questo caso il paziente riferisce un progressivo senso di calore • In maniera brusca e drammaticaÆ In questo caso può essere preceduta da brivido e freddo. La cute si presenta pallida e con segni di orripilazione. Dopo 10‐30 minuti la sensazione di freddo si attenua, compare un intenso calore, la cute diventa rosea, poi rossa, calda al termotatto e si istituisce un’intensa sudorazione. Per quanto riguarda l’entità delle febbre, ci si riferisce all’acme e si possono distinguere: ¾ Febbre di lieve entità o febbricolaÆ < 38°C ¾ Febbre di media entitàÆ Fra 38 e 39°C ¾ Febbre altaÆ Fra 39 e 40°C ¾ Febbre altissima o iperpiressiaÆ >40°C. Il monitoraggio della temperatura corporea nel tempo può essere visualizzato graficamente attraverso la curva termica. A tal fine è necessario misurare la temperatura ogni 3‐4 ore nel corso del giorno e della notte. A seconda dell’andamento della curva termica si identificano i seguenti tipi di febbre: Febbre continuaÆ La temperatura si mantiene elevata con oscillazioni che nell’arco delle 24 ore non sono superiori a 0,5°C Febbre subcontinuaÆ La temperatura si mantiene elevata con oscillazioni che nell’arco delle 24 ore non sono superiori a 1°C Febbre remittenteÆ La temperatura oscilla ampiamente nelle 24 ore di oltre 1°C senza mai discendere a valori normali Febbre intermittentiÆ La temperatura oscilla ampiamente nelle 24 ore con valori minimi inferiori a 37°C. L’andamento della temperatura fra giorni permette ulteriori distinzioni: ¾ Febbri fugaciÆ Perduranti non più di 15‐20 giorni ¾ Febbri persistentiÆ Per definizione superiori alle 2‐3 settimane ¾ Quotidiane ¾ Periodiche (regolari o irregolari). PARTICOLARI TIPI DI FEBBRE Febbre ricorrenteÆ Caratterizzata da periodi di febbre continua della durata di 3‐4 giorni a rapido esordio e a rapida scomparsa che si alternano ad intervalli di apiressia della durata di 3‐4 giorni. È tipica della spirochetosi o febbre ricorrente. Febbri intermittentiÆ Possono essere: ‐ BiquotidianeÆ Caratterizzate da due accessi febbrili e due cadute della temperatura per crisi nella 24 ore. Si riscontrano nelle sepsi gonococciche e nella Leishmaniosi viscerale Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 13 ‐ Di tipo terziarioÆ Caratterizzata da accessi febbrili a giorni alterni. Si osserva nella malaria da Plasmodium Vivax. ‐ Di tipo quartanarioÆ Caratterizzata da accessi febbrili separati da due giorni di apiressia. Si osserva nella malaria da Plasmodium Malariae. ‐ Di tipo quintanarioÆ Caratterizzata da accessi febbrili della durata di cinque giorni, separati da tre giorni di apiressia. Si osserva nella febbre da Rickettsie o quintana. ‐ Di tipo erraticoÆ Insorge in maniera imprevedibile in pieno benessere e dura 24 ore o poco più. Si osserva per lo più in portatori di foci settici bronchiali o nelle cistopieliti croniche. Febbre ondulanteÆ Caratterizzata da fasi di progressivo incremento e di progressivo decremento della temperatura della durata di una o più settimane. I periodi febbrili sono separati da periodi di apiressia. Questo tipo di febbre si riscontra con una certa frequenza nella Brucellosi e nel morbo di Hodgkin. COMPORTAMENTO DELLA CURVA TERMICA • IleotipoÆ Prima dell’avvento degli antibiotici, era descritta una caratteristica variazione della temperatura nei quattro settenari di malattia: fase di incremento, fase di acme o fastigio, periodo amfibolico o delle grandi escursioni termiche, periodo di decremento. • LeptospirosiÆ Febbre, continua all’inizio, cade con la comparsa dell’ittero per riprendere 5‐6 giorni dopo. • MorbilloÆ Cade con la comparsa dell’esantema e così nel vaiolo, ma in questo riprende nella fase di pustolazione. • ScarlattinaÆ Si intensifica con la comparsa dell’esantema • Malattie viraliÆ Può presentare un andamento difasico in rapporto ai cicli di sviluppo intracellulare del virus e alle fasi viremiche (esordio febbrile ‐ defervescenza ‐ ripresa febbrile). RISOLUZIONE DELLA FEBBRE Può avvenire: ‐ Per crisiÆ Brusca caduta della temperatura. È quanto succede in conseguenza dell’impiego di farmaci ‐ Per lisiÆ Lenta e progressiva diminuzione della temperatura. SINTOMI DI ACCOMPAGNAMENTO Le febbri si differenziano in rapporto alla maggiore o minore evidenza di alcuni sintomi di accompagnamento: BrividoÆ Esso è in rapporto alla rapidità di sviluppo del processo determinante l’iperpiressia. Sarà particolarmente spiccato nelle sepsi, nei processi suppurativi, nella malaria e nelle emolisi acute. SudorazioneÆ È generalmente proporzionale alla febbre e costituisce il principale meccanismo di dispersione del calore. Vi sono febbri particolarmente sudorali come quella della brucellosi, della tubercolosi florida e della setticemie e febbri scarsamente sudorali come quella dell’ileotifo. TachicardiaÆ Accompagna sempre la febbre e in tesi generali l’aumento della frequenza del polso aumenta di 8‐10 pulsazioni per ogni grado centigrado di temperatura. Vi sono però delle condizioni morbose nelle quali vi è una certa dissociazione rispetto alla temperatura: o Nell’ileotifo e nell’influenza è frequente riscontrare incrementi della frequenza cardiaca molto modesti se paragonati alla iperpiressia (con 40°C si arriva a 80‐85 pulsazioni invece delle 100 che sarebbe lecito aspettarsi) o Nelle sepsi puerperali, nelle flebiti, l’acceleramento del polso è molto precoce rispetto al fastigio della temperatura e nettamente superiore a quanto comporterebbe la regola sopraesposta o Nelle miocarditi vi sarà anche una dissociazione fra polso e temperatura in vantaggio del primo. Cefalea DelirioÆ Presente soprattutto nelle iperpiressia dei bambini e degli alcolisti ma anche nelle meningiti e nelle encefaliti per ovvi motivi. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 14 Convulsioni febbriliÆ Presenti soprattutto nelle iperpiressie dei bambini. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 15 ESAME OBIETTIVO GENERALE Nell’esame obiettivo generale bisogna valutare i segni vitali e il fenotipo clinico. Fenotipo clinico: • Età • Sesso • Conformazione somatica e biotipo costituzionale • Psiche e sensorio • Facies • Decubito e atteggiamento • Stato nutrizionale ed idratazione • Stato di sanguificazione • Cute (colorito) e annessi cutanei. ETÀ L’età apparente offerta da un paziente con l’esame obiettivo deve essere paragonata all’età anagrafica ottenuta dall’anamnesi. A volte sono evidenti anacronismi grossolani: ritardi o anticipazioni. Il rilievo dell’età è importante perché tout court orienta ad una patologia più propria di un dato periodo di vita. SESSO Il sesso di un soggetto deve essere considerato il risultato di una serie di eventi concatenati e complessi che includono sia la “determinazione del sesso” legata alla fecondazione dell’uovo ed alla combinazione del corredo cromosomico, della “differenziazione del sesso” influenzata anche da strutture gonadiche. Distinguiamo quindi: o Sesso cromosomicoÆ Determinato al momento della fecondazione (XX e XY) o Sesso gonadicoÆ Determinato dalla presenza di testicolo/ovaio o Sesso somaticoÆ Risulta da: o Sesso gonadico o genitale interno o Sesso genitale esterno o fenotipo o Caratteri sessuali secondari a comparsa più tardiva. o Sesso psicologicoÆ Percezione intrapsichica dell’identità sessuale ed è legata ad eventi sia pre‐ che post‐ natali. CONFORMAZIONE SOMATICA Secondo la classificazione di DeGiovanni si distinguono: ¾ Prima combinazioneÆ È caratterizzata dalla prevalenza dei diametri longitudinali su quelli trasversali. Corrisponde al tipo longilineo. Presenta: o Collo lungo, costole oblique, scapole alate, arti lunghi. o Prevalenza dei fenomeni catabolici, maggiore dispersione del calore o Sono generalmente individui introversi o RischiÆ Ulcera duodenale, ipotensione, TBC. ¾ Seconda combinazioneÆ Quella entro la quale sono compresi i soggetti a costituzione armonica e quindi “ideale”. In questi la misura che corrisponde alla massima apertura delle braccia è uguale alla statura. ¾ Terza combinazioneÆ È caratterizzata dalla prevalenza dei diametri trasversali su quelli longitudinali. Corrisponde al tipo brevilineo. Presenta: o Collo corto, torace basso ed ampio, addome voluminoso, costole poco oblique, arti brevi o Prevalenza dei fenomeni anabolici, scarsa dispersione di calore o Sono individui tenaci con una iperperfusione cortico‐surrenale Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 16 o RischiÆ Diabete, ipertensione, gotta, aterosclerosi. PSICHE E SENSORIO Nella pratica clinica il termine “sensorio” viene comunemente impiegato per indicare lo stato di coscienza del paziente, ossia lo stato delle funzioni concernenti la vita di relazione. Il sensorio si dice integro quando appare conservato nell’insieme di processi mentali che mantengano ottimale la relazione con l’ambiente esterno (reattività a stimoli visivi, verbali, tattili, dolorifici, orientamento spazio‐temporale, memoria, …). Può essere anche definita come lo stato di consapevolezza di se stessi e dell’ambiente che ci circonda. Il comportamento cosciente è la risultante di: • Contenuto di coscienzaÆ Insieme delle funzioni mentali ed affettive e che è funzione dell’integrità corticale. I disturbi possono essere: o Confusione e disorientamentoÆ Il paziente può essere perfettamente vigile e persino collaborare, ma compie errori nella comprensione e nella valutazione del proprio stato e del proprio ambiente. Si è soliti procedere ad un esame orientato in tre direzioni: TempoÆ Si chiede la data attuale: giorno, mese e anno e quanto tempo ha trascorso nel luogo in cui si trova LuogoÆ Si chiede dove si trova, la stanza, l’edificio, la città, la nazione PersonaÆ Si chiede chi è, che attività svolge, quanti anni ha. o DelirioÆ In questo stato il paziente sembra aver perso i contatti con il mondo che lo circonda, e fornisce spontanea prova della sua confusione e del suo disorientamento borbottando, farneticando, gridando spesso in modo offensivo, senza sosta, con allucinazioni, e spesso con una tale attività motoria da essere sopraffatto dall’esaurimento fisico. Si riscontra negli stati tossici, infettivi e nel delirium tremens. • VigilanzaÆ Stato di prontezza che ci consente di rispondere e reagire adeguatamente agli stimoli dell’ambiente e che dipende dall’integrità funzionale e strutturale del tronco encefalico. Le alterazioni sono: o AnnebbiamentoÆ Stato di diminuita prontezza del paziente che talora si può manifestare con ipereccitabilità alternata a sonnolenza. Il sintomo più precoce è una diminuzione dell’attenzione, rivelata dalla facile detraibilità del soggetto. o Obnubilamento o ottundimento o torporeÆ Stato che assomiglia alla normale sonnolenza. La stimolazione del paziente porta ad uno stato di completa vigilanza e collaborazione, anche se egli tende a sprofondare di nuovo nel sonno quando la stimolazione cessa. Normalmente si può eseguire la visita neurologica completa. Questo stato è comune nell’interessamento diretto o indiretto del mesencefalo e nell’intossicazione da farmaci. o StuporeÆ Lasciato a se stesso, il paziente sembra completamente privo di coscienza (stato simile ad uno sonno profondo), ciononostante può essere irrequieto. In seguito ad una stimolazione vigorosa lo si può risvegliare fino a renderlo capace di opporre resistenza agli stimoli dolorosi, o persino, per brevi periodi, di obbedire a comandi o rispondere a domande semplici. Ma non si ottiene una collaborazione soddisfacente e, non appena la stimolazione cessa, il paziente ritorna al suo stato originario. Cause di stupor possono essere patologie bilaterali degli emisferi cerebrali come pure una compressione o patologie del mesencefalo. o ComaÆ Il paziente è in uno stato di profonda incoscienza; risponderà nel modo più elementare agli stimoli dolorosi e non potrà in alcun modo essere indotto a collaborare. Di solito giace immobile ed è incontinente. Si può distinguere: Coma superficialeÆ Coma che confina con lo stupore Coma profondoÆ Coma in cui non esiste più alcuna forma di attività spontanea anche riflessa. I gradi più profondi sono comuni nelle lesioni del ponte e del bulbo; i riflessi pupillari, corneali e di deglutizione possono essere aboliti. Si utilizza la scala del coma di Glasgow Apertura degli occhi Spontanea 4 Allo stimolo verbale 3 Allo stimolo doloroso 2 Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 17 Assente 1 Risposta verbale Orientata 5 Frasi confuse 4 Parole sconnesse 3 Suoni incomprensibili 2 Nessuna risposta 1 Risposta motoria Valida 6 Localizza lo stimolo 5 Risposta in flessione 4 Flessione generalizzata 3 Estensione abnorme 2 Nessuna risposta 1 I punteggi possono essere: 15Æ Nella norma 12‐15Æ Deficit neurologico di lieve entità 9‐12Æ Deficit neurologico di media entità <9Æ Grave deficit. FACIES Con il termine facies si indica il risultato della combinazione di tutti quegli elementi che determinano l’espressione del volto. La facies composita è quella di una persona in perfetto equilibrio fisico e mentale. Qualsiasi alterazione infatti del primo o del secondo determina caratterizzazione che possono indurre una facies particolare. Classicamente il volto viene suddiviso in tre segmenti: ‐ PrimoÆ Dal vertice all’arco sopraciliare ‐ SecondoÆ Dall’arco sopraciliare alla radice del naso ‐ TerzoÆ Dalla radice del naso alla punta del mento. In base alla variabile rapporto di queste misure sono state distinte tre facies: • Tipo cerebraleÆ Nel quale predomina il primo segmento • Tipo respiratorioÆ Nel quale predomina il secondo segmento • Tipo masticatorioÆ Nel quale predomina il terzo segmento. Alla caratterizzazione di una facies particolare possono condurre, singolarmente o variamente combinandosi, alterazioni diverse: 1. Alterazioni dell’atteggiamento psico‐affettivo: • Facies triste o melanconica • Facies agitataÆ Tipica dei maniaci • Facies angosciosaÆ Tipica dei soggetti con crisi anginosa o infarto del miocardio • Facies peritonicaÆ Nella forma più grave prende il nome di facies ippocratica, caratterizzata oltre che da espressione di dolore intenso, da naso affilato, occhi incavi, labbra secche, colorito pallido. 2. Alterazioni scheletriche: • Facies acromegaliaÆ Dovuta all’anormale accrescimento delle ossa facciali (correlato all’ipersecrezione di GH). In particolare: o Faccia allungata in senso verticale o Le salienze ossee (bozze frontali, arcate sopraciliari, guance) sono molto sporgenti o Le palpebre, le orecchie e le labbra sono ispessite. Vi è macroglossia. o La mandibola è sporgente con prognatismo, ciò unito alla crescita in senso verticale provoca la marcata corrispondenza delle arcate dentarie o La pelle è pallida, grigiastra, spesso, solcata da rughe. L’aspetto generali diventa bestiale e triste. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 18 • Facies adenoideaÆ Caratterizzata da ristrettezza delle coane nasali e dalla sporgenza del labbro superiore e dei denti incisivi superiori su di una bocca permanentemente socchiusa che conferisce al soggetto un’espressione scarsamente intelligente. Nell’adenoideo la respirazione avviene per la bocca e ciò determina con il tempo una scarsa dilatazione delle coane nasali ed una deformazione caratteristica del palato (palato ogivale) e dell’arcata dentaria superiore che viene a sporgere anteriormente (labbro a tapiro). • Facies acondroplasiaÆ Soggetti che presentano questo tipo di nanismo, caratterizzata da una manifesta disarmonia strutturale con fronte convessa e sporgente e naso infossato, piccolo e tozzo. Questa facies è determinata da un difetto di ossificazione encondrale: durante la crescita, infatti, le ossa della base cranica subiscono un rallentamento nello sviluppo mentre le ossa della volta cranica si accrescono normalmente. 3. Alterazioni della cute e del sottocutaneo: • Facies ippocraticaÆ Potrebbe trovar posto in questo gruppo a causa della tipica disidratazione e deplezione di grasso. • Facies nefriticaÆ Caratterizzata da imbibizione del volto specie in sede palpebrale e sottopalpebrale dove il tessuto connettivo è più lasso e da un tipico pallore biancastro. • Facies mixedematosaÆ Caratteristica dei gravi ipotiroidismi. C’è: o Tumefazione del volto che porta all’infossamento dei bulbi oculari entro palpebre inspessite o Occhi infossati o Labbra tumide dalle quali spesso protrude una grossa lingua o Cute arida e secca o Capelli secchi, radi e fragili o Caduta delle sopracciglia nella loro porzione esterna o Marcata riduzione della mimica facciale o Torpore con espressione particolare che rende evidente il deficit psichico. • Facies lunarisÆ Della malattie di Cushing. È caratterizzata da: o Arrotondamento del viso (a luna piena) per accumulo di adipe e imbibizione dei tessuti sottocutanei o Rime palpebrali ristrette e bocca sottile (a pesce) o Cute rosso‐cianotica per la frequente iperglobulia o Ipertricosi del viso evidente nelle donne. • Facies sclerodermicaÆ Si determina a seguito delle gravi alterazioni tessutali proprie di questa malattia. Presenta: o Viso amimico levigato (senza rughe) come quello di una statua di marmo. Nelle fasi più avanzata di malattia ciò porta ad un notevole impedimento ai movimenti di apertura della bocca o Rughe sottili contornano la bocca o Le labbra si fanno sottili e rigide o I denti si rendono visibili. • RinofimaÆ Determina, con la grossolana nodulazione del naso, una facies caratteristica. 4. Alterazioni della muscolatura mimica: • Facies parkinsonianaÆ Dovuta alle alterazioni dei centri extrapiramidali regolatori della sfera vegeto‐emotiva ed è caratterizzata da: o Immobilità dell’espressione del voltoÆ Assume espressioni stereotipate che possono variare di volta in volta, generalmente sono di stupore o di paura e magari correlate al reale stato affettivo del soggetto. o Viso con aspetto lucido e untuoso per la spiccata produzione di sebo. • Facies miastenicaÆ Della miastenia. Trova gli elementi caratteristiche nella ptosi palpebrale che costringe il malato ad inclinare la testa indietro. Particolarmente evidente la sera per stanchezza muscolare. Presenta divergenza dei globi oculari che gli conferiscono un aspetto sonnolento. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 19 • Facies tetanicaÆ Caratterizzata da persistente contrattura dei muscoli mimici facciali che porta al “riso sardonico”; la rima labiale è stirata trasversalmente e così le rime palpebrali, in guida da simulare chi ride sardonicamente. 5. Alterazioni oculari: • Facies oftalmoplegicaÆ Consegue a paralisi di due o più muscoli oculari può dipendere da lesioni del III° nervo cranico o da lesioni centrali. È caratterizzata da ptosi palpebrale e corrugamento della fronte volto ad ovviare le conseguenze. • Facies basedowicaÆ Della malattia di Graves‐Flrjani‐Basedow. Si caratterizza Per: o Esoftalmo accompagnato a retrazione della palpebra superiore (occhi sbarrati) o Inquietudine del volto o Fissità dello sguardo (segno di Stelwagg) o Tremori dei margini palpebrali (segno di Rosenback) o Estrema mobilità della mimica facciale. 6. Alterazioni del colorito del volto: • Facies poliglobulicaÆ Della malattia di Vaques e delle poliglobulie secondarie. Si caratterizza per colorito rosso vinoso del viso. • Facies vultuosaÆ Del morbillo. È rosso accesa per la congestione delle congiuntive e per il fitto esantema del volto • Facies mitralicaÆ Della stenosi della valvola mitralica. Si caratterizza per cianosi distrettuale ai pomelli, al naso, alle labbra e al mento che contrasta con il pallore delle restanti parti del volto e conferisce al paziente una curiosa maschera. DECUBITO Per decubito si intende la posizione che l’ammalato assume nel letto. Il decubito può essere attivo o passivo, a seconda che sia o no mantenuto per azione delle strutture muscolari che si oppongono alla forza di gravità. Può essere: ‐ IndifferenteÆ Quando il paziente si muove senza alcuna limitazione ‐ PreferitoÆ Quello che il malato spontaneamente tende ad assumere riconoscendo di trarne notevole sollievo, spesso l’attenuazione di un dolore (decubito antalgico) ‐ ObbligatoÆ Quello che il malato deve necessariamente mantenere pena uno stato di grave sofferenza. In particolare: • Decubito supino obbligatoÆ Si osserva: o Per situazioni dolorose vertebrali nelle quali i più piccoli spostamenti scatenano vivo dolore o Per processi infiammatori acuti peritoneali nei quali la pressione della parete addominale è intensamente dolorosa. • Decubito prono preferitoÆ Si può avere in coliche addominali di natura spastica nelle quali la pressione dell’addome sul letto attenua il dolore. • Decubito laterale preferitoÆ Si può osservare in alcune patologie dell’apparato respiratorio: o Nella pleurite acuta fibrinosaÆ Il paziente decombe sul lato sano in quanto la pressione sull’emitorace colpito, con l’avvicinamento dei foglietti pleurici, aggrava il dolore. o Nella pleurite essudativa e nei grandi idrotoraciÆ Il malato decombe sul lato del versamento in quanto questa posizione favorisce le escursioni respiratorie dell’emitorace indenne o In portatori di grosse caverne o ascessi polmonari comunicanti con un bronco, particolari decubiti laterali consentono di impedire un continuo deflusso del materiale contenuto in queste cavità che determinerebbe fastidiosi accessi di tosse e di soffocazione; il paziente impara a regolare “ad libitum” lo svuotamento della cavità polmonare variando la posizione. • Decubito ortopnoicoÆ È particolarmente frequente nello scompenso cardiaco di tipo sinistro. È inteso a sollevare l’ammalato dalla dispnea; il paziente sta seduto nel letto, con le gambe penzoloni, e si appoggia fermamente alla sponda con le braccia estese per rendere più facili le Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 20 escursioni respiratorie del torace e del diaframma e formare un solido appoggio alla trazione dei muscoli ausiliari della respirazione (scaleni, pettorali e sternocleidomastoideo) • Posizione di BlechmanÆ Paziente assiso con ginocchia flesse e tronco fortemente piegato in avanti. • Posizione genupettoraleÆ Posizione di preghiera maomettana. Queste ultime due posizioni tendono a far raccogliere anteriormente il liquido contenuto nel pericardio e rendere meno difficile lo svuotamento delle vene cave nell’atrio destro, vengono assunte da pazienti con grave versamento pericardico. • Accovacciamento (“squatting”)Æ Si osserva in alcune cardiopatie congenite cianogene e particolarmente nella tetralogia di Fallot. L’ammalato sta accovacciato a gambe divaricate con il tronco flesso sulle ginocchia. È provato che questo atteggiamento consente la massima saturazione possibile di O 2 del sangue. • Posizione a cane di fucileÆ Tipica delle sindromi meningee. È un decubito obbligato laterale. Il capo è esteso sul tronco, le cosce sono flesse sull’addome e le gambe flesse sulle cosce. Tende ad evitare lo stiramento doloroso delle radici spinali lombo‐sacrali, ma è indotto soprattutto dalla ipertonia dei muscoli dorsali. • Opistotono, ortotono, emprostotono e pleurostotonoÆ Sono decubiti obbligati di origine muscolare. Il paziente si presenta rigido e incapace a modificare spontaneamente il decubito mentre il suo corpo assume particolari curvature: con concavità dorsale nel caso dell’epistotono, con concavità ventrale nel caso dell’emprostotono, con concavità laterale nel caso del pleurostotono. Si osservano nelle sindromi meningee, nel tetano, nell’avvelenamento stricnico e talvolta nelle tetanie. Atteggiamenti analoghi possono essere assunti per cause psichiche (grande arco di Charcot delle crisi di male isterico). MISURE ANTROPOMETRICHE ‐ Indice di massa corporea (BMI)Æ Si calcola dividendo il peso espresso in Kg per altezza espressa in metri al quadrato. In particolare: o 20‐25Æ Normopeso o 25‐30Æ Sovrappeso o >30Æ Obeso. ‐ Spessore della plica cutaneaÆ Valuta la quantità di grasso sottocutaneo, ed è un indice più affidabile del BMI nei pazienti anziani che hanno perso tessuto muscolare nel quadro del processo generale di invecchiamento ‐ Rapporto vita/fianchiÆ Per misurare la circonferenza vita bisogna posizionare il metro intorno all’addome nudo, appena sopra la cresta iliaca. Assicurarsi che il metro sia teso, ma che non comprima la pelle. Il metro deve essere parallelo a terra e il paziente deve essere rilassato e respirare mentre si effettua la misurazione. Il rapporto è importante per vedere dove è posizionato il tessuto adiposo: o AndroideÆ Il rapporto è maggiore di 0.9Æ Prevale la vita o GinoideÆ Il rapporto è minore di 0.9Æ Prevalgono i fianchi. ‐ Circonferenza addominaleÆ È correlata ai valori di trigliceridi e LDL. È utile per la diagnosi di sindrome metabolica. La sindrome metabolica è una condizione di aumentato rischio cardiovascolare da aggregazione di fattori di rischio metabolici. Per la diagnosi oltre all’obesità addominale (nel maschio la circonferenza deve essere sopra i 94cm, nella donna sopra gli 80cm) ci devono essere almeno due dei seguenti criteri: o Ipertensione (>130/85mmHg) o Ipertrigliceremia (>150mg/dl) o IpoHDL (nel maschio <40mg/dl, nella donna <50mg/dl) o Glicemia (>110mg/dl). STATO DI IDRATAZIONE Lo si valuta con la qualità della cute e con la secchezza a livello orale (fauci e lingua). Ci può essere un incavamento a livello del bulbo oculare (enoftalmo) per disidratazione del lasso sottocutaneo. Anche Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 21 l’elasticità della cute è importante: se si solleva una plica cutanea, si ritrae meno rapidamente più l’individuo è disidratato. Nell’anziano si ha però una perdita di elasticità dovuta all’invecchiamento e quindi non dovuta alla disidratazione. STATO DI SANGUIFICAZIONE Ci si sofferma soprattutto sul colorito della pelle. Si può inoltre abbassare la palpebra inferiore che dovrebbe avere un colorito rossastro a causa dei piccoli vasi superficiali che irrorano la congiuntiva. Nell’individuo anemico assume un colorito più pallido. Si può inoltre osservare il letto subungueale. CUTE E ANNESSI CUTANEI Dopo aver osservato il colorito della cute si osservano: • UnghieÆ In particolare: o Colorito o Presenza e forma della lunula o Sfaldamento o capacità di rottura. • CapelliÆ Si osserva se c’è perdita. È inoltre importante notare l’attaccatura del cuoio capelluto. • PeliÆ Si osserva la distribuzione: o Nel soggetto adulto maschio di solito l’aumento di peli non è associato a nessuna patologia. La perdita è invece associata all’ipogonadismo. o Nella donna è invece l’aumento dei peli associabile a patologie come: IrsutismoÆ L’aumento avviene nelle zone proprie IpertricosiÆ L’aumento avviene in zone non proprie VirilizzazioneÆ Si ha anche ipertrofia del clitoride. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 22 DISPNEA Tra i vari disturbi del respiro possono essere classificati: • In base alla frequenza: o TachipneaÆ Aumento della frequenza degli atti respiratori/minuto o BradipneaÆ Quando la frequenza è inferiore a 12 atti respiratori/minuto. • In base al volume respiratorio: o IperpneaÆ Aumento della ventilazione per incremento dell’ampiezza del respiro o PolipneaÆ Aumento del respiro volume/minuto. • In base al ritmo: o Respiro di Cheyne‐Stokes o Respiro di Kussmaul e Kien o Respiro di Biot o Respiro dissociato o atassocinetico di Grocco. DEFINIZIONE La dispnea è una sgradevole sensazione soggettiva di difficoltà o disagio respiratorio. Il termine è sinonimo di “affanno” o di “respiro corto” che è il respiro normalmente riferito dai pazienti. Tale sintomo anche se spiacevole non è doloroso e difficilmente quantificabile. La definizione più accettata è la seguente: “modalità di respirazione avvertita dal soggetto come faticosa e tormentosa, compiuta con l’intervento dei muscoli respiratori ausiliari ed accessori”. Per alcuni non è necessario l’impiego dei muscoli suddetti. Nonostante siano state avanzate numerose teorie per spiegare la dispnea, nessuna di essere è mai stata pienamente accettata. CLASSIFICAZIONE • In base a criteri eziopatogenetici: o Dispnea da alterazione dell’aria atmosferica o Dispnee da ridotta produzione di globuli rossi o Dispnea da alterazioni del centro del respiro: Anormale sollecitazione meccanica del centro del respiro Anormale sollecitazione chimica del centro del respiro. o Dispnea di origine muscolare: Miastenia, miopatie croniche, tetano, pertosse, pleurodinia o malattia di Bornholm, paralisi del diaframma, distensioni diaframmatiche. o Dispnea da alterazioni dell’apparato respiratorio: Dispnea da ostacolo delle vie aeree superiori Dispnea da ostacolo bronchiale Dispnea di origine polmonare. o Dispnea da alterazioni dell’apparato cardiovascolare: Insufficienza cardiaca. • In base a criteri temporali: o Dispnea acuta o Dispnea cronica. • In rapporto alla fase del ciclo respiratorio: o Dispnea inspiratoria o Dispnea espiratoria o Dispnea mista. • In base alle condizioni di insorgenza: o Dispnea da decubito o Dispnea da sforzo Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 23 o Accessionale o parossistica o Dispnea a riposo o continua. Le possibili cause di dispnea acuta sono: ‐ Vie aeree superiori: o Patologie della laringe o Edema della glottide o Neoplasie o Corpi estranei. ‐ Polmonari: o Pneumotorace o Tromboembolia polmonare o Polmonite o Asma bronchiale o Sindrome da stress respiratorio acuto. ‐ Cardiache: o Asma cardiaco o Dispnea parossistica notturna o Edema polmonare acuto. Le possibili cause di dispnea cronica sono: ‐ Malattie dell’apparato respiratorio: o Malattie delle vie aeree o Malattie parenchimali o Malattie vascolari o Malattie della pleura o Malattie della parete torace o Malattie vascolari. ‐ Malattie cardiovascolari: o Riduzione della gittata cardiaca o Aumento della pressione venosa polmonare o Shunt destro‐sinistro o Pericardite costrittiva. ‐ Sindrome da iperventilazione ‐ Disturbi psichici ‐ Gravidanza ‐ Altitudine ‐ Miscellanea (ipertiroidismo, anemia, acidosi, lesioni cerebrali). OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE SUPERIORI Può avvenire acutamente o cronicamente. Il primo caso solitamente si manifesta con un quadro di estrema drammaticità e può costituire una vera emergenza. Le principali cause sono: • Edema della laringe: o In corso di allergie scatenate da farmaci, vaccini e sieri, punture di insetti, alimenti o Nella carenza di C1‐esterasi che può essere ereditaria (angioedema ereditario di Quinke) o acquisita (solitamente di accompagnamento ad altre malattie: linfoproliferativa, anemia emolitiche, autoimmuni, ecc…) o Edema reattivo come nel raro caso di punture di insetti penetrati accidentalmente in gola o Edema infettivo, in caso di laringite. • Ingestione di un corpo estraneo • Neoplasie di laringe, trachea e tiroide • Retrazioni cicatriziali in pazienti operati o intubati per lungo tempo. Il quadro clinico è spesso drammatico: ‐ Capo iperesteso Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 24 ‐ Dispnea di tipo inspiratorio accompagnata a contrazione dei muscoli ausiliari e rientramento del giugulo e delle fosse sopraclavicolare (tirage) ‐ Stridore inspiratorio (cornage) ‐ Modificazioni della voce ‐ A seconda del grado di ostruzione di osserva cianosi, turgore delle vene del collo, agitazione estrema , ipotensione, tachicardia ‐ La cute può presentare i segni di una reazione allergica: orticaria, eritema, edemi del viso. In questi casi si esegue una laringoscopia e broncoscopia. Raramente un RX permette di visionare un corpo estraneo. ASMA BRONCHIALE Solitamente la dispnea è accessionale in pazienti con anamnesi propria e familiare di malattie allergiche. Raramente comunque si assiste al primo episodio ed è pertanto possibile raccogliere la storia di analoghe crisi. La dispnea è prevalentemente espiratoria, con prolungamento notevole di questa fase e sibilo espiratorio. Il paziente è seduto, piegato in avanti nel tentativo di espellere l’aria, il torace è in atteggiamento inspiratorio, vi può essere tosse secca. Obiettivamente è evidente l’iperfonesi del torace e la presenza di fischi e sibili espiratori diffusi. Solitamente la diagnosi è facile essendo presente la triade: dispnea, tosse, broncospasmo. La diagnosi è quindi prevalentemente clinica. Gli esami di laboratorio e strumentali possono essere: ‐ Prove spirometricheÆ Possono confermare e quantificare la broncocostrizione, permettendo di valutare la risposta alla terapia. ‐ RX toraceÆ Evidenzia una iperinflazione con appiattimento del diaframma ‐ Prove allergometricheÆ Dosaggio IgE sieriche, conta degli eosinofili circolanti e presenti nell’escreato, il RAST. ‐ EmogasanalisiÆ In fase acuta permette una precisa valutazione del grado di insufficienza respiratoria, nell’attacco asmatico accanto ad ipossia è solitamente rilevabile ipocapnia. La presenza di normocapnia o peggio ipercapnia e acidosi respiratoria sono segni prognostici sfavorevoli. BRONCOPNEUMOPATIE CRONICHE OSTRUTTIVE Le BPCO comprendono la bronchite cronica, le bronchiectasie, l’enfisema. La dispnea si presenta solitamente cronica con esacerbazioni in occasione di fattori scatenanti (BPCO riacutizzate). La storia di questi malati (anamnesi patologica remota) è di dispnea cronica con tosse ed espettorato, esposizione al fumo di sigaretta o polluzione ambientale (anamnesi lavorativa). Nell’enfisema possono giocare un ruolo alcuni fattori genetici quali quelli legati al fenotipo Pi (carenza di alfa‐1‐antitripsina, di scarso rilievo epidemiologico nel nostro paese). In questi pazienti molto spesso l’esacerbazione della dispnea è causata da una infezione intercorrente delle vie aeree: aumento della tosse e dell’escreato che assume caratteri purulenti, febbre. Solitamente i pazienti hanno una dispnea da sforzo, ingravescente nel tempo. In caso di riacutizzazione il quadro clinico è molto simile a quello del paziente asmatico: paziente seduto con busto piegato in avanti e dispnea espiratoria. Nell’enfisematoso è evidente l’iperinflazione del torace (torace a botte) ed è pink and puffing (rosa e ansimante), mentre il bronchitico è più spesso pletorico e cianotico, cioè blue and bloating (blu ed edematoso). Pink PufferÆ BPCO in cui prevale la componente enfisematosa. Pazienti in genere longilinei con iperdistenasione del torace (a botte), con dispnea da sforza variabile; tosse ed espettorato sono di modesta identità. Non sono cianotici e respirano classicamente a labbra socchiuse con espirazione prolungata. Blue BloaterÆ BPCO in cui prevale la componente ostruttivo ipersecretiva. È presente tosse con espettorato di tipo mucoso o purulento, ipossiemia con cianosi. Dispnea spesso presente. Il quadro auscultatorio può essere caratterizzato da un polmone quasi silente (enfisema e grave broncocostrizione) oppure dal broncospasmo generalizzato a cui possono associarsi ronchi e rantoli. Nelle bronchiectasie i rumori umidi sono prevalentemente localizzati alle basi. Per quanto riguarda gli esami strumentali: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 25 ‐ RX del toraceÆ Si evidenziano i segni della peribronchite, delle bronchiectasie oppure il quadro caratteristico dell’enfisema polmonare. ‐ ECGÆ Può dimostrare deviazione assiale destra, P polmonari, bassi voltaggi (nell’enfisema). MALATTIE DELL’INTERSTIZIO POLMONARE Sono malattie croniche caratterizzate dalla infiammazione e degenerazione dell’interstizio polmonare. A ciò consegue una perdita funzionale di unità alvelo‐capillari. Nonostante la varietà delle malattie trattate in questo raggruppamento la sintomatologia è estremamente costante. La dispnea da sforzo è il sintomo di esordio più frequente accompagnata da affaticabilità e malessere durante le attività quotidiane. Talvolta vi è tosse non produttiva. Assai più rari altri sintomi quali dolori toracici aspecifici, emoftoe, febbricola, calo ponderale. All’esame obiettivo il reperto caratteristico è rappresentato dai rantoli crepitanti (a strappo di velcro) alle basi polmonari tele‐inspiratori. In fase avanzata può comparire ippocratismo digitale. Gli esami di laboratorio o strumentali sono: ‐ RX toraceÆ Normale o con presenza di reticolo‐nodulia diffusa. ‐ Test funzionali polmonariÆ Sindrome restrittiva ed alterazione della diffusione alveolo‐capillare ‐ EmogasanalisiÆ Ipossiemia aggravata dall’esercizio, PaCO 2 solitamente marcatamente ridotta. EMBOLIA POLMONARE La dispnea compare improvvisamente a riposo e può accompagnarsi a tosse, emoftoe e dolore toracico di tipo pleurico. Nell’embolia massiva il quadro è drammatico con dolore toracico di tipo infarto del miocardio o dissecazione aortica, grave insufficienza respiratoria (dispnea), sincope e shock. L’elemento più caratteristico dell’embolia polmonare è la dispnea improvvisa ed inspiegata. Elementi che possono confortare la diagnosi: ‐ Presenza di trombosi venosa profonda ‐ Paziente allettato da tempo ‐ Paziente in periodo post‐operatorio. All’esame obiettivo in genere si nota solo tachipnea, tachicardia ed eventualmente segni di insufficienza acuta del ventricolo destro. Esami di laboratorio e strumentali: ‐ ECG ‐ Emogasanalisi ‐ Scintigrafia polmonare. MALATTIE DELLA PARETE TORACICA E DEI MUSCOLI RESPIRATORI Sono una causa non frequente di dispnea. • Malattie della gabbia toracica (spondiliti, petto escavato, cifoscoliosi)Æ Sono evidenti all’esame obiettivo. Solitamente solo una forma grave di cifoscoliosi è in grado di causare insufficienza respiratoria e cuore polmonare cronico. • Alcune malattie neuromuscolari sono responsabili di insufficienza respiratoria e dispnea. Solitamente però il distretto respiratorio è colpito tardivamente e prevalgono le manifestazioni a carico di altri gruppi muscolari. PNEUMOTORACE SPONTANEO L’età di insorgenza è di solito tra i 20 e i 40 anni. Colpisce spesso soggetti leptosomico, talvolta con storia di PNX recidivanti. Si ha dispnea acuta, a volte dopo uno sforzo o un colpo di tosse. C’è dolore toracico. L’esame obiettivo è caratteristico. Tra gli esami strumentali si può fare un RX del torace. MALATTIE CARDIACHE Dispnea da sforzo che si aggrava nel tempo. In fase più avanzata assume i caratteri dell’ortopnea o della dispnea parossistica notturna. L’anamnesi del paziente affetto da dispnea cariogena è spesso positiva per ipertensione arteriosa, vizi valvolari mitralici e/o aortici, infarto del miocardio, miocardiopatie. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 26 All’esame obiettivo, ascultatoriamente sono presenti rantoli polmonari nelle zone declivi. A volte si possono sentire sibili in‐ ed espiratori. In questo caso il quadro assume le caratteristiche dell’asma cardiaco (è presente una broncocostrizione causata dalla riduzione del lume delle piccole vie aeree e dei bronchi per edema). L’ascoltazione cardiaca non sempre facile nei malati più gravi consente spesso di rilevare aritmie, soffi, ritmo di galoppo. Il paziente può presentare inoltre cianosi, edemi declivi, turgore delle giugulari, epatomegalia (fegato da stasi). Esami di laboratorio e strumentali: ‐ RX toraceÆ Cardiomegalia, segni di congestione del circolo polmonare: edema interstiziale, ridistribuzione del flusso verso gli apici, versamenti pleurici scissurali o basali. ‐ ECGÆ Può dimostrare una cardiopatia preesistente oppure permettere la diagnosi di un fatto acuto causa dello scompenso cardiaco ‐ EcocardiogrammaÆ Diagnosi di vizi valvolari, ipocinesi, versamento pericardico, ipertrofia ventricolare, ecc… EDEMA POLMONARE ACUTO Rappresenta lo stadio più grave dello scompenso ventricolare sinistro e trova come causa sua una malattia cardiaca preesistente da tempo (come una stenosi mitralica), sia un evento acuto (infarto del miocardio, aritmie). In un primo tempo il paziente è modicamente tachipnoico, ipossico e ipocapnico. Con l’accumularsi ulteriore di liquidi nello spazio extravascolare del polmone il quadro si aggrava e compaiono i primi segni radiologici di rilievo (strie B di Kerley e perdita di definizione delle impronte vascolari). Lo stadio successivo consiste nel passaggio dall’edema interstiziale a quello dell’edema alveolare; gli scambi gassosi sono ulteriormente compromessi, all’ipossia si associano ipercapnia e acidosi. Radiologicamente si rileva una distribuzione del flusso ematico polmonare verso gli apici e la comparsa di trasudato polmonare a farfalla di maggiore densità a livello degli ili. Il quadro clinico è in funzione della gravità dell’eventi e può risultare drammatico. Il paziente è seduto, agitato, cianotico, visibilmente sofferente, profusamente sudato. Può avere tosse non produttiva che si accentua in clinostatismo; in caso di edema polmonare grave la tosse comporta l’emissione di schiuma rosea. All’ascoltazione del torace si rilevano rantoli e ronchi che dalle basi si possono estendere fino agli apici. Come si è detto non è raro il riscontro di broncospasmo. Talvolta i rantoli sono udibili entrando nella stanza del paziente (rumore di pentola che bolle). Di notevole valore è il rilievo della pressione arteriosa che varia da valori assai elevati (insufficienza ventricolare sinistra secondaria a crisi ipertensiva) a valori bassi (sono questi i casi a prognosi meno favorevole). La diagnosi in genere è facile e non richiede molti accertamenti, l’ECG è però dirimente per accertare disturbi del ritmo o della conduzione o l’eventualità dei un infarto del miocardio. ORTOPNEA Dispnea che insorge in posizione sdraiata e che migliora con la posizione seduta o in piedi. In contrasto con la dispnea parossistica notturna, l’ortopnea si verifica rapidamente, spesso entro un paio di minuti dall’assunzione di una posizione supina, e quando il paziente è sveglio. Meccanismo patogeneticoÆ In clinostatismo si ha una minor stasi di liquidi nelle estremità inferiori e nell’addome con spostamento di liquidi all’interno del circolo con spostamento di sangue dal comparto extra a quello endotoracico. Il ventricolo sinistro insufficiente non riesce ad espellere tutto il volume di sangue convogliatogli dal ventricolo destro ancora ben funzionante e così si ha un aumento della pressione venosa e capillare polmonare con aumento delle resistenza delle vie respiratorie e dispnea. DISPNEA PAROSSISTICA NOTTURNA Si possono considerare questi attacchi come un’esacerbazione dell’ortopnea. Si verificano di solito di notte e i pazienti si svegliano con la sensazione di soffocare, si siedono completamente dritti e sono tutti tesi nello sforzo di respirare. In questa situazione si ha spesso broncospasmo che può essere dovuto alla Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 27 congestione della mucosa bronchiale e che aggrava la difficoltà ventilatoria ed il lavoro per la respirazione. È un fattore comunemente complicante la dispnea parossistica notturna. L’asma spesso associato è responsabile dell’altro nome con cui viene definita questa conduzioneÆ Asma cardiaco. Meccanismi patogeneticiÆ Ci può essere il contributo di almeno quattro fattori: ‐ Il lento riassorbimento di liquido interstiziale dalle porzioni declivi del corpo ed il risultante aumento di volume ematico intratoracico. ‐ L’improvviso aumento di volume ematico intratoracico e sopraelevazione del diaframma che si verifica contemporaneamente all’assunzione della posizione supina ‐ Una ridotta attività adrenergica durante il sonno ‐ La fisiologica depressione notturna del centro respiratorio. DISPNEA DELL’ANEMIA La dispnea da sforzo è spesso l’unico sintomo presente nel paziente anemico, talvolta associata a tachicardia e palpitazioni. È tanto più grave quanto l’anemia è severa o di rapida insorgenza. La sua patogenesi non è completamente nota, ma pare probabile che sia responsabile della dispnea un inadeguato apporto di O 2 ai muscoli respiratori in attività. DISPNEA PSICOGENA Associata spesso alla nevrosi d’ansia e più frequente nelle giovani donne e si accompagna a nodo di gola, senso di soffocamento, palpitazioni, toracoalgie (spesso puntorie a precordio), formicolio periorale ed alle estremità, spasmo carpale (sintomi questi ultimi dovuti alla iperventilazione con alcalosi respiratoria). Il respiro è spesso “sospirante” ed irregolare e non si evidenziano segni obiettivi di cardio‐ o broncopneumo‐patie. La diagnosi è per esclusione. ANAMNESI DEL PAZIENTE CON DISPNEA Sarà necessario valutare: • Modalità di insorgenza • Ingravescenza nel tempo • Eventuale associazione con altri segni o sintomi • Rapporto tra l’entità della dispnea e le condizioni generali • Frequenza, durata e circostanze del suo apparire • Rapporto con postura, sforzo, trauma, inalazione di gas, vapori o pollini, assunzione di farmaci o altre sostanze • Caratteristiche ambientali • Familiarità • Segni e sintomi di accompagnamento. Le domande chiave da porre sono: ‐ La dispnea è insorta a riposo? ‐ Era presente dolore toracico? ‐ Cosa stava facendo il paziente subito prima? ‐ Cosa stava facendo il paziente al momento della comparsa della dispnea? ‐ Sono evidenti patologie capaci di provocare dispnea? Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 28 ESAME OBIETTIVO DELLA TIROIDE COLLO Per quanto riguarda l’analisi semeiologica, il collo si può dividere in due triangoli: ‐ Triangolo anterioreÆ Si trova tra lo sternocleidomastoideo. In questo triangolo troviamo la trachea e nella regione inferiore la tiroide ‐ Triangolo lateraleÆ Si trova tra lo sternocleidomastoideo e lo scaleno anteriore. Nel collo passa: ‐ CarotideÆ Uno dei polsi periferici ‐ GiugulareÆ Turgida con paziente a 45° se c’è un aumento della pressione venosa centrale per scompenso destro. CENNI ANATOMICI La tiroide è composta da due lobi ed un istmo (situato in basso).Ci può essere un altro piccolo lobo (15% dei casi) detto piramidale È situata anteriormente e caudalmente rispetto alle cartilagini della laringe. È molto vascolarizzata. Il parenchima è composto da follicoli che contengono la sostanza colloide in cui ci sono gli ormoni tiroidei. Accanto ai follicoli ci sono le cellule C parafollicolari che producono calcitonina. È raggiunta dai nervi laringei ricorrenti che innervano le corde vocali. Un aumento di dimensioni della tiroide o un intervento possono danneggiare i nervi dando la voce bitonale. Posteriormente alla tiroide troviamo le paratiroidi che sono 4 ghiandole (2 superiori e 2 inferiori) che producono paratormone. Di norma le patologie tiroidee non danno problemi alle paratiroidi. Sono però importante per il chirurgo che deve prestare attenzione a non danneggiarle causando in questo modo ipocaliemia. ISPEZIONE Si effettua ponendosi di fronte al paziente seduto, a tronco e capo bene eretti. L’ispezione viene fatta invitando il paziente ad estendere bene il collo ed a bere ad esempio un sorso d’acqua o a deglutire. Con tale manovra si può vedere che la ghiandola, solidale con le strutture laringo‐tracheali, si sposta verso l’alto. Finalità dell’ispezione: • Ricerca di eventuali segni a carico del tegumento: la cute può essere arrossata nelle tiroiditi • Ricerca di un eventuale rigonfiamento della ghiandola • L’ispezione va pure rivolta alla base della lingua, origine del dotto tireoglosso, che occasionalmente può essere sede di una “tiroide linguale” non migrata (molto rara) • L’ispezione è anche rivolta a cogliere gli aspetti più generali dei disturbi della tiroide come i segni e sintomi oculari del morbo di Basedow e l’edema pretibiale sempre del morbo di Basedow. PALPAZIONE Si effettua tramite due tecniche: ‐ Approccio anterioreÆ Metodo di LaheyÆ Si pone il pollice contro la parete supero laterale della trachea e si preme in senso laterale rendendo il più prominente possibile il lobo del lato opposto della tiroide che viene afferrato e palpato con le dita dell’altra mano, mentre al paziente viene fatto abbassare il mento per rilassare i muscoli. ‐ Approccio posterioreÆ Il medio si pone alle spalle del paziente che sarà seduto con la testa eretta e collo non rigido. Viene prima palpata la cartilagine cricoide (sotto il margine inferiore della cartilagine tiroide) in modo che le dita si trovino situate a livello esatto sopra la tiroide. Il medico deve appoggiare i pollici sulla nuca della paziente e le dita semiflesse sulle rispettive metà omologhe della regione tiroidea facendo deglutire più volte il paziente (l’indice e il medio vengono posti medialmente al margine inferiore del muscolo sternocleidomastoideo destro e sinistro). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 29 GOZZO Aumento di volume della tiroide, in rapporto ad ipertrofia, iperplasia e neoplasia della ghiandola. Classificazione funzionale: • Semplice o eutiroideo • Ipertiroideo • Ipotiroideo Classificazione anatomica: o DiffusoÆ Quando interessa globalmente la ghiandola o CircoscrittoÆ Quando ne interessa solo una parte. Un tiroide normale è difficilmente palpabile nell’uomo e nella donna in menopausa. Una tiroide normale può essere palpabile in una donna in età fertile. In questi casi si presenterà a superficie liscia, di consistenza molle. Mediante le manovre palpatorie è possibile precisare le caratteristiche principali della tiroide: • Volume, forma e superficieÆ L’aumento diffuso o circoscritto della tiroide si chiama struma o gozzo. I gozzi possono essere: o Diffusi o Nodulari: Uninodulari Multinodulari. I gozzi possono essere ipertiroidei, ipotiroidei ed eutiroidei. • ConsistenzaÆ Fisiologicamente è soffice. La consistenza può aumentare nelle patologie: parenchimatosa nel morbo di Basedow, lignea nella tiroide lignea di Riedel, nei carcinomi e nella cisti calcificata. • DolorabilitàÆ Generalmente non è dolorabile. Le tiroiditi acute, le forme subacute e anche talora le tiroiditi croniche presentano una dolorabilità più o meno spiccata alla palpazione. • MobilitàÆ La ghiandola tiroide è solidale con la trachea. Ciò può essere messo in evidenza palpando la tiroide mentre il paziente beve un sorso d’acqua. Il carcinoma tiroideo, nella sua forma infiltrativa, può essere scarsamente mobile in quanto tende ad ancorare la ghiandola alle strutture circostanti. I gozzi molto sviluppati, inoltre, possono essere immobili perché si trovano ad occupare tutto lo spazio disponibile alla radice del collo. • FremitoÆ Rappresenta l’equivalente tattile del soffio vascolare ed è palpato alla tiroide. • AdenopatieÆ La presenza di linfoadenopatie in prossimità di un gozzo suggerisce la possibilità di un carcinoma. Anche le tiroiditi, tuttavia, possono decorrere con adeniti satelliti. La palpazione può essere anche utile a definire due caratteristiche dell’esoftalmo: ‐ RiducibilitàÆ Mediante pressione digitale è possibile valutare se l’esoftalmo sia riducibile o meno ‐ PulsatilitàÆ Mediante la palpazione digitale del lobo oculare è anche possibile se l’esoftalmo sia pulsante oppure no (esempio: aneurisma endo‐orbitale). PERCUSSIONE In presenza di uno struma retrosternale la percussione può mettere in evidenza l’esistenza di una ottusità retrosternale alta, sopramediastinica. Il margine inferiore della zona di ottusità può essere convesso o continuare immediatamente con l’area di ottusità cardiaca. Altri sintomi dello struma retrosternale possono essere: ‐ Dispnea da compressione (stridore laringeo) ‐ Disfagia ‐ Compressione del nervo ricorrente (voce bitonale oppure afona) ‐ Stasi venosa con turgore delle vene del collo, del torace, delle braccia (sindrome da compressione della cava superiore). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 30 ASCOLTAZIONE Nell’ipertiroidismo è possibile rilevare sulla ghiandola tiroide la presenza di un soffio vascolare sistolico, dovuto all’abnorme aumento del flusso di sangue (la tiroide è ipervascolarizzata) per la condizione iperdinamica del circolo, con formazione di vortici legati ad aumentata velocità di flusso. Nell’ipertiroidismo è inoltre molto frequente il riscontro di ronzio venoso cervicale. In taluni casi di struma non iperfunzionante la tiroide può comprimere i grossi vasi del collo e determinare un soffio da stenosi vascolare. MANOVRE PARTICOLARI • TransilluminazioneÆ Viene effettuata mediante una sorgente luminosa puntiforme e serve a differenziare le masse cistiche da quelle solide della tiroide. Le masse cistiche sono transilluminate maggiormente di quelle solide. • Segno di Pemberton o test di innalzamento degli arti superioriÆ Utile nei pazienti in cui si sospetta l’esistenza di un gozzo retrosternale. Se infatti le vie d’accesso al torace sono già ridotte a causa dello struma retrosternale, innalzando entrambi gli arti superiori fino a che questi si tocchino ai lati della testa, si ottiene un ulteriore restringimento delle zone di ingresso del torace, con congestione facciale e oppressione respiratoria. VALUTAZIONI DELLA FUNZIONALITÀ TIROIDEA Si valutano gli ormoni T 3 e T 4 e il TSH. ‐ In una patologia ipotiroidea primariaÆ T 3 e T 4 bassi, TSH elevato ‐ In una patologia ipotiroidea secondaria (di origine ipofisaria/ipotalamica)Æ T 3 e T 4 bassi, TSH basso. ‐ In una patologia ipertiroidea per iperproduzione tiroideaÆ T 3 e T 4 elevati, TSH basso. ‐ In una patologia ipertiroidea per alterazione della funzionalità ipofisariaÆ T 3 e T 4 elevati, TSH elevato. IPERTIROIDISMO Le possibili cause sono: • Morbo di Flaiani‐Basedow‐Graves (gozzo tossico diffuso)Æ Iperstimolazione della ghiandola tiroidea da parte di autoanticorpi. • Morbo di Plummer (adenoma tossico)Æ Nodulo singolo della tiroide iperfunzionante svincolato dai meccanismi di regolazione della produzione ormonale. • Gozzo multinodale tossicoÆ Uno o più noduli che acquistano autonomia funzionale. • Tiroide subacutaÆ Fase transitoria di ipertiroidismo legata alla aumentata liberazione di ormoni conseguente al danno prodotto sulla ghiandola dal processo infiammatorio. • Fase ipertiroidea della tiroidite di HashimotoÆ Aumento del rilascio ormonale conseguente al danno infiammatorio. • Tireotossicosi factitiaÆ Disturbo psiconevrotico da ingestione di eccessive quantità di ormoni tiroidei. • Forme rare: o Struma ovarico o Carcinoma metastatico della tiroide o Mola idatiforme o Tireotossico da hamburger o Tumori ipofisari secernenti TSH o Resistenza ipofisaria al T 3 e T 4 . Con tireotossicosi si intende un eccesso di ormoni tiroidei che è diverso da ipertiroidismo che comprende invece le manifestazioni cliniche legate all’aumento degli ormoni tiroidei. MORBO DI BASEDOW Colpisce 1‐2% della popolazione. È 10 volte più frequente nella femmina. È più frequente tra i 40‐60 anni. Il gozzo che si forma può essere di dimensioni variabili. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 31 Manifestazioni cardiovascolari dell’ipertiroidismo: ‐ TachicardiaÆ Cardiopalmo ‐ Dispnea da sforzo ‐ Angina pectoris per diminuita riserva coronarica ‐ Aumento della gittata sistolica e diminuito tempo di circolo ‐ Aumento della pressione differenziale ‐ Polso ampio e celere ‐ Itto aumentato ‐ Click mesosistolico alla punta ‐ Si può arrivare, se ci sono già problemi cardiaci, allo scompenso cardiaco ad alta gittata. Con l’ECG si nota: ‐ Tachicardia sinusale ‐ Tachiaritmia sopraventricolare. Con i reperti ecografici/radiologici si può notare il prolasso della mitrale. Manifestazioni metaboliche dell’ipertiroidismo: o Aumento del metabolismo basale o Aumento della produzione di calore (febbricola, intolleranza al caldo, aumento della sudorazione) o Calo ponderale o Ipocolesterolemia o Aumento del metabolismo proteico. Manifestazione gastro‐intestinali dell’ipertiroidismo: Diarrea e/o aumento di frequenza dell’alvo Iperemesi. Manifestazioni neuropsichiche dell’ipertiroidismo: • Nervosismo • Insonnia • Agitazione psico‐motoriaÆ Psicosi • Fini tremori. Manifestazioni neuromuscolari dell’ipertiroidismo: ‐ Astenia, facile stancabilità ‐ Retrazione della palpebra superiore. Sintomi oculari del morbo di Basedow: o Semplice protrusione del bulbo o Congestione congiuntivale (arrossamento, sensazione di corpo estraneo, lacrimazione) o Chemosi, fotofobia o Oftalmoplegia con diplopia o LagoftalmoÆ Cheratiti o Aumento della pressione retrobulbareÆ Stasi venosa, neurite ottica, atrofia ottica. o Dislocazione del bulbo. Nel morbo di Basedow si ha anche edema pretibiale. Semeiotica oculare dell’ipertiroidismo: ‐ Segno di GraefeÆ Facendo fissare al paziente un dito che venga abbassato dall’alto verso il basso, la palpebra superiore del paziente non segue l’occhio e rimane scoperto un tratto di sclera. ‐ Segno di MoebiusÆ Facendo fissare al paziente un dito che venga lentamente avvicinato sin davanti al naso, uno dei due occhi o entrambi deviano all’esterno abbandonando la convergenza. Semeiotica oculare del morbo di Basedow: ‐ Segno di DalrympleÆ Retrazione palpebrale superiore e/o inferiore che può associarsi ad edema ed inspessimento palpebrale. ‐ Segno di KocherÆ Sguardo fisso, ipervigile, quasi spaventato. ‐ Segno di RosenbachÆ Sottile tremore palpebrale a palpebre socchiuse. ‐ Segno di StellwagÆ riduzione della frequenza e dell’ampiezza dell’ammiccamento. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 32 Per il gozzo tossico si fa: • EcografiaÆ Valutazione morfologica: o Forma‐volume o Se ci sono noduli o Se i noduli sono cistici o no o Omogeneità o Presenza di calcificazione o Se è associata a doppler si valutano anche i vasi. • ScintigrafiaÆ Si valuta la funzionalità della ghiandola. Si inserisce il tecnezio radioattivo. Fisiologicamente si ha una distribuzione omogenea. Se c’è un nodulo iperfunzionante, esso attrae il tracciante (ipercaptante) e viene detto nodulo caldo. Se c’è un nodulo ipofunzionante, non attrae il tracciante (ipocaptante o minus) e viene detto nodulo freddo. I noduli freddi più frequentemente nascondono un tumore. AGOASPIRATO L’agoaspirato tiroideo è un’indagine che permette l’analisi di materiale aspirato da un nodulo o da una zona di tessuto tiroideo. La metodica FNA (Fine‐Needle Aspiration) è oggi considerata la tecnica di indagine tiroidea non chirurgica più specifica e sensibile. Per alcuni tumori maligni, come il carcinoma papillare, l’agoaspirazione ha dimostrato di essere molto più valida della diagnosi fatta su sezioni di tessuto congelate. Le patologie della tiroide hanno una netta prevalenza femminile. Dal 4 al 7% della popolazione adulta ha un nodulo tiroideo palpabile. Il 5% delle donne dopo i 45 anni ha un nodulo tiroideo palpabile. La frequenza della popolazione generale è più alta nelle aree a carenza iodica. Solo una piccola percentuale di questi noduli è maligna (5%). Valutazione pre‐FNA: ‐ Anamnesi ‐ Esame obiettivo tiroide ‐ Funzionalità tiroidea ‐ Ecodoppler tiroideo ‐ Scintigrafia tiroidea. Fattori di rischio per il carcinoma alla tiroide: • EtàÆ <20 anni o >60 anni • SessoÆ Maschi>femmine • Irradiazione su testa e/o collo • Familiarità per carcinoma midollare • Familiarità per carcinoma papillare • Nodulo singolo • Rapido accrescimento del nodulo • Crescita sotto terapia soppressiva con LT4 (L‐tiroxina) • Fissità, consistenza dura • Linfoadenopatia. Caratteristiche ecografiche: ‐ Struttura solida ‐ Diametro antero‐posteriore maggiore del diametro trasversale ‐ Spiccata ipoecogenicità ‐ Margini irregolari ‐ Presenza di fini calcificazioni ‐ Vascolarizzazione solo o prevalente intranodulare. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 33 L’FNA può essere eseguito con o senza assistenza ecografica. Esistono aghi di lunghezza variabile da utilizzare a seconda della profondità del nodulo. Si utilizza una siringa da 10cc inserita in un dispositivo a pistola che permette l’aspirazione del materiale prelevato grazie all’applicazione di una pressione negativa. Il paziente deve essere disteso con un cuscino sotto le spalle per permettere la giusta estensione del collo. Si effettua la palpazione del nodulo da agoaspirare e si inserisce l’ago che va tenuto fisso con due dita. Mobilizzazione ripetuta dell’ago avanti ed indietro per 10‐15 volte in modo da permettere una corretta espirazione di cellule e colloide. Alcune gocce del materiale aspirato dovranno essere prontamente deposte su un vetrino per essere strisciate. I vetrini così allestiti dovranno: ‐ Essere immersi in etanolo 95% prima della colorazione secondo Papanicolau ‐ Lasciati essiccare all’aria per la colorazione con MGG. La puntura provoca un leggero fastidio, come una normale iniezione intramuscolare, ma all’interno della ghiandola tiroidea non ci sono recettori dolorifici per cui superato lo strato cutaneo non dovrebbe essere percepito alcun dolore. Si può percepire un’irradiazione del dolore dietro l’orecchio, questo per la stimolazione di terminazioni nervose cutanee. Le complicanze del FNA sono: ‐ Ematoma ‐ Episodio vasovagale ‐ Perforazione della trachea (rarissima). Un eventuale tumore non può essere disseminato dall’ago. È controindicata con pazienti con alterato coagulazione. TUMORI • Benigni: o Adenoma follicolare: Macrofollicolare o colloide Fetale Embionale A cellule di Hurtle. o Teratoma o Lipoma o Emangioma o Cisti. • Maligni: o Primitivi: Differenziati: • Carcinoma papillare • Carcinoma follicolare • Carcinoma midollare. Indifferenziati o Linfoma o Metastasi tiroidee da altri tumori. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 34 VALUTAZIONE DELLA PRESSIONE VENOSA Completa l’esame obiettivo del cuore. La pressione venosa centrale può essere valutata misurando la distanza verticale in centimetri dall’angolo sternale fino al menisco superiore della colonna ematica della vena giugulare esterna destra. La testa e le spalle del paziente devono essere sollevate a 45°. I valori normali si aggirano sui 3cm a cui bisogna sommare i 5cm fissi che sono la distanza dell’angolo di Louis dal centro dell’atrio destro. I valore è quindi di 8cm di sangue. Alternativamente la pressione venosa può essere valutata esaminando le vene del dorso della mano. Il paziente in posizione semi assisa, abbassa la mano al si sotto del livello cardiaco per il tempo necessario a produrre una distensione delle vene del dorso. L’arto viene poi passivamente e lentamente sollevato. Normalmente le vene collabiscono quando il livello del dorso della mano raggiunge il livello dell’angolo sternale di Louis o dell’incisura soprasternale. PULSAZIONI GIUGULARI Le vene del collo possono essere dilatate e pulsanti quando il paziente giace disteso. Non dovrebbero invece essere dilatate quando il paziente è seduto. Alla posizione di 45 gradi dalla orizzontale, non vi dovrebbero essere né turgore né pulsatilità delle vene del collo al di sopra del livello del manubrio dello sterno. Se esiste turgore e pulsatilità, la pressione venosa è probabilmente aumentata. È segno di uno scompenso del cuore sinistro. È necessario esaminare non solo le vene giugulari esterne, ma anche quelle interne, che decorrono al di sotto del muscolo sternocleidomastoideo. Una pulsazione visibile della vena giugulare interna, è spesso male interpretata come pulsazione dell’arteria carotide. L’ispezione da vicino rivela spesso che le pulsazioni venose sono multifasiche (almeno due picchi per ciclo) mentre le arteriose sono monofasiche. Se le pulsazioni sono di origine venosa, saranno influenzate dai cambiamenti di posizione del corpo. Saranno più pronunciate quando il paziente giace disteso, e meno pronunciate od assenti quando egli è seduto. In presenza di insufficienza cardiaca congestizia, inoltre, una compressione effettuata sul quadrante addominale superiore destro, mentre il paziente continua a respirare normalmente, provocherà un aumento del livello delle pulsazioni quando queste siano di origine venosa. Viene detto riflesso epatogiugulare. Nella persona normale una compressione ferma esercitata sull’addome superiore per un minuto, senza interferenze con la respirazione del soggetto, non aumenta la pressione venosa oltre i due centimetri. Aumenti superiori sono tipici di un reflusso epatogiugulare positivo. POLSI VENOSI Se si effettua la registrazione grafica delle pulsazioni delle vene giugulari, si nota una successione di onde positive e negative: • Onda “a”Æ PositivaÆ Dovuta alla contrazione atriale • Onda “c”Æ PositivaÆ Dovuta al fatto che durante la contrazione isovolumetrica del ventricolo, il piano valvolare atrioventricolare viene sospinto entro la camera atriale ove sporge e crea l’onda “c”. • Onda “x”Æ NegativaÆ Dovuta al fatto che durante la fase di eiezione ventricolare, il piano valvolare atrioventricolare viene stirato verso il basso, per cui la camera atriale si dilata. La distensione atriale è sufficiente a creare una caduta della pressione, registrata come onda negativa. Il punto “x” segna la fine del rilasciamento atriale. Questa incisura profonda prende pure il nome di “collasso sistolico”: mentre infatti il ventricolo si contrae (sistole), l’atrio si rilascia e la pressione cade (collasso). • Onda “v”Æ PositivaÆ Dovuta al fatto che nell’atrio continua ad arrivare sangue dalle vene cave e dal seno coronarico già al termine della presistole (onda a). Quando la pressione di riempimento atriale distende attivamente le pareti dell’atrio, si inscrive l’onda positiva v, il cui acme corrisponde all’apertura della valvola tricuspide. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 35 • Onda “y”Æ NegativaÆ Creata dallo svuotamento dell’atrio che produce una graduale distesa di pressione. Questa seconda caduta negativa si chiama pure “collasso diastolico” perché avviene durante la diastole ventricolare. Esistono due tipi di polsi venosi, in base al tempo di comparsa del polso venoso riferito alla sistole ventricolare: ‐ PresistolicoÆ Corrisponde all’onda “a”. Questa onda del polso giugulare compare 0.1‐0.2 secondi prima del polso carotideo. È necessario ricordare che l’onda “a” non si rileva in presenza di fibrillazione atriale a causa dell’assenza della sistole atriale. È presente: o Nell’ipertensione polmonare o Nella stenosi valvolare polmonare o Nella stenosi della valvola tricuspide o In tutti i casi in cui la compliance ventricolare destra è ridotta. ‐ SistolicoÆ Corrisponde all’onda “v”. Questa onda del polso giugulare è sincrona o segue di poco il polso carotideo. È marcata nell’insufficienza della tricuspide (insieme con le pulsazioni sistoliche del fegato congesto). Se lo scompenso è trattato e la pulsatilità dovuta all’onda “v” scompare dalle vene del collo, ciò significa che l’insufficienza della tricuspide è relativa e non organica. È necessario che l’esaminatore palpi l’arteria carotide opposta ed osservi se il polso venoso precede o se è sincrono con quello carotideo. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 36 ESAME OBIETTIVO DELL’OCCHIO OCCHIO ESTERNO È composto da: ‐ Palpebre ‐ Congiuntiva ‐ Ghiandola lacrimale. L’esame obiettivo degli occhi viene eseguito in maniera sistematica iniziando con le sopracciglia ed i tessuto circostanti e procedendo verso l’interno. ¾ SopraccigliaÆ Vanno ispezionate valutandone: o Dimensioni o Estensione o Consistenza dei peliÆ Ed esempio se le sopracciglia sono spesse e non si estendono oltre il canto temporale il paziente può essere affetto da ipotiroidismo. ¾ Zona orbitariaÆ Bisogna ispezionare alla ricerca di: o Edemi o Turgidità o Cedimento dei tessuti sottostanti. Va valutata anche l’eventuale presenza di xantelasmi, cioè di placche rilevate di colesterolo depositato più frequentemente a livello della porzione nasale della palpebra superiore o inferiore. ¾ Occhi chiusiÆ Bisogna esaminarli alla ricerca di tremori o di fascicolazioni delle palpebre (segno di ipertiroidismo). ¾ PalpebreÆ Ispezionare valutando la loro capacità di aprirsi o chiudersi in maniera completa. Bisogna cercare la presenza di arrossamento, desquamazione o tumefazione del margine palpebrale (blefarite). Le ciglia devono essere presenti su ambedue le palpebre e devono essere rivolte verso l’esterno. o PtosiÆ Quando l’occhio è aperto la palpebra superiore deve coprire una parte dell’iride, ma non la pupilla. Se una delle palpebre superiori copre una parte maggiore di iride rispetto all’altra può essere presente ptosi. Può essere indicativa di una ipotonia congenita o acquisita del muscolo elevatore o di una paresi di una branca del III° paio. La ptosi palpebrale se associata a miosi ed enoftalmo può essere dovuta a paralisi del simpatico cervicale o Sindrome di Bernard Horner. In questi casi è perduta l’azione tonica del muscolo di Mueller e la rima palpebrale risulta ridotta. o EntropionÆ Il bordo libero palpebrale è rivolto verso l’interno. Le ciglia possono causare irritazione congiuntivale e corneale, facendo aumentare il rischio di un’infezione secondaria. o EctropionÆ È una condizione opposta alla precedente con eversione del bordo libero palpebrale, più spesso quello inferiore, e con esposizione minore o maggiore della superficie congiuntivale. o OrzaioloÆ Corrisponde al foruncolo della pelle. È dovuto alla suppurazione delle ghiandole di Zeiss alla base di una ciglia sotto forma di tumefazione arrossata del bordo palpebrale per lo più centrata da una ciglia. o TrichiasiÆ Alterazione acquisita piuttosto frequente della direzione delle ciglia che sono rivolte verso l’interno in maniera tale che grattano la superficie corneale. o CalazioÆ Infiammazione granulomatosa delle ghiandole di Meibomio (sono ghiandole sebacee). In genere è una infiammazione cronica in conseguenza dell’occlusione del sotto ghiandolare con compartecipazione al processo dei tessuti circostanti. o LagoftalmoÆ Impossibilità di chiudere completamente l’occhio. ¾ CongiuntiveÆ La congiuntiva è di solito non visibile, chiara e libera da eritemi. Per ispezionare la congiuntiva che copre la palpebra inferiore si fa guardare il paziente in alto e si abbassa la palpebra inferiore. L’ispezione della congiuntiva tarsale superiore si effettua solo quando si sospetta la Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 37 presenza di un corpo estraneo. Si chiede al paziente di guardare in basso mentre si tirano delicatamente le ciglia in basso ed in avanti per vincere la forza di suzione tra la palpebra ed il globo oculare. Quindi rovesciare la palpebra su un piccolo tamponcino. Dopo aver ispezionato e rimosso eventuali corpi estranei far ritornare la palpebra alla sua posizione normale; chiedere al paziente di guardare in alto mentre si applica una pressione sulla palpebra. A livello della congiuntiva vanno evidenziate si presenti: o Alterazioni vascolari: IperemiaÆ Il paziente può avere sensazione di corpo estraneo, bruciori, fotofobia: • In corso di processi infiammatori • In forma transitoria in presenza di irritativi ambientali come: o Freddo o Fumo o Vento o Esposizione a luce intensa. • In forma cronica per: o Difetti refrattivi o Trichiasi o Alcolismo o Disturbi metabolici o Disturbi digestivi prolungati. Emorragia sottocongiuntivaleÆ Generalmente appare come presenza di sangue vivo in una zona ben definita, circondata da una congiuntiva di aspetto normale. Il sangue rimane di solo rosso vivo a causa della diffusione diretta dell’ossigeno attraverso la congiuntiva. Può manifestarsi: • In soggetti con fragilità capillare • In seguito a sforzi particolari: o Starnuti, tosse convulsa o Parto. • Traumi • Infiammazioni congiuntivali • Senza causa apparente. o Affezioni flogisticheÆ Si parla di congiuntiviti. Rappresentano la più comune patologia oculare. In genere il paziente ha senso di bruciore, senso di pesantezza, senso di corpo estraneo, prurito, arrossamento diffuso o localizzato, lacrimazione, secrezione. La cornea di solito è trasparente, la pupilla di diametro normale. Considerando la causa possiamo distinguere congiuntiviti: Batteriche, virali Allergiche Tossiche (endogene ed esogene) Fungine Parassitarie. Un aspetto a ciottolato romano può indicare una congiuntivite allergica. o Processi degenerativi: PterigoÆ Si intende una piega di tessuto congiuntivale che progredisce al di sopra della cornea, di solito dal lato nasale. Può interferire con la visione se avanza fino ad interessare la pupilla. Lo pterigo rappresenterebbe la reazione ad un processo di irritazione prolungata da flogosi croniche o da agenti atmosferici (frequente è infatti nelle persone esposte al vento e alla luce). PinguecolaÆ Comunissima negli adulti, si presenta sotto forma di nodulo giallastro rilevato più spesso localizzato dal lato nasale. Dal punto di vista anatomo‐ patologico si tratta di una degenerazione ialina del tessuto sottoepiteliale. o Lesioni traumatiche Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 38 o Tumori. OCCHIO INTERNO È composto da: ‐ La tonaca fibrosa è l’involucro più esterno del bulbo oculare. Viene suddivisa in una parte anteriore (1/6), trasparente, la cornea, ed in una parte posteriore (5/6) di colorito biancastro, la sclera. o CorneaÆ Parte più anteriore della tonaca fibrosa che si continua posteriormente con la sclera, rispetto alla quale differisce per la curvatura, per la struttura e per le funzioni. La superficie anteriore, convessa, è direttamente a contatto con l’ambiente, la superficie posteriore, concava, limita in avanti la camera anteriore dell’occhio (separa quindi il liquido contenuto nella camera anteriore dell’occhio dall’ambiente esterno). È perfettamente trasparente, costituendo uno dei più importanti mezzi diottrici dell’occhio (permette la trasmissione della luce attraverso il cristallino fino alla retina). Il limite di transizione tra sclera (bianca) e cornea (trasparente) è ben delineato e prende il nome limbus. La cornea è priva di vasi sanguigni e viene nutrita dai vasi del limbus e dall’umor vitreo. Possiede un’innervazione sensitiva, principalmente sensibile agli stimoli dolorosi. o ScleraÆ Membrana molto resistente, di natura connettivale, con funzioni di protezione e di sostegno nei confronti delle membrane oculari più interne. Su di essa si inseriscono i tendini dei muscoli estrinseci dell’occhio. È una struttura avascolare che esteriormente è visibile come la parte bianca del globo oculare. In corrispondenza della giunzione sclerocorneale si trova nella parte profonda della tonaca fibrosa, il sistema trasecolare sclerocorneale, questa formazione ha grande importanza nella regolazione della pressione endoculare. L’umor acqueo, prodotto continuamente a livello del corpo ciliare, passa infatti dalla camera posteriore a quella anteriore attraverso il foro pupillare, prende quindi la via del sistema suddetto e penetrando all’interno del canale di Schlemm viene infine drenata dalle vene episclerali. ‐ Tonaca vascolare o uvea (coroide, corpo ciliare e iride)Æ È situata tra la tonaca fibrosa e quella nervosa. È una membrana connettivale molto ricca di vasi, la cui funzione principale è quella di assicurare una adeguata nutrizione della retina. o CoroideÆ Si estende nei 2/3 posteriori del bulbo. Ha colorito brunastro. La sua superficie esterna è connessa con la sclera. Internamente è a contatto con la parte ottica della retina. Posteriormente presenta un foro che dà passaggio al nervo ottico. o Corpo ciliareÆ Continuazione anteriore della coroide, alla quale somiglia molto per la struttura. Inizia a livello dell’ora serrata (la parte più anteriore della retina) e continua poi in avanti fino al margine ciliare dell’iride. Può essere suddiviso in due zone: Posteriore della orbicolo ciliare con sottili pieghe radiali Anteriore detta corona ciliare, con piccoli rilevi radiali, i processi ciliari separati da piccole depressioni, vallecole, lungo le quali si dispongono filamenti formanti nel loro insieme la zonula ciliare (di Zinn). Questi filamenti si inseriscono all’equatore del cristallino. Alla faccia esterna del corpo ciliare si trova il muscolo ciliare. o IrideÆ porzione più anteriore della tonaca vascolare. Si presenta come un diaframma che stabilisce un confine tra la camera anteriore del bulbo e quella posteriore. Il centro dell’iride è occupata da un foro, la pupilla. Faccia anterioreÆ Volta verso la camera anteriore e visibile per trasparenza attraverso la cornea, ha il colore variabile da soggetto, secondo il grado di pigmentazione. La sua superficie è resa irregolare dalla presenza di numerose creste a decorso radiale, evidenti soprattutto quando il foro pupillare è ristretto e di piccole depressione (sripte). Faccia posterioreÆ Volta verso la camera posteriore e poggiata sul cristallino, ha aspetto vellutato e colorito nero per l’abbondanza di pigmento. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 39 Margine ciliareÆ periferico, prosegue posteriormente con il corpo ciliare ed è in rapporto anteriormente con l’angolo sclerocorneale. Margine pupillareÆ Circoscrive il foro pupillare. La sua zona di passaggio dalla faccia anteriore dell’iride alla faccia posteriore della cornea ha il nome di angolo iridocorneale. ‐ Pupilla ‐ Cristallino ‐ Retina. ¾ CorneaÆ Bisogna valutare: o TrasparenzaÆ Usando una fonte luminosa tangenziale. Non devono essere visibili vasi ematici, dal momento che la cornea non è vascolarizzata. o Sensibilità cornealeÆ Controllata dal V° paio di nervi cranici può essere valutata toccando la cornea con un batuffolo di cotone. La reazione attesa è un ammiccamento che richiede l’integrità delle fibre sensoriali del V° paio e delle fibre motorie del VII° paio. o A livello della cornea possono essere messe in evidenza: Affezioni flogisticheÆ Prendono il nome di cheratiti che possono essere: • UlcerativeÆ Sono molto comuni ed anche il medico internista avrà spesso modo di vederle. Il dolo è il sintomo costante in corso di ulcera corneale. Il paziente può lamentare una semplice sensazione di corpo estraneo che si accentua con i movimenti palpebrali o al contrario dei dolori più diffusi di tipo trigeminale per e retro oculari. Quasi sempre è presente lacrimazione, blefarospasmo, fotofobia. Vi può essere un interessamento dell’acuità visiva più o meno importante a seconda della localizzazione della lesione. A parte causa esogene ed endogene (esoftalmo, lagoftalmo, ectropion) le forme infettive più comuni sono quelle virali (herpes, adenovirus). • Non ulcerativeÆ Sono di diagnosi meno immediata Processi degenerativi: • Gerontox o arco senileÆ È costituita da una formazione semicircolare o anulare biancastra dovuta al deposito di esteri colesterinici, situati alla periferia della cornea in prossimità del limbus dal quale è separato da un bordo trasparente (intervallo lucido). Si riscontra praticamente, in forma più o meno accentuata, nella quasi totalità di individui oltre il 70° anno di vita. Nei soggetti più giovani può essere indicativo di una alterazione del metabolismo lipidico. ¾ ScleraÆ Deve essere di colore bianco e dovrebbe essere visibile al di sopra dell’iride solo quando le palpebre sono completamente aperte. Si possono evidenziate: o Malformazioni: Sclera bluÆ Ereditaria. La sclera sottile lascia trasparire le membrana sottostanti, le quali appaiono blu. A questa anomalia si può associare abnorme fragilità ossea e sordità (Sindrome di Van der Hoeve). MelanosiÆ La porzione anteriore può presentare a volte delle macchie brunastra o violacee che traspaiono attraverso la congiuntiva bulbare. o Affezioni flogistiche: EpiscleriteÆ Infiammazione del tessuto episclerale e degli strati più superficiali della sclera. ScleriteÆ Forma più profonda di flogosi. Si può avere in corso di TBC, reumatismo cronico, iperuricemia. o Processi degenerativi: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 40 Placca ialina senileÆ È scura di color ruggine e si forma appena anteriormente all’inserzione del muscolo retto mediale. La sua presenza non implica una condizione patologica. ¾ IrideÆ Lo strato epiteliale dell’iride è ricco di pigmento e dà la colorazione dell’occhio. Siccome insieme al corpo ciliare e la coroide compone l’uvea, i processi infiammatori di questa regione prendono il nome di uveite. A seconda della regione si distinguono: o Uveite anteriore: IriteÆ Interessa solo l’iride CicliteÆ Interessa solo il corpo ciliare IridocicliteÆ Sono interessati entrambe. È la più frequente. o Uveite posteriore o coroidite o Uveite diffusa. ¾ PupilleÆ Devono essere rotonde, uguali e di dimensioni uguali. La motilità pupillare è garantita da: o Muscolo sfintere dell’irideÆ Innervato da fibre parasimpatiche, provenienti dai nervi mesencefalici di Edinger‐Westphal che decorrono nel nervo oculomotore comune e attraversa il ganglio ciliare. o Muscolo dilatatore dell’irideÆ Innervato da fibre simpatiche provenienti dal gangli cervicale superiore aventi il pirenoforo nel centro cilio‐spinale di Budge del muscolo dorsale. Un ipertono vagale determina una miosi (diminuzione del diametro pupillare <2mm). Un ipertono simpatico determina midriasi (aumento del diametro pupillare >5mm). o MidriasiÆ La pupilla si dilata per effetto per effetto di: Farmaci che stimolano il sistema simpatico: • Adrenalina • Anfetamine • Cocaina. Farmaci che bloccano il parasimpatico: • Atropina • Scopolamina È di solito associata al coma (diabete, alcol, uremia) ed epilessia. o MiosiÆ La pupilla si costringe per effetto di: Farmaci che stimolano il parasimpatico: • Pilocarpina, muscarina • Acetilcolina. Farmaci che bloccano il simpatico, come i derivati della segale cornuta. La forma ed il diametro della pupilla sono influenzati da vari fattori e si deve pertanto stabilire se esiste: o Isocoria pupillareÆ Nel soggetto normale entrambe le pupille hanno lo stesso diametro. La variazione unilaterale del diametro (anisocoria) può essere l’espressione sia di irritazione che di lesione delle vie deputate alla motilità pupillare. o Isociclia pupillareÆ Usualmente le pupille presentano la stessa regolarità di contorno ed una forma circolare. In situazioni patologiche quali postumi di lesioni infiammatorie dell’iride, tabe dorsale, paralisi progressiva oppure alterazioni congenite, il contorno può assumere forme diverse: OvaleÆ È talvolta secondaria a traumi cranici o emorragia intracranica. Fasi di transizione tra la pupilla normale e la pupilla dilatata fissa associata all’aumento della pressione intracranica. Nella maggioranza dei casi torna normale con la normalizzazione della pressione intracranica. A goccia Irregolare. Sindrome di Claude Bernard‐HornerÆ Si caratterizza per: Anisocoria con miosi monolaterale Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 41 Ptosi palpebrale Enoftalmo (per deficit del muscolo di muller) Arrossamento della metà corrispondente del viso. Indica una lesione distruttiva del simpatico cervicale che è preposto alla contrazione del muscolo dilatatore dell’iride. Sindrome di Parfour‐DepetitÆ presenta: Anisocoria con midriasi Sollevamento della palpebra superiore Esoftalmo Pallore dell’emifaccia corrispondente. Indica una lesione irritativa del simpatico cervicale. Queste sindromi sono frequenti nelle affezioni del mediastino superiore ed in quelle dell’apice polmonare (tumori di Pancost). Sindrome di PancostÆ Sindrome di Bernard‐Horner più nevralgia cervicobrachiale più turbe vasomotorie dell’arto superiore. o Pupillotonia o reazione pupillare tonicaÆ La pupilla si dice tonica (pupillotonia) quando la reazione alla luce è abolita con la comune metodica, ma evocabile, seppure con una reazione molto lenta, in adatte condizioni (prova in camera oscura). Reazione all’accomodazione‐convergenza può avvenire seppur lentamente e con intervallo anche di cinque minuti. La pupilla tonica, spesso osservata in giovani donne, tra i 20 e i 30 anni, se associata all’assenza di alcuni riflessi profondi (sia patellari che achillei), costituisce la sindrome di Adie di genesi sconosciuta e di carattere benigno e non evolutivo. o HippusÆ Costituito dal ritmico alternarsi di contrazioni e dilatazioni della pupilla. Da alcuni autori è considerato un segno associato alla sclerosi multipla o tumori cerebrali. In genere è però ritenuto privo di particolare significato diagnostico. Riflessi pupillari: o Riflesso alla luceÆ Esaminare il paziente in una stanza scarsamente illuminata. Illuminare l’occhio direttamente con una lampadina tascabile ed osservare la costrizione della pupilla. o Riflesso consensuale alla luceÆ Consiste in una costrizione pupillare dell’occhio opposto a quello esaminato quando è protetto con uno schermo dalla sorgente luminosa. L’arco riflesso è costituito da retina, vie ottiche, corpi genicolati, nuclei irido costrittori di Edinger‐ Westphal del mesencefalo, nervo oculomotore comune, ganglio ciliato, muscolo sfintere dell’iride. Il riflesso alla luce sarà abolito per una interruzione dell’arco riflesso in qualsiasi punto (retina, nervo ottico, nervo oculomotore comune). o Riflesso di accomodazioneÆ Per provocare il riflesso di accomodazione si invita il paziente a fissare un oggetto lontano qualche decina di metri e successivamente a fissare un oggetto o il dito dell’esaminatore posto a circa 20‐30cm di distanza. Si attua comunemente ponendo il paziente davanti ad una finestra e facendo fissare prima un oggetto a distanza e successivamente la penna dell’esaminatore posta a circa 20cm. La visione per vicino comporta costrizione pupillare. La valutazione della risposta pupillare all’accomodazione riveste un’importanza diagnostica solo in presenza di una contemporanea alterazione della risposta pupillare alla luce. Una mancata reazione alla luce diretta con conservazione del riflesso costrittivo nel corso dell’accomodazione e convergenza è talvolta osservabile nei pazienti affetti da sifilide o da diabete (fenomeno di Argyll‐Robertoson). o Riflesso pupillare alla convergenzaÆ Le pupille divengono miotiche seguendo l’avvicinarsi del dito dell’osservatore alla punta del naso. La valutazione combinata del diametro pupillare e della reattività alla luce ha grande importanza pratica. o Miosi bilaterale rigidaÆ Si può osservare nel: • Sindrome da ipertensione endocranica con sofferenza o lesione del ponte • Intossicazione da fenotiazine Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 42 • Intossicazione da oppiacei (eroina, morfina e in tal caso la miosi cede all’installazione di collirio al naloxone) • Avvelenamento da estero fosforici • Muscarina (amanita muscaria). o Midriasi bilaterale rigidaÆ Si può avere in corso di: • Danno mesencefalico grave dovuto a sofferenza anossica dei centri nervosi (questo si verifica generalmente nel collasso cardiocircolatorio con sincope). • Intossicazione da barbiturici • Intossicazione da atropina • Intossicazione da anfetamine • Intossicazione da cocaina. o Midriasi unilaterale rigidaÆ Esprime generalmente lesione del nervo oculomotore comune (III° paio). Ma può essere realizzata da: • Aumento della pressione intracranica • Trauma cranico con ematoma • Compressione sul tronco encefalico per tumore o aneurisma. È evidente che in questi casi bisogna essere certi che la dilatazione o costrizione delle pupille non sia dovuta ad installazione di colliri (ad esempio atropina o pilocarpina). ¾ CristallinoÆ Dovrebbe essere trasparente. Quando illuminato può apparire di color grigio o giallo. L’esame del cristallino con l’oftalmoscopio aiuterà a giudicare la sua trasparenza. CatarattaÆ Ogni opacità del cristallino che può interessare la corteccia o il nucleo. La capsula della lente non diviene mai opaca. Può essere: o Congenita o Acquisita: Cataratta senile Cataratta traumatica Cataratta da agenti fisici Cataratta di origine tossica Cataratta in corso di altre malattie dell’organismo (diabete, galattosemia, ipoparatiroidismo, sindrome di Down, ipopituitarismo, ipogonadismo, iposurrenalismo). Cataratta complicataÆ Si intende l’opacizzazione della lente che sopravviene come conseguenza di un’altra malattia oculare: cheratite, uveite, distacco della retina, glaucoma acuto, miopia elevata, tumori endoculari. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 43 CIANOSI Per cianosi si intende una colorazione bluastra della cute e delle mucose visibili dovuta ad eccesso di emoglobina (Hb) ridotta nel sangue capillare. L’Hb ridotta deve essere maggiore di 5g/100ml. È importante la quantità assoluta e non quella relativa. I soggetti anemici infatti sono difficilmente cianotici. I soggetti poliglobulici sono invece più facilmente cianotici. PseudocianosiÆ Colorazione bluastra della cute dovuta alla deposizione di sostanze estranee: ‐ ArgentoÆ Arginosi (colore grigio‐azzurro) ‐ OroÆ Auriasi ‐ ArsenicoÆ Melanosi da arsenico. Le condizioni che possono modificare l’espressione clinica della cianosi sono: • Pigmentazione della cuteÆ La pigmentazione scura o iperbilirubinemia • Stato dei capillari cutanei • Vasodilatazione superficiale facilita • Spessore della cute. Cianosi può essere più facilmente osservata dove la cute è più sottile, scarsamente pigmentata e riccamente irrorata come lobo dell’orecchio, labbra, letto ungueale, … La cianosi non sempre è segno di ipossiemia. Può essere presente una grave ipossiemia senza cianosi in un soggetto anemico o nell’avvelenamento da monossido di carbonio (gran parte dell’Hb viene bloccata dal CO e non può legare l’O 2 ). Viceversa può essere presente cianosi senza ipossiemia in un soggetto policitemico. CLASSIFICAZIONE La cianosi si può dividere in: ¾ CentraleÆ La saturazione di ossigeno è minore della norma e quindi l’Hb ridotta aumenta nel sangue arterioso. Il sangue parte già desaturato dal ventricolo sinistro per: o Difettosa ossigenazione del sangue a livello polmonare o Patologico mescolamento del sangue venoso con sangue arterioso prima che questo venga immesso nel circolo sistemico o Presenza di emoglobine anomale con alterata affinità per l’ossigeno. È sempre generalizzata ed è in rapporto all’ipossiemia. ¾ PerifericaÆ Si verifica per aumentata estrazione di O 2 da parte dei tessuti e quindi nel versante venulare dei capillari è presente un contenuto di Hb ridotta maggiore di 5gr/100ml. L’aumentato depauperamento periferico di O 2 è generalmente conseguenza di rallentamento della circolazione, che può essere: o SistemicoÆ Per esempio nelle: Sindromi da bassa portata Stasi venosa del grande circolo. o LocalizzatoÆ Come nel: Vasospasmo arteriolare Trombosi venosa periferica. È sia distrettuale che generalizzata ed è correlata all’aumento della differenza artero‐venosa di O 2 . ¾ MistaÆ Riconosce meccanismi in parte di origine centrale in parte di origine periferica. CAUSE • Cianosi centrale: o Ridotta saturazione in O 2 del sangue arterioso: Ridotta pressione atmosferica (grandi altezze) Alterata funzione polmonare: • Ipoventilazione alveolare: o Per alterato stimolo centrale o Alterazioni del sistema neuromuscolare o Alterazioni della parete toracica Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 44 o Alterazioni delle vie aeree. • Alterato rapporto ventilazione/perfusione o Atelettasia o Pneumotorace o Polmonite massiva o Ecc… • Alterata diffusione alveolo‐capillare dell’O 2 . Shunt anatomici: • Cardiopatie congenite cianotiche • Fistole arterovenose polmonari. Emoglobina con scarsa affinità per l’ossigeno o Aumento dell’Hb totaleÆ Poliglobulia. • Cianosi periferica: o Generalizzata: Ridotta portata cardiaca Esposizione a basse temperature. o Distrettuale: Ostruzione arteriosa: • Embolia • Trombosi • Vasospasmo. Ostruzione venosa: • Flebotrombosi o tromboflebite. • Cianosi mista: o Insufficienza cardiaca congestizia: Componente centraleÆ Dovuta alla difettosa ossigenazione del sangue arterioso per la compromissione degli scambi alveolo‐capillari dovuti all’edema interstiziale Componente perifericaÆ Dovuta alla riduzione della portata cardiaca ed all’ostacolato ritorno venoso. o Poliglobulia: Componente centraleÆ Legata all’impossibilità di ossigenare una quantità di Hb troppo elevata Componente perifericaÆ Dovuta al rallentamento del circolo per iperviscosità ematica. FATTORI CHE INFLUENZANO L’ATTIVITÀ PER L’OSSIGENO ¾ Riduzione dell’affinità per l’ossigeno (spostamento della curva di dissociazione dell’O 2 verso destra): o Aumentata concentrazione idrogenionica (minore del pH) o Aumento di pCO 2 o Aumento della temperatura o Aumento di DPGÆ Adenosindifosfato, adenosintrifosfato e fosfato inorganico negli eritrociti. o Anemia o Soggiorno ad alta quota. ¾ Aumento dell’affinità per l’ossigeno (spostamento della curva di dissociazione dell’O 2 verso sinistra): o Diminuita concentrazione idrogenionica (maggiore del pH) o Diminuzione di pCO 2 o Riduzione della temperatura o Diminuzione di DPGÆ Adenosindifosfato, adenosintrifosfato, fosfato inorganico negli eritrociti Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 45 o Sangue conservato (da emoderivati) o Sangue fetale o Aumento di carbossiemoglobina e metaemoglobina eritrocitaria. CONCLUSIONI La cianosi si verifica per una alterazione del normale funzionamento del trasporto di O 2 . Questo richiede: 1. Una corretta ventilazione e diffusione polmonare che assicuri una adeguata pO 2 alveolare prima ed arteriosa poi. 2. La presenza di adeguata quantità di Hb normale in grado di garantire captazione e cessione di O 2 3. La capacità del sistema cardiovascolare di fornire a tutti i tessuti una quantità di sangue ossigenato sufficiente alle richieste. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 46 ESAME OBIETTIVO DEL SISTEMA NERVOSO SISTEMA PIRAMIDALE Il sistema piramidale è costituito da due ordini di neuroni: ‐ Primo neuroneÆ Centrale ‐ Secondo neuroneÆ Periferico. Il neurone centrale (protoneurone) è situato nella corteccia motrice (circonvoluzione precentrale) ed il suo cilindrassi si raccoglie a livello della capsula interna. A livello del bulbo ha luogo la “decussatio”, cioè l’incrociamento dell’80‐90% delle fibre (fascio piramidale crociato). Nel midollo scendono quindi due fasci piramidali: ‐ Fascio piramidale crociato che oltrepassa la linea mediana e decorre nel cordone laterale del midollo del lato opposto ‐ Fasci piramidale diretto (10% delle fibre piramidali) che decorre, senza incrociarsi, nel cordone anteriore omolaterale. Entrambi i fasci terminano nelle corna anteriori del midollo spinale, prendendo contatto col neurone periferico ed esercitando su di esso una funzione di controllo per lo più inibitorio. Il neurone periferico (o secondo neurone) è situato: ‐ Per i nervi cranici nei nuclei motori corrispondenti ‐ Per i nervi spinali nelle corna grigie anteriori. Il neurone periferico corrisponde al motoneurone dell’arco diastatico od arco riflesso elementare. I cilindrassi del secondo neurone decorrono nei nervi periferici assieme a fibre sensitive (nervi sensitivi e motori) oppure soli (nei nervi motori) e terminano nelle placche motrici dei muscoli. PARALISI FLACCIDA (SINDROME PIRAMIDALE DEFICITARIA) FacciaÆ La commissura labiale è abbassata dal lato offeso (paralisi del facciale di tipo centrale con integrità del facciale superiore. La lingua, se sporta, devia verso il lato paralizzato. C’è deviazione coniugata della testa e degli occhi (il malato “guarda” l’’emisfero cerebrale leso). Arto superioreÆ Nell’emiplegia l’arto superiore è interessato in modo più marcato della faccia e dell’arto inferiore. La paralisi predomina nei muscoli estensori e supinatori. La mano cade in flessione e giace in pronazione. Facendo tenere le braccia orizzontalmente in avanti, dal lato paralizzato il braccio si abbassa prima e la mano assume un atteggiamento cascante, con le dita in semiflesisone. Arto inferioreÆ L’arto paralizzato si trova spesso in rotazione esterna con il piede in estensione plantare (vedi manovra di Mingazzini e segno di Barrè). Durante la fase di flaccidità i riflessi tendinei sono normali o aboliti, soprattutto durante il coma. La loro accentuazione indica il passaggio allo stato spastico (sindrome piramidale irritativa). PARALISI SPASTICA (SINDROME PIRAMIDALE IRRITATIVA) Uno o due mesi dopo l’esordio dell’emiplegia compaiono contratture muscolari dovute ad una esagerazione del tono muscolare. Faccia e troncoÆ I muscoli della faccia e del tronco sono per lo più indenni. La palpazione dell’addome non offre resistenza. L’ispezione del volto no permette di identificare il lato paralizzato. Arto superioreÆ Predomina la contrattura in flessione. Arto inferioreÆ Predomina la contrattura in estensione. I riflessi tendinei ed osteopriostei sono esagerati. L’interruzione o distruzione delle vie di moto in qualsiasi punto del loro percorso o in qualunque loro struttura avrà come conseguenza una paralisi. I caratteri di tale paralisi sono però molto diversi a seconda che la via di moto interrotta sia il primo neurone (centrale) o il secondo neurone (periferico). L’interruzione del motoneurone centrale, a qualsiasi livello essa avvenga, comporta: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 47 1. Perdita dei movimenti volontari degli arti, contro lateralmente alla lesione cerebrale (paralisi piramidale o centrale) 2. Aumento del tono muscolare per cui la paralisi si definisce spastica (in realtà, in caso di lesione acuta vascolare o di lesione acuta trasversa del midollo, inizialmente la paralisi è flaccida, con abolizione dei riflessi, in quanto i centri spinali, abituati a lavorare sotto controllo della via piramidale, privati di questa collaborazione, restano incapacità per qualche tempo di funzionare da soli. 3. Esaltazione dei normali riflessi propriocettivi dello stesso lato della paralisi (con trofismo muscolare conservato). 4. Comparsa di riflessi patologici: o Fenomeno di BabinskiÆ Estensione dorsale, lenta, dell’alluce, allo strisciamento di una punta smussa sul margine esterno della pianta del piede. o Clono della rotula e del piedeÆ Successione rapida e ritmica di contrazioni e decontrazioni che persiste per tutto il tempo che si mantiene con la mano la rotula spinta bruscamente verso il basso od il piede bruscamente flesso dorsalmente. 5. Scomparsa dei riflessi cutanei addominali dello stesso lato della paralisi piramidale. La lesione del motoneurone periferico è invece caratterizzata da: 1. Paralisi omolaterale 2. Perdita del tono muscolare (paralisi flaccida) 3. Deficit del trofismo dei muscoli interessati dalla paralisi 4. Abolizione dei riflessi propriocettivi. ESAME NEUROLOGICO Comprende: • Esame del linguaggio • Sistema motorio • Sistema sensitivo • Sistema cerebellare • Nervi cranici • Postura e deambulazione DISTURBI DEL LINGUAGGIO I possibili disturbi del linguaggio sono: 1. Disfasia (o se completa afasia)Æ Quando il paziente ha difficoltà a formulare con frasi o parole esatte il pensiero che vuole esprimere, anche con un’adeguata capacità di articolazione. La lesione interessa uno dei complessi meccanismi del linguaggio nell’emisfero dominante. Sintomi di disfasia sono anche i disturbi della scrittura (disgrafia), l’incapacità di comprendere le parole (disfasia recettiva) e i testi scritti (dislessia). 2. Disartria (anartria)Æ Quando il tono della voce e il contenuto del linguaggio sono normali, ma sono alterate l’articolazione e la pronuncia delle singole frasi. È dovuta ad un disturbo del controllo dei muscoli che agiscono nell’articolazione del linguaggio, causato da una lesione del primo e del secondo motoneurone, del sistema cerebellare o di muscoli stessi, dunque a più livelli. 3. Disfonia (afonia)Æ Quando il paziente pur parlando produce suoni con alterata tonalità o addirittura bisbigliati. È dovuta a patologie della laringe e delle corde vocali. Se il paziente è in grado di tossire normalmente potrebbe trattarsi anche di una manifestazione isterica. 4. MutismoÆ Quando il paziente è cosciente ma non si sforza di parlare o di emettere suoni. Rientra in genere nell’ambito di un disturbo psicologico, ma si può osservare anche in lesioni della parete anteriore del terzo ventricolo e della superficie posteromediale del lobo frontale bilateralmente. Un completo mutismo talvolta è dovuto a una grave afasia motoria (afasia di Broca), ma il paziente dà l’impressione di prestare attenzione e di tentare di comunicare, anche se incapace di parlare. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 48 SISTEMA MOTORIO Le conoscenze sul meccanismo di funzionamento dell’unità motoria possono essere approfondite attraverso lo studio di: • Tono muscolareÆ Viene definito come il grado di tensione presente nel muscolo a riposo. Se un muscolo viene palpato mentre è a riposo, o meglio se l’esaminatore mobilizza passivamente gli arti o il capo, si apprezza un certo grado di resistenza muscolare indicato come tono muscolare. Questa tensione attiva presente nel muscolo normale è un fenomeno di natura riflessa e dipende in gran parte dal riflesso di stiramento miotatico. Si esamina: o L’atteggiamento generale del paziente: Postura del tronco in posizione di riposo Postura del capo e collo Postura degli arti. Ciascun atteggiamento va confrontato con il lato opposto o con il tronco. Queste osservazioni sono ripetute con paziente seduto, in piedi e durante la marcia. In questo modo vengono osservate le risposte dei vari muscoli alla gravità e le variazioni dovute al peso della testa e degli arti. o Si saggia la resistenza passiva alla mobilizzazione degli arti a livello di ciascuna articolazione (con movimenti di estensione e flessione ripetuti varie volte perché ad esempio la troclea dentata non si evidenzia subito). o Si sollevi un braccio del paziente e lo si lasci cadere sul letto, si effettui la stessa manovra sull’altro braccio, e si confrontino i movimenti che di solito ne rallentano la caduta. Questa prova è particolarmente utile nei pazienti in stato stuporoso e in quelli non collaboranti. Si fletta poi l’anca, si sollevi l’arto inferiore fino a formare un angolo più che retto con il ginocchio e lo si lasci cadere, notando anche in questo caso i normali movimenti di arresto. Il tono potrà essere normale, aumentato o ridotto. Si parlerà pertanto di: o NormotoniaÆ Resistenza molto modesta con caratteristiche di plasticità o IpertoniaÆ L’ipertono può essere così marcato da impedire la mobilizzazione. Ci sono due tipi di ipertonia: Ipertonia piramidale o spasticitàÆ Questo è il segno di una lesione del primo motoneurone, cioè delle vie piramidali. Si determina una resistenza nella mobilizzazione passiva di arti o segmenti di arti che aumentano gradatamente finché ad un certo livello di stiramento cessa all’improvviso (fenomeno del temperino o coltello a serramanico). L’ipertonia interessa i muscoli antigravitari e cioè: • Nell’arto superiore i flessori e pronatori dell’avambraccio e flesso del polso e delle dita • Nell’arto inferiore gli adduttori ed estensori della coscia e della gamba e i flessori del piede e delle dita. Si viene a determinare un atteggiamento tipico con arto superiore flesso ed intraruotato e arto inferiore esteso con piede equino. L’andatura, visto l’atteggiamento dell’arto inferiore, è detta falciante. Normalmente l’ipertonia piramidale tende ad instaurarsi 7‐15 giorni dopo l’esordio dell’emiplegia, ma esistono d’altra parte casi che presentano anche permanentemente una nette ipotonia. Ipertonia extrapiramidale o rigiditàÆ La rigidità interessa in egual misura sia i muscoli agonisti che gli antagonisti per cui la resistenza opposta alla mobilizzazione passiva è sempre uguale dall’inizio alla fine del movimento passivo. Il muscolo passivamente disteso conserva la posizione assunta (rigidità plastica). Questo tipo di ipertonia è peculiare di una lesione del sistema extrapiramidale. Si può osservare il fenomeno della ruota o della troclea dentata (tipico del morbo di Parkinson)Æ Durante la mobilizzazione passiva si succedono variazioni del tono Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 49 dando all’esaminatore la sensazione che a livello dell’articolazione esiste una sorta di ruota dentata. o IpotoniaÆ Risulta semeiologicamente di più difficile apprezzamento dell’ipertonia. Vi è una maggior facilità e cedevolezza alla mobilizzazione passiva Le articolazioni possono essere maggiormente ipertese Gli arti ricadono più pesantemente se sollevati passivamente. I muscoli appaiono flaccidi, pendenti quando siano sospesi liberamente, offrono una ridotta resistenza ai movimenti passivi e così determinano un aumento dell’estensione dei movimenti articolari. Riescono con difficoltà a mantenere la posizione di un arto, il quale può facilmente spostarsi, non accompagnano subito il suo rilassamento. I riflessi tendinei sono diminuiti o assenti. Nelle lesioni neurologiche l’ipotonia è prodotta da: Interruzione di un arco riflesso Patologia cerebellare “Shock” cerebrale o spinale, cioè subito dopo un accidente vascolare o un trauma. Questo stadio o stadio iniziale o stadio dello shock è destinato a durare alcune ore ed eccezionalmente 2‐3 giorni. Prove semeiologiche: Prova del ballottamentoÆ Provocare movimenti passivi, alternati e molto rapidi. Si osserva la facilità e l’ampiezza con cui si avverte il movimento. Prova della spintaÆ Se il soggetto in piedi subisce una spinta dall’avanti in dietro a livello del tronco rileva una contrazione del tibiale anteriore che tende ad opporsi alla direzione della spinta. Nell’ipotonia la contrazione appare con un certo ritardo rispetto al lato controlaterale Per ottenere una decontrazione del paziente (se si devono per esempio studiare le oscillazioni degli arti inferiori) è utile far eseguire la manovra di JendrassikÆ L’ammalato seduto sul lettino con le gambe a penzoloni fuori del letto viene invitato a mantenere il capo esteso, occhi fissi al soffitto e ad agganciarsi le mani l’una all’altra espletando il massimo della forza. Vale la pena ricordare che una lesione del motoneurone alta produce: o Spasticità o Iperriflessia o Clone o Segno di Babinski. Una lesione del motoneurone bassa determina: o Atrofia o Fascicolazioni o Ipotonia o Iporiflessia. • Funzione troficaÆ La valutazione del trofismo muscolare deve tener conto di: o Variazioni individuali nelle dimensioni del muscolo o Sesso, età e costituzione o Tipo di lavoro comunemente eseguito o Abitudine a determinate pratiche sportive o Stato generale di nutrizione. Il trofismo muscolare è legato all’integrità dell’unità neuromuscolare. Se un muscolo è denervato, cioè se una qualunque parte dell’unità motoria è lesa le fibre muscolari si riducono di volume (in 90gg circa l’80% di riduzione). Valutazione del trofismo muscolare: o Già con l’ispezione si può osservare una riduzione o un aumento del volume delle masse muscolari o Con la palpazione si potrà rilevare la loro consistenza o La valutazione globali del trofismo va condotta confrontando i muscoli dei due lati. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 50 Si può parlare di: o Ipotrofia o atrofiaÆ Definisce una riduzione più o meno intensa della massa muscolare precedentemente esistente che può progredire fino a gradi estremi (atrofia). È sempre associata ad un significativo deficit di forza. Si osserva: Nelle miopatie Nelle lesioni del motoneurone periferico (mielopatie, radicolopatie, neuropatie periferiche) Nelle immobilizzazione prolungate di uno o più arti (atrofia da non uso). La distribuzione dell’ipotrofia è un elemento importante per la definizione della sede del processo patologico. Un’ipotrofia nel territorio di innervazione di un nervo periferico o di una o più radici orienta verso una lesioni di tali strutture. Negli stati di grave denutrizione l’ipotrofia non sarà localizzata, ma diffusa. o IpertrofiaÆ Definisce un aumento di volume della massa muscolare. Generalmente non è un elemento patologico, soprattutto se associato ad una valida forza. o PseudoipertrofiaÆ Al contrario, nelle pseudo ipertrofie, presenti in alcune malattie muscolari, si osserverà un aumento di volume muscolare tanto da simulare grossolanamente all’ispezione ad un aspetto atletico, mentre la forza è ridotta. Risposte particolari: o Risposta miotonicaÆ Persistenza di una contrazione muscolare oltre la norma e comunque diversi secondo dopo la fine della stimolazione che l’ha scatenata. Se un soggetto affetto da miotonia stringe il pugno con forza per qualche secondo, non potrà, per quanti sforzi faccia, obbedire immediatamente all’ordine di aprire il pugno. o FascicolazioniÆ Contrazioni spontanee, incontrollabili, irregolari e brevi di fibre muscolari appartenenti alla stessa unità motoria. Possono essere evidenziate soprattutto in regioni con scarso pannicolo adiposo e sono spesso felicitabili con la percussione del ventre muscolare. Sono avvertite dal soggetto come rapidi ed improvvisi guizzi di una parte del muscolo. Sono dovute a lesione del motoneurone periferico. Possono essere anche benigne. • Forza muscolareÆ Un disturbo della forza muscolare globale può essere messo in evidenza con le manovre seguenti, specialmente utili nei deficit di forza di origine piramidale: o Segno di Mingazzini agli arti superioriÆ Il malato seduto, ad occhi chiusi, viene invitato a protendere le braccia con le palme rivolte verso il pavimento e a mantenere questa posizione per 3‐4 minuti. In questa posizione l’arto paretico lentamente inizia ad abbassarsi per il deficit degli estensori. Qualora il deficit motorio sia estremamente modesto soltanto le dita della mano o la mano tenderanno ad abbassarsi o l’arto lievemente abbassato viene richiamato alla posizione di partenza, cosicché si possono osservare lente oscillazioni. o Segno della pronazioneÆ Il malato è posto nella posizione precedente, ma le palme delle mani sono rivolte verso l’alto. Nelle lesioni piramidali, lentamente la mano paretica, ed in seguito il braccio, si portano in pronazione perché i muscoli supinatori dell’arto superiore sono insieme con altri gruppi muscolari, primitivamente colpiti e pertanto si evidenzia l’azione prevalente dei pronatori. o Segno della mano cavaÆ Segno molto precoce di lesione piramidale. Il malato seduto tiene gli avambracci a circa 90°, la faccia palmare delle mani in avanti, le dita divaricate con forza. In caso patologico a causa dell’adduzione del pollice il palmo della mano si incava perché il pollice e l’eminenza tenar sono portati in avanti ed in dietro. o Segno di Mingazzini agli arti inferioriÆ Il malato è posto in posizione supina, le cosce sono flesse a 90° sul tronco e le gambe formano un angolo retto con le cosce. L’arto leso inizierà lentamente a cadere. Questa prova esplora i muscoli ileo‐psoas e gli estensori della gamba sulla coscia. o Segno di BarréÆ Il malato è posto a bocconi sul letto, le cosce lievemente divaricate e le gambe flesse ad angolo retto sulle cosce. L’arto leso inizierà lentamente a cadere. Esplora la forza del bicipite femorale, del semitendinoso, del semimembranoso. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 51 o Esame segmentale della forza muscolareÆ La forza impiegata in una contrazione muscolare volontaria o attiva può essere esaminata facendo compiere un movimento contro resistenza imposta dall’esaminatore. Quando però la forza del soggetto appare di grado già molto modesto sarà utile esaminare il movimento contro gravità o addirittura a gravita eliminata. • RiflessiÆ Sono rappresentati da una contrazione muscolare involontaria ottenuta per appropriata stimolazione di una determinata struttura sensitiva. o Riflessi fisiologiciÆ presenti in ogni soggetto normale e che, nelle diverse lesioni del sistema nervoso sono suscettibili di modificazioni quantitative: iperreflessia, iporeflessia, areflessia. Si dividono in: Riflessi profondi (o riflessi tendinei o riflessi osteoperiostei o riflessi miotatici o riflessi di stiramento)Æ Rappresentano la risposta motoria ottenuta per stimolazione dei recettori sensoriali del fusi neuromuscolari. I riflessi profondi sono monosinaptici e uni segmentali e ognuno di essi ha un centro proprio situato in un determinato segmento midollare. • Riflesso masseterino o mandibolareÆ Si applica un leggero colpo di martelletto o sul dito posto sul mento del paziente o su un abbassalingua posto sull’arcata dentaria inferiore. La contrazione del massetere causa la chiusura della bocca. L’arco afferente è dato dal trigemino, l’efferente anche. • Riflesso bicipitaleÆ Si ottiene percuotendo il pollice dell’esaminatore posto sul tendine del muscolo bicipite alla piega del gomito, a braccio lievemente flesso. In condizioni normali si ottiene la flessione dell’avambraccio. • Riflesso tricipitaleÆ Si provoca percuotendo, al gomito, il tendine del muscolo tricipite, subito sopra l’olecrano, ad arto semiflesso. In condizioni normali si ottiene l’estensione dell’avambraccio sul braccio. • Riflesso stilo‐radiale o supinatoreÆ L’arto superiore del paziente viene lasciato appoggiare sulla gamba. Si ottiene percuotendo sull’apofisi stiloide del radio ad arto semiflesso ed in posizione intermedia tra pronazione e supinazione. Questo determina una flessione dell’avambraccio sul braccio. • Riflesso stilo‐cubitale o pronatore ulnareÆ Si evoca percuotendo sull’apofisi stiloide dell’ulna, mantenendo l’arto come per il precedente riflesso, si ottiene una lieve pronazione dell’avambraccio e della mano. • Riflesso rotuleoÆ Si provoca percuotendo immediatamente al di sotto della rotula, a paziente seduto con gambe a ciondoloni o con l’arto in esame accavallato, oppure a paziente supino, passando la mano libera sotto il ginocchio dell’arto in esame, allo scopo di fletterne leggermente l’articolazione. In condizioni normali si ottiene l’estensione della gamba sulla coscia per contrazione del muscolo quadricipite. • Riflesso achilleoÆ Si provoca percuotendo sul tendine d’Achille, mentre il paziente si trova in ginocchio sul letto in modo che i piedi sporgano dalla sponda, oppure in posizione supina con l’arto inferiore semiflesso e tenendo, con la mano libera, il piede in stato di leggera flessione. In condizioni normali si ottiene l’estensione del piede sulla gamba. Riflessi superficiali esterocettiviÆ A differenza dei riflessi profondi che sono monosinaptici, i riflessi superficiali sono polisinaptici e polisegmentali. • Riflesso cornealeÆ Stimolando la cornea in senso latero‐mediale (con cotone) con il paziente che guarda dalla parte opposta si ottiene una contrazione dell’orbicolare della palpebre con ammiccamento. • Riflesso faringeoÆ Stimolando la parete posteriore della faringe con un abbassa‐lingua si ottiene la contrazione dei muscoli faringei. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 52 • Riflessi addominali superiore, medio e inferioreÆ A soggetto completamente rilassato con i muscoli addominali completamente distesi, l’esaminatore striscia con una punta smussa, obliquamente, dall’esterno all’interno o dell’interno all’esterno sulla cute dell’addome. Sono spesso assenti negli stadi iniziali di sclerosi multipla e lesioni piramidali • Riflesso cremastericoÆ Viene stimolata la cute della faccia mediale della coscia, alla radice dell’arto, strisciando con una punta smussa per ottenere una contrazione del cremastere e quindi un sollevamento del testicolo. • Riflesso analeÆ Si stimola con una punta smussa la cute perianale e ottiene come risposta la contrazione dello sfintere esterno. • Riflesso bulbo‐cavernosoÆ Si ottiene stimolando la cute della parte anteriore del pene o pungendo lievemente il glande. Si apprezzerà la contrazione del muscolo bulbo‐cavernoso alla base del pene. • Riflesso cutaneo plantareÆ Per stimolazione, con una punta smussa, della cute della porzione centrale della pianta del piede ascendendo dal calcagno alle dita, si ottiene la flessione plantare delle dita. o Riflessi patologiciÆ Non sono presenti nel soggetto normale ed espressione di lesioni del sistema nervoso Segno di BabinskiÆ Strisciando con un oggetto appuntito lungo il margine esterno della pianta del piede e quindi verso l’alluce si ottiene, in condizioni normali, la flessione delle dita. In condizioni patologiche, e cioè nella lesione delle vie piramidali, si ottiene invece una estensione o dorsiflessione dell’alluce al punto di congiunzione metatarso‐falangeo. Qualche volta si ha pure l’allargamento a ventaglio delle ultime quattro dita (fenomeno di Dupré). Segno di OppenheimÆ Si provoca strisciando lungo il margine anteriore della tibia il pollice e l’indice, facendoli scorrere dal ginocchio verso il piede, seguendo la cresta tibiale. Segno di GordonÆ Si stringono con forza tra le mani le masse muscolari dei gemelli. Segno di ShaefferÆ Si provoca pizzicando il tendine d’Achille tra il dito indice ed il pollice. SISTEMA SENSITIVO Gli scopi dell’esame della sensibilità sono: ‐ Delineare con precisione le aree di alterata sensibilità ‐ Determinare quali forme di sensibilità siano lese in tale area ‐ Paragonare i risultati dell’esame con i quadri noti di alterazione della sensibilità. Funzioni sensitive: ¾ Sensibilità superficiale o esterocettiva: o Dolorifica o Termica (caldo e freddo) o Tattile. ¾ Sensibilità profonda o propriocettiva cosciente: o Batiestesia e cinestesia o Barestesia o Pallestesia. ¾ Sensibilità combinata o epicritica: o Grafestesia o Stereognosia o Discriminazione tattile. Sensibilità dolorifica Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 53 Valutazione preliminareÆ Scegliere una parte del corpo del paziente che, in base all’anamnesi, si prevede sia anormale e la si tocchi più volte con la punta dello spillo. Si chiede al paziente se avverte qualcosa, cosa avverte, se avverte una punta gli si chiede se è appuntita o smussa. Per cercare di produrre uno stimolo uniforme o graduato per testare la sensibilità dolorifica sono stati proposti molti dispositivi, ma in pratica il metodo più semplice rimane il migliore: uno spillo appuntito con una capocchia arrotondata. Quando si è stabilito che il paziente riconosce lo stimolo, si confronti rapidamente la capacità di apprezzare la sensazione di un certo numero di aree diverse: ‐ Faccia, spalle ‐ Parti esterna ed interna degli avambracci ‐ Pollice e mignolo ‐ Torace superiore e quello inferiore ‐ Addome ‐ Parte anteriore delle cosce, le superfici laterale e mediale delle gambe ‐ Il dorso del piede, il mignolo ‐ Le natiche. Tenendo presente lo schema dei dermatomeri segmentari sensitivi e delle corrispondenti aree innervate dai nervi periferici si potrà avere un’idea generale delle principali caratteristiche del difetto sensitivo. Sensibilità tattile Può essere testata con un piccolo batuffolo di cotone che non provoca una pressione sufficiente da stimolare la sensibilità profonda e produce una sensazione che è familiare al paziente. Va benissimo anche un lieve tocco con il polpastrello di un dito. Dopo uno screening preliminare simile al precedente si testano le diverse aree dei dermatomeri sfiorando la cute con il batuffolo mappando le aree di anormalità. L’esame viene condotto facendo chiudere gli occhi al paziente ed invitandolo a dire “sì” ogni volta che avverte qualcosa. Sensibilità termica Testare la sensibilità termica non fornisce alcuna informazione in più rispetto all’esame della sensibilità dolorifica e pertanto essa non viene abitualmente indagata. Per un esame preliminare si può far confrontare al paziente la percezione della temperatura di un oggetto freddo. In seguito si possono usare delle provette contenenti acqua calda (43°C) e fredda (7°C). Si applica sempre lo stesso principio. Il paziente ha gli occhi chiusi, dapprima gli si chiede se ha avvertito qualcosa, se avverte qualche differenza quando si usa l’altra provetta e in che cosa consiste tale differenza. Sensibilità statoestesica o batiestesica Gli occhi del paziente dovrebbero rimanere chiusi durante tutto l’esame: 1. Si ponga il braccio del paziente in una certa posizione, poi lo si sposti e quindi si chieda al paziente di riportare il braccio in quella stessa posizione e poi di disporre anche l’altro braccio in una posizione simile. 2. Si chieda al paziente di toccarsi il dito indice di una mano con quello dell’altra mano, e si renda il compito più difficile muovendo il dito in diverse posizioni. 3. Si chieda al paziente di provare a mettere in posizione simile le gambe e quindi di sollevare una gamba per toccare con l’alluce la mano estesa. 4. Si chieda al paziente di toccare con precisione con il dito indice la punta del naso e con il tallone il ginocchio. Sensibilità cinestesica Il paziente deve essere sdraiato, rilassato e stare ad occhi chiusi. Si afferra lentamente la parte centrale, lontane dalle articolazioni, di un dito del piede o della mano del malato e lo si sposta in una direzione determinata, in flessione dorsale o plantare. Il paziente deve riferire se ha sentito muovere ed in quale direzione, ed infine in quale posizione è posto il suo dito, o anche imitarla con il corrispondente dito dell’altra mano. Il posizionamento passivo deve essere effettuato delicatamente, per evitare che il pazienti si aiuti con movimenti attivi per riconoscere la vera posizione imposta. A livello degli arti inferiori dovrebbero essere ritenuto validi solo i risultati ottenuto con l’alluce. Sensibilità vibratorio o pallestesia Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 54 Si utilizza un diapason a 128Hz o 256Hz. Dopo essersi assicurati che il paziente non possa udire il suono, si appoggia il diapason dapprima sulla fronte, in modo che il paziente possa udire il tipo di sensazione provocata, invitandolo a riferire se sente o meno la vibrazione. Quindi si sposta il diapason sulle prominenze ossee (malleoli, rotule, pube, spine iliache, capitello radiale, gomito). Il paziente deve comunicare se avverte lo stimolo, ed in caso positivo, segnalare quando cessa di avvertirlo, ed inoltre, se lo percepisce nuovamente spostando velocemente il diapason in sedi simmetriche (o altrove) per evidenziare asimmetrie della pallestesia. Con l’aumentare dell’età diminuisce notevolmente la sensibilità pallestesia e, superati i 65 anni, è comune un deficit a livello delle anche. Nei diabetici tale sensibilità si riduce in età molto più precoce, anche in assenza di segni di polineuropatia. Sensibilità dolorifica profonda Si esplora affondando con decisione i propri pollici nei muscoli o sui tendini. Normalmente il paziente lamenterà fastidio. Un aumento della dolorabilità muscolare si riscontra in alcune polineuropatie, nella degenerazione combinata subacuta del midollo spinale, nella miosite ed in alcuni stati psicogeni. Una diminuita dolorabilità muscolare si riscontra nella tabe dorsale, nella siringomielia, nella neuropatia carcinomatosa ed in caso di lesione delle radici posteriori e della zona di entrata delle radici posteriori del midollo spinale. Discriminazione spaziale tattile e dolorifica Presuppone una corretta percezione degli stimoli. Si esplora mediante il compasso di Weber, che permette di applicare simultaneamente due stimoli cutanei a distanza variabile tra loro. Allargando progressivamente il compasso, si misura la distanza corrispondente alla percezione di due stimoli distinti. La sensibilità discriminativa è minima al tronco e agli arti (4‐6cm), intermedia sul dorso della mano (1‐2cm) e massima in corrispondenza dei polpastrelli delle dita (1‐3cm). La capacità di discriminare due punti dipende dall’integrità della sensibilità tattile superficiale, ma se questa è normale o solo di poco deficitaria, e non ci sono segni evidenti di una grave patologia a carico dei cordoni posteriori, l’alterazione della capacità di discriminare due punti deve essere attribuita ad una lesione del lobo parietale. Stereognosia Si tratta della capacità di riconoscere un oggetto semplicemente testandone la forma e le dimensioni. Gli oggetti devono essere familiari, facilmente identificabili e di dimensioni sufficienti da essere manipolabili anche da una mano debole. Si invita il paziente a chiudere gli occhi. Si pone l’oggetto dapprima nella mano che si sospetta anormale e si chiede di identificarlo e poi eventualmente nell’altra per fare un confronto. Quando nonostante le altre forme di sensibilità siano normali o solo lievemente alterate è presente stereognosia si può sospettare una lesione del lobo parietale. Grafestesia È la capacità di riconoscere lettere o numeri scritti sulla pelle con una punta smussa. Il soggetto deve riconoscere ad occhi chiusi in quale direzione si sposta un oggetto smusso striato sulla cute (del dorso della mano, del piede, delle cosce, addome, torace) e simboli grafici semplici (lettera “o” ed “i”, segni aritmetici come +, ‐, x o geometrici come un triangolo o un quadrato. Tali prove sono molto sensibili al danno delle afferenze meccanocettive a vasto campo ricettivo. Anche in questo caso se la sensibilità tattile è nella norma l’alterazione della grafoestesia indica la presenza di una lesione della corteccia parietale. Alterazioni della sensibilità soggettiva sono: • DoloreÆ In particolare: o DoloreÆ Esperienza sensoriale ed emozionale sgradevole, associata a danno tissutale reale o potenziale, o comunque descritta in tal senso. o DisestesiaÆ Sensazione spiacevole o anche dolorosa abnorme che colora parestesie spontanee o evocate. È quindi un termine piuttosto generico riferibile ad una grande varietà di dolori causati da stimoli periferico o insorgenti spontaneamente. Si tratta di dolori a tipo scossa elettrica, urenti, a puntura di spillo, avvertiti sempre nel territorio di innervazione di un nervo o di una o più radici. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 55 o IperestesiaÆ Aumentata sensibilità ad uno stimolo. Si usa per indicare in senso generale una diminuzione della soglia ad uno stimolo (tattile, termico, dolorifico), oppure per definire l’aumentata risposta ad uno stimolo che viene riconosciuto normalmente. I casi particolari sono: AllodiniaÆ Percezione di dolore, anche intenso, in risposta a stimoli normalmente non dolorosi, specie tattili. Si tratta quindi di un errore nell’identificazione della qualità dello stimolo. IperalgesiaÆ Percezione sproporzionata in eccesso di uno stimolo doloroso. Lo stimolo viene quindi qualificato correttamente come doloroso, ma la sua quantificazione in termini di intensità è erronea. o AlloestesiaÆ Percezione di dolore superficiale in un’area normoestesica differente da quella ipoestesia stimolata. Può assumere carattere controlaterale, nel qual caso è più corretto chiamarla allorchia. È attribuita alla conduzione del messaggio nocicettivo attraverso il contingente ascendente omolaterale del tratto spinoreticolare. o IperpatiaÆ Sindrome caratterizzata da abnorme e ritardata reazione dolorosa ad uno stimolo, soprattutto se ripetitivo, con aumento della soglia percettiva. Il dolore spesso insorge in maniera esplosiva ed assume tipicamente connotato psico‐affettivo. • IperestesieÆ Sensazioni abnormi, spontanee o evocate, usualmente riferite come sensazioni di formicolio, di puntura di spillo, di costrizione o fasciatura, di acqua che scorre, di intorpidimento o addormentamento. Se assumono carattere molto doloroso o francamente doloroso, dovrebber più appropriatamente definite disestesie. • PruritoÆ Sensazione anomala, attenuata dal grattamento. Dipende quasi sempre da affezioni dermatologiche o sistemiche. Le sensibilità da testare sono: ¾ EsterocettivaÆ Dolorifica, tattile e termica ¾ PropriocettivaÆ Statoestesia (posizione), cinestesia (movimento passivo) e pallestesia (vibrazione). ¾ ComplesseÆ Stereognosia, grafoestesia, discriminare due punti. NERVI CRANICI ¾ Nervo olfattorio (I°)Æ Devono essere disponibili 2‐3 fiale di odori aromatici familiari. Utilizza per prima la sostanza aromatica meno irritante in modo che la percezione da parte dei pazienti degli odori più deboli non sia impedita. Fare inspirare profondamente e chiedere di identificare l’odore. Gli occhi del paziente devono essere chiusi ed una narice occlusa. Confrontare la sensibilità del paziente e la capacità discriminatoria tra i due lati, alternando i due o tre aromi. L’infiammazione delle membrane mucose, la rinite allergica ed il fumo di tabacco possono interferire con la capacità di distinguere gli odori. Il senso dell’olfatto può diminuire con l’età. L’anosmia, ovvero la perdita dell’olfatto o l’incapacità di discriminare gli odori, può essere causata da un trauma a livello della lamina cribiforme o da una lesione delle vie olfattive. ¾ Nervo ottico (II°)Æ Deve esser esplorata l’acuità visiva ed il campo visivo. ¾ Nervi oculomotore (III°), trocleare (IV°) ed abducente (VI°)Æ Vanno esplorati: o I movimenti degli occhi verso i sei punti cardinali dello sguardo o La forma e le dimensioni della pupilla o La risposta alla luce e all’accomodazione o L’apertura delle palpebre superiori. Quando si valuta un paziente con cefalea grave non remittente, l’esaminatore esperto valuta i movimenti dell’occhio alla ricerca della presenza o dell’assenza dei movimenti laterali. Il VI° paio di nervi cranici è frequentemente una delle prime strutture ad essere interessate in presenza di un aumento della pressione endocranica. ¾ Nervo trigemino (V°)Æ È composto da tre branche: oftalmica, mascellare e mandibolare. È un nervo misto e trasporta impulsi sensitivi e motori. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 56 o Esame della funzionalità motoriaÆ La funzione principale della divisione motoria del trigemino è l’innervazione dei muscoli della masticazione cioè il massetere, temporale e pterigoideo interno ed esterno. La funzione motoria viene valutata osservando il viso alla ricerca di atrofia muscolare, deviazioni della mascella da un lato, fascicolazioni. Il tono muscolare del viso deve essere simmetrico senza fascicolazioni. La funzione motoria viene valutata palpando i muscoli masseteri e temporali dei due lati, mentre si invita il paziente a serrare strettamente i denti. Per valutare i muscoli pterigoidei si chiederà al paziente di spostare la mandibola in avanti, a destra e a sinistra. o Esame della funzione sensitivaÆ Nell’esaminare la sensibilità del territorio di distribuzione del nervo trigemino, devono essere osservate sia la cute che le mucose. o Esame dei riflessi: Riflesso corneale Riflesso masseterino o mandibolare. ¾ Nervo facciale (VII°)Æ È principalmente un nervo motore, che innerva i muscoli deputati all’espressione della faccia. Inoltre esso trasporta le fibre secretorie parasimpatiche alle ghiandole salivari e lacrimali e alle mucose della cavità orale e nasale. Convoglia vari tipi di sensibilità, compresa la sensibilità esterocettiva della regione del timpano, la sensibilità gustativa dei 2/3 anteriori della lingua, la sensibilità viscerale generale dalle ghiandole salivari e dalla mucosa del naso e della faringe, la sensibilità propriocettiva dai muscoli che innerva. Anatomicamente la branca motoria del nervo è separata dalla porzione che trasporta sensibilità e le fibre parasimpatiche: quest’ultima parte è denominata nervo intermedio o pars intermedia di Wrisberg. o Esame della funzione motoriaÆ La funzionalità motoria viene valutata mediante l’osservazione di eventuali asimmetrie del volto e della rima palpebrale, sia in condizioni statiche che dinamiche, e con l’esecuzione in successione temporale di alcune manovre. Viene chiesto al paziente di: Chiudere gli occhi, quindi stringerli opponendosi al tentativo di apertura da parte dell’esaminatore Sollevare le sopracciglia e corrugare la fronte Sorridere e mostrare i denti Fischiare e gonfiare le guance. Bisogna ricercare la presenza di tic, movimenti facciali insoliti ed asimmetrie di espressione. Bisogna ascoltare la voce del paziente e notare qualunque difficoltà di pronuncia dei suoni labiali (b, m e p). Paralisi periferica del faccialeÆ Conseguenza di una lesione che colpisce il nucleo o il tronco del nervo. Nel caso di deficit l’esame ispettivo evidenzia: Asimmetria del viso Il lato affetto appare appianato e privo di espressioneÆ Appiattimento del solco naso‐labiale e delle rughe frontali Si osserva uno stiramento della commessura labiale verso il lato sano (la saliva può calare dall’angolo della bocca [ptialismo]) Ampliamento della rima palpebrale con impossibilità a chiudere le palpebre (lagoftalmo) e dall’assenza dell’ammiccamento Abbassamento della palpebra inferiore per paralisi dell’orbicolare Riflesso corneale abolito per interruzione della parete efferente dell’arco riflesso Si può avere il fenomeno di BellÆ Consiste nell’evidenza della rotazione verso l’alto e l’esterno del globo oculare quando il paziente tenta di chiudere gli occhi. Paralisi facciale completa o paralisi di BellÆ Deriva da una lesione del nervo facciale (generalmente si realizza per lesione del nervo nel suo decorso nella rocca petrosa del temporale in corso di mastoiditi o per interventi demolitici o per paralisi a frigore o per infezione da herpes zoster del ganglio genicolato [sindrome di Ramsay‐Hunt]) che essendo ad un livello sottonucleare non consente alcuna supplenza da parte dell’emisfero controlaterale. Una lesione soltanto nucleare si associa generalmente ad una paralisi Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 57 dell’abducente dal momento che i due nuclei sono posti in stretta prossimità a livello del tronco cerebrale. Paralisi centrale del faccialeÆ Nella paralisi centrale è colpita prevalentemente o esclusivamente la muscolatura inferiore del viso dal lato opposto alla lesione. Ciò è dovuto al fatto che i muscoli della fronte e delle palpebre ricevono una innervazione da entrambi gli emisferi, in quanto ogni emisfero provvede non solo all’innervazione dell’emifaccia controlaterale ma anche di quella omolaterale per incrocio di fibre nel tratto compreso tra la corteccia ed il nucleo pontino del nervo. Pertanto la muscolatura facciale superiore riceve impulsi dalle aree motorie di entrambi gli emisferi, mentre la muscolatura facciale inferiore riceve impulsi esclusivamente dall’emisfero controlaterale. Quindi una lesione unilaterale della corteccia motoria non comprometterà la muscolatura superiore (paralisi centrale), che può ancora ricevere impulsi dalla corteccia del lato sano, mentre una lesione del nucleo o del nervo provocherà una paralisi completa (paralisi periferica). o Esame della sensibilità gustativaÆ I 2/3 anteriori della lingua che percepiscono il dolce e il salato sono innervati dal VII° nervo cranico, mentre il terzo posteriore che percepisce acido e amaro è innervato dal IX° nervo cranico. o Esame dei riflessi: Riflesso orbicolare dell’occhio o riflesso sopraorbitario o riflesso gabellareÆ Percussione sul lato esterno del margine sopraorbitario, sopra la glabella o attorno al margine dell’orbita è seguita da una contrazione riflessa del muscolo orbicolare che determina la chiusura degli occhi. Riflesso oculogiro‐auricolareÆ Consiste in una retrazione del padiglione auricolare e in un sollevamento indietro dell’elice durante lo sguardo lateralizzato nella direzione estrema opposta. Riflesso palpebrale‐oculogiroÆ Nella contrazione degli orbicolari e nella chiusura degli occhi, i bulbi oculari ruotano verso l’alto. Questo avviene non solo nella chiusura volontaria degli occhi, ma anche nel sonno. È in realtà un movimento associato e non un riflesso. Riflesso orbicolare della boccaÆ Percussione sul labbro superiore o sul lato del naso è seguita da una contrazione del muscolo quadrato del labbro superiore e del muscolo canino (elevatore dell’angolo della bocca) omolaterali. In seguito a tale stimolazione si ha elevazione del labbro superiore e dell’angolo della bocca. Segno di ChvostekÆ Spasmo o contrazione tetanica crampiforme dei muscoli facciali omolaterali, che compare percuotendo l’emergenza del nervo facciale anteriormente all’orecchio. È una tetania, ma si osserva anche se c’è un aumento della irritabilità riflessa, come nella demenza o nelle alterazioni del tratto piramidale. ¾ Nervo acustico (VIII°)Æ Composto da due sistemi di fibre che sono mescolati in un solo tronco nervoso. Essi sono: o Nervo cocleareÆ Nervo dell’udito: Studio della componente uditivaÆ Viene valutata in genere dallo specialista otoiatra con l’esame audiometrico. Dei semplici tests di screening sono: • Voce sussurrataÆ Valutare la risposta del paziente alla voce sussurrata, esaminando un orecchio alla volta. Mascherare l’udito nell’altro orecchio e bisbigliare a 30‐60 cm di distanza. • Test del ticchettio dell’orologioÆ Può essere usato per valutare le alte frequenza. • Test di Rinne, Weber e Schwabach: o Test di WeberÆ Mettere la base del diapason vibrante sul vertice della testa del paziente. Chiedere al paziente se il suono viene avvertito in maniera uguale in ambedue le orecchio o meglio in un orecchio (lateralizzazione del suono). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 58 o Test di RinneÆ Viene eseguito poggiando la base del diapason in vibrazione contro il processo mastoideo del paziente. Iniziare a contare fino a quando il paziente non sente più il suono. Confrontare il tempo di scomparsa del suono quando il diapason viene fatto vibrare a 1‐2 cm dall’orecchio. o Test di SchwabachÆ Confronto tra la trasmissione ossea del paziente e dell’esaminatore. L’esaminatore deve porre alternativamente il diapason in vibrazione contro il processo mastoideo del paziente e contro il suo, fino a quando unno dei due non sente più alcun suono. Il suono deve essere udito da ambedue per un periodo uguale di tempo. Tipi di sordità: TEST DI TRASMISSIONE NEUROSENSORIALE WEBER Lateralizzazione del suono all’orecchio sordo Lateralizzazione del suono all’orecchio migliore RINNE Trasmissione ossea uditiva più a lungo o per un tempo uguale alla trasmissione aerea Trasmissione aerea uditiva più a lungo ma non per un periodo pari al doppio della trasmissione ossea SCHWABACH Il paziente sente più a lungo dell’esaminatore L’esaminatore sente più a lungo del paziente. o Nervo vestibolareÆ Serve all’equilibrio, alla coordinazione, all’orientamento nello spazio. Non viene esaminata dall’internista. Può essere utile rilevare la presenza di nistagmo oculare, segno della presenza di una patologia a questo livello. Il nistagmo vestibolare è di solito laterale, mentre quello che origina dal tronco cerebrale è verticale. Il paziente deve essere invitato a tenere lo sguardo fisso a 45° verso sinistra o verso destra. In caso di nistagmo, gli occhi scivolano lentamente verso il centro e poi scattano verso la posizione iniziale. Originano in recettori periferici separati e hanno distinte, ma anche diffuse, connessioni centrali. ¾ Nervo glossofaringeo (IX°)Æ Viene valutato solitamente insieme al nervo vago. I due nervi sono infatti intimamente uniti e frequentemente interessati dallo stesso processo patologico. Spesso può essere difficile distinguere il coinvolgimento di uno da quello dell’altro. Le fibre motore probabilmente innervano unicamente il muscolo stilo faringeo. Il nervo glossofaringeo porta impulsi secretori e vasodilatatori per la ghiandola parotide. Insieme al nervo facciale può fornire impulsi secretori alla mucosa delle porzioni inferiore e posteriore della faringe e della cavità buccale. Le branche sensitive interessano porzioni posteriori della membrana timpanica, il cavo uditivo esterno, parti di faringe, palato molle, ugola, tonsilla, fauci, cellule mastoidee, parte posteriore della lingua. o Esame della funzione motoriaÆ Si osserva la faringe invitando il paziente a pronunciare la lettera A. In caso di paralisi si potrà notare: Disfagia per i solidi Spostamento dei tessuti molli della faringe verso il lato sano. o Esame della funzione sensitivaÆ La funzioni gustativa verrà valutata come descritto per il VII° paio. o Riflessi: Riflesso faringeoÆ Si tocca con un abbassalingua la faringe posteriore da entrambi i lati, la regione tonsillare o la parte posteriore della lingua. Se il riflesso è presente si osserverà il sollevamento e la costrizione della muscolatura faringea, insieme con la retrazione della lingua. Se lo stimolo viene applicato all’ugola si osserva simultaneamente l’elevazione del palato molle e la retrazione dell’ugola. ¾ Nervo vago (X°)Æ Nervo cranico più lungo e con più ampia distribuzione. I nuclei di origine del vago sono simili, sotto molti aspetti identici, a quelli del glossofaringeo e le funzioni del decimo sono Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 59 corrispondenti a quelle del nono. La pozione motoria innerva , insieme al glossofaringeo, tutta la muscolatura striata del palato molle, faringe e laringe, controllando così il processo della deglutizione. La porzione sensitiva è simile a quella del glossofaringeo (tranne la lingua). La porzione parasimpatica raggiunge: o CuoreÆ Azione inotropa e cronotropa negativa o BronchiÆ Contrazione della muscolatura liscia della trachea, bronchi e bronchioli. Stimola le ghiandole della mucosa bronchiale. o DigerenteÆ In generali agisce da stimolatore della funzione alimentare (stimola secrezione del succo pancreatico e gastrico, contrazione della muscolatura, rilassamento degli sfinteri, stimola il fegato, inibisce la secrezione surrenalica). Esame della funzione motoria: o Ispezionare il palato molle e valutare la simmetriaÆ Far dire al paziente “Ah” ed osservare il movimento dell’ugola e del palato molle alla ricerca di asimmetrie. o Far deglutire al paziente un sorso d’acquaÆ Il paziente deve deglutire facilmente e non deve essere osservabile passaggio di acqua attraverso il naso dopo che il nasofaringe è stato isolato dal sollevamento del palato molle. o Considerare il carattere e la qualità della voce. Esame delle funzioni sensitiveÆ Gli elementi sensitivi del vago possono essere adeguatamente analizzati Esame delle funzioni autonomicheÆ Difficile valutazione clinica o Riflesso oculo‐cardiacoÆ La frequenza cardiaca ed in un cero grado la frequenza respiratoria possono essere lievemente rallentate dalle pressione sui globi oculari. o Riflesso del vomitoÆ Vedi riflesso faringeo. o Riflesso della deglutizioneÆ Stimolazione della farete faringea o del dorso della lingua dà inizio ai movimenti della deglutizione. o Riflesso della tosseÆ La stimolazione della mucosa della faringe, della laringe, della trachea, dell’albero bronchiale oppure la stimolazione della membrana timpanica evoca il riflesso della tosse. o Riflesso nasale o dello starnutoÆ In risposta alla stimolazione della mucosa nasale si produce una violenta espulsione di aria attraverso il naso e la gola. o Riflesso del seno carotideoÆ Stimolazione del seno carotideo da parte della pressione di un dito alla biforcazione della carotide comune provoca la stimolazione riflessa del vago. ¾ Nervo accessorio del vago (XI°)Æ Ha funzione interamente motoria e innerva lo sternocleidomastoideo e la porzione superiore del trapezio. Esame funzionale: o SternocleidomastoideoÆ Ispezione e palpazione mentre il paziente ruota il capo contro resistenza. Si può evocare la contrazione percuotendo sull’origine clavicolare. o TrapezioÆ L’esaminatore preme la spalla in basso contro la resistenza del paziente. Il paziente cerca di sollevare la spalla contro la resistenza dell’esaminatore. ¾ Nervo ipoglosso (XII°)Æ Controlla i muscoli della lingua. Esame clinico: o Ispezionare la lingua del paziente a riposo sul pavimento della bocca. Notare la presenza di fascicolazioni, asimmetrie, atrofie o deviazioni della linea mediana. o Chiede al paziente di muovere la lingua dentro e fuori la bocca, dai due lati, di curvarla verso l’alto come per toccare il anso e verso il basso come per toccare il mento. o Valutare la forza muscolare della lingua chiedendo al paziente di spingere la lingua contro la guancia mentre l’esaminatore applica una forza contraria con il dito indice. o Quando si ascolta la voce del paziente non deve essere notato alcun problema con la pronuncia dei suoni linguali (l, t, d, n). Nella paralisi si ha la deviazione della lingua dal lato affetto e atrofia lingueale dal lato colpito. CERVELLETTO Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 60 Il cervelletto è deputato al mantenimento dell’equilibrio e della coordinazione dei movimenti. I tests di funzione cerebellare tendono pertanto a cogliere eventuali anomalie di queste funzioni. È importante osservare il malato. Già l’esame del comportamento del malato può dare utili informazioni all’esaminatore. Si annoti come il paziente esegue gli atti della vita quotidiana: ‐ Come si siede o si alza da una sedia ‐ Quale postura mantiene mentre è seduto e quale è in piedi ‐ Com’è la sua andatura ‐ Come esegue movimenti come portare un bicchiere alla bocca, abbottonarsi la camicia o la giacca, annodarsi il laccio delle scarpe. In particolare si osservi se esiste armonia nell’esecuzione del movimento. Coordinazione Le prove semeiologiche atte ad evidenziare un disturbo della coordinazione dei movimenti vengono suddivise in: • Prove in rapporto con le funzioni dell’equilibrio e della marcia: o Test di RombergÆ Vale a differenziare le patologie cerebellari dai deficit della sensibilità propriocettiva. Il paziente è invitato a mantenere la stazione eretta tenendo i piedi uniti prima ad occhi aperti e poi chiusi. Se il deficit dell’equilibrio deriva da alterazioni della sensibilità propriocettiva il paziente riesce a compensarlo grazie alle informazioni ricevute dalla vista. Quando chiude gli occhi si osserva una rapida perdita dell’equilibrio (Romberg positivo). Le lesioni cerebellari si contraddistinguono per un deficit dell’equilibrio non influenzato dall’apertura o dalla chiusura degli occhi e nel malato cerebellare il fenomeno di Romberg è negativo, poiché il paziente oscilla già ad occhi aperti e l’equilibrio non viene peggiorato dalla chiusura degli occhi. o Paziente in posizione eretta su un piede soloÆ L’equilibrio può essere esaminato facendo rimanere il paziente in posizione eretta su un piede solo. Ripetere il test con il piede opposto. Il paziente deve mantenersi in equilibrio su ciascun piede per almeno 5 secondi, ma è normale un lieve ondeggiamento. o Far saltellare il paziente prima su un piede e poi sull’altroÆ Il paziente deve essere in grado di saltellare su ciascun piede per almeno 5 secondi. o Test della spintaÆ Per valutare ulteriormente l’equilibrio, chiedere al paziente di rimanere in posizione eretta con i piedi leggermente divaricati. Spingerlo alla spalle con una forza sufficiente a fargli perdere l’equilibrio (stare pronti a sostenere il paziente se necessario). L’equilibrio deve essere recuperato rapidamente. o Sinergia muscolareÆ Si deve inoltre valutare la sinergia muscolare o capacità di correttamente aggiustare il livello di contrazione nei vari muscoli che partecipano al movimento. L’asinergia si dimostra invitando il paziente a rovesciare il tronco all’indietro: nel soggetto normale ciò è possibile poiché il movimento si associa alla flessione degli arti inferiori, cioè alla contrazione sinergica dei flessori degli arti inferiori, mentre il paziente cerebellare cade all’indietro e la prova è quindi positiva per mancanza di flessione agli arti inferiori o AndaturaÆ Osservare il paziente mentre cammina a piedi scalzi nell’ambulatorio o lungo un corridoio prima con gli occhi aperti e poi con gli occhi chiudi. Osservare la sequenza attesa del passo, notando i movimenti simultanei delle braccia. Si distinguono: Atassia cerebellareÆ L’andatura è a base allargata, le braccia a bilanciere, l’ammalato avanza con incertezza e con pulsioni laterali brusche che lo fanno proseguire a zig zag e mima l’andatura dell’ubriaco rischiando di cadere. Atassia per turbe della sensibilità profondaÆ Si designa in genere con il termine di atassia tabetica. • Nelle lesioni dei cordoni posteriori è caratterizzata dal brusco lancio delle gambe in avanti, dalla pesante ricaduta del tallone sul suolo e dall’assiduo Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 61 controllo della vista sui movimenti degli arti. Il fenomeno di Romberg è positivo. • Nelle lesioni midollari, l’atassia spesso non è pura, ma associata a turbe piramidali • Nelle lesioni cerebrali e nelle lesioni talamiche riscontriamo atassia della marcia per turbe della sensibilità profonda. Atassia per turbe labirinticheÆ Il labirintico presenta un equilibrio instabile, divarica i piedi per aumentare la base di appoggio, ma segno distintivo capitale ha un segno di Romberg positivo. La perdita di equilibrio per chiusura degli occhi avviene dopo una dozzina di secondi e sempre verso un determinato lato (lateropulsione). Il labirintico non può come il cerebellare seguire una linea retta, devia lateralmente, ma sempre nello stesso senso, dalla parte del labirinto malato. La marcia eseguita verso l’avanti e verso l’indietro per 8‐10 passi, ad occhi chiusi, disegna raggi di una sella (marcia a sella). Atassia cerebraleÆ È un termine improprio. Mentre atassia parietale è una vera atassia per turbe della sensibilità profonda, nel caso di cosiddetta impropriamente atassia frontale callosa e parietale si osserva un difetto di equilibrio nella marcia e nella stazione eretta con tendenza alla retro e latero‐pulsione. • Prove in rapporto col movimento degli arti o coordinazione segmentaria degli artiÆ Viene esaminata con prove codificate che permettono di mettere in evidenza: o La dismetriaÆ Traduce l’incapacità di regolare l’intensità e la durata dell’attività motoria in rapporto allo scopo da raggiungere, può essere evidenziata da diverse prove: Arti superiori: • Prova indice‐naso • Prova indice‐naso‐mento • Prova indice‐orecchio • Prova della prensione (o prova del bicchiere)Æ Se si invita il paziente a prendere un bicchiere a metà pieno d’acqua e a portarlo alle labbra per bere si potrà osservare l’ipermetria, la dismetria, la scomposizione del movimento, il tremore intenzionale per cui talora alcuni pazienti non sono neppure in grado di bere, malgrado l’impiego delle mani. Arti inferiori: • Prova calcagno‐ginocchioÆ Il paziente deve toccare con il calcagno il ginocchio dell’arto opposto con precisione • Prova calcagno‐tibia strisciataÆ Il paziente è invitato a strisciare leggermente il tallone lungo la cresta tibiale fino al dorso del piede • Prova dito paziente‐dito esaminatoreÆ Il paziente cercherà di toccare con il suo alluce il dito dell’esaminatore che viene spostato volta in volta. Se esiste un disturbo della coordinazione il movimento è eseguito in maniera scorretta: La mira non è raggiuntaÆ Dismetria È raggiunta con troppa forzaÆ Ipermetria In vicinanza della meta il dito o il calcagno si arrestanoÆ Braditelocinesia. o L’asinergiaÆ Il movimento globale può essere scomposto in movimenti parziali in tempi diversi, per difetto di sinergia tra i diversi movimenti che compongono l’atto nel suo insieme. L’asinergia segmentale o piccola asinergia di Babinski si mete in evidenza con prove diverse: Il soggetto seduto è invitato a toccare con la punta del piede un oggetto posto a circa 50cm dal suolo pochi cm distante dal ginocchioÆ Il soggetto sinergico non compie simultaneamente la flessione della coscia e della gamba. Il soggetto disteso a letto a braccia conserte è invitato a mettersi seduto senza aiutarsi con gli arti superioriÆ Il soggetto normale esegue la prova contraendo i Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 62 muscoli che fissano gli arti inferiori al letto. L’asinergico solleva anche smodatamente gli arti inferiori mentre non riesce a sollevare il dorso. Il soggetto sinergico dimostra la scomposizione del movimento nell’esecuzione delle prove calcagno‐ginocchioÆ Prima flette la gamba, poi la solleva e quindi adduce per raggiungere il ginocchio. Una lesione cerebellare omolaterale da emisenergia. o L’adiadococinesiaÆ Esplora la capacità di eseguire movimenti volontari rapidi e alternativi. La perdita di queste possibilità, denominata adiadocicinesi si esplora con le seguenti prove: Prova di pronazione‐supinazione delle maniÆ Il paziente è seduto e, poste sulle ginocchia le mani, esegue rapidi movimenti alternati di prono supinazione. Se esiste adiadococinesia si osserverà che il paziente non riesce dopo solo alcuni movimenti, a mantenere il ritmo e l’alternanza della successione. Prova delle marionetteÆ Il paziente seduto di fronte all’esaminatore con le braccia addotte, gli avambracci flessi sul braccio e palme delle mani in avanti, esegue, al comando rapidi movimenti alternati di prono‐supinazione. Le prove di adiadococinesia saranno particolarmente dimostrative se la lesione è unilaterale. La scrittura dimostra molto bene turbe della coordinai zone. Se il paziente è invitato a tracciare linee orizzontali in successione sovrapposta tra due limiti verticali, segnati dall’esaminatore, molte linee oltrepasseranno o non raggiungeranno il limite verticale e la linea sarà intercisa (ipermetria, dismetria, asinergia, adiadocinesia, braditeleocinesia). La scrittura può mettere in evidenza turbe dismetriche, sinergiche, adiadocinetiche. I tremori cerebellari compaiono durante i movimenti volontari. SEGNI DI IRRITAZIONE MENINGEA ¾ Segno di KernigÆ È stato descritto in vari modi. Kernig lo descrisse come una flessione involontaria del ginocchio quando l’esaminatore tenda di flettere la coscia a livello dell’anca, mentre la gamba è in estensione. Tuttavia esso viene più comunemente evocato flettendo la coscia del paziente coricato ad angolo retto e poi tentando di estendere la gamba a livello del ginocchio. Questa estensione passiva del ginocchio è accompagnata non solo da dolore e resistenza dovuti a spasmo dei muscoli della coscia ma anche da limitazione dell’estensione. ¾ Segno di BrudzinckiÆ Si evidenzia sollevando il capo del paziente in modo da portare il mento contro lo sterno. In corso di infiammazione meningea, si osserva una resistenza de parte del paziente che tende a flettere le cosce e le gambe. ¾ Segno di LasegueÆ Si fa un tentativo di flettere la coscia a livello dell’anca, mentre la gamba è tenuta in estensione. Quando è positivo questo segno è accompagnato anche da dolore a livello dell’incisura ischiatica e da resistenza al movimento. È positivo anche durante l’ernia del disco, ma solo monolateralmente. ¾ Rigidità nucaleÆ È probabilmente il segno più ampiamente conosciuto e più frequentemente incontrato di irritazione meningea e la diagnosi di meningite viene raramente posta in sua assenza. Essa è caratterizzata da rigidità e spasmo dei muscoli del collo, con dolore ai tentativi di movimento volontario. C’è anche resistenza al movimento passivo. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 63 ESAME OBIETTIVO DEL SISTEMA MUSCOLO SCHELETRICO ISPEZIONE Si deve: ‐ Ispezionare gli aspetti anteriore, posteriore e laterali della postura del paziente ‐ Osservare le capacità del paziente di rimanere eretto, la simmetria delle varie parti del corpo e l’allineamento delle estremità ‐ Notare la presenza di lordosi, cifosi, scoliosi ‐ Ispezionare la cute e sottocutaneo che riveste muscoli, cartilagini, ossa alla ricerca di modificazioni del colore, tumefazioni, masse ‐ Osservare le estremità ‐ Ispezionare i muscoli alla ricerca di ipertrofie, atrofie, fascicolazioni e spasmi. Le dimensioni dei muscoli dovrebbero essere approssimativamente simmetriche dai due lati La simmetria bilaterale non deve essere considerato in assoluto, non essendo una simmetria perfetta. PALPAZIONE ‐ Palpare tutte le ossa, articolazione e muscoli circostanti. ‐ Notare la presenza di aumento del termo tatto, dolorabilità, tumefazioni, crepitii e resistenza alla pressione. Il paziente non deve avvertire alcun fastidio quando viene applicata una pressione sulle ossa o sulle articolazioni. MOTILITÀ ARTICOLARE Si deve esaminare la motilità attiva e passiva di tutte le articolazioni maggiori e dei gruppi muscolari correlati. Istruire il paziente a muovere ciascuna articolazione in maniera completa. La presenza di dolore, limitazione dei movimenti, movimenti spastici, instabilità articolare, deformità e contrazioni suggeriscono un problema collegato all’articolazione o al gruppo muscolare corrispondente. La motilità attiva e passiva deve essere identica per la stessa articolazione e tra articolazioni controlaterali. Discrepanze tra motilità attiva e passiva possono indicare una debolezza muscolare vera o una malattia articolare. Durante i movimenti non debbono essere evidenti dolorabilità o crepitii. Quando un’articolazione dimostra un aumento o una diminuzione della motilità, con un goniometro è possibile misurare precisamente l’angolo di flessione. Misurare gli angoli di maggiore flessione ed estensione, mettendoli a confronto con gli angoli attesi. FORZA MUSCOLARE La valutazione della forza di ciascun gruppo muscolare è di solito integrata dall’esame della articolazione corrispondente. Chiedere al paziente di flettere il muscolo da voi indicato e quindi resistere quando viene applicata una forza contraria a questa flessione. Confrontare la forza muscolare bilateralmente. Normalmente la forza muscolare è simmetrica bilateralmente con una resistenza completa all’opposizione. Una forza muscolare intatta implica una motilità articolare normale. Articolazione temporo‐mandibolare • Localizzare l’articolazione temporo‐mandibolare con la punta delle dita appena anteriormente al trago di ciascun orecchio • Permettere alle dita di scivolare nello spazio articolare mentre il paziente apre la bocca e palpare questo spazio • Uno scatto o uno schiocco udibili provenienti dall’articolazione temporo‐mandibolare non sono insoliti, ma non devono essere presenti dolore, tumefazioni o crepitii. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 64 • La motilità viene esaminata chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: o Aprire e chiudere la bocca. Normalmente lo spazio tra i denti superiori ed inferiori è di 3‐6 cm o Spostare lateralmente la mandibola da ciascun lato. La mandibola deve spostarsi di 1‐2 cm in ciascuna direzione o Sporgere e retrarre il mento. Normalmente sono possibili entrambe i movimenti. • La forza dei muscoli temporali viene valutata chiedendo al paziente di serrare i denti mentre si palpano i muscoli contratti e si applica una forza contraria. Con questa manovra viene simultaneamente controllato il V° paio di nervi cranici. Colonna cervicale Ispezionare il collo del paziente, sia anteriormente che posteriormente, osservando l’allineamento della testa con le spalle e la simmetria delle pliche cutanee e dei muscoli. Palpare la parte posteriore del collo, la colonna cervicale ed i muscoli paravertebrali, trapezio e sternocleidomastoideo. I muscoli devono possedere un buon tono ed essere di dimensioni simmetriche con assenza di dolorabilità o spasmi muscolari alla palpazione. Si valuta la motilità della colonna cervicale chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: ‐ Inclinare la testa in avanti, monto sul torace. Flessione normale di 45°. ‐ Inclinare la testa all’indietro, mento verso il soffitto. Iperestensione normale di 55°. ‐ Inclinare la testa da entrambi i lati, orecchio verso spalla. Inclinazione laterale normale di 40°. ‐ Girare la testa da ciascun lato, mento verso la spalla. Rotazione normale di 70°. La forza di muscoli sternocleidomastoideo e trapezio viene valutata come visto in precedenza. Colonna toracica e lombare I principali punti di repere sono rappresentati dai processi spinali delle vertebre (C7 e T1 sono di solito i più sporgenti), le scapole e le creste iliache ed i muscoli paravertebrali. ¾ Valutare l’asse e le curvature spinaliÆ Normalmente la testa si trova direttamente sopra al solco gluteo e le vertebre sono dritte come indicato dall’altezza simmetrica delle spalle, delle scapole e delle creste iliache. Le curvature della colonna cervicale e lombare devono essere concave, mentre la curvatura della colonna toracica deve essere convessa. Le ginocchia ed i piedi devono essere allineati con il tronco, puntando verso l’esterno. Si può avere: o LordosiÆ Accentuazione della normale convessità anteriore della colonna. Può aversi per: SpondilolistesiÆ Scivolamento anteriore della V° vertebra lobare Malformazione del bacino Lussazione congenita dell’anca MiopatieÆ Nelle quali è apprezzabile uno spostamento in avanti delle regioni glutee Paziente marcatamente obesi. o CifosiÆ Curvatura del rachide a convessità posteriore. Può essere parziale o totale. Nel primo caso interessa solo un gruppo di vertebre, nel secondo caso interessa il rachide per una estensione più ampia. La riduzione della statura è una delle principali conseguenza della cifosi. Sono causa di cifosi a grande raggio: Stati di ipotonia muscolare Rachitismo Osteoporosi post‐menopausale e senile (cifosi senile)Æ Hanno localizzazione dorsale e sono la esagerazione della fisiologica curvatura dorsale del rachide. Sono causa di cifosi angolari: Processi distruttivi di una o più vertebre o i loro postumiÆ Il gibbo presenta in questi casi un angolo acutoÆ Morbo di Pott, osteomieliti di natura aspecifica, mieloma, metastasi carcinomatose. o ScoliosiÆ Curvatura laterale del rachide. Sarà pertanto destra o sinistra e potrà interessare tutta la colonna o un segmento di essa. A monte e a valle della curvatura principale di un Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 65 scoliosi si instituiscono delle curvature di compenso le quali hanno lo scopo di ristabilire l’equilibrio riportando il centro di gravità sulla linea mediana. Per lo più coesiste la cifosi. Le scoliosi datanti dall’infanzia presentano nefaste conseguenza sullo sviluppo somatico determinando: Riduzione della statura Deformità costali Appiattimento del bacino in senso antero‐posteriore Alterazione dello scheletro cranio‐facciale. Con il paziente in posizione eretta, palpare lungo i processi spinosi ed i muscoli paravertebrali. Valutare percussoriamente la presenza di dolorabilità spinale prima percuotendo ogni processo spinoso con un dito e quindi colpendo con il nato ulnare del pugno ambedue i lati della colonna lungo i muscoli paravertebrali. La palpazione e la percussione non devono mettere in evidenza alcuna dolorabilità spinale o spasmi muscolari. Chiedere al paziente di inclinarsi verso avanti e di toccare le dita dei piedi mentre si osserva da dietro. Ispezionale la colonna alla ricerca di curvature anomale. L’evidenziazione con matita dermografica dei processi spinosi può aumentare la sensibilità dell’indagine. Il dorso del paziente deve rimanere simmetricamente piatto quando la curvatura concava della colonna lombare diviene convessa con la flessione in avanti. ¾ Motilità della colonnaÆ Viene valutata chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: o Inclinarsi in avanti alla cintola e toccarsi i piedi. Flessione normale di 75‐90° o Inclinarsi posteriormente alla cintola il più possibile. Iperestensione normale di 30°. o Inclinarsi da ciascun lato il più possibile. Flessione laterale normale di 35° bilateralmente o Ruotare la parte superiore del tronco a partire dalla cintola, mentre la pelvi viene tenuta ferma dall’esaminatore. La rotazione normale della parte superiore del tronco è di 30° nei due sensi. Spalle Ispezione il profilo delle spalle, il cingolo della spalla, le clavicole, le scapole ed i muscoli della regione. Sospettare una lussazione quando il profilo della spalla è asimmetrico ed una spalla presenta una concavità nel profilo. Osservare alla ricerca di una scapola alata, una sporgenza verso l’esterno della scapola, che indica una lesione del nervo del muscolo serrato anteriore. Palpare le articolazioni sternoclavicolari e acromioclavicolari, le clavicole, le scapole, i processi coracoidei, i grandi trocanteri dell’omero, i solchi bicipitali e tutti i muscoli della regione. Esaminare la motilità chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: ‐ Sollevare le spalle. Normalmente il sollevamento è simmetrico. ‐ Sollevare entrambe le braccia e portare al di sopra della testa. La flessione normale in avanti è di 180°. ‐ Estendere e portare le braccia al dorso. L’iperestensione normale è di 50°. ‐ Sollevare entrambe le braccia lateralmente e portarle al di sopra della testa. Abduzione normale 180°. ‐ Far oscillare ciascun braccio anteriormente al tronco. Adduzione normale di 50°. ‐ Portare entrambe le braccia dietro i fianchi con i gomiti all’infuori. Rotazione interna normale di 90° ‐ Portare entrambe le braccia dietro la testa, con i gomiti all’infuori. Rotazione esterna normale di 90°. ‐ Il paziente deve mantenere le spalle sollevate, la flessione in avanti e l’abduzione mentre si applica una forza contraria per valutare la forza di muscoli del cingolo della spalla. Con la manovra del sollevamento delle spalle viene contemporaneamente valutato l’XI° paio di nervi cranici. Gomito Ispezionare il profilo del gomito sia in posizione estesa che flessa. La presenza di noduli sottocutanei lungo i punti di pressione della superficie estensoria dell’ulna può essere indicativa di artrite reumatoide. Notare eventuali deviazioni dell’angolo cubitale fra l’omero e l’ulna mentre viene esteso passivamente, con le Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 66 palme rivolte in avanti. L’angolo cubitale ha una ampiezza laterale compresa di solito tra 5 e 15°. Le variazioni di quest’angolo sono rappresentate dal cubito valgo (angolo maggiore di 15°) e cubito varo (angolo invertito medialmente). Flettere il gomito del paziente a 70° e palpare la superficie estensoria dell’ulna, il processo olecranico, gli epicondili mediale e laterale dell’omero. Quindi palpare il solco presente in ciascun lato dell’olecrano alla ricerca di ispessimenti della membrana sinoviale, tumefazioni e dolorabilità. Una tumefazione paludosa, molle fluttuante, la presenza di dolorabilità a livello dell’epicondilo laterale o lungo i solchi sell’olecrano e gli epicondili, un aumento di dolore con la pronazione e la supinazione del gomito devono far sospettare una epicondilite o una tendinite. La motilità del gomito viene esaminata chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: ‐ Estensione e flessione del gomito. Flessione normale di 160°. Estensione normale di 180°. ‐ Con il gomito flesso ad angolo retto, ruotare la mano. Pronazione e supinazione sono normalmente di 90°. ‐ Il paziente deve essere in grado di mantenere la flessione e l’estensione mentre si applica una forza contraria per valutare la forza dei muscoli del gomito. Mano e polso Ispezionare gli aspetti dorsale e palmare delle mani, notando il profilo, la posizione, la forma, il numero e la completezza delle dita. Notare la presenza delle creste cutanee palmari e falangee. La superficie palmare di ciascuna mano deve possedere una depressione centrale con una protuberanza rotondeggiante (eminenza tenar) dal lato del pollice e una eminenza ipotenar meno prominente dal lato del mignolo. Normalmente le dita completamente estese sono a stretto contatto tra di loro e sono allineate con l’avambraccio. La superficie laterale delle dita deve gradualmente affusolarsi andando dalla parte prossimale a quella distale. La deviazione delle dita verso il lato ulnare e la deformità a collo di cigno o ad asola sono di solito indicative della artrite reumatoide. Palpare tutte le articolazioni della mano e del polso. Le articolazioni interfalangee possono essere palpate con il pollice e l’indice. Le articolazioni metacarpofalangee vengono palpate con entrambi i pollici. Il polso e la doccia radio carpale vengono palpati con i pollici sulla superficie dorsale e con le altre dita sulle superficie palmare del polso. Le superfici articolari devono essere lisce ed esenti da noduli, tumefazioni, sporgenze e dolorabilità. Ricercare la presenza di noduli. In genere si tratta si escrescenze ossee a livello delle articolazioni interfalangee che possono essere palpate come noduli duri e non dolenti di diametro compreso tra i 2 ed i 3 mm ma che talvolta circondano tutta l’articolazione. Sono associati a processi osteoartritici. Quando localizzati lungo le articolazioni interfalangee distali prendono il nome di noduli di Heberden. Quando si trovano lungo le articolazioni interfalangee prossimali sono denominati noduli di Bochard. Con il dito indice colpire il nervo mediano nel suo punto di passaggio attraverso il tunnel carpale al di sotto dei legamenti flessori del retinacolo e volare carpale. Una sensazione di formicoli che si irradia dal polso alla mano lungo il percorso del nervo mediano rappresenta un segno di Tinel positivo, associato alla sindrome del tunnel carpale. Esaminare la motilità della mano e del polso chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: ‐ Piegare le dita in avanti a livello della articolazione metacarpofalangea. Quindi di estendere le dita in alto e posteriormente a livello della nocca. L’angolo di flessione normale è di 90°, quello di iperestensione fino a 20°. ‐ Toccare con il pollice la punta di tutte le dita e la base del mignolo. Tutti questi movimenti devono essere possibili. ‐ Allargare le dita e quindi riunirle. Devono essere possibili entrambi i movimenti. ‐ Piegare la mano ed il polso su e giù. Angolo di flessione normale di 90°, di iperestensione 70°. ‐ Con i palmi diretti verso il basso, girare ciascuna mano a destra e a sinistra. Movimento radiale normale di 20°, movimento ulnare di 55°. Il paziente deve essere in grado di mantenere la flessione e l’estensione del gomito quando viene applicata una forza contraria per valutare la forza dei muscoli del polso. Per valutare la forza della mano, far stringere Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 67 al paziente strettamente le dita dell’esaminatore. Anche l’estensione delle dita e le posizioni di adduzione possono essere utilizzate per valutare la forza della mano. Anca Ispezionare le anche anteriormente e posteriormente mentre il paziente si trova in posizione eretta. Usare i punti di repere principali rappresentati dalla cresta iliaca e dal grande trocantere del femore per valutare eventuale assimetria di altezza delle creste iliache, le dimensioni delle natiche ed il numero e l’altezza delle pliche glutee. Palpare le anche e la pelvi con il paziente supino. Non devono essere rilevabili instabilità, dolorabilità e crepitii. Esaminare la motilità dell’anca chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: ‐ In posizione supina sollevare le gambe al di sopra del corpo con le ginocchia estese. L’angolo normale di flessione dell’anca è di 90°. ‐ In posizione eretta o prona, portare la gamba estesa dietro al corpo. Angolo di iperestensione dell’anca inferiore o uguale a 30°. ‐ In posizione supina sollevare un ginocchio mentre l’altra gamba è in estensione. Angolo di flessione dell’anca normale di 120°. ‐ In posizione supina spostare la gamba lateralmente e medialmente con il ginocchio esteso. Durante il movimento di adduzione, sollevare passivamente la gamba opposta, per permettere alla gamba che si sta esaminando un movimento completo. Normalmente esiste un certo grado di adduzione e abduzione. ‐ In posizione supina flettere il ginocchio e intraruotare la gamba verso l’altra gamba. Rotazione interna normale di 40°. ‐ In posizione supina, portare la pare laterale del piede sul ginocchio dell’altra gamba; muovere il ginocchio flesso verso il lettino. Rotazione esterna normale di 45° (test di Patrick). ‐ Il paziente deve essere in grado di mantenere la flessione dell’anca con il ginocchio in flessione ed in estensione quando si applica una forza contraria per valutare la forza dei muscoli dell’anca. La forza muscolare può anche essere valutata nel corso della manovre di adduzione e di abduzione. Test di ThomasÆ Viene utilizzato per identificare le contratture in flessione dell’anca che possono essere mascherate da una eccessiva lordosi lombare. In caso di affezioni dell’anca il paziente presenta la coscia flessa e addotta sul bacino. Per evitare errori di interpretazione è necessari appianare la lordosi lombare fino a che il bacino venga ad applicarsi con il sacro e le spine iliache posteriori sul piano rigido sul quale è disteso il paziente. Ciò si ottiene flettendo passivamente ed al massimo la coscia controlaterale all’anca in esame. In questa situazione si osserva la capacità del paziente di mantenere la gamba estesa sul lettino. Il sollevamento della gamba estesa dal lettino indica la presenza di una contrattura in flessione della gamba estesa. Test di TrendelemburgÆ Si utilizza per valutare la lussazione dell’anca. Ginocchio Ispezionare le ginocchia e gli spazi poplitei sia in posizione estesa che in posizione flessa notando i principali punti di repere: tuberosità tibiali, condili tibiale mediale e laterale, epicondili mediale e laterale del femore, tubercolo adduttore del femore e rotula. Ispezionare il ginocchio steso per identificare le sue concavità naturali sulla parte anteriore, da ciascun lato e al di sopra della rotula. Osservare l’allineamento della parte inferiore delle gambe. L’angolo tra il femore e la tibia deve essere inferiore a 15°. Variazioni nell’allineamento delle gambe sono rappresentate dal ginocchio valgo e dal ginocchio varo. Una eccessiva iperestesione del ginocchio quando quest’articolazione è sottoposta a carico può essere indicativa di debolezza del quadricipite. Palpare lo spazio popliteo, notando la presenza di tumefazioni o dolorabilità. Palpare lo spazio articolare tibiofemorale, identificando la rotula, la tasca sovrarotulea ed il cuscinetto adiposo infrarotuleo. L’articolazione deve essere liscia e compatta, senza aree dolenti o di consistenza paludosa, noduli o crepitii. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 68 Esaminare la motilità del ginocchio chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: ‐ Piegare entrambe le ginocchia. Normalmente l’angolo di flessione è di 130°. ‐ Iperestendere la gamba. Normalmente l’estensione è completa e l’angolo di iperestensione è di 15°. La forza dei muscoli del ginocchio può essere valutata facendo mantenere al paziente il ginocchio flesso o esteso mentre si applica una forza contraria. Per valutare la presenza di un eccesso di liquido o di un versamento di applica la tecnica del ballottamento. Occorrono tuttavia quantità relativamente abbondanti di liquido perché siano svelate da questa manovra. Si esegue comprimendo con la mano sinistra la zona soprarotulea, mentre la mano destra cerca di provocare il tipo ballottamento della rotula contro il femore nella direzione antero‐posteriore servendosi del dito indice. Piedi e caviglie Ispezionare i piedi e le caviglie mentre le articolazioni sono sottocarico (stare in posizione eretta e camminare) e non (posizione seduta). I punti di repere della caviglia sono rappresentati dal malleolo mediale, dal malleolo laterale, dal calcagno sporgente e dal tendine di Achille. Normalmente le sporgenza malleolari sono lisce e arrotondate, mentre i calcagni e le articolazioni metatarse‐falangee sono sporgenti. La presenza di calli e duroni indica la presenza di una pressione o di un processo irritativo costanti. Osservare il profilo del piede e la sua posizione, le dimensioni ed il numero delle dita. Il piede varo ed il piede valgo rappresentano variazioni frequenti dell’allineamento normale. Esiste di norma, sotto carico, una lievissima angolazione all’esterno dell’asse longitudinale della gamba e l’asse longitudinale del retro piede (valgismo fisiologico del piede). Il peso deve essere scaricato sulla linea mediana del piede, su una linea immaginaria tracciata dalla parte mediale del calcagno fino allo spazio interdigitale tra il II° ed il III° dito. Le deviazioni dell’allineamento dell’avampiede (metatarso varo o valgo), la cui pronazione del calcagno, il dolore ed i traumi spesso causano lo spostamento del punto in cui viene scaricato il peso. Nel piano sagittale esiste sotto carico, un angolo di 90° aperto anteriormente tra l’asse longitudinale della gamba e quello longitudinale del piede. L’eventuale aumento di questo angolo (piede equino) o la diminuzione (piede talo) è di natura patologica. Nel piano orizzontale l’asse longitudinale del retro piede e quello dell’avampiede si trovano su un’unica linea. Deve quindi considerarsi patologica sia un’angolazione aperta all’esterno (avampiede abdotto) sia un’angolazione aperta all’interno (avampiede addotto). Un atteggiamento coatto in rotazione esterno (piede pronato) o in rotazione interna (piede supinato) ha pure significato patologico. La regione plantare presenta medialmente una lieve concavità o volta plantare longitudinale mediale. La sua diminuzione (piattismo) o accentuazione (cavismo) hanno pure significato patologico. Le dita del piede devono essere dritte, piatte ed allineate tra di loro. Possono essere osservati numerosi tipi di deviazione: ‐ Dita a martelloÆ Iperestensione dell’articolazione metatarso‐falangea con flessione dell’articolazione prossimale del dito. ‐ Dito ad artiglioÆ Iperestensione dell’articolazione metatarso‐falangea con flessione delle articolazioni prossimale e distale dell’alluce. ‐ Alluce valgoÆ Si intende una deviazione laterale dell’alluce che può causare una sovrapposizione con il secondo dito. Frequentemente di determina borsite fortemente dolente nel punto di pressione. Aumento del termotatto, arrossamento, tumefazione e dolorabilità dell’articolazione metatarso‐falangea dell’alluce devono far sospettare una gotta. Occasionalmente può essere presente un tofo. Palpare il tendine di Achille e la superficie anteriore della caviglia. Utilizzando il pollice e le dita di entrambe le mani comprimere l’avampiede, palpando ciascuna articolazione metatarso‐falangea. La motilità del piede e della caviglia può essere valutata chiedendo al paziente di eseguire i seguenti movimenti: ‐ Puntare il piede verso il soffitto. Angolo normale di dorsi flessione pari a 20°. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 69 ‐ Puntare il piede verso il pavimento. Angolo di flessione plantare normale pari a 45°. ‐ Piegare il piede a livello della caviglia, girare la pianta verso il piede controlaterale e quindi in direzione opposta. Normalmente l’angolo di eversione è pari a 30° mentre l’angolo di inversione è pari a 20°. ‐ Ruotare la caviglia, girare il piede verso quello controlaterale e quindi in direzione opposta, mentre l’esaminatore tiene ferma la gamba. Normalmente l’angolo di abduzione è di 10°, mentre quello di adduzione è di 20°. ‐ Piegare ed estendere le dita dei piedi. Normalmente sono possibili entrambi i movimenti, particolarmente l’alluce. Il paziente deve essere in grado di mantenere la flessione dorsale e plantare mentre viene applicata una forza contraria per valutare la forza dei muscoli della caviglia. Anche l’abduzione e l’adduzione della caviglia e la flessione e l’estensione dell’alluce possono essere utilizzati per valutare la forza muscolare. BOTTOSSO STEFANO Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 1 INTRODUZIONE ALLA SEMEIOTICA CHIRURGICA SemeioticaÆ Deriva dal greco ed è l’arte del rilevamento dei segni e sintomi e del collegamento di questi con le strutture anatomiche. Con segno si intende un dato oggettivo rilevato dall’esaminatore. Nel processo diagnostico abbiamo tre fasi: ‐ Fase analiticaÆ Fase semeiologica ‐ Fase della messa in teoria dei dati raccolti ‐ Fase diagnostica (sintesi)Æ Si effettua la diagnosi differenziale. La finalità dell’esame obiettivo è indicare quali siano gli esami complementari più appropriati per confermare una diagnosi (od una ipotesi diagnostica) evitando così procedure sistematiche inutili che fanno perdere tempo, denaro e talora non sono prive di rischio per il paziente. Si può considerare la semeiotica come l’anello di congiunzione tra la patologia e la clinica. ESAME OBIETTIVO Può essere diretto (o fisico o semplice) o può essere effettuato con mezzi speciali. L’esame diretto si effettua con 4 su 5 dei sensi (tutti tranne il gusto) e con pochi elementari strumenti. Tempi: • Ispezione • Palpazione • Percussione • Auscultazione • Odorazione Norme: o Esaminare la parte senza indumenti o Comprendere nell’esame anche le regioni circostanti o Osservare il paziente in una posizione ben definita o Disporre di illuminazione sufficiente e, se possibile, naturale o Rilevare non solo la presenza ma anche l’assenza di dati patologici. L’ispezione rileva: ‐ Alterazioni morfologiche ‐ Alterazioni funzionali ‐ Caratteristiche delle regioni vicine e i tessuti circostanti alla sede della lesione. La palpazione può essere: ‐ ManualeÆ Con i polpastrelli di tutte le dita (o almeno 4) oppure l’intera superficie palmare della mano e delle dita ‐ DigitaleÆ Con i polpastrelli di 1 o 2 dita della stessa mano ‐ BimanualeÆ Con l’intera superficie palmare di entrambe le mani o dei polpastrelli poste una accanto all’altra ‐ BidigitaleÆ Con 1 o 2 polpastrelli e gli omologhi dell’altra mano ‐ A mani sovrapposteÆ Si usa nella palpazione profonda o in caso di pareti molto spesse. La mano sovrapposta esercita una pressione mentre quella posta a contatto con la parete si dedica alla palpazione ‐ A mani contrapposte o combinataÆ Con le due mani applicate a comprendere fra di esse un tratto di tessuto o di una formazione corporea (è tipica quella del rene) ‐ Obliqua con la serie di 6 ditaÆ È utile per lo studio delle formazioni a margine rettilineo esterno. Le due mani poste obliquamente uniscono le loro ultime tre dita, così da formarne sei. La palpazione può essere: o SuperficialeÆ Apprezza le caratteristiche delle formazioni superficiali Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 2 o ProfondaÆ Apprezza masse o visceri profondi. Deve iniziare con la semplice applicazione delle mani (a piatto) e può successivamente scorrere su piani superficiali e la pressione può essere gradualmente aumentata. Le esplorazioni delle cavità si effettuano introducendo uno o due dita in una cavità naturale o neoformata (grossa soluzione di continuità). Le esplorazioni della cavità naturali sono: ‐ Orale ‐ Faringea ‐ Rettale ‐ Vaginale. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 3 ESAME OBIETTIVO DELLE TUMEFAZIONI La storia clinica di un grandissimo numero di malattie si associa alla presenza di 1 o più tumefazioni. La storia clinica di larga maggioranza delle malattie chirurgiche si associa alla presenza di 1 o più tumefazioni. Il rilievo accurato dei dati anamnestici e un esame obiettivo “intelligente” generale e della tumefazione consente spesso di fare una diagnosi precisa della malattia che ne ha determinato la presenza. Definizione: qualsiasi rigonfiamento anormale di 1 o più parti del corpo. Deriva dal latino “tumor” che significa gonfiore. Oggi con il termine tumore si intendo una neoplasia ma sarebbe più giusto associarlo alla tumefazione. Metodica: ¾ Ispezione: 1. SedeÆ Deve essere precisa. In genere si fa riferimento a punti anatomicamente definiti (sporgenze ossee, rilievi muscolari o tendinei) o a linee tracciate da punti di repere fissi. Tranne per le tumefazioni mediane, è indispensabile confrontare la sede controlaterale. 2. Forma e volumeÆ Per la forma si fa riferimento a forme geometriche. Per il volume: Si fa riferimento a oggetti noti per lo più dal regno vegetale Si fa riferimento alla testa del feto Si fa riferimento ad una formazione anatomica dell’esaminato Va comunque incoraggiato, per la maggiore precisione, il riferimento a misure metriche. 3. Limiti o marginiÆ Possono essere: NettiÆ Tumefazione circoscritta: • SessileÆ Se la base d’impianto è rappresentata dal piano stesso della tumefazione • PeduncolareÆ Se la base d’impianto ha una superficie inferiore alla tumefazione. IndistintiÆ Tumefazione diffusa. 4. Alterazione del normale aspetto del rivestimento cutaneo o mucosa sovrastanteÆ Bisogna descrivere: Colore cute sovrastante (varie tonalità di rosso) Presenza di eventuali reticoli vascolari Eventuale distensione (pelle lucida) Alterato orientamento delle normali pliche cutanee, con comparsa di multipli affossamenti circoscritti, per l’esistenza di anormali tralci che uniscono la tumefazione ai tegumenti (buccia d’arancia). 5. Qualità superficialeÆ Può essere: Uniforme Ineguale Liscia Lobata Nodulare Granulosa Ci possono essere alterazioni del colorito normale e lesioni di continuo. 6. Movimenti: Spontanei: • Da pulsazione: o VeraÆ Movimento in tutti i sensi su tutta la superficie della tumefazione o Falsa o trasmessaÆ Movimento in un solo senso. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 4 • Peristaltici Legati a movimenti fisiologici o manovre speciali: • Deglutizione (per esempio tumefazioni tiroidee) • Respirazione (per esempio tumefazioni epatiche) • Cambio di posizione (per esempio varici, varicocele, ernie, idrocele comunicante) • Contrazione muscolare • Aumento della pressione endocavitaria (manovra di Valsalva, compressione vascolare) 7. Rapporti con regioni vicine e tessuti circostantiÆ Va fatta sistematicamente iniziando dai tessuti circostanti sino alle regioni vicine ed anche a quelle lontane che hanno rapporti anatomo‐funzionali con la sede della tumefazione. Vanno rilevate le alterazioni di: Colorito Forma Volume ¾ PalpazioneÆ La precisione della palpazione è in funzione di: o Profondità della tumefazione o Spessore dei tegumenti sovrastanti o Accuratezza tecnica. Deve rilevare: 1. TermotattoÆ Si eseguiva appoggiando la superficie palmare della mano o dorsale delle dita. Si rileva l’aumento della temperatura locale per: Flogosi acuta e subacuta Neoplasie Raro nelle flogosi croniche Assente nelle tumefazioni non flogistiche 2. Sede 3. Forma e volume 4. Limiti o margini 5. Mobilità 6. Superficie 7. ScorrevolezzaÆ Una ridotta scorrevolezza dei piani cutanei è indice di aderenza ai tessuti profondi. Può essere: CircoscrittaÆ Lesioni traumatiche e neoplasie EstesaÆ Tumefazioni infiammatorie, infiltrazioni neoplastiche massive. 8. Sollevabilità della pelle in plicheÆ La formazione di pliche è funzione dell’elasticità dei tegumenti e del trofismo del piano sottocutaneo. Possono essere: Piccole Grosse Condizioni patologiche che alterano la sollevabilità sono: Aderenze estese, parziali o filiformi (cute a buccia d’arancia nella neoplasia della mammella). Infiltrazioni di tessuto adiposo (flogosi, edema) 9. ConsistenzaÆ Può essere: Ossea Duro‐lignea Fibrosa Duro‐elastica Parenchimatosa Molle‐elastica Molle‐pastosa Flaccida Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 5 10. FluttuazioneÆ Va ricercata in caso di consistenza molle‐elastica. È indice di raccolta liquida sotto discreta tensione. È presente in tutte le direzioni (altrimenti si parla di pseudo‐ fluttuazione). Si fa premendo un con dito e con l’altro si percepiscono le oscillazioni. FiottoÆ Fluttuazione relativa a grandi quantità di liquido raccolto in cavità di notevoli dimensioni (per es: liquido ascitico in cavità peritoneale). BallottamentoÆ Fenomeno non assolutamente tipico delle raccolte di liquido. È tipico delle tumefazioni renali. GuazzamentoÆ Si provoca in caso di raccolta mista di aria e liquido in cavità, imprimendo con le mani brusche scosse nella tumefazione. 11. DolorabilitàÆ Bisogna descrivere: Estensione Intensità Carattere del dolore (per es: pulsante nelle flogosi suppurative). 12. SpostabilitàÆ Indaga i rapporti tra tumefazione e tessuti circostanti. Va ricercata in tutte le direzioni. 13. RiducibilitàÆ Il paziente deve assumere posizioni declive rispetto alla tumefazione ed essere a masse muscolari rilassate. Può essere: VeraÆ Tipica di massa a contenuto liquido che attraverso un canale o una comunicazione rientra. FalsaÆ La tumefazione non rientra ma cambia sede. Completa o parziale Rapida o lenta Graduale o massiva Diretta in ogni senso. La riduzione sarà bimanuale o digitale. La modalità di riduzione può essere: Spontanea ProvocataÆ Come per l’ernia Direzione: o Dal basso verso l’altoÆ Idrocele o Dall’alto verso il bassoÆ Ernia. Lenta Massiva 14. Fremiti e rumori patologiciÆ I principali sono: Fremito aneurismico Crepitio di neve (dove c’è del gas) Thrill (ormai non si usa più). 15. Esame delle regioni vicine. ¾ PercussioneÆ È meno importante rispetto all’ispezione e alla palpazione. o Può aiutare a stabilire il contenuto della tumefazione o Può aiutare a stabilire i limiti della tumefazione ¾ AuscultazioneÆ Ha la stessa valenza della percussione. È d’obbligo nelle tumefazioni lungo il decorso dei grossi vasi. ¾ Esami speciali: o Esami strumentali: o Puntura esplorativa o Specillazione dei tramiti o Iniezione di liquidi colorati attraverso i tramiti o Biopsia o Transilluminazione o Esame radiografico o Esami di laboratorioÆ Sul materiale patologico rilevato. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 6 ESAME OBIETTIVO DELLE SOLUZIONI DI CONTINUO Le soluzioni di continuo comprendono: • Ferite • Piaghe • Ulcere • Fistole • Ragadi FERITE Soluzioni di continuo recenti, da causa esterna, nelle quali non sono ancora ben apprezzabili i fenomeni di riparazione. In base al meccanismo di azione dell’agente vulnerante se ne distinguono 4 tipi: ‐ Da punta ‐ Da taglio (comprendono anche quelle chirurgicheÆ A loro volta possono essere: LineariÆ Il taglio è stato perpendicolare A lemboÆ Il taglio è stato tangenziale Con perdita di sostanza ‐ Lacero‐contuseÆ Si associa l’azione di contusione e compressione. ‐ Da strappamento Esistono criteri oggettivi, anatomopatologici, per valutare le ferite in base alla profondità: SuperficialiÆ Interessano esclusivamente lo strato cutaneo e/o sottocutaneo (o la mucosa) ProfondeÆ Superano lo strato fasciale e possono interessare strutture sottostanti (muscoli, ossa, vasi, organi interni) PenetrantiÆ Creano un tramite tra l’esterno e una delle grandi cavità dell’organismo (cranica, toracica, addominale). PIAGHE Soluzioni di continuo che tendono lentamente alla guarigione ULCERE Soluzioni di continuo che non tendono a guarire FISTOLE Ulcere a canale fornite di uno o più orifizi e di tramite/i. RAGADI Ulcere fissurali (a forma di losanga). ESAME OBIETTIVO ISPEZIONE • SedeÆ Si fa riferimento a classiche regioni dell’anatomia topografica e talora a punti anatomici ben precisati. • Forma e dimensioniÆ Si fa riferimento ad oggetti noti o, meglio, a figure geometriche indicandone in cm l’asse e il perimetro, che può essere: o Lineare o Rotondo o Ovalare o Allungato o Serpiginoso Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 7 • MarginiÆ La soluzione può essere: o A stampoÆ La parte inferiore (il fondo) ha le stesse dimensioni della parte superiore o A scodellaÆ I bordi esterni sono più ampi della soluzione in profondità o EversiÆ I margini sono estroflessi o SottominatiÆ I margini profondi sono più estesi della parte superiore. Nelle ferite da punta, come per i tramiti fistolosi, non di parla di margini ma di orifizio, che può essere: Rotondeggiante Puntiforme Ampio A forma geometrica. In genere le dimensioni della ferita sono leggermente inferiori (a volte uguali) alle dimensioni del corpo vulnerante grazie alla retrazione elastica della cute. Nelle ferite da taglio i margini sono netti e regolari. Nelle ferite lacero‐contuse i margini sono sfrangiati, ecchimotici, circondati da cute contusa ed ecchimotica. Fanno eccezione le ferite prodotte da un’azione contusiva su un piano osseo tagliente (arcata sopraccigliare, tibia) che sono lineari come quelle da taglio, ma l’emorragia è, in genere, scarsa. Nelle piaghe i margini sono aderenti al fondo (orletto cutaneo madreperlaceo che si continua con lì epitelio della cute circostante). Nelle ulcere i margini hanno caratteri diversi a seconda dell’eziologia. • FondoÆ Bisogna rimuovere delicatamente il materiale sovrastante. È utile valutare il fondo per capire l’agente eziologico. Può essere o Liscio o Granuloso o Vegetante o Necrotico o Arido o Secernente. Nelle ferite da taglio a lembo, o con perdita di sostanza, è costituito da tessuti poco alterati e ben riconoscibili. Nelle ferite lacero‐contuse può presentare ecchimosi e tessuto necrotico. Nelle ulcere presenta granulazione che possono essere: Uguali Diseguali A bottone Vegetanti Sanguinanti Non sanguinanti Flaccide Dure. • Caratteristiche del materiale patologico secreto dal fondo o raccolto in essoÆ Può essere: o Sangue o Siero o Pus caldo o Pus freddo o Pus actinomicotico o Saliva o Urina o Feci o Ecc… • Modalità di emissione del materiale patologico secreto dal fondo o raccolto in essoÆ Può essere: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 8 o Spontanea o In rapporto a cambiamenti di postura o In rapporto a fenomeni fisiologici • Zone circostanti e regioni vicineÆ Bisogna: o Osservare le alterazioni del colorito che può essere: Rosso rameicoÆ Tipico ulcere luetiche terziarie ViolaceoÆ Tipico delle ulcere da TBC PigmentatoÆ Tipico delle ulcere varicose o Esame obiettivo delle sedi linfonodali di drenaggio. PALPAZIONE Si effettua con guanti sterili per evitare infezioni sia del paziente, che del medico. Bisogna valutare: • Termotatto • Livello dei margini rispetto ai tessuti viciniÆ Possono essere: o Pianeggianti o Eversi o Depressi • Consistenza dei margini e del fondo • Sanguinamento provocato • Fuoriuscita provocata di secrezioni • Spostabilità sui piani sottostanti • Valutazione delle regioni vicine e delle stazioni linfoghiandolari. ESAMI SPECIALI • Specillazione e/o sondaggio di eventuali tramitiÆ Si effettua con un bastoncino. • Iniezione di liquidi (coloranti o non)Æ Se due soluzioni di continuità sono vicine si vede se comunicano tra loro. Si può utilizzare anche l’acqua ossigenata. • Biopsie • Esame del materiale prelevato dal fondo o dal margineÆ Si fa l’esame: o Chimico o Microscopico o Batteriologico. ESAME OBIETTIVO DELLE FISTOLE IspezioneÆ Valutazione dell’orifizio e delle regioni circostanti PalpazioneÆ Valutazione delle pareti costituenti il tramite, in particolare: ‐ Consistenza ‐ Conformazione ‐ Dimensioni ‐ Sanguinamento ‐ Dolorabilità ‐ Rapporto con tessuti e formazioni circostanti CARATTERISTICHE DI ALCUNE ULCERE ¾ Ulcera epiteliomatosa (dovuta ad una neoplasia della cute): o MarginiÆ Sollevati che si continuano con il fondo con bottoni ineguali, friabili, sanguinanti, con secrezioni più o meno abbondanti. o FondoÆ Spesso con detriti di necrosi. La consistenza è dura. ¾ Ulcera tubercolare: o MarginiÆ Irregolari, violacei, dentellati, sottominati, talvolta tubercolati. o FondoÆ Con granulazioni flaccide, bavose, cianotiche, segreganti siero torbido. o Cute circostanteÆ Cianotica, infiltrata o cicatriziale Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 9 ¾ Ulcera luetica (sifilitica)Æ Erosione su fondo indurito, circondata da zone indurite: o FondoÆ Superficie rossa, lucente, con scarso secreto. Si approfonda. o MarginiÆ Non sollevati, con aspetto necrotico e infiammazione circostante. ¾ Ulcera luetica terziariaÆ Progredisce dalla periferia, cicatrizza al centro con diffusione a ferro di cavallo, a rene, serpiginosa. Produce un essudato torbido. ¾ Ulcera della gamba: o GenesiÆ Quasi sempre da varici, da grattamento, da disturbi circolatori. o SedeÆ 1/3 inferiore della gamba nella superficie anteriore interna. o All’inizio piccole con fondo non infossato fatto da tessuto di granulazione poco secernente. Sono per lo più multiple. Crescendo confluiscono in ulcera irregolare con margini infiltrati, rigonfi, callosi. o FondoÆ Profondo con detriti necrotici. o Tessuto vicinoÆ Eczematoso o edematoso (può arrivare ad elefantiasi). ¾ Ulcera perforante del piede: o SedeÆ Superficie plantare o MarginiÆ Netti con callosità che si estende nella parte vicina o FondoÆ Rosso o grigio‐nerastro secernente poco liquido torbido. È indolente alla pressione e si approfonda. Non si estende. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 10 ESAME OBIETTIVO DEL SISTEMA LINFATICO Le funzioni del sistema linfatico sono: ‐ Drenaggio dello spazio interstiziale ‐ Presentazione dell’antigene ‐ Fagocitosi e produzione di anticorpi ‐ Assorbimento dei chilomicroni. Comprende: • Vasi • Linfonodi • Milza • Tonsille • Adenoide • Timo • Placche di Peyer dell’ileo terminaleÆ Possono dare adenomesenterite con sintomi simili all’appendicite. • Isole polmonari di tessuto linfoide • Cellule reticolo‐endoteliali del fegato (cellule di Kupffer). I principali vasi sono: ‐ Dotto linfatico destroÆ Drena la parte superiore destra del tronco, nella confluenza tra la vena giugulare interna e la succlavia destra. ‐ Dotto toracicoÆ Drena dal resto dell’organismo, nella giunzione tra vene giugulare interna e vena succlavia di sinistra. LINFONODI Si dividono in: SuperficialiÆ Occupano il tessuto cellulare sottocutaneo ProfondiÆ Si trovano al di sotto delle fasce di rivestimento muscolare o nelle grandi cavità. Nello stesso distretto possono coesistere sia linfonodi superficiali che profondi. Per quanto riguarda l’esame obiettivo si esegue l’ispezione e la palpazione. I linfonodi normali non sono palpabili. Si parla di linfoadenopatia ogni volta che un linfonodo è palpabile. Comunque un linfonodo non palpabile può essere sede di malattia. La linfoadenopatia può essere: ‐ LocalizzataÆ Causata da infezioni localizzate, neoplasie ‐ GeneralizzataÆ Quando i linfonodi sono palpabili in almeno 3 zone (3 catene linfonodali diverse)Æ Causata da linfomi, leucemia, infezioni sistemiche. La linfoadenopatia non è una patologia. In soggetti sani si possono trovare frequentemente delle piccole linfoadenopatie infracentimetriche cervicali. Se la linfoadenopatia è superiore a 1 cm, viene considerata patologica, eccetto in alcuni territori, come quello inguinale, ove una linfoadenopatia fisiologica può misurare sino a 2 cm. L’esame obiettivo dei linfonodi deve essere metodico e deve coinvolgere tutte le stazioni linfonodali: • Cervicali e della testa • Ascellari • Epitrocleari • Inguino‐crurali • Poplitee. I principi base sono: ‐ Ricercare ogni linfonodo visibile e valutarlo secondo lo schema dell’esame obiettivo delle tumefazioni Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 11 ‐ Palpare preferibilmente un lato alla volta, utilizzando, se possibile, di dita di una sola mano ‐ Valutare ogni linfonodo palpabile seguendo lo schema dell’esame obiettivo delle tumefazioni ‐ Comparare in successione i rilievi a carico di una stazione con i rilievi contro laterali ‐ Esaminare i cervicali e ascellari a paziente seduto ‐ Esaminare gli inguino‐crurali e i poplitei a paziente supino ‐ Ricercare sempre “lesioni” nel territorio di drenaggio ‐ Esaminare sempre tutte le stazioni linfonodali palpabili, per definire la linfoadenopatia. LINFONODI CERVICALI Nel collo individuiamo due triangoli: AnterioreÆ Tra lo sternocleidomastoideo, il margine inferiore della mandibola e lo sterno‐ioideo (come margine mediale) PosterioreÆ Tra il muscolo sternocleidomastoideo e il trapezio. Nella porzione inferiore passa il muscolo omoioideo. Nel collo passano le vene giugulari (anteriori, esterne ed interne) e le arterie carotidi. Tutti i vasi, tranne le giugulari anteriori, si trovano centrate a livello del muscolo sternocleidomastoideo. I linfonodi cervicali si possono dividere in 10 gruppi: • 6 gruppiÆ Costituiscono una collana che circonda la parte superiore del collo all’unione della testa ed è detta “cerchio linfonodale pericervicale”. Sono: o Occipitali o Mastoidei o retroauricolari o Parotidei o pretrago o Sottomandibolari o Facciali o Sottomentali. • 2 gruppiÆ Sono posti medialmente ai precedenti e sono: o Sottolinguali o Retrofaringei • 2 gruppiÆ Sono i: o Cervicali anterioriÆ Comprendono la catena giugulare anteriore, che si trova sotto la fasci cervicale superficiale, in rapporto con la vena giugulare anteriore. Ce ne sono poi 4‐10 più profondi, juxtaviscerali: Gruppo prelaringeo Gruppo pretiroideo Gruppo pretracheale Catene ricorrenziali o Cervicali lateraliÆ Si dividono in: SuperficialiÆ Sono 2‐4 e formano la catena giugulare esterna. ProfondiÆ Formano: • Catena giugulare interna • Catena del nervo accessorio spinale • Catena cervicale trasversaÆ È disposta tra l’estremità inferiore della catena del nervo accessorio e la confluenza tra la vena giugulare interna e la succlavia. I linfonodi cervicali si possono quindi dividere in: ‐ Gruppo orizzontale ad anelloÆ Formato dai primi sei gruppi ‐ Gruppo verticaleÆ Formato da: o Catena profondaÆ Lungo la giugulare interna o Catena superficialeÆ Lungo la giugulare esterna. Aree di drenaggio: ¾ Sottomentali e sottomandibolari hanno come area di drenaggio la punta della lingua, la mandibola e la cute del volto Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 12 ¾ Occipitali hanno come territorio di drenaggio il cuoio capelluto ¾ Pretrago e mastoidei hanno come territorio il volto e l’area parotidea ¾ La catena del nervo accessorio spinale ha come territorio di drenaggio il muscolo trapezio ¾ I linfonodi sopraclaveali destri hanno come territorio di drenaggio il mediastino destro ¾ I linfonodi sopraclaveali sinistri hanno come territorio di drenaggio il mediastino sinistro e il distretto sottodiaframmatico (a causa del dotto toracico) ¾ Catena verticale drena gli organi profondi del collo. Metodi di palpazione: • Area giugulo‐carotideaÆ Il paziente deve tenere il capo leggermente piegato in avanti e verso il lato da esplorare. Il medico è posto posteriormente. Bisogna tenere le dita leggermente piegate “ad uncino”. Per non sbagliare bisogna ricordare che i linfonodi non sono mobili alla deglutizione. Diagnosi differenziale: o Glomo carotideoÆ È però pulsante o Nodulo tiroideo ed osso tiroideoÆ Sono però mobili alla deglutizione o Cisti branchialeÆ Sono in genere dolorabili e in flogosi. • Catene sottomentoniere e sottomandibolariÆ La palpazione si effettua con dita “ad uncino” sotto alla mandibola dirette verso l’alto. Il medico è sempre posto posteriormente rispetto al malato. Diagnosi differenziale: o Cisti dermoide o Cisti dotto tireoglosso • Linfonodi pretrago, mastoidei e occipitaliÆ Ci si pone anteriormente, con le dita a piatto nell’area parotidea, nella mastoide e poi nell’occipitale. Diagnosi differenzialeÆ Parotite endemicaÆ Se c’è non si riesce a palpare l’angolo della mandibola. Se è linfonodo ingrossato, l’angolo della mandibola comunque si palpa. Bisogna stare attenti anche al processo stiloideo. • Catena spinaleÆ Segue il decorso del nervo accessorio spinale. Si palpa lungo il bordo esterno del muscolo trapezio. • Linfonodi sopraclaveariÆ Ci si pone sempre posteriormente con le dita ad uncino sopra la clavicola. Diagnosi differenzialeÆ Muscolo omoioideoÆ Passa infatti sotto nel triangolo posteriore. • Linfonodi sopraclaveari scaleniÆ Si palpano con un dito e sono molto mediali, vicino al collo. Il paziente deve piegare leggermente la testa verso quella parte. Se ci sono è un segno di patologia polmonare grave. Alcune caratteristiche: ‐ Un linfonodo non è mai pulsante. Se pulsa la pulsazione è trasmessa. ‐ Un linfonodo si muove. Se non si muove può essere un muscolo o un’arteria ‐ Un linfonodo duro è segno di una neoplasia maligna ‐ Un linfonodo dolente e dolorabile è segno di infiammazione. LINFONODI ASCELLARI Anche in questo caso si possono distinguere dei gruppi: • Gruppo brachialeÆ A livello della confluenza tra la vena tracheale e ascellare • Gruppo sottoclavicolare • Gruppo sottoscapolareÆ Lungo il nervo e la vena sottoscapolare • Gruppo centrale • Gruppo toracicoÆ Si divide in superiore e inferiore. Drenano dai seguenti territori: ‐ Ghiandola mammaria e cute annessa ‐ Arto superiore ‐ Parete toracica laterale. Si palpano come la palpazione della mammella. Si palpa con la mano opposta, perché con la mano controlaterare si tiene il braccio del paziente staccato dal corpo facendo una contro trazione poiché di fa avvicinare il braccio al corpo al paziente in modo che contragga il muscolo pettorale. Con la mano ad uncino Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 13 si esplora con i polpastrelli l’apice della piramide ascellare e si scende palpando la parete mediale, anteriore e posteriore dell’ascella. Diagnosi differenziale: ‐ Muscolo piccolo pettorale ‐ Tessuto adiposo. LINFONODI EPITROCLEARI Si palpano con la mano omolaterale, mentre con l’altra si tiene il gomito a 90°. Si palpa con il pollice nella fossa 2‐3 cm sopra il condilo mediale, nel solco tra il muscolo bicipite e tricipite. LINFONODI INGUINALI E CRURALI Si dividono in: • SuperficialiÆ Seguono: o Vena safena interna o grande o Vena circonflessa iliaca superiore o Pudenda esterna superficiale o Epigastrica superficiale. • ProfondiÆ Seguono la vena e l’arteria femorale Si palpano attraverso il triangolo di Scarpa: ‐ Lato superioreÆ Canale inguinale ‐ Lato lateraleÆ Muscolo adduttore lungo ‐ Lato medialeÆ Muscolo sartorio. È attraversato latero‐medialmente dal nervo, l’arteria e la vena femorale. I linfonodi superficiali si possono dividere anche in: Orizzontali (o superiori)Æ Sono quelli che seguono la circonflessa iliaca superiore, la pudenda esterna superficiale e l’epigastrica superficiale. Drenano: o Cute dei genitali esterniÆ Quelli più mediali o Parete inferiore dell’addome, cute postero‐laterale e la cute dell’anoÆ Quelli più laterali. Verticali (o inferiori)Æ Seguono la vena grande safena e drenano l’arto inferiore. I linfonodi profondi drenano invece dagli organi interni. Nel caso del carcinoma spinocellulare dell’ano, che è intermedio, è importante ricordare che drena nei linfonodi superficiali. La palpazione avviene con il paziente in decubito supino, con l’arto inferiore extra ruotato, mano a piatto dal triangolo di Scarpa all’arcata crurale. Ci si pone a destra del paziente per palpare quelli a sinistra. Diagnosi differenziale: ‐ Tumore vascolareÆ Pulsa e c’è un soffio all’auscultazione ‐ Ernia inguinale o cruraleÆ Con un colpo di tosse o la manovra di Valsalva si accentua. LINFONODI POPLITEI Sono vicini all’arteria poplitea e allo sbocco della safena. Sono quindi profondi. Si palpano con due mani a paziente in decubito supino con ginocchio flesso a meno di 45°. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Indipendentemente dalla sede va considerata la diagnosi differenziale con: ‐ Lipoma ‐ Fibroma ‐ Neurinoma ‐ Cisti sebacea ‐ Ascesso freddo ALTRI ORGANI LINFATICI • Tonsille • Fegato Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 14 • Milza • Residuo timicoÆ Massa timica a livello della forchetta sternale. Un esame obiettivo completo deve inoltre prevedere: ‐ Esplorazione rettale ‐ Esame obiettivo dei genitali esterni ‐ Esame obiettivo endobuccale. ANAMNESI L’anamnesi può orientare verso la diagnosi: • EtàÆ Una linfoadenopatia superficiale alta è banale nel bambino • Attività professionale e ambiente domesticoÆ Lavori manuali, giardinaggio, caccia, animali domestici (gatto soprattutto). • Fattori di rischio per HIV • Soggiorni in zone di endemia parassitaria. Segni obiettivi generalmente utili sono: ‐ Astenia e dimagrimentoÆ Tipici nella neoplasia ‐ Febbre e sudorazione notturnaÆ Tipici nella malattia tubercolare e negli ascessi ‐ Prurito generalizzatoÆ Malattie linfatiche (neoplasie del linfatico). PRINCIPALI CAUSE DI LINFOADENOPATIE LOCALIZZATE ¾ Infezioni localizzate acute e croniche ¾ Tumori maligni metastatici ¾ Malattia di Hodgkin PRINCIPALI CAUSE DI LINFOADENOPATIE GENERALIZZATE ¾ Leucemie ¾ Linfomi ¾ Infezioni sistemiche sia batteriche che virali. LINFOADENITE ASPECIFICA ACUTA Pochi linfonodi coinvolti, dolenti, dolorabili. Uno o due possono raggiungere il volume di una noce. La consistenza è molle‐pastosa nel periodo infiltrante. Dopo la raccolta di pus presentano fluttuazione, mentre se la flogosi si estende all’esterno (flemmoni) i limiti si presentano mal definiti. Presenta inoltre flogosi del tegumento sovrastante. Linfonodi di Cloquet o di RosenmullerÆ È rara nel maschio. Si presenta come una tumefazione dolente a livello dell’arca di Jimbernat dove c’è il legamento inguinale. Diagnosi differenziale con l’ernia crurale strozzata. LINFOADENITE ASPECIFICA CRONICA C’è un lieve aumento di volume di 2‐3 linfonodi separati tra loro. La consistenza è duro‐fibrosa e la mobilità scarsa. C’è aderenza (anche se non costante) alla cute che non è infiltrante. I linfonodi non sono né dolenti né dolorabili. LINFOADENITE DA TBC I linfonodi sono aderenti tra loro. LINFOADENITE METASTATICA È localizzata (solo tardivamente è generalizzata). I linfonodi sono di vario volume, irregolari e bernoccoluti. La consistenza è duro‐lignea. Sono fissi o poco mobili (se fissi la neoplasia ha superato la capsula). Dolenza e dolorabilità è scarsa. L’infiltrazione cutanea è tardiva. Linfonodo di Virchow o di TroisierÆ Si tratta di una linfoadenopatia sopraclavicolare sinistra. È associata alla diffusione extraddominale di una neoplasia addominale. Linfonodo periombelicaleÆ Indica una diffusione di un adenocarcinoma gastrico. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 15 MICRO‐POLI‐LINFOADENOPATIA GENERALIZZATA Soprattutto nei bambini ed indica lo sviluppo del sistema linfatico. I linfonodi sono di vario volume e la consistenza è duro‐elastica. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 16 INFEZIONI Insieme di eventi dovuti alla penetrazione ed alla pullulazione nell’organismo di geni patogeni. Le tre tappe possibili sono: • Infezioni locale • Manifestazione regionale • Manifestazione generale. Es: PatereccioÆ Infezione locale del dito successivo ad una puntura, soprattutto nel polpastrello. Bisogna cercare: ‐ Manifestazione locale ‐ Manifestazione regionaleÆ Linfoadenopatia epitrocleare, ascellare ‐ Manifestazione generaleÆ Febbre. Talvolta è la manifestazione generale che porta il paziente dal medico. MANIFESTAZIONE REGIONALE C’è una linfoadenopatia dolente o suppurativa (raramente) detta linfadenite aspecifica acuta. Può essere complicanza di un’infezione digitale, talvolta guarita e cicatrizzata e talvolta anche passata inosservata. MANIFESTAZIONE GENERALE La febbre può essere: o SetticemiaÆ Infezione generale grave caratterizzata da passaggio di germi patogeni nel sangue. o SetticopiemiaÆ Setticemia complicata da localizzazioni purulente secondari (ascessi epatici). La febbre è spesso accompagnata da brividi. Febbre e brividi sono segni di: ‐ Con dolore all’ipocondrio desto e ittero forma la triade di Charcot nella calcolosi delle vie biliari ‐ Pielonefrite acuta ‐ Ascessi secondari o primitivi ‐ Diverticolosi acuta ‐ Neoplasie ascessate ‐ Malaria. ASCESSO CALDO Raccolta di pus in una cavità neo formata e successiva ad un’infezione di germi “banali” che ha determinato una flogosi locale [se la cavità è preformata (colecisti, cavità pleurica) si parla di empiema]. Il pus è un liquido cremoso, giallo‐verdastro, denso. Composto da: ‐ PMN alterati detti globuli del pus ‐ Germi “banali”Æ Stafilococchi e Streptococchi ‐ Tessuti necrotici. Esame obiettivo All’esame obiettivo, se l’ascesso è superficiale, si riscontrano i 4 segni tipici (sono i segni cardinali della flogosi acuta) che sono: • Tumor • RuborÆ Scompare alla pressione digitale • Calor • DolorÆ Dolenzia e dolorabilità. Se si trova in un’area funzionale c’è anche una functio laesa. Può inoltre apparire la fluttuazione, che indica che il pus si è raccolto a formare l’ascesso. Nell’esame obiettivo bisogna ricercare anche: ¾ Manifestazione regionaleÆ Linfoadenopatia: o InguinaleÆ Se localizzato nell’arto inferiore Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 17 o AscellareÆ Se localizzato nell’arto superiore. ¾ Manifestazione generaleÆ Si nota: o Stato generale più o meno alteratoÆ Cefalea, anoressia, ecc… o Febbre con brivido o Leucocitosi neutrofila. La ricerca dell’eziologia richiede un E.O. molto accurato, anche nelle cavità. Evoluzione Se non si incide chirurgicamente, l’ascesso tende ad aprirsi alla cute (se superficiale) e dare esito al pus. L’evacuazione del pus può essere incompleta o difficile e la guarigione può tardare. Mai attendere questo drenaggio spontaneo e tardivo del pus, ma evocarlo con un’incisura chirurgica. Si segue la solita legge: “Ubi pus ibi evacua”. Patogenesi La formazione e l’evoluzione di un ascesso sono determinate dalle difese dell’organismo contro l’infezione. La membrana dell’ascesso, detta membrana piogenica, costituisce una zona di reazione difensiva del tessuto connettivo che circonda il focolaio di suppurazione e protegge quindi i tessuti vicini ed è il punto di partenza della cicatrizzazione. La tasca tende a retrarsi ed a cicatrizzarsi dopo l’incisione che evacua il contenuto. Si ha quindi un’evoluzione centripeta. FlemmoneÆ Suppurazione che non mostra alcuna tendenza spontanea alla cicatrizzazione ed ha un’evoluzione centrifuga. Bisogna fare drenaggi multipli in più punti. ASCESSO FREDDO È divenuto raro. La raccolta si è formata lentamente in assenza dei segni cardinali della flogosi. È ad eziologia frequentemente tubercolare. Le possibili cause sono: • Necrosi caseosa sottocutanea liquefatta o rammollita • Linfoadenite tubercolare rammollita • Osteite tubercolareÆ Ascesso ossifluente • Artrite tubercolareÆ Ascesso artrifluente. Il pus si presenta grigiastro, sieroso, con in sospensione zone di caseosi. Non comprende, in genere, dei germi piogeni all’esame diretto. Questo carattere è più che sospetto. Gli ascessi freddi non causati dalla TBC sono rari: ‐ Micosi ‐ Infezione melitococcica. Esame obiettivo All’esame obiettivo notiamo: ‐ Tumor ‐ Non c’è ruborÆ La cute ha un colore normale ‐ Non c’è calor ‐ Non c’è dolorÆ Né spontaneo né evocato. ‐ La fluttuazione è molto evidente. Bisogna ricercare: ¾ Manifestazioni regionaliÆ Linfoadenite, quando presente, indolore o quasi. ¾ Manifestazioni generali: o Stato generale non alterato o, se lo è, lo è in ragione non dell’ascesso ma del processo tubercolare responsabile. o Non c’è febbre, al massimo una febbricola o Non c’è leucocitosi neutrofila. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 18 Evoluzione In assenza di trattamento, la pelle si arrossa, si infiltra, si ulcera, da passaggio al pus. L’ulcerazione, dai contorni violacei e dai margini sottominati, non presenta alcuna tendenza alla guarigione spontanea. Questo è dovuta al fatto che la parete è costituita da tessuto infiammatorio sclerogeno che presenta lesioni tubercolari evolutive, che spiegano l’estensione progressiva dell’ascesso freddo. Di principio, non va mai inciso perché la sua parete non ha tendenza alla chiusura. Persiste la cavità che, dopo incisione o apertura spontanea, crea una fistola con l’esterno che non tende a guarigione spontanea. Se si propone il trattamento chirurgico, bisogna effettuare l’escissione di tutto l’ascesso, parete compresa. ASCESSO A BOTTONE DI CAMICIA Ascesso profondo, il più spesso freddo, che da origine ad una tumefazione superficiale solo dopo che la suppurazione ha perforato l’aponeurosi e si è fatta strada sotto i tegumenti. Le due tasche comunicano con un tramite. Non bisogna fare un solo drenaggio superficiale perché rimane del pus nella tasca profonda che, ogni tanto, torna nella porzione superficiale. Si localizza spesso nella catena linfonodale mammaria interna. LINFANGITE ACUTA Flogosi acuta dei vasi linfatici dovuta alla penetrazione nel lume vascolare di germi patogeni (strepto, stafilo, …). Si può considerare una manifestazione regionale (al limite tra localizzata e regionale). La causa più frequente è una ferita cutanea infetta. Si associa sempre a manifestazioni generaliÆ Febbre fino a 40°C, functio laesa e dolor. Due tipi: • ReticolareÆ Colpisce i vasi linfatici più superficiali e quindi più sottili. Si presenta come un fine reticolo di linee rosse che scompaiono con la pressione. È localizzata nella superficie circostante alla ferita infetta. È accompagnata spesso da edema molle. C’è dolor, rubor, calor. Coesiste inoltre una linfadenite acuta nell’area di drenaggio. • TronculareÆ Colpisce i vasi linfatici più profondi e quindi più spessi. Si presenta con delle strie rosse che scompaiono alla pressione lungo i tronchi linfatici. C’è edema e sensazione palpatoria di cordoni dolorosi che collegano la lesione ai linfonodi regionali. Coesiste una linfadenite acuta e le manifestazioni generali sono severe (febbre). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 19 ESAME OBIETTIVO DELLA MILZA CENNI ANATOMICI La milza ha una forma ovoidale orientata dall’alto in basso e dall’interno all’esterno. Dimensioni: ‐ LunghezzaÆ 13cm ‐ LarghezzaÆ 8cm ‐ SpessoreÆ 3‐3.5cm. Presenta 2 facce: • Faccia laterale o diaframmaticaÆ Convessa • Faccia mediale suddivisibile in tre porzioni: o Anteriore o gastrica o Posteriore o renale o Inferiore o colica. Presenta 3 margini: o MedialeÆ In cui c’è l’ilo o Anteriore o Posteriore. Occupa la parte più laterale dell’ipocondrio sinistro (loggia splenica) in posizione obliqua. Rapporti: Anteriormente al rene e surrene sinistro Posteriormente allo stomaco Infero‐lateralmente alla cupola diaframmatica sinistra Superiormente all’angolo colico sinistro. La sua posizione si modifica: ‐ Con il respiro ‐ Con il riempimento del colon ‐ Con il riempimento dello stomaco. I mezzi di fissità sono: • Legamento gastro‐lienaleÆ Dove decorrono i vasi brevi. • Legamento pancreatico‐lienale • Legamento freno‐lienale • Legamento freno‐colico sinistroÆ È il vero legamento sospensore della milza. Proiezione: o Margine antero‐superioreÆ Ottavo spazio intercostale sull’ascellare media o Margine postero‐inferioreÆ Margine superiore dell’undicesima costa o Anteriormente fino all’ascellare media o Posteriormente si spinge sino a 5cm dalla linea tra le apofisi spinose. ANOMALIE Le possibili anomalie della milza possono essere: ¾ Di numeroÆ Ci possono essere milze soprannumerarie (accessorie o aberranti). Sono abbastanza frequenti (10% della popolazione) e in genere sono uniche, di volume variabile (in media 1cm) e si percepiscono come piccoli noduli. Sono situate di preferenza nel legamento pancreatico‐lienale. ¾ Di sedeÆ La milza può essere ectopica o ptosica ma sono molto rare. ¾ Di formaÆ Rarissime Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 20 ESAME OBIETTIVO La milza normalmente non è palpabile, eccetto nel primo mese di vita in cui deborda di 1‐2cm dal margine costale. Diventa palpabile se la dimensione è doppia. Se la milza è palpabile, è sempre patologica a meno di un’anomalia di sede o di compressione da parte di organi adiacenti. La milza aumenta di volume progressivamente in senso diagonale, estendendosi dal margine costale inferiore sinistro verso la linea mediana, l’ombelico e la fossa iliaca destra. Quando è ingrossata di parla di splenomegalia. Ispezione Il paziente deve essere in decubito supino. Il medico è ai piedi del paziente e poi nel lato sinistro. Solo in caso di notevole aumento di volume o di anomalia della sede, con spessore parietale toraco‐ addominale favorevole, sono possibili riscontri ispettivi. La tumefazione può scendere nella fossa iliaca sinistra, nel pube e nei quadranti addominali destri e bacino e l’ipocondrio sinistro risulta prominente. La tumefazione sarà mobile con gli atti del respiro e muta con il decubito. Se il paziente è magro si possono osservare le incisure. Si possono inoltre essere i reticoli venosi superficiali causati dall’ipertensione portale. Palpazione ¾ Da destra: o Paziente supino. Con la mano a piatto. Si può fare con tecnica manuale o con le mani sovrapposte (si può fare anche con il lato ulnare). Si inizia dalla fossa iliaca destra o dall’ombelico e si sale progressivamente con le dita della mano destra in posizione obliqua verso l’ascella, sino al margine costale. A livello della linea ascellare anteriore, le ultime 4 dita vengono dirette sotto l’arcata costale, verso il cavo ascellare. o Tecnica bimanualeÆ Il palmo della mano sinistra va appoggiata a piatto sulla parete postero‐inferiore sinistra della gabbia toracica, ove esercita pressione sulle coste. La mano destra a piatto esegue invece la stessa manovra per la palpazione semplice. o Paziente in decubito laterale destro con anca e ginocchio sinistro flesso. La gravità spinge la milza in basso e a destra. ¾ Da sinistra: o Paziente supino o in decubito laterale destro con anca e ginocchio sinistro flessi e la mano sinistra sotto la testa. Il medico è posto alla testa del paziente e inserisce il palmo della mano sinistra tra la cartilagine della costa e l’estremità fluttuante dell’undicesima costa e le ultime 4 dita ad uncino al di sotto del margine costale. Viene detta manovra di uncinamento. o Tecnica bimanualeÆ Si possono utilizzare le 4 dita di entrambe le mani. Si invita il paziente ad inspirare profondamente. Se c’è splenomegalia, la milza urta la mano e fa apprezzare il suo margine con le incisure. Se molto aumentata le dita possono essere sollevate. A metà del secondo inspirio profondo, a milza palpabile, bisogna diminuire la pressione digitale, mantenendo la mano verso l’alto per permettere alle dita di scivolare sulla superficie apprezzandone le caratteristiche. Se c’è splenomegalia bisogna valutare: 1. Distanza in cm tra il margine della milza e l’arcata costale sinistra 2. Forma 3. Volume 4. Direzione dell’asse maggiore (se la tumefazione è renale l’asse è di solito verticale) 5. Consistenza 6. Superficie 7. Margine 8. Dolorabilità 9. Mobilità 10. Spostabilità passiva 11. BallottamentoÆ Manovra per vedere se la tumefazione è renale 12. Contatto lombareÆ Manovra per vedere se la tumefazione è renale Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 21 13. Fremito idatideoÆ Antico 14. FluttuazioneÆ Ci possono essere delle cisti. Percussione Le finalità sono: ‐ Delimitare la parte dell’organo che, situata nella gabbia toracica, non è accessibile alla palpazione ‐ Definire meglio il volume dell’organo. Le aree di repere sono: • Area di TraubeÆ Corrisponde alla proiezione del timpanismo gastrico sulla parete anteriore dell’emitorace sinistro. Se c’è un aumento di volume della milza o un versamento pleurico il timpanismo scompare. Compresa tra: o Sesta cartilagine costale, superiormente o Nona cartilagine costale, inferiormente o Regione della punta del cuore, medialmente o Linea ascellare anteriore, lateralmente. • Area di WeillÆ Piccola area al di sotto dell’area di Traube. Si trova nella parte inferiore del seno costo‐diaframmatico. La percussione può essere: ¾ LongitudinaleÆ Il medico è posto a sinistra e il paziente in decubito laterale destro con l’arto superiore destro sollevato. La percussione va fatta con media forza in alto e debole in basso, lungo le linee ascellari. L’ottusità splenica è presente tra il margine superiore della nona costa e il margine inferiore dell’undicesima costa. All’inspirio profondo, si percuote l’ultimo spazio intercostale sinistro sull’ascellare anteriore. Se il suono è ottuso vuol dire che c’è un aumento di volume della milza e si indica come segno splenico percussorio positivo. ¾ TrasversaleÆ Il medico è alla destra del paziente e il paziente è in decubito supino. Si percuote l’area di Traube con percussione leggera. Il timpanismo di riduce o scompare per: o Splenomegalia o Versamento pleurico sinistro o Cardiomegalia o versamento pericardico o Neoplasie del fondo gastrico o retrogastriche, della retro cavità degli epiploon e retro peritoneali superiori. Ascoltazione Si possono percepire: ‐ SfregamentiÆ Tipici dell’infiammazione ‐ Soffi e rumori vascolariÆ Tipici degli aneurismi dell’arteria splenica o delle splenomegalie congestizie. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Quando si trova una probabile tumefazione splenica bisogna effettuare la diagnosi differenziale con: Massa di origine renale Voluminoso lobo epatico sinistro Voluminosa neoplasia pancreatica, colica, surrenalica sinistra, cisti del mesentere (più raramente). Tumefazione renale Tumefazione splenica Mobile all’inspirazione profonda Mobile all’inspirazione superficiale (più mobile) Si può cingere il polo superiore Non si può mai cingere il polo superiore Il contorno è arrotondato Il contorno è irregolare (incisure) Asse verticale Asse verso la fossa iliaca destra SPLENOMEGALIA Le possibili cause di splenomegalia sono: • Ipertensione portale Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 22 • Infezioni • Leucemia linfoide cronica • Leucemia mieloide cronica • Mielofibrosi • Anemia emolitica • Malattia di Gaucher. In certe condizioni l’aumento di volume della milza è associato ad un aumento di volume del fegatoÆ Epatospenomalia. Le cause possono essere: o Mononucleosi o Mielofibrosi o Cirrosi epatica o Linfomi, amiloidosi, sarcoidosi. È quindi associare l’esame obiettivo della milza all’esame obiettivo del fegato per cercare l’epatomegalia e alla palpazione delle stazioni linfonodali per cercare la linfoadenopatia. La splenomegalia è suddivisibile in tre gradi: ‐ LeggeraÆ 1‐2cm dal margine costale ‐ VoluminosaÆ 3‐7cm dal margine costale ‐ EnormeÆ >7cm dal margine costale. Malattie diverse causano splenomegalia di diverso grado. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 23 ESAME OBIETTIVO DELL’APPARATO URINARIO CENNI ANATOMICI RENI I reni sono organi retro‐peritoneali. Sono situati tra D12 e L3. Il rene destro è situato 2cm più in basso del sinistro ed è più mobile per effetto del lobo del fegato. ‐ Polo superiore del rene destroÆ Disco intervertebrale tra D11 e D12 ‐ Polo inferiore del rene destroÆ Corpo di L3 ‐ Polo superiore del rene sinistroÆ Corpo di D11 ‐ Polo inferiore del rene sinistroÆ Disco intervertebrale tra L2 e L3. La taglia normale (asse verticale) del rene è variabile, ma è proporzionale a quella delle vertebre dorso‐ lombari. In particolare: • 3 vertebre e mezzoÆ Rene normale • Minore o uguale a 3 vertebreÆ Rene atrofico o ipotrofico • Maggiore o uguale a 4 vertebreÆ Rene aumentato di volume. Rapporti anteriori: ¾ Rene destro: o Medialmente con il duodeno o Duodeno o Fegato o Inferiormente con l’angolo colico destro. ¾ Rene sinistro: o Antero‐superiormente con la milza o Angolo colico sinistro o Colon discendente o Medialmente con la coda del pancreas. Rapporti posteriori: ¾ Porzione superioreÆ Gabbia toracicaÆ A sinistra arriva fino a metà. ¾ Porzione inferioreÆ Muscoli, latero‐medialmente: o Trasverso dell’addome o Quadrato dei lombi o Grande psoas. Rapporti con i vasi: ‐ Il rene di destra è più vicino alla vena cava ‐ Il rene di sinistra è più vicino all’aorta. Punti di repereÆ Il più importante è l’angolo costo‐vertebrale o renale che è formato da: • Bordo inferiore della 12 costa • Bordo laterale della colonna vertebrale. URETERI Sono canali muscolo‐membranosi di 25‐30cm, scavalcati dai vasi gonadici. Il destro è più corto di 1‐2cm. Il diametro è di 7‐8mm. Si possono dividere in quattro porzioni: • AddominaleÆ 9‐11cmÆ Sino alla cresta iliaca • IliacaÆ 4‐5cmÆ Scavalca i vasi iliaci • PelvicaÆ 12‐14cmÆ Sino alla parete vescicale • VescicaleÆ 10‐15mmÆ Attraverso la parete vescicale. Sono appoggiati posteriormente all’ileo‐psoas. Sono profondi e sottili e quindi praticamente impossibili da palpare. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 24 VESCICA Se vuota, non oltrepassa la sinfisi pubica. Corrisponde anteriormente alla parete anteriore dell’addome, da cui è separata dallo spazio di Retzius. Posteriormente è separato nell’uomo dal retto dal cavo vescico‐ rettale, e nella donna dall’utero dal cavo vescico‐uterino. ANOMALIE RENALI ¾ Malformazioni congeniteÆ Colpiscono il 3‐4% dei neonati. Le principali sono: o Agenesia renale unilateraleÆ 1/1000 neonati o Agenesia renale bilateraleÆ 1/10000 neonati o Ipoplasia renale (peso inferiore di 50g)Æ 1/1000 neonati o Reni accessori (sopranumerati)Æ Meno dell’1% dei neonati o Rene a ferro di cavalloÆ 1‐1.5% dei neonati. ¾ Anomalia di sede: o Rene ectopico (congenito)Æ In genere si situa nella fossa iliaca o nella pelvi o Rene ptosico (acquisito)Æ Abbassamento del rene. Può essere: Di grado lieveÆ Il polo inferiore può essere palpato durante l’inspirazione profonda. Di grado elevatoÆ Il rene può essere agganciato tra le dita alla palpazione bimanuale. Nell’anamnesi bisogna prestare attenzione a: ‐ Dolore ‐ Alterazioni della diuresi e/o delle urine ‐ FebbreÆ Febbricola, febbre uro‐settica. ESAME OBIETTIVO DEL RENE Il paziente va esaminato: ‐ In piedi ‐ In decubito supino ‐ Seduto ‐ In posizione laterale ‐ In casi eccezionali in posizione genu‐pettorale o di Trendelemburg. ISPEZIONE Il paziente è in decubito supino e il medico è prima di fronte e poi di lato. Il rene normale per volume e per sede non è visibile. Un grande aumento di volume comporta una sporgenza dell’ipocondrio ed uno spianamento degli ultimi spazi intercostali. In alcuni processi infiammatori della loggia renale (ascesso pararenale) a paziente seduto di apprezza un rigonfiamento della regione lombo‐renale (evidente se confrontata con la controlaterale). Nelle voluminose idronefrosi si ha una modificazione conformazione dell’addome. Se si svuota poi scompare. In caso di reni ectopici o ptosici si possono a volte vedere se il paziente è molto magro. Se si nota una tumefazione, in nessun caso è possibile attribuire al rene, con la sola ispezione, la paternità della tumefazione. PALPAZIONE Valuta: • Sede • Contorni • Forma • Volume • Consistenza Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 25 • Eventuali punti dolorosi. Un rene normale è poco o nulla accessibile alla palpazione (al più se ne apprezza il polo inferiore). La palpazione è facilitata se il paziente è magro e brachitipo. Si effettua prima la palpazione lombo‐renale (per vedere le modificazioni della conformazione e contratture) e poi la palpazione renale. La palpazione renale si può effettuare: ¾ In decubito supino: o Tecnica bimanuale secondo TrousseauÆ Ci si pone dal lato che si vuole palpare. Se a destra, la mano sinistra è posta nella fossa lombare per sollevare il rene, mentre la destra anteriormente per palparlo. o Tecnica secondo Guyon (del ballottamento)Æ Si da dei colpetti con la mano inferiore e si percepiscono con la mano superiore. Se è positiva, significa che la tumefazione è renale. ¾ In posizione sedutaÆ Si fa raramente e ha lo scopo di favorire la discesa. ¾ In posizione genu‐pettoraleÆ Facilita la riposizione del rene ptosico. I due segni semiologici in caso di massa addominale di origine renale sono: ‐ Contatto manualeÆ Si fa con la manovra di Trousseau. Con l’inspirio profondo si percepisce una sensazione di pienezza dovuta alla massa renale. ‐ BallottamentoÆ Si effettua con la manovra di Guyon. Diagnosi differenziale a sinistra con la coda del pancreas e la milza, a destra con il colon. Zone dolorose: • Manovra di GiordanoÆ Percussione della regione lombare con il margine ulnare della mano. • Manovra di LloydÆ Percussione dell’angolo costo‐vertebrale con indice “a stilo” (a paziente eretto o in decubito sul fianco). • Punto costo‐lombare o costo‐muscolareÆ Angolo tra la 12 costa e la massa muscolare sacro‐ lombare. • Punto costo‐vertebraleÆ Angolo tra la 12 costa e il margine della colonna vertebrale. Tecnica consigliata per la palpazione: ‐ Omolaterale ‐ Mano opposta al lato esaminato posteriore, appena sotto all’arcata costale e parallela alla 12 costa, con le dita che raggiungono l’angolo costo‐vertebrale. ‐ Pressione posteriore per spingere il rene anteriormente ‐ Altra mano posta anteriormente parallela e laterale al muscolo retto. ‐ All’inspirio profondo del paziente, esercitare una pressione in profondità con la mano anteriore, appena sotto il margine costale, per tentare di catturare il rene tra le due mani. ‐ All’espirio, rilasciare lentamente la pressione anteriore per apprezzare lo scivolare del rene in posizione posteriore. ESAME OBIETTIVO DELLA VESCICA ISPEZIONE La vescica ripiena non è visibile all’ispezione. Quando è sovradistesa per ristagno sporge dall’ipogastrio, subito sopra al pube, ed assume la forma di un globo ovale, il cui polo superiore può raggiungere l’ombelico, mentre il polo inferiore è invisibile, perché disposto nel piccolo bacino. PALPAZIONE La vescica normale sfugge alla palpazione. La vescica dilatata e sovradistesa si palpa come una tumefazione sferoidale a larga base di impianto che protrude all’ipogastrio. Ha limiti netti, superficie liscia, consistenza molle‐elastica, fluttuante, non riducibile, non spostabile, immobile con gli atti del respiro. PERCUSSIONE La vescica è l’unico organo dell’apparato urinario in cui ha senso. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 26 Il suono ottuso rilevato lungo la linea ombelico‐pubica ed ai lati di questa ha una convessità rivolta verso l’alto e segue i limiti del globo vescicale delimitato alla palpazione. ESAME OBIETTIVO DEGLI URETERI PALPAZIONE È priva di significato. Sono invece importanti i punti dolorosi. I principali sono: ‐ Punto ureterale superioreÆ Incrocio tra l’ombelicale trasversa con il margine laterale del muscolo retto (a 5cm) ‐ Punto ureterale medioÆ Sulla bispino‐iliaca, all’incrocio con la linea verticale innalzata subito a lato del tubercolo pubico. LESSICO UROLOGICO • AnuriaÆ Cessazione patologica della secrezione urinaria che comporta l’assenza dell’urina in vescica. Può essere: o SecretoriaÆ Grave insufficienza renale o EscretoriaÆ Da ostruzione di entrambe le vie urinarie superiori. • DisuriaÆ Qualsiasi difficoltà della minzione. • DiuresiÆ Secrezioni renale espressa dalla quantità di urina prodotta. • EmaturiaÆ Emissione di sangue (GR) nelle urine. Può essere: o Microscopica o Macroscopica. Per capire la provenienza si può fare la prova dei tre bicchieri: o Se solo il primo bicchiere contiene sangueÆ Problema a livello dell’uretra. o Se il sangue è contenuto solo nel terzo bicchiereÆ Problema vescicale. o Se il sangue c’è sempreÆ Problema renale. • EnuresiÆ Emissione involontaria di urina durante il sonno. • Incontinenza urinariaÆ Perdita involontaria di urina anche durante la veglia. Può essere: o VeraÆ Compatibile con lo svuotamento completo della vescica o FalsaÆ Associata a vescica sovra distesa per ritenzione. • IscuriaÆ Difficoltà di urinare con parziale ritenzione di urina in vescica. Quando è paradossa è sinonimo di falsa incontinenza. • NicturiaÆ Emissione volontaria di urina durante la notte in quantità maggiori che durante il giorno. • Ritenzione urinariaÆ Incapacità di emettere in tutto o in parte l’urina raccolta in vescica . Può quindi essere: o Completa o IncompletaÆ Sinonimo di iscuria. • OliguriaÆ Diuresi scarsa, inferiore a 400cc/24h • PiuriaÆ Emissione di pus (GB) con le urine • PneumaturiaÆ Emissione di gas con le urineÆ Tipico di una fistola con il sigma (in questo caso si avrà anche fecaluria). • PoliuriaÆ Diuresi superiore a 2 litri nelle 24h. • PollachiuriaÆ Aumento della frequenza delle minzioni. • StranguriaÆ Minzione difficile (a gocce e dolorosa). • TenesmoÆ Stimola alla minzione anche quando la vescica è vuota. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 27 ESAME OBIETTIVO PROCTOLOGICO ProctologiaÆ Studio del retto e dell’ano. CENNI DI ANATOMIA Il retto, il canale anale e l’apparto sfinteriale rappresentano un’unità complessa la cui funzione è duplice: ‐ Assicurare la defecazione ‐ Mantenere la continenza. Retto Inizia a livello di S3 (retto anatomico) o a livello del promontorio sacrale (retto chirurgico). È lungo circa 12cm. Presenta due curvature: • Flexura sacralisÆ A concavità anteriore • Flexura perinealisÆ A concavità posteriore. La faccia posteriore è extraperitoneale, mentre quella anteriore è per 2/3 intraperitoneale. Presenta tre valvole semicircolari di Houston. Quella media di destra è la riflessione peritoneale anteriore o cavo di Douglas (cavità retto‐vescicale o retto‐uterina). Il 1/3 inferiore del retto è extraperitoneale ed è detta ampolla rettale. Anteriormente è in rapporto con: ‐ Base della vescica, vescichette seminali e prostata nell’uomo ‐ Parete anteriore della vagina nella donna. Ano Inizia a livello del muscolo pubo‐rettale (canale anale chirurgico) o a livello della linea dentata o pettinata, formata dal margine libero delle valvole anali o semilunari di Morgagni (canale anale anatomico). È lungo medialmente 4cm (quello anatomico 3cm, quello chirurgico 4.5cm). È inclinato verso l’ombelico e forma un angolo posteriore di 90° con il retto (detto angolo ano‐rettale) grazie al muscolo pubo‐rettale. A livello delle valvole semilunari (sono da 6 a 14) sboccano le ghiandole tubulari ramificate mucipare (da 3 a 10, in media 6). A livello della linea pettinata, nella sottomucosa, si trovano i tre cuscinetti anali che contengono vasi sanguigni. Sono i precursori delle emorroidi. Sono: ‐ SinistraÆ Laterale ‐ DestroÆ Anteriore e posteriore. Sono connessi grazie al legamento di Pax. Se si rompe scendono verso il basso dando vita a patologia emorroidaria. L’ano termina a livello della linea o margine ano‐cutaneo, o margine anale o orifizio anale, punto in cui le pareti del canale anale sono a contatto, anche in posizione di riposo (effetto sfinteriale). Attorno al margine, la cute forma pliche disposte in senso radiale dette pliche anali o raggiate. La mucosa di rivestimento è malpighiana sotto la linea dentata. Al di sopra è colonnare con interposta una zona di transizione (6‐12mm). Alla linea ano‐cutanea il rivestimento diventa più spesso e presenza follicoli piliferi (marcano il margine interno dello sfintere esterno) e tutte le altre caratteristiche della cute. Sfintere Sono due: • InternoÆ Muscolo liscio. Ispessimento terminale del muscolo liscio circolare del retto, aderisce alla mucosa a livello della linea pettinata. È lungo 2.5‐3cm e ha uno spessore di 1.5‐5mm. È responsabile della pressione anale basale che impedisce la fuoriuscita di gas (ano‐rectal ring). 1‐1.5 cm sopra la linea dentata c’è il solco intramuscolare o linea bianca di Hilton. • EsternoÆ Muscolo striato che circonda lo sfintere interno e il canale anale su tutta la loro lunghezza. Supera in basso, col bordo della parte sottocutanea, il margine inferiore dello sfintere interno. Ha un’attività continua importante per la continenza. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 28 Muscolo elevatore dell’ano È un muscolo largo e sottile, che forma la maggior parte del pavimento pelvico. Ha la forma di imbuto ed è attraversato dal retto e dell’uretra. È formato da tre parti: ‐ Muscolo ileo‐coccigeo ‐ Muscolo pubo‐coccigeo ‐ Muscolo pubo‐rettaleÆ È innervato dal 4° nervo sacrale. Col margine superiore dello sfintere interno delimita la formazione dell’ano‐rectal ring, anello muscolare che circonda la giunzione ano‐ rettale. L’azione del muscolo è legata alla presenza dell’angolo ano‐rettale. Importante per la continenza e la defecazione. Il retto drena ai linfonodi dell’arteria mesenterica inferiore e dell’arteria iliaca. L’ano drena invece alla catena linfonodale orizzontale dei linfonodi inguinali. ESAME OBIETTIVO L’esame anorettale è, o dovrebbe essere, una pratica quotidiana per il medico, ma per il paziente è, in genere, una pratica inusuale. È quindi obbligatorio per il medico: ‐ Spiegare al paziente in cosa esso consisterà e cosa potrà provocare ‐ Ottenere il consenso all’esame ‐ Eseguire l’esame dopo aver indossato guanti in lattice. È preferibile l’esame in presenza di personale medico o paramedico (rischi medico‐legali). Avviene in tre tempi: • Ispezione anale e perianale • Palpazione perianale • Esplorazione rettale. Per localizzare i reperti si utilizza: ¾ Triangoli del perineoÆ Sono due, con la base in comune (linea tra le 2 tuberosità ischiatiche): o Anteriore o urogenitaleÆ L’apice è la sinfisi pubica o Posteriore o analeÆ L’apice è l’apice del coccige. ¾ Sistema dell’orologioÆ Si considera l’ano con il centro dell’orologio. Le ore 12 corrispondono quindi allo scroto o alla porzione inferiore della vagina. Le ore 6 corrispondono al coccige. Bisogna inoltre definire in centimetri la distanza del margine ano‐cutaneo. Se una soluzione di continuo è posta anteriormente probabilmente la fistola presenta un canale diretto, mentre se si trova posteriormente è probabile che la fistola abbia un canale curvilineo. Più le soluzioni sono distanti dal margine ano‐cutaneo, più complessa di solito è la patologia. Le posizioni del paziente sono: • Posizione ginecologica o litotomicaÆ I pro sono che la visione è eccellente. I contro sono che serve un tavolo speciale, il paziente deve avere una buona mobilità ed è difficile la valutazione dei muscoli del pavimento pelvico. • Posizione ginecologica ad arti appena flessi e decubito supinoÆ I pro sono che è l’unica possibile in caso di allettamento e motilità ridotta. I contro sono che l’ispezione e la palpazione è difficoltosa. • Posizione genu‐petturaleÆ I pro sono: eccellente esposizione e agevole E.O. I contro sono la scomodità e la non ben tollerabilità, sia fisica che emotiva, dal paziente. • Posizione genu‐cubitaleÆ Stessi pro e contro della posizione genu‐petturale. • Posizione laterale sinistra di Sims (quella utilizzata)Æ La coscia sinistra è leggermente flessa, mentre la destra è ben flessa. I glutei sporgenti di 10‐15 cm dal margine del letto. I pro sono che la posizione è confortevole e l’esame è facilmente eseguibile. ISPEZIONE Per prima cosa, distendere le pliche anali. Si può in questo modo vedere l’ultima parte del canale anale. L’ispezione va estesa a tutto i perineo e si utilizzano gli stessi criteri per l’esame obiettivo delle tumefazione e delle soluzioni di continuo. Bisogna valutare la situazione dell’ano. In genere è chiuso, ma può essere aperto o beante. Può avere deformità, a buco di chiave (per esito di un intervento chirurgico). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 29 Bisogna inoltre effettuare tre manovre: ‐ Divaricazione ulteriore dei glutei per aprire la parte inferiore del canale anale. ‐ Manovre di Valsalva ‐ Contrazione volontaria dello sfintere esterno e dell’elevatore dell’ano. Le punture di spillo (o di ago) o un pizzico sulla cute perianale provoca la contrazione dello sfintere esterno, o riflesso anale. Esso è assente nelle patologie del pavimento pelvico. PALPAZIONE Va estesa a tutto il perineo. Si usano i criteri di valutazione dell’esame obiettivo delle tumefazioni e delle soluzioni di continuo. La palpazione è digitale e si effettua dal margine anale verso l’esterno. Si può trovare un’uscita di pus. ESPLORAZIONE RETTALE Permette di valutare, in sequenza: A) Parete rettale, organi e strutture contigue B) Contenuto intrarettale C) Cavo di Douglas D) Canale anale. La valutazione va quindi fatta in estrazione, cioè dopo aver inserito completamente il dito. Introduzione del dito: ‐ Lubrificare con gel anestetico trasparente (o vasellina) il 2° dito (o il 5° in caso di bambini o di pazienti di recente operati per patologia anale). ‐ Appoggiare il polpastrello sul margine anale muovendo attorno ad esso per qualche secondo (facilita il rilassamento dello sfintere anale). ‐ Invitare il paziente ad eseguire la manovra di Valsalva (l’ano viene verso il dito) ed appoggiare il polpastrello a ore 6 sul margine anale. ‐ Premendo con il polpastrello, fletter le prime 2 falangi, dirigendo il dito verso l’ombelico. Fine della manovra di Valsalva. Se provoca dolore, estrarre il dito subito e ritentare la manovra dopo qualche minuto. Magari cambiare il dito dal 2° al 5°. Se prova ancora dolore bisogna proporre una esplorazione sotto anestesia (EUAÆ Evaluation Under Anesthesia). ‐ Dirigere il dito, lungo 10cm, verso la curvatura sacrale, inserendolo completamente. A) Parete rettaleÆ Si valuta con il polpastrello, a dito completamente inserito, ruotando di 180° in senso orario, per palpare la parete anteriore destra, e di 180° in senso antiorario per palpare la parete sinistra. In caso di riscontri patologico vanno valutati: o LocalizzazioneÆ Anteriore, posteriore, laterale, … o Distanza dei margini dalla linea ano‐cutanea o Estensione in centimetri e in frazione rispetto alla circonferenza anale o Mobilità sul piano della sottomucosa o Tutti i criteri usuali dell’E.O. delle tumefazioni delle soluzioni di continuo. Organi contiguiÆ Si valuta: o Prostata: i. Forma ii. Volume iii. Superficie iv. Consistenza v. Dolorabilità. Nel cancro la superficie si presenta irregolare, la consistenza dura e non c’è il solco mediano. o Collo dell’uteroÆ Non si utilizza l’esplorazione rettale la tecnica bimanualeÆ Con una si effettua l’esplorazione vaginale e l’altra è posta anteriormente. Per la palpazione tramite l’esplorazione rettale bisogna stare attenti alla presenza di tamponi o di un IUD. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 30 Strutture contigueÆ Seguendo con il dito la concavità sacro‐coccigea, si valuta lo spazio retro‐ rettale. Si valuta: o TumefazioniÆ Ossee, linfonodi, neoplastiche, infiammatorie o Motilità del coccige o Dolorabilità. B) Contenuto intrarettaleÆ Può essere: o FeciÆ Valutare la consistenzaÆ Ci può essere un fecaloma o Corpi estranei o AltroÆ Coaguli, muco. Si usano i criteri dell’E.O. delle tumefazioni. C) Cavo di DouglasÆ È il cavo retto‐uterino o retto‐vescicale. Si valuta: o Dolorabilità o Presenza di masseÆ Metastasi peritoneale da carcinoma gastrico. D) Canale analeÆ Estraendo lentamente il dito, invitare il paziente a tossire o a contrarre per qualche secondo l’apparato sfinteriale (stringa come se dovesse impedire la defecazione). Si apprezza così l’angolo ano‐rettale, che segna l’inizio del canale anale. Va valutata l’efficacia della contrazione del muscolo pubo‐rettale (entità dell’angolazione impressa dal muscolo contratto) e dello sfintere esterno (a contrazione volontaria). Si può inoltre percepire il solco intermuscolare. A dito retratto nel canale anale, con rotazione successiva sulle pareti si valuta: o Tono sfinteriale ed elasticità dello sfintere interno o Tumefazioni e soluzioni di continuo o Solco intersfinterico. Le lesioni del canale anale vanno palpate anche tra il primo dito, posizionato subito all’esterno del margine ano cutaneo, e il secondo dito, posizionato nel canale anale. Fuoriuscita del ditoÆ Si valuta se è pulito o sporco e di che cosa: ‐ Sangue ‐ Pus ‐ Muco ‐ FeciÆ Normali o con alterazioni della cromia. In caso di lesioni anali/perianali vanno sempre palpate bilateralmente le regioni inguino‐crurali, per valutare l’eventuale presenza di linfoadenopatia. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 31 ESAME OBIETTIVO DELLE VENE DEGLI ARTI INFERIORI Le vene degli arti superiori, assieme a quelle del tronco superiore e della testa e del collo, drenano nella vena cava superiore. Le vene degli arti inferiori e del tronco inferiore drenano nella vena cava inferiore. Le vene gonadiche di destra drenano direttamente nella vena cava inferiore. Un’ostruzione della cava può portare quindi ad un aumento di volume del testicolo destro. Le malattie venose compiscono molto più frequentemente gli arti inferiori rispetto a quelli superiori. Negli arti superiori la causa più comune è la flebite superficiale da corpo estraneo. Le malattie venose più frequenti sono: ‐ Varici ‐ Tromboflebite superficiale ‐ Trombosi venosa profondaÆ Che può portare poi ad ulcera cronica della gamba. CENNI DI ANATOMIA Vene profondeÆ Forniscono circa il 90% del ritorno venoso degli arti inferiori e sono ben sostenute dai tessuti circostanti. Sono parallele alle arterie. Sono: ‐ Vena femorale ‐ Vena poplitea. Vene superficialiÆ Sono sottocutanee e scarsamente sostenute dai tessuti circostanti. Sono: ‐ Vena grande safenaÆ Parte dal malleolo interno e sbocca nella vena femorale (con l’ostio safeno‐ femorale) a livello del triangolo di Scarpa. ‐ Vena piccola safenaÆ Origina dal malleolo esterno e sbocca nella vena poplitea a livello del cavo popliteo. ‐ Vene anastomoticheÆ Collegano le vene superficiali. Vene comunicanti o perforantiÆ Connettono il sistema safeno con il sistema venoso profondo (sono circa 200 per ogni arto). Le vene hanno tutte valvole anti‐reflusso unidirezionali (caudo‐craniali, dalla superficie in profondità). Il ritorno venoso è favorito da: ‐ Vis a tergoÆ Compressione della pianta del piede e contrazione dei muscoli ‐ Vis a fronteÆ Aspirazione da parte del torace ‐ Tono parete venosa. MANIFESTAZIONI CLINICHE Le manifestazioni cliniche sono: 1. DoloreÆ Può essere: o Con prurito e senso di gonfiore aggravati da ortostatismo prolungatoÆ Varici o Profondo con edema al di sotto dell’ostruzione venosaÆ TVP o Nella sede del cordone venoso “rosso”Æ Tromboflebite superficiale o Attenuato dall’innalzamento dell’arto con ulceraÆ Ulcera varicosa (può comunque anche essere indolore). 2. EdemaÆ Si ha solo nelle: o Varici o Reflusso venoso profondo o TVP. Nell’ulcera varicosa inizialmente si ha un edema molle che poi diventa duro. 3. Alterazioni della cromia della cuteÆ Può essere: o RossoÆ Tromboflebite superficiale o Blu‐nero, violetto, rosso scuroÆ Insufficienza venosa cronica (depositi di emosiderina, lipodermatosclerosi). Si ha nella faccia interna del terzo inferiore della gamba (sopra al Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 32 malleolo interno). È rara nella faccia esterna del terzo inferiore della gamba ed avviene solo se il reflusso superficiale predomina nella piccola safena. 4. UlceraÆ In presenza di varici che possono essere associate a lesioni del tronco venoso profondo. ESAME OBIETTIVO Ispezione Bisogna: • Esaminare arti inferiori a paziente in ortostatismo e poi supino • Esaminare la cuteÆ Modificazioni del colore, edema, dilatazione e tortuosità delle vene superficiali • Sollevare un arto alla volta a 15° sopra l’orizzontale e notare la velocità di svuotamento. Palpazione Si valuta: • Termotatto • Conferma dei dati dell’ispezione • Manovre funzionali Esami speciali Sono: • Doppler • Angiografia VARICI Sono dilatazioni permanenti delle vene superficiali. Possono essere: ¾ Primitive o essenzialiÆ Malattia della parete venosa (degenerazione del collagene e delle fibre muscolari lisce) ¾ SecondarieÆ Possono essere legate a: o Obesità o Stasi legata all’ortostatismo o Gravidanza o Ostruzione di vene pelviche (profonde)Æ Difficoltà di scarico o Traumi o Ereditarietà L’insufficienza valvolare che interessi una o le due safene e delle vene perforanti e la causa essenziale delle varici. In base al calibro si dividono in: TronculariÆ Superficiali, di grosso calibro, tortuose ReticolariÆ Di piccolo calibro e tortuose TeleangectasieÆ Di calibro ancora più piccolo e di colore rosso. Per quanto riguarda l’esame obiettivo: IspezioneÆ Va effettuato con paziente in piedi. Si valuta: ‐ Sede e calibro delle varici ‐ Tube trofiche cutaneeÆ Localizzate in genere nelle zone superficiali e più declivi ove le pressioni sono più elevate e le condizioni di drenaggio non favorevoli. ‐ Edema. PalpazioneÆ Si valuta: ‐ Sede ‐ Calibro ‐ Estensione ‐ Tragitto ‐ Compattezza (consistenza)Æ In genere, se non complicate, soffice. Prove funzionaliÆ Consiste nella: ¾ Valutazione delle valvole delle vene superficialiÆ Si effettua con la prova di SchwartzÆ Si mettono le mani una sopra e una sotto. Con la mano inferiore si danno impulsi per vedere se si trasmette in Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 33 alto. Se invece emettendo gli impulsi con la mano superiore si sente con la mano inferiore, significa che le valvole sono incontinenti. ¾ Valutazione delle valvole delle vene comunicantiÆ Si valuta con la manovra di TrendelemburgÆ Si valuta oltre alle valvole delle vene comunicanti anche le valvole dello sbocco safeno‐femorale. Il paziente è supino, si solleva l’arto di 90°. Le tumefazioni dovrebbero svuotarsi. Con un laccio si chiude lo sbocca tra la vena safena e la femorale. Il pazienti si alza poi in piedi. Il tempo normale per il riempimento del circolo superficiale è 35 secondi. Si tiene il laccio per 20 secondi. Se le vene superficiali si riempiono rapidamente già quando la vena è compressa, vuol dire che il sangue defluisce dal sistema profondo e quindi che le valvole comunicanti sono incontinenti. Se quando tolgo il laccio si riempiono ancora di più, significa che anche l’ostio della valvola safena‐femorale è incontinente. Se entrambe le manovre sono positive si parla di testi doppiamente positivo. Si può effettuare anche con la vena piccola safena. Si può applicare il laccio a vari livelli per vedere a che livello c’è incontinenza della valvola comunicante. ¾ Valutazione del circolo venoso profondoÆ Si valuta con la manovra di Perthes o di DelbetÆ Il paziente è in piedi. Si mette il laccio a metà della coscia. Si fa cammina sulla punta dei piedi per un po’ il paziente (in questo modo si contraggono i muscoli del polpaccio). Se il circolo venoso è pervio, il sangue si svuota attraverso le comunicanti e le vene profonde. Se le varici rimangono significa che c’è un’incontinenza delle valvole comunicanti, se le varici aumentano significa che il circolo venoso profondo non è pervio. TROMBOFLEBITE SUPERFICIALE Infiammazione, in genere asettica, delle vene superficiali con trombosi intraluminare. Colpisce il 10% dei pazienti con varici severe e sono più frequenti in gravidanza. Se è recidivante può essere associata a una neoplasia maligna. All’esame obiettivo si notano i classici segni della flogosiÆ Rubor, tumor, calor, dolor. TROMBOSI VENOSA PROFONDA (TVP) Ostruzione da coaguli delle vene profonde (in genere agli arti inferiori). L’evoluzione anatomica avviene in due fasi: ‐ FlebotrombosiÆ Coagulo molto ostruttivo, ma mobile e flottanteÆ C’è il rischio di embolia polmonare ‐ TromboflebiteÆ Coagulo retratto e aderente alla parete venosa, sulla quale si sviluppa una reazione infiammatoria. La formazione di coaguli comincia abitualmente nel sistema venoso profondo del polpaccio. AnamnesiÆ Bisogna tener presenza a: ‐ Allettamento per lungo tempo (una volta per i traumi ortopedici si utilizzava la posizione di Foulier che favoriva la formazione di coaguli). ‐ Traumi agli arti inferiori ‐ Gravidanza. Si manifesta con dolore e edema IspezioneÆ Si può notare: • Edema moderato • Circolo collaterale • Cianosi PalpazioneÆ Si nota: • Dolorabilità sulla linea mediana, lungo il tragitto delle vene profonde colpite • Dorsiflessione del piede limitata dal dolore al polpaccio (segno di Homans) • Diminuzione del ballottamento del polpaccio • Assenza di dolorabilità del ginocchio e della coscia. Non vanno mai eseguite prove funzionali perché c’è il grave rischio di provocare una tromboembolia polmonare se si è nella fase iniziale. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 34 INSUFFICIENZA VENOSA CRONICA Si presenta con: ‐ Edema duro ‐ Eczema varicoso ‐ LipodermatosclerosiÆ Circonda l’ulcera ‐ UlceraÆ Può essere però anche un segno di patologia arteriosa. BOTTOSSO STEFANO Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 1 ESAME OBIETTIVO DELL’ADDOME INTRODUZIONE Nell’esame obiettivo dell’addome viene valutato direttamente l’addome per cogliere tutte le manifestazioni morbose percettibili. L’esame deve essere eseguito secondo modalità ormai “consacrate” nella pratica e standardizzate evitando di invertire i tempi. L’esame può e deve mettere in evidenza i segni obiettivi, cioè rilevabili direttamente dal medico e segni soggettivi, cioè rilevabili soltanto dal malato. Fra questi ultimi, particolarmente importante è la “dolorabilità”, cioè il dolore provocato dalla manovra. Le fasi sono: ‐ IspezioneÆ Si prendere in considerazione tutto ciò e solo ciò, che può essere rilevato con la vista. L’esame obiettivo inizia quindi quando il paziente entra nel nostro campo visivo (a volte la postura, l’andatura, la mimica facciale possono essere preziose per una diagnosi). ‐ PalpazioneÆ Ci da delle informazioni su una zona limitata. Comprende informazioni che vengono fornite con il tatto e il senso di profondità legato a riflessi muscolari e articolari. Può stabilire la temperatura corporea, la forma, i caratteri di superficie, la consistenza, i movimenti attivi e passivi e la pulsatilità. Sfrutta principalmente la sensibilità dei polpastrelli. Il paziente deve assumere la posizione opportuna e bisogna evitare reazioni legate a paura, dolore, ecc… I muscoli retti devono essere rilassati. Si può quindi far piegare le gambe al paziente. Non bisogna mai utilizzare le mani fredde e bisogna eseguire movimenti lenti e non bruschi e violenti. Inoltre non bisogna palpare subito la sede del dolore ma la parte opposta. Bisogna evitare ogni danno al malato e quindi ridurre al minimo ogni manovra dolorosa e fastidiosa. La palpazione può essere: o SuperficialeÆ Si studia la parete o ProfondaÆ Si studia quello che c’è sotto. Ci può effettuare: o Con una sola mano: o Con due mani o Con la mano in toto o Con un singolo dito. ‐ PercussioneÆ Si mettono in vibrazione diverse strutture. Ogni organo o formazione anatomica produce, se messo in vibrazione, un rumore abbastanza caratteristico, legato alla maggiore o minore densità del sistema vibrante. Si può ottenere: o Suono ottuso, sordo, di cosciaÆ La struttura è piena, senza aria o TimpanicoÆ La struttura è tesa e con aria. La percussione può essere: 1. Diretta 2. IndirettaÆ Si usa un dito come plessimetro. ‐ AscoltazioneÆ Si percepiscono i rumori prodotti all’interno del nostro organismo. Anch’essa può essere diretta o indiretta. Si cerca la scomparsa o le modificazioni di rumori fisiologici, l’esistenza e i caratteri di rumori aggiuntivi. ADDOME Limiti: • SuperioreÆ Linea che parte dall’apofisi spinosa della 12° vertebra toracica, margine inferiore della 12° costa, apofisi ensiforme (linea toraco‐addominale). • InferioreÆ Linea passante al si sopra della sinfisi pubica lungo le arcate inguinali e l’osso iliaco sino alla quinta lombare. Si individuano tre regioni: Anteriore: o Superiormente delimitata dalla linea toraco‐addominale. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 2 o Inferiormente delimitata dalla linea che unisce le spine iliache anteriori‐superiori seguendo l’arcata crurale e il margine superiore della sinfisi pubica. o Lateralmente delimitata dalla linea spino‐costale, linea verticale che passa per la spina iliaca anteriore‐superiore. LateraleÆ Comprese fra le due linee spino‐costali e le linee ascellari posteriori prolungate verso il basso. Posteriore: o Superiormente delimitata dal prolungamento della linea toraco‐addominale. o Inferiormente delimitata dalla linea che segue le creste iliache e passa sopra l’apofisi spinosa della quinta vertebra lombare. o Lateralmente delimitata dal prolungamento in basso della linea ascellare posteriore. Linee verticali: o Xifo‐pubicaÆ Dall’apofisi ensiforme raggiunge la sinfisi pubica, passando per l’ombelico. o PararettaleÆ Passa lateralmente al muscolo retto dell’addome. o EmiclaveareÆ Passa a metà della clavicola e nell’uomo corrisponde alla mamillare. Passa 1‐2 cm più lateralmente alla pararettale. o Ascellare anteriore o Ascellare media o Ascellare posteriore. Linee orizzontali: o SottocostaleÆ Segue il margine costale o Ombelicale trasversaÆ Passa attraverso l’ombelico o Interspinoiliaca anteriore‐superioreÆ Unisce le spine iliache superiori‐anteriori o Interspinoiliaca posteriore‐superioreÆ Unisce le spine iliache posteriori‐anteriori o Bicresto iliacaÆ Unisce le creste iliache. Queste linee permettono la divisione in quattro quadranti (si usa la xifo‐pubica e l’ombelicale trasversa): ¾ Superiore destro ¾ Superiore sinistro ¾ Inferiore destro ¾ Inferiore sinistro. Queste linee permettono la divisione in nove regioni: ¾ Ipocondrio destro/sinistroÆ Lateralmente all’emiclaveare e superiormente alla sottocostale. ¾ Fianco destro/sinistroÆ Lateralmente all’emiclaveare, superiormente alla interspinoiliaca anteriore‐superiore e inferiormente alla sottocostale. ¾ Fossa iliaca destra/sinistraÆ Lateralmente all’emiclaveare e inferiormente alla interspinoiliaca anteriore‐superiore. ¾ EpigastrioÆ Tra le due emiclaveari e superiormente alla sottocostale. ¾ MesogastrioÆ Tra le due emiclaveari, superiormente alla interspinoiliaca anteriore‐superiore e inferiormente alla sottocostale. ¾ IpogastrioÆ Tra le due emiclaveari e inferiormente alla interspinoiliaca anteriore‐superiore. L’addome laterale di può dividere in regioni: ‐ Anteriore e posterioreÆ Dal prolungamento dell’ascellare media ‐ Superiore e inferioreÆ Dal prolungamento dell’ombelicale trasversa. L’addome posteriore si può dividere in regione lombare: ‐ Destra e sinistraÆ Dalla linea vertebrale ‐ Interna ed esternaÆ Dalla linea angolo‐scapolare. ISPEZIONE Si valuta: • Forma e volumeÆ Bisogna tener conto di varianti fisiologiche legate al sesso e all’etàÆ Le donne hanno l’addome più allargato in basso, gli uomini più allargato in alto. I soggetti longilinei ce lo Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 3 hanno più appiattito, mentre i brachitipi più voluminoso e sporgente. Un addome fisiologico si dice “addome piano”. Le varianti patologiche possono essere: o Globali: Addome a grembiule Addome pendulo Addome incavato a barca Addome globoso Addome svasato sui fianchiÆ È simile al globoso ma tende lateralmente. o ParzialiÆ Cisti, tumori, raccolte saccate. • Movimenti e pulsazioniÆ I movimenti sono: o RespiratoriÆ Possono essere: Toracici AddominaliÆ Manca con paralisi diaframmatica uni‐ o bi‐laterale o in caso di irritazione peritoneale. o Pulsazioni epi‐/meso‐gastricheÆ Se si vedono vuol dire che c’è un vaso che pulsa. Possono essere fisiologici o patologici (nell’aneurisma dell’aorta addominale o segno di Harzer, pulsazione in sede epigastrica da ipertrofia ventricolare destra). o PeristalticiÆ Si vede solo in pazienti molto magri e con la parete atrofica. È patologica in pazienti subocclusi. Ci può poi essere immobilità diffusa o circoscritta, probabilmente per processo infiammatorio. • Cicatrice ombelicale e cicatrici chirurgicheÆ Bisogna descrivere: o Sede o Forma (lineare, nastriforme)Æ La cicatrice ombelicale può essere: Normo‐introflessa Appianata SporgenteÆ Può essere per: • Ernia ombelicale • Neoplasia • Ascite. o Colore (bianca, rosea, rossa) o Consistenza (ben consolidata, sfiancata). Ci sono cicatrici classiche che devono essere chiamate con il proprio nome. • Tumefazioni cutaneeÆ Bisogna descrivere: o Sede o Forma o Dimensioni o Motilità o Espandibilità, riducibilità o Colorito della cute. • Cute ed annessiÆ Bisogna osservare: o Lesioni cutaneeÆ Eritemi, abrasioni, ulcerazioni, necrosi, flittene, ecc… o PigmentazioneÆ Ittero o Strie cutanee da smagliature. • Circoli venosi superficialiÆ Se l’aspetto è normale sono a rete con lo stesso volume. Ci sono due tipi di circoli venosi superficiali patologici: o Di tipo cava‐cavaÆ Segno di GasbarriniÆ Le vene hanno un decorso verticale lateralmente all’addome. Le vene sono dilatate dall’ipertensione venosa e l’andamento segue il flusso del sangue. Sono dovute ad un ostacolo a livello delle vene cave. Il sangue per arrivare al cuore trova altre vie. Se l’ostacolo è a livello della cava superiore, il sangue dalla succlavia, va nella toracica, nell’epigastrica e quindi nella cava inferiore. Il flusso è quindi verso il basso. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 4 Se l’ostacolo è a livello della cava inferiore, il sangue dalla femorale, raggiunge l’epigastrica, la toracica e quindi la cava superiore. Il flusso è quindi verso l’alto. Per vedere la direzione del flusso si occlude una porzione di vene con due dita (in modo che non ci sia sangue in mezzo). Si solleva poi un dito alla volta per vedere se si riempie e quindi in che direzione va il flusso. o Di tipo porta‐cavaÆ Dall’ombelico sgorgano numerose vene che vanno in tutte le direzioni. Il flusso è centrifugo ed è detto a “caput medusae”. Se c’è ipertensione della vena porta (per insufficienza cardiaca destra o cirrosi) le vene ombelicali possono avere uno shunt con la vena porta. Normalmente le vene ombelicali sono obliterate. Si possono quindi aprire o le vene più piccole vicine si possono dilatare. Non è l’unica via di deflusso dalla porta alla cava, ci sono 4 shunt: • Vene ombelicali • Vene esofagee superiori • Vene emorroidarie • Sistema del Retzius. PALPAZIONE Gli scopi sono: ‐ Apprezzare e valutare aree trattabili o meno della parete addominale ‐ Esaminare per quanto possibile i vari organi in relazione alla loro posizione, forma, dimensioni, consistenza, mobilità e tensione. ‐ Apprezzare ed individuare masse abnormi. Posizione del paziente: Decubito supino, cosce flesse sul bacino per stendere i muscoli retti. Per le ernie inguinali può essere esaminato in piedi. Per l’esame delle regioni perineali e anorettali deve assumere la posizione di Sims (posto sul fianco sinistro con le ginocchia al petto). Una volta si utilizzava il decubito geno‐pettorale. Per l’esplorazione vaginale c’è la posizione ginecologica. Posizione del chirurgo: A destra del paziente A sinistra per la palpazione del rene e della milza. La palpazione può essere fatta: ¾ Con una sola mano: o Mano a piatto o Parte anteriore della mano o Palpazione a stilo o Palpazione a colpi. ¾ Con due mani: o Contrapposte o Sovrapposte o Affiancate. Bisogna palpare tutto l’addome. Se c’è un dolore si inizia dalla parte opposta rispetto al dolore. Se non c’è dolore si inizia dalla fossa iliaca sinistra e si fa un giro antiorario prima superficiale e poi profondo. PALPAZIONE SUPERFICIALE Studia la parete, la trattabilità e la presenza di eventuali tumefazioni o lacune. Si esegue con la mano aperta a piatto. Solo dopo, per valutare eventuali dettagli, di può utilizzare la parte anteriore della mano. Valuta: ‐ Lo stato di tensione e trattabilità della pareteÆ La parete può quindi essere: 1. Trattabile 2. TensioneÆ Non c’è nessun disturbo ma c’è difficoltà alla palpazione. Può essere: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 5 Lieve Moderata Intensa. Può essere legata ad un aumento del gas, liquidi o alla presenza di masse endo‐addominali. 3. Reazione di difesaÆ Può essere vinta da una moderata pressione della palpazione. 4. ContratturaÆ L’addome si irrigidisce. Può essere: Diffusa (si nota all’ispezione un respiro più costale) o localizzata Spontanea o provocare Involontaria o volontaria Tranne la forma volontaria, è sempre determinata da una flogosi del peritoneo parietale. Se si arriva all’addome a tavola si tratta probabilmente di ulcera gastrica perforata. ‐ Sensibilità cutaneaÆ Iperalgesia (sensibilità aumentata). Si conferma palpando altre zone, come penna o retro del martelletto. Può essere espressione di un’iniziale peritonite. ‐ Eventuali tumefazioni della pareteÆ Si valuta: 1. SedeÆ In rapporto alle 9 regioni e con qualche rapporto anatomico vicino. 2. Rapporti con piani muscolariÆ Se è superficiale o profonda. Facendo contrarre i muscoli al paziente (alzando la testa) se è superficiale verrà messa in evidenza, se è profonda tende a scomparire. Un esempio sono i linfonodi in ascella. Ci deve essere un piano per essere palpati e quindi si fa contrarre i pilastri dell’ascella. 3. Eventuale riducibilitàÆ Si tratta di un’ernia se schiacciandola scompare. ‐ Eventuali porte erniarieÆ Sono “brecce” della parete. Le più comuni sono a livello della cicatrice ombelicale e delle cicatrici chirurgiche (laparocele). PALPAZIONE PROFONDA Supera la resistenza dei piani superficiali e si cerca di prendere contatto con le formazioni sottostanti. Le formazioni si rendono apprezzabili quando possono essere fissate contro un piano posteriore di resistenza. Si esegue con la parte anteriore della mano. Può essere mono‐ o bi‐manuale. In condizioni fisiologiche alla palpazione profonda non è percepibile alcun organo ipocondriaco né alcuna tumefazione. Valuta: ‐ Eventuali tumefazioniÆ Per ogni tumefazioni ci sono 7 caratteristiche da valutare: 1. DimensioniÆ Espressa in centimetri o rifacendosi ad un frutto 2. FormaÆ Regolare o irregolare 3. SuperficieÆ Liscia, irregolare o indistinta 4. MarginiÆ Regolari, irregolari o indistinti 5. ConsistenzaÆ Duro lignea, pastosa, parenchimatosa, teso elastica, molle 6. MobilitàÆ Rispetto ai piani superficiali e profondi, mobilità respiratoria 7. PulsatilitàÆ Trasmessa (si allarga verso un’unica direzione), espansiva (in tutte le direzioni). Le masse profonde si possono esplorare solo le superficie anteriore e parzialmente quelle laterali, mai quella posteriore. Per favorire la palpazione il paziente deve rilasciare la parete addominale e questo è facilitato dalla flessione delle ginocchia. Talora bisogna utilizzare entrambe le mani. Le tumefazioni retroperitoneali non sono mobili né attivamente né passivamente. Durante gli atti inspiratori si allontanano dalla mano che li palpa. I tumori dei mesi non hanno motilità respiratoria ma possono avere una notevole motilità passiva, che è perpendicolare alla radice del meso stesso. Il colon trasverso si muove quindi verticalmente, il sigma latero‐lateralmente, il mesentere obliquamente. Per cercare il rilievo si affondano le mani e si strisciano per 3‐4 cm usando la parete come un guanto. Non bisogna strusciare sulla superficie della parete. L’unica tumefazione simil‐fisiologica sono le corde coliche, rilievi a livello della fossa iliaca destra e sinistra dovuti al colon con delle feci all’interno. Si sente solo nelle fosse iliache perché c’è l’osso iliaco come base solida sotto. ‐ Punti dolorosi e dolorabilitàÆ Ci sono punti dolorosi classici: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 6 1. Punto epigastricoÆ All’unione del terzo superiore con il terzo medio della linea xifo‐ ombelicale. 2. Punto colecisticoÆ Fondo della colecisti. Situato subito al di sotto della X costa, all’intersezione con la linea pararettale. 3. Punto pancreatico di DejardinsÆ Corrisponde allo sbocco del coledoco. Situato sulla linea ombelico‐ascellare destra a 5‐6 cm dall’ombelico. 4. Punto solareÆ All’unione del terzo inferiore e del terzo medio della linea xifo‐ombelicale. 5. Punto di Morris (appendicite)Æ Sulla linea che unisce l’ombelico con la spina iliaca anteriore‐superiore destra a 3 cm dall’ombelico 6. Punto di Mac Burney (appendicite)Æ A metà della linea che unisce l’ombelico con la spina iliaca anteriore superiore destra. 7. Punto di Lanz (appendicite)Æ All’unione del terzo laterale con il terzo medio della linea bisiliaca. 8. Punti ovariciÆ A metà della linea che unisce l’ombelico con il centro dell’arcata crurale. 9. Punto uterinoÆ Sulla linea mediana, sopra la sinfisi pubica. 10. Punti uretrali: SuperioreÆ Fra ombelicale trasversa e margine del retto MedioÆ Fra la linea che congiunge le spine iliache anteriori‐superiori e la verticale innalzata dal tubercolo pubico Soprapubico di BazyÆ Sopra il pube a 2‐3cm dalla linea mediana InferioreÆ All’esplorazione rettale nel punto di sbocco degli ureteri in vescica. 11. Punti renali: Punto vertebraleÆ A livello della sesta vertebra toracica Punto angolo‐scapolareÆ A livello dell’angolo inferiore della scapola Punto costo‐vertebraleÆ A livello della dodicesima costa a 2‐3 cm dalla vertebra Punto costo‐muscolareÆ All’estremità della dodicesima costa Punto costaleÆ All’estremità della undicesima costa. Ci sono poi aree di dolorabilità come la coledocico pancreatica (di Chuffard‐Rivet). Si trova fra la xifo‐ombelicale e la bisettrice fra questa e la ombelicale trasversa. Si estende per 5‐6 cm sopra l’ombelico. Esistono poi delle manovre da compiere: o Segno di BlumbergÆ Si effettua per vedere se c’è irritazione del peritoneo parietale. È il primo segno che diventa positivo. Si prende la mano e si comprime piano l’addome. La si rilascia velocemente. Nel momento in cui si solleva il rilassamento delle fibre è doloroso se c’è irritazione. C’è quindi dolore alla decompressione. o Segno di RovsingÆ Si schiaccia con la mano a piatto il colon sinistro, dal basso verso l’alto, per spingere le feci verso il colon destro. Se c’è un’irritazione come un’appendicite si provoca dolore a livello della fossa iliaca destra. o Manovra di GiordanoÆ Percussione della loggia renale con il lato ulnare della mano posta a taglio (subito sotto l’arcata costale) evoca vivo dolore nelle affezioni renali omolaterali. ‐ Organi ipocondriaci (fegato e milza) ed altri organiÆ Dopo aver sistematicamente esplorato tutto l’ambito addominale con la palpazione superficiale e profonda ed aver ricercato eventuali punti dolorosi, si passa ad un circostanziato esame palpatorio degli organi parenchimali dell’addome ed in particolare del fegato, della milza e dei reni. PALPAZIONE DELLO STOMACO In condizioni normali lo stomaco vuoto non è apprezzabile. Se disteso da gas o alimenti si può avere solo una resistenza elastica in sede epigastrica senza che sia apprezzabile alcuna tumefazione. Se disteso con abbondante contenuto idro‐aereo la manovra del ballottamento, alla succusione laterale, sarà positiva con produzione di rumore di guazzamento. È normale se il paziente ha appena mangiato, è patologico a digiuno. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 7 In condizioni patologiche può rendersi apprezzabile come tumefazione epigastrica, soprattutto per ispessimento delle sue pareti da parte di una neoplasia. In questo caso, tipicamente, la tumefazione presenterà superficie irregolare, margini indistinti, non dotata di motilità attiva né passiva. In generale un tumore dello stomaco risulta palpabile solo quando è piuttosto voluminoso, avanzato, ed in genere non più operabile. Talora anche l’ipertrofia della muscolare conseguente a stenosi ipertrofica del piloro (SIP) nel bambino può essere palpabile. Nell’adulto invece non è palpabile. PALPAZIONE DELL’INTESTINO Le anse dell’intestino tenue sfuggono alla palpazione (sensazione di lieve resistenza elastica). L’intestino crasso si può apprezzare fisiologicamente a livello del cieco, dell’ascendente, del discendente e soprattutto del sigma, sottoforma di un cordone duro‐elastico, che sfugge a scatto sotto le dita (cornice colico; corda colica) talvolta dolente. In situazioni patologiche, l’ispessimento circoscritto della parete dell’intestino, legato a tumori o a malattia infiammatorie cronica (Crohn, malattia diverticolare) diviene apprezzata, nella sede dove si è sviluppata, come una tumefazione di consistenza dura, margini più o meno scarsamente definibili, superficie irregolare, non mobile o poco mobile (lungo l’asse del meso), poco o nulla solente/dolorabile. L’invaginazione dell’intestino può essere percepita come un salsicciotto caratteristicamente in FID (invaginazione ileo‐colica), con superficie liscia, margini netti, di lunghezza variabile, dolente e dolorabile. Caratteristico e diagnostico è il segno di Von Wahl nella valvola del sigma, con la presenza di una tumefazione addominale asimmetrica, localizzata in fianco sinistro‐ipogastrico, margini netti, teso elastica, dolente, dolorabile, ipertimpanica, legata all’ansa sovradistesa. PALPAZIONE DEL FEGATO In condizioni normali il fegato raggiunge appena l’arcata costale, con il suo bordo inferiore, nelle profonde inspirazione, pertanto non è palpabile. Il limite superiore può essere invece sempre delimitato con la percussione. La mano va applicata dolcemente a piatto sull’addome ed approfondita dolcemente, lentamente, privilegiando il lato radiale. La palpazione va iniziata dal basso per poi procedere gradualmente verso l’alto. Giunti a livello di resistenza che possa essere attribuito al margine del fegato (o se si è giunti in ipocondrio) si lascia ferma la mano a tale livello ed invita il paziente a respirare. Significativa è la possibilità di apprezzare il bordo dell’organo che, con l’inspirio, viene a “sbattere” sulle nostre dita. La condizione indispensabile per poter ritenere epatica una tumefazione in ipocondrio di destra è la possibilità di apprezzare un margine che risulti mobile con gli atti del respiro. Il margine libero del fegato può essere apprezzato anche con la mano ad uncino. In questo caso l’operatore si porterà con il corpo in alto a livello del torace (manovra di uncina mento). Percepito un margine epatico bisogna descrivere le sue caratteristiche così come quelle delle superficie convessa del fegato, sempre se palpabile. Caratteri del margine: ‐ SmussoÆ Normale ‐ Accentuato/taglienteÆ Fibrosi, cirrosi ‐ ArrotondatoÆ Stasi acuta, epatite acuta. • RegolareÆ Normale • IrregolareÆ Macronoduli, neoplasie. Dimensioni: indicare la distanza del margine epatico rispetto all’arcata costale sulla linea xifo‐ombelicale, paracentrale, ascellare anteriore (generalmente espressa in dita trasverse). Consistenza: ‐ ParenchimatosaÆ Normale ‐ AumentataÆ Fibrosi, neoplasia, stasi cronica, steatosi ‐ DiminuitaÆ Edema. Superficie: • LisciaÆ Normale Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 8 • MicronodulareÆ Epatiti croniche • MacronodulareÆ Cirrosi alcolica, neoplasie, policistosi epatica • Nodulo singoloÆ Neoplasia, cisti. PercussioneÆ Utile per delimitare il margine superiore epatico e per vedere se c’è ottusità epatica. Si esegue classicamente su tutte le linee verticali del torace (parasternale, emiclaveare, ascellare anteriore e media) e si scende lentamente dall’alto (3‐4 spazio intercostale) verso il basso (oltre l’arcata costale). Nella palpazione del fegato non è raro l’errore di interpretare come fegato ingrandito quello che è invece il ventre superiore del muscolo retto addominale contratto. In casi di abbondante versamento ascitico, il liquido sotto tensione può ostacolare la palpazione del margine libero del fegato. In questo caso può essere significativa la palpazione a scosse: si imprimono con i polpastrelli della mano destra, dei piccoli copi alla parete ipocondrica di destra dove si suppone possa arrivare il fegato. Se il fegato è ingrandito e “galleggia” nel liquido ascitico, si ha la sensazione di colpire un cubo di ghiaccio che galleggia nell’acqua: sensazione di urto seguita da colpo di rimbalzo (segno del ghiacciolo). PALPAZIONE DELLA COLECISTI In condizioni normali la cistifellea non è palpabile. Può rendersi invece apprezzabile solo quando ingrandita o per aumento del suo contenuto o per un inspessimento della sua parete. Se palpabile essa si rende visibile in ipocondrio destro lungo una linea che va dall’arcata costale (X‐XI costa) all’ombelico. Idrope della colecistiÆ L’ostruzione del dotto cistico o del coledoco possono talora far assumere alla colecisti dimensioni anche notevoli, così da farle superare l’ombelicale trasversa. In questo caso la colecisti sarà avvertita come una tumefazione di consistenza teso‐elastica, superficie liscia, mobile con gli atti del respiro in modo solidale con il fegato. Pur essendo ben ancorata al margine inferiore del fegato, talora, potrà conservare una certa motilità passiva in senso latero‐laterale. Patologie infiammatorie della colecistiÆ In queste circostante l’aumento di volume della colecisti non è mai notevole. I limiti della tumefazione sono quasi sempre non disponibili. La flogosi che coinvolge e circonda la colecisti provoca inoltre quasi sempre una certa reazione di difesa che ostacola la palpazione. Tumori della colecistiÆ Raramente palpabili quando si manifestano clinicamente (con l’ittero che può essere il primo segno). Se palpabili possono essere avvertiti (in corrispondenza del margine libero del fegato) come una tumefazione a margini irregolari, superficie irregolare, consistenza dura, non mobili passivamente ma mobili assieme al fegato con gli atti del respiro. La palpazione della colecisti si effettua come la palpazione del fegato. Il punto elettivo di dolorabilità è il punto cistico. La manovra elettiva è quella di Murphy, si affonda le dita della mano destra a livello del punto cistico (meglio se ad uncino) e quindi si invita il paziente a compiere una profonda inspirazione. Con tale manovra il fondo della colecisti viene spinto contro le dita dell’operatore. In caso di flogosi della colecisti questa manovra provoca vivo dolore al malato così da indurlo ad interrompere bruscamente l’inspirazione. C’è arresto dell’atto respiratorio. PALPAZIONE DELLA MILZA L’esame inizia classicamente con l’operatore posto alla destra dell’ammalato e con la mano destra posta a piatto. Si pratica esercitando una lieve pressione, con la faccia palmare delle dita della mano destra posta parallelamente al margine costale sinistra, tra l’emiclaveare e l’ascellare media, procedendo dal basso verso l’alto ed affondando gradualmente la mano. Qualora l’esaminatore avverta una “resistenza o una tumefazione che suppone possa essere attribuita alla milza” classicamente, per completare l’indagine ed aumentare la sensibilità, si porterà alla sinistra dell’ammalato ponendosi all’altezza della sua spalla. La manovra risulterà ancora più agevole facendo decombere il paziente sul fianco destro con il braccio sinistro flesso e poggiato sul capo e le cosce flesse. Con le dita poste ad uncino, invitando il paziente a respirare profondamente è poi più facile sentire l’estremità inferiore dell’organo (manovra ad uncino). La milza, come il fegato, in condizioni normali non risulta palpabile (neanche nella pro fondazione inspirazione). Per poter valutare la milza bisogna spingere a fondo le dita sotto l’arcata costale di sinistra, in quanto, si norma, non arriva all’arcata. In situazioni fisiologiche può essere percepita solo in pazienti con pareti molto flaccide e nella profonda inspirazione. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 9 Nella palpazione della milza, la mano sinistra sostiene posteriormente la cassa toracica, la mano destra esplora il margine splenico. SplenomegaliaÆ La milza ingrandendosi conserva in genere la sua disposizione obliqua verso il basso e medialmente. Caratteristiche e diagnostiche sono anche le incisure che può conservare sul margine mediale (da 2 a 4). La manovra del ballottamento è negativa nelle tumefazioni della milza, mentre è possibile un contatto lombare solo nelle splenomegalie maggiori. PALPAZIONE DEI RENI In condizioni normali i reni non sono palpabili. Ci sono due tecniche: • Metodo bimanuale (manovra di Guyon)Æ Il paziente è supino e rilassato. Per il rene destro ci si pone alla destra del paziente con la mano destra anteriormente e la mano sinistra posteriormente. Per il rene sinistro l’osservatore si pone a sinistra con la meno destra posteriormente e la mano sinistra anteriormente. Si invita il paziente ad inspirare sospingendo in tal modo il rene verso il basso, lungo le sue guaine. La mano posteriore (posta sulla regione lombare, fra il bordo costale e la cresta iliaca) deve sia spingere le dita fino quasi a toccare la colonna vertebrale che esercitare una certa spinta verso l’avanti. La mano anteriore è invece posizionata nella zona del fianco destro. Il paziente viene invitato a compiere una profonda inspirazione, sospingendo così in basso il polo inferiore del rene che viene ad “inserirsi” fra le due mani, come un corpo ovoidale, schiacciato, che poi nell’espirio successivo tende a sfuggire dalle mani. La possibilità di apprezzare il polo inferiore del rene, in questo modo, è espressione o di un ingrandimento o di un abbassamento dello stesso. • Tecnica monomanuale (manovra di Glenard)Æ Non si effettua più. Il paziente stava eretto. Il medico ha la mano con il pollice posto anteriormente, mentre il resto è posteriormente. Si può fare anche al contrario. Quando con la palpazione bimanuale è possibile apprezzare una tumefazione che (imprimendo alternativamente una pressione con mano anteriore e poi con quella posteriore) si sposta tra le due mani (ballottamento passivo) questo è molto suggestivo per una origine renale. Se la percezione della tumefazione è migliore con la mano posteriore si parla di contatto lombare (probabilmente è rene ma potrebbe essere anche altro), se invece si percepisce solo con la mano anteriore potrebbe essere del colon. La palpazione del rene si conclude con la manovra di Giordano. PALPAZIONE DEL PANCREAS Si effettua la manovra di Grott con iperestensione del rachide lombare. Raramente si può palpare una tumefazione pancreatico. Si trova in sede profonda nel quadrante superiore destro e sinistro. Non ha motilità. La superficie può essere liscia (cisti) o irregolare (neoplasie, pancreatiti). PERCUSSIONE Serve a: ‐ Conferma le dimensioni di fegato e milza ‐ Dare informazioni sulla distribuzione del meteorismo ‐ Consentire di definire meglio eventuali masse ‐ Confermare la presenza di un globo vescicaleÆ Si percuote lungo le linee verticali parallelamente al margine superiore della vescica andando verso il basso. ‐ Far sospettare la presenza di un eventuale versamento asciticoÆ Si parte dall’ombelico e si va in tutte le direzioni (raggiata). Si forma una zona di ipertimpanismo mediano che viene segnata con una penna. Muovendo il paziente, se il liquido si muove rispetto al segno vuol dire che è libero, altrimenti che è fisso. AUSCULTAZIONE Mediante l’ascoltazione si possono rilevare: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 10 o BorborigmiÆ Dovuti a peristalsi attiva. Scompaiono in caso di ileo paralitico. o SfregamentiÆ In realtà non si sentono mai. o Rumori vascolariÆ Nell’aneurisma dell’aorta addominale, nella stenosi dell’arteria renale e della mesenterica superiore e nei processi stenosanti dei grossi tronchi arteriosi. Il silenzio intestinale, associato ad una rigidità della parete e ad un dolore diffuso è patognomonico di un addome acuto (peritonite diffusa o perforazione). ESPLORAZIONE RETTALE Serve a: ‐ Valutare il contenuto dell’ampolla ‐ Permettere di riconoscere la presenza di masse nella piccola pelvi ‐ Permettere di riconoscere la sede di un dolore elettivo ‐ Permettere di valutare la presenza di liquido e di una flogosi di Douglas (urlo di Douglas). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 11 SEMEIOTICA DELLA MAMMELLA CENNI DI ANATOMIA La ghiandola mammaria si trova in uno sdoppiamento della fascia superficiale del torace in stretto rapporto con la fascio del muscolo pettorale. Il drenaggio linfatico avviene: ‐ Per l’80% verso le stazioni ascellare che si possono dividere: o Primo livelloÆ Situate prima del muscolo piccolo pettorale o Secondo livelloÆ Situate dietro il muscolo piccolo pettorale o Terzo livelloÆ A livello dell’apice dell’ascella. ‐ Per il 20% vero i linfonodi dell’arteria mammaria interna. PATOLOGIA 1. MalformazioneÆ Possono essere: o Congenite: Di numero: • Amastia/polimastiaÆ Manca o ci sono ghiandole in più • Atelia/poliateliaÆ Manca o ci sono capezzoli in più. Quando sono in più si trovano nella linea mammaria. Morfologiche: • Micromastia/macromastiaÆ Quando la ghiandola è più grande o più piccola. • Alterazioni del capezzoloÆ Può essere breve, retratto, ombelicato, invaginato. o Acquisite: GinecomastiaÆ Aumento di volume della mammella per ipertrofia sia del tessuto stromale che della ghiandola, causata da fattori endogeni o esogeni. Sono problemi ormonali e sono spesso monolaterali. Può essere: • FisiologicaÆ Avviene in periodi ben precisi: o Neonatale o Puberale o Età evolutiva. • Non fisiologicaÆ In condizioni di ipogonadismo, cirrosi epatica, ipotiroidismo, tumori testicolari, tumori corticosurrenali, idiopatica, carenze alimentari, iatrogena. PseudoginecomastiaÆ Aumento di volume della mammella legato solo all’aumento del tessuto adiposo. 2. Lesioni displasicheÆ Alterazione del normale equilibrio esistente tra la componente stromale ed epiteliale. o Cisti sempliceÆ Epitelio si sviluppa maggiormente. Fisiologicamente si sviluppa durante il ciclo e poi regredisce alla fine di ogni ciclo. Quando non regredisce si parla si cisti semplice. o Mastopatia fibrocisticaÆ Colpisce il 70‐80% dei pazienti. Si sentono dei pallini da caccia dovuti alla componente connettivale densa che si sviluppa. 3. Lesioni traumaticheÆ Possono essere: o Lesioni aperte o Lesioni chiuse: Contusione Ematoma Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 12 SteatonecrosiÆ Dopo un trauma c’è il rimodellamento del tessuto adiposo con formazioni di tessuto cicatriziale rigido dopo l’infiammazione. È una patologia abbastanza rara. È più frequente nelle donne con il seno voluminoso. 4. Lesioni infiammatorieÆ Particolarmente predisposta la mammella che si trova in una situazione anatomo‐funzionale critica, cioè in una fase prolieferativa‐secretiva, così come si verifica nell’allattamento, nella pubertà e durante la gravidanza. o Ascesso mammarioÆ Si fa strada verso il basso. o GalattoceleÆ Cisti contenente latte con una forte componente infiammatoria o MastiteÆ Infiammazione della ghiandola in cui però non c’è ancora pus. 5. Lesioni neoplasicheÆ Possono essere: o Benigne: Papilloma intraduttale Firboadenoma. o Maligne: Morbo di PagetÆ Colpisce il capezzolo. Si hanno lesioni simil‐eczematose del capezzolo. Compare poi il tumore retro‐areolare. CarcinomaÆ È il tumore più frequente nella donna e colpisce la ghiandola mammaria. Colpisce con maggior frequenza tra i 40 e i 60 anni. SarcomaÆ Origina dalla componente connettivale, ma ha un’incidenza nettamente inferiore rispetto al carcinoma. ANAMNESI • Anamnesi familiareÆ È importante perché il carcinoma della mammella presenta un’incidenza 2‐3 volte maggiore in casi di familiarità. Esiste inoltre una bilateralità della lesione. Il 7‐10% dei tumori della mammella ha un’alterazione al gene oncosopressore BRCA‐1/BRCA‐2. • Anamnesi fisiologicaÆ Bisogna prestare attenzione a: o Menarca precoce o Menopausa tardiva o Nulliparità o Concepimento tardivo (>30 anni) o Mancato allattamento o Trattamenti ormonali o Lesioni precedenti o Fattori ambientali (esposizione a radiazioni ionizzanti). • Anamnesi patologica prossimaÆ In chirurgia con l’anamnesi patologica prossima si intende i disturbi che hanno portato il paziente dal medico fin dal momento in cui originino i problemi. Le più frequenti sono: o Tumefazione indolente o Dolenzia discreta o Sensazione di fastidio o Vero dolore o Infiammazione o Stillicidio del capezzolo. Per ogni segno o sintomo bisogna indagare: • Epoca comparsa • Durata • Evoluzione/ modificazioni • Correlazioni fisiologiche. Si definisce “mastodinia” il dolore mammario spontaneo e può essere: o Mastodinia fisiologica ciclicaÆ Sensazione di peso‐dolenzia, talora opprimente, più marcata nel prolungamento ascellare, che tipicamente compare durante la settimana che precede la mestruazione. Si associa ad un turgore mammario premestruale. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 13 o Mastodinia non ciclica che può essere localizzata o diffusa o Dolore associato a noduli neoplastici. Bisogna distinguerla dalla nevralgia mammaria. È un dolore intercosta. Si solito però è anche posteriore e si modifica con il respiro. ESAME OBIETTIVO ISPEZIONE Si deve valutare sempre: ‐ Mammella ‐ Capezzolo ‐ Areola. Si può dividere in quattro quadranti grazie ad una linea orizzontale e una verticale passanti per il capezzolo: ¾ Quadrante superointerno ¾ Quadrante superoesterno ¾ Quadrante inferointero ¾ Quadrante inferoesterno. Quando individuiamo qualcosa, oltre ai quadranti è importante utilizzare la distanza in centimetri a qualcosa di fisso. L’ispezione si fa con la paziente seduta di fronte all’esaminatore. Si distinguono tre fasi: ‐ Prima faseÆ Braccia appoggiata sulle ginocchia ‐ Seconda faseÆ Braccia sollevate ‐ Terza faseÆ Invitare la paziente a flettersi in avanti e/o eseguire manovre “facilitanti”. Bisogna valutare: • SimmetriaÆ Una certa diversità di volume e forma tra i seni può essere fisiologica. L’aumento di volume di una mammella viceversa può essere espressione di una anomali congenita, alla presenza di cisti, mastite e/o tumore. • Aspetto cutaneoÆSi osservano: o Disegno venosoÆ L’accentuazione del disegno venoso può essere sintomo di flogosi o tromboflebite (Sindrome di Mordor). Nei tumori può esserci, ma non sempre. o Retrazioni o Infiltrazioni o Ulcerazioni o Arrossamenti o eritemiÆ Possono essere segno di mastite, ascesso, flemmone o carcinoma infiammatorio. o Irregolarità o Erosione o Buccia d’aranciaÆ È segno di edema per blocco dei vasi linfatici. A livello dei follicoli piliferi la pelle è trattenuta e non può espandersi. L’edema mette in evidenza i follicoli. Se l’edema è localizzato è spesso segno di tumore, che blocca i vasi linfatici. • Capezzoli e areolaÆ Bisogna osservare: o Forma o Simmetrica o Eventuali ulcerazioni, deviazioni, retrazioni, abrasioni, ragadi, tumefazioni, secrezioni. Un lesione ulcerata ed eczematose dell’areola può essere segno del morbo di Paget, soprattutto se monolaterale e se presenta desquamazione. • Retrazioni cutaneeÆ Si manifesta con un grado variabile di increspamento della cute, per lo più espressione di una invasione/retrazione neoplastica dei legamenti sospensori di Cooper, che si tendono dalla fascia pettorale (in profondità) alla fascia mammaria superficiale (sottocutanea). Lo stesso processo è responsabile della deviazione/retrazione del capezzolo. Si può far effettuare alla paziente manovre facilitanti. Visto il rapporto esistente tra i legamenti di Cooper e la fascia pettorale, ogni manovra che determina una contrazione del muscolo grande Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 14 pettorale si ripercuote sui legamenti stessi, rendendo in tal modo più evidente un’eventuale retrazione cutanea. Le tre manovre principali sono: o Compressione mano‐manoÆ Se la retrazione è mediale o Compressione mano‐fianchiÆ Se la retrazione è laterale o Sollevamento di entrambe le bracciaÆ Se la lesione è alta. • TumefazioniÆ Possono essere rivestite da cute indenne o possono manifestarsi come un fungo neoplastico, più o meno ulcerato, più o meno necrotico. PALPAZIONE La paziente deve essere distesa. La palpazione si effettua con la mano a piatto schiacciando la mammella sulla parete toracica con i polpastrelli. Con un movimento di strisciamento ci si porta latero‐medialmente oppure si può effettuare un movimento di rotazione. Per le mammelle molto voluminose la palpazione può essere eseguita a due mani: una mano sorregge la mammella, mentre l’altra esegue la palpazione. I medico deve disporsi dallo stesso lato della mammella da visitare. Non bisogna impugnare il seno tra pollice ed indice. Per la palpazione dei quadranti mediali, la paziente deve tenere le braccia lungo i fianchi. Per la palpazione dei quadranti laterali, deve tenere le braccia sopra la testa. Dopo l’esame dei vari quadranti è opportuna una leggera spremitura del capezzolo. I parametri da valutare sono: • TermotattoÆ È segno di flogosi. • Dolorabilità • Consistenza ed elasticità • TumefazioniÆ Bisogna valutare sempre le solite caratteristiche: o Sede o Forma o Dimensioni o Superficie o Margini o Consistenza o Dolorabilità o MotilitàÆ Esistono delle manovre per vedere se un nodulo è aderente ai piani profondi o ai piani superficiali: Manovra di TillauxÆ Metter in evidenza una aderenza tra la tumefazione e il piano muscoloso aponeurotico. Segno della piastraÆ È l’impossibilità di sollevare in pliche la cute a livello di una infiltrazione. • Secrezioni del capezzoloÆ Può evidenziare la presenza di una secrezione che può essere: o Siero‐ematica o Ematica o Puruloide o Sierosa o Lattescente. PALPAZIONE DELL’ASCELLA Si effettua sempre con la mano a piatto. Il braccio della paziente deve essere in leggere abduzione e i muscoli pettorali rilasciati. La paziente può quindi appoggiare la mano sulla spalla dell’esaminatore, oppure l’operatore con l’altra mano tiene il braccio abdotto. Per percepire i linfonodi a livello del pilastro anteriore dell’ascella, il muscolo pettorale deve essere contratto. Per percepire quelli a livello dell’apice il muscolo deve essere rilassato. Bisogna poi palpare anche i linfonodi sopraclaveariÆ Va eseguita con la punta delle dita che devono essere “affondate” dietro la clavicola, in modo da spingere le strutture sopraclaveari contro il piano muscolare degli scaleni. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 15 Se sono presenti linfonodi vanno descritti: ‐ Dimensioni ‐ Consistenza ‐ Superficie ‐ Se separati o conglutinati ‐ Mobilità ‐ Dolenti. ASCOLTAZIONE Talora è possibile apprezzare un leggero soffio sopra la mammaria interna durante le fasi avanzate della gravidanza e durante l’allattamento. CARATTERISTICHE OBIETTIVE DELLE LESIONI MALIGNE CARCINOMA Ispezione: • Rientramenti o tumefazione cutanea • Aspetto a buccia d’arancia • Rientramenti o deviazioni del capezzolo • Secrezione emorragica dal capezzolo. Palpazione: Consistenza solida e molto dura Elasticità diminuita Margini e superficie irregolari Assenza di dolorabilità Linfonodi regionali palpabili. CARCINOMA INFIAMMATORIO IspezioneÆ Simile alla mastiteÆ Importante edema, ipertermia, eritema della cute della mammella che appare aumentata di volume. PalpazioneÆ Molto dolorosa, complessivamente la consistenza risulta molto aumentata così da non essere palpabile alcuna tumefazione. MALATTIA DI PAGET IspezioneÆ In una prima fase lesione eczematose (croste) al capezzolo che poi si estendono all’areola. Seguono quindi ulcerazioni con tendenza al sanguinamento. PalpazioneÆ Sempre associato un carcinoma retro‐areolare che però può essere palpato nelle fasi molto avanzate. Il tumore nasce dai dotti galattofori e all’inizio rimane in situ, sopra la membrana basale creando le desquamazioni. Raggiunge l’areola rimanendo comunque superficiale. Solo in una seconda fase diventa invasivo andando in profondità. MODALITÀ DI DIFFUSIONE DEI TUMORI 1. Contiguità 2. Continuità 3. Via linfaticaÆ Nel caso del carcinoma alla mammella raggiunge le stazioni ascellari, dell’arteria mammaria interna e le stazioni sopraclaveari. 4. Via ematicaÆ Raggiunge spesso: • Polmone • Scheletro • Cervello • Fegato • Pleura, surreni, ovaie. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 16 5. Via endocelomatico/endoluminare. STADIAZIONE TNM È una classificazione che si fa per tutti i tumori ma che è specifica per ogni organo. TÆ Indica la dimensione del tumore: ‐ T1Æ <2cm ‐ T2Æ 2‐5cm ‐ T3Æ >5cm ‐ T4Æ Aderente alla cute o ai piani profondi. NÆ Indica la situazione dei linfonodi: ‐ N0Æ Non ci sono linfonodi metastatici ‐ N1Æ Linfonodi mobili ‐ N2Æ Linfonodi fissi ‐ N3Æ Linfonodi sopraclaveari. MÆ Indica la presenza di metastasi: ‐ M0Æ Non ci sono metastasi ‐ M1Æ Ci sono metastasi. METODICHE DIAGNOSTICHE NELLE LESIONI MAMMARIE • Esame obiettivo • Ecotomografia • Mammografia • Risonanza magnetica nucleare (RMN) • Termografia • Scintigrafia • Dutto‐galattografia • PETÆ Utile per vedere le metastasi a distanza. • Esame istologi‐citologico della lesioneÆ È indispensabile prima di qualsiasi operazione. Per l’esame citologico si può utilizzare il campione prelevato dalla secrezione del capezzolo o dall’agoaspirato. Per l’esame istologico serve una porzione più consistente. Bisogna quindi fare una biopsia o un’asportazione chirurgica. SCREENING Nel caso del carcinoma della mammella è utile sottoporre la popolazione sana ad un controllo. Si nota una riduzione della mortalità del 40‐50%. I mezzi possibili sono: ‐ MammografiaÆ Ha dei limiti come i raggi e nel fatto che nei soggetti giovani non si vede nulla perché il seno è compatto. Indica però le calcificazioni. o Lesioni benigneÆ Margini netti, forma regolare, calcificazioni rotondeggianti. o Lesioni maligneÆ Margini irregolari, opacità “a spicole”, multifocalità, microcalcificazioni spiculate, a bastoncino, a gruppi. ‐ EcografiaÆ Non è così sensibile Ci dice però se la lesione è solida o cistica. Possiamo individuare anche i margini e la struttura. ‐ RisonanzaÆ Tende a soprastadiare Per una donna dopo i 50 anni si effettua una mammografia ogni secondo anno. Per una donna sotto i 50 anni se c’è un fattore che aumenta il rischio (come la familiarità) si effettua un’ecografia ogni anno. FATTORI PROGNOSTICI T N Grading istologico e nucleare Recettori ormonali Indici di proliferazione (Ki67) Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 17 Proteina p53 Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 18 DOLORE ADDOMINALE Consiste in un’esperienza sensoriale ed emozionale sgradevole, legata ad un danno reale o potenziale per il nostro organismo. Tutti gli stimoli che causano dolore sono potenzialmente dannosi. Ci sono patologie in cui il dolore è l’unico sintomo, come nella sindrome dell’addome acuto. Interpretare il dolore è quindi un cardine della diagnosi fin dai tempi più antichi. Il dolore può essere: ‐ SintomoÆ Viene riferito dal paziente ‐ SegnoÆ Viene evocato dalla manovra semeiologica e viene detto “dolorabilità”. Le manovre possono essere: o SpecificheÆ Murphy, Giordano, ecc… o AspecificheÆ Iperalgesia iperestesia cutaneaÆ Si effettua con lo stesso stimolo su porzioni di cute contigue. CARATTERI • SomaticoÆ Sensibilità epicriticaÆ È un dolore ben localizzabile ed è trasportato da fibre grosse (veloci). Proviene dalle strutture superficiali e dalla pleura, diaframma e dal peritoneo parietale. • VisceraleÆ Nocicettori visceraliÆ È un dolore non ben localizzabile ed è trasportato da fibre sottili (lente). Proviene dai visceri, vasi e dal peritoneo viscerale. • Dolore somatico profondoÆ È un dolore misto. È meno localizzato e proviene dal peritoneo parietale posteriore e dalla pleura mediastinica. Altre caratteristiche del dolore: ¾ Localizzato, diffuso o radiato ¾ Spontaneo o provocato ¾ Episodico o ritmico ¾ Modalità di esordio ¾ Modalità di regressione. A seconda del tipo di danno, il dolore si divide in: o NocicettivoÆ Espressione di un danno. o NeuropaticoÆ Il danno è a livello nervoso. Si tratta quindi di un dolore di proiezione, che viene interpretato come a partenza periferica. Si ha il dubbio che sia neuropatico quando l’irradiazione è metamerica. o IdiopaticoÆ In assenza di causa evidente. DOLORE VISCERALE L’impulso dalla periferia, attraverso il ganglio radicolare, raggiungono il nucleo intermedio‐mediale e il nucleo di Takahashi. Da questi nuclei partono neuroni che convergono tra loro e raggiungono poi il mesencefalo e il talamo. A causa delle anastomosi, il dolore non è localizzato. Non c’è una distribuzione metamerica. RecettoriÆ Sono presenti nei vasi, nelle pareti dei visceri, sul mesentere, nel peritoneo viscerale e posteriore. StimoliÆ Distensione, ischemia, acidità e flogosi (anche se in maniera minore). CaratteristicheÆ È un dolore indefinito, non metamerico, non laterizzato. È infatti spesso al centro: ‐ EpigastrioÆ Esofago, stomaco, duodeno ‐ MesogastrioÆ Digiuno, ileo, colon sinistro ‐ IpogastrioÆ Colon sinistro, retto. Nel dolore viscerale si possono avere a volte solo fenomeni viscero‐neurovegetativi (nausea, vomito, ecc…) e non si hanno mai riflessi somato‐parietali. Gli organi viscerali sono innervati dai nervi grande splancnico (T5‐T9) e piccolo splancnico (T9‐T12). Le afferenza viscerali dell’addome arrivano alle radici del tronco. Ci sono inoltre delle zone di cute in cui c’è Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 19 una rappresentazione viscerale. Il dolore viscerale viene quindi riferito a porzioni di cute, anche distanti. Dipendono dall’altezza a cui arriva il nervo splancnico. Alcuni esempi sono: ‐ ColecistiÆ Dolore riferito alla regione scapolare destra ‐ DiaframmaÆ Dolore riferito alla base del collo ‐ DuodenoÆ Dolore riferito alla regione paravertebrale ‐ Bacinetto renale ed ureteriÆ Dolore riferito alla regione inguinale con irradiazione al testicolo. Ci sono ancora solo delle ipotesi sul perché. Se si fa un’anestesia nella regione del dolore riferito il dolore passa anche se la causa non è in quell’area. La teoria più importante è quella del gate control. Si pensa che le afferenze viscerali aprano le afferenze del fascio spino‐talamico, quindi le afferenze somatiche. Un’altra ipotesi reputa invece come causa principale del fenomeno la convergenza dei neuroni. Di solito il dolore viscerale si ha all’inizio, per esempio della flogosi. Con il proseguo si apre il gate control e compare quindi il dolore riferito. Quando la flogosi avanza ancora e arriva alla parete può comparire un dolore somatico. DOLORALE SOMATICO È trasportato da tre neuroni: ‐ Ganglio radicolare ‐ Sostanza gelatinosa di Rolando ‐ Talamo. La corrispondenza tra i neuroni è 1:1. Questo permette la localizzazione precisa del dolore perché ogni singola fibra dalla periferia arriva alla corteccia. RecettoriÆ Si trovano sulla parete addominale. Stimoli algogeniÆ Tutti gli stimoli organici. CaratteristicheÆ È un dolore riferito, mono‐ o bi‐laterale. Ci può essere iperalgesia e iperestesia. Ci possono inoltre essere riflessi somato‐parietali con contrazione dell’addome in via riflessi che porta ad un addome non trattabile. DOLORE VISCERO‐PARIETALE (RIFERITO) StimoliÆ Sono gli stessi del dolore viscerale. CaratteristicheÆ Sono quelle del dolore somatico. Talvolta il dolore riferito può essere maggiore del dolore viscerale puro. Ci possono essere intensi fenomeni vegetativi ma mai riflessi somato‐parietali. ANAMNESI Bisogna indicare: • Se è il primo fenomeno o è un dolore ripetuto. • Fattori scatenanti: o Ritmato con ingestione di ciboÆ Potrebbe trattarsi di una gastrite o una duodenite o Tipo di alimento o MinzioneÆ Potrebbe trattarsi di una cistite. o Defecazione o Movimento o Ciclo ormonale. • Sede: o Se è abituale o Se si irradia. • Tipo: o Continuo (per esempio flogosi) o intermittente (per esempio spasmo) o Superficiale o profondo o Pulsante o Trafittivo o Costrittivo o Urente. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 20 • Irradiazione • Modalità di evoluzione: o Lenta progressiva / continua o Riacutizzazione / remissione o Farmaci utili o Modificato con il decubitoÆ Nella peritonite il paziente è immobile a letto. o Modificato con il cibo o Modificato con la minzione o Modificato con l’emissione di gas/feci. • Modalità di remissione: o Spontanea o Farmaci utili o Manovre utili o Non si risolveÆ Invariato, ingravescente, compaiono nuovi segni o sintomi. ALCUNI ESEMPI Nella colica, che è uno spasmo viscerale si ha un dolore periodico, di intensità crescente con stimoli neuro‐ vegetativi. Nella flogosi si ha invece un dolore gravativo‐trafittivo. In particolare: ‐ Colica biliareÆ Dolore intermittente separato da dei periodi di assenza di dolore ‐ Colecistite calcolosaÆ Dolore sordo, persistente, con eventuali riacutizzazioni ‐ Occlusione intestinaleÆ Dolore intermittente ‐ Occlusione intestinale con sofferenza d’ansaÆ Dolore sordo, persistente, continuo. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 21 ERNIE Per ernia si intende la fuoriuscita di un viscere, o di una parte di esso, dalla cavità naturale nella quale è contenuto. Tale protrusione può avvenire tramite un orificio o un cale preformato o neoformato. Possono essere: • InterneÆ Si producono per impegno dei visceri in orifici preformati o neoformati all’interno della cavità addominale. • EsterneÆ I visceri si impegnano e protrudono all’esterno della cavità, attraverso le “zone erniarie”. LaparoceleÆ Protrusione di visceri attraverso una cicatrice post‐traumatica o post‐operatoria della cavità addominale. Possono essere: ‐ CongeniteÆ Il sacco erniario è già presente alla nascita ‐ AcquisiteÆ Si sono sviluppate dopo la nascita su una predisposizione anatomica. Un’ernia è composta dalle seguenti strutture: o Orificio o canale erniarioÆ Il canale erniario è composto da: o Orificio interno o profondo o Percorso (obliquo o diretto) o Orificio superficiale. A secondo del loro impegno nel canale erniario si possono classificare come: o Punta d’ernia o Ernia interstiziale o Ernia completa. o Sacco erniarioÆ Si è formato a spese del peritoneo parietale che viene trascinato dall’ernia lungo il suo progredire attraverso l’orificio o il canale erniario. Rappresenta l’involucro “interno” dell’ernia. Alcune ernie ne sono prive. È composto dalle seguenti porzioni: o Colletto o Corpo o Fondo. La forma è variabile e talvolta può essere plurilobulato. o Contenuto del sacco erniarioÆ Il sacco erniario può essere disabitato. Il contenuto varia a seconda della sede dell’ernia e tutti i visceri della cavità addominale possono erniarie (escluso il pancreas). Più frequentemente il contenuto è costituito da omento e intestino (sia tenue che colon). o Involucri esterniÆ Variano a seconda della sede dell’ernia e sono costituiti dai diversi piani anatomici della zona erniaria. Possono essere più o mano alterati per la presenza dell’ernia. ISPEZIONE Prima bisogna visitare il paziente in piedi. Si fa poi distendere il paziente. Se la tumefazione si riduce si tratta di un’ernia. Si accentua inoltre con i colpi di tosse e con manovre atte ad aumentare la pressione endo‐addominale. PALPAZIONE Si valuta: • ConsistenzaÆ Dipende dal suo contenuto, dallo stato di tensione della parete e da eventuali complicanze intercorse. • Presenza di un peduncoloÆ Se c’è si tratta di un’ernia. • Riduzione dell’erniaÆ Può essere ridotta se non è complicata. o Se è di piccole dimensioniÆ Si possono ridurre con la semplice compressione. o Se è di grandi dimensioniÆ Bisogna effettuare la manovra di TaxisÆ Con una mano si preme mentre con l’altra facilito l’entrata dell’ernia a livello del peduncolo. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 22 PERCUSSIONE Se c’è l’omento il suono risulta ottuso, se c’è invece un’ansa intestinale il suono sarà timpanico. TRANSILLUMINAZIONE Si può evidenziare utilizzando una fonte di luce abbastanza intensa che viene messa a contatto con la tumefazione. La manovra è positiva in presenza di una tumefazione a contenuto liquido sieroso. COMPLICANZE DELL’ERNIA Un’ernia che si riduce non è mai complicata. La complicazione comporta l’irriducibilità. 1. Strozzamento erniarioÆ Costrizione serrata dell’intestino o dell’omento o di un altro viscere contenuto nel sacco erniario, con secondari disturbi di circolo, che conducono alla necrosi del viscere. In particolare si ha stasi del sangue, aumento della pressione che aumenta a sua volta la stasi che porta alla necrosi e alla morte dell’ansa. I segni clinici dipendono dall’organo. Si ha comunque un’improvvisa irriducibilità dell’ernia. C’è dolore: a. LocaleÆ A causa del peritoneo parietale coinvolto b. AddominaleÆ A causa della sofferenza del viscere. Se è coinvolto l’intestino si hanno i segni dell’occlusione (vomito). 2. Intasamento erniarioÆ Accumulo di materiale solido nella porzione di intestino erniata, tanto da impedire la riduzione in addome. Se c’è accumulo di feci si parla di fecaloma che può portare a blocco del transito intestinale. Si ha un progressivo e lento aumento di volume dell’ernia che diventa irriducibile. Non c’è dolore perché cresce lentamente. Compaiono i segni di occlusione intestinale. 3. IrriducibilitàÆ Non risulta possibile la riduzione dell’ernia in cavità: a. IncoercibiliÆ Le ernie sono divenute troppo voluminose b. Per la presenza di aderenze infiammatorie. Non sono né dolenti né dolorabili. Non ci sono i segni dell’ostacolo al transito intestinale. 4. InfezioneÆ Processo infiammatorio che viene a coinvolgere gli organi contenuti nell’ernia. Le cause possono essere varie: a. Trauma b. Propagata dalla cute c. Peritonite circoscritte a partenza del viscere d. Via ematica/peritoneale. C’è dolore con eventuale aumento di volume della tumefazione erniaria. Ci sono eventualmente i segni della flogosi (rubor, calor, dolor) che coinvolgono anche solo parte dell’ernia. L’ernia è irriducibile e non ci sono però segni di occlusione intestinale. ERNIA INGUINALE Rappresenta il 90% delle ernie. Fra queste le più frequenti sono le ernie oblique esterne. Sono molto comuni nei primi anni di vita e nelle età avanzati. A seconda delle dimensioni si può classificare come: • Punta d’ernia • Ernia intraparietale • Ernia inguino‐scrotale. L’ernia inguinale diretta origina dalla fossetta inguinale media. Manca di un vero colletto, per cui il sacco comunica ampiamente con la cavità addominale. ERNIA CRURALE Ha la massima frequenza nel sesso femminile dopo i 30 anni. Può comparire dopo un intervento per ernia inguinale. Tende ad espandersi verso la parete supero‐interna del triangolo dello scarpa. Linea di MalgaigneÆ Linea tra la spina iliaca anteriore‐superiore e il tubercolo pubico. Se la porta erniaria è sopra a questa linea si tratta di un’ernia inguinale, se invece si trova sotto si tratta di un’ernia crurale. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 23 ERNIA OMBELICALE Si manifesta attraverso l’anello ombelicale, che è una lacuna fisiologica della linea alba. Normalmente l’anello ombelicale è completamente chiuso da tralci fibrosi derivati dai muscoli retti e dai residui del funicolo. Persiste un’area semilunare di debolezza in corrispondenza della sua porzione superiore. Può essere: • CongenitaÆ Si rivela nelle prime settimane di vita ed è dovuta ad una ritardata chiusura dell’anello ombelicale. • AcquisitaÆ È frequente nelle pluripare, nelle anziane e nelle obese. Comune inoltre l’associazione con l’ascite. È dovuta ad una aumento della pressione addominale. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 24 CALCOLOSI DELLA COLECISTI INTRODUZIONE La calcolosi biliare o colelitiasi da sola costituisce il 90% delle malattie delle vie biliari. È un problema che si presenta frequentemente al medico di base (praticamente ogni giorno). La prevalenza della calcolosi aumenta progressivamente con l’età e nell’insieme, in Italia il 10% degli uomini ed il 20% delle donne ha o ha avuto i calcoli. Ogni anno in Italia ci sono 2 operati per calcolosi ogni 100 abitanti. PATOGENESI I calcoli si formano per la concomitante presenza dei seguenti fattori: • Bile litogenaÆ Bile sovrasatura • StasiÆ Dovuta alla colecisti che non si svuota bene (per questo si rimuove completamente e non si rimuove solo il calcolo perché rimarrebbe il problema meccanico e si avrebbe di nuovo la formazione di calcoli). • NucleazioneÆ Se c’è un composto, come il muco, che neutralizza le cariche si ha precipitazione dei sali anche se la bile non è proprio litogena (se c’è la nucleazione il primo fattore non è indispensabile). CLASSIFICAZIONE Si possono classificare i calcoli come: ¾ Calcoli di colesteroloÆ Possono essere: o PuriÆ Hanno un contenuto di colesterolo maggiore del 75%. Sono radiotrasparenti e si formano nella colecisti. o MistiÆ Oltre al colesterolo c’è anche calcio e muco. Si formano nella colecisti e per un 10% sono radiopachi. ¾ Calcoli di pigmentoÆ Possono essere: o NeriÆ Sono radiopachi per la presenza del fosfato di calcio e si formano sempre nella colecisti. o MarroniÆ Sono radiotrasparenti e si formano anche nelle vie biliari. ¾ Calcoli misti. Sabbia biliareÆ Costituita da sali di calcio, cristalli di colesterolo e mucina. Può: ‐ Rappresentare uno stadio precoce della formazione dei calcoli. ‐ Scomparire da sola ‐ ComplicarsiÆ Può a volte diventare più pericolosa del calcolo. Tipi di calcoli: • 75%Æ Calcoli di colesterolo misto • 15%Æ Calcoli pigmentariÆ Sono causati dalla presenza di troppa bilirubina che un eccesso di emolisi, come per esempio nel favismo, nell’anemia emolitica e nella protesi valvolare. • 10%Æ Calcoli di colesterolo puro. Il 99% dei calcoli crescono nella colecistiÆ Possono rimanere lì (rimanendo asintomatici) oppure dare origine a complicanze. ANAMNESI ¾ Familiare: o Malattie emolitiche o Calcolosi della colecistiÆ Associata all’obesità ¾ Fisiologica: o Sopra i 50 anni o SessoÆ Maschi:donne=1:3 o Gravidanze Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 25 o Obesità ¾ Patologica remota: o Malattie emolitica o Ipercolesterolemia ¾ Patologica prossima: o Pregresse coliche biliari o Fattore scatenanteÆ Spesso un pasto grasso che fa contrarre la colecisti. A volte il movimento. o Tipo di dolore o Segni di complicanzeÆ Febbre, dolore, ittero. ESAME OBIETTIVO ¾ Calcolosi non complicataÆ La maggior parte dei soggetti sono asintomatici. La diagnosi è legata alla diagnostica strumentale, in particolare l’ecografia fatta per altri motivi che mostra i calcoli. Ci possono essere sintomi non specifici come dispepsia (flatulenza, eruttazioni, gonfiore, nausea, vomito). L’unico sintomo specifico è la colica biliareÆ Può comparire in qualsiasi momento, ma più spesso nelle ore successive alla digestione dopo un pasto grasso. Compare quando il calcolo si “incunea” a livello dell’infundibolo della colecisti, ostruendo il passaggio della bile. Si ha una contrazione spastica della colecisti che tenta di vincere l’ostacolo. o Se il calcolo si sposta e si riporta a livello del fondo/corpo della colecisti il quadro si risolve completamente o Se invece non si muove o scende ci possono essere complicanze. Si presenta come un forte dolore di rapidità crescente nell’ipocondrio destro e nell’epigastrio che si irradia. Ci sono disturbi neurovegetativi. C’è dolore riflesso: o Regione sottoscapolareÆ Grazie al nervo grande splancnico o Regione paravertebraleÆ Grazie al nervo grande splancnico o Spalla e collo destroÆ Grazie al nervo frenico o Facci (raramente)Æ Grazie al nervo vago. Il dolore dura di solito ½ ora, ¾ d’ora ma può arrivare anche a 3‐6 ore. Generalmente non si accompagna a febbre e si ha risoluzione completa dei sintomi. Può ricomparire. Esame obiettivoÆ Può essere completamente negativo nel periodo inter‐cistico. Durante la colica, si ha dolore alla palpazione del punto cistico e la manovra di Murphy risulta positiva (ci deve essere anche l’arresto del respiro e non solo il dolore per considerarla positiva). Diagnosi: o Clinica o Laboratorio: Modesta leucocitosi Subittero fugaceÆ In realtà non dovrebbe esserci ma c’è scritto nei sacri testi. o Immagini: RX diretta (senza mezzo di contrasto) dell’addomeÆ Si vedono solo se c’è calcio e quindi non spesso non si vedono. Non si fa. Ecografia ¾ Calcolosi complicata: o Colecistite: CronicaÆ È la complicanza più comune della calcolosi della colecisti. Può esordire come tale o rappresentare l’evoluzione di una forma acuta. È un processo flogistico cronico, indotto direttamente o indirettamente dal calcolo, che porta ad un profondo sovvertimento della parete colecistica con segni di flogosi, più o mano marcati, fibrosi, edema, retrazione, ecc… Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 26 Il dolore diventa modesto perché la colecisti perde la sua capacità di contrarsi. Diventa però sub continuo e scompare raramente. Ci sono i segni della flogosi, ma solo raramente provocano febbre. All’esame obiettivo si nota: • Addome trattabile • Ipocondrio destro dolorabile • Punto cistico dolorabile • Manovra di Murphy più o meno positiva. Diagnosi: • Clinica • Laboratorio: o Modesta leucocitosi o Indici di flogosi • ImmaginiÆ Ecografia. AcutaÆ In genere segue la colica biliare. Il calcolo incuneato nel dotto cistico causa stasi biliare che causa: • Proliferazione dei batteri (bile come urine non proprio sterile. Il valore soglia è però 10 volte più basso rispetto a quello delle urine)Æ Colecistite. • Distensione della pareteÆ Danno ischemico della pareteÆ Colecistite. Si hanno: • Sintomi localiÆ Dolore localizzato in ipocondrio destro e/o epigastrio importante, improvviso tipo colica ma persistente. • Sintomi generaliÆ Febbre che raggiunge in poche ore valori elevati, tachicardia, tachipnea. • Sintomi riflessiÆ Nausea e vomito. All’esame obiettivo di ha: • IspezioneÆ L’addome non si muove con gli atti del respiro. Il respiro è costale e superficiale. • Palpazione: o SuperficialeÆ Addome non trattabile o poco nell’ipocondrio destro. o ProfondaÆ Ostacolata dal dolore. Se si riesce a fare si ha Blumberg e Murphy positive. • PercussioneÆ Timpanismo aumentato • AscoltazioneÆ Assente o torbida. Diagnosi: • Clinica • Laboratorio: o Leucocitosi elevata con spiccata neutrofilia o Aumento della VES E PCR o Possibile lieve aumento della bilirubina ed enzimi di stasi biliare • ImmaginiÆ EcografiaÆMostra anche l’inspessimento della parete (aspetto trilaminare). Complicanze: • Sepsi da gram negativi • Perforazione libera del cavo peritonealeÆ Peritonite • Fistolizzazione con il duodeno o con il colon trasversoÆ Migrazione del calcolo. o Ostruzione del cisticoÆ Se un piccolo calcolo si incunea nel dotto cistico e lo ostruisce in modo permanente si ha una colecisti esclusa. Dopo una prima fase di tentativo di vincere l’ostacolo la colecisti di sfianca e si ha: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 27 IdropeÆ Si forma quando il contenuto di una colecisti esclusa è sterile. La colecisti aumenta di volume per la formazione di un trasudato. Non c’è nessuno segno di flogosi. Esame obiettivo: • IspezioneÆ L’addome si muove con il respiro • Palpazione: o SuperficialeÆ L’addome è trattabile. Ci può essere dolenzia. o ProfondaÆ Si apprezza la tumefazione che si presenta mobile agli atti del respiro, di consistenza teso‐elastica, con superficie liscia e con margini netti. Può scomparire se il calcolo si muove. EmpiemaÆ Si forma quando il contenuto di una colecisti esclusa non è sterile. Si ha accumulo di materiale purulento nel lume. Il quadro clinico è analogo a quello di una colecistite acuta. Si hanno i segni locali e sistemici della flogosi. L’omento di attacca alla fibrina che trasuda dalla colecisti. All’esame obiettivo di ha: • IspezioneÆ Addome non mobile agli atti del respiro • Palpazione: o SuperficialeÆ Addome non trattabile o ProfondaÆ Si nota una tumefazione molto dolorabile con margini indistinti (quasi una pastosità) a causa dell’omento. o PerforazioneÆ Si ha un danno alla parete che causa una peritonite. o Fistole biliariÆ C’è flogosi della parete e aderenza della colecisti con un altro viscere grazie alla fibrina che viene trasudata (duodeno o colon trasverso). Si ha la perforazione della parete della colecisti e della parete del viscere, formazione di una fistola e passaggio del calcolo nell’organo. Il passaggio di solito è misconosciuto. Ci possono essere al massimo sanguinamenti. Se il calcolo passa nel duodenoÆ Si ferma nel tenue e può occludere. Siccome il tenue è sterile non ci sono conseguenze per la colecisti. Se il calcolo passa nel colonÆ Finisce nelle feci. C’è però flogosi della colecisti perché il colon non è sterile. I segni clinici sono: Pregressi sintomi “biliari” Dolore improvviso acuto all’epigastrio Possibile ematemesi o melena Episodi bilio‐settici Ileo meccanico. Con la diagnosi per immagine non si vedono i calcoli ma si può trovare aria nelle vie biliari o CancerizzazioneÆ Il carcinoma alla colecisti nella maggior parte dei casi si presenta associato alla colecistite cronica calcolosa di vecchia data. Diffonde rapidamente. La sintomatologia iniziale va molto spesso confusa con quella della calcolosi che la precede. Talora la diagnosi è solo intraoperatoria. La comparsa di ittero, pur molto precoce, è un segno di neoplasia avanzata. All’esame obiettivo può essere palpabile come una massa dura a margini non netti, superficie irregolare. Quando si palpa è però allo stadio avanzato e non più operabile. Diagnosi: LaboratorioÆ Marker sierici Immagini: • Ecografia • TAC • ERCPÆ Endoscopica Retrograda ColangioPancreatografiaÆ Retrograda perché si inietta il contrasto dal retto. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 28 o Litiasi coledocicaÆ Il 10% dei pazienti con litiasi biliare ha litiasi coledocica. Si intende la presenza di calcoli nella via biliare. Mentre come abbiamo visto un calcolo nella colecisti può non essere operato, un calcolo nella via biliare deve sempre essere operato. Sono i piccoli calcoli quelli che possono migrare più facilmente attraverso il cistico. Nel coledoco possono muoversi liberamente o localizzarsi, a seconda del loro diametro. Il calcolo determina quasi sempre una certa irritazione del coledoco a cui segue edema che contribuisce ad ostacolar il flusso della bile. Ne segue una ipertensione endocanalicolare che è responsabile della progressiva dilatazione della via biliare, sia extra‐ che intra‐epatica. La stasi biliare: Può favorire la proliferazione dei germi Causa un ittero capriccioso se si sgonfia l’edema e l’occlusione scompare a volte. Se il calcolo si incunea nella papilla può causare una pancreatite. Può determinare quindi: Ittero capricciosoÆ Perché non sempre il canale è ostruito se si risolve l’edema o non c’è più vasospasmo. ColangiteÆ Batteri Gram negativi Pancreatite biliare Cirrosi biliare secondaria. Clinica: Talvolta asintomatica Talvolta compare dolore epigastrico (più mediano e aspecifico rispetto ai precedenti) più viscerale. Possibile irradiazione Prurito Ittero a iperbilirubinemia diretta Alterazione della cromia fecale/urinaria Se c’è colangite si ha febbre e i segni della flogosiÆ L’addome è comunque trattabile perché non è a contatto con la parete. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 29 ASCITE Per ascite si intende una raccolta di liquido all’interno della cavità peritoneale, indipendentemente dalla sua natura di essudato o trasudato. L’esame diretto del malato consente di dimostrare la presenza di ascite solo quando questa è di almeno 1 litro. Classicamente questo termine viene usato propriamente non tanto per i piccoli versamenti, ma per quelli che alterano la normale forma dell’addome, cioè quelli valutabili all’esame obiettivo (> 1 litro). In presenza di liquido ascitico l’intestino e lo stomaco, con il loro contenuto aereo, “galleggiano” e vengono sospinti verso la parete addominale anteriore. Se l’ascite è di recente insorgenza l’addome diventa globoso. Dopo una po’ diventa batraciano perché c’è uno sfiancamento della parete dell’addome sui lati. Il rilievo dell’ascite è sempre indice di una condizione patologica che deve essere indagata con la massima attenzione. CARATTERISTICHE DELL’ADDOME Si può sospettare la presenza di ascite in presenza di: ‐ Aumento del volume dell’addome ‐ Addome batraciano ‐ Reticoli venosi superficiali ‐ Cicatrice ombelicale appianata o estroflessa ‐ Possibili ernie ombelicali o inguinali. CAUSE DI ASCITE Le possibili cause sono: • Cirrosi epatica • Neoplasie (gastrica, epatica, ovarica, linfomi, metastasi peritoneali) • Scompenso cardiaco congestizio • Pericardite costrittiva • Tubercolosi • Pancreatite acuta • Sindrome nefrosica • Polisierosite. La cirrosi è una malattia cronica degenerativa in cui i normali epatociti vengono distrutti e sostituiti da tessuto fibroso. La perdita della funzione epatica normale porta all’alterazione della capacità del fegato di detossificare farmaci e tossine, di sintetizzare proteine del plasma e crea un ostacolo al “deflusso” ematico portale determinando una ipertensione portale. L’ascite è la più comune complicanza dell’ascite. Ha un significato prognostico negativo e peggiora la qualità della vita. Necessita di terapia cronica e trattamenti invasivi. Può portare ad ulteriori complicazioni. Nella cirrosi epatica si ha inoltre: ‐ Ittero ‐ Cachessia ‐ Alterato stato di coscienza ‐ Edema decliveÆ Anasarca. L’insufficienza epatica porta inoltre l’eritema palmare, spider nevi e ginecomastia. Si può infine arrivare all’ipertensione portaleÆ Elevati regimi pressori nel sistema venoso portale che sono secondari all’aumento delle resistenza al deflusso. Comporta: o Collateralizzazione del sistema venoso porto‐sistemico con formazione degli shunt: o Profondi: Vene esofagee inferiori Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 30 Vene emorroidarie superiori Sistema del RetziusÆ A differenza dei precedenti che sono presenti anche alla nascita e si ipertrofizzano e basta, questo non è presente ma gli stravasi originano solo in presenza dell’ipertensione portale. o Superficiali: Attraverso le vene porte accessorie dello SappeyÆ Decorrono lungo il legamento sospensore e il legamento rotondo e permettono lo scarico del sangue portale nelle vene superficiali dell’addome, soprattutto della regione periombelicale Attraverso la vena ombelicale che viene a riabilitarsi Sindrome di Cruveilhier‐Baumgarten con atresia delle sovraepatiche e persistenza della ombelicale o Arterializzazione della microcircolazione epatica. ESAME OBIETTIVO Ispezione Si nota: ‐ Addome aumentato di volume (globoso/batraciano) ‐ Cicatrice ombelicale pianeggiante/estroflessa ‐ Reticoli venosi superficialiÆ Caput medusae. Palpazione Si ha: ‐ Segno del fiotto ‐ Eventuale segno del “ghiacciolo”Æ Se il fegato è in cirrosi è più rigido e galleggia a causa dell’ascite. Dando un colpo nell’ipocondrio destro si approfonda e poi ritorna indietro dando un impulso alle dita. Percussione Va effettuata a raggiera. Si nota una zona di ottusità a concavità rivolta verso l’alto, mobile con il decubito. È importante valutare il movimento con il decubito per effettuare la diagnosi differenziale con la cisti ovarica e il meteorismo, i quali limiti non variano con il decubito. PARACENTESI Prelievo di liquido ascitico. La sede elettiva per la “puntura” della parete addominale è il quadrante inferiore di sinistra, in corrispondenza del punto di McBurney. Prima di introdurre l’ago in addome è indispensabile confermare la presenza di liquido nella sede del prelievo. La paracentesi può avere uno scopo diagnostica o evacuativa. È molto importante che la manovra si eseguita in condizioni di massima sterilità. Il paziente deve essere in posizione semiseduta, inclinato sul fianco sinistro. Controllare con la percussione la presenza di ascite nella sede prescelta. Disinfettare la cute e praticare un’anestesia locale. Introdurre l’ago perpendicolarmente rispetto alla cute. Inserire l’ago lentamente fino a quando inizia il gemizio di liquido. Normalmente si effettua sotto controllo ecografico per non rischiare di bucare un’ansa intestinale se l’ascite è poca. Se è molta basta la percussione. CARATTERISTICHE DEL LIQUIDO ¾ Colore ¾ Peso specifico ¾ Concentrazione proteica ¾ Prova di Rivalta ¾ Esame microbiologico ¾ Esame citologico. Può essere: • TrasudatoÆ presenta: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 31 o Colore giallo citrico o Peso specifico di 1008‐15 o Concentrazione proteica inferiore a 2gr% o Prova di Rivalta negativa o Esame microbiologico negativo. • EssudatoÆ Presenta: o Colore giallo scuro o Peso specifico maggiore di 1008‐15 o Concentrazione proteica maggiore di 2gr% o Prova di Rivalta positiva o Esame microbiologico positivo o negativo. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 32 ADDOME ACUTO Sindrome a insorgenza per lo più improvvisa, con manifestazioni cliniche acute, a rapida ingravescenza, e prognosi severa nel breve periodo qualora non si intervenga con provvedimenti urgenti, per lo più di ordine chirurgico. DIAGNOSI È fondamentale per la diagnosi: ‐ Corretta anamnesi ‐ Accurato esame obiettivo ‐ Valutazione radiologica e strumentale essenziale. La diagnosi è tuttora fondamentalmente clinica e si basa su: • Dolore • Obiettività di parete, che evidenzia una difesa. Dall’anamnesi è fondamentale ricavare: o Sede e modalità di insorgenza del dolore o Irradiazione del dolore o Intensità del dolore o Tipo di dolore o Eventuali segni/sintomi associati. Diagnostica di laboratorio: Emocromo con formula leucocitaria Glicemia, azotemia, creatininemia, bilirubinemia, transaminasemia, amilasemia Prove di coagulazione Elettroliti sierici Esame delle urine. Diagnostica per immagini: ¾ RX diretta dell’addome ¾ Esami radiologici contrastografici ¾ Ecografia ¾ TAC. Diagnostica strumentale: ‐ Endoscopia digestivaÆ Gastroscopia, coloscopia. ‐ Laparoscopia. CAUSE Le possibili cause di addome acuto sono: 1) Infiammazione peritoneale 2) Occlusione intestinale 3) Emorragie. PERITONITI Si dividono in: ¾ PrimitiveÆPossono essere: o Ematogene o Attraverso le tube a causa di metodi contraccettivi o Infezione dell’ascite nel cirroticoÆ In realtà secondaria ad un intervento medico. o Peritoniti in pazienti in dialisi peritonealeÆ In realtà secondaria ad un intervento medico. ¾ SecondarieÆ Causate da: o Perforazione di un organoÆ Rapida evoluzione verso un quadro di peritonite generalizzata. o Propagazione di una infiammazione di un viscereÆ Processo infiammatorio inizialmente localizzato e solo successivamente tendente alla diffusione. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 33 NOTE FISIOPATOLOGICHE L’irritazione del peritoneo comporta: • Risposta locale infiammatorieÆ Iperemia, congestione ed edema comportano la formazione di un essudato peritoneale che può essere: torbido, purulento o emorragico. • Ileo paraliticoÆ Arresto della peristalsi, distensione intestinale, alvo chiuso a feci e gas, riduzione del riassorbimento di liquidi dal lume intestinale. I liquidi che si accumulano nel lume intestinale e nel cavo peritoneale provocano la dilatazione del “terzo spazio”, con conseguente ipovolemia. L’ileo paralitico è conseguenza della legge di StokesÆ All’irritazione del peritoneo consegue, in via riflessa, la paralisi della muscolatura liscia dell’intestino e la contrattura di quella striata della parete addominale. • Risposta generale dell’organismoÆ Comprende modificazioni: o Emodinamiche e cardiovascolariÆ Diminuzione della perfusione dei tessuti. o RespiratorieÆ Atelettasia delle basi polmonari, alterazioni degli scambi alveolo‐capillari o Endocrine e metabolicheÆ Aumentata secrezione di ACTH e ormoni catabolici, insulino‐ resistenza, deplezione delle proteine viscerali e quindi dei muscoli. La perdita di liquidi all’interno delle anse e l’accumulo di liquido nell’interstizio causa ipovolemia e si può arrivare allo shock ipovolemico. Se nel liquido ci sono germi si può arrivare a shock settico. Shock complessoÆ Si tratta di una forma particolarmente grave di shock, caratterizzato da un lato da disidratazione con formazione del terzo settore (shock ipovolemico) e dall’altro dal passaggio in circolo di germi/tossine (shock settico). SINTOMATOLOGIA ¾ Dolore addominaleÆ Acuto, violento, continuo, dapprima localizzato e quindi diffuso. ¾ Sintomi riflessiÆ Nausea e vomito. ¾ Ileo dinamicoÆ Chiusura dell’alvo a feci e gas. ¾ Addome a tavola ¾ Manovre di BlumbergÆ”Dolore di rimbalzo” ¾ Urlo di Douglas PERITONITI DA PERFORAZIONE Tutti gli organi cavi, in rapporto ad una patologia di parete, possono perforarsi e dare origine ad una peritonite che tende rapidamente a diffondere in tutto il cavo peritoneale. La gravità del quadro clinico dipenderà, in molta parte, dalla carica batterica presente nell’organo sede della perforazione. C’è la possibilità di un’evoluzione verso uno “shock complesso”. L’omento e il peritoneo, con il suo potere plastico e la sua clearance batterica, tendono a mantenere localizzata l’infezione. I casi clinici più frequenti sono: • Stomaco e duodenoÆ Nelle prime fasi si ha una peritonite chimica, a causa dell’azione irritante dovuta all’acido cloridrico. Dopo circa 4 ore interviene la contaminazione batterica e si ha quindi una peritonite batterica. La perforazione dell’ulcera peptica è spesso preceduta da una patologia gastro‐duodenale o assunzione di farmaci. Il quadro clinico d’esordio consiste in: o Violenta sintomatologia d’esordio o Dolore a colpo di pugnale o Localizzazione epigastrica o Posizione supina obbligata o Tachipnea e tachicardia. Dopo 4‐6 ore si ha: o Dolore addominale diffuso o Ipotensione e shock o Progressiva distensione addominale o Ileo dinamico. All’esame obiettivo: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 34 o Contrattura di difesa o Blumberg positivo o Scomparsa dell’aia di ottusità epatica o Assenza di rumori peristaltici. Diagnostica di laboratorio: o Aumento dei globuli bianchi o Aumento dell’ematocrito o Urine concentrate. Diagnostica per immagini: o RX diretta dell’addomeÆ Nel 90% dei casi si nota la presenza di aria libera nell’addome e si vede la falce d’aria sottodiaframmatica. o Nei casi dubbi si utilizza la TAC. • ColonÆ PatogenesiÆ Malattia diverticolare, neoplasia, colite ulcerosa, colite ischemica. Il quadro clinico è: o Dolore addominale inizialmente nella sede della perforazione quindi diffusa. o Chiusura dell’alvo a feci e gas. o Segni e sintomi di shock o Febbre e tachicardia. Esame obiettivo: o Contrattura di difesa o Blumberg positivo o Scomparsa dell’aia di ottusità epatica o Arresto della peristalsi. Diagnostica di laboratorio: o Leucocitosi neutrofila. Diagnostica per immagini: o RX diretta dell’addome o Clisma opaco o Ecotomografia e TACÆ Utili solo per la definizione di raccolte purulente saccate. • TenueÆ PatogenesiÆ Diverticolo di Mekel, traumi, linfomi, morbo di Crohn. Il quadro clinico immediato è composto da: o Dolore a colpo di pugnale o Localizzazione periombelicale o Tachicardia. Evoluzione rapida del dolore a tutto l’addome. All’esame obiettivo si nota: o Contrattura di difesa o Blumberg positivo o Scompaia dell’aia di ottusità epatica o Silenzio peristaltico. Diagnostica di laboratorio: o Leucocitosi o Squilibrio elettrolitico o Deplezione volemica. Diagnostica per immagini: o RX diretta dell’addomeÆ Si nota la presenza di aria libera. o EcotomografiaÆ Ruolo limitato nei casi di peritonite circoscritta. o TAC. • Colecisti e vie biliariÆ C’è spandimento endoperitoneale di bile. C’è l’azione irritante sul peritoneo dovuta ai sali biliari, quasi sempre associata ad una componente batterica più o meno importante. Possibili gravi versamenti nel cavo peritoneale. Quadro clinico immediato: Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 35 o Dolore per lo più sordo, gravativo o Localizzazione in ipocondrio destro o Spesso irradiato alla scapola e alla spalla o Nausea e vomito. Quadro clinico dopo alcune ore: o Febbre o Tachicardia o Grave disidratazione o Ittero o subittero (se presente ostruzione). Esame obiettivo: o Addome disteso o Contrattura di difesa o Blumberg positivo o Ileo paralitico. Diagnosi di laboratorio: o Leucocitosi o Emoconcentrazione o Aumento della bilirubinemia e della fosfatasi alcalina o Urine concentrate. Diagnostica per immagini: o RX diretta addome (ileo paralitico) o Ecotomografia (patologia litiasica biliare, versamento libero). PERITONITI DA PROPAGAZIONE DELL’INFIAMMAZIONE ¾ AppendiciteÆIl quadro clinico si presenta come: o Dolore sordo o crampiforme prima in regione epigastrica e successivamente localizzato in fossa iliaca destra. o La migrazione del dolore è da considerarsi caratteristica anche se incostante. o Nausea e vomito o Alterazione della canalizzazione (stipsi). Più tardivamente può comparire: o Febbre o Alvo chiuso a feci e gas. Esame obiettivo: o Dolore/contrattura di difesa in fossa iliaca destra o Manovra di Blumberg positiva o Segno di Rovsing o Dolore “elettivo” provocato nei punti appendicolari o Contrattura antalgica dell’ileo‐psoas o “Grido” di Douglas. Diagnostica di laboratorio: o Emocromo con formula leucocitaria o Esame delle urine o Test di gravidanza. Diagnostica per immagini: o RX diretta dell’addomeÆ Poco utile in questo caso o EcotomografiaÆ Per ricercare eventuale ascesso appendicolare e per diagnosi differenziale con: Morbo di Crohn Patologia ginecologica Pielonefrite Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 36 Calcolosi renale Colecistite. o Laparoscopia. ¾ ColecistiteÆ Il quadro clinico si presenta come: o Dolore gravativo in ipocondrio destro o Irradiazione sottoscapolare, epigastrica e spalla destra o Vomito biliare e febbre o Possibile alvo chiuso a feci e gas. Esame obiettivo: o Ridotte escursioni respiratorie o Distensione addominale o Contrattura di difesa o Blumberg e Murphy positivi o Timpanismo circostante all’area flogistica o Peristalsi rallentata o Punti dolorosiÆ Punto cistico, manovra di Murphy. Diagnostica di laboratorio: o Leucocitosi elevata con spiccata neutrofilia o Bilirubina ed enzimi di stasi biliare o Amilasi. Diagnostica per immagini: o RX diretta addome (calcoli, ileo paralitico) o Ecotomografia (permette di visualizzare formazioni litiasiche, mostra inspessimento o assottigliamento della parete del viscere, versamento libero) . ¾ Pancreatite acuta necrotizzanteÆ Patogenesi: le forme alcoliche e biliari da sole rappresentano oltre il 90% di tutte le pancreatiti. Quadro clinico: o Dolore ingravescente o violento, trafittivo o Localizzazione epigastrica o Irradiazione a cintura (forme necrotizzanti) o Nausea e vomito. All’esame obiettivo addominale si ha: o Discreta distensione addominale o Contrattura di difesa, manovra di Blumberg positiva o Segno di Grey TurnerÆ Aree ecchimotiche nella regione dei fianchi o Segno di CullenÆ Aree ecchimotiche nella regione periombelicale o Peristalsi torpida/assente o Possibile versamento ascitico. All’esame obiettivo generale si ha: o Tachicardia o Pallore e sudorazione fredda o Può essere presente ittero o subittero. Diagnostica di laboratorio o Emocromo con formula leucocitaria o Lipasi/amilasemia. Diagnostica per immagini: o RX diretta addome (si notano calcificazioni, ileo paralitico) o Ecotomografia addome superiore o TAC e colangioRMN. ¾ Malattia diverticolareÆ I diverticoli del colon sono estroflessioni (più o meno numerose) della mucosa e della sottomucosa attraverso la tunica muscolare. I diverticoli veri coinvolgono mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa. I diverticoli falsi presentano solo sierosa e mucosa. Si hanno più Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 37 frequentemente nel sigma (65%). Si possono avere anche nel discendente e nell’ascendente (Giappone). Compaiono per un aumento di pressione all’interno dell’organo. Sindrome di SAINTÆ C’è una debolezza dei tessuti che si manifesta come: o Ernia iatale o Calcolosi della colecisti o Diverticoli del colon. Malattia diverticolareÆ Si divide in: o LieveÆ Patogenesi: stasi fecale (coprolita) e assenza della parete muscolare (mancata espulsione più edema del colletto). Il quadro clinico presenta: Stipsi prevalente Alterata consistenza a feci e flatulenza Dolore lieve. All’esame obiettivo non si nota nulla. Al massico c’è la presenza della corda colica. o ConclamataÆ Patogenesi: microperforazioni diverticolare (su base ischemica da compressione a livello del colletto). Si ha l’infiammazione del diverticolo (peridiverticolite). Sintomatologia (appendicite di sinistra): Dolore in fianco sinistro Febbre Nausea‐vomito/alvo chiuso a feci e gas. Esame obiettivo: Difesa e Blumberg positivo Peristalsi assente/torpida. o Complicata: Acuta: • AscessoÆ È la complicanza più frequente. La perforazione è coperta e ci sono condizioni favorenti la circoscrizione del processo (perforazione nel mesentere, pregresse aderenze, tamponamento dell’omento). Quadro clinico: o Dolore (importante) in fossa iliaca destra o Febbre suppurativa o Chiusura dell’alvo. Esame obiettivo: o Reazione di difesa o Blumberg positivo/Douglas dolorabile o Peristalsi torpida/assente. • PerforazioneÆ Patogenesi: può essere stercoracea o purulente (può rappresentare anche l’evoluzione di un ascesso peridiverticolare). Quadro clinico: o Dolore addominale trafittivo/gravativo inizialmente nella sede della perforazione quindi diffuso o Chiusura dell’alvo a feci e gas o Segni e sintomi di shock (complesso) o Febbre e tachicardia. Esame obiettivo: o Contrattura di difesa o Blumberg positivo/Douglas dolorabile o Scomparsa dell’aia di ottusità epatica o Arresto della peristalsi. • OcclusioneÆ Patogenesi: o Meccaniche: Edema parietale Residui vegetali grossolani Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 38 Flogosi periviscerale (tenue). o DinamicheÆ Ileo paralitico. Quadro clinico: o Dolore addominale crampiforme (colica) o Chiusura dell’alvo a feci e gas o Nausea e vomito o Progressiva distensione addominale. Esame obiettivo: o Addome meteorico/trattabile o Blumberg negativo o Ottusità epatica conservata o Peristalsi metallica/assente . • EmorragiaÆ Patogenesi: o Lesione di un vaso retto: Decubito del fecaloma Flogosi di parete. o Erosione mucosa. Quadro clinico: o Rettorragia con emissione di sangue rosso vivo/rosso scuro o Possibile dolore addominale o Possibile shock (raro). Esame obiettivo: o Addome trattabile o Per lo più dolorabile in fossa iliaca sinistra o Possibile corda colica o Segni di irritazione peritoneale o All’esplorazione rettale sangue rosso più o meno vivo. Cronica: • Stenosi infiammatoriaÆ Esiti di ripetuti episodi di flogosi: o Fibrosi o Angolatura o Tumore infiammatorio. Quadro clinico: o Stipsi ingravescente o Dolore crampiforme o Sindrome di KoeningÆ Sub‐occlusione intestinaleÆ Dolore addominale a tipo colica, peristaltismo accentuato (visibile), rumori musicali, risoluzione del quadro con scarica diarroica e/o gassosa. o Chiusura dell’alvo a feci e gas. Esame obiettivo: o Distensione addominale o Tumefazione palpabile in fossa iliaca sinistra o Peristalsi vivace(accentuata). • FistoleÆ Possono essere: o VescicaÆ 50‐65%Æ Si ha pneumaturia, fecaluria, cistiti ricorrenti o VaginaÆ 10‐25%Æ Perdite maleodoranti, enteriche o IleoÆ Accelerato transito intestinale, scariche diarroiche o Uretere o CuteÆ Fistola stercoracea. • Emorragie recidivanti. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 39 OCCLUSIONE INTESTINALE Arresto della progressione di soldi, liquidi e gas all’interno del canale alimentare. ¾ Ileo meccanicoÆ Presenza di un reale ostacolo alla progressione intestinale. Eziopatogenesi: o OstruzioneÆ Presenza di un ostacolo endoluminale (tumori vegetanti, corpi estranei, calcoli biliari, fecalomi) o StenosiÆ Presenza di un processo infiltrante parietale (tumori, morbo di Crohn) o CompressioneÆ Presenza di una patologia extraluminare (tumori retroperitoneali, renali) o AngolaturaÆ Formazione di angoli acuti lungo il decorso intestinale (aderenze viscero‐ viscerali e viscero‐parietali). o StrangolamentoÆ Grave compromissione vascolare del tratto occluso (invaginazione, volvolo, strozzamento da cingolo). ¾ Ileo dinamico (o paralitico)Æ Incapacità di peristalsi con rilassamento diffuso della parete intestinale. Eziopatogenesi: o Infiammazione del peritoneoÆ peritonite di qualsiasi origine o Traumi dell’addomeÆ Anche senza lesioni o Interventi chirurgici o FarmaciÆ Oppiacei, neuroplegici, miorilassanti. DOLORE ADDOMINALE • Dolore addominale: o Nell’ileo meccanico “semplice” è discontinuoÆ Legato alla peristalsi. Si alternano attacchi più o meno ravvicinati e momenti di calma. Quando la peristalsi cessa definitivamente, arrendendosi all’ostacolato transito, il paziente si sente meglio, ma il quadro si è aggravato. o Nell’ileo meccanico con strangolamento è continuoÆ Dolore continuo con recrudescenze legate alla peristalsi. o Nell’ileo paralitico è variabileÆ Dipende per lo più dalla causa che lo ha provocato, può essere anche molto modesto, mentre è drammatico nell’ileo paralitico associato a peritonite diffusa generalizzata. • Chiusura dell’alvo a feci e gas: o TotaleÆ Se ileo paralitico o Totale o parzialeÆ Se ileo meccanico. Vi può essere l’emissione di “poche feci o acqua sporca” per lo svuotamento del contenuto e dei secreti della porzione di intestino a valle dell’ostruzione. • Distensione addominale • Vomito: o Se l’ostruzione è alta è gastrico‐bilaire o Se l’ostruzione è bassa è fecaloide. Il vomito è tanto più precoce quanto più alta è la sede dell’occlusione. L’impedito transito e l’atonia parietale non permettono al contenuto liquido normalmente secreto nel lume intestinale di venire fisiologicamente assorbito. DIAGNOSI • Esame clinico: o Valutazione della sintomatologia o Anamnesi o Esame obiettivo: IspezioneÆ Addome disteso, meteorico • DiffusamenteÆ Nell’ileo dinamico e nelle fasi avanzate dell’ileo meccanico (arresto della peristalsi) • SettorialmenteÆ Nelle prime fasi dell’ileo meccanico, in relazione alla porzione dell’intestino sovra disteso Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 40 Non trascurare l’ispezione delle regioni inguinali per escludere eventuali ernie inguinali. PalpazioneÆ Addome teso, elastico (percezione tattile della peristalsi se ancora presente) PercussioneÆ Suono timpanico Auscultazione: • Silenzio addominaleÆ Ileo dinamico e fasi avanzate dell’ileo meccanico • BorborigmiÆ Intendi nelle fasi precoci, di “lotta” dell’ileo meccanico. o Esplorazione rettaleÆ Negativa nell’ileo meccanico da ostruzione colica, può evidenziare un fecaloma, frequente causa di occlusione intestinale nel paziente geriatrico allettato. • Esame radiologicoÆ RX addome direttoÆ Si basa sulle immagini naturali di contrasto, prodotte dalle raccolte liquide e di gas che si formano nell’intestino occluso (livelli idro‐aerei). Senza aver mangiato il tenue è vuoto e il colon non ha acqua perché è assorbita dalle feci. Nell’occlusione si ha aria a digiuno. o Ileo meccanicoÆ Distensione limitata alla porzione di intestino a monte dell’ostacolo. Presenza di livello idro‐aerei dovuti al ristagno del liquido sovrastato dal gas. o Ileo dinamico (paralitico)Æ Distensione diffusa. Qualora le condizioni cliniche del paziente lo permettano è possibile una diagnosi strumentale di localizzazione particolarmente utile al chirurgo: ‐ RX clisma opaco ‐ RX tubo digerente ‐ Clisma TC ‐ Colonscopia ‐ EGDS. OSTRUZIONI MECCANICHE ALTE Nelle sindromi ostruttive meccaniche alte si ha: ‐ Vomito a getto privo di bileÆ Se l’ostruzione è a livello pilorico ‐ Vomito biliareÆ Se l’ostruzione è sottopapillare ‐ Vomito a contenuto entericoÆ Se l’ostruzione è a livello del digiuno prossimale. Si ha grave disidratazione, alterazione idroelettrolitica e se di lunga durata, alterazione dell’equilibrio acido/base. Esame obiettivoÆ Si nota: ‐ Tumefazione epigastrica ‐ Guazzamento all’auscultazione. Diagnostica: • RX diretta addome, spesso negativa • RX con contrasto idrosolubile • Endoscopia. OCCLUSIONI MECCANICHE DEL TENUE MEDIO/BASSO Patogenesi: ‐ Volvolo, invaginazione intestinale ‐ Strozzamento da briglia, erniario ‐ Neoplasia ‐ Calcolo biliare, fitobenzoari ‐ Compressione estrinseca ‐ Morbo di Crohn. Quadro clinico: • Esordio spesso improvviso • Dolore crampiforme, localizzazione periombelicale • Nausea Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 41 • Vomito (enterico) • Febbre • Chiusura dell’alvo. Esame obiettivo: o Polso frequente e molle (disidratazione da vomito e da terzo settore) o Presenza di eventuali pregresse cicatrici o Trattabile (se non sofferenza viscerale) o Dolorabile o Aree di timpanismo o Iperperistaltismo e rumori metallici. Diagnostica di laboratorioÆ Leucocitosi e alterazioni idro‐elettriche Diagnostica per immagini: ‐ RX diretta addome in clinostatismo (anse intestinali a monte dell’ostruzione) e in ortostatismo (livelli idro‐aerei) ‐ RX clisma del tenue (esame del tubo digerente con contrasto ‐ TAC addome. OSTRUZIONI MECCANICHE DEL COLON Patogenesi: • Neoplasie • Volvolo • Diverticoliti • Strozzamento erniario. Se la valvola ileo‐colica è continente c’è vomito tardivo, massima distensione del colon con possibile perforazione diastatica. Se la valvola ileo‐colica è incontinente c’è distensione precoce di ileo e colon con vomito precoce (fecaloide) e addome globoso. Sintomatologia: ‐ Sintomatologia d’esordio in rapporto alla causa ‐ Dolore inizialmente crampiforme che diventa poi continuo ‐ Distensione addominale (meteorismo) ‐ Chiusura dell’alvo a feci e gas ‐ Nausea e vomito ‐ Sintomi sistemiciÆ Tachicardia, febbre, ecc… Esame obiettivo: • Distensione addominale • Tumefazione palpabile (esplorazione rettale) • Dolorabilità diffusa/circoscritta • Timpanismo ileo‐colico aumentato • Peristalsi metalliche che diventa torpida. Diagnostica di laboratorioÆ Leucocitosi e alterazioni idro‐elettrolitiche Diagnostica per immagini: ‐ RX diretta addome ‐ Colonscopia ‐ RX clisma opaco ‐ TAC addome. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 42 SCREENING DEL CANCRO DEL COLON Per essere un buon screening la malattia deve: ‐ Avere un lungo periodo asintomatico ‐ Avere un andamento preclinico lento ‐ Poter essere trattata precocemente con ottimi risultati ‐ Ci deve essere la possibilità di fare diagnosi precoce ‐ Il test non deve essere invasivo. Si divide la popolazione in tre fasce: • Basso rischioÆ < 50 anniÆ Nessun screening • Medio rischioÆ > 50 anniÆ Si effettua la ricerca del sangue occulto o la colonscopia • Alto rischioÆ Familiarità o paziente con già storia tumorale o polipoÆ Si fa pancoroscopia. Nel 5% dei casi i polipi possono essere piatti e sfuggire facilmente. Con la chirurgia la sopravvivenza è del 75% prima che siano delle metastasi. EMORRAGIE Si possono dividere in: • Occulte • Croniche • Acute. I sintomi sono: o EmatemesiÆ Emissione di sangue con il vomito. o Se il sangue è rosso vivo si parla di ematemesi propriamente detta o Se sangue parzialmente digerito si parla di vomito caffeano. o MelenaÆ Evacuazione di feci nere, di consistenza poltacea, untuose, brillanti e di odore caratteristico. Il sangue deve persistere nell’intestino per almeno 8 ore. La perdita non deve essere inferiore a 80‐100ml. Diagnosi differenziale con pseudo melena alimentare o per Fe per osÆ La consistenza in questo caso è normale. o RettorragiaÆ Si parla di enterorragia quando c’è evacuazione rettale massiva di sangue rosso più o meno scuro. La fonte di sanguinamento è distale rispetto al Treitz. È prossimale sono in presenza di emorragia cataclismatica. Si parla di rettorragia quando il sangue proviene dal retto. o Manifestazioni cliniche sistemicheÆ In rapporto alla gravità e alla durata. Di solito quando c’è ematemesi c’è anche melena. Si può comunque avere melena senza avere ematemesi. Le emorragie si distinguono in: ¾ SuperioriÆ Le possibili cause sono: o Ulcera gastrica o Gastroduodenite (erosione) o Varici esofagee. ¾ InferioriÆ Le possibili cause sono: o Patologie del canale anale come: Emorroidi Ragade anale Prolassi rettali Ulcere solitarie. o Neoplasie o Morbo di Crohn. Per quanto riguarda le enterorragie, più alta è la partenza, più scuro è il sangue emesso. Se però il sangue è abbondante sarà rosso vivo perché percorre il canale velocemente. Se il sanguinamento è a livello anale, il sangue viene emesso quasi sempre con la defecazione e vernicia le feci (sono già formate) che sono di consistenza anale. Se il sanguinamento è a livello dell’ampolla rettale il sangue sarà frammisto alle feci. BOTTOSSO STEFANO Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 1 INDICI DI FLOGOSI FlogosiÆ Risposta difensiva locale di un tessuto vascolarizzato ad un danno. È mediata e controllata da mediatori biochimici. Presenta: • Effetti locali: ‐ Rubor ‐ Calor ‐ Dolor ‐ Tumor ‐ Functio laesa. • Effetti sistemici: ‐ Sintomi di una specifica patologia infiammatoria ‐ Febbre ‐ Leucocitosi ‐ Modificazioni biochimico‐cliniche di fase acuta. Le modificazioni biochimico‐cliniche della fase acuta sono il risultato dell’azione di molteplici regolatori dell’infiammazione. I principali sono: ‐ TNF‐αÆ Aumenta di concentrazione per prima e regola l’espressione delle altre citochine. ‐ IL‐1Æ Si attiva subito dopo TNF‐α ‐ IL‐6/IL‐8Æ Si attivano per ultime. Non solo si attivano in successione, ma anche con livelli diversi: TNF‐α ha livelli maggiori di IL‐1 ed IL‐1 ha livelli maggiori di IL‐6 e IL‐8. Qualsiasi fattore flogogeno, innesca la sintesi di citochine a livello locale che, in circolo, raggiungono il fegato che viene stimolato a produrre le molecole della fase acuta che sono: o FCR o Fibrinogeno o Proteina sieroamiloide A. Nella risposta del nostro organismo, non variano solo le concentrazioni di molecole, ma anche la concentrazione di cellule. In particolare nelle prime fasi aumentano i neutrofili, poi i macrofagi e i linfociti. Quando la malattia è nella fase cronico o in guarigione c’è il picco di fibroblasti che causano la fibrosi, formando la cicatrice. I “reattivi” della fase acuto quindi sono: • PCR • VES • Fibrinogeno • Leucociti • Alfa‐1‐Antiplasmina • Aptoglobulina • Ferritina • Ceruloplasmina. Le ultime quattro proteine non vengono valutate di routine perché non danno informazioni in più rispetto al fibrinogeno/VES/PCR. PCR La proteina C reattiva fa parte della famiglia delle “prentrassine”, che sono delle proteine pentameriche. Si possono dividere in due categorie: ‐ CorteÆ Fanno parte di questa categoria la PCR e la SAP (Sierum Amiloid Protein) ‐ LungheÆ Hanno una regione N‐terminale in più. Fanno parte di questa categoria il PTX3, NP‐1 e NP‐2 (Neuropentrassine). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 2 La SAP rimpiazza la apolipoproteina A sulle HDL favorendo l’uptake di tali particelle da parte dei macrofagi che possono utilizzare i lipidi contenuti per produrre energia. Hanno tutte un dominio comune identico che gli fa svolgere la loro funzione comune durante l’apoptosi. È importante ricordare che mentre la PCR e la SAP vengono prodotte dal fegato in risposta ai mediatori dell’infiammazione , il PTX‐3 è prodotta in sede locale di infiammazione da parte di diversi tipi cellulari tra cui fagociti, fibroblasti, adipociti, cellule muscolari lisce e cellule endoteliali. ApoptosiÆMorte cellulare programmata. Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema. Al contrario della necrosi, che è una forma di morte cellulare risultante da un acuto stress o trauma cellulare, l'apoptosi è portata avanti in modo ordinato e regolato, richiede consumo di energia (ATP) e generalmente porta ad un vantaggio durante il ciclo vitale dell'organismo. L'apoptosi può avvenire quando una cellula è danneggiata oltre le proprie capacità di riparazione, oppure infettata da un virus. Il segnale apoptotico può venire dalla cellula stessa o dal tessuto circostante. La cellula diventa sferica e perde contatto con le cellule adiacenti. Questo avviene perché le proteine del citoscheletro vengono digerite da specifiche peptidasi (chiamate caspasi) che sono state attivate all'interno del citoplasma. La cromatina comincia ad essere degradata e condensata (il nucleo al microscopio risulta eterocromatico) e si degrada; a ciò fa seguito la degradazione della membrana nucleare. Il plasmalemma si rompe. La cellula è fagocitata oppure si divide in più vescicole, chiamate corpi apoptotici, grazie ad un processo che prende il nome di blebbing, che sono in seguito fagocitati. La PCR facilita ed aumenta le capacità di uptake delle cellule apoptotiche. Lo fa: ‐ Direttamente ‐ Legando C1qÆ Un difetto di C1q causa il LESÆ Si pensa che la causa sia il fatto che le cellule apoptotiche non vengono più eliminate e il sistema immunitario viene iperattivato e attacca anche il self. Il residuo delle cellule apoptotiche ha anche un significato di risposta anti‐infiammatorio. Quando vengono fagocitate le cellule apoptotiche, infatti i fagociti producono delle citochine (IL‐10, TGF‐β) con azione antiinfiammatoria e immunosoppressiva. Se la cellula va invece in necrosi vengono liberate sostanze ad azione proinfiammatoria come TNF‐α e IL‐1. La PCR è la pentrassina il cui dosaggio è più ampiamente utilizzato a supporto della pratica clinica; il dosaggio di pentrassine come la PTX‐3 si sta sviluppando ora. È comunque un marker aspecifico dell’infiammazione dipendente da situazioni infiammatorie, infettive, neoplastiche. Aumenta molto rapidamente dopo la comparsa della flogosi e se la causa scompare diminuisce altrettanto rapidamente. I principali metodi di dosaggio della PCR sono: • NefelometriaÆ 0.09‐0.8 mg/mlÆ La nefelometria è una metodica ottica di analisi che permette di ricavare la quantità di sostanza oggetto di analisi misurando la radiazione diffusa per effetto Tyndall. Viene applicata per fasi disperse estremamente fini, di diametro dell'ordine di decine o centinaia di nanometri e presenta elevati livelli di sensibilità e, opportunamente standardizzata, può essere anche molto precisa. L’effetto Tyndal è un fenomeno di dispersione della luce dovuto alla presenza di particelle, di dimensioni comparabili a quelle delle lunghezze d'onda della luce incidente, presenti in sistemi colloidali, nelle sospensioni o nelle emulsioni. • RIA (Radio Immuno Assay)Æ 0.06‐0.8 mg/mlÆ E' una tecnica che si basa sulla competizione tra un antigene freddo (Ag) ed un antigene marcato con sostanze radioattive (Ag*) per un numero limitato di siti di legame sugli Ab legati stabilmente alla fase solida (microsfere di sephadex o le pareti di una provetta di polipropilene). Dopo un certo tempo di incubazione ad opportuna Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 3 temperatura si effettua un lavaggio per allontanare Ag e Ag* liberi e si esamina la radioattività di Ag* legati al supporto. Utilizzando quantità note e variabili di Ag e quantità fisse di Ab e Ag* si può allestire una curva di taratura in cui la quantità di Ag* legato è funzione inversa della quantità totale di Ag aggiunto. Con questa curva di taratura si può determinare la quantità di antigene in un campione ignoto trattato allo stesso modo • ImmunodiffusioneÆ <3 mg/100mlÆ Questa tecnica è basata sulla capacità di un anticorpo ed del rispettivo antigene, posti in zone differenti di una superficie di agar, di diffondere liberamente fino ad incontrarsi formando bande opache di precipitazione nel punto in cui i due fronti di diffusione si incontrano. Per effettuare il test basta prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. I livelli di PCR possono essere associati al rischio di patologia cardiovascolare. Sappiamo infatti che l’aterosclerosi ha una base infiammatoria. Misurando la PCR con una tecnica ad alta sensibilità, ci permette di notare le piccole variazioni della PCR. È quindi indicato per la diagnosi del rischio di malattie cardiovascolari. La PCR risulta inoltre elevata nell’infarto miocardico acuto. Per valutare il rischio di una malattia cardiovascolare si utilizza il livello di PCR in relazione con i valori di colesterolo, in particolare con il rapporto tra colesterolo totale e HDL. Colo con alti valori di questo rapporto ed alti valori di PCR hanno un rischio più elevato rispetto a coloro con bassi valori del rapporto (<3‐4) e bassi valori di PCR. I livelli di PCR si elevano in modo aspecifico in molte altre condizioni infiammatorie come: ‐ Alcuni tipi di artrite (artrite reumatoide) ‐ Malattie autoimmuni (LES) ‐ Disturbi infiammatori dell’intestino (morbo di Chron) ‐ Tumori. PTX‐3 È un nuovo candidato come marker di risposta infiammatoria locale. Viene inoltre utilizzato come indicatore per la prognosi di morte del paziente in 3 mesi dall’infarto acuto del miocardio. Se i livelli sono elevati la probabilità che il paziente muoia sono elevate. Il problema nell’utilizzo è che viene prodotto localmente e quindi è di difficile acquisizione con un campione. VES Misura la rapidità con cui le emazie sedimentano nel plasma in cui sono sospese. È regolata dalla legge di Stokes: I = 2r 2 (J 1 - J 2 )g 9p Dove: V = VES r = raggio delle particelle d 1 = densità delle particelleÆ 1.10 d 2 = densità del fluidoÆ 1.02 g = accelerazione di gravità η = viscosità del fluido. I fattori che possono variare sono: • rÆ Variazioni delle dimensioni dei globuli rossi modificano di molto (essendo il raggio al quadrato) la VES. Per esempio: o Anemie microcitiche (per esempio ipocromiche)Æ I globuli rossi rimpiccioliscono Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 4 Valori normali di VES: MaschioÆ Età/2 FemminaÆ Età+10/2 o Anemie macrocitiche (per esempio da carenza di folati o da carenza di vitamina B 12 )Æ I globuli rossi aumentano di dimensioni. Quando manca il folato mentre di dividono interrompono il processo perché non riescono a formare nuovo materiale genetico. • ηÆ Essendo al denominatore, tanto più aumenta, tanto più diminuisce la VES. Varia in funzione di: o TemperaturaÆ Per questo mentre si fa la VES la temperatura deve essere di 28‐22° o Concentrazione proteicaÆ In una ipoalbuminemia la viscosità diminuisce. Le possibili cause per un’ipoalbuminemia possono essere: Insufficienza epatica Perdita proteica per una sindrome nefrosica Enteropatie proteino‐disperdenti. o FibrinogenoÆ È una proteina con carica globale +, opposta quindi ai globuli rossi che hanno carica netta globale negativa (a causa dell’acido sialico). Se il fibrinogeno aumenta, aumenta la viscosità e quindi diminuisce la VES. Però siccome vengono a ridursi le cariche positive e quindi i globuli rossi si respingono aumenta la VES. L’effetto netto è comunque ignoto. Misurazione della VES: Per l’esecuzione del test di mescolano 1,6ml di sangue venoso con 0,4ml di citrato di sodio 3,8%. Si ripone il tutto in una provetta posta verticalmente e dopo 1 e 2 ore si legge l’altezza della colonna di plasma formatasi sopra la parte corpuscolata. La VES si calcola come la somma dell’altezza alla prima ora più metà dell’altezza alla seconda ora, il tutto diviso due. Questo numero viene detto anche indice di Katz. Ora si da di solito solo una misurazione (prima o seconda ora). La temperatura ideale per l’esecuzione è compresa tra 18‐22°C: a temperature inferiori il processo rallenta, a temperature superiori l’effetto è variabile perché c’è una diminuzione della viscosità ma anche un aumento di energia cinetica, con effetti opposti. Un aumento della VES indica in modo aspecifico la presenza e l’intensità di un processo di infiammazione. Le sue variazioni sono più significative rispetto al rilievo di un singolo valore elevato. Può essere utilizzato per: ‐ Identificare malattie nascoste ‐ Monitorare il decorso o la risposta alla terapia di certe malattie ‐ Aiutare a confermare o escludere una diagnosi ma raramente è di aiuto in una diagnosi differenziale. Elevati valori di VES possono significare: • Malattia infiammatoria • Malattia con un aumento di proteine globulari (per esempio perdita di albumina per sindrome nefrosica) • Necrosi tissutale esteso • Infarto del miocardio, traumi, tumori • Altre cause (come gravidanza, anemia, ecc…). Bassi valori di VES possono significare: • Aumento della viscosità del plasma • Numero dei globuli rossi • Diminuzione delle proteine plasmatiche. Esiste un nuovo metodo per calcolare la VES, la fotometria capillare quantitativa. Il valore della VES non è più rilevato in un’unica lettura dopo un intervallo di tempo, ma risulta dalla misurazione dinamica del Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 5 Nella granulomatosi cronica si ha un difetto genetico che va a colpire la catena degli enzimi che produce i composti ad azione battericida, in particolare il complesso NADPH‐ossidasi, formato da una porzione citoplasmatica e una di membrana. Serve a formare elettroni per formare specie reattive dell’ossigeno. Avviene all’interno dei granuli primari. Se c’è un deficit non sono più in grado di distruggere i batteri che fagocitano. Di formano granulomi, accumuli di granulociti. processo di formazione degli agglomerati degli eritrociti. Questo processo risente della spinta delle proteine, specie della fase acuta, ma non viene influenzato dal grado di anemia, dalla poliglobulia, dalla presenza di crioglobuline o paraproteine. Fra i vantaggi del nuovo metodo c’è la possibilità di analizzare anche campioni con volume scarso (bambini) e i risultati si hanno in tempi brevi. A differenza della PCR la VES varia più lentamente. Perciò la PCR è un marcatore di infiammazione più precoce e quindi preferibile. FIBRINOGENO È un’importante proteina che interviene nella formazione del coagulo. Viene trasformato in fibrina monometrica dalla trombina e quindi si associa formando una rete. Da un punto di vista molecolare, il fibrinogeno è un esamero, costituito da tre catene polipeptidiche, ciascuna presente in due copie: le catene Aα, Bβ e γ. Le lettere A e B si riferiscono alla presenza, nella regione N‐terminale delle catene α e β, di due corti peptidi (corte sequenze aminoacidiche), denominate rispettivamente fibrinopeptide A e fibrinopeptide B. Tali sequenze vengono rimosse durante l’attivazione del fibrinogeno da parte della trombina, che riconosce e taglia specificamente a livello dei fibrinopeptidi A e B, rilasciando le catene α e β. Le sei catene si assemblano a costituire un esamero mediante un complicato processo del quale ancora non si conoscono i dettagli molecolari. Una volta assemblato, il fibrinogeno risulta essere una molecola di forma vagamente bastoncellare. Il fibrinogeno è prodotto dal fegato su stimolazione di interleuchine pro‐infiammatorie prodotte in periferia. Dosaggio: 1. Metodi coagulativi: • Metodo di ClaussÆ Usando un eccesso di trombina il tempo di formazione del coagulo del plasma diluito è inversamente proporzionale alla concentrazione del fibrinogeno plasmatico. Il fibrinogeno è infatti il fattore in minoranza. • Metodo PT derivatoÆ Metodo fotometrico che consente di valutare la concentrazione del fibrinogeno plasmatico dalla variazione di assorbanza durante il dosaggio del tempo di protrombina. Il vantaggio è il contemporaneo dosaggio del Fibrinogeno e del PT (tempo di protrombina o tempo di Quick). Il tempo di Quick il tempo necessario alla formazione di coagulo in plasma dopo aggiunta di fosfolipidi fattori tissutali e ioni calcio. 2. Metodo immunologicoÆ Riconoscimento tramite reazione Ag (fibrinogeno) e Ab. Valori normali di fibrinogenoÆ 200‐450mg/dl Piccole variazioni di fibrinogeno si è visto sono correlate al rischio di malattie cardiovascolari. Sembra infatti che alti livelli di fibrinogeno promuovano l’aterosclerosi. Aumentati livelli causano anche un aumento della viscosità, dell’aggregazione piastrinico ed hanno un effetto pro‐infiammatorio. Non esiste comunque ancora una terapia per ridurre i livelli di fibrinogeno. LEUCOCITI I leucociti si dividono in: • Granulociti: o NeutrofiliÆ La funzione principale è quella di fagocitare e distruggere materiale esterno (batteri). La fagocitosi è mediata da Ig e/o C3b del complemento. Contengono due tipi di granuli: PrimariÆ Contengono enzimi battericidi, mieloperossidasi, proteasi SecondariÆ Contengono lisozima e collagenasi. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 6 o EosinofiliÆ Eliminano i parassiti degranulandosi sulla loro superficie inducendo un danno fisico (perossidasi). Intervengono nelle reazioni allergiche. o BasofiliÆ Contengono amine vasoattive quali istamina e serotonina. Hanno recettori per legare C3, che gli permette l’adesione ai parassiti. • LinfocitiÆ Si dividono in: o Linfociti TÆ Immunità cellulo‐mediataÆ Riescono a riconoscere un antigene solo se viene presentato sulla superficie di una cellula complessato con MHC. Hanno attività contro le cellule tumorali, le cellule infette e gli organismi patogeni. o Linfociti BÆ Immunità umoraleÆ Sono cellule che, in seguito a stimolazione antigenica, sono capaci di proliferare e trasformarsi in cellule effettrici , le plasmacellule che producono anticorpi. • MonocitiÆ Rappresentano la forma immatura dei macrofagi a cui danno origine dopo attivazione da parte di processi infiammatori. Una volta attivati producono IL‐1 responsabile di molti aspetti della risposta della fase acuta. La funzione principale è quella della fagocitosi. DETERMINAZIONE DEI PARAMETRI EMATOLOGICI Il campione di sangue si preleva comunemente dalla vena di un braccio. Viene conservato a temperatura ambiente in una provetta contente EDTA/eparina. Si inserisce nel conta globuli automatico che in poche decine di secondi fornisce il risultato. Formula leucocitaria: ‐ Granulociti neutrofiliÆ55‐70% ‐ Granulociti eosinofiliÆ 1‐4% ‐ Granulociti basofiliÆ 0,1‐1% ‐ LinfocitiÆ 20‐30% ‐ MonocitiÆ 2‐8%. La conta totale normale è invece 5000‐10000 per μl (o mm 3 ). LeucocitosiÆ Aumento del numero dei leucociti del sangue al di sopra dei valori normali senza alterazione della loro morfologia. Esistono: • Forme globali • Forma parzialiÆ Si parla quindi di: o Leucocitosi granulocitica o Leucocitosi linfociti o Leucocitosi monocitica. Le leucocitosi possono essere ‐ Da ripartizione (leucocitosi relative)Æ Derivano dal fatto che la distribuzione dei leucociti, in determinate condizioni fisiologiche o patologiche, può variare a favore della quota circolante nel sangue, con la contemporanea diminuzione relativa nei distretti vascolari della milza, del fegato e di altri organi. ‐ Da produzione (leucocitosi vere)Æ Sono caratterizzate da un aumento reale dei leucociti in caso di accentuata attività del midollo osseo Le più frequenti leucocitosi relative sono le granulocitosi, che si dividono in: • NeutrofilaÆ Le possibili cause sono 1. Malattie infettive soprattutto batteriche 2. Sforzi fisici, stress 3. Ustioni 4. Necrosi tissutali (per esempio infarto miocardico, polmonare e renale) 5. Malattie infiammatorie croniche (per esempio gotta e vasculiti) 6. Farmaci (per esempio cortisonici e litio) 7. Disordini mieloproliferativi 8. Malattie metaboliche (per esempio chetoacidosi diabetica, uremia, ecc…) 9. Neoplasie maligne, emorragie acute o emolisi dopo splenectomia. • EosinofilaÆ Si riscontra in seguito a : Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 7 1. Assunzione di alcuni farmaci 2. Asma bronchiale 3. Malattie allergiche 4. Nel corso di collagenopatie 5. Nelle infestazioni da vermi. • BasofilaÆ Si riscontra in seguito a: 1. Malattie allergiche 2. Disordini mieloproliferativi 3. Raramente in corso di malattie infiammatorie croniche. La monocitosi si osserva nelle infezioni a decorso subacuto o cronico come: ‐ Tubercolosi ‐ Morbo di Crohn ‐ Endocardite batterica subacuta ‐ Malaria, Leishmaniosi ‐ Collagenopatie ‐ Leucemie, linfomi, malattie linfoproliferative e mielosisplasiche, anemia emolitiche e neoplasie. La linfocitosi si osserva invece in occasione di infezioni: ‐ Virali ‐ Tubercolosi, brucellosi, sifilide ‐ Endocrinopatie ‐ Neoplasie (soprattutto leucemia linfatica cronica). La leucocitosi fisiologica si ha nel neonato durante la prima settimana di vita, nella donna in gravidanza e nel soggetto adulto in seguito ad intensi sforzi muscolari. CITOMETRIA A FLUSSO Consente di valutare caratteristiche fisiche e chimiche di sospensioni cellulari monodisperse usando ligandi fluorescenti o anticorpi monoclonali marcati con fluorocromi. L’eccitazione del fluoro cromo da parte di una sorgente luminosa provoca l’emissione di un segnale di fluorescenza che viene raccolto da rilevatori ottici, convertito in un segnale elettronico e rappresentato in grafico. Il principio su cui di fonda è la focalizzazione idrodinamica. C’è un ago che preleva il campione e si restringe i modo che alla fine passi per il canale sono una cellula alla volta. Questo viene detto sistema fluidico. C’è poi un raggio laser (sorgente di eccitazione) che colpisce la cellule. Parte della luce: ‐ DiffrangeÆ Formando lo scatter lineare o Forward Scatter (FSC)Æ Dipende dalle caratteristiche volumetriche della cellula ‐ Rifrange e rifletteÆ Formando lo scatter ortogonale o Side Scatter (SSC)Æ Dipende dalla complessità interna cellulare e dal rapporto nucleo/citoplasma. L’analisi quindi dei fasci di luce viene convertita in un citogramma che può essere poi utilizzato colorando ogni singola sottopopolazione con un colore diverso. Per invece la ricerca di proteine di membrana o citosoliche si utilizzano molecole marcate con il fluoroscromo che viene eccitato dal raggio incidente individuando la presenza o mano delle molecole. Questo esame è importante per esempio per vedere si i linfociti sono Th o Tc nella sarcoidosi polmonare. È una malattia cronica molti‐sistemica da causa ignota caratterizzata dall’accumulo di linfociti Th e fagociti con formazione di granulomi epiteliodi. C’è un de‐arrangiamento della normale architettura tissutale di vari organi con predilezione dei polmoni. I linfociti Th hanno come marker della membrana il CD46, il CD3 e il CD4, i linfociti Tc hanno il CD46, il CD3 e il CD8. Nel citogramma evidenzio la popolazione dei linfociti. Utilizzo come marker il CD3 che è presenti in entrambi così separo i T dai B. Li divido poi usando il CD4 e il CD8. È molto importante, non solo il numero assoluto, ma anche il rapporto CD4/CD8 (anche ai fini della diagnosi di HIV). Il rapporto varia con l’età: ¾ 1 annoÆ 1,5‐2,9 ¾ 2‐6 anniÆ 1,0‐1,6 ¾ 7‐17 anniÆ 1,1‐1,4 Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 8 ¾ Sopra i 18 anniÆ 0,6/2,8. Si può inoltre vedere a che punto del ciclo cellulare è la cellula. Si fa andando a vedere la quantità di DNA. Possiamo distinguere 4 fasi del ciclo cellulare: ‐ MÆ Mitosi ‐ G 1 Æ Crescita ‐ SÆ Replicazione del DNA ‐ G 2 Æ Crescita e preparazione alla mitosi. Si utilizza un colorante intercalare (propidio ioduro) che è di colore rosso e mi indica il DNA totale, e delle Ig anti‐BrdU (Bromodiossiuridina) che sono blu ed individuano il DNA neo sintetizzato. Possiamo quindi, inserendo in ascissa il propidio e in ordinata le Ig e inserendo valori di cut‐off per la positività o negatività ai singoli coloranti, creare un grafico che viene suddiviso in 4: ‐ Cellule negative ad entrambi i colorantiÆ Genoma 2NÆ Sono in fase G1 ‐ Cellule negative al propidio e positive alle IgÆ Genoma 2N+xÆ Sono in fasi S ‐ Cellule positive ad entrambi i colorantiÆ Genoma 4NÆ Sono in fase G2 o M ‐ Cellule positive al propidio ma negative alle IgÆ Hanno un genoma 4N ma non neosintetizzato. Sono cellule che non hanno incorporato il colorante e quindi devono essere sommate alle precedenti. Si può utilizzare questo tipico di grafico per vedere gli effetti di composti antiproliferativi. Con un composto antiproliferativo si hanno delle modificazioni: ‐ Il 70% delle cellule è in G1 contro il 60% del campione di controllo ‐ L’8% delle cellule è in S contro il 21% del campione di controllo ‐ Il 20% delle cellule è in G2/M contro il 20% del campione di controllo Si nota che quindi il blocca avviene tra la fase G1 e S, infatti ci sono meno cellule in G1 e molte più cellule in S. Questo test è stato fatto con cellule muscolari lisce che proliferano nell’aterosclerosi e dopo l’introduzione di Stent dando la ristenosi per iperproliferazione delle cellule muscolari. Si possono quindi utilizzare questi composti antiproliferativi che agiscono su enzimi di trascrizione che spengono determinati geni. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 9 ENZIMI CARDIACI E INFARTO MIOCARDICO ACUTO Secondo i criteri dell’organizzazione mondiale della sanità (OMS) per la diagnosi di infarto miocardico acuto (IMA) sono necessari almeno due dei seguenti tre elementi: 1. Anamnesi di dolore toracico di tipo ischemico 2. Evoluzione delle modificazioni registrate in ECG seriati 3. Innalzamento con successiva riduzione dei marker cardiaci sierici. Tra i pazienti ricoverati in ospedale con dolore toracico, al 20% viene diagnosticato un IMA. Pertanto, il dosaggio ripetuto dei marker sierici di IMA è molto importante per confermare o escludere una diagnosi di IMA. Il dosaggio permette anche una valutazione approssimativa delle dimensioni della zona infartuata. Il dolore toracico può essere: • Di origine cardiaca: o Ischemico: Cause coronariche: • Aterosclerosi • Spasmo • Trombosi • Cocaina • Alterazioni del microcircolo. Cause non coronariche: • Tachicardia • Aumento precarico • Aumento postcarico. o Non ischemico. • Di origine non cardiaca: o Gastroenterico: Spasmo esofageo Reflusso gastro‐esofageo Ulcera peptica Pancreatite. o Psicogeno: Ansia, attacchi di panico Depressione. o Polmonare‐pleurico: Embolia polmonare Pneumotorace. o Mediastinico o Neuromuscolare: Costocondrite Herpes Zooster. L’aterosclerosi deve occludere più del 75% del calibro della coronaria perché si abbia una sintomatologia. In condizioni normali ci sono quindi più nutrienti e più ossigeno del necessario che arrivano al cuore. Siccome l’ostruzione si forma lentamente, si possono formare dei vasi collaterali che bypassano l’ostruzione. Il problema si ha quando la placca si rompe e si forma il trombo. CENNI EPIDEMIOLOGICI In Italia le malattie cardiovascolari sono causa del 45‐50% della mortalità globali. La cardiopatia ischemica da sola è a sua volta responsabile del 35% dei decessi dovuti a malattie cardiovascolari. Si stima che la Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 10 mortalità annuale per le forme tipiche della cardiopatia ischemica sia tra 70000‐80000 casi. In Italia vivono circa un milione di soggetti affetti da cardiopatia ischemica nelle sue forme più tipiche. EZIOLOGIA L’aterosclerosi coronarica è di gran lunga la causa più frequente di cardiopatia ischemica. Numerosi studi epidemiologici, condotti negli ultimi 25 anni, hanno consentito di individuare alcune variabili individuali che si associano ad un maggior rischio di malattia: queste variabili sono state definite fattori di rischio coronarico: • Fattori non modificabili: o EtàÆ Man mano che aumenta, il rischio aumenta. o SessoÆ I maschio sono più colpiti. o Fattori genetici e familiarità o Storia personale di malattie cardiovascolari. • Fattori parzialmente modificabili: o Ipertensione arteriosa o Diabete mellitoÆ Il glucosio stimola la proliferazione delle cellule muscolari lisce o Ipercolesterolemia e basso livello di HDL o Obesità. • Fattori modificabili: o Fumo o Abuso di alcol. TROPONINE CARDIO‐SPECIFICHE La troponina è una molecola formata da tre subunità: C, I e T. è legata alla tropomiosina. Quando il calcio si lega alla troponina, essa cambia conformazione, sposta la tropomiosina che libera il sito di legame sull’actina per la testa della miosina. Quando c’è una lesione cellulare c’è il rilascio in circolo delle troponine. Siccome circa il 6% della troponina T e il 3% della troponina I sono in soluzione nel citosol, in caso di lesione cellulare vengono rilasciate nell’ambiente extracellulare e quindi in circolo dove si possono dosare. La troponina C, essendo complessata, viene rilasciata solo tardivamente e se il danno è molto grave. Le troponine si trovano anche nel muscolo scheletrico ma sono diverse. Possiamo quindi con anticorpi monoclonali individuare solo le troponine cardiache. Il livelli di troponina T e I si innalzano circa 3 ore dopo l’insorgenza del dolore toracico. L’aumento persiste per circa 10 giorni. Sono marker abbastanza precoci. LATTICO DEIDROGENASI (LDH) La lattico deidrogenasi è formata da 4 subunità che possono essere o H o M. A seconda delle diverse combinazioni si hanno 5 diversi isoenzimi. Sono presenti in quasi tutti i tipi di cellule e quindi non sono segni inequivocabili di danno cardiaco poiché è difficile capire la provenienza. Non vengono quindi utilizzati se non nell’emolisi intravascolare, essendo presenti anche nei globuli rossi. Le varie isoforme hanno pesi diversi e quindi possono essere separate con la migrazione elettroforetico in gel. Si nota che mentre in condizioni normali c’è una prevalenza di LDH2, nell’infarto miocardico tendono ad aumentare le LDH1. È comunque un fatto poco evidente. Anche questi enzimi hanno un innalzamento abbastanza precoce (1‐2 giorni), raggiungono il picco introno al 4‐5 giorno e poi discendono fino all’11‐12 giorno. È un andamento lento (la curva è a campana). CREATINFOSFOCHINASI (CPK) È un enzima responsabile del trasporto di un gruppo fosfato dalla creatina‐fosfato all’ADP che diventa ATP. È quindi responsabile della formazione dell’ATP e quindi essenziale nelle cellule muscolari. Esistono in 2 isoforme: ‐ Citosoliche ‐ Mitocondriali. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 11 Si trovano in prossimità della banda M delle miofibrille. Per dosare la CPK si misura la quantità di NADPH, che si forma grazie a queste reazioni. • Creatina‐P + ADP Æ ATP + Creatina • ATP + Glucosio Æ ADP + Glucosio‐6P • Glucosio‐6P + NADP + Æ 6‐fosfogluconato + NADPH Si inseriscono grandi quantità di tutti i reagenti in modo che sia la CPK limitante e che quindi la sua quantità regoli la quantità di NADPH che si forma. Esiste in tre isoforme diverse, essendo composta da due subunità: ‐ MMÆ È formata da due subunità M ed è quella muscolare ‐ MBÆ È formata da una subunità M e una B ed è quella cardiaca ‐ BBÆ È formata da due subunità B ed è quella cerebrale. Si può valutare il totale che comunque è poco utile e poi si valuta la CPK MB. Elevati valori di BB sono invece riscontrati nell’ischemia cerebrale. I diversi isoenzimi si possono distinguere con l’elettroforesi su gel. I diversi isoenzimi, pur essendo presenti come abbiamo visto in un tessuto in particolare, non sono esclusivi ma sono solo prevalenti. Nel miocardio c’è la prevalenza di MB ma c’è comunque un po’ di MM. Nel muscolo scheletrico, nell’utero e nell’aorta inoltre c’è anche un po’ di MB che quindi non è esclusiva del cuore. Non è quindi una valutazione specifica come quella delle troponine. La sensibilità è del 98‐99%, la specificità del 95‐97%. Dipende poi dai vari metodi di dosaggio: Elettroforesi Cromatografia ImmunoinibizioneÆ Separo i campioni in due e inserisco anticorpi anti‐subunità M in uno e anticorpi anti‐subunità B nell’altro. Gli anticorpi anti‐M, per esempio, se c’è CPK MM la legano completamente e quindi anche se inseriscono del substrato non funziona, se c’è CPK MB viene legata solo una subunità e quindi con lo substrato ho una reazione. Questo metodo mi permette di distinguere quindi gli isoenzimi sulla base della funzionalità. Livelli di CPK possono essere leggermente elevati anche in condizioni fisiologiche (al contrario la troponina non è mai presente in circolo). Quando aumentano: ‐ Di pocoÆ Bassi valoriÆ Possono esserci danni muscolari ‐ Di moltoÆ Alti valoriÆ Possono esserci danni cardiaci. C’è però una zona intermedia in cui i due casi si sovrappongono. Una volta si utilizzava come limite l’innalzamento del 6%. Inferiore al 6% era considerato infarto del muscolo scheletrico, superiore al 6% infarto del miocardio. A Cattinara si prende come limite il 10%. Se ho come risultato un valore borderline mi conviene riprovare dopo un po’ di tempo, magari è stato un prelievo precoce e stava ancora salendo. La CPK MB si innalza prima della CPK totale ed è molto precoce (4‐5 ore). Esistono due sottotipi di CPK MB ma che non vengono ancora dosati. Si pensa che possano dare ulteriori informazioni, soprattutto nella diagnosi tardiva di IMA. Il dosaggio delle troponine permette di rilevare la presenza di episodi di necrosi miocardica al di sotto delle capacità di riconoscimento da parte del dosaggio delle CPK MB. Oltre alla maggiore sensibilità le troponine sembrano inoltre conferire informazioni circa la prognosi. Elevati valori hanno infatti un potenziale prognostico sfavorevole. Si fanno comunque entrambe. MIOGLOBINA È una proteina (basso peso molecolare <18KD) formata da un’unica catena con un gruppo eme che gli permette di legare l’ossigeno reversibilmente diventando ossimioglobina. Può essere considerata una proteina di storage dell’ossigeno e si trova tipicamente nei muscoli. È un marker precoce poiché il picco è dopo 4‐8 ore e rimane elevata per 12‐24 ore. Ha bassa specificità perché è presente in tutti i muscoli e quindi da sola non ci permette di fare diagnosi. Esistono altri marker in fase di studio come il dosaggio della catena pesante e leggera della miosina. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 12 PANCREAS ESOCRINO La componente esocrina della ghiandola è predominante (97‐99% del totale) e determina pertanto la morfologia esterna e i principali caratteri organizzativa della ghiandola. La componente endocrina è costituita da “cordoni epiteliali” inframmezzati al pancreas esocrino, più concentrati nel corpo e nella coda detti isole di Langerhans. PANCREAS ESOCRINO PANCREATITE Processo infiammatorio a carico del pancreas. Si distinguono in ‐ Pancreatite acutaÆ Processo patologico caratterizzato da fenomeno di auto‐digestione dei tessuti del pancreas causato dai suoi stessi enzimi digestivi. ‐ Pancreatite cronicaÆ Indica tutte le affezioni del pancreas a carattere cronico e fibrosante che producono un danno permanente o disfunzione dell’organo. Eziologia della pancreatite acuta • Malattie delle vie biliari come litiasi, infezioni, anomalie congenite (33%) • Alcolismo cronico (20%) • Forme miste alcol‐biliari (15%) • Postoperatoria (10%) • Idiopatica (8%) • Traumi, assunzione di farmaci, iperparatiroidismo (7%) • Ipertrigliceremia (6%) • Patologie vascolari • Ostruzione duodenale. Gli enzimi prodotti non raggiungono il duodeno ed agiscono sul pancreas stesso: ‐ LipasiÆ Sono attive sui trigliceridi e aggrediscono gli adipociti determinando aree di steatonecrosi, per saponificazione degli acidi grassi a opera di ioni calcio. ‐ Tripsina e chimotripsinaÆ Determinano necrosi coagulative per azione proteolitica diretta e mediata dall’attivazione delle fosfolipasi, che distruggono le componenti fosfolipidiche delle membrane. ‐ Elastasi e collagenasiÆ Sostanze ad azione vasoattiva responsabili della vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, ulteriore diffusione enzimatica e quindi sequestro di liquidi e shock. L’azione proteasica attiva infine i fattori della coagulazione e della fibrinolisi, quali il fattore XII° e plasminogeno, provocando disordini dell’emostasi. Esami di laboratorio L’aumento nel siero degli enzimi pancreatici è l’unico dato dotato di una certa attendibilità. In particolare: ¾ α‐amilasiÆ è prodotta da: o PancreasÆ Amilasi‐P o ParatiroidiÆ Amilasi‐S o Anche fegato, intestino tenue, reniÆ Eliminata con le urine. È presente normalmente nel siero ma in condizioni di pancreatite acuta aumenta notevolmente. L’aumento è precoce, raggiunge il picco in 2 giorni e si normalizza in 3‐5 giorni. Poiché il dosaggio avviene valutando l’attività dell’enzima viene dato in unità/litro. Anche i livelli urinari (amilasuria) sono importanti al fine della diagnosi di pancreatite acuta. ¾ Lipasi pancreaticaÆ Stacca gli acidi grassi dal glicerolo nei trigliceridi. C’è chi sostiene che la lipasi sia più specifica dell’amilasi e che andrebbe quindi utilizzata con maggior frequenza. I livelli sierici aumentano dopo quelli della amilasi (circa 24‐48 ore) e permangono elevati per un tempo Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 13 superiore (7‐10 giorni). Pertanto la lipasiemia è più utile per fare diagnosi tardiva di pancreatite acuta. ¾ TripsinaÆ Ha alta specificità e sensibilità ma è un test poco diffuso. ¾ ElastasiÆ Non da risultati migliori della misurazione dei livelli di amilasi e lipasi e tripsina. Potrebbe comunque essere di aiuto nella diagnosi di pancreatite cronica. ¾ Fosfolipasi A2Æ Si può a volte associare al dosaggio dell’amilasi. ¾ TransaminasiÆ Possono essere elevate in caso di pancreatite acuta ma non sono affidabili per una diagnosi. Si innalzano tipicamente in condizioni di danno epatico. Essendo un’infiammazione si può trovare: ‐ Leucocitosi ‐ PCR e VES elevate. La parte più importante per la diagnosi è comunque la diagnosi strumentale (ecotomografia, tomografia, risonanza magnetica) e non il laboratorio. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 14 ANALISI DELLE FECI Nell’analisi delle feci si: • Ricerca sangue occulto • Ricerca markers di infiammazione/proliferazione tumorale • Coprocoltura • Analisi microscopica. RICERCA DI SANGUE OCCULTO NELLE FECI Tra gli esami chimici, quello che riveste maggiore importanza è la ricerca di sangue occulto, con il quale è possibile rilevare la presenza di tracce anche minime di sangue. L’esame viene eseguito su un campione raccolto dopo che il paziente ha seguito una dieta a base di basso contenuto di carne; se risulta positivo, indica un sanguinamento gastrointestinale cronico, segno di possibile ulcera, diverticolosi, sanguinamento emorroidario, neoplasia (alcune forme tumorali possono creare piccole emorragie). I sanguinamenti possono essere saltuari e non continui e quindi questo è un limite perché ci sarà sempre un margine di incertezza. La ricerca si effettua su un campione di feci del mattino, raccolte in un apposito contenitore. Con i vecchi test a disposizione, nei tre giorni precedenti l’esame il paziente doveva osservare una dieta priva di carne, pollame, pesce, brodo (che contengono emoglobina). Con i test di ultima generazione non è più necessario poiché si evidenzia direttamente l’emoglobina umana. È bene comunque evitare di prendere farmaci antiinfiammatori (che potrebbero danneggiare la mucosa dello stomaco, con conseguente fuoriuscita di sangue) e spazzolare i denti con delicatezza, per evitare la fuoriuscita di sangue dalle gengive. Vanno raccolti tre campioni di feci in tre diversi giorni. Con i nuovi test l’individuazione è di tipo immunochimico: tale esame non comporta restrizioni dietetiche, consente la raccolta di un solo campione di feci e prevede un’analisi di laboratorio completamente automatizzata. La soglia di positività del test è fissata a 100ng/ml. Esistono diversi test che individuano componenti diverse: ‐ GuaiacoÆ Individua l’emoglobina intatta e l’eme intatto. ‐ HPAÆ Individua l’emoglobina intatta, l’eme intatto e i metaboli dell’eme. Può creare allarmismi per nulla. ‐ ImmunoÆ Individua solo l’emoglobina intatta. La ricerca di sangue occulto non può sostituire gli esami endoscopici per l’esatta diagnosi dell’origine del sanguinamento, essendo possibili falsi positivi e falsi negativi. RICERCA DI MARKER DI INFIAMMAZIONE E PROLIFERAZIONE TUMORALE I nuovi test per la ricerca di markers nelle feci sono principalmente due: ¾ Ricerca della M2‐PKÆ È un isoenzima della piruvato‐chinasi, enzima chiave del metabolismo del glucosio. Nella forma attiva gli enzimi sono tetrameri. Nella genesi di un tumore l’isoenzima tetramero si decompone nella forma dimerica meno attiva detta M2‐PK che si trova specificamente nelle cellule tumorali. Un valore elevato di M2‐PK nelle feci può indicare un carcinoma del colon o la presenza di una malattia infiammatoria nell’intestino. La forma tetramerica ha alta affinità per il suo substrato (fosfoenolpiruvato) e porta alla formazione di piruvato. Quando è nella forma dimerica ha bassa affinità, c’è un accumulo di metaboliti a monte che favorisce la formazione di acidi nucleici, amminoacidi e fosfolipidi. Queste molecole sono necessarie per una cellula in attiva replicazione. La dimerizzazione (lo switch) è indotto nelle cellule tumorali da oncoproteine. La sensibilità per la diagnosi del tumore al colon e retto varia dal 73 al 97%. È quindi bassa e molto variabile, quindi il test è influenzato dall’operatore. Per la diagnosi di polipi la sensibilità diminuisce ulteriormente e più il diametro del polipo diminuisce più diminuisce la sensibilità (media del 40%). Tale test, in via di sviluppo, può essere utile quando associato all’indagine strumentale del colon retto (pancolonscopia). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 15 ¾ Ricerca della CalprotectinaÆ La calprotectina è una proteina legante il calcio secreta prevalentemente dai neutrofili e dai monociti ed è costituita da due proteine (MRP8‐MRP14).C’è una correlazione tra l’espressione di queste proteine e gli adenocarcinomi nell’uomo. In caso di processi infiammatori o tumorali della mucosa intestinale il suo valore aumenta perché vengono secrete elevate quantità di granulociti nel lume intestinale. Viene utilizzato in alcuni paesi per l’inquadramento delle malattie infiammatorie dell’intestino (Crohn, colite ulcerosa). I risultati preliminari dello studio suggeriscono che la determinazione della calprotectina fecale e' in grado di indicare quadri infiammatori in soggetti con sintomi generici del tratto enterico. La ricerca della calprotectina sembra inoltre essere molto utile nel monitoraggio dei pazienti con diagnosi accertata di malattia infiammatoria cronica intestinale, in quanto correla con le recidive di tali patologie. L'orientamento diagnostico del medico può essere supportato dai risultati del test ''calprotectina'', in grado quindi di indicare se nel lume intestinale è presente un processo infiammatorio e, di conseguenza, suggerire ulteriori esami come la colonscopia. Il supporto di questo test può trovare particolare applicazione in età pediatrica, dove è più problematica la esecuzione di procedure anche parzialmente invasive. Elevati livelli di MRP4/MRP14 sono stati riscontrati in numerosi siti di infiammazione e nei liquidi extracellulari di pazienti interessati da differenti processi infiammatori. La concentrazione di MRP4/MRP14 nel sangue aumenta nei pazienti con artrite reumatoide, fibrosi cistica, sclerosi multipla, HIV. COPROCOLTURA La ricerca nel campione di feci di batteri eventualmente presenti permette l’identificazione dell’agente eziologico che causa determinate patologie. In particolare, nelle forme caratterizzate da diarrea viene ricercata la presenza di enterobatteri, gruppo di microrganismo Gram‐negativi produttori di endotossine che hanno come veicolo di trasmissione acqua e cibo contaminati con materiale fecale, e di cui fanno parte i batteri dei generi Salmonella, Shigella, Escherichia e Klebsiella. ‐ Le due specie Salmonella Thypi e Parathypi sono vettori nell’uomo della febbre tifoide che, caratterizzata da febbre elevata, è generalmente associata all’ingrossamento del fegato e della milza e inoltre può condurre a complicanze quali enteroemorragie (emorragie della mucosa intestinale) e perforazioni intestinali. ‐ I batteri del genere Shigella si riscontrano nelle feci di soggetti colpiti da colite acuta infettiva, associata generalmente a rialzo febbrile. Nei casi più gravi, possono provocare la comparsa di lesioni ulcerative sulla superficie del colon. ‐ La specie Escherichia Coli si rileva in vari forme diarroiche, come la cosiddetta “diarrea del viaggiatore”, patologia che, dopo un’incubazione che può arrivare a 72 ore dal contagio, si manifesta con un quadro clinico variabile da una lieve diarrea associata a crampi addominali e scarso o nullo rialzo febbrile, a una forma fulminante simile al colera. ‐ Il genera Klebsiella è l’agente eziologico responsabile di sindromi diarroiche acute nei bambini e nei soggetti debilitati. L’indagine parassitologica viene eseguita al microscopio e può evidenziare la presenza di: OssiuriÆ Vermi nematoidi biancastri di lunghezza da 3 a 10mm che vivono adesi alla mucosa dell’intestino cieco TenieÆ Cestoidi che risiedono nel digiuno, lunghi anche diverse metri ProtozoiÆ Come quelli responsabili dell’amebiasi, tricomoniasi e della giardiasi. Si può inoltre ricercare nel campione di feci: o Cellule epitelialiÆ Aumentano in seguito a processi flogistici come il tifo e enterite. o EritrocitiÆ Vedi ricerca sangue occulto; indicazioni origine sanguinamento. o LeucocitiÆ Aumentano in seguito a processi flogistici come la colite ulcerosa, gastroenteriti o Fibre muscolariÆ Aumentano in seguito a processi patologici a carico del pancreas (ridotta digestione proteica degli enzimi pancreatici). Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 16 o MucoÆ Aumenta in seguito a processi flogistici come tifo, dissenteria, coliti. o AmidiÆ Presenti in seguito a processi patologici a carico del pancreas (ridotta digestione dei glicidi da parte degli enzimi pancreatici), diarrea. o GrassiÆ Presenti in caso processi patologici a carico del pancreas (ridotta digestione da parte degli enzimi pancreatici), in ittero ostruttivo ed epatite. La steatorrea è una condizione patologica caratterizzata da presenza di notevoli quantità di sostanze grasse non digerite nelle feci; si parla di steatorrea quando la quantità di queste sostanze grasse indigerite supera i 6 grammi al giorno. Questa particolare patologia è causata da malattie che pregiudicano la normale capacità di assorbimento da parte dell'intestino (pancreatite cronica, celiachia, morbo di Crohn. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 17 FEGATO Il fegato è la più grossa ghiandola del corpo umano situata nella parte alta e destra dell’addome, subito sotto il diaframma. Come tutti gli organi anche il fegato è costituito da numerose cellule chiamate epatociti. Ogni epatocita vive in media 150 giorni ed è fortemente irrorato. Si calcola infatti che in condizioni di riposo giunga al fegato circa un litro e mezzo di sangue al minuto. Le principali funzioni del fegato sono: ‐ Interviene nel metabolismo dei glucidi fungendo da deposito di glicogeno che può essere usato come sorgente di glucosio plasmatico. Inoltre controlla direttamente la mobilizzazione del glucosio da questi depositi in base alle richieste dell’organismo. Ha quindi un ruolo fondamentale nella modulazione della glicemia. ‐ Interviene nella sintesi di acidi grassi (trigliceridi) come forme di deposito delle calorie assunte in eccesso (all’interno del fegato viene anche la sintesi del colesterolo). ‐ Distrugge e metabolizza i globuli rossi morti, recuperando il ferro legato all’emoglobina e creando metaboliti che vengono aggiunti alla bile come pigmenti. ‐ Funge da deposito di vitamine e ferro ed interviene nel loro metabolismo ‐ Metabolizza l’alcol etilico ‐ Interviene nel catabolismo delle proteine (produzione di ammoniaca ed urea), deaminando gli amminoacidi in eccesso provenienti dalla loro digestione. Grazie a tale processo lo scheletro carbonioso può essere utilizzato a scopi energetici (gluconeogenesi) o depositato come riserva dopo essere stato trasformato in lipidi. ‐ Converte l’acido lattico, un prodotto di rifiuto sintetizzato dai muscoli durante l’attività fisica intensa, in glucosio. ‐ Interviene nella sintesi di amminoacidi non essenziali (tranaminazione) e delle proteine plasmatiche (tranne le immunoglobuline) come l’albumina ed i vari fattori ella coagulazione (fibrinogeno, protrombina, fattori V, VIII, IX, X) ‐ Interviene nella detossificazione di scorie metaboliche o di tossine introdotte nell’organismo tramite l’alimentazione, l’inquinamento o i farmaci (rende questi composti idrosolubili, facilitando l’attività escretoria del rene). ‐ Funzione esocrina di produzione ed escrezione di bile costituita per lo più da pigmenti biliari, acidi biliari, colesterolo, fosfolipidi. ESAMI DI LABORATORIO DI PRIMO LIVELLO In considerazione della grande varietà di funzioni svolte dal fegato e del fatto che la richiesta di tutti i test disponibili sarebbe onerosa per il paziente (e per il sistema sanitario nazionale) e dispersiva per la diagnosi, le funzionalità epatica viene valutata tipicamente con esami di primo livello che sono: 1. Bilirubina, totale e frazionata 2. Enzimi (amino transferasi, fosfatasi alcalina, gamma‐glutamiltranspeptidasi) 3. Proteine plasmatiche (albumina) 4. Fattori della coagulazione. BILIRUBINA La bilirubina di forma per 80% dalla distruzione dei globuli rossi senescenti nel sistema reticolo‐endoteliale e per il 20% dal catabolismo di emoproteine sieriche e dall’eritropoiesi midollare inefficace (globuli rossi alterati). L’emoglobina contenuta negli eritrociti viene catabolizzata, con recupero della componente proteica e conversione dell’eme in biliverdina grazie all’eme‐ossidasi. La biliverdina viene a sua volta trasformata in bilirubina grazie ad un enzima citosolico detto biliverdina‐reduttari. Quasta bilirubina è detta “non coniugata” o “indiretta” ed è insolubile, quindi per essere trasportata all’interno del sangue deve essere legata all’albumina. Assieme all’albumina, la bilirubina non coniugata raggiunge il fegato dove viene scisso il legame con l’albumina e viene internalizzata grazie alla presenza di una proteina vettrice epatica chiamata ligandina (il deficit ereditario di questa proteina vettrice si manifesta con un’iperbilirubinemia Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 18 congenita benigna, sindrome di Gilbert). Nel fegato la bilirubina viene coniugata con il glucuronato formando un composto solubile in acqua. La bilirubina così coniugata è resa solubile e viene quindi escreta dall’epatocita nella bile (in micelle miste con gli acidi biliari) per essere riversata nel duodeno. Nel colon la bilirubina viene parzialmente trasformata da idrolasi batteriche in urobilinogeno. Successivamente si ha l’ossidazione a urobilina. La bilirubina e i suoi derivati (stercobilinogeno) conferiscono alle feci il loro caratteristico colore marrone. L’urobilinogeno viene in parte riassorbito ed espulso dai reni. La bilirubinemia totale è normalmente 0.4‐1mg/dl, quasi tutta in forma non coniugata (legata all’albumina). La diretta si lega facilmente ai Sali di diazonio per formare composti colorati (reazione di van der Bergh diretta) mentre la bilirubina indiretta si lega ai Sali di diazonio solo dopo liberazione dell’albumina tramite solvente organico come l’etanolo (reazione di van der Bergh indiretta). La bilirubina non coniugata non viene filtrata dal glomerulo in condizioni normali a causa del forte legame con l’albumina. Il bilirubina coniugata, causa la sua buona solubilità in acqua, viene filtrata dal glomerulo ed in condizioni di aumento di livelli ematici da la tipica colorazione giallo‐marrone delle urine. L’ittero si rende evidenti quando la bilirubinemia è di 2‐2.5mg/dl. Una volta posta la diagnosi di ittero, è essenziale stabilire se esso sia dovuto ad un accumulo di bilirubina coniugata oppure non coniugata. Una facile prova diagnostica è la presenza di bilirubina nelle urine. Essa indica che l’iperbilirubunemia è di tipo coniugato mentre la sua assenza suggerisce che l’ittero sia dovuto alla bilirubina non coniugata che non può essere filtrata dal glomerulo. Cause di ittero: ‐ Iperproduzione di bilirubina ‐ Diminuita captazione epatica ‐ Ridotta coniugazione epatica ‐ Diminuita escrezione nella bile per cause epatiche ed extraepatiche. Si può quindi dividere i tipi di ittero in: Ittero pre‐epatico (da emolisi) Ittero epatocellulare Ittero post‐epatico od ostruttivo o colestatico. Bilirubina non coniugata Bilirubina coniugata Bilirubinuria IPERPRODUZIONE Emolisi Aumentata Normale 0 Eritropoiesi inefficace Aumentata Normale 0 DIFETTI DI CAPTAZIONE Farmaci (o Sindrome di Gilbert) Aumentata Normale 0 DIFETTI DI CONIUGAZIONE Difetti della glucuronil transferasi Aumentata Bassa 0 DIFETTI DI ESCREZIONE Ostruzione intra‐epatica (sindromi familiari, farmaci, ittero terzo trimestre) Ostruzione extra‐epatica (calcoli, tumori, stenosi dotti biliari) Aumentata Aumentata + PATOLOGIE EPATOCELLULARI Epatite (danni alla captazione, coniugazione ed escrezione) Aumentata Aumentata + Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 19 Quindi: ¾ Ittero emolitico (per iperproduzione)Æ Si ha: o Reticolocitosi o Diminuzione della emoglobina o Forte aumento delle LDH (dei globuli rossi) o C’è un aumento della bilirubina non coniugata ¾ Ittero colestatico (per mancata escrezione)Æ Si ha: o Aumento delle transaminasi (AST e ALT) o Forte aumento della fosfolipasi alcalina (ALP) o Aumento delle LDH (meno rispetto all’ittero emolitico) o Aumento delle γ‐GT o Forte aumento della bilirubina coniugata. ¾ Ittero epatocellulareÆ Si ha: o Grande aumento delle transaminasi (AST e ALT) o Aumento della fosfolipasi alcalina (di minore entità rispetto all’itero colestatico) o Aumento della bilirubina coniugata (meno rispetto all’ittero colestatico). ENZIMI Aspartato‐aminotransferasi (AST) e alanina‐aminotransferasi (ALT)Æ Determinano, nell’ambito delle reazioni cui prendono parte, lo spostamento di gruppi amminici. AST e ALT non si trovano solo nel fegato. Una loro alterazione non significa quindi inequivocabilmente che esiste un’epatopatia. Possono infatti aumentare nel torrente ematico anche in corso di lesione di altri tessuti, soprattutto il tessuto muscolare. In particolare, vi è un organo che più di tutti può liberare questi enzimi, e cioè il cuore. In caso di infarto del miocardio, le cellule muscolari del cuore vanno in necrosi rilasciando nel sangue le transaminasi. Anche se più raramente, un aumento delle transaminasi può essere testimonainaza di patologia del tessuto muscolare scheletrico, per esempio nel corso di miosite (infiammazione muscolare). Quindi per l’interpretazione corretta di un incremento delle transaminasi, è estremamente importante una valutazione completa ed accurata del quadro clinico nella sua totalità. Esistono tuttavia alcuni dati che riconducono un aumento di queste transaminasi essenzialmente ad una patologia epatica: infatti, in corso di infarto del miocardio si osserva un incremento delle transaminasi di modesta entità (i valori al massimo si quadruplicano) e di breve durata (poco più di 48‐72 ore); viceversa in corso di epatopatia, l’incremento di questi enzimi può essere, anche se non obbligatoriamente, molto più elevato, raggiungendo talvolta valori di 500‐1000 U/l e oltre, ma soprattutto appare di durata decisamente superiore. Questo avviene soprattutto quando vi sono lesioni epatiche acute e comunque solo in corso di processi di una certa identità. Infine esiste la possibilità di discriminare tra lesione epatica e lesione muscolare in presenza di un incremento delle transaminasi, dosando l’attività di un altro enzima, la creatinfosfochinasi (CKP), che viene liberata in circolo in misura notevole solo in corso di sofferenza muscolare; in caso di lesione epatica, la AST ed ALT risulteranno elevate e la CK sarà invece nella norma, mentre in caso di necrosi muscolare, saranno elevai entrambi. Valori normaliÆ <25U/l Valori lievemente aumentatiÆ Cirrosi biliareÆ È accompagnata da ALP elevata Valori 2‐10 volte il normaleÆ Epatite nella mononucleosiÆ Ci saranno anticorpi anti‐EBV Epatite cronica attivaÆ Ci sono valori delle transaminasi fluttuanti Ostruzione dotti biliari intra‐ o extra‐epaticiÆ C’è anche ALP elevata Valori >20 volte il normaleÆ Epatite viraleÆ Si vanno a ricercare gli anticorpi Epatite tossicaÆ Si cerca tossicodipendenza. LDHÆ Il dosaggio nell’LDH totale è un indice non molto sensibile di sanno epatocellulare (è presente in moltissime altre cellule). Nell’epatite virale acuta, nella cirrosi, nel carcinoma epatico e nelle malattie delle vie biliari la concentrazioni ematica di LDH aumenta modestamente. Essendo presente anche nei globuli rossi, quando c’è emolisi intravascolare aumenta molto di più. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 20 Enzimi indicatori di colestasi: • Fosfatasi alcalinaÆ Le fosfatasi sono una classe di enzimi idrolasi che catalizzano la rimozione di gruppi fosfato, catalizzano cioè reazioni di de fosforilazione. Sono note quattro forme isoenzimatiche della fosfatasi alcalina (ALP): o Epatica o Ossea o Intestinale o Pancreatica. Caratterizzate ciascuna da diversa mobilità elettroforetica e distribuzione tissutale. Reni, leucociti e placenta rappresentano altre fonti ricche di fosfatasi alcalina. In genere elevati livelli di ALP si trovano in cellule in fase di attiva proliferazione o con attivo metabolismo 8epatociti, cellule epiteliali, biliari, osteoblasti, cellule epiteliali intestinali). L’attività della ALP aumenta nel siero in ogni forma di ostruzione delle vie biliari, sia di natura meccanica che non. Sembra che l’aumento dipenda da una aumentata sintesi da parte delle cellule epiteliali biliari piuttosto che da un rigurgito secondario ad ostruzione. • Gamma‐glutamiltranspeptidasi (γ‐GT)Æ Appartiene alla classe delle transferasi e catalizza la reazione di transpeptidazione con formazione di un dipeptide contenente l’amminoacido trasportato. Si trova in grande quantità nel fegato e nell’epitelio tubulare renale. Per la diagnosi delle malattie epatiche è un enzima poco specifico e non da più informazione delle AST, ALT e ALP. Tuttavia in presenza di un aumento delle ALP di natura dubbia, un aumento delle gamma‐GT conferma l’origine epatica. ALBUMINA Il fegato sintetizza 12g di albumina al giorno. Il contenuto totale è di 300g di cui il 60% nel pool extravascolare ed il 40% in quello intravascolare. Le funzioni dell’albumina sono il mantenimento della pressione oncotica ed il trasporto di numerose sotanze (bilirubina, acidi grassi liberi, ormoni tiroidei, farmaci, ecc…) Valori normaliÆ 4‐5g/dl Se i valori scendono sotto di 2.5g/dl come nella cirrosi epatica (ma anche nella sindrome nefrosica e nelle enteropatie proteino‐disperdenti) si ha la formazione dell’ascite causata da una riduzione della pressione oncotica ma anche da altri meccanismi (tra cui aumento della pressione portale). FATTORI DELLA COAGULAZIONE FibrinogenoÆ In caso di epatopatie croniche si può verificare una ridotta quantità di fibrinogeno plasmatico con conseguente alterazione della coagulazione. TrombinaÆ Prodotta dal fegato, circola nel sangue come protrombina. La formazione dipende dalla vitamina K. Il tempo di protrombina (PT) è il periodo di tempo, in secondi, necessario affinché una carta quantità di plasma coaguli quando messo in contatto con tromboplastina e ioni Ca 2+ a 37°C. La misurazione seriata del PT può essere utilizzata per distinguere tra colestasi e malattia epatocellulare grave. Il PT viene misurato dopo somministrazione di vitamina K, carente nella colestasi per ridotto assorbimento intestinale. SI pensa alla colestasi se il PT è normale dopo somministrazione di vitamina K, ad una patologia epatocelluare se non è normale. ESAMI DI LABORATORIO DI SECONDO LIVELLO Gli esami meno importanti che si possono fare sul fegato sono: 1. Acidi biliari 2. Urea 3. Ioni ammonio. ACIDI BILIARI Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 21 Gli acidi biliari contengono 24 atomi di carbonio (struttura simile al colesterolo), due o tre gruppi ossidrilici opposti ai metilici ed una catena laterale che termina con un gruppo carbossilico. I gruppi OH giacciono sopra il piano degli anelli, i gruppi CH 3 sotto. Ciò conferisce polarità alla faccia con gli OH e no polarità a quella con i CH 3 . Sono quindi antipatici e possono agire da emulsionanti nell’intestino e permettere la degradazione degli acidi grassi da parte degli enzimi digestivi pancreatici. Gli acidi biliari (acido colico e desossicolico) vengono prodotti coniugati con una molecola di glicina o taurina diventando Sali biliari. I Sali biliari comprendono l’acido glicocolico, glicochenodesossicolico, taurocolico, taurochenodesossicolico. La presenza di taurina o glicina determinano la presenza di un gruppo carbossilico con un pKa inferiore (glicina) o un gruppo solfato (taurina), completamente ionizzati a pH fisiologico. Per questa caratteristica, i Sali biliari sono più marcatamente amfipatici degli acidi biliari. I batteri presenti nell’intestino possono rimuovere la glicina e la taurina, riformando gli acidi biliari. Inoltre, possono rimuovere un gruppo OH dagli acidi biliari primari, formando degli acidi biliari detti secondari (acido desossicolico a partire dall’acido colico e litocolico a partire dall’acido chenodesossicolico). Dal punto di vista pratico, l’incremento della concentrazione di acidi biliari a digiuno potrebbe indicare un alterato uptake o secrezione epatica e quindi essere la prova di sofferenza epatica. Misurazioni seriale degli acidi biliari possono essere utili per monitorare pazienti con sospetta o provata sofferenza epatica. UREA – IONI AMMONIO L’urea deriva dal catabolismo proteico. L’urea prodotta dal fegato entra nella circolazione sistemica ed è in gran parte escreta dal rene. Circa il 25% passa nell’intestino dove è convertita, ad opera di una ureasi batterica, in ammoniaca. L’urea viene anche prodotta nell’intestino per deaminazione batterica degli amminoacidi derivati dalla dieta. L’ammoniaca è quindi riassorbita e riportata al fegato dove viene riconvertita in urea. Valori normaliÆ 11‐50mg/dl Nelle gravi epatopatie (compromissione di più del 90% del parenchima) si ha la riduzione dei livelli plasmatici di urea e conseguente iper‐ammoniemia. DIAGNOSTICA MOLECOLARE PER L’INFEZIONE DA VIRUS DELL’EPATITE C Con metodi molecolari si può identificare, quantificare e genotipizzare il virus dell’epatite C. Le infezioni da HCV sono responsabili del 90% delle epatite non‐A e non‐B. Il 20‐30% delle infezioni acute diventa croncia con complicazioni quali la cirrosi e/o il carcinoma epatocellulare. Il 3% della popolazione mondiale possiede anticorpi anti‐HCV. Il virus dell’HCV è stato scoperto dall’identificazione del suo RNA. Non esistono sistemi colturali per esaminarlo. L’HCV può infettare i linfociti e albergare nei linfociti B. Causa quindi nel 25% dei pazienti HCV positivi nei paesi occidentali crioglobulinemia. Si pensa che sia responsabile anche del linfoma non‐Hodgkin. È un virus ad RNA che codifica per una sola poliproteina che viene processata per dare origine a proteine strutturali e non strutturali. Ci sono 10 principali sottotipi. Per replicarsi la catena di RNA a polarità positiva viene copiata in molte catene ad RNA a polarità negativa. Da esse poi si genera il filamento a polarità positiva. Il numero di catene di RNA a polarità negativa è indicativo dello stato di replicazione del virus. La diagnosi di HCV è sierologica, ma la ricerca di anticorpi anit‐HCV presenta alcune limitazioni: ‐ Non permette di accertare se l’infezione è in atto ‐ In alcuni casi di infezione acuta non si rilevano anticorpi specifici e la siero conversione avviene anche dopo 6 mesi. Per risolvere questi problemi si ricorre ai metodi molecolari: • Test qualitativoÆ utilizzato per confermare l’infezione in atto. Il test diventa positivo dopo 1‐2 settimane dal contagio. Utilizzato nei centri trasfusionali per la ricerca di routine. Il principale metodo è RT‐PCR. • Test quantitativoÆ È impiegato per monitorare l’andamento della malattia e determinare l’efficacia della terapia. Si utilizza RT‐PCR Real‐Time, competitive RT‐PCR. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 22 • GenotipizzazioneÆ La conoscenza dei sottotipi riveste importanza clinica. Alcuni rispondono meglio alla terapia che altri. I principali metodi sono PCR‐RFLP, sequenziamento, dot plot. PCR La PCR consiste nell’amplificare un piccolo frammento di DNA per poi poterlo individuare. Si parte da una doppio filamento di DNA che è mantenuto integro da dei ponti ad H. Per prima cosa quindi si separano i due filamenti (denaturazione) aumentando la temperatura fino a 94‐96°C. Per amplificare una regioni ci vogliono dei primers, frammenti di DNA complementare a delle regioni del DNA che si vuole amplificare. Si inseriscono ad una temperatura di circa 60°C. A questo punto entra in gioco la DNA polimerasi DNA‐dipendente che si attacca ai primers e li allunga in direzione 5’‐3’. Lavora ad una temperatura di 72°C. Questa tecnica è possibile solo grazie alla scoperta di DNA polimerasi nei batteri termofilici che resistono a queste temperatura (quella umana lavora a 37°C ovviamente). A questo punto di ha di nuovo del DNA a doppio filamento e si rinizia il ciclo. Alla fine del terzo ciclo si sono formati dei frammenti di DNA che vogliamo cercare della lunghezza giusta (target DNA). Ad ogni ciclo successivo si aumenta il numero di questi frammenti. Per vedere il DNA si aggiunge del colorante (etilio bromuro) che si intercala tra le basi. Si fa quindi correre i frammenti in un gel in un campo elettrico e migrano verso il polo positivo perché le basi sono negative. Si dividono quindi per lunghezza. In questi casi si effettua sempre un controllo negativo inserendo tutti i componenti per fare la PCR ma non il DNA, perché in laboratorio, aprendo le provette si possono fare areosol di DNA che finiscono in altre provette dando dei falsi positivi. Essendo un virus a RNA si utilizza una trascrittasi inversa (simile a quella dell’HIV) che lo trasforma in cDNA. Per amplificare un mRNA si può utilizzare un oligo‐dT che si attacca alla coda di poli‐A come primers. Per il virus non si può fare e si utilizzano quindi: ‐ Esameri casuali ‐ Oligo sequenza‐specifici. La reazione avviene a 37°C. È stato creato un enzima che funziona sia da trascrittasi inversa che da DNA‐polimerasi. Quando si aumenta la temperatura da 37 a 94 cambia la sua azione. In questo modo si risparmia tempo e di diminuiscono i rischi di contaminazione. Con questa tecnica possiamo vedere se c’è o no il virus. In realtà con il colore delle bande si può vedere se c’è più o meno DNA ma dipende a che punto della reazione di polimerizzazione ho fermato (se nella fase logaritmica o nella fase di plateau). PCR‐REAL TIME Viene fatta da una macchina che unisce la PCR (sistema di amplificazione) ai sistemi di rilevazione del DNA amplificato. Si aggiunge, oltre alle altre molecole utili per la PCR, anche una sonda che emette segnali luminosi che la macchina è in grado di individuare. La sonda presenta un frammento di DNA che si lega all’interno del DNA amplificato e due molecole ad esso legate: ‐ ReporterÆ Emette la fluorescenza ‐ Quencher (o inibitore)Æ Inibisce la reporter quando le due molecole sono vicine. L’azione della polimerasi scalza il frammento e divide in questo modo le due molecole. La molecola reporter può emettere la fluorescenza. L’intensità della fluorescenza è quindi proporzionale al DNA prodotto. In una PCR si ha inizialmente una fase di latenza in cui non c’è amplificazione, una seconda fase con andamento lineare. Quando poi l’efficienza cala si ha il plateau. I cicli passano ma le molecole non aumentano. Bisogna quindi tener presente l’efficienza (E). Il numero di frammenti è quindi uguale ai frammenti iniziali per 1 più l’efficienza che varia da 0 a 1 [N = N 0 ∙ (1+E)]. La macchina valuta la fluorescenza fin da subito ma non vede nulla. Dopo un po’ la fluorescenza aumenta con una andamento abbastanza rettilineo finche non raggiunge il plateau. Si può far valutare alla macchina a quale ciclo della PCR la fluorescenza supera un valore soglia. In questo modo si possono valutare le quantità di DNA iniziale. Più molecole c’erano inizialmente, prima la Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 23 fluorescenza supererà il livello soglia. È una quantità relativa ma che può anche portare a dei numeri assoluti. Cambiando i primer, si modifica poi l’obiettivo del test. Se si inserisce un primer contro l’RNA positivo possiamo calcolare quanto virus c’è, mentre mettendo primer contro RNA negativo si calcola la quantità di virus in attiva replicazione. Un inconveniente di questa tecnica è il fatto che è molto costosa perché le sonde marcate costano molto. DOT BLOT È un test utile per la genotipizzazione del virus e quindi capire di quale dei 10 sottotipi è il virus. I diversi genotipi sono determinati da sequenze particolari in particolari porzioni di DNA. Il metodo più semplice e meno costoso per genotipizzare è il dot blot (l’altro sarebbe il sequenziamento). Si prende un piccolo oligonucleotide complementare per la porzione di DNA di un genotipo. Questo si legherà alla sua sequenza complementare se il virus è di quel genotipo. Devo quindi dividere prima il campione in 10 parti ed in ogni provetta inserisco l’oligonucleotide per un diverso genotipo. I frammenti sono fissati ad un supporto solito. Prima di inserire il DNA si marca con fluoro cromi o con molecole radioattive. Nella provetta con l’oligonucleotide fisso inserisco il DNA virale. Faccio un lavaggio e osservo quanto DNA è rimasto fissando essendo stato precedentemente marcato. Ci possono essere campioni più o meno negativi. È dovuto a: ‐ Aspetti tecniciÆ La reazione può funzionare più o meno bene ‐ Aspetti biologiciÆ Ci possono essere più genotipi nell’infezione. Non è comunque frequente. In questo caso comunque non possono dire quanto ce né per ogni genotipo ma posso dire solo il totale del virus. LIPOPROTEINE PLASMATICHE Il colesterolo è un componente strutturale delle membrane plasmatiche dove ne modula la fluidità. In oltre è il precursore degli acidi biliari, degli ormoni steroidei e della vitamina D. Il colesterolo è introdotto: ‐ Dalla dieta ‐ Sintetizzato da tessuti extraepatici ‐ Sintetizzato ex novo dal fegato. È poi ridotto grazie a: ‐ Secrezione di lipoproteine ‐ Colesterolo libero nella bile ‐ Trasformato in acidi e sali biliari. Le apolipoproteine hanno varie funzioni tra cui: • Fungere da siti di riconoscimento per recettori presenti sulle membrane cellulari • Fungere da attivatori o co‐enzimi per enzimi coinvolti nel metabolismo delle lipoproteine. Le apolipoproteine sono formate da: o Componente proteicaÆ ApoproteineÆ Sono di 5 classi dalla A alla E. o Componente esterna formata da fosfolipidi e qualche molecola di colesterolo non esterificato o Componente interna lipidica formata da trigliceridi e colesterolo. CHILOMICRONI I grassi assunti con la dieta vengono assorbiti ed organizzati in chilomicroni che vengono messi in circolo. Sono per lo più formati da trigliceridi con una piccola porzione di colesterolo. In circolo acquisiscono dalle HDL le apoproteine APO‐C2, APO‐E e APO‐B48. La APO‐C2 serve ad attivare la lipoproteina lipasi che scinde i chilomicroni prendendo i trigliceridi che serviranno al tessuto (per creare energia se si tratta del muscolo). Si formano quindi delle rimanenze di chilomicroni che sono ricchi in colesterolo e poveri in trigliceridi. L’APO‐E è invece necessaria per l’uptake epatico. L’APO‐B48 è invece necessaria per l’assemblamento del chilomicrone. VLDL E LDL Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 24 Le VLDL sono sintetizzate dal fegato. In circolo prendono dalle HDL le apoproteine APO‐C2, APO‐E e APO‐ B100 (serve per l’assemblaggio). Le VLDL sono ricche in trigliceridi e povere in colesterolo ma con una differenza minore rispetto ai chilomicroni (le quantità di trigliceridi e colesterolo non sono così diverse). In periferia vengono trasformate in IDL (a densità intermedia) scambiando trigliceridi e colesterolo con le HDL. Le IDL vengono poi trasformate in LDL cedendo APO‐C2 e APO‐E alle HDL. A questo punto hanno un alto contenuto di colesterolo e un basso contenuto di trigliceridi. Possono quindi depositare colesterolo a livello dei vasi. Il valore delle LVL è direttamente proporzionale al rischio di malattie cardiovascolari. HDL Le HDL hanno le apoproteine APO‐E, APO‐C e APO‐A. Sono importanti perché prendono il colesterolo dalla periferia e lo portano al fegato. Questo meccanismo viene detto trasporto inverso del colesterolo. Il valore delle HDL è quindi inversamente proporzionale al rischio di malattie cardiovascolari. MECCANISMO DI FORMAZIONE DELLA PLACCA In presenza di fattori pro‐aterosclerotici i macrofagi migrano maggiormente dal lume all’interno della parete del vaso. Iniziano a togliere colesterolo alle LDL. A causa del troppo colesterolo non riescono a smaltirlo e diventano cellule schiumose. Iniziano ad accumularsi le une sulle altre. Riescono a prendere il colesterolo dalle LDL‐ossidate. Bisognerebbe cercare solo quelle ma non si fa e si cerca solo il valore di LDL totale. ESAMI DI LABORATORIO L’indagine più richiesta in laboratorio è la valutazione del colesterolo plasmatico (c’è però un errore dell’8%). Si consiglia un digiuno pre‐esame si 12 ore anche se non è strettamente necessario perché il colesterolo non varia in correlazione al cibo a breve termine. È importante invece il digiuno se l’esame si associa ad altri come la glicemia. I valori normali sono <200mg/dl. In realtà dipende dal valore medio della popolazione locale. In Italia si utilizza spesso come valore soglia 220 mg/dl. La correlazione tra colesterolemia totale e rischio cardiovascolare è continua e progressiva e perciò non esiste un valore soglia scevro da rischi. La misurazione del colesterolo‐HDL si ottiene dopo precipitazione delle lipoproteine contenenti APO‐B e dosaggio del colesterolo nel sopranatante (HDL). I valori desiderabili sono >40mg/dl. È utile anche il rapporto tra colesterolo‐HDL e il colesterolo totale che deve essere inferiore a 5. Disponendo dei valori di colesterolo totale e colesterolo‐HDL e trigliceridi si può calcolare il colesterolo LDL con la formula di Frieewald: IÐI = Colcstcrolo totolc -EÐI - I0 S , . I valori di LDL devono essere inferiori a 160mg/dl. I trigliceridi plasmatici vengono misurati con metodi enzimatici‐colorimetrici. La variabilità biologica della trigliceremia impone un più attento rispetto delle condizioni pre‐analitiche: il campione va prelevato al mattino dopo 12‐14 ore di digiuno. La conservazione del campione non deve superare i 4 giorni al fine di evitare l’idrolisi spontanea. I valori desiderabili sono inferiori di 200mg/dl. L’ipertrigliceremia viene considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di cardiopatia ischemica. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 25 DIABETE Il diabete è un complesso disordine del metabolismo dei carboidrati caratterizzato da: ‐ Iperglicemia ‐ Glicosuria ‐ Complicazioni clinicheÆ Aterosclerosi, nefropatia, neuropatia, retinopatiaÆ Si manifestano dopo alcuni anni di malattia. La causa è: • O un difetto di secrezioni insulinicaÆ Diabete di tipo I° o giovanile • O un difetto di azione insulinicaÆ Diabete di tipo II° (sono il 90‐95% dei diabetici). • O una combinazione delle due. Esiste inoltre un diabete detto gestazionaleÆ È un normale diabete che compare in gravidanza e che si normalizza dopo il parto. Può però attivare una situazione di pre‐diabete preesistente e quindi non scomparire. L’iperglicemia durante la gravidanza causa: ‐ Un crisi ipoglicemica del bambino dopo il parto perché si era abituato a livelli elevati in utero. ‐ Macrosomia. MISURAZIONE DELLA GLICEMIA Prelievo del campioneÆ Siero o plasma dovrebbero essere separati dai costituenti cellulari immediatamente, se possibile, e non più tardi di un’ora, prelevando il campione di sangue. Il sangue può essere conservato fino a 24 ore dopo aver aggiunto l’inibitore della glicolisi (NaF, KF). Si effettua poi il test dell’esochinasi in cui si misura la quantità di NADPH che viene prodotta dalle seguenti reazioni: 0lucosio + AIP HK --0lucosio6P + AÐP 0lucosio6P +NAÐP u6PÐH -----0luconoto6P + NAÐPE + E + La quantità di NADPH è direttamente proporzionale alla quantità di glucosio iniziale. I valori a digiuno (dopo una notte quindi 8 ore, meglio 12 [è quindi importante fare il test al mattino perché durante la notte il consumo è basale]) devono essere inferiori a 100mg/dl. Il valore soglia da noi è 110mg/dl. Valori tra 100 e 125 mg/dl indicano una condizione di prediabete, mentre valori maggiori di 126mg/dl indicano il diabete vero e proprio. Se i valori indicano uno stadio intermedio si può fare il test OGTT (Oral Glucose Tollerance Test). Si fa ingerire 75g di glucosio e si valuta la cinetica nel tempo. Normalmente si fa solo una misurazione dopo due ore. Un valore inferiore a 140mg/dl è normale, un valore tra 140 e 199mg/dl indica il pre‐diabete, mentre un valore maggiore o uguale a 200mg/dl indica il diabete. CRITERI PER LA DIAGNOSI DI DIABETE 1. Glicemia a digiuno maggiore di 126mg/dl 2. Sintomi di iperglicemia (poliuria, polidipsia,…) e valori casuali di glucosio maggiori di 200mg/dl. 3. OGTT dopo due ore maggiore di 200mg/dl. Per la diagnosi di diabete gestazionale si utilizzano altri criteri. Si fa un OGTT con 50g e si fa la misurazione dopo 1 ora. Il valore deve essere inferiore a 140mg/dl. È una sorta di pretest. Se è positivo si fa il test dell’OGTT con 100g di glucosio e si valuta la glicemia dopo tempi più lunghi. GLICOSURIA Misura la quantità di glucosio nelle urine solitamente rapportata nelle 24 ore. Se il glucosio plasmatico supera 180mg/dl supera il valore soglia di riassorbimento tubulare e quindi ne ritroviamo nelle urine. Il test si effettua con strisce che devono essere imbevute nell’urina. Hanno una buona approssimazione e si fa 7 volte al giorno in modo da creare una curva giornaliera. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 26 INSULINEMIA È importante soprattutto nelle prime fasi per vedere di che tipo di diabete si tratta. Si effettua sia il dosaggio basale sia il valore dopo uno stimolo. Se l’insulinemia è ridotta si tratta di un diabete di tipo I°. Il diabete di tipo II° inizialmente presenta un’insulinemia elevata perché le cellule del pancreas tentano di compensare la mancata azione dell’insulina. Con il passare degli anni i livelli diminuiscono perché le cellule beta del pancreas si esauriscono. EMOGLOBINA GLICOSILATA È un test utile per il controllo dell’andamento della terapia. L’emoglobina nell’adulto è di due tipi: ‐ HbA 2 Æ Presenta due subunità α e due δÆ È poco rappresentata ‐ HbA 1 Æ Presenta due subunità α e due βÆ È la più rappresentata. La catena β può legarsi con il gruppo aminico a diversi zuccheri. Si possono quindi distinguere vari sottotipi: o HbA 1 a 1 o HbA 1 a 2 o HbA 1 b o HbA 1 cÆ Si lega al glucosio. La reazione è: 0lucosio + Eb - olJimmino (instobilc) - cbctoommino (stobilc). La quantità di intermedio instabile (6‐8% fisiologicamente) varia piuttosto rapidamente con variazioni della glicemia. La quantità dell’intermedio stabile si forma solo dopo esposizione ad alte concentrazioni di glucosio per lunghi periodi (settimane, mesi). La forma stabile rappresenta un indice dei livelli di glicemia nei tre mesi precedenti il test. Si può quindi valutare quanto la terapia funziona. I valori normali sono inferiori a 6%Æ 6% della HbA 1 c è glicosilata. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 27 ELEMENTI DI EMATOLOGIA DI LABORATORIO CONTA‐GLOBULI MULTI‐PARAMETRICI È uno strumento che permette di contare i globuli rossi e valutare anche altri parametri fisici. Utilizza: • ImpedenziometriaÆ Misura il volume cellulareÆ La doppia membrana lipidica delle cellule agisce da isolante del campo elettrico, opponendosi al passaggio di corrente a bassa frequenza che fluisce in modo continuo. L’aumento di resistenza che si verifica al passaggio di ogni cellula attraverso l’apertura del campo elettrico provoca una rispettiva diminuzione di voltaggio. La variazione di voltaggio viene registrata dal circuito elettrico sotto forma di impulso, la cui ampiezza è direttamente proporzionale al volume della cellula che lo ha prodotto. • ConduttivitàÆ Misura l’opacità cellulareÆ La conduttività è una misurazione ottenuta applicando sulle cellule una corrente ad alta frequenza (23MHz) che consente alla corrente elettrica di attraversare la cellula. Il segnale che attraversa e oltrepassa la cellula è legato alla resistenza opposta dal contenuto interno della cellula al passaggio della corrente. La quantità di corrente che oltrepassa la cellula viene trasformata matematicamente per depurarla dalla componente volume, ottenendo così la misura di opacità. La misura di opacità è ulteriormente convertita in conduttività che viene rappresentata sul citogramma. La conduttività consente di differenziare cellule di volume simile ma con diversa composizione e struttura interna (ci da un’idea della complessità cellulare). • Scatter di luce laserÆ Misura la granularità cellulareÆ Un raggio monocromatico di luce laser colpisce le cellule. Un rilevatore consente di valutare la luce diffratta dalle cellule, direttamente proporzionale alla loro granularità e alla struttura della membrana cellulare. Al segnale di luce laser diffratto viene sottratto matematicamente il volume totale della cellula calcolato con l’impedenziometria, in modo che la misura di luce laser sia esclusivamente legata alla sua granularità e alla struttura della membrana cellulare. Valutazione dei parametri dei globuli rossi: ‐ NumeroÆ Uomo 4.5‐6 milioni/μl. Donna 4‐5 milioni/μl. ‐ EmatocritoÆ Si calcola dal prodotto del numero dei globuli rossi per il volume corpuscolare medio. I valori normali sono 40‐50% nell’uomo e 36‐46% nella donna. Aumenta fisiologicamente con la disidratazione e con l’ipossia da alta montagna. Per doparsi si usava iniettarsi EPO esogena. La nuova modo è invece quella di inserire DNA di EPO in modo che la proteina creata sia endogena e quindi irriconoscibile dal test anti‐doping. ‐ Volume corpuscolare medio (MCV)Æ Volume medio di un globulo rosso ed è espresso in femptolitri (fl). Valori normali sono considerati tra 80 e 94 fl. Si parla di “microcitosi” quando MCV è inferiore a 60fl, “macrocitosi” quando è superiore a 120fl. Si usano un po’ distanti dai valori noramli perché ci possono essere della variazione di volume di alcuni globuli rossi. ‐ RDW (Red‐Cell Distribution Width o ampiezza della distribuzione eritrocitaria) misura il grado di anisocitosiÆ Coefficiente di variazioneÆ Deviazione standard della distribuzione dei volumi eritrocitari / MCV. I valori normali sono compresi tra 11.5 e 14.5. I contaglobuli possono anche valutare, tramite le misure di scattering, la concentrazione di Hb (HCHM‐> Mean Hemoglobin Corpuscolar Concentration). Dal rapporto tra la deviazione standard della distribuzione ed il valore medio di HCHM si ottiene l’indice di anisocromia (HDW‐> Hemoglobin Distributione Width). Il metodo elettivo per la misurazione dell’Hb è basato sulla misurazione spettrofotometrica dell’assorbanza dell’emolisato di un volume noto di campione. I valori normali sono 13.7‐17g/dl nel maschio 12.5‐16g/dl nella donna. INDICI ERITROCITARI Sono detti indici eritrocitari perché vengono calcolati e non misurati e sono MCHC e MHC. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 28 • MCHC o concentrazione corpuscolare media di HbÆ Si ottiene dal rapporto tra la concentrazione di Hb/dl e l’ematocrito. I valori normali sono compresi tra 32 e 36%. Di fatto HCHM e MCHC sono uguali tranne per il motivo che il primo è misurato, il secondo è calcolato da altri parametri misurati. • MHC o Hb corpuscolare mediaÆ Contenuto medio (massa) di emoglobina per globulo rosso, espresso in picogrammi e viene calcolato dal rapporto tra il valore della concentrazione di Hb e il numero di globuli rossi/mm 3 . I valori normali sono compresi tra 26 e 32 picogrammi. ANALISI POPOLAZIONI ERITROCITARIE Inserendo in un grafico in cui in ascissa c’è la densità (concentrazione di Hb) e in ordinata il volume i globuli rossi si individuano tre popolazioni: ‐ NormocitiÆ Volume tra 60 e 120 fl. Densità tra 28 e 41 g/dlÆ Hanno una vita media di 60 giorni. Sono incapaci di sintesi proteica e non avendo mitocondri non possono trarre energia dall’ossidazione degli acidi grassi e l’unica fonte di NADPH deriva dallo shunt dell’esoso monofofato poiché il ciclo di Krebs non può avere luogo. ‐ Reticolociti o neocitiÆ Sono i precursori dei globuli rossi e rappresentano circa lo 0.5‐2% dei globuli rossi totali. Contengono ancora mitocondri o loro frammenti e residui di sostanza ribosomiale. Si riconoscono con al colorazione di blu di metilene che provoca la precipitazione del materiale ribosomiale sottoforma di un fine reticolo colorato da cui deriva il loro nome. Invecchiando danno origine ai normociti. ‐ Gerociti o sferocitiÆ Sono i normociti invecchiati e hanno un volume inferiore. ERITROPOIETINA La produzione dei globuli rossi è continua ed è regolata dal livello di ossigenazione dei tessuti. L’ipossia a livello del rene induce la secrezione dell’eritropoietina (dalle cellule iuxtaglomerulari del rene). Il dosaggio dell’eritropoietina (Epo) può essere eseguito tramite RIA od ELISA. La concentrazione di Epo diminuisce in modo inversamente proporzionale all’ematocrito. Nell’insufficienza renale cronica si può osservare una diminuita produzione di Epo. METABOLISMO DEL FERRO Il ferro è un elemento indispensabile per formare l’Hb, la mioglobina, il citocromo c, ecc… Il ferro libero è tossico e per questo viene immagazzinato legato a proteine. Le miglior fonti alimentari di ferro sono il fegato, la carne e il pesce. Il duodeno è la sede principale di assorbimento del ferro. Nelle cellule della mucosa intestinale il ferro viene immagazzinato coniugato alla ferritina e poi trasportato verso il polo vascolare della cellula per essere legato alla proteina vettrice transferrina. FerritinaÆ Proteina globulare che si trova principalmente nel fegato e che può contenere più di 2500 ioni di ferro in una struttura a nano gabbie composta da 24 identiche subunità composte da due subunità H e L. All’interno della struttura a pori della ferritina gli ioni ferro rimangono intrappolati e formano il minerale ferridrite insieme a fosfati e ioni idrossido. Si ritiene che la subunità H sia coinvolta nel caricamento del ferro mentre la subunità L sia coinvolta nella formazione e stabilizzazione del ferro interno al complesso. La ferritina circolante si trova in concentrazioni molto basse rispetto alla ferritina presente nei tessuti. In assenza di processi infiammatori, di tumori, di patologie epatiche (che possono innalzare i livelli sierici della ferritina) tale proteina è considerata un buon indicatore delle riserve di ferro dei tessuti. La concentrazione di ferritina nel siero è strettamente correlata con la quantità di ferritina intracellulare che è a sua volta prodotta in funzione dei livelli di ferro intracellulare. TransferrinaÆ Essendo insolubile nel plasma, il ferro può circolare a livello plasmatico solo legato alla proteina transferrina, la quale, una volta legato il ferro, può legarsi ai recettori per la transferrina (TfR) presenti sulle superfici cellulari. Una volta legati al TfR, la transferrina viene internalizzata, il ferro separato ed utilizzato dalla cellula mentre la transferrina viene riportata in superficie e rilasciata nel plasma. È sintetizzata dal fegato con una velocità che è inversamente proporzionale alle scorte di ferro. La transferrina può essere misurata come mass (mg/dl) ma anche come indice di saturazione della transferrina Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 29 (quantità di transferrina saturata con il ferro). Si calcola dal valore della sideremia (corrisponde alla quota di ferro legata alla transferrina) e dalla capacità di legare il ferro (TIBC‐> Total Iron Binding Capacity). ANEMIE Per anemia si intende una riduzione della quantità totale di emoglobina circolante nel sangue periferico all’interno degli eritrociti. La quantità di globuli rossi/μl può non riflettere il grado di anemia: infatti nelle anemie microciti che‐ipocromiche (deficit di ferro. Detta anche anemia mediterranea) il calo di Hb si associa ad un numero normale o aumentato di globuli rossi. Sono principalmente di due tipi: ‐ Iporigenerative: o Produzione insufficiente di globuli rossi da cause midollari o Difetti qualitativi dell’eritropoiesi (difetti della sintesi del DNA) o Difetti della sintesi di emoglobina. ‐ Anemie rigenerative: o Da emorragia acuta o Da emolisi. Tra le varie forme di anemie possibili, tratteremo brevemente alcune forme più comuni di anemia: • Microcitica‐ipocromicaÆ Presentano MCV minore di 79fl, MCHC minore di 32% e un discreto grado di anisocitosi. Le cause più comuni sono riconducibili ad una carenza di ferro (anemie sideropeniche) o da difetti delle catene globiniche (talassemie). o Anemia sideropenicaÆ Presenta la sideremia diminuita, la transferrina insatura aumentata e la ferritina diminuita. Il ferro è contenuto in due distretti: i depositi (fegato) e l’eritrone (deposito del midollo che utilizza per fare Hb). Sono separati ma comunicanti. Quando c’è la deplezione di ferro il primo a consumarsi è quello del deposito. Si abbassano solo i livelli di ferritinemia. Quando c’è un’ulteriore depauperamento del ferro inizia a diminuire anche il ferro dell’eritrone e diminuisce anche la sideremia e la saturazione della transferrina. Il globulo rosso diventa microcitico ipocromico. o Anemia talassemicaÆ La sideremia è normale o leggermente aumentata. Bisogna effettuare lo studio della Hb tramite elettroforesi e lo studio familiare (test genetici). C’è un alterato rapporto nelle catene. Alfa‐talassemiaÆ Si formano tetrameri β e i globuli rossi vengono detti corpi inclusi. Si un aumentata distruzione da parte del midollo e della milza. I geni che codificano per la catena α e ci sono vari gravi di talassemia a seconda di quanti geni sono ancora funzionali. Fino al 50% il paziente non presenta sintomi. Quando solo 1 o 0 geni non sono alterati si ha la cosiddetta anemia grave. Le mutazioni sono grosse. Beta‐talassemiaÆ Si formano tetrameri α e i globuli rossi precipitano. Si un aumentata distruzione da parte del midollo e della milza. Le mutazioni sono piccole e possono essere diverse (più di 200). Nelle talassemie è opportuno studiare Hb con l’elettroforesi. Nel 60% dei casi si evidenziano delle variazioni strutturali dell’emoglobina. Nella β‐talassemia si ha inoltre un aumento della quantità di HbA 2 e un possibile aumento della quantità di HbF (fetale, prodotta dal fegato). Nell’α‐talassemia si ha invece una riduzione della quantità di HbA 2 . Soprattutto per la β‐talassemia è opportuno fare un Dot Blot. Si fissano degli oligonucleotidi che sono complementari ad una sequenza mutata. Si inserisce il DNA colorato e si fanno dei lavaggi. Se si fissa presenta la mutazione. Si possono utilizzare oligonucleotidi complementari all’allele normale e oligonucleotidi complementare all’allele mutato. Se si legano entrambi vuol dire che il paziente è eterozigote, altrimenti omozigote. [Le alterazioni delle basi possono in alcuni casi creare sequenze di stop che quindi creano catene molto più corte e facilmente rilevabili]. • Macrocitica sia normo che ipo‐cromicaÆ Sono causate da un gruppo eterogeneo di malattie o dovute alla carenza di fattori alimentari tra cui i folati e la vitamina B12 (fattori che l’organismo non Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 30 sa sintetizzare). Tutte le anemie di questo gruppo sono caratterizzate da un difetto della sintesi del DNA che si evidenzia nel midollo con una eritropoiesi megaloblastica. o FolatiÆ Intervengono nei processi metabolici coinvolti nella sintesi delle purine e della timidina, nonché nella sintesi degli amminoacidi quali la metionina. o Vitamina B12Æ Il suo deficit si ritiene conduca ad una riduzione dei livelli di acido tetraidrofolico e quindi ad una ridotta sintesi di purine e pirimidine. Si ha quindi una riduzione della sintesi del DNA e quindi blocco della divisione cellulare. La carenza di acido folico o vitamina B12 è assai diffusa, soprattutto nei paesi sottosviluppati. Le cause di ciò sono molteplici e vanno dalle malattie infettive, alle terapie farmacologiche, alla gravidanza, al malassorbimento (stati infiammatori intestinali, morbo celiaco), deficit nutrizionale. Il fattore intrinseco è una glicoproteina secreta dalla mucosa gastrica che, legando la vitamina B12 introdotta con la dieta, ne consente l’assorbimento. Nello stomaco si viene a formare un legame tra il fattore intrinseco e la vitamina B12. Il complesso, resistendo all’azione digestiva dei numerosi enzimi proteolitici, prosegue inalterato lungo il tubo digerente, fino a raggiungere l’ileo dove la vitamina B12 viene assorbita. In assenza di fattore intrinseco, la vitamina B12 viene quasi completamente eliminata con le feci: la conseguente avitaminosi è responsabile di una tipica anemia, detta perniciosa (o megaloblastica). • Normocitica normocromicaÆ Tipica delle situazioni post‐emorragiche acute (interventi chirurgici, ferite, ecc…) o post‐emolitiche (infezioni, agenti tossici, autoimmunitarie, ecc…). L’aumento dei reticolo citi che raggiunge un picco 7‐10 ore dall’episodio emorragico, esclude un difetto dell’emoglobinogenesi o dell’eritropoiesi. La perdita acuta di sangue non determina variazioni dei parametri eritrocitari in fase acuta. Successivamente determina un calo dell’ematocrito e dell’Hb (anemia). Solo nelle forme post‐emolitiche si osserva, dopo un certo tempo dalla crisi, un aumento della bilirubina totale ed indiretta, segno di aumentato catabolismo dell’eme. Nell’emolisi intravascolare si libera inoltre LDH. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 31 APPARATO URINARIO CESSI DI FISIOLOGIA L’intera massa sanguigna, 5‐6 litri, passa attraverso i reni circa 20 volte in un’ora, vale a dire circa 100 litri di sangue all’ora. L’urina primitiva che esce da questi setacci (e che comprende, insieme agli scarti, molta acqua, sali, zuccheri e proteine) viene recuperata quasi al 90%: infatti nelle 24 ore i corpuscoli renali filtrano 180 litri di liquido, ma solo un litro e mezzo, in media, verrà eliminato. L’escreto è formato da: ‐ Filtrato glomerulareÆ Liquido simile al plasma che però non contiene significative quantità di proteine. L’albumina (PM di 69KD) è filtrata solo per lo 0‐005%, quindi in condizioni fisiologiche solo una piccola parte delle proteine plasmatiche sono filtrate dal glomerulo. Ciononostante, se non avvenisse un riassorbimento tubulare (pinocitosi), si perderebbero circa 30g di proteine al giorno, una quantità eccessiva per il bilancio corporeo. ‐ Più il secreto tubulare meno il riassorbito tubulareÆ In particolare: o Tubulo contorto prossimaleÆ Elabora l’80% del filtrato glomerulare: Riassorbe: • I 2/3 del Na + del filtratoÆ A questo segue il riassorbimento di Cl ‐ e H 2 O, HCO 3 ‐ e urea. • Quasi tutti i K + , poi Ca 2+ e Mg 2+ . • Glucosio e amminoacidi (meccanismo attivo) • Vitamine e altri composti. SecretiÆ H + e NH 3 e varie sostanze di origine metabolica. o Ansa di HenleÆ Il primo tratto si comporta come il tubulo prossima, nel secondo tratto si hanno i processi passivi di scambio di Na + , Cl ‐ e H 2 O, nel quarto tratto c’è infine un intensissimo riassorbimento attivo di Na + e di Cl ‐ , con le pareti quasi impermeabili al H 2 O e urea. o Tubulo contorto distale: Riassorbe attivamente Na + (aldosterone dipendente). Secerne H + e NH 3 . o Tubulo e dotto collettoreÆ Riassorbe: Na + (con Cl ‐ ) aldosterone dipendente H 2 O fortemente dipendente dall’ADH. ANALISI DELLE URINE Un’analisi completa delle urine consiste in punti distinti: • Esame fisicoÆ Rileva il colore, trasparenza e la densità • Esame chimicoÆ Testa chimicamente la presenza di diverse sostanza che forniscono informazioni sullo stato di salute e di malattia • Esame microscopicoÆ Identifica e conta il tipo di cellule, cilindri, cristalli e altre componenti (batteri, muco) che possono essere presenti nell’urina. • Esame microbiologicoÆ identifica la presenza di patogeni. RACCOLTA DEL CAMPIONE Le urine per l’esame chimico‐fisico possono essere raccolte in qualunque momento, ma è di gran lunga migliore il campione del primo mattino perché, essendo più concentrato, offre maggiori possibilità di rinvenire eventuali residui patologici. Nel caso di indagine microbiologica, l’urina del mattino permette più facilmente l’individuazione di micro‐organismi a causa della stasi urinaria (vescicale) notturna che ne permette la crescita e quindi l’incremento di numero. Nel caso di una valutazione microbiologica dell’urina, a causa del pericolo di contaminare le urine con batteri della cute circostante, nella fase di raccolta (soprattutto nelle donne) è importante pulire i genitali. Appena inizia la minzione, il primo getto va Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 32 eliminato, quindi si raccoglie l’urina (10‐20ml) in un adatto contenitore (sterile se richiesta indagine microbiologica) stando attenti ad evitare il contatto tra i genitali e il contenitore. ESAME CHIMICO‐FISICO ¾ AspettoÆ In condizioni normali l’urina deve essere limpida e di colore giallo paglierino: tale caratteristica colorazione è dovuta principalmente alla presenza di urocromo, urobilinogeno e uro eritrina, pigmenti presenti nella bile ed eliminati con i reni. o TorbiditàÆ Potrebbe essere dovuta a precipitazione di fosfati a pH alcalino, presenza di pus, di muco o di batteri, generalmente indici di infezione delle vie urinarie. o Sfumatura rossaÆ Può segnalare una anomale presenza di sangue che può essere confermata dall’esame per la ricerca dell’emoglobina. Un’urina di questo colore può semplicemente essere dovuta a una contaminazione del flusso mestruale o all’assunzione di particolare alimenti o farmaci. Tra le cause patologiche invece si possono manifestare le infiammazione della vescica, la perdita di sangue dai reni. o Colorazione arancione (simile al tuorlo d’uovo)Æ Può far pensare ad un’eccessiva quantità di urobilina, un prodotto della trasformazione della bilirubina, normalmente presente nell’urina solo in tracce. L’aumento dell’urobilina può essere il segnale di alcune malattie a carico del fegato o del sangue. o Colorazione marroneÆ Sono dovute ad un’elevata presenza di bilirubina, indice generalmente di alterata funzionalità epatica. ¾ Densità (peso specifico in rapporto a quello dell’acqua distillata)Æ Varia in relazione alla capacità dei tubuli renali di concentrare il filtrato glomerulare. In condizioni normali il peso specifico varia da 1005 a 1025 (normostenuria). In condizioni di astensione prolungata di liquidi può superare i 1025, mentre in condizioni di carico idrico può essere inferiore a 1005. L’incapacità del rene di concentrare o diluire l’urina è indice di disfunzione renale. ¾ pHÆ Valori normali sono considerati tra 4‐8 e 7. Fattori che possono rendere le urine acide sono una dieta iperproteica o ricca di frutti (mirtilli) e l’assunzione di farmaci. Le urine possono essere alcaline a causa di farmaci a base di bicarbonato di sodio o citrato di potassio, infezioni alle vie urinarie, ecc… ¾ ProteineÆ La proteinuria fisiologica è 40‐200mg/24h. Quantità minime e non patologiche di albumina e globuline potrebbe essere dovuta a diverse situazioni come sforzi fisici, malattie febbrili, colpi di calore. Una loro presenza significativa potrebbe essere invece determinata da glomerulo nefrite, pielonefrite, sindrome nefrosi, ecc… o Nella proteinuria da danno glomerulare si ritrovano nelle urine proteine con peso molecolare superiore a 67KD a causa dell’alterato permeabilità dei capillari glomerulari. Proteinuria selettivaÆ Se compare prevalentemente l’albumina Proteinuria non selettivaÆ Se compaiono anche proteine con più alto peso molecolare quali IgG. o Nella proteinuria da danno tubulare si riscontrano proteine con peso molecolare inferiore (α 1 ‐microglobulina, ecc…) a causa del mancato riassorbimento tubulare. o Esistono forme miste in cui un danno primitivamente glomerulare determina un sovraccarico di proteine da riassorbire a livello tubulare che col tempo induce un danno a carico dei meccanismi di riassorbimento dei tubuli stessi. ¾ BilirubinaÆ Proviene dalla distribuzione dei globuli rossi a livello del fegato ed è quindi sostanzialmente assente in condizioni normali. Una sua eccessiva presenza (bilirubinemia diretta maggiore di 2‐2.5mg/100ml) conferisce alle urine un colore marrone scuro e la presenza di schiuma. Un aumento rispetto ai valori normali può essere dovuto a patologie epatiche. ¾ Pigmenti biliariÆ Urobilinogeno, prodotto di trasformazione della bilirubina è presente in minime quantità nelle urine. L’urobilina non è presente in condizioni normali. Entrambi possono aumentare in corso di epatopatie (virali, acute e croniche, tossiche, cirrosi, neoplasie), anemia emolitica o un’ostruzione delle vie biliari. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 33 ¾ GlucosioÆ Normalmente nelle urine deve essere assente, perché i reni provvedono al suo completo riassorbimento. Quando la quantità di glucosio filtrato supera la soglia di riassorbimento tubulare, corrispondente a circa una glicemia di 180mg/dl, il glucosio passa nelle urine e si può dosare (glicosuria). La glicosuria è indice di svariate patologie tra cui il diabete mellito. ¾ UreaÆ Rappresenta la principale forma di eliminazione delle scorie azotate. I valori normali variano tra 25‐35g/24h. Valori aumentati si possono avere in seguito a diete iperproteiche, stati febbrili, ecc… Una riduzione dell’eliminazione di urea (insufficienza renale) causa aumenti dall’azotemia (azoto non proteico derivato da aminoacidi, acido urico, ecc…). ¾ Corpi chetoniciÆ Sono composti chimici che derivano dalla degradazione degli acidi grassi. Normalmente non sono presenti nell’urina. Una loro presenza può essere determinata da alterazione del metabolismo dei lipidi, da digiuno prolungato, da stress (sforzi fisici prolungati, prolungata esposizione al freddo, stati febbrili) da diabete mellito di tipo I scompensato, da epatiti croniche, ecc… ¾ EmoglobinaÆ In condizioni normali deve essere assente. La sua presenza può essere causata da anemie emolitiche, farmaci, infezioni alle vie urinarie, ecc… Ha significato diverso dall’ematuria macro e micro‐scopica in quanto indice di rottura dei globuli rossi. ESAME MICROSCOPICO Viene eseguito sul sedimento urinario, ottenuto per centrifugazione delle urine. EritrocitiÆ Normalmente nelle urine dovrebbero esser assenti o presenti in quantità modeste (0‐2 per campo). La loro presenza nell’urina viene definita ematuria. Le cause sono molteplici (calcoli renali, glomerulo nefrite, neoplasie benigne e maligne dell’apparato urogenitale, farmaci come aspirina, sulfamidici, anticoagulanti). ‐ L’ematuria è definita macroematuria quando è visibile ad occhio nudo e microematuria quando evidenziabile solo con il microscopio ottico. ‐ L’ematuria è definita glomerulare quando i globuli rossi presentano deformazioni morfologiche (globuli rossi dismorfici più dell’80% dei globuli rossi). In caso contrario si parla di ematuria non glomerulare. Per una più precisa valutazione dell’origine dei globuli rossi si può ricercare la presenza di α 2 ‐microglobulina nell’urina. Dato il suo alto PM questa proteina non passa mai attraverso il glomerulo anche in caso di grave danno glomerulare. Quindi la sua presenza abbinata ad ematuria indica un’origine postglomerulare del globulo rosso. LeucocitiÆ La presenza di leucociti nelle urine è segno aspecifico di infezione delle vie urinarie. Il valore normale dei leucociti è di 1‐2 per campo microscopico (40X). Un aumento massivo dei leucociti è generalmente indice di infezione acuta. Un aumento moderato può essere indice di glomerulo nefrite, cistite acuta o cronica, neoplasie della vescica, prostatite, uretrite o traumi. Cellule epitelialiÆ La presenza delle cellule epiteliali nelle urine rappresenta il normale ricambio cellulare dell’epitelio delle vie urinarie. In condizioni normali, l’esame evidenzia poche cellule per campo microscopico. Un eventuale aumento può essere conseguenza di infezione. Batteri e micetiÆ in condizioni normali l’urina è sterile. La presenza di batteri o funghi, associata alla presenza dei leucociti, è indice di infezione. È necessaria un’urinocoltura. CilindriÆ Si tratta di agglomerati di proteine e di altri elementi che si formano nei tubuli renali. Normalmente, nel sedimento urinario, non sono presenti e la loro esistenza indica una sofferenza renale. A seconda della loro composizione, i cilindri sono sintomi di diverse disfunzioni dei reni: ‐ Cilindri cereiÆ Nefropatie avanzate ‐ Cilindri ialiniÆ Dopo anestesie, sforzo fisico, nelle nefriti Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 34 ‐ Cilindri eritrocitari e cilindri leucocitariÆ Permettono di accertare l’origine renale di una ematuria e leucocituria, rispettivamente. ‐ Cilindri pigmentatiÆ Negli itteri e nelle emolisi acute. ‐ Cilindri epitelialiÆ Formati da cellule di sfaldamento dell’epitelio e che si riscontrano nelle glomerulo nefriti acute. CristalliÆ Sono spesso presenti nelle urine, anche in assenza di particolari patologie. I più comuni sono i fosfati amorfi, il fosfato di calcio, il bicarbonato di calcio, i cristalli di acido urico e l’ossalato di calcio. Tra i cristalli rilevabili in corso di stati patologici vi sono: • LeucinaÆ Può segnalare insufficienza epatica • CistinaÆ Può segnalare patologie a livello renale • TiroxinaÆ Tipicamente aumentata nell’insufficienza epatica • Cristalli di sulfadiazinaÆ Presenza in relazione all’assunzione di sulfamidici. VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ GLOMERULARE L’inulina è un polimero glucidico utilizzato per valutare la funzionalità glomerulare. L’escrezione urinaria di inulina, precedentemente somministrata per via endovenosa, è uno dei metodi utilizzabili per determinare la velocità di filtrazione (VFG). Correntemente di parla di clearance dell’inulina. Per clearance si intende la capacità che hanno i reni di depurare il plasma da varie sostanze. Poiché l’inulina filtrata al glomerulo non viene né riassorbita né secreta dal tubulo, il volume di plasma da cui essa deriva corrisponde a tutto quello filtrato in un minuto e quindi alla velocità di filtrazione glomerulare. Ciononostante, in ambito di laboratorio clinico è più utilizzata la stima della clearance della creatinina, in quanto l’analisi con l’inulina è invasivo, di lunga durata e richiede ospedalizzazione. Una piccola parte della creatinina è secreta nelle urine, quindi la sua clearance non è precisa per la valutazione della funzionalità renale come quella dell’inulina. Tuttavia avendo notevoli vantaggi pratici viene comunemente utilizzata. A creatinina è il prodotto catabolico della fosfocreatina, un composto deputato all’accumulo di energia. È principalmente presente nei muscoli. Durante le reazioni energetiche che coinvolgono la creatina, una piccola quota di questo amminoacido viene spontaneamente ed irreversibilmente convertita in creatinina. In ogni individuo, il ritmo di produzione delle creatinina è pressoché costante. La quota prodotta è direttamente proporzionale alla massa muscolare dell’individuo e può perciò variare in relazione all’età, al sesso, alla razza e allo sport praticato. I livelli di creatinina possono essere rilevati sia nel sangue che nelle urine. Nel primo caso si tratta di un esame di routine, per cui è sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio (a digiuno e a riposo da almeno 8 ore). Sono considerati valori normali tra 0.6 e 1.2mg/dl. Va sottolineato che i livelli di creatinina (creatininemia) si alzano quando una parte considerevole (>40%) del parenchima renale è mal funzionante. La misurazione dei livelli urinari (creatininuria) viene effettuato su un campione di urine raccolto nelle 24 ore. Quest’ultimo esame viene spesso abbinato alla creatinine mia per ottenere una valutazione più affidabile della funzionalità renale (clearance della creatinina). Per clearance (depurazione) di una sostanza si intende la quantità di sangue che viene depurata da tale sostanza nell’unità di tempo (1 minuto), per opera del rene. I valori di creatinine mia e cratininuria vanno poi inseriti nella formula: C = (u · I)¡P dove C = clearance U = concentrazione urinaria della sostanza V = volume di urine raccolto nelle 24 ore P = concentrazione plasmatica della sostanza (creatinine mia). Se si vuol tenere conto della superficie corporea del soggetto, la formula viene così leggermente modificata:C = |(u · I)¡P] · ( 1.73 S ) dove 1.73 è uguale alla superficie corporea standard in m 2 di una persona di 70Kg e S è la superficie corporea del soggetto preso in esame, sempre espressa in m 2 e ricavabile dal peso e dall’altezza del paziente mediante apposite tabelle. Poiché la raccolta delle urine delle 24 ore non sempre è agevole, soprattutto nel paziente ambulatoriale e si presta a facili errori, molti laboratori preferiscono calcolare la clearance della creatinina utilizzando formule Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 35 matematiche che tengono conto della creatinine mia, del peso, dell’età e del sesso: si parla di clearance stimata della creatinina. VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ DEL RIASSORBIMENTO TUBULARE Si può diagnosticare il danno tubulare dal confronto tra concentrazione plasmatica e concentrazione urinaria di elettroliti, glucosio, H + , HCO 3 ‐ . Un indicatore importante della funzionalità renale tubulare è la capacità di concentrare l’urina (osmolarità delle urine, peso specifico). L’osmolarità è il numero di particelle osmoticamente attive presenti in un Kg di solvente. L’osmolarità è indipendente dalla massa delle particelle in soluzione. Un altro modo per valutare il riassorbimento tubulare si ha misurando la capacità di riassorbire proteine a basso peso molecolare come la β 2 ‐microglobulina. URINOCOLTURA L’urinocoltura è l’esame volto a individuare la quantità ed il tipo di germi patogeni nelle urine. In base all’esito dell’urinocoltura gli operatori compilano l’antibiogramma, ossi indicano, i tipi di antibiotici che si rivelano più efficaci per inibire la crescita del patogeno individuato. A differenza della ricerca di batteri nel sedimento urinario, che talora dà esiti negativi anche se di fatto i batteri patogeni sono presenti, l’urinocoltura fornisce sempre risultati attendibili. Una batteri uria superiore a 50000 batteri/ml di urina è considerata clinicamente significativa e va trattata. Vanno anche trattate batteri urie inferiori in presenza di sintomatologia. I patogeni più frequenti sono rappresentati da: ‐ Escherichia Coli (80% delle cistiti) ‐ Proteus ‐ Stafilococco ‐ Enterococco ‐ Klebsiella ‐ Condida albicans (miceto). Metodo classico di individuazioneÆ Colture su terreni selettivi. La maggior parte dei batteri sono coltivabili rapidamente e caratterizzabili fenotipicamente e biochimicamente. I test molecolari utilizzati in questi casi: • Identificazione di organismi lenti a cresce in coltura o difficili da coltivare • Tipizzazione molecolare del microrganismo per la determinazione della resistenza agli antibiotici. I principali batteri patogeni identificabili tramite test molecolari nelle infezioni genito‐urinarie sono: ¾ Clamydia trachomatisÆ Batterio intracellulare obbligato. Causa infezioni comuni del tratto genitale maschile e femminile. Rilevato con PCR. ¾ Neisseria gonorreaeÆ Agente eziologico della gonorrea. Causa infezioni del tratto genitale. Rilevato con test o PCR. ¾ MicoplasmiÆ Batteri intracellulari. Principale causa di polmonite non sostenute da batteri classici. Coinvolto anche in infezioni genito‐urinarie (ureaplasma urealiyticum). Rilevato con PCR. Sono stati identificati numerosi geni plasmi dici o cromosomico responsabili della resistenza verso gli antibiotici. Sistema per identificarleÆ Antibiogramma diretto (MIB = minima concentrazione inibente) o da ceppo isolato. Si può ricorrere alla PCR. Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 36 MARKERS TUMORALI Sono sostanze espresse sia dai tessuti neoplastici che dai tessuti normali. Vengono prodotti in maggior quantità dai tessuti tumorali (indicatori quantitativi e non qualitativi del tumore). Sono presenti nel sangue in quantità proporzionale alla massa del tumore. Sono misurabili nel sangue anche nei soggetti senza tumore. CLASSIFICAZIONE BIOLOGICA • Molecole a struttura chimica nota: o Enzimi/isoenzimi: PAP (fosfolipasi acida prostatica) NSE (enolasi neuro specifica) Fosfatasi alcalina PSA (antigene prostatico specifico). o Ormoni/subunità: HCG (gonadotropina corionica) Calcitonina Tiroglobulina. o Molecole di adesione: CEA (antigene carcinoembrionario). o Molecole di trasporto: AFP (alfa feto proteina). o Citocheratine: TPA (antigene polipeptidico tessutale) Cyfra21.1 TPS TPAcyk. • Glicoproteine di cui si sono identificati gli epitopi che caratterizzano il markerÆ CA19.9, CA15.3, MCRC, CA50, MCA, CA242, CA195, CA549, CA72.4, M26, M29. • Autoanticorpi circolanti generati contro molecole caratteristiche del fenotipo tumorale per il quale è proposto un possibile ruolo come markerÆ Anti‐p53, Anti‐p185/neu • Cellule tumorali in materiali biologiciÆ Prime esperienze di impiego come markers tumorali: o PSAÆ espressione RNA o Citocheratina20Æ Espressione RNA o K‐ras, p53Æ Mutazioni DNA o Ca. prostaticoÆ Sangue o Ca. mammarioÆ Sangue o Ca. del colonÆ Feci. CLASSIFICAZIONI IN BASE ALL’UTILIZZO CLINICO In pressoché tutte le più comuni neoplasie sono stati studiati numerosi markers tumorali; è pertanto necessario scegliere per ciascun tipo di neoplasia il o i markers da utilizzare. Fra i markers da utilizzare, da un punto di vista pratico si può distinguere fra markers sicuramente utili e markers probabilmente utili. • Markers di prima sceltaÆ Sono markers sicuramente utili per i quali esiste una solida letteratura biologica e clinica, tale da garantire nell’utilizzo routinario costo/risultato favorevole. • Markers di seconda sceltaÆ markers probabilmente utili per i quali ad una letteratura biologica consolidata non fa riscontro una verifica clinica definitiva del rapporto costo/risultato. Inseriti in protocolli di valutazione clinica possono dare informazioni addizionali. • Markers affiniÆ Diversi biomarcatori appartengono a famiglie chimiche nell’ambito delle quali esistono più markers dai quali ci si dovrebbero attendere prestazioni simili in una data patologia Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 37 (markers mucini, markers citocheratinici): si possono usare in alternativa ma non ha senso in combinazione. USO CLINICO DEI MARKERS TUMORALI ¾ ScreeningÆ I markers tumorali hanno sensibilità e specificità limitate. Non devono quindi essere usati in programmi di screening su popolazione generale. In alcuni casi i markers possono essere utilizzati per screening di popolazioni selezionate con maggior rischio di tumore. o AFPÆ Nell’epatopatia cronica evolutiva. o PSAÆ Nei maschi adulti dopo i 60 anni (rapporto costo/efficacia ancora in valutazione). ¾ Diagnosi tumore primitivoÆ Generalmente, i markers tumorali non possono essere di aiuto diagnostico per la limitata specificità e sensibilità. Fanno eccezione alcuni markers dotati di alta specificità tissutale che possono essere utilizzati in alcune patologie: o Cancro a piccole cellule del polmoneÆ NSE o Cancro midollare della tiroideÆ CT o Cancro del testicoloÆ AFP, HCG o Cancro dell’ovaioÆ AFP, HCG o CoriocarcinomaÆ HCG o Neoplasie endocrine secernenti specifici ormoni. ¾ Ricerca della sede di origine di metastasi a partenza ignotaÆ L’uso di markers può essere utile solo nel caso di tumori secernenti marker tessuto specifici. ¾ Tumore primitivo già diagnosticatoÆ In questo caso il dosaggio dei markers deve essere fatto per: o Avere un valore basale prima della terapia o Avere indicazioni indirette sulla estensione della malattia (i livelli ematici dei markers sono proporzionali alla massa del tumore) o Avere indicazioni aggiuntive circa l’istotipo per i tumori nei quali diversi isotipi producono markers diversi o Avere indicazioni prognostiche aggiuntive. ¾ Monitoraggio a breve termine dopo la terapia primariaÆ Livelli elevati persistenti dopo una terapia ritenuta radicale suggeriscono la possibile presenza di malattia occulta, residua o disseminata. Il marker può incidere sulle decisioni cliniche in modo critico (restaging, terapia adiuvante, periodicità del follow‐up). ¾ Monitoraggio a lungo termine dopo la terapiaÆ L’incremento del livello di un marker tumorale può suggerire la ripresa della malattia. L’incremento del livello del marker può precedere di parecchi mesi (3‐12) l’evidenza clinico/strumentale della ripresa della malattia. Nel caso di neoplasie curabili in fase avanzata il marker può incidere in modo critico sulle decisioni cliniche (trattamento precoce della ripresa della malattia). ANTIGENE PROSTATICO SPECIFICO (PSA) L’antigene prostatico specifico (PSA) è un enzima appartenente alla classe delle idrolasi, che viene prodotto dalla prostata. La sua funzione fisiologica è quella di mantenere fluido il seme dopo l’eiaculazione, permettendo agli spermatozoi di “nuotare” più facilmente attraverso la cervice uterina. ‐ Livelli ematici di PSA sotto 4ng/mL sono generalmente considerati normali. ‐ Livelli di PSA tra 4 e 10ng/mL indicano un rischio di tumore più alto del normale ma il rischio stesso non sembra direttamente proporzionato al livello. ‐ Quando il PSA è sopra i 10ng/mL, l’associazione col tumore diventa più forte, anche se la specificità del PSA non è ottimale: alcuni uomini con tumore prostatico in atto non hanno livelli elevati di PSA, e la maggioranza di uomini con un elevato PSA non hanno un tumore. I livelli ematici di PSA possono variare per molteplici ragioni diverse dal tumore; due cause comuni di incremento dei livelli di PSA sono l’ipertrofia prostatica benigna (in genere valori <20ng/mL) e le prostatiti. CA‐15.3 Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 38 È una glicoproteina che si trova sulle cellule alveolari e sulle cellule dei dotti ghiandolari normali e neoplastici della mammella. Il dosaggio di questa proteina (mediante Ig) viene utilizzato per il monitoraggio di pazienti con carcinoma mammaria in corso di trattamento, per i controlli post‐terapeutici e per la valutazione dell’estensione della malattia. Valori elevati di questo marcatore tumorale sono proporzionali alla massa del tumore e allo stadio della neoplasia. I valori di questo marcatore possono anche aumentare nel caso di alcune patologie benigne come malattie epatiche croniche e alcune infezioni dell’apparato respiratorio. MUCIN‐LIKE CARCINOMA‐ASSOCIATED ANTIGEN (MCA) Il Mucin‐like Carcinoma‐associates Antigen (MCA) è una glicoproteina la cui individuazione è utilizzata nel contesto del carcinoma mammaria. Gli impieghi sono simili al CA‐15.3. ANTIGENE POLIPEPTIDICO TESSUTALE (TPA) L’antigene polipeptidico tessutale è una proteina della famiglia delle citocheratine. Il TPA più che rappresentare un marcatore specifico di una patologia tumorale è un indice di proliferazione cellulare. Il suo aumento è correlato alla velocità di accrescimento tumorale più che alla massa tumorale. Pertanto il TPA è utile nel follow‐up di pazienti con tumori già accertati più che nella fase diagnostica. È dosabile nel siero così come nelle urine. Diversi tipi di tumore possono indurre il TPA: cancro della mammella, ovaio, polmone, tumori dell’apparato digerente, vie urinarie. Un aumento del TPA può essere presente anche in malattie non neoplastiche quali la cirrosi epatica, le infezioni del tratto biliare, epatiti in genere, infezione del tratto respiratorio. CYFRA 21‐1 La determinazione del CYFRA 21‐1 è utile per l’individuazione di frammenti di citocheratina 19 nel siero. Le citocheratine sono un gruppo di circo 20 proteine che formano il citoscheletro cellulare, la struttura portante delle cellule. La citocheratina 19 è presente nelle cellule i tumori epiteliali e dell’albero bronchiale. Il CYFRA 21‐1 è quindi un marcatore tumorale che mostra una discreta specificità per i tumori polmonari del tipo NSCLC (Non Small Cell Lung Carcinoma). ENOLASI NEURO SPECIFICA (NSE) L’enolasi p un enzima gli colitico citoplasmatico prodotto da cellule nervose e neuroendocrine. È un marker tumorale utilizzato nella stadi azione, l’individuazione di recidive e monitoraggio di terapie dei pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellule e neuroblastoma. Può essere presente anche nei tumori midollari della tiroide. Piccoli aumenti non stabili nel tempo possono essere presenti anche in malattie polmonari non neoplastiche. CA125 Il Cancer Antigen 125 è una glicoproteina prodotta dall’utero, cervice uterina, tube di falloppio, ovaio e dalle cellule che rivestono gli organi delle vie respiratorie e dell’addome. Livelli elevati di CA125 possono essere indotti anche da eventi come l’insorgenza di una patologia tumorale, una gravidanza, il ciclo mestruale, una patologia epatica, o un’endometriosi. Meno della metà dei casi di cancro ovario in stadio precoce inducono un diretto aumento del livello di CA125 nel sangue. L’analisi del CA125 si è dimostrata molto utile per tracciare lo stato di progressione della patologia in donne in fase terapeutica per cancro delle ovaie già diagnosticato. Diminuzioni successive dei livelli di CA125 durante un trattamento chemioterapico possono essere un indice del successo della terapia e un’analisi continuativa dei livelli di CA125 può indicare se la patologia sta regredendo. ANTIGENE CARCINO‐EMBRIONARIO (CEA) Semeiotica III° anno Bottosso Stefano 39 È una glicoproteina coinvolta nell’adesione cellulare. Viene normalmente prodotta durante lo sviluppo fetale, ma la produzione si ferma prima della nascita. Il CEA può aumentare a livello plasmatico in soggetti affetti da carcinoma colon‐rettale, gastrico, pancreatico, polmone e della mammella. La misurazione del CEA viene utilizzata per identificare la recrudescenza del tumore dopo la sua resezione chirurgica. L’aumento del CEA durante il follow‐up è un probabile indicatore della recidiva del tumore. Si possono riscontrare livelli elevati del CEA in alcune condizioni non‐neoplastiche come la colite ulcerosa, la pancreatite e la cirrosi epatica. ALFA1‐FETOPROTEINA (AFP) È una glicoproteina prodotta nell’embrione e nel feto durante la loro fase di sviluppo. Il ruolo biologico è quello di proteina di trasporto (soprattutto di acidi grassi). Valori aumentati si riscontrano in corso di: ‐ Carcinoma epatocellulare ‐ Neoplasie germinali (testicoli, ovaio, mediastino, retro peritoneo) ‐ Cancro del pancreas. Poiché l’emivita è di 5 giorni, se dopo l’asportazione del tumore i livelli non calano, si può pensare ad residuo neoplastico non asportato. Tra le cause non neoplastiche si aumento vanno ricordate le epatopatie acute e croniche, la gravidanza e la morte fetale. RT‐PCR A partire dal primo studio di Smith del 1991, l’applicazione della tecnica di RT‐PCR alla rivelazione delle cellule tumorali nel sangue periferico o in altre sedi mediante ricerca dell’mRNA, ha aperto la strada a nuove possibili applicazione dei MT nella diagnostica molecolare. Si tratta di una metodica estremamente sensibile, perché almeno teoricamente basterebbe una sola cellula a dare il segnale sufficiente. È quindi capace di individuare già poche cellule tumorali circolanti nel sangue o situate come micro metastasi a livello linfonodale, di midollo osseo, ecc… MICROARRAY Il settore di microarray per analisi multiple di DNA, RNA o proteine su chips, saranno in grado di rivoluzionare le performance delle tecniche precedenti. Quello dell’oncologia è il campo principale di ricerca, in vista di possibili applicazioni per diverse neoplasie: mammella, prostata, ovaio, colon‐retto, leucemie e linfomi. […] BOTTOSSO STEFANO