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March 20, 2018 | Author: Archeo | Category: Tobacco Smoking, Benzene, Cohort Study, Carcinogen, Landfill


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INQUINANTI ORGANICIA questo gruppo di composti appartengono numerose molecole aventi nella loro struttura diversi atomi di carbonio e in alcuni casi alogeni, azoto, zolfo e fosforo. Si tratta di molecole grandi e complesse che interagiscono a diversi livelli con la materia vivente potendo determinare una situazione di tossicità acuta o cronica. Inoltre essendo dotati di una certa capacità di legare le molecole degli organismi viventi, come DNA, RNA, Proteine, Lipidi, tendono ad accumularsi. Proprio la capacità di legare DNA è alla base della loro tendenza a causare effetti cancerogeni, mutageni, teratogeni, che rappresentano chiaramente l’ espressione di danni irreversibili sull’ uomo e sugli animali. Le molecole che fanno parte di questo gruppo sono contenute negli oli dei trasformatori ma sono anche usati come solventi per inchiostri o vernici, solventi organici di estrazione, filtri di depurazione, fanghi, catrami, soluzioni di lavaggio di acque madri, fitofarmaci, adesivi e sigillanti, rifiuti di schiumatura, scorie di fusione, scorie di raffineria ecc. l’ elenco dettagliato delle sostanze pericolose autorizzate allo smaltimento in discarica cat. 2 tipo b è disponibile sul sito internet “presidiopermanente.blogspot.com” Chiaramente mentre l’avvelenamento acuto è più o meno prevedibile ed evitabile, l’ esposizione ambientale a lungo termine non può essere gestita, ed è proprio questa la situazione più a rischio perché coinvolge una popolazione ben superiore rispetto a quella coinvolta quotidianamente, per motivi professionali. È noto da tempo che in un soggetto che sia esposto a più di un fattore di rischio per cancro, come il rischio aumenti in maniera esponenziale. L’impatto ambientale e i possibili effetti sanitari avversi sulla popolazione in relazione alla presenza di discariche di rifiuti costituiscono uno dei punti cruciali della relazione ambientesalute. Questo è dovuto innegabilmente all’incremento della produzione di rifiuti e al conseguente aumento dei siti di smaltimento sul territorio, siano essi discariche o impianti di termocombustione. Nelle discariche in cui avviene lo smaltimento di questi rifiuti tossici, oltre ad esserci un notevole rischio per la salute degli operatori del settore, il rischio che perdite di qualunque natura possano inquinare l’ ambiente circostante è notevole. Molti studi mettono in evidenza come in prossimità di luoghi ad alta concentrazione di discariche ci sia una maggiore incidenza di patologie come tumori, leucemie, linfomi, che sono meno frequenti in altre aree, o comunque erano meno frequenti nella stessa area in passato, quando l’ esposizione a queste sostanze era inferiore. La dimostrazione è stata fornita da studi condotti in aree della Campania dove sono stati ritrovati 39centri di discariche abusive; nella popolazione residente è stato messo in evidenza un aumento significativo di neoplasie polmonari, pleuriche, laringee, vescicali, epatiche ed encefaliche oltre ad un aumento dell’ incidenza di malattie cardiocircolatorie e diabete. Fra gli studi di popolazione più significativi, va considerato lo studio multicentrico europeo EURHAZCON, un’indagine di tipo caso-controllo sul rischio di malformazioni congenite associato alla residenza entro 7 chilometri da discariche per rifiuti pericolosi sulla base della direttiva UE 689/91.6. Lo studio ha considerato 21 siti di discarica in 15 aree, utilizzando i dati di 10 registri regionali delle malformazioni congenite operanti in paesi europei (Belgio, Danimarca, Francia, Italia e Gran Bretagna), tra cui il registro della Toscana coordinato dall’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa. I risultati hanno evidenziato un significativo aumento del rischio di anomalie congenite cromosomiche (OR=1,33) e non cromosomiche (OR=1,49), in particolare difetti del tubo neurale, dei grandi vasi e dei setti cardiaci, tra i residenti nel raggio di 3 chilometri dalla discarica rispetto alla corona esterna. Nonostante i numerosi studi epidemiologici e il consistente numero di segnalazioni di un aumento di rischio, le relazioni causali tra residenza in prossimità di discariche di rifiuti misti di diversa natura ed esiti avversi della salute non sono ancora provate. Vari sono gli elementi che portano a questa indeterminazione: 1. lungo periodo di latenza di molte delle patologie in esame; 2. eziologia multifattoriale di molte patologie e presenza di fattori di confondimento sul territorio; 3. complessità delle miscele di sostanze chimiche presenti nelle varie tipologie di rifiuti e variabilità fra situazioni diverse; 4. mancanza di dati sull’esposizione. In alcune zone della Campania, in particolare nel Giuglianese e nel cosiddetto triangolo della morte (Nola, Marigliano, Acerra), assistiamo ad un aumento della mortalità per tumori, che vari autori hanno messo in correlazione con la presenza di discariche di rifiuti tossici in quelle zone. Dal rilevamento che in una determinata area geografica c’è un aumento dei tumori e che in quell’area vi sono delle discariche non si può concludere che le discariche siano la causa di tale incremento dei tumori. Se usassimo questo metodo ognuno potrebbe affermare quello che vuole, perché in quell’area, oltre alle discariche, vi sono molti altri fattori che potrebbero essere imputati quali cause dell’aumento dei tumori. Quali prove abbiamo per puntare il dito contro le discariche e non le abitudini di vita o qualche fattore ambientale non considerato o sconosciuto? Da questo tipo di osservazioni (quelle che gli epidemiologi chiamano “studi geografici”) non si possono trarre conclusioni di causa ed effetto: queste possono essere invece desunte da altri tipi di studi, come gli studi epidemiologici longitudinali. Le affermazioni che facciamo devono essere suffragate da prove, non possono essere solo frutto di osservazioni superficiali o di opinioni personali. Vi sono numerosi studi che dimostrano la cancerogenicità o la tossicità di molte sostanze. È proprio in base a questi studi che alcuni tipi di rifiuti sono considerati pericolosi, per cui devono essere smaltiti con particolari procedure. È necessario allora che si facciano studi più approfonditi. In cosa consistono questi studi epidemiologici longitudinali? I principali studi epidemiologici longitudinali sono lo studio di coorte e il caso-controllo. Nello studio di coorte si sceglie (possibilmente a caso) un certo numero di persone (anche decine di migliaia) che vengono seguite per molti anni, intervistandole e visitandole periodicamente. Al termine dello studio si esaminano come si distribuiscono le persone morte o ammalate secondo le diverse caratteristiche delle persone seguite. Per esempio, si esaminano quanti casi di bronchite cronica si sono avuti nei soggetti che fumavano più di 10 sigarette al giorno e quanti nei soggetti che non hanno mai fumato. Se nel gruppo fumatori il numero di persone con bronchite cronica è 15 volte superiore rispetto al gruppo dei non fumatori si potrà concludere che il fumo aumenta di 15 volte la probabilità di ammalarsi di questa malattia (in epidemiologia si dice che il “rischio relativo” per la bronchite cronica è 15 nei fumatori). Lo studio di coorte permette anche di controllare i fattori confondenti (sesso, abitudini alimentari, ereditarietà, occupazione ecc.), perché è possibile verificare, a parità di questi fattori, quanti casi della malattia oggetto di indagine vi sono stati in un gruppo e nell’altro. Esso inoltre permette di calcolare il “rischio attribuibile”, cioè quanti casi, per esempio di bronchite cronica, sono attribuibili al fumo di sigaretta e quanti ad altre cause (il “rischio attribuibile” per la bronchite cronica è circa il 70%, cioè il 70% delle bronchiti croniche sono causate dal fumo di sigaretta). Nello studio caso-controllo si analizza, in un gruppo di malati e in uno di sani (simili in tutto tranne che per la presenza di una determinata malattia), quanti sono stati esposti al fattore considerato (per esempio fumo di tabacco). Quindi si calcola quante persone affette da quella malattia erano fumatori e quanti sani lo erano. Se nei malati i fumatori erano il triplo rispetto ai sani (a parità di altre condizioni) si può stimare che il “rischio relativo” è 3 per quella determinata patologia. Lo studio caso-controllo è meno preciso dello studio di coorte, ma è di più facile esecuzione e può essere utilizzato per malattie rare. Gli studi di coorte sono molto costosi e lunghi, ma tra i più precisi. Essendo così complessi, non è necessario che in ogni luogo si facciano studi di tal genere, perché se uno studio condotto negli Stati Uniti ha dimostrato che alcuni inquinanti determinano i tumori con un determinato rischio relativo e attribuibile, perché mai lo stesso inquinante in Italia dovrebbe comportarsi in maniera differente? Quindi non ho più bisogno di dimostrare con uno studio epidemiologico che c’è un nesso tra quel fattore e la mortalità o determinate patologie, basta andare a vedere cosa dicono gli studi di coorte in proposito e applicare le stime di rischio alla nostra situazione. Esistono studi epidemiologici sulle discariche dei rifiuti? Sì, sono stati effettuati vari studi. Sia sugli addetti alle discariche, che sulla popolazione che abita nei pressi. Tali studi dimostrano un aumento del rischio di mortalità e di varie patologie. Nella popolazione campione rispetto al controllo. Nella tabella che segue sono messi in evidenza i dati raccolti nelle aree della Campania studiate, è interessante notare come il numero di casi osservati per le diverse patologie prese in considerazione sia spesso superiore al numero di casi attesi, che fanno riferimento ad una popolazione non esposta ai rifiuti pericolosi in maniera cosi marcata. Le diverse sostanze tossiche riversate in discarica sono le stesse per cui sono stati fatti studi anche in altre aree di Italia in cui l’ esposizione industriale è il fattore di rischio più importante. Ci sono studi effettuati a Gela e Portoscuso (classificata “ad alto rischio di crisi ambientale” Legge n. 349/1986); Lo studio di mortalità dei 918 lavoratori della fonderia piombo-zinco osservati per il periodo 1972-2001 (11) mostra un incremento di mortalità per malattie dell’apparato respiratorio (Rapporto Standardizzato di Mortalità, SMR) 1,25; osservati, oss. 15; Intervallo di Confidenza (IC) al 95%, 0,75-2,07); la mortalità per tumore del polmone (SMR 1,21; oss. 18; IC 95% 0,761,92) aumenta, in modo significativo, per categorie di livelli stimati crescenti di esposizione al piombo; nella coorte si sono verificati 3 decessi per tumore della pleura con un SMR pari a 535. Tra gli addetti alla produzione di alluminio ad anodi precotti (ALCOA) il più recente aggiornamento della mortalità (19722001) mostra un incremento per tumore del pancreas anche tenendo conto delle abitudini al fumo (SMR 264; oss. 6; IC 95% 130-550), tra coloro a più elevata esposizione a idrocarburi policiclici aromatici (IPA) l’SMR è pari a 500 (oss. 4; IC 95% 207-1.208). I risultati per la coorte dell’Eurallumina (1972-1997), dove si produce l’allumina dalla bauxite, mostrano un’aumentata mortalità per tumore del pancreas (SMR 152; oss. 2; IC 95% 38-600) e dell’apparato urinario (SMR 212; oss. 5; IC 95% 90-499). I risultati degli studi di coorte condotti nell’area sono coerenti con la letteratura epidemiologica nella quale studi di coorte nell’industria dell’alluminio riportano, in relazione all’esposizione ad idrocarburi policiclici aromatici, un eccesso di rischio per tumori della vescica, del pancreas e del polmone. Altri studi condotti in Sicilia ad Augusta-Priolo, Biancavilla, Gela e Milazzo evidenziano numerosi eccessi di mortalità e di morbosità per molte delle malattie tumorali e non tumorali esaminate, soprattutto nelle aree di Augusta-Priolo e di Gela dove la presenza dei determinanti ambientali può essere riconducibile alle attività industriali, e un numero inferiore nell’area di Milazzo. Nell’area di Biancavilla dove il determinante è di origine naturale sono stati osservati alcuni eccessi di mortalità e di morbosità per le malattie asbesto-correlate. Nelle aree in studio sono emersi eccessi di mortalità e di morbosità specifici dell’area in esame e del genere. Per le aree dove insistono insediamenti industriali, sono stati osservati degli eccessi di patologie tumorali, confermando quanto riportato in letteratura. Per l’area di Biancavilla dove, a differenza delle altre, la fonte di inquinamento ambientale è di origine naturale, sono stati osservati eccessi di tumore maligno della pleura e di patologie respiratorie e, anche questi, confermano i risultati degli studi precedenti. Nel Lazio sono stati condotti studi sui composti organoclorurati nelle province di Roma e Frosinone (fiume Sacco) Le conclusioni di questo studio sono state che la contaminazione ambientale di numerose aeree agricole della valle del fiume Sacco ha prodotto danni economici rilevanti per l’economia locale. La pratica di smaltimento dei rifiuti tossici in modo incontrollato ha prodotto danni ambientali ingenti. L’interrogativo rilevante è se, e in quale misura, questo inquinamento ambientale si sia tradotto in una esposizione a sostanze tossiche per la popolazione e se a questa esposizione siano seguiti danni per la salute. I dati emersi mettono in evidenza come sia importante una prevenzione primaria, cioè una non esposizione a queste sostanze pericolose, allo scopo di garantire un diritto costituzionale inviolabile che è il” diritto alla salute”. Sarà importante definire il destino ambientale degli agenti inquinanti per individuare le possibili vie di esposizione: dalle acque di falda, al suolo, ai prodotti agricoli. Inoltre, si dovranno caratterizzare gli altri fattori di pressione presenti sul territorio: industrie, reti stradali a traffico intenso, agricoltura intensiva, discariche. Essendo molto numerose le molecole che possono essere responsabili di inquinamento di suolo, aria ed acqua, qui di seguito verranno riportate le schede tossicologiche di quelle sostanze più frequentemente impiegate nell’ industria o comunque dove possibili i capostipiti di classi chimiche che meglio rappresentano i composti affini, con particolare attenzione a quei composti che sono presenti nei rifiuti pericolosi autorizzati allo smaltimento in discarica Cat.2 tipo B. SCHEDE DEGLI INQUINANTI ORGANICI Paraquat Nome chimico:1.1’ -dimetil-4.4' bipiridinio: N.N'-dimetilgamma.gamma'-dipiridilio; N,N'-dirmetil4.4'-bipiridinium di catione Formula bruta: C12H14N22+ # CAS: 4685-14-7 (Paraquat) Classe chimica: Dipiridilico Nome commerciale: Metil viologen (2+): Prelude: Gramoxone: Startire 1.5: Crisquat: Dextrone: Dexuron: llcrba-xone: Ortho Weed: Spot Killer: Sweep: Gramixel: Disseccante Caffaro. Caratteristiche Impiego: Diserbante Aspetto fisico: I sali di Paraquat sono solidi cristallini incolori o bianchi o giallo pallido e sono igroscopici ed inodori. Il formulato tecnico è una soluzione rosso scuro con un odore di ammonio. Peso molecolare: 257.18 (8) Punto di ebollizione: 175 - 180`C (si decompone) (2). Densità: Circa 1.25 (16). Solubilità: In acqua: molto solubile (circa 700 gli a 20°C) (2. 15. 16). Proprietà chimiche: II sale dicltxum è stabile tranne che in condizioni alcaline. E' corrosivo per i metalli. reagisce con forti ossidanti e tende ad essere sensibile alla luce. E' stabile al calore in soluzioni acide o neutre, ma è idrolizzato in condizioni alcaline. Metodi di analisi: Determinazione spettrofotometrica Tossicologia Classe tossicologica: Molto tossico Tossicinetica - Metabolismo: Il Paraquat non e' prontamente assorbito dallo stomaco ed e anche lentamente assorbito dalla pelle. Esso scompare rapidamente dal sangue. Nello stomaco i metaboliti che si formano dalla sua degradazione sono assorbiti più ignota. Poiche esso si concentra nei tessuti polmonari è trasformato in forme altamente reattive e potenzialmente tossiche. Nei ratti le dosi orali di Paraquat sono escrete principalmente con le feci. mentre le quantità iniettate nell'addome vengono escrete attraverso le urine (9). In uno studio, animali allevati hanno escreto più del 90% del Paraquat somministrato entro pochi giorni. Esso era stato leggermente assorbito e metabolizzato nel tratto gastrointestinale. Latte e uova contenevano piccole quantità di 2 suoi metaboliti (9). Genotossicità: Il Paraquat ha dimostrato di essere mutageno in saggi su cellule umane. di microrganismi e topi (8). Il dicloruro di Paraquat non ha causato mutazioni nello sperma di maschi fertili di topo, ma il numero di gravidanze si e presentato ridotto (6). Il test di Ames e il test di dominanza letale hanno dato risultati negativi riguardo alla mutagenicità (16). Cancerogenicità: topi nutriti con dicloruro di Paraquat per 99 settimane ad alti livelli di dose non hanno mostrato accrescimenti cancerosi. Ratti nutriti con alte dosi del composto per 113 settimane (maschi) o per 124 settimane (femmine) hanno sviluppato tumori ai polmoni, alla tiroide. pelle e alla ghiandola adrenalinica (8). II potenziale cancerogeno del Paraquat non è stato ancora pienamente valutato: l'EPA tuttavia ha classificato questo pesticida come possibile cancerogeno umano (14). Contatto oculare:Ustioni, irritazioni, danni alla cornea, lesioni, congiuntiviti Approccio terapeutico: Ingestione: terapia di rianimazione: indurre il vomito e praticare la lavanda gastrica. eseguire il test di ricerca del Paraquat nelle urine, nell'aspirato gastrico e nel sangue: somministrare una sospensione al 15%% di terra di Fuller e 200 ml di soluzione acquosa al 20% di mannitolo. Contatto cutaneo e oculare: lavaggi abbondanti. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: II Paraquat può essere degradato dalla luce UV. dalla luce solare e dai microrganismi presenti nel terreno e i prodotti di degradazione sono meno tossici del composto madre. Sono state segnalate alte concentrazioni di Paraquat in campi di marijuana Le goccioline di Paraquat dicloruro si decompongono se esposte alla luce dopo l'applicazione su piante di mais, pomodoro e fagioli. Piccole quantità di residui sono state rinvenute su patate trattate con Paraquat come disserbante e la bollitura di queste patate non ha ridotto i residui (6). II Paraquat è fortemente e rapidamente adsorbito dalle particelle di suolo specialmente in suoli argillosi (3). Tali residui legati non sono disponibili per le piante, per i lombrichi e per i microrganismi. Non manifesta azione residua poichè viene rapidamente assorbito dai colloidi del terreno e conseguentemente inattivato (15). Per la sua indisponibilità e resistenza alla degradazione microbica e alla fotodegradazione, il Paraquat ha una lunga emivita. I residui legati persistono per un tempo indefinito e sono trasportati con i sedimenti, nello scorrimento superficiale. L'emivita segnalata nel terreno va da 16 mesi (in condizioni aerobiche di laboratorio) a 13 anni (in studi di campo) (7). II Paraquat non è mobile in limi siltosi e in limi siltoso-argillosi ed è leggermente mobile in limi sabbiosi (8). II Paraquat non associato a particelle di suolo può essere decomposto in prodotti finali non tossici dai batteri del terreno (10). I residui di Paraquat scompaiono rapidamente dall'acqua per effetto di legami con le erbe acquatiche e per forte aderenza ai fanghi di fondo. In acqua corrente di laboratorio ha un'emivita di 13.1 ore (5). In un altro studio il Paraquat dicloruro è rimasto stabile fino a 30 giorni. In un terzo studio in cui sono stati utilizzati bassi livelli del composto nell'acqua di Paraquat ha rivelato un'emivita di 23 settimane (8). Poichè il Paraquat è rapidamente adsorbito dalle particelle del suolo. resiste alla fotodecomposizione. II Paraquat spruzzato sulla superficie di un suolo sabbioso non si è degradato dopo che questo era stato irradiato per 2 anni con luce naturale (8). Bibliografia: (I) Farmer, W.J. 1976. "Leaching. Diffusion. and Sorption." From A Literature Survey of Benchmark Pesticides. Science Communication Division of George Washington University Medical Center. (2) Hahn. Jr.. R.W. and P.A. Jensen. 1974. Water Quality Characteristics of Hazardous Materials. Vol. I. Texas A&M University. (3) Juo, A.S.R. and O.O. Oginni. 1978. Adsorption and desorption of paraquat in acid tropical soils. J. Environ. Qual. 7 (I): 9-12. (4) Kenaga. E. 1980. Ecotoxicol. Environ. Safety. 4: 26. (5) Kosinski. J.R.. and M.G. Merkle. 1984. J. Environ. Qual. 13(1):75-82. (6) National Library of Medicine. Hazardous Substances Databank. Paraquat. 1992. (7) Rao. P.S.C. and J.M. Davidson. 1980. "Estimation of Pesticide Retention and Transformation Parameters Required in Nonpoint Source Pollution Models." In Environmental Impact of Nonpoint Source Pollution. M.R. Overcash and J.M. Davidson. eds. Ann Arbor Science. (8) U.S. Environmental Protection Agency. Office of Drinking Water. Paraquat Health Advisory. August 1987. Draft. (9)Vettorazzi. G. 1979. International Regulatory Aspects for Pesticide Chemicals. Volume I. CRC Press. (10)Wagner. S.L. 1983. Clinical Toxicology of Agricultural Chemicals. Noyes Data Corporation. (I I Ecobichon. Donald J. 1991. Toxic Effects of Pesticides in Casarett and Doull's Toxicology. The Basic Science of Poisons. Fourth Edition. Mary O. Madur. John Doull. and Curtis D. Klaassen editors Pergamon Press. NY. (12) Stevens. James T. and Darrell D. Summer. 1991. Herbicides in Handbook of Pesticide Toxicology.Volume 3. Classes of Pesticides. Wayland J. Hayes and Edward R. Laws editors. Academic Press. NY. (13) Briggs. Shirley A. 1992. Basic Guide to Pesticides: Their Characteristics and Hazards hemisphere Publishing Corporation. Philadelphia. PA. (14) Walker. Mary M. and Lawrence H. Keith. 1992. EPA's Pesticide Fact Sheet Database. Lewis Publishers. Chelsea. MI. (15) Muccinelli M.. 1997. Prontuario dei fitofarmaci (VIII edizione). Edagricole. Bologna. (16) INRS Fiche toxicologique. n° 182. CND n° III. 2_-trim. 1983. Antracene Nome chimico: p-naltalene: Formula di struttura: Formula bruta: C H 14 10 Sinonimi: Anthracin: Green oil; Tetra Olive N2G: Anthracene oil: Anthracen: HSDB 702: NSC 7958. # CAS: 120-12-7 Caratteristiche Impiego: L'antracene è un composto naturale presente nei catrami di carbon fossile che si forma per combustione incompleta di composti organici. Il suo utilizzo nella produzione di insetticidi, di conservanti per il legno e di coloranti (1 ). Aspetto fisico: Solido granulare cristallino da incolore a giallo chiaro con fluorescenza bluastra (I). Peso molecolare: 178.23 Punto di fusione: 216.4°C Punto di ebollizione: 340°C Solubilità: In acqua: 3.7 x I0"' mmol/l: Proprietà chimiche: L'antracene è un combustibile solido (1). Metodi di analisi: HPLC Tossicologia Sorveglianza biologica: Esame cutaneo periodico; test di funzionalità polmonare (I ). Genotossicità: L'antracene può determinare mutazioni nelle cellule viventi (I ). Cancerogenicità: Ad alte dosi, l'antracene è considerato cancerogeno per gli animali (I). Effetti sulla riproduzione: L'antracene non è stato testato per gli effetti sulla riproduzione (I ). Tossicità acuta: L'antracene ha una tossicità acuta molto elevata per gli organismi acquatici e gli uccelli (I ). Tossicità cronica: L'esposizione ad antracene può causare fenomeni allergici agli occhi e alla pelle notevolmente aggravati dall'esposizione alla luce solare. Una ripetuta esposizione cutanea può causare irregolari cambiamenti di colore da giallo a bruno, perdita del pigmento della pelle, assottigliamento o ispessimento cutaneo. verruche. tumori cutanei e brufoli. Una ripetuta inalazione di fumi derivanti dal riscaldamento dell'antracene può causare bronchite cronica con tosse e catarro. Una ripetuta esposizione dello scroto maschile ad antracene può causare riduzione dello spessore cutaneo e un aumento del pigmento. Gli effetti cronici dell'antracene sugli organismi acquatici sono pure notevoli (I ). Sintomatologia Inalazione: Irritazione delle alte vie respiratorie. Contatto cutaneo: Irritazioni. arrossamento, gonfiori. Contatto oculare: Arrossamento. Approccio terapeutico: Rimuovere i vestiti contaminati e lavare la pelle con acqua e sapone. Lavaggio abbondante con acqua per almeno 15 minuti. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: L'antracene è moderatamente persistente in acqua. con emivita variabile tra 20 e 200 giorni. Circa il 77.5% del composto finisce nell'aria, circa il 9.5% nel suolo, circa il 9% nei sedimenti acquatici e la parte restante nell'acqua. Si ritiene che l'antracene sia capace di bioaccumularsi nei pesci (l). Bibliografia: (I) New Jersey Department of Health. I August 1987. Benz [a] antracene Nome chimico: 1.2-Benzantracene; 2,3-benzfenantracene; 2,3-benzofenantrene; 1.2-benz[a]antracene; 1,2benzantrene; BA: BAA. Formula bruta: C18H12 Sinonimi:Benz[alfa]antracene;Tetrafene;Benzantrene; Naftantracene; Benzantracene:Benzo[b]fenantrene; Benzoantracene; Benzo(a)antracene; HSDB 4003; NSC 30970. # CAS: 56-55-3 Caratteristiche Aspetto fisico: Sottili lamine o scaglie incolori che danno fluorescenza verde-giallastra (1). Peso molecolare: 228.29 Punto di fusione: 157 - 159°C (I). Punto di ebollizione: 435°C (sublimazione) (1). Solubilità: In acqua: Proprietà chimiche: Il benz(a)antracene è stabile in normali condizioni di laboratorio. È un probabile combustibile; se riscaldato fino a decomposizione emette fumi acri e irritanti (I). Metodi di analisi: HPLC Tossicologia Tossicinetica - Metabolismo: Le attuali teorie sull'attivazione metabolica degli idrocarburi policiclici aromatici sono in accordo con il potenziale cancerogeno del benz(a)antracene. Infatti, esso viene metabolizzato dalla ossidasi a funzione mista per dare epossidi che, per la loro particolare struttura, risultano mutageni per i batteri e cancerogeni per i topi (dati EPA). Genotossicità: Il benz(a)antracene si è dimostrato genotossico in una varietà di prove su cellule procariotiche ed eucariotiche. Nei procarioti il composto è risultato positivo nelle prove di danneggiamento del DNA nonchè di reversione e mutazione. In cellule di mammifero è risultato positivo nelle prove di danneggiamento, di mutazione, di effetti sui cromosomi e di trasformazioni cellulari. I risultati delle prove per il danneggiamento del DNA in Escherichia coli non è stato positivo fino alla dose di 250 mg/ml. Risultati positivi sono stati ottenuti nelle prove di inversione mutagena in 5 diversi ceppi di Salmonella typhimurium. Inoltre ha prodotto risultati positivi in una prova mutagena in Drosophila melanogaster. (dati EPA). Cancerogenicità: Sulla base di poche prove su animali e nessun dato umano, il benz(a)antracene ha prodotto tumori in topi esposti per intubazione gastrica, iniezioni intraperitoneali, sottocutanee e intramuscolari, applicazioni topiche. Anche se non vi sono dati specifici riguardanti la sua azione sull'uomo, è stato incluso fra i composti cancerogeni per l'uomo (dati EPA). Sintomatologia Ingestione: Irritazione delle mucose. Inalazione: Respiro breve e sibilante, tosse, irritazione delle alte vie respiratorie, bronchite, dispnea, edema polmonare. Contatto cutaneo: Arrossamento, irritazioni, dermatiti, eritema, pigmentazione, desquamazione, verruche. Contatto oculare: Arrossamento, irritazioni, congiuntiviti. fotosensibilizzazione. Approccio terapeutico: Non indurre il vomito. Somministrare 1 o 2 bicchieri di acqua solo se l'infortunato è cosciente. Allontanare l'infortunato dall'area contaminata. Lavaggio abbondante con acqua e sapone. Lavaggio abbondante con acqua o normale soluzione salina per 20-30 minuti. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: Disinquinamento: In caso di sversamento, allontanare ogni sorgente di fiamma e poi diluire il materiale solido in acetone e trasferirlo in contenitori adatti. Usare carta assorbente imbevuta con acetone per assorbire il materiale rimanente. Eliminare in maniera appropriata questa carta insieme agli indumenti contaminati, chiudendoli in un sacchetto di plastica a tenuta di vapore. Lavare le superfici contaminate con soluzioni a base di acetone e poi con acqua e sapone. Evitare l'ingresso nell'area fino a completo disinquinamento. Si consiglia di smaltire il materiale contaminato per incenerimento ad alte temperature (1). Bibliografia: (1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation. August 29, 1991. Benzo [a] pirene Nome chimico: 6,7-Benzopirene; B[a]P; BP: 3,4benzopirene; benzo[d,e,f]crisene; 3,4-benzpirene; benzpirene; 3,4-benzilpirene: 3,4-benz[a]pirene; 3,4-BP; 3,4-benzo(alfa)pirene. Formula di struttura: C H Formula bruta: 20 12 # CAS: 50-32-8 Caratteristiche Impiego: Il benzo(a)pirene è costituito da 5 anelli aromatici. Si trova nel catrame di carbone, nel fumo di sigaretta. nell'atmosfera come prodotto di combustione incompleta, nella fuliggine e nel catrame della combustione di benzina e gasolio (I). In forma pura è usato come reagente di laboratorio (2). Aspetto fisico: Polvere cristallina giallastra con debole odore aromatico (1, 2). Peso molecolare: 252.32 Punto di fusione: 176.5-177.5 °C(1) Punto di ebollizione: 475 °C a 760mmHg (1) Densità: 1351 g/ml (1) Solubilità: In acqua: < 1; acetone 10-50. Solubile in toluene, xilene, benzene, etere (1). Proprietà chimiche: Il benzo(a)pirene è incompatibile con i forti ossidanti; esso viene interessato rapidamente da nitrazione e alogenazione. L'ozono, l'acido cromico e gli agenti cloruranti ossidano questo composto. Il benzo(a)pirene può reagire con gli ossidanti organici ed inorganici inclusi vari elettrofili, perossidi, ossidi di zolfo, ossidi di azoto. L’ idrogenazione ha luogo con l’ossido di platino. Non è infiammabile. Esso subisce foto-ossidazione per irradiazione con luce solare o con fluorescenza in solventi organici. Le soluzioni di benzo(a)pirene in benzene si ossidano per influenza della luce e dell'aria. Le soluzioni in acqua. dimetilsolfossido, etanolo al 95% o acetone possono rimanere stabili per 24 ore in condizioni normali di laboratorio. Se riscaldato fino a decomposizione emette fumi tossici e densi di monossido e biossido di carbonio (1). Metodi di analisi: HPLC Tossicologia Genotossicità: Il benzo(a)pirene si è dimostrato genotossico in un varietà di prove su cellule procariotiche ed eucariotiche. Nei procarioti il composto è risultato positivo nelle prove di danneggiamento del DNA nonchè di reversione e mutazione. In cellule di mammifero è risultato positivo nelle prove di danneggiamento, di mutazione, di effetti sui cromosomi e di trasformazioni cellulari (dati EPA). Cancerogenicità: Il benzo(a)pirene è un probabile agente cancerogeno per l'uomo. Vi sono alcune prove che esso possa causare tumori alla pelle, ai polmoni e alla vescica sia nell'uomo che negli animali (2). Effetti sulla riproduzione: II benzo(a)pirene ha causato in animali da laboratorio l'insorgenza di tumori nei nuovi nati di madri esposte durante la gravidanza nonchè disturbi di sviluppo fetale. Il composto può passare dalla madre al figlio attraverso il latte materno (2). Tossicità acuta: La DL50 subcutanea per i ratti è di 50 mg/kg (1). Tossicità cronica: I dati disponibili si basano su studi di alimentazione, intubazione gastrica, inalazione, instillazione intratracheale, trattamenti dermici e subcutanei effettuati su roditori ed alcuni primati. Somministrazioni ripetute di benzo(a)pirene sono state associate con l'incremento dell'incidenza sia di tumori generali che relativi alla zona trattata. II composto viene utilizzato frequentemente come controllo positivo nei saggi sulla cancerogenicità (dati EPA). Sintomatologia Ingestione: Imitazione delle mucose. Inalazione: Respiro breve e sibilante, tosse, irritazione delle alte vie respiratorie, bronchite, dispnea, edema polmonare. Contatto cutaneo: Arrossamento, irritazioni, dermatiti, eritema, pigmentazione, desquamazione, verruche. Contatto oculare: Arrossamento, irritazioni, congiuntiviti, fotosensibilizzazione. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: II benzo(a)pirene è un composto facilmente rinvenibile associato al particolato, al suolo e ai sedimenti poichè si tratta di un prodotto che si forma a seguito di una combustione incompleta. Nell'aria subisce fotolisi diretta, anche se I'adsorbimento sul particolato può ritardare questo processo. Esso inoltre può essere allontanato per reazione con 03 (emivita di 37 min) e NO2 (emivita di 7 giorni) e 1'emivita stimata della reazione che produce fotochimicamente radicali liberi nell'aria è di 21.49 ore. Se rilasciato in acqua esso viene adsorbito molto velocemente dai sedimenti e al particolato, si bioconcentra negli organismi acquatici che non lo metabolizzano, e non si idrolizza. Nel suolo sembra che venga adsorbito molto fortemente dai sedimenti e non liscivi in maniera significativa nelle acque sotterranee. Non si idrolizza o evapora in maniera apprezzabile dal suolo e può essere soggetto a biodegradazione. Nelle acque superficiali esso è soggetto a fotolisi con un'emivita media di 4,4 ore. Bibliografia: (1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 1991. (2) New Jersey Department of Health, February 1989. Benzofuran Nome chimico: benzo(b)furan; 2,3-benzofurano # CAS: 271-89-6 Classe chimica: idrocarburi policiclici aromatici Caratteristiche Impiego: Il Benzofuran si forma durante il processo di trasformazione del carbone in petrolio. Esso non ha alcun utilizzo commerciale: infatti il petrolio che lo contiene viene utilizzato per produrre materie plastiche del tipo resine coumarone-indene, estremamente resistenti alla corrosione e utilizzate per la produzione di vernici e pitture, per l'impermeabilizzazione di prodotti in carta e in tessuto, come adesivo in contenitori per alimenti e per alcune pavimentazioni in asfalto (2). Aspetto fisico:liquido oleoso da incolore a giallo chiaro con debole odore aromatico. Peso molecolare: 118.14 Punto di ebollizione: 174°C (1). Tensione di vapore: 14.3 mm Hg a 25°C (1). Solubilità: In acqua: 0.1 - 1 mg/ml a 18°C (1). In altri solventi (mg/ml a 20°C): dimetilsolfossido 5 100: etanolo (95%) 10-50; acetone 100. Miscibile in etere di petrolio e benzene, solubile in etere (1). Proprietà chimiche: Sensibile alle prolungate esposizioni alla luce solare; se riscaldato fino alla decomposizione emette fumi aspri e irritanti. Infiammabile (1). Tossicologia Cancerogenicità: Ratti e topi trattati con Benzofuran per lunghi periodi di tempo hanno mostrato tumori ai reni, al fegato, ai polmoni e allo stomaco. La cancerogenicità del Benzofuran per l'uomo non è stata ancora dimostrata (2). In un esperimento durato 2 anni con trattamenti su ratti maschi per intubazione gastrica, non si è riscontrato alcun effetto cancerogeno del Benzofuran a dosi di 30 o 60 mg/kg/giorno; invece si è osservata qualche evidenza di tale effetto sulle femmine, come incremento dell'incidenza di adenocarcinomi delle cellule tubulari renali. Una chiara evidenza della cancerogenicità del Benzofuran è stata dimostrata su maschi e femmine di topo nei quali si è riscontrato l'aumento dell'incidenza di neoplasie epatiche, polmonari e gastriche. Tossicità acuta: Ratti e topi che avevano ingerito alte dosi di Benzofuran per brevi periodi di tempo, hanno mostrato danni al fegato e ai reni (2). In un esperimento durato 14 giorni sono state somministrate dosi di Benzofuran di 63-1000 mg/kg a ratti e di 16250 mg/kg a topi. Tutti i ratti maschi e femmine che avevano ricevuto 1000 mg/kg ed una femmina che aveva ricevuto 500 mg/kg sono morti prima del termine dell'esperimento. il peso corporeo medio, dei ratti maschi che avevano ricevuto 250 o 500 mg/kg, era alla fine dell'esperimento del 13-21% più basso di quello dei controlli; mentre quello delle femmine che avevano ricevuto 500 mg/kg era del 10% più basso di quello dei controlli. Alla fine dell'esperimento non si sono riscontrate lesioni istologiche correlate al composto. Tossicità cronica: In uno studio durato 13 settimane gruppi di 10 ratti e 10 topi sono stati trattati con dosi di Benzofuran da 31 a 500 mg/kg. Una femmina di ratto che aveva ricevuto 500 mg/kg ed una che aveva ricevuto 250 mg/kg sono morte prima della conclusione dell'esperimento. Il peso corporeo medio finale dei maschi di ratto che avevano ricevuto 125, 250 o 500 mg/kg è stato di 11%, 17% e di 27% inferiore rispetto ai controlli; il peso medio finale delle femmine di ratto che avevano ricevuto 500 mg/kg è stato di 11% inferiore rispetto ai controlli. le lesioni istologiche osservate nei ratti esposti comprendevano necrosi epatocellulari di minima intensità, incremento delle nefropatie e vacuolizzazione citoplasmatica del cortex adrenalinico. Sette maschi e 3 femmine di topo che avevano ricevuto la dose di 500 mg/kg e un topo maschio che aveva ricevuto 250 mg/kg sono morti prima delle 13 settimane. Il peso corporeo medio finale dei topi che avevano ricevuto 500 mg/kg è stato inferiore del 13% rispetto al controllo. Nei topi maschi trattati con 250 mg/kg sono state osservate nefrosi. Sintomatologia Inalazione: Tosse, respiro breve e sibilante, irritazione delle alte vie respiratorie. Contatto cutaneo: Irritazioni. Contatto oculare: Arrossamento, irritazioni. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: Il Benzofuran non si dissolve rapidamente in acqua ma può inquinare le acque sotterranee nei pressi di industrie o discariche per lo smaltimento di rifiuti pericolosi (2). Bibliografia: 1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 1991. (2) Agency for Toxic Substances and Disease Registry - ToxFAQs - September 1995. Naftalene Nome chimico:Naphthalene Formula di struttura: Formula bruta: C10H8 Sinonimi: Naphthalin; Naphthene; Naphthaline; Camphor tar; White tar: Moth balls; Moth Flakes; Tar camphor; Mighty 150; Mighty RD1; NCI-052904; UN 1334; UN 2304. # CAS: 91-20-3 Caratteristiche Impiego: Il naftalene è il più abbondante costituente del catrame di carbon fossile che ne contiene allo stato anidro circa 1'11%. Viene usato per la fabbricazione degli acidi ftalico e antranilico utilizzati per la produzione di coloranti. È inoltre usato per produrre altri composti come naftoli, naftilammine, acido solfonico e altri, usati nelle industrie dei coloranti. È usato ancora per produrre resine sintetiche, celluloide. nerofumo e idronaftaleni usati come solventi per lubrificanti e per combustibili per motori. È usato inoltre come repellente, insetticida, antisettico (topico e intestinale) e antielmintico anche in medicina veterinaria. Il suo uso come repellente e insetticida è decaduto in seguito all'avvento dei composti clorurati (1. 2). Aspetto fisico: Solido cristallino bianco o liquido con odore caratteristico (l, 2, 3). Valore soglia nell'aria: 0.003 ppm (1), 0.084 ppm (2, 3), mentre nell'acqua 0.21 mg/1. Peso molecolare: 128.17 (1); 129.2 (4). Punto di fusione: 80°C (4): oltre questa temperatura sublima in maniera apprezzabile (1). Punto di ebollizione: 218°C a 760 mm Hg (1, 4). Densità: 1.162g/mla20°C;1.15g/m1a25°C(1). Tensione di vapore: 0.05 mm Hg a 20°C; 1 mm Hg a 52,6°C; 0.23 mm Hg a 25°C. Solubilità: non solubile in acqua: Proprietà chimiche: il naftalene è un composto incompatibile con gli agenti ossidanti. Reagisce violentemente con il pentossido di diazoto, con Cr03 e con cloruro di alluminio + cloruro benzoile. La sua forma fusa (oltre 110°C) può produrre. a contatto con l'acqua, una reazione violenta con produzione di schiuma o la formazione di miscugli altamente reattivi. Allo stato fuso, attacca alcune plastiche, gomme e altri rivestimenti. Il naftalene è sensibile al calore. si infiamma a 88°C ed è combustibile. Volatilizza apprezzabilmente a temperatura ambiente. Sue soluzioni in acqua, dimetilsolfossido, etanolo al 95% o acetone dovrebbero essere stabili per 24 ore in normali condizioni di laboratorio. Se riscaldato fino alla temperatura di decomposizione emette fumi irritanti e tossici di monossido e biossido di carbonio (1, 2). Metodi di analisi: HPLC Tossicologia Sorveglianza biologica: Esame della vista; test di funzionalità polmonare e renale (2). Genotossicità: II naftalene è risultato negativo in saggi per l'induzione di mutazioni geniche in ceppi di Salmonella typhimurium con e senza attivazione metabolica. In prove citogenetiche con cellule ovariche di cavie, il naftalene ha indotto scambi fra cromatidi fratelli con e senza attivazione. L'esposizione al naftalene ha determinato inoltre un significativo incremento di aberrazioni cromosomiche in cellule ovariche di cavie in presenza di attivazione. Cancerogenicità: Secondo le informazioni attualmente disponibili il naftalene non è stato testato sugli animali (2). A seguito delle prove di cancerogenicità eseguite nel 1990 e nel 1991, il naftalene è stato definito come probabile cancerogeno per l'uomo. I dati NTP hanno dimostrato che il naftalene non ha prodotto attività cancerogena in maschi di topo esposti per inalazione a concentrazioni di 10 e 30 ppm del composto per 6 ore al giorno e per 5 giorni alla settimana per 103 settimane. Tuttavia, le femmine trattate allo stesso modo hanno evidenziato un incremento dell'incidenza degli adenomi polmonari e alveolo-bronchiolari (dati EPA). Effetti sulla riproduzione: Vi sono insufficienti dati riguardo la capacità del naftalene di alterare lo sviluppo fetale (2). Tossicità acuta: II naftalene è tossico per l'uomo per ingestione e per inalazione; è anche pericoloso se assorbito attraverso la pelle. La tossicità sperimentale è stata valutata per ingestione e per via intravenosa e intraperitoneale. Il naftalene è moderatamente tossico per via sottocutanea (1). La DL50 orale per i ratti è di 1780 mg/kg, la DL50 sottocutanea per i topi è di 969 mg/kg, la DL50 intravenosa per i topi è di 100 mg/kg. Sintomatologia Ingestione: Imitazione delle mucose, nausea, cefalea, vomito, ematuria, febbre, convulsioni, coma, dolori addominali. Inalazione: Irritazione delle alte vie respiratorie, respiro breve e sibilante, tosse, confusione. Contatto cutaneo: Irritazioni, arrossamento, dermatiti, eritema. Contatto oculare: Imitazioni, arrossamento, congiuntivite, disturbi visivi. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: Il naftalene è moderatamente solubile in acqua. Concentrazioni comprese fra 1 e 1000 mg solubilizzano facilmente in 1 litro di acqua. L'emivita in acqua va da 2 a 20 giorni. Circa il 96% del naftalene si disperde nell'aria, il 3% nell'acqua e circa lo 0.5% nei suoli terrestri e nei sedimenti acquatici (2). Nell'atmosfera il naftalene si fotodegrada rapidamente, con un'emivita di 3-8 ore. Nell'acqua si degrada per volatilizzazione, fotolisi, assorbimento e biodegradazione, con un'emivita che varia da un paio di giorni a qualche mese. Nel suolo viene assorbito moderatamente e subisce biodegradazione. In alcuni casi può tuttavia essere rinvenuto nelle acque sotterranee dove la biodegradazione può avvenire solo in condizioni aerobiche. La principale sorgente di naftalene nell'aria è rappresentata dalle aree a traffico sostenuto o dove vi siano esalazioni di carburante o in prossimità di raffinerie di petrolio. La presenza di sostanza organica nel terreno aumenta l'assorbimento di naftalene. II suo passaggio attraverso suoli sabbiosi è rapido. L'entità della sua evaporazione è inversamente proporzionale alla profondità di suolo raggiunta. Bibliografia: (1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 1991. (2) New Jersey Department of Health, July 1986. (3) New Jersey Department of Health. August 1987. (4) ARS Pesticide Properties Data Base, May 1995. PIRENE Nome chimico: Benzo[def]fenantrene; beta-pirene. Formula bruta: C16H10 Sinonimi: Pyren (D); HSDB 4023; NSC 17534. # CAS: 129-00-0 Caratteristiche Impiego: Il Pirene è un componente del catrame di carbone. È usato in biochimica a scopo di ricerca e come intermedio nella sintesi del 3,4-benzopirene (1). Aspetto fisico: Cristalli prismatici monoclini, incolori se puri, giallo chiaro se impuri (con tetracene). Peso molecolare: Punto di fusione: Punto di ebollizione: Densità: Tensione di vapore: 202.26 156°C (I). 393°C a 760 mm Hg; 393°C a 760 mm Hg. 1.271g/ml a 23°C (1). 2.60 mm Hg a 200.4°C; 6.90 mm Hg a 220.8°C; 18.30 mm Hg a 242.7°C (1). Solubilità: In acqua: < I; acetone 50-100. È solubile inoltre in toluene, bisolfuro di carbonio, etere di petrolio, ligroina, etere e benzene. Completamente solubile nei solventi organici (1). Proprietà chimiche: Il Pirene reagisce con ossidi di azoto a formare nitroderivati, nonchè con acido nitrico al 70%. In normali condizioni di laboratorio è stabile, così come sono stabili soluzioni in acqua, dimetilsolfossido, etanolo (95%) e acetone se tenute per 24 ore in normali condizioni di laboratorio. Sebbene non si conosca il suo punto di infiammabilità, si ritiene che il Pirene sia combustibile. Allo stato solido o in soluzione presenta una leggera fluorescenza bluastra. Non subisce foto-ossidazione in solventi organici se sotto luce fluorescente. Riscaldato decomposizione. emette fumi con odore pungente (1). Metodi di analisi: HPLC Tossicologia fino a Tossicinetica - Metabolismo: L'assorbimento del Pirene può avvenire per via cutanea (1). Genotossicità: In esperimenti sul DNA di Escherichia coli e Bacillus subtilis il Pirene si è rivelato incapace di produrre mutazioni. Altre prove su geni di cellule batteriche hanno dato esito sia positivo che negativo, mentre su cellule di lievito ha prodotto solo un aumento dell'incidenza di conversione dei geni in fase mitotica. Il Pirene non ha indotto aumenti di mutazioni recessive letali legate al sesso in Drosophila. Risultati discordanti sono stati pure ottenuti da esperimenti condotti su cellule in vitro di mammiferi e esito negativo hanno dato iniezioni intraperitoneali del composto nel midollo osseo di topi (dati EPA). Cancerogenicità: I dati sperimentali sulla cancerogenicità del Pirene non sono conclusivi. Questo composto non è classificabile come cancerogeno umano (1). Tossicità acuta: L'esposizione umana a Pirene può derivare sia da inalazione di aria contaminata, sia da consumo di cibo e acqua inquinata. Un'esposizione particolarmente elevata si ha con il fumo di sigaretta e con l'ingestione di cibi affumicati. Nei ratti l'inalazione di Pirene ha causato danni epatici, polmonari e gastrici, mentre l'assorbimento cutaneo per 10 giorni ha prodotto iperemia, perdita di peso e anomalie ematopoietiche. Applicazioni cutanee per 30 giorni hanno inoltre prodotto dermatiti (1). Tossicità cronica: In uno studio di 13 settimane maschi e femmine di topo (20/sesso/gruppo) sono stati trattati per intubazione gastrica con 0, 75, 125 o 250 mg/kg/giorno di Pirene mescolato ad olio di mais. I parametri tossicologici considerati sono stati i seguenti: anomalie del peso corporeo, consumo di cibo, mortalità, segni patologici clinici di organi e tessuti e chimica del sangue e del siero. In alcuni animali di tutti i gruppi, compreso il gruppo di controllo, sono stati osservati casi di nefropatia, caratterizzata dalla presenza di focolai multipli di rigenerazione tubulo-renale, spesso accompagnata da infiltrazioni di linfociti interstiziali e/o da focolai di fibrosi interstiziale. Il peso relativo e assoluto dei reni si è rivelato ridotto negli animali trattati con la dose più alta. In base a questi risultati il NOAEL è stato di 75 mg/kg/giorno e il LOAEL di 125 mg/kg/giorno (dati EPA). Sintomatologia Inalazione: Respiro breve e sibilante, tosse, irritazione delle alte vie respiratorie. Contatto cutaneo: Arrossamento, irritazioni. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: Il rilascio di Pirene nell'ambiente è molto diffuso poichè questo composto è un prodotto comune di combustione incompleta. È largamente associato a particolato, particelle di suolo e sedimenti. Sebbene le maggiori concentrazioni si abbiano nei pressi delle fonti di emissione, la sua presenza in luoghi anche molto distanti da esse indica che il Pirene è piuttosto stabile nell'atmosfera e che è capace di essere trasportato a lunga distanza. Nell'aria può subire fotolisi diretta, sebbene l'adsorbimento al particolato possa apparentemente ritardare questo processo la sua emivita in fase di vapore dipende dalla sua reazione con gli altri inquinanti atmosferici: è di 0.67 giorni se reagisce con ozono e di 14 giorni se reagisce con biossido di azoto; se reagisce con radicali ossidrilici prodotti fotochimicamente, la sua emivita stimata è di 1.12 giorni. Liberato nell'acqua viene adsorbito molto fortemente dai sedimenti e dal particolato, si bioconcentra da leggermente a moderatamente negli organismi acquatici, ma non subisce idrolisi. Nei pressi della superficie delle acque può subire una significativa biodegradazione e una diretta fotolisi. Importante può essere anche l'evaporazione, in seguito alla quale l'emivita può variare da 4.8 a 39.2 giorni per un fiume o può essere di 1176 giorni per uno stagno. L'adsorbimento ai sedimenti limita l'evaporazione. Se liberato nel suolo si ritiene venga fortemente adsorbito dalle particelle di terreno e per questo non dovrebbe lisciviare in misura apprezzabile nella falda, sebbene il suo rinvenimento in essa dimostra che può comunque raggiungerla. Si ritiene che non evapori nè venga idrolizzato dal terreno ove può comunque biodegradarsi in buona parte. Bibliografia:(1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 1991. 1,2-Dibromoetano Nome chimico: 1,2-Dibromoetano; alfa,beta-dibromoetano. Sinonimi: EDB; Dibromoethane; Ethylene Bromide: Glycol Dibromide; Sym-dibromoethane; Glycol bromide; Dibromoethylene; 1,2-dibromoethane; alpha,beta-dibromoethane; DBE. #CAS: 106-93-4 Nome commerciale: Dowfume; Bromofume; Celmide; E-D-Bee; Kopfume; Nephis: DBE; EDB-85; Fumo-gas; Iscobrome D; Pestmaster; Soilbrom; Soilfume; Unifume; Aadibroom; Garden dowfume. Caratteristiche Impiego: Nematocida, insetticida. Aspetto fisico: Liquido incolore di odore dolce che ricorda quello del triclorometano (si avverte a partire da concentrazioni da 10 a 25 ppm) (18). Peso molecolare: 187.88 Punto di fusione: 9.9°C (18); 9.47°C (EPA). Punto di ebollizione: 131.4°C a pressione atmosferica (18); 131.7 (EPA). Densità: 2.1792 (18). Tensione di vapore: 1.13 kPa a 20°C; 15.98 kPa a 75°C; 38.03 kPa a 100°C (18); 9 mm Hg a 20°C e 11 torr a 25°C (EPA). Solubilità: In acqua: poco solubile (0.40% in peso a 20°C) (8, 18). In altri solventi: solubile nella maggior parte dei solventi organici, soprattutto in alcoli e ossido di dietile, eteri, acetone e benzene (18. EPA). Proprietà chimiche: A temperatura ordinaria 1'1.2-dibromoetano è un idrocarburo alogenato (o alcano bromurato) relativamente stabile, sensibile tuttavia all'azione della luce. La sua decomposizione termica porta alla formazione di prodotti tossici. L'idrolisi ad alta temperatura e sotto pressione genera glicoletilene. Il composto, unito ad ammoniaca liquida, può reagire in maniera esplosiva, con formazione di etilendiammina e analoghi. Esso può ugualmente dar luogo ad una reazione violenta con metalli alcalini, alcalino-terrosi, con materiali ossidanti e con metalli in polvere come alluminio e magnesio (18. EPA). Metodi di analisi: Apparecchiature a risposta istantanea di tipo Draeger equipaggiate di fiale reattive al tricloroetilene 10/a; prelievo per assorbimento su carbone attivo, separazione con solfuro di carbonio e analisi con cromatografia in fase gassosa (18). Metodi EPA: 502.2; 504; 524.1; 524.2; 618; 8010B; 8011: 8021A: 8240B; 8260A. Tossicologia Tossicinetica — Metabolismo: L'1,2-dibromoetano è rapidamente assorbito per via digestiva, respiratoria e percutanea. Nei topi le maggiori concentrazioni del composto si rinvengono nel fegato, nei reni e nelle ghiandole surrenali. E' probabile che esistano almeno due vie di degradazione che concorrono alla formazione di metaboliti reattivi responsabili degli effetti tossici del solvente. Nei topi il 12% della quantità assorbita è eliminato per via respiratoria senza subire modifiche, il 66% è stato ritrovato nelle urine dopo essere stato metabolizzato. I principali metaboliti urinari sono la N-acetil-Sidrossietilcisteina e suoi ossidi, la S-idrossietilcisteina, la Scarbossimetilcisteina e l'acido tiodiglicolico (18). Negli animali esposti l'EDB si degrada in bromuro inorganico, rinvenuto nelle urine, nel fegato ed in altri tessuti. In ratti, polli, topi e cavie esso ha un'emivita biologica inferiore a 48 ore (16). I processi metabolici del composto nelle cavie sono simili a quelli osservati nell'uomo. In un esperimento una singola dose elevata di EDB è stata iniettata in alcune cavie. Dopo 72 ore i 2/3 del composto iniettato era stato escreto come metaboliti nelle urine e 1/10 esalato in forma non modificata. La parte restante è stata rinvenuta principalmente nei reni, nel fegato, nelle ghiandole surrenali, nel pancreas e nella milza (10). Sorveglianza biologica: Test di funzionalità epatica e polmonare sono raccomandati prima di intraprendere un lavoro che comporti l'uso di 1,2-dibromoetano e a intervalli regolari durante l'esposizione professionale. In caso di comparsa di sintomi da sovresposizione può essere utile sottoporsi a radiografie toraciche e a test di funzionalità renale (19). Genotossicità: L'1,2-dibromoetano è risultato mutageno per numerosi ceppi di Salmonella typhimurium e per numerose specie di lieviti e di vegetali. Esso ha indotto mutazioni letali recessive legate al sesso in Drosophila ed è responsabile di un aumento della sintesi non programmata di DNA, delle aberrazioni cromosomiche e di scambi di cromatidi fratelli in colture cellulari di mammiferi. Il composto si lega in maniera covalente con il DNA di fegato di ratto in vitro e in vivo (18). L'EDB è stato segnalato quale mutageno in alcuni saggi, ma non ha prodotto effetti mutageni su cellule umane (1). Cancerogenicità: Topi e ratti sono stati trattati per intubazione con dosi variabili da 37 a 107 mg/kg/giorno per 5 giorni alla settimana. A causa dei numerosi decessi, gli individui sopravvissuti sono stati sacrificati in tempi differenti durante l'esperimento. Dalle loro autopsie si è osservato un aumento dell'incidenza di emangiosarcomi e di tumori gastrici, epatici e broncopolmonari. Topi e ratti esposti a 10 e 40 ppm del composto per 78 settimane hanno sviluppato tumori benigni e maligni alle fosse nasali e tumori broncopolmonari. L'associazione con Disulfirame (incorporato nell'alimentazione in quantità di 0.05%) aumenta l'incidenza dei carcinomi epatocellulari, degli emiangiosarcomi e dei tumori renali, tiroidei e broncopolmonari. Uno studio sulla mortalità di operai di 2 fabbriche che utilizzavano il composto, non ha mostrato alcun aumento significativo dell'incidenza dei decessi per tumori. Tuttavia il campione studiato era limitato (161 operai in tutto) (18). L'EDB è considerato cancerogeno per ratti e topi. Ratti che avevano inalato alte dosi giornaliere del composto per 18 mesi hanno poi sviluppato tumori delle ghiandole mammarie e surrenali, della milza, del fegato e dei reni (13). L'EDB è un sospetto cancerogeno umano (15). Dati derivanti da studi su animali inducono l'EPA a stimare in circa il 100% l'incidenza dei casi di cancro che possono verificarsi nel corso della vita di operai esposti per 40 anni al composto nei centri di fumigazione. L'incidenza attuale è stata molto minore (circa il 5%) in un gruppo di lavoratori impiegati nella produzione di piante utilizzando 1'EDB (11). II rischio di cancro può essere maggiore se i soggetti esposti a 1,2-dibromoetano usano anche il Disulfiram, un composto utilizzato per il trattamento dell'alcolismo (13). Dopo che ratti avevano inalato EDB e mangiato anche Disulfiram per 14 mesi, erano comparsi tumori epatici, renali, polmonari e tiroidei. Il numero di questi tumori era inoltre più alto di quello che si aveva se i ratti inalavano la stessa dose di EDB per 18 mesi (9. 13). Effetti sulla riproduzione: Una serie di esperimenti effettuati su diverse specie di animali utilizzando diverse vie di somministrazione e dosi relativamente deboli, hanno messo in evidenza una certa tossicità testicolare con teratospermia, oligospermia, atrofia dei testicoli, dell'epididimo. della prostata e delle vescicole seminali. Sulle femmine di ratti e topi si sono osservate anomalie mestruali ed effetti fetotossici. Questi effetti del solvente sono stati osservati su un polmonari, del tratto respiratorio e un temporaneo offuscamento delle cornee. Conigli esposti per 14 giorni ad una soluzione di EDB 1% hanno presentato gravi irritazioni cutanee (16). Sintomatologia Ingestione: Dolori addominali, irritazione delle membrane mucose, vomito, diarrea, cefalea, depressione perdita di appetito, confusione, delirio, sonnolenza, coma. Inalazione: Irritazione delle mucose, edema polmonare. Contatto cutaneo: Irritazioni, prurito, arrossamento, vesciche, lesioni caustiche. Rimedi: Lavaggio abbondante con acqua e sapone. Contatto oculare: Irritazioni. Rimedi: Lavaggio abbondante con acqua per almeno 30 minuti, sbattendo le palpebre. Ambiente ed agronomia Modalità d'impiego: Fino a tempi recenti I'EDB veniva usato in maniera diffusa come fumigante del terreno e in post-raccolta su colture e nella quarantena di frutti e ortaggi tropicali. Nel 1983 l'EPA ha sospeso l'uso dell'EDB come fumigante dopo che piccoli residui erano stati rinvenuti nelle falde e in alcuni cereali. Oggi l'EDB è principalmente utilizzato come additivo decontaminante nella benzina con piombo. è inoltre registrato come gas per il controllo di termiti ed altri insetti, come fumigante di alveari, cantine e macchinari dei mulini. Poiché il suo odore non è avvertito prima che le sue concentrazioni superino quelle raccomandate nei luoghi di lavoro, si richiede un suo attento monitoraggio per limitarne l'esposizione (EPA). Un altro uso dell'EDB è l'impiego come solvente per resine, gomme e cere ed è anche un composto intermedio nella sintesi dei coloranti e di composti farmaceutici. E' usato infine nella preparazioni di impermeabilizzanti (19). In condizioni normali di utilizzo, 1'1,2-dibromoetano non è infiammabile ed esplosivo (18). In caso di manipolazione del composto, si consiglia un ambiente di lavoro ben aerato, altrimenti l'uso di respiratori. L'area di manipolazione o di stoccaggio deve comunque essere ben segnalata e i lavoratori esposti appropriatamente equipaggiati. Essi devono inoltre essere istruiti su tutte le precauzioni da prendere, sulla necessità di svestirsi immediatamente e lavare a fondo gli indumenti dopo la fine del turno di lavoro. Essi devono infine sapere che l'EDB va conservato lontano da luce e fonti di calore e dal contatto con metalli attivi chimicamente (come alluminio, magnesio, sodio e potassio), con basi forti e forti ossidanti (come clorati, perclorati, perossidi, nitrati e permanganati). Pur non essendo un liquido combustibile, si raccomanda di utilizzare anidride carbonica, estintori chimici anidri o schiumogeni per mantenere freschi i contenitori esposti a un eventuale fuoco. I gas che il composto può sprigionare in caso di incendio sono velenosi (19). Degradazione ambientale: Per l'incapacità delle piante di assumerlo dal suolo, I'EDB probabilmente non si accumula nei vegetali. II suo prodotto di degradazione, il bromuro inorganico, è tuttavia assorbito dalle piante in piccole quantità. I suoi residui persistono negli alimenti fumigati per 6-12 settimane. La più veloce degradazione dell'EDB avviene in prossimità della superficie del suolo. In circa 2 mesi quasi la totalità del composto (97%) è convertita sulla superficie del suolo in etilene e ioni bromuro. La quantità che permane resta immodificata (17). L'emivita dell'EDB può variare da suolo a suolo. In uno studio di laboratorio che ha utilizzato 100 tipi diversi di suolo, la sua emivita è variata da 1.5 a 18 settimane. In un suolo la sua presenza è stata accertata anche dopo 19 anni dalla sua ultima applicazione conosciuta. Si ritiene infatti che !'EDB resti intrappolato nei piccoli pori del terreno, risultando pertanto inaccessibile ai biodegradatori e può lentamente lisciviare nell'acqua in periodi anche molto lunghi. Tale lisciviazione è molto lenta a 25°C e dipende notevolmente dalla temperatura. L'EDB è solubile, stabile e persistente nell'acqua (7, 19). Può ampiamente distribuirsi nei corpi d'acqua dai quali può essere rimosso principalmente per evaporazione (7). La sua emivita è leggermente superiore a 1 giorno nelle acque di fiume ed è di circa 5 giorni in quelle di lago. Si lega relativamente poco ai sedimenti. La sua biodegradazione, piuttosto facile e rapida in generale, si dimostra lenta nella falda (emivita in mesi), dove l'evaporazione non avviene, ma può verificarsi l'idrolisi oltre che la biodegradazione. L'idrolisi non catalizzata è lenta (emivita di 6 anni a 25°C), ma quella catalizzata dalla presenza di varie sostanze naturali (come ioni HS-) può entrare in competizione con la biodegradazione (emivita di 1-2 mesi). Nell'acqua la sua emivita può secondo altri variare da 2 a 20 giorni e può dar luogo a fenomeni di bioaccumulazione (19). L'EDB è presente nell'atmosfera per lo più come risultato di emissioni da autoveicoli e centri di fumigazione. Esso è stabile nell'aria, dove ha un'emivita di 45 giorni e può essere degradato dalla luce solare. Nel suolo e nell'acqua, un altro prodotto di decomposizione è il glicoletilene che può ulteriormente degradarsi in formaldeide. L'EDB si decompone lentamente in presenza di calore e/o luce e può essere lentamente degradato dall'umidità. La contaminazione dell'acqua di falda da EDB è stata osservata a livelli fino a 300 ppb (8). I livelli consueti del composto rinvenuti nelle falde sono stati però molto bassi (1-20 ppb). Tali valori sono simili a quelli rinvenuti nei cereali immagazzinati. Disinquinamento: Se 1'1,2-dibromoetano si versa nell'ambiente occorre impedire l'accesso a persone non adeguatamente equipaggiate con indumenti protettivi prima della completa bonifica dell'area interessata; si deve poi arieggiare il locale, assorbire il liquido con vermiculite, sabbia anidra, terra o altro simile materiale e riporre tutto in appositi contenitori sigillati che verranno trattati come rifiuto pericoloso (19). Bibliografia (1) Bladeren, P.J., et al. 1980. Biochem. Pharmacol 29:2975-2982. (2) Broda, C., Nachtomi, E., and Alumot (Olomucki), E. 1976. Gen. Pharmac. 7:345-348. (3) Hunter, R., et al. 1984. User Manual for the QSAR System. Center for Data Systems and Analysis, Montana State University. (4) Leo, A. 1978. Report on the Calculation of Octanol/Water Log P Values for Structures in the EPA Files. Claremont, CA. (5) Letz, G.A., Pond S.M., Osterloh, J.D., Wade, R.L. and Becker, C.E. 1984. JAMA 252:2428-2431. (6) Li, Fred. 1982. Technical data submitted in support of the San Luis Drain Report of Waste Discharge, File Report, Branch of Scientific Resources, USBR Department of Interior, 2800 Cottage Way, Sacramento, CA 95825. (7) Mackay, D., et al. 1982. "Volatilization of Organic Pollutants from Water." USEPA-600/53-82-019. (8) McConnel, J.B., et al. 1984. "Investigation of Ethylene Dibromide (EDB) in Groundwater in Seminole County, Georgia." U.S. Geological Survey Circular 933. (9) Olson, W.A., Habermann. R.T.. Weisburger, E. K., Ward, J.M., and Weisburger, J.H. 1973. J. Nat. Cancer Inst. 51:1993-1995. (10) Plotnick, H.B. and Connor, W.L. 1976. Res. Commun. Chem. Pathol. Pharmacol. 13:251-258. (l I) Ramsey, J.C., Park, C.N., Ott, M.G. and Gehring, P.J. 1979. Toxicol. Appl. Pharmacol. 47: 411-414. (12) Short, R.D., et al. 1978. Toxicol. Appl. Pharmacol. 45: 173-182. (13) Wong, L.C.K., Winston, J.M., Hong, C.B. and Plotnick, H. 1982. Toxicol. Appl. Pharmacol. 63: 155-165. (14) Wong, O., Utidjian, H.M.D., Karten, V. 1979. J. Occupat. Med. 21:98-102. (15) Occupational Health Services Inc. Material Safety Data Sheet for Ethylene Dibromide. 3/25/87. (16) National Library of Medicine. Hazardous Substances Databank. Ethylene Dibromide. May, 1992 (17) Pignatello, J.J.; Sawhney, B.L.; Frink, C.R. EDB: Persistence in Soil. Science 236: 898. (18) INRS. Fiche Toxicologique n° 86, CND n° 126, 1987. (19) New Jersey Department of Health, May 1989. Amianto Nome chimico : Asbesto, nome generico dato a una classe di silicati naturali fibrosi, appartenente alle famiglie di minerali dei serpentini e degli anfiboli, dalle proprietà fisiche e chimiche notevolmente variabili (3). Fra essi il più abbondante è il crisotilo, seguito da amosite, crocidolite, antofillite e tremolite. # CAS: 12001-28-4 Crocidolite (amianto blu) 77536-67-5 Antofillite (amianto grigio) 12172-73-5 Amosite (amianto bruno) 12001-29-5 Crisotilo (amianto bianco) 14567-73-8 Tremolite Formula bruta: Na2Fe5Si8O22 (OH)2 (crocidolite); (Mg, Fe)7Si8O22 (OH)2 (antofillite); Fe5Mg2Si8O22 (OH)2 (amosite); Mg3Si2O5 (OH)4 (crisotilo); Cat (Mg, Fe)5Si8O22 (OH)2 (tremolite). Caratteristiche Impiego: L'utilizzazione delle fibre di amianto è stata in passato molto diffusa per la loro eccezionale resistenza al calore e al fuoco, l'inerzia chimica e la resistenza meccanica (2). Il più utilizzato è stato il crisotilo, l'unico ad essere estratto in Italia, in Piemonte, e costituente oltre il 90% dell'asbesto usato nella fabbricazione di materiale isolante, nella produzione di freni e frizioni, nei prodotti dell'edilizia, nelle plastiche e vernici come sostanza inerte, nella fabbricazione di filtri per il vino e la birra Composto Crisotilo Amosite Antofillite Crocidolite Solubilità Solubile negli acidi. Resistente agli acidi Resistente agli acidi Resistente agli acidi Proprietà chimiche : Le fibre di asbesto sono leggermente solubili in acqua: < 1 mg/1 (I). Tossicologia Tossicinetica — Metabolismo: Il destino delle fibre inalate nei polmoni dipende dalle loro dimensioni. Quelle più spesse di 3µm e generalmente più lunghe di 50 µm non riescono a entrare negli alveoli. Le fibre più grandi si depositano nell'apparato mucociliare e vengono rimosse dall'espettorato o espirate. Quasi tutte le fibre ingerite con l'acqua potabile attraversano l'intestino e nell'arco di pochi giorni vengono escrete con le feci. Un piccolo numero di fibre viene assorbito dalle cellule che rivestono l'intestino e lo stomaco e alcune di esse riescono a raggiungere il sangue. Parte di queste viene intrappolata in altri tessuti, altre vengono allontanate con le urine (4, 5). Le fibre più corte di 10 .tm vengono ingerite dai macrofagi che non vengono danneggiati. Le fibre restanti nei polmoni vengono incluse nella parete degli alveoli o all'interno del tessuto interstiziale che diviene il sito di proliferazione dei fibroblasti e di deposizione del fibrocollagene. Alcune fibre sono rivestite di una sostanza contenente mucopolisaccaridi a base di ferro formanti i corpi di asbesto (corpi ferruginosi). Il diffuso tipo di fibrosi non nodulare impiega almeno da 4 a 7 anni per raggiungere un grado preoccupante, diffondendosi lungo i polmoni, intasando gli alveoli e i corpi vascolari associati. è stato ipotizzato che lo sversamento di parte del contenuto dei macrofagi porta alla fibrogenesi. è stato anche invocato un processo di tipo immunologico. La fibrosi si sviluppa in misura più estesa nella metà inferiore dei polmoni e può coinvolgere sia la pleura viscerale che quella parietale con formazione di inspessimenti. Il rischio di cancro bronchiale in soggetti pesantemente esposti ad amianto sembra riguardare solo i fumatori. Sorveglianza biologica: Prima di iniziare a lavorare con l'amianto, si raccomanda di effettuare prove di funzionalità polmonare e radiografie al torace che vanno ripetute annualmente durante il prosieguo dell'attività professionale. Ogni valutazione deve includere un accurato esame della storia del paziente. I fumatori, che già rischiano di andare incontro a malattie cardiache oltre che al cancro ai polmoni, a enfisema e ad altre malattie polmonari, possono veder peggiorate le loro condizioni respiratorie in seguito a esposizione all'amianto. Pertanto, l'interruzione del fumare, anche dopo che si è fumato per lungo tempo, può ridurre la probabilità dell'insorgenza di problemi per la salute. Il rischio di un cancro ai polmoni è infatti maggiore di 92 volte per un soggetto che fuma ed è esposto ad amianto rispetto a un soggetto non interessato da entrambe le esposizioni (1). Altri test medici per verificare la presenza di fibre di amianto sono le analisi delle urine, delle feci e del muco (4). Cancerogenicità: L'amianto è cancerogeno per l'uomo. E' stato dimostrato che può causare tumori ai polmoni come pure allo stomaco, al colon, al retto, alle corde vocali e ai reni. Il primo caso di tumore polmonare associato ad esposizione all'asbesto risale al 1935 e il primo studio epidemiologico che ha definitivamente dimostrato la correlazione fra esposizione all'asbesto e tumore polmonare è stato pubblicato nel 1955. Oltre alla ben nota capacità di indurre il mesotelioma della pleura, nei lavoratori dell'asbesto il rischio di carcinoma broncopolmonare aumenta con un rapporto di 4:1 e che tale rischio aumenta di 40-60 volte se contemporaneamente si fuma. Molti studiosi ritengono che non esista un livello di sicurezza per l'esposizione all'amianto; è. necessario perciò ridurre il più possibile il numero di contatti con esso (1). Per quanto riguarda l'uomo, oltre ai già citati casi di cancerogenicità frequentemente accertata fra i soggetti esposti professionalmente all'amianto, resta da dire che non è chiara la sua cancerogenicità in seguito all'assunzione delle fibre con l'acqua potabile. Mesoteliomi sono ben documentati in individui abitanti nei pressi di fabbriche e miniere di amianto e aventi contatti con i relativi lavoratori. Il fumo di sigaretta aumenta il rischio di cancro ai polmoni se associato all'assunzione di fibre di amianto. Secondo l'EPA, in base a dati epidemiologici, il fumo di sigaretta e l'esposizione all'amianto interagiscono sinergicamente a produrre il cancro ai polmoni, ma non interagiscono in riferimento al mesotelioma. In base alle osservazioni svolte su migliaia di lavoratori esposti a crisotilo, solo in pochi casi questo tipo di fibra è stato capace di provocare il mesotelioma. D'altra parte questa malattia è risultata molto più frequente in seguito ad esposizione agli altri tipi di fibra. Ciò è stato spiegato dal fatto che mentre il crisotilo ha una limitata persistenza nei polmoni, le altre fibre vi restano più a lungo. Per causare il mesotelioma è sufficiente una quantità di fibre molto più bassa di quella che occorre per produrre il cancro polmonare (5). La cancerogenicità dell'amianto in riferimento ad altri organi come stomaco, intestino, esofago, pancreas e reni è stata dimostrata solo in un numero limitato di casi su lavoratori esposti professionalmente; pertanto non può essere considerata certa (4). Secondo l'EPA, se un individuo ha respirato nel corso della sua vita aria contenente asbesto in concentrazione di 0.000004 fibre/nn, esso ha in teoria non più di 1/1.000.000 di possibilità di contrarre il cancro come risultato diretto di tale esposizione. Similmente, respirare aria contenente 0.00004 fibre/ml di amianto darebbe luogo a non più di 1/100.000 possibilità di contrarre il cancro e respirare aria contenente 0,0004 fibre/ml di amianto produrrebbe non più di 1/10.000 possibilità di ammalarsi di cancro. Vi sono prove sufficienti riguardo la cancerogenicità dell'amianto e delle sue forme commerciali sugli animali. Somministrati a ratti per inalazione, il crisotilo, la crocidolite, l'amosite e I'antofrllite hanno indotto mesoteliomi e carcinomi polmonari, nonché mesoteliomi a seguito di somministrazione intrapleurica. Gli stessi composti hanno indotto mesoteliomi in criceti dopo somministrazione intrapleurica. Il trattamento per via intraperitoneale di crisotilo, crocidolite e amosite in topi e ratti ha indotto tumori peritoneali, inclusi i mesoteliomi. Somministrata allo stesso modo, la crocidolite ha indotto tumori addominali nei criceti, mentre l'actinolite nei ratti. In questi è stato osservato un incremento statisticamente significativo dell'incidenza dei tumori maligni dopo che nella dieta era stato somministrato loro del materiale contenente crisotilo. L'incidenza dei tumori non è aumentata dopo somministrazione orale di amosite nei ratti e nei criceti e di crisotilo in questi ultimi. In ratti di entrambi i sessi la somministrazione nella dieta di crisotilo a fibra corta, durante l'intero arco di vita, non ha prodotto tumori, così come nelle sole femmine il crisotilo a fibra di lunghezza intermedia. Nello stesso studio, l'incidenza di polipi adenomatosi benigni è stata bassa nell'intestino crasso di ratti maschi trattati con crisotilo a fibra di lunghezza intermedia. Effetti sulla riproduzione: L'amianto è stato testato riguardo la sua capacità di influenzare la riproduzione umana senza però causare alcun effetto (1). Non vi sono studi sugli effetti dell'amianto sulla riproduzione e lo sviluppo degli animali (dati EPA). Tossicità acuta: Non esistono effetti a breve termine a seguito di esposizione ad amianto (I). Le principali vie di potenziale esposizione umana all'amianto sono l'inalazione, la più pericolosa, il contatto cutaneo e l'ingestione. L'amianto è stato usato così diffusamente che ogni popolazione può ritenersi a vario grado esposta ad esso. Dal 1950 fino a quando è stato bandito, il numero di lavoratori dell'amianto è cresciuto notevolmente ma l'intensità dell'esposizione professionale è andata via via riducendosi. L'inquinamento da amianto nelle aree prossime a miniere e fabbriche è oggi molto più basso rispetto a 30-50 anni fa, ma i livelli generali di esposizione alle fibre in aria, acqua e alimenti sono andati sempre aumentando in seguito alla costruzione di edifici e alla demolizione e deterioramento di materiali contenenti amianto. Secondo I'OSHA sarebbero circa 2.5 milioni i lavoratori potenzialmente esposti all'amianto. Altre esposizioni professionali caratterizzano inoltre i lavoratori addetti alla manutenzione e alla demolizione di prodotti contenenti amianto. Le concentrazioni di asbesto nell'atmosfera all'interno di una fabbrica che lavorava l'amianto variavano da 10 a 100.000 ng/m', a seconda del tipo di lavorazione, mentre nelle abitazioni dei lavoratori è stata rinvenuta una concentrazione di fibre variabile tra 100 e 500 ng/m'. In un generico ambiente urbano le fibre di amianto presenti nell'atmosfera non superano la concentrazione di 100 ng/m', ma di solito sono presenti in concentrazioni inferiori a 10 ng/m'. In ambienti lontani da siti industriali e urbani la concentrazione di amianto nell'aria è minore di 0.01 ng/m'. Non vi sono dati stimati sulla quantità di fibre liberate in seguito alla eliminazione di rifiuti contenenti amianto (3). Secondo altre fonti negli ambienti virali la concentrazione di amianto nell'aria sarebbe di 0.03 - 3 fibre/m' (1 m' è la quantità di aria respirata da un essere umano in 1 ora), mentre nei centri urbani i livelli sarebbero di solito compresi fra 3 e 300 fibre/m'. Nei pressi di miniere o fabbriche di amianto si possono raggiungere concentrazioni di 2000 fibre/m' e oltre. Nell'aria presente all'interno di abitazioni, scuole e altri edifici contenenti amianto, le concentrazioni varierebbero tra 30 e 6000 fibre/m' (4). Il rischio unitario è basato sulla conta delle fibre effettuata dal microscopio a contrasto di fase che è lo strumento usato per le misure negli ambienti di lavoro e in genere nell'aria. Molte misurazioni, come quelle effettuate nell'acqua, vengono tuttavia riportate in termini di conta di fibre con il microscopio elettronico a trasmissione. Il primo rileva solo le fibre pia lunghe di 5 µm e > 0.4 p,m di diametro, il secondo può riconoscere anche fibre molto più piccole. Questi due metodi non sono confrontabili né vi sono fattori di conversione di uno nell'altro. Secondo l'EPA il rischio unitario stimato per inalazione è di 2.3 x 10-1 (fibre/mi)* Tossicità cronica: Ripetute esposizioni all'amianto possono causare tumori. Quanto più frequente e prolungata è l'esposizione. tanto più probabile è il loro verificarsi. Vi è una intensa discussione scientifica sulle differenze di patogenicità fra i differenti tipi e dimensioni di fibre. Alcune di queste differenze possono essere dovute alle diverse proprietà fisiche e chimiche delle diverse fibre. Molti studi suggeriscono che le fibre derivate dagli anfiboli (tremolite, amosite e soprattutto crocidolite) possono essere più pericolose del crisotilo. In ogni caso la maggior parte dei dati indica che è la dimensione delle fibre il più importante fattore di cancerogenicità (4, 5). Alcune osservazioni dimostrano che la fibrosi polmonare e il cancro polmonare dipendono dalla dose di fibre assunte. Al di sotto di una determinata soglia, se non insorgono infiammazioni croniche o proliferazioni cellulari come iperplasie o fibrosi, il rischio di contrarre il cancro polmonare non è elevato (5). L'asbestosi si sviluppa alcuni anni dopo l'esposizione (da 7 a 30). I sintomi di questa malattia includono: tosse, rantoli secchi, dita ippocratiche, riduzione del volume polmonare e della sua capacità vitale, riduzione del letto vascolare, aumento della pressione dell'arteria polmonare, ipertofia del ventricolo destro, respiro breve e sotto sforzo. insufficienza cardiaca e modificazioni del torace visibili con i raggi X (1). Tali sintomi aumentano col tempo, anche dopo che l'esposizione è cessata, e nei casi più gravi porta alla morte per danneggiamento della funzione respiratoria. Valori limite: PEL (OSHA): 0.2 fibre/cm3 per fibre > 5 tm calcolato su un turno lavorativo di 8 ore (1, 3). Il Limite Raccomandato di Esposizione all'Aria per il NIOSH è di 0.1 fibre/cm3 per un turno lavorativo di 8 ore, mentre per 1'ACGIH è di 0.5 fibre/cm' (per l'amosite), di 0.2 fibre/cm3 (per la crocidolite) e di 2.0 fibre/cm3 (per il crisotilo e le altre forme), sempre su un turno lavorativo di 8 ore (1, 3). Ambiente ed agronomia Degradazione ambientale: Le fibre di asbesto sono molto persistenti in acqua dove l'emivita è > 200 giorni. Nei tessuti dei pesci esso non si bioaccumula (1). Disinquinamento: Le polveri di amianto disperse nell'atmosfera sono molto difficili da rimuovere. E' pertanto essenziale che ogni area nella quale esso è utilizzato sia chiusa e isolata. La rimozione di materiale contenente amianto va fatta in ambiente confinato e il materiale di risulta va avviato in discarica controllata, chiuso in doppio sacco di polietilene (1). Bibliografia (1) New Jersey Department of Health. CN 368, Trenton, NJ, February 1987. (2) INRS, Fiche toxicologique, n. 145. CND 96, 3° trimestre 1979. (3) ARC Known Carcinogens. Asbestos. (4) ATSDR - Agency for Toxic Substances and Disease Registry, December 1990. Asbestos, U.S. Department of Health and Human Services. Public Health Service, Atlanta, GA, USA. (5) Meldrum M., 1996. Review of Fibre Toxicology (OELs). Health and Safety Executive, Sudbury, Suffolk, UK. Cloroformio Formula bruta: CHCI3 Sinonimi: Triclorometano; TCM; Freon 20; cloruro di metenile; formiltricloruro; tricloruro di metano; tricloruro di metenile; tricloruro di metile; tricloroformio. # CAS: 67-66-3 Classe Chimica: Trialometano. Nome commerciale: NCI-0O2686; R20; UN 1888. Caratteristiche Impiego: Il cloroformio viene impiegato nell'industria per la sintesi di clorodifluorometano (Fluorocarbon 22) che viene usato come propellente e refrigerante; viene inoltre usato come fumigante e insetticida per la conservazione delle sementi, nella produzione di smalti, tinture, nella sintesi del Teflon e come solvente per grassi, oli, plastiche, gomme, alcaloidi e resine (1, 2). Viene utilizzato anche come anestetico, rilassante muscolare, carminativo, conservante, battericida (2). Aspetto fisico: Liquido incolore chiaro, di odore etereo caratteristico e di sapore dolciastro (1, 2, 3). Il valore soglia di percezione dell'odore è di 50 ppm (3). Peso molecolare: 119,37 (1). Punto di fusione: -63.5°C (2). Punto di ebollizione: 61.2°C (1, 2). Densità: 1.48 a 20°C (1); 1.49845 g/ml a l5°C (2). Tensione di vapore: 200 mm Hg a 25,9°C (1, 2); 160 mm Hg a 20°C (2). SolubilitàIn acqua: scarsamente miscibile (0.822 g/100 ml a 20°C) (1); < 1 mg/ml a 19°C (2). In altri solventi: miscibile in alcool etilico, benzene, etere etilico, tetracloruro di carbonio, disolfuro di carbonio, dimetilchetone (1), oli, etere di petrolio e nella maggior parte dei solventi organici (2). Proprietà chimiche : Il cloroformio si altera lentamente alla luce e all'aria trasformandosi in prodotti tossici, principalmente fosgene. Reagisce violentemente con l'acetone in presenza di KOH oppure di idrato di calcio per formare I'l,1,I-tricloro-2-idrossi-2-metilpropano. Reagisce in modo esplosivo a contatto con sodio, potassio, litio, fluoro, magnesio, alluminio e con biossido di azoto (I, 2). Reazioni esplosive possono aversi anche con idrossido di sodio + metanolo, con nitrometano e con triisopropilfosfina. Reagisce rapidamente con alogeni o agenti alogenanti, ammine primarie e fenoli. Può corrodere il ferro e alcuni altri metalli in presenza di acqua. Può diventare esplosivo in presenza di alcoli forti e acqua e può attaccare alcune plastiche, gomme e rivestimenti. è incompatibile con le basi e non è infiammabile (2). Metodi di analisi: Metodi EPA: 502.2; 524.1: 524.2: 601; 624; 8010B; 8021A; 8240B; 8260A. Tossicologia Tossicinetica – Metabolismo: Il cloroformio viene rapidamente assorbito e distribuito a tutti gli organi, con concentrazioni relativamente elevate nel tessuto adiposo. Il coefficiente di distribuzione aria/sangue è di I/10 a 37°C, i globuli rossi contengono circa il 36-52% del cloroformio presente nel sangue. il solvente viene eliminato direttamente con l'aria espirata nella percentuale di circa 30-50% in 15-20 minuti. Il fegato, in minor misura, e il rene gli organi principalmente adibiti alla demolizione del cloroformio con formazione di vari metaboliti, gli ultimi dei quali sono l'anidride carbonica, che viene eliminata attraverso i polmoni, l'urea e i composti solforati, che vengono invece escreti con le urine (1). Sorveglianza biologica: Analisi di routine: test di funzionalità renale ed epatica: elettrocardiogramma (24 ore). Cancerogenicità: è stato dimostrato che il cloroformio è cancerogeno per gli animali da esperimento. Infatti sono stati osservati tumori maligni al rene in ratti di sesso maschile e tumori alla tiroide in ratti di sesso femminile in seguito a somministrazione orale del composto; nei topi si è manifestato un epatoma maligno. Si sospetta che esso sia cancerogeno anche per l'uomo, ma ciò non è stato ancora confermato da studi epidemiologici (1. 3). Effetti sulla riproduzione: Vi sono limitate prove che il cloroformio sia teratogeno per gli animali e per l'uomo (3). Studi effettuati su animali hanno di mostrato l'insorgenza di anomalie in ratti e topi che avevano inalato 30-300 ppm di cloroformio durante la gravidanza nonché in ratti che lo avevano ingerito durante la gravidanza. Le figliate di ratti e topi esposti per inalazione presentavano difetti di nascita, mentre in topi che avevano inalato 400 ppm di cloroformio per qualche giorno si sono riscontrate anomalie spermatiche (4). Tossicità Acuta: La dose letale orale per l'uomo si aggira intorno ai 10 ml, mentre la DL50 orale per i ratti è di 800 mg/kg e la CL70 per i topi è di 5687 ppm per 7 ore di esposizione (1). Sintomatologia Ingestione: Irritazioni delle mucose digestive, lesioni epatiche e renali. Rimedi: Non provocare il vomito. Somministrare per via orale olio di vaselina (2-3 mg/kg). Inalazione: Ebbrezza. nausea, vertigini. incapacità di rispondere agli stimoli sensoriali, depressione del SNC, arresto cardiaco o respiratorio. Contatto cutaneo: Irritazioni, danni allo stato protettivo lipidico. Rimedi: Lavare con abbondante acqua e sapone. Contatto oculare: Dolore. lacrimazione, danni alla congiuntiva e alla cornea. Rimedi: lavare con acqua corrente a palpebre aperte. Ambiente ed agronomia Modalità d'impiego: Per evitare ripetuti contatti con le mani è opportuno utilizzare guanti resistenti ai solventi organici (ad esempio neoprene). Se si eseguono lavori con possibilità di proiezione di schizzi è bene indossare occhiali a tenuta. Se si opera senza impianto di aspirazione, è necessario usare la maschera antigas con filtro della serie A. Non operare in presenza di fiamme: il cloroformio non è infiammabile. ma se riscaldato ad alte temperature o a contatto con metalli roventi, può liberare fosgene che è estremamente infiammabile. Per questo è opportuno conservare il cloroformio in luoghi ben ventilati evitando l'accumulo di cariche elettrostatiche (1). In caso di incendio, controllare le fiamme con estintori chimici anidri, biossido di carbonio o Halon (2). Degradazione ambientale: Il cloroformio non è persistente in acqua (emivita inferiore a 2 giorni). Circa il 99.67% del solvente volatilizza nell'aria (3). Tuttavia le eventuali dispersioni al suolo possono lisciviare e raggiungere le acque sotterranee dove permangono come residui per lunghi periodi di tempo. Il cloroformio non si bioaccumula all'interno dei cibi, ma la contaminazione può avvenire se viene usato per estrazioni o se presente nell'acqua potabile. Disinquinamento: Uno dei sistemi per disinquinare sia l'aria che l'acqua contaminate dal cloroformio è la filtrazione attraverso carbone attivo, il quale ha dimostrato una notevole capacità adsorbente per tale composto. In caso di spandimenti dovuti a rotture di bottiglie, bidoni, cisterne, sono disponibili in commercio delle sostanze assorbenti (vermiculite, sabbia anidra, ecc.), capaci di limitarne la dispersione nell'ambiente (1). In caso di sversamento, allontanare ogni sorgente di fiamme e utilizzare carta assorbente per raccogliere il solvente. Gli indumenti contaminati e la carta assorbente utilizzata devono poi essere racchiusi in sacchetti a tenuta da smaltire in maniera appropriata. Lavare le superfici contaminate prima con etanolo al 60-70% e poi con acqua e sapone. Bibliografia (1) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Masson, Milano. (2) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 1991. (3) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, January 1989. (4) Agency for Toxic Substances and Disease Registry - ATSDR ToxFAQs. Chloroform. September 1997 PCB Nome chimico Policlorobifenili. Sinonimi: Polychorobiphenyles; Bifenili policlorurati; Bifenili policlomrati 1221. 1242. 1254, 1260: Arochlor; Aroclor 1221. 1242, 1254, 1260; NCI-0O2664; UN 2315. # CAS: 1336-36-3; 27323-18-8 (54% in cloro) 53469-21-9 (42% in cloro) Caratteristiche Impiego: I PCB sono dei composti rappresentati in teoria da 209 isomeri contenenti da 1 a 10 atomi di cloro in differenti posizioni, ma solamente un centinaio di essi si possono ricavare per clorazione del bifenile. I prodotti commerciali corrispondono a miscugli complessi di alcune categorie di isomeri per i quali la variazione del tasso di cloro permette di ottenere proprietà fisiche particolari. Le percentuali ponderali di cloro possono variare da 21 a 68%. Il contenuto in cloro dei PCB più diffusi è approssimativamente di 42%, 54% e 60%. Le principali impurità presenti in alcuni prodotti commerciali a base di PCB sono policloronaftalene in tracce e policlorodibenzofurano (1). I PCB sono stati utilizzati in: isolanti dielettrici in trasformatori e condensatori, componenti di impianti per riscaldamento e come fluidi idraulici per condotti sotterranei, pompe da vuoto, fluidi a scambio di calore, adesivi, insetticidi, carta copiativa, inchiostri, ecc. (1, 2). Aspetto fisico: A seconda del loro tenore in cloro, i PCB commerciali si presentano sotto forma di liquidi più o meno viscosi o di prodotti resinosi; essi sono incolori o giallastri. con odore aromatico caratteristico (1). Liquido viscoso giallo chiaro o chiaro incolore (2). Peso molecolare: Punto di fusione: Punto di ebollizione: Densità: 326 (approssimato) (2). -19°C (42% in cloro); 10°C (54%); 31°C (60%) 365-390°C 760 Hg 1.38 (42% in cloro); 1.54 (54%); (1). 1.62 (60%) (t). Tensione di vapore: 0.133 Pa a 0°C e 3900 Pa a 200°C (42% in cloro); 0.008 Pa a 0°C e 1200 Pa a 200°C (54%); 400 Pa a 200°C (60%) (1). 0.00006 mm Hg a 20°C (2). Solubilità: variabile in funzione della temperatura e del tipo di composto In altri solventi: ? 100 mg/ml a 23°C in dimetilsolfossido, etanolo 95% e acetone: solubile inoltre in solventi organici e oli; insolubile in glicerina e glicoli (1, 2). Proprietà chimiche : I PCB presentano una grande stabilità termica, tanto più importante quanto più aumenta il tenore in cloro. Si decompongono a temperature molto elevate, per esempio in presenza di fiamma, di superfici calde o di un arco elettrico. La decomposizione dei PCB dà origine prevalentemente a gas cloridrico, biossido di carbonio e acqua. In alcune condizioni, generalmente a temperature comprese tra 300 e 1000°C, la pirolisi dei PCB, in presenza di aria, porta alla formazione di piccole quantità di composti estremamente tossici, soprattutto policlorodibenzofurani e policlorodibenzodiossine. I PCB resistono bene agli agenti chimici come acidi e basi: sono incompatibili con i forti ossidanti. Non attaccano i comuni metalli, ma dissolvono o ammorbidiscono alcune gomme o materie plastiche (I). Metodi di analisi: Cromatografia in fase gassosa; spettrometria di massa; HPLC (1). Tossicologia Tossicinetica — Metabolismo: Ben assorbiti per tutte le vie di esposizione, i PCB vengono fissati nella maggior parte nei tessuti grassi dove tendono ad accumularsi. Essi sono principalmente metabolizzati in ossidi di arile, intermedi molto reattivi sulle molecole organiche. L'escrezione avviene per via fecale e in minor misura con le urine. I composti più clorati sono quelli meno eliminati. I PCB attraversano la placenta e passano nel latte materno (1). Genotossicità: Tutti i risultati ottenuti da numerose prove con differenti PCB si sono rivelati negativi tranne che con il 4-clorobifenile e l'Aroclor 1221 (miscuglio a 21% in cloro) che hanno provocato un effetto mutageno nel corso di un test di Ames con attivazione metabolica (1). Cancerogenicità: Diversi PCB hanno provocato un aumento dell'incidenza di tumori epatici (benigni e maligni) in piccoli roditori da laboratorio. Questi composti sembrano agire in sinergia con altre sostanze cancerogene (1). I PCB sono dei probabili cancerogeni per l'uomo (3). A seguito di trattamenti con Aroclor 1254 su ratti si è osservata una alta incidenza di lesioni proliferative epatocellulari correlate alla somministrazione: inoltre, anche il carcinoma del tratto gastro-intestinale può ritenersi correlato alla somministrazione del PCB. Effetti sulla riproduzione: La somministrazione di Aroclor 1254 (54% in cloro) alla dose di 100 mg/kg/giorno durante la gestazione di ratti ha provocato una diminuzione del numero di nuovi nati e della vitalità di questi. La fecondità dei sopravvissuti era ugualmente alterata. Al contrario, tranne una riduzione di peso alla nascita, non è stata costatati alcuna malformazione organica su queste specie. La scimmia è più sensibile: perdita di pelo e alterazioni della pelle sono state osservate nei piccoli di madri esposte ai PCB, nonché un peso ridotto alla nascita ed alcune anomalie ossee (1). I PCB possono essere teratogeni per l'uomo (3). Tossicità Acuta: Numerose intossicazioni sono state osservate a seguito di assorbimento di olio contenente accidentalmente 800-1000 mg/kg di PCB. La DL50 orale per i ratti è compresa tra 4000 e 19000 mg/kg circa. Per via cutanea, nei conigli, le dosi letali più basse sono comprese tra 800 e più di 8000 mg/kg (1). Sintomatologia Ingestione: Affaticamento, disturbi gastro-intestinali, anoressia. perdita di peso, disturbi epatici, neuropatie periferiche. Rimedi: non indurre il vomito; somministrare 1 o 2 bicchieri di acqua per diluire il composto. Inalazione: Tosse, respiro breve, bronchite. irritazione delle mucose. Contatto cutaneo: Ipesudorazione, irritazioni, iperpigmentazione della pelle e delle unghie, cheratosi. cloracne. Rimedi: Lavare abbondantemente con acqua per almeno 15 minuti. Contatto oculare: Edema delle palpebre, lacrimazione. congiuntiviti, irritazioni. Rimedi: lavare abbondantemente con acqua o soluzione salina per almeno 15 minuti. Esami di laboratorio: Test di funzionalità epatica; livello dei trigliceridi nel siero; esame della pelle; livelli di PCB nel sangue (3). Ambiente ed agronomia Modalità d'impiego: I PCB vengono conservati in recipienti in acciaio galvanizzato, in alluminio o in metallo nichelato. I PCB sono dei composti difficilmente infiammabili. In caso di incendio. ciò riguarda o i contenitori o gli apparecchi che li contengono: in questo caso è preferibile utilizzare anidride carbonica. schiumogeni per liquidi polari e polveri chimiche. A causa dell'alta tossicità dei fumi emessi a seguito di pirolisi, gli operatori devono essere equipaggiati di autorespiratori (l). Degradazione ambientale: La distribuzione relativa dei diversi PCB dipende dal grado di clorurazione. Alcuni sono probabilmente più persistenti in acqua, con una emivita > 200 giorni. La distribuzione potenziale nei vari ambienti può avere i seguenti valori, a seconda del grado di clorurazione: aria. 0-34%: suolo terrestre. 33-52%; acqua, 0-1.8%: solidi sospesi. 0.05-0.08%; organismi acquatici. 0.02-0.03%; sedimenti acquatici. 30-50% (3). Disinquinamento: In caso di fuga o sversamento accidentale, allontanare tutte le fonti di calore e recuperare immediatamente il prodotto con materiali assorbenti. Lavare tutte le superfici contaminate con etanolo in soluzione al 60-70% e successivamente con acqua e sapone. (1, 2). Bibliografia (I) INRS Fiche Toxicologique n. 194. CND n. 114, 1° trim.. 1984. (2) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 199 t. (3) New Jersey Department of Health. CN 368. Trenton, N.J., May, 1989. TETRACLOROMETANO Formula bruta: CCl4 Sinonimi: Carbonio tetracloruro; benziform: perclorometano. # CAS: 56-23-5 Classe Chimica: Idrocarburo alifatico clorurato Nome commerciale: Freon 10; Tetrasol; Tetraform; Benzinoform; Carbona; ENT 4705; ENT 27164; Fasciolin; Flukoids; Necatorina; Necatorine; R 10; Tetrafinol; UN 1846; Univerm; Vermoestricid; Halon 104. Caratteristiche Impiego: Il tetraclorometano, non presente in natura, viene impiegato largamente come prodotto intermedio nell'industria chimica, ad esempio nella produzione di idrocarburi politluorati a partire dall'acido fluoridrico. E usato come solvente, come agente antifuoco e come fumigante in agricoltura (1, 2, 4). E adoperato nei refrigeratori e nell'industria chimica per rendere non infiammabile il benzene, per separare gli isomeri dello xilene, per lo sgrassaggio dei metalli, nella fabbricazione di cavi e semiconduttori, nella produzione di clorofluorocarburi e clorofluorometani. Trova inoltre impiego in medicina veterinaria come antielmintico, per curare infezioni epatiche negli ovini e ancora come agente azeotropico asciugante per le candele delle automobili, per l'estrazione di oli da fiori e semi, nella sintesi organica per la clorurazione di composti usati nelle industrie di pesticidi e saponi profumati. Il tetraclorometano non è infine adatto ad essere adoperato come estintore di incendi poiché può determinare la formazione di fosgene (2). Proprietà fisiche Aspetto fisico: Liquido chiaro, incolore, con odore dolciastro tipico (1, 2), simile a quello dell'etere (3), avvertibile tra 140 e 584 ppm. Peso molecolare Punto di fusione: Punto di Densità: Tensione di Solubilità: 153.84 (1). -22.9°C (1); -23°C (2). 76.7°C (l, 2). A 20°C: 1.585 (1); 1.597 g/ml (2). Molto volatile: 113 mm Hg a 25°C (1, 2); 91 mm Hg a In acqua: insolubile (1); < 1 mg/ml a 21°C (2). In altri solventi: miscibile con alcool etilico, etere e quasi tutti i solventi organici (1); a 21°C 100 mghnl in dimetilsolfossido e in etanolo al 95%; miscibile inoltre in cloroformio, disolfuro di carbonio, etere di petrolio, nafta, etere, benzene, oli, alcool deidrato, solventi grassi e nella maggior parte dei solventi organici; solubile infine in etanolo assoluto (2). Proprietà chimiche Il tetraclorometano non è infiammabile (1, 2) ma, se riscaldato, può generare fosgene ed altri gas tossici. Esso reagisce violentemente a contatto con elementi chimicamente reattivi come il sodio, il litio, l'alluminio, il potassio, il fluoro, il berillio (1, 2) e loro composti e leghe, nonché con tricloruro di alluminio, sesquicloruri di trietilalluminio, disiliciuro di calcio, dimetilacetammide (in presenza di ferro come catalizzatore), dimetilformammide (in presenza di ferro e a temperature sotto i 100°C), esaclorocicloesano, tetraossido di diazoto, thi e tetrasilano, bario, magnesio, zinco e altri metalli attivi, uranio, zirconio, agenti ossidanti, ossigeno liquido (2). Reazioni esplosive avvengono con gli idruri di silicio e di boro, l'etilene, l'ossigeno liquido, il biossido di azoto e l'ipoclorito di sodio (1, 2). Si ricuce in presenza di acidi. I suoi vapori, a contatto con catalizzatore cobalto/molibdeno allumina determina, in presenza di aria, una reazione esotermica. E incompatibile con tricloruro di trietildialluminio, borani, diborani, decaborani e carbaborani o loro derivati, con ipoclorito di calcio e 1,11-diammino-3,6,9triazaundecano. Reagisce lentamente con rame e piombo, forma telomeri con etilente composti vinilici sotto pressione in presenza di un inibitore perossido. Attacca alcune plastiche, gomme e rivestimenti, si incendia in presenza di ossigeno a 100°C e reagisce con il plutonio. Sue soluzioni in acqua, dimetilsolfossido, etanolo al 95% o acetone dovrebbero essere stabili per 24 ore in normali condizioni di laboratorio. Riscaldato fino a decomposizione, emette fumi tossici contenenti cloro, ossidi di carbonio, acido cloridrico e fosgene, nonché vari idrocarburi (2). Tossicologia Tossicinetica – Metabolismo: Data la notevole volatilità, il tetraclorometano viene facilmente assorbito per inalazione. L'assorbimento attraverso la cute è inferiore ad altri idrocarburi alifatici clorurati, tuttavia, data l'elevata tossicità del solvente, è possibile l'assorbimento attraverso la cute di dosi sufficienti a dare manifestazioni sistemiche. L'equivalente del 50% circa di tetraclorometano inalato viene comunque eliminato in forma immodificata con l'aria espirata. Il rimanente viene metabolizzato ed escreto attraverso le urine e le feci, cioè approssimativamente il 4.4% come anidride carbonica, il 94.3% come metaboliti non identificati e una piccola percentuale sotto forma di urea e carbonati. Per ingestione l'assorbimento è rapido, con comparsa immediata dei segni di intossicazione. L'assorbimento è facilitato dalla presenza nel tratto gastroenterico di grassi o di alcool. 11 tetraclorometano tende ad accumularsi nell'organismo soprattutto nel tessuto adiposo, fegato, midollo, cervello e rene. Esso viene metabolizzato nel fegato e i radicali liberi formatisi dalla dissociazione del legame CCl-Cl si legano ai costituenti cellulari, prevalentemente ai gruppi sulfidrici (-SH) delle proteine. Una via alternativa propone una decomposizione perossidativa dei lipidi del reticolo endoplasmatico. Il tetraclorometano si legherebbe alle proteine del citocromo P-450, dando origine a radicali liberi con vita molto breve. A questi intermedi molto reattivi è stato attribuito gran parte dell'effetto tossico del composto (1). Sorveglianza biologica: Analisi di routine (3). Genotossicità: In esperimenti condotti su animali da laboratorio (ratti, topi, criceti) il tetraclorometano si è rivelato mutageno (2). Cancerogenicità: È stato dimostrato sperimentalmente su animali da laboratorio che il tetraclorometano è cancerogeno. Si sospetta che esso lo sia pure per l'uomo provocando tumori al fegato e al midollo, sebbene i dati epidemiologici siano ancora inconclusivi (1, 2, 4). Effetti sulla riproduzione: In esperimenti condotti su ratti, il tetraclorometano si è rivelato teratogeno (2), ma secondo altri autori questi esperimenti hanno dato esito negativo (4). Vi sono inoltre sospetti che il composto possa produrre effetti riproduttivi anche nell'uomo (3). Tossicità Acuta: Il tetraclorometano è tossico per ingestione e per via intravenosa e subcutanea, leggermente tossico per inalazione. L'effetto narcotico che produce determina conseguenze più gravi di quelle dovute a inalazione di cloroformio. La suscettibilità al tetraclorometano nell'uomo è soggettiva; tuttavia, un'esposizione per diverse ore a 1000 - 1500 ppm del composto può essere sufficiente a determinare l'insorgenza di sintomi. Tali esposizioni ripetute per diversi giorni possono inoltre causare veri e propri avvelenamenti (2). La DL50 orale per i ratti è di 7460 mg/kg, mentre la CLi0 è di 23900 ppm per 30 minuti di esposizione. La dose letale per ingestione è di 1-2 ml nell'uomo adulto. Gli effetti tossici sono accresciuti dall'ingestione di bevande alcoliche (1). Tossicità cronica: A seguito di esposizione cronica al tetraclorometano possono manifestarsi effetti al fegato e ai reni; i primi possono essere aggravati dal consumo di alcool (3). Sintomatologia Ingestione: Irritazione delle membrane mucose, nausea, vomito, cefalea, diarrea, crampi addominali, riduzione del volume delle urine, danni ematologici, convulsioni, coma, arresto respiratorio o circolatorio, morte. Rimedi: provocare il vomito o procedere con lavanda gastrica (1). Secondo Altri, non indurre il vomito per evitare l'inala-zione di vapori che peggiorerebbero la situazione, ma diluire il composto somministran-do 1 o 2 bicchieri di acqua (2). Inalazione: Irritazione delle membrane mucose, depressione del SNC, nausea, cefalea, vertigini, incapacità di risposta agli stimoli sensoriali, inappetenza, anestesia, incoscienza, aritmia, bronchite, lesioni polmonari, epatiche e renali. Rimedi: lasciare immediatamente l'area contaminata. Contatto cutaneo: Disidratazione, irritazioni, dermatiti secche e scagliose. Rimedi: lavare con abbondante acqua tiepida e sapone. Applicare una pomata idratante. Contatto oculare: Irritazioni, lacrimazione. Rimedi: Lavare con soluzione salina o acqua corrente a palpebre aperte per 20-30 minuti. Usare un collirio decongestionante (previe indicazioni di un medico). Esami di laboratorio: Test di funzionalità epatica e renale (3). Gli esami effettuati prima possibile data la rapida eliminazione del composto c' d'organismo (4). Ambiente ed agronomia Modalità d'impiego: La manipolazione del tetraclorometano dovrebbe essere eseguita con adeguata ventilazione, indossando grembiuli di polivinile e stivali in gomma, guanti ed occhiali a tenuta. Se non si opera sotto aspirazione, indossare maschere antigas con filtro serie A oppure l'autorespiratore (1, 3). Lo stoccaggio deve essere effettuato in contenitori a tenuta, adeguatamente etichettati, mantenuti a temperatura inferiore ai 30°C in un luogo ben ventilato e protetto dalla luce, lontano da materiali ossidanti (I, 2) e, secondo alcuni autori, in atmosfera inerte. In caso di incendio, il fuoco può essere spento con estintori anidri (biossido di carbonio o Halon) (2). Degradazione ambientale: 11 tetraclorometano è sensibile alla luce, al calore e all'umidità e, in presenza di quest'ultima, è lentamente decomposto da luce e da vari metalli. Ad alte temperature è decomposto dall'acqua (2). La sua emivita nell'acqua è < 2 giorni; circa il 99.9% del composto finisce nell'aria (3). Solo in piccole quantità si lega alle particelle del suolo, mentre per la maggior parte evapora o finisce nella falda. Nell'aria la sua emivita è di 30-100 anni. Durante la sua degradazione forma composti che distruggono la fascia di ozono dell'alta atmosfera. Non si accumula negli animali ma non è noto se ciò avviene nelle piante (4). Disinquinamento: In caso di spandimento, vista l'elevata tossicità del prodotto, è necessario munirsi di mezzi personali di protezione ed emulsionare con agenti disperdenti diluendo con abbondante acqua o soluzione a base di etanolo 60-70% o di acqua e sapone, oppure assorbire con sabbia, vermiculite, terra o altro materiale simile e trasportarlo poi all'aria aperta per farlo evaporare (l, 2) o depositarlo in contenitori ermeticamente chiusi prima di smaltirlo come rifiuto pericoloso (3). Occorre inoltre rimuovere ogni fonte infiammabile e impedire l'accesso nell'area a chiunque fino a completo disinquinamento effettuato (2). Nel caso si dovesse disinquinare dell'acqua potabile contaminata, uno dei migliori sistemi è quello della filtrazione con carbone attivo (1). Bibliografia (1) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Masson, Milano. (2) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 1991. (3) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, January 1989. (4) Agency for Toxic Substances and Disease Registry - ATSDR - ToxFAQs. Chloroform. September 1997. GENERALITA’ SUI METALLI PESANTI DEFINIZIONE Il termine metallo pesante si riferisce a tutti gli elementi chimici metallici che hanno una densità relativamente alta e sono tossici in basse concentrazioni. Esempi di metalli pesanti sono rappresentati da: ferro (Fe), nichel (Ni), manganese (Mn), cromo (Cr), zinco (Zn),rame (Cu), piombo (Pb), mercurio (Hg) ecc. FONTI E DISTRIBUZIONE I metalli pesanti sono componenti naturali della crosta terrestre. Non possono essere degradati o distrutti. In piccola misura entrano nel nostro corpo via cibo, acqua ed aria. Come elementi in tracce, alcuni metalli pesanti (per esempio rame, selenio, zinco) sono essenziali per mantenere il metabolismo del corpo umano. Tuttavia, a concentrazioni più alte possono portare ad avvelenamento. Esso potrebbe derivare, per esempio, da contaminazione dell'acqua potabile (per esempio da tubature in piombo), da alte concentrazioni nell'aria ambiente vicino alle fonti di emissione, o assunzione tramite il ciclo alimentare. I metalli pesanti sono pericolosi perché tendono a bioaccumularsi. Bioaccumulazione significa un aumento nella concentrazione di un prodotto chimico in un organismo biologico col tempo, confrontata alla concentrazione del prodotto chimico nell'ambiente. I residui si accumulano negli esseri viventi ogni volta che sono assimilati ed immagazzinati più velocemente di quanto sono scomposti (metabolizzati) o espulsi. I metalli pesanti possono entrare nei rifornimenti idrici da scarti derivanti da consumi o industrie, o persino per effetto della pioggia acida che penetra nei terreni e porta i metalli pesanti nei corsi d'acqua, nei laghi, nei fiumi e nell'acqua freatica. Numerosi prodotti di uso comune contengono metalli pesanti. L’inalazione di polveri o vapori attraverso l’ apparato respiratorio (per esempio veicolate dallo smog o durante operazioni di taglio o di sverniciatura), è il più importante veicolo di penetrazione nell’ organismo. Le fonti più comuni sono vernici e altri prodotti di finitura e in particolare il loro sfarinamento dovuto ad usura o a operazioni di rimozione; combustioni di materiali plastici in PVC; fumo di sigaretta; scarichi di auto; polvere domestica (in cui si deposita lo smog); rilascio negli alimenti da vecchie stoviglie e da ceramiche dipinte realizzate senza precauzioni; pile, termometri a mercurio. EFFETTI TOSSICI L’ inquinamento da metalli è strettamente legato alle attività industriali e di combustione che ne causano la movimentazione nell’ ambiente. Benché siano elementi naturalmente presenti nell’ ecosistema, la loro mobilitazione determinata dalle attività umane ne causa l’ accumulo nella biosfera e l’ ingresso nella catena alimentare con gravi danni per l’ uomo, animali e piante. Il piombo è tra i metalli pesanti più diffusi, sorgente di malattie o di intossicazioni anche gravi, ma tutti i metalli pesanti tendono ad accumularsi nell’ organismo, determinando numerosi effetti sul breve e sul lungo periodo, diversamente connotati a seconda del metallo. Possono causare danni ai reni, al sistema nervoso e al sistema immunitario, in certi casi avere effetti cancerogeni e teratogeni. I sintomi più classici di intossicazione irritabilità ed instabilità dell’ umore, depressione, cefalee, tremori, perdita di memoria, ridotte capacità visive, parestesie. Il saturnismo (inquinamento da piombo) influisce su tutti i sistemi dell’ organismo, ma le alterazioni principali riguardano il sistema nervoso centrale, l’ apparato digerente e il sangue con effetti quali coliche addominali (spesso confuse con appendiciti), gotta, anemia. Feti, neonati e bambini sono i soggetti più a rischio in quanto il piombo viene assorbito più facilmente dagli organismi in crescita. L’ esposizione al piombo determina nei bambini ritardi nella crescita fisica e mentale, problemi comportamentali, difficoltà di concentrazione. Il mercurio è una sostanza tossica che non ha effetti noti sulla biochimica o fisiologia umana e non si trova naturalmente negli organismi viventi. L'avvelenamento inorganico da mercurio è associato a tremori, gengiviti e/o cambiamenti psicologici secondari, insieme ad aborto spontaneo ed a malformazione congenita. Monometilmercurio danneggia il cervello ed il sistema nervoso centrale, mentre l'esposizione fetale e postnatale provoca l'aborto, la malformazione congenita ed cambiamenti nello sviluppo in bambini piccoli. Il mercurio è una sostanza inquinante globale con proprietà chimiche e fisiche complesse ed insolite. Le fonti naturali principali di mercurio sono il degassamento della crosta terrestre, le emissioni dei vulcani e l'evaporazione da corpi naturali di acqua. Piccole quantità di nichel sono richieste dal corpo umano per produrre le cellule rosse del sangue, tuttavia, in quantità eccessive, possono diventare leggermente tossiche. Una sovresposizione di breve durata a nichel non è ritenuta causare alcuni problemi di salute, ma un'esposizione a lunga durata può causare riduzione del peso corporeo, danni al fegato e al cuore ed irritazioni cutanee. L'EPA attualmente non regola i livelli di nichel in acqua potabile. Il nichel può accumularsi nella vita acquatica, ma la sua presenza non è amplificata nei cicli alimentari. Il cadmio deriva le sue proprietà tossicologiche dalla sua somiglianza chimica allo zinco, un micronutriente essenziale per le piante, gli animali e gli esseri umani. Il cadmio è biopersistente e, una volta assorbito da un organismo, rimane in esso per molti anni (nell'ordine di decine per gli uomini) prima di venire espulso. Negli esseri umani, l'esposizione di lunga durata è associata a disfunzioni renali. Elevata esposizione può portare all'affezione polmonare ostruttiva ed è collegata al cancro polmonare, anche se i dati riguardo a quest' ultimo sono difficili da interpretare a causa di altri fattori concomitanti. Il cadmio può anche produrre problemi alle ossa (osteomalacia, osteoporosi) negli esseri umani e negli animali. Inoltre, il metallo può essere collegato ad aumento della pressione sanguigna e ad effetti sul miocardio negli animali, anche se la maggior parte dei dati sugli esseri umani non sostengono questi risultati. L'assunzione quotidiana media per gli esseri umani è valutata intorno a 0.15 µg dall'aria e 1 µg dall'acqua. Fumare un pacchetto di 20 sigarette può portare all'inalazione di circa 2-4 µg di cadmio, ma i livelli possono variare ampiamente. Il rame è una sostanza essenziale per la vita umana, ma in dosi elevate può causare anemia, danni a reni e fegato ed irritazione di intestino e stomaco. Le persone con la malattia di Wilson sono al più elevato livello di rischio per gli effetti sulla salute derivanti da sovra esposizione a rame. Il rame entra normalmente nell'acqua potabile dalle tubazioni di rame, e dagli additivi destinati a controllare lo sviluppo di alghe. Avvelenamenti da ingestione di grandi quantità di sali di zinco sono abbastanza comuni. Tipicamente, essi risultano da un impropria conservazione di liquidi o cibi acidi in recipienti in cui l'acido scioglie lo zinco metallico che riveste il ferro. 1 composti dello zinco sono relativamente atossici per l'uomo a causa di un meccanismo omeostatico efficiente di questo elemento, ma lo zinco e i suoi composti presentano una elevata tossicità acuta per gli organismi acquatici, maggiore nelle acque meno dure. La forma più comune di sovraccarico di ferro è emocromatosi ereditaria. Nel emocromatosi, l'assorbimento di ferro aumentato da tratto di gastrointestinale, questo conduce all'accumulazione cellulare di ferro, specialmente negli epatociti. gli studi sulla teratogenesi sia da carenza che da sovraccarico di ferro non sono definitivi. Quello che si è messo in evidenza e che in entrambi i casi lo sviluppo embriofetale può essere compromesso in quanto c’è una maggiore incidenza di malformazioni oltre che una situazione di sofferenza fetale grave che può evolvere anche in exitus. A dispetto della sua essenzialità, l’eccessiva esposizione al manganese provoca fenomeni di tossicità al sistema nervoso centrale. L’intossicazione acuta per inalazione delle polveri di manganese porta nell’immediato alla cosiddetta “febbre da vapore metallico”, caratterizzata da dolori muscolari, brividi, secchezza della gola e della bocca. I sintomi sono preceduti da bronchite acuta, nasofaringite, polmonite ed intorpidimento delle estremità. Manganese, poi dai polmoni trasferisce i suoi effetti devastanti al cervello. Il cromo è usato nelle leghe metalliche e nei pigmenti per le vernici, il cemento, la carta, la gomma ed altri materiali. L'esposizione anche a bassi livelli può irritare la pelle e causare ulcera. L'esposizione a lungo termine può causare danni a fegato e reni e danni ai tessuti circolatori e nervosi. Il cromo si accumula spesso in ambiente acquatico, rendendo pericoloso il consumo di pesci che sono stati esposti a livelli elevati di cromo. Quindi capiamo bene come sia importante uno studio dettagliato della diffusione ambientale di questi metalli allo scopo di prevenire quelli che sono i danni a cui l’ uomo e il suo ambiente possono andare incontro in seguito all’ esposizione, sia acuta che cronica a questi metalli.Saranno riportate di seguito delle schede tossicologiche per i metalli pesanti trattati SCHEDE TOSSICOLOGICHE CADMIO Formula bruta: Cd Composti: CdO Ossido di cadmio CdCl2 Cloruro di cadmio Cd(NO3)2, H2O Nitrato idrato di cadmio CdSO4, gH2O Solfato idrato di cadmio CdS Solfuro di cadmio #CAS: 7440-43-9 (cadmio) 1306-19-0 (ossido di cadmio) 10108-64-2(cloruro di cadmio) 10325-94-7 (nitrato di cadmio) 10124-36-4 (solfato di cadmio) 1306-23-6 ( solfuro di cadmio) Nome commerciale: C.I. 77180; Colloidal cadmium; Kadmium. Caratteristiche Impiego: Dl cadmio è un elemento naturale presente nella crosta terrestre, inodore ed insapore (3). Si tratta in particolare di un metallo bluastro rinvenibile anche sotto forma di polvere grigiastra (4). Si ritrova generalmente come minerale legato ad altri elementi come l'ossigeno (ossido di cadmio), il cloro (cloruro di cadmio) e lo zolfo (solfuro e solfato di c a d m i o I l cadmio utilizzato dalle industrie viene isolato durante l'estrazione di altri metalli come zinco, piombo e rame (3). Viene utilizzato come anticorrosivo nei rivestimenti dei metalli (acciaio ghisa, leghe di rame, alluminio);.la cadmiatura è generalmente realizzata per elettrolisi; il cadmio può essere temperato e polverizzato. E' utilizzato come elettrodo negativo nelle pile ricaricabili nichelcadmio o argento-cadmio. E' utilizzato come componente di numerose leghe: a basso punto di fusione. antifrizione. ad alta conducibilità, etc (I). Il cadmio costituisce inoltre l'anodo negli accumulatori ferro-nickel (2). I composti del cadmio vengono utilizzati come sorgente di cadmio per la cadmiatura elettrolitica (ossido, cloruro, cianuro); come materia prima per la preparazione di altri composti di cadmio, pigmenti per pitture, plastica, inchiostro, smalto (solfuro, solfoseleniuro); come componenti di numerosi materiali elettrici (ossido, idrossido. solfato, solfuro. seleniuro): come sostanze luminescenti per apparecchi televisivi (solfuro): in fotografia (bromuro e iodio); in galvanoplastica (carbonato) (l. 2). Composto Cadmio Peso molecolare 112.41 Punto di fusione 321°C Punto di ebollizione 765°C Densità 8.64 Solubilità (a 20°C) Insolubile in acqua c nei comuni solventi organici. E' solubile negli acidi. Insolubile in acqua, soda e potassa. ma è solubile in acidi, ammoniaca, etanolo e acetone. Ossido 128.41 non fonde 900-1000°C (polv. amorfa): 1559°C (cristalli) 960°C 6.95 (polv. amorfa); 8.15 (cristalli) 4.05 Cloruro 183.32 568°C In acqua: 140 g/l00 ml. Solubile inoltre in acidi diluiti, ammoniaca ed etanolo. In acqua: 150 g/100 ml. In acqua: 113 g/l00 ml. In acqua: 0.13 mg/100 ml. Insolubile in ammoniaca. Nitrato idrato Solfato idrato Solfuro 308.48 769.53 144.47 59°C 80°C 1750°C 132°C Sublima a 980°C in N2 2.45 3.09 4.82 Proprietà chimiche: Il cadmio è un metallo duttile, che ha proprietà simili a quelle dello zinco e, come tale, perde la sua lucentezza all'aria umida. Viene inoltre attaccato dall'ammoniaca e dall'anidride solforosa, entrambe in presenza di umidità. Polveri di cadmio costituiscono un rischio di incendio quando vengono esposte al calore, a fiamma o a contatto con forti agenti ossidanti. Il metallo reagisce violentemente con il nitrato di ammonio, con il selenio e con il tellurio per riscaldamento. Il selenito di cadmio costituisce un rischio quando viene esposto al calore; a contatto con l'umidità e con gli acidi emette inoltre fumi di seleniuro di idrogeno (H2Se), gas estremamente tossico. La reazione tra il fosfuro di cadmio e l'acido nitrico concentrato è esplosiva (2). A temperatura ordinaria e in condizioni anidre, il cadmio non viene attaccato dall'ossigeno; si ossida lentamente in presenza di umidità. Riscaldato a temperature elevate, brucia con emissione di vapori giallo-rossastri di ossido di cadmio. Il cadmio è facilmente attaccabile dagli acidi, anche dai più deboli, come per esempio gli acidi organici presenti nelle sostanze alimentari. Esso si dissolve lentamente in acido cloridrico e solforico diluiti con emissione di idrogeno. Con l'acido nitrico diluito esso dà origine a ossidi di azoto (1). Il cadmio e i suoi composti catalizzano in chimica organica un gran numero di reazioni, in particolare le reazioni di polimerizzazione. Il nitrato di cadmio è un forte ossidante che può reagire violentemente con le sostanze organiche facilmente combustibili (l). Metodi di analisi:Assorbimento atomico Bibliografia dei metodi di analisi: "Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo", Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, Roma 1994 Tossicologia Tossicocinetica - Metabolismo: L'assorbimento dei composti a base di cadmio avviene principalmente per via digestiva e polmonare sia per l'uomo che per gli animali. Diversi elementi nutrizionali (ferro, calcio, proteine) possono influire su questo assorbimento. L'assorbimento per via cutanea è considerato trascurabile (l, 2). II cadmio assorbito viene trasportato attraverso il sangue; esso è soprattutto presente negli eritrociti (70%) in forma legata all'emoglobina. La sua percentuale è normalmente trascurabile. In caso di esposizione prolungata il suo tasso sanguigno aumenta lentamente e regolarmente fino a stabilizzarsi; al termine dell'esposizione esso diminuisce con un'emivita pari a 40-80 giorni. Il cadmio si distribuisce attraverso gli organi (pancreas. polmone, cuore, ecc.) nei quali poi si accumula, soprattutto nel fegato e nei reni dove si concentra dal 50 all'80% della dose totale legato principalmente alla metallotioneina. L'emivita biologica del prodotto nell'organismo è molto lunga: da 10 a 30 anni. L'escrezione avviene principalmente per via urinaria; l'escrezione fecale sembra correlabile alla quantità di cadmio ingerito e non assorbito (1, 2). Poiché in lavoratori esposti sono state riscontrate concentrazioni di cadmio nella saliva maggiori del normale, sembra possibile una escrezione attiva tramite anche questa via (2). Il cadmio si accumula nell'organismo, aumentando con l'età, con valori più elevati nei fumatori (2).3 Sorveglianza biologica: Test delle urine per il cadmio, per le proteine a basso peso molecolare; analisi delle urine; test di funzionalità dei polmoni, analisi di unghie e capelli (l, 3, 4). Per coloro che sono esposti a concentrazione di cadmio TLV è raccomandata un'analisi completa del sangue (4). La concentrazione di cadmio nelle urine non deve superare, in condizioni normali, l mg/g di creatinina (2) o deve essere inferiore a 10 microg/l di urina (4). Genotossicità: Diversi composti minerali determinano in vitro un aumento della frequenza di aberrazioni cromosomiche in fibroblasti di cavie e in linfociti umani: tuttavia questo risultato si verifica a dosi citotossiche, rendendo quindi queste prove relativamente significative. I risultati di esperimenti in vivo sui topi sono stati negativi. Cancerogenicità: Tre studi sulla cancerogenicità del cadmio sono stati realizzati per via orale, due sui ratti e uno sui topi. Per via intramuscolare la polvere di cadmio e il solfuro hanno provocato insorgenza di sarcomi nel punto di iniezione. Per via sottocutanea l'ossido, il solfuro, il cloruro e il solfato hanno ugualmente mostrato l'insorgenza di sarcomi locali; nel caso dei due ultimi sali, sono stati osservati anche tumori testicolari e, in un caso, anche tumori pancreatici. Ratti esposti ad aerosol di cloruro di cadmio per 18 mesi hanno sviluppato carcinomi ai polmoni con una frequenza proporzionale alla concentrazione atmosferica del metallo. Il cadmio, e soprattutto l'ossido di cadmio, è un probabile agente cancerogeno per l'apparato respiratorio e urogenitale nonché per la prostata nell'uomo (2, 3, 4). Effetti sulla riproduzione: Il cadmio produce degli effetti a tutti gli stadi della riproduzione; le dosi efficaci sono spesso minime, ma variano generalmente a seconda della via di somministrazione. Per i mammiferi gli organi più sensibili alla tossicità del cadmio sembrano essere i testicoli: una sola iniezione alla dose di 1 mg/kg di cadmio o di 3.7 mg/kg di cloruro di cadmio ha provocato in topi, ratti e cavie lesioni irreversibili. La produzione di spermatozoi era totalmente alterata. A seguito di somministrazione orale ripetuta, gli effetti sono stati dello stesso tipo, ma molto meno marcati. Sugli organi riproduttivi femminili gli effetti si sono rivelati molto meno gravi e rapidamente reversibili. L'effetto sulla fertilità a seguito della somministrazione di cadmio nei pasti o nell'acqua da bere è stato l'oggetto di numerosi studi multigenerazionali su topi e ratti. L'assenza di informazioni sufficienti riguardo questi studi e i loro risultati contraddittori impediscono di tirare qualsiasi conclusione. A seguito di iniezioni o somministrazioni orali a dosi massicce, è stata ottenuta una serie di risultati embrioletali, fetotossici e teratogeni. Il cadmio è un probabile teratogeno per l'uomo (4). Tossicità acuta: Il cadmio è un elemento altamente tossico per inalazione ed ingestione e, per di più, tende ad accumularsi nell'organismo, I suoi composti sono irritanti e al contendo sono tossici sistemici. L'azione irritante è a Carico della cute, della mucosa nasale e bronchiale mentre l'azione sistemica si esprime soprattutto a livello renale. La concentrazione letale si aggira intorno ai 2500 mg/ m per l'esposizione di 1 minuto, mentre per via orale 10 mg/kg di sali solubili possono comportare gravi lesioni a livello renale. (2). Gli effetti dovuti al contatto cutaneo non sembrano essere dannosi per uomo ed animali (3). I valori di DLS0 per via orale nei ratti sono molto variabili a seconda del composto: 53-260 mg/kg per l'ossido, il cloruro, il solfato e il nitrato; 2330 mg/kg per la polvere di cadmio; 5000 mg/kg per il solfuro. Secondo un'altra fonte, la DL 50 orale per i ratti, riferita al nitrato, è di 300 mg/kg (2). Gli effetti osservati sono digestivi, polmonari, cerebro-meningei e testicolari. La CL50 per inalazione di fumi di ossido a seguito di un'esposizione di 10 minuti è compresa tra 50 e 130 mg/m' per i topi e i ratti, tra 200 e 400 mg/m3 per cavie, conigli e cani, circa 1500 mg/m3 per le scimmie. A seguito di inalazione, gli effetti osservati interessano essenzialmente i polmoni: ad una concentrazione vicina alla CL50 dopo 24 ore si sviluppa un edema polmonare, successivamente, dopo 3-10 giorni, si verificano lesioni polmonari fino alla morte degli animali. In tutte queste intossicazioni respiratorie gli effetti polmonari sono accompagnati da disturbi minori di reni e fegato associati ad un accumulo di cadmio in questi organi (I). Tossicità cronica: La tossicità cronica dei composti di cadmio per via orale è stata studiata su ratti, cani e scimmie, soprattutto con il cloruro. L'aggiunta di questo sale nei pasti degli animali ha provocato lesioni renali limitate ai tubuli prossimali. Gli effetti cominciavano a manifestarsi alla dose di 10 ppm somministrata per 40 settimane, mentre si dimostravano gravi a dosi superiori a 50 ppm. Nei topi e nei conigli la somministrazione orale di 5 ppm di cadmio riduce la possibilità di sopravvivenza degli animali (I). L'esposizione di lavoratori a fumi di ossido di cadmio per almeno 5 anni provoca un irreversibile danno polmonare come fibrosi ed enfisema. II cadmio si accumula principalmente nella corteccia renale provocando proteinuria tubulare. Di particolare interesse sono le alterazioni ossee, gravi dolori reumatici e mialgie con deformità scheletriche (2, 3, 4). Sintomatologia Ingestione: Nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, crampi muscolari, ipersalivazione, disturbi idroelettrolitici, disturbi emodinamici, insufficienza renale, citolisi epatica, collasso cardiovascolare, morte. Rimedi: gastrolusi con somministrazione di carbone attivo. Inalazione: Tosse, dolori toracici, dispnea, brividi, febbre, cefalea, iperleucocitosi edema polmonare, morte. Rimedi: allontanare l'infortunato, sottoporre a rianimazione respiratoria. Contatto cutaneo: Rimedi: lavare con acqua e sapone. Contatto oculare: Rimedi: lavare abbondantemente con acqua per almeno 15minuti. Approccio terapeutico: In caso di inalazione, somministrare cortisonici e antibiotici. Non vi sono al momento agenti chelanti in grado di disintossicare l'organismo senza provocare lesioni renali più accentuate (2). Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: L'inquinamento da cadmio può verificarsi in prossimità di cave estrattive, industrie, per combustione di carburanti e di rifiuti urbani. Nell'aria le particelle di cadmio possono muoversi per grandi distanze prima di precipitare ed inquinare le acque o il suolo, dove si lega fortemente alle particelle del terreno. Nell'ambiente non viene degradato ma cambia la sua forma. Tutti gli esseri viventi possono assumerlo dall'ambiente e bioaccumularlo nell'organismo (3). II cadmio ha una lunga persistenza nell'acqua, con un'emivita di oltre 200 giorni (4).3 Bibliografia: (I) INRS Fiche toxicologique, n° 60, CND 144, 3° trim. 1991. (2) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano. (3) ATSDR - Agency for Toxic Substances and Disease Registry, April 1993. Cadmium, U.S. Department of Health and Human Services, Public Health Service. Atlanta, GA, USA.. (4) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, U.S.A., July 31, 1986. CROMO Formula bruta: Cr Cr03 Anidride cromica (triossido di cromo) # CAS: 7440-47-3 (cromo) Caratteristiche Impiego: Il cromo è un elemento che si trova in natura nelle rocce, nel suolo, nelle polveri vulcaniche e 1 nei gas. » un metallo lucente, di colore grigio acciaio, spesso presente in polvere. Si rinviene nelle forme con valenza 0 (non in natura), (III) (stabile in natura) e VI (raro). Il cromo (III) in piccole quantità è un importante elemento per la dieta umana. I composti del cromo non hanno sapore ne odore. In industria è utilizzato per aumentare considerevolmente la resistenza e la durezza dei metalli nonchè per placcature al cromo, per conservare il legno e per rivestimenti di forni (3). Gran parte del cromo prodotto viene usata nella produzione di acciaio inossidabile e leghe con ferro, nickel, vanadio, molibdeno, cobalto, rame e titanio. Questi acciai hanno proprietà di elevata durezza e resistenza alla corrosione. I composti del cromo vengono impiegati in galvanoplastica. in litografia, nella concia delle pelli, nella colorazione del vetro, nell'industria tessile per la tintura, nell'industria chimica per la produzione di pitture, inchiostri ed esplosivi (2). L'anidride è utilizzata per: cromatura elettrolitica dei metalli; sintesi organiche (catalizzatore, agente di ossidazione, preparazione dei cromati); purificazione di oli e acetilene; preparazione di inchiostri e vernici; in medicina (antisettico e caustico come soluzione); in fotografia (1). Proprietà fisiche: Composto Cromo Cromo Cromo Anidride Valenza O 3 6 100.1 196°C (si decompone leggermente) 2.80 (prodotto fuso) E' molto solubile in acqua (62,49% a 20°C); la solubilità aumenta con la temperatura Peso molecolare Punto di fusione Densità Solubilità Proprietà chimiche: L'anidride cromica riscaldata lentamente si decompone con liberazione di ossigeno tra 200 e 550°C. Se riscaldata rapidamente, la liberazione brusca di ossigeno a circa 330°C provoca una esplosione. E' un composto estremamente reattivo a causa del suo forte potere ossidante. Esso agisce prontamente con le sostanze riducenti, come zolfo, fosforo, selenio, idrogeno solforato, ammoniaca. In presenza di acidi si comporta da ossidante. Numerose sostanze organiche sono ossidate dall'anidride cromica. La carta viene bruciata semplicemente mettendola in contatto con questa sostanza. Nelle soluzioni di anidride, l'ossidazione porta ad aldeide e poi ad acido acetico. Numerosi metalli sono attaccati dall'anidride, talvolta con reazione violenta (metalli alcalini). Ad alcune concentrazioni, si forma un rivestimento protettivo ed il metallo diventa passivo (1). II cromo metallico è insolubile (4). Sotto forma di polvere, può prendere fuoco spontaneamente. L'anidride cromica reagisce violentemente per riscaldamento con acido acetico; si infiamma per contatto con alcoli, acetone, glicerina, zolfo, fosforo e piridina. Il dicloruro di cromile può esplodere violentemente durante la preparazione, o per contatto con composti alchil-aromatici, cloro liquido, tricloruro di fosforo, azoturo di sodio; si infiamma invece a contatto con acetone, etanolo, etere etilico, urea e fosfina. Il cromo acetato anidro è piroforico a contatto con l'aria e il sodio bicromato reagisce violentemente esplodendo con anidride acetica (2). Metodi di analisi:Assorbimento atomico Tossicologia Tossicocinetica - Metabolismo: L'anidride cromica, una volta ingerita o inalata, si combina con l'albumina tissutale. L'acido cromico ed i suoi sali disidratano ed ossidano i tessuti (I). L'eliminazione avviene con le urine (4). Il cromo e i suoi composti sono assorbiti per via cutanea, respiratoria e gastrointestinale, e il grado di assorbimento dipende dalla forma chimica in cui si trova l'elemento. Una volta assorbito, il cromo si lega per la maggior parte alle proteine plasmatiche da cui va rapidamente liberandosi, distribuendosi nel reticolo endoteliale di milza, fegato, reni e polmoni, ove raggiunge concentrazioni 10-100 volte più elevate. L'escrezione del metallo avviene per 1'80% attraverso le urine e per il rimanente con le feci. I livelli medi di escrezione urinaria di soggetti non esposti sono inferiori a 5 microg/l (2). Sorveglianza biologica: La presenza del cromo nell'uomo può essere rilevata nei capelli, nelle urine, nel siero, nei globuli rossi e in tutto l'organismo (3). Senza esposizione professionale al cromo i livelli del metallo nelle urine sono generalmente inferiori a 15 microg/l (4). Genotossicità:si ritiene che il cromo sia mutageno (4). La cancerogenicità di alcuni composti come il cromato di piombo e di zinco (2). Gruppi di 60 ratti maschi e femmine sono stati trattati con somministrazioni orali di Cr203 alle dosi di 0, 1, 2 o 5% per 5 giorni/settimana per un totale di 600 pasti (circa 840 giorni). L'obiettivo primario di questo studio era quello di stabilire la cancerogenicità del composto. Sono stati quindi monitorati il peso corporeo e l'assunzione del cibo. Gli animali sono stati tenuti in osservazione anche dopo il termine della somministrazione fino alla loro morte. All'analisi istologica di tutti gli organi interni non si è riscontrato alcun effetto dovuto al trattamento. A seguito di un altro simile esperimento su ratti per 90 giorni, gli unici effetti riscontrati sono stati una riduzione (12-37%) del peso assoluto di fegato e milza degli animali trattati con le dosi più alte (1400 mg/kg/giorno) (5). Effetti sulla riproduzione: Non esistono conferme per il cromo riguardo alla capacità di causare danni riproduttivi (3, 4). Prove effettuate su topi che avevano ingerito grandi quantità di cromo Il cromo può causare cancro nell'uomo e negli animali, in particolare ai polmoni e alle alte vie respiratorie. Tossicità acuta: Tutte le forme di cromo possono essere tossiche ad alti livelli ma il cromo (VI) è molto più tossico del cromo (III). L'anidride cromica, in polvere o in soluzione, agisce soprattutto per contatto diretto e per inalazione (1). La DL50 orale per il cromo cloruro nei ratti è di 1790 mg/kg; per il cromo nitrato è di 3250 mg/kg (2). Sintomatologia Ingestione: Tumefazione delle labbra e della lingua, secchezza delle fauci, disturbi digestivi, lesioni gastriche, vomito, dolori addominali, convulsioni, danni epatici e renali, morte. Rimedi: somministrare immediatamente 300-500 ml di latte e provocare il vomito. Inalazione: Tosse, ulcerazioni della mucosa nasale con perforazione della cartilagine, congestione polmonare, bronchite, asma, febbre, gusto metallico, brividi, dolori muscolari. Rimedi: Trasferire l'infortunato all'aperto. Contatto cutaneo: Bruciature, ulcerazioni, dermatiti eczematose. Rimedi: lavare abbondantemente con acqua e sapone. Contatto oculare: Congiuntiviti, lesioni gravi. Rimedi: lavare abbondantemente con acqua per almeno 15 minuti. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: Il cromo è presente nei corpi d'acqua naturali con stato di ossidazione 3+ (III) e 6+ (VI), e ciascuna può essere convertita nelle altre forme sotto particolari condizioni ambientali. L'inquinamento delle acque può avvenire per trasporto in fiumi nelle vicinanze di siti industriali o discariche; nell'aria e nel suolo può derivare dalla combustione di carburanti fossili (3, 4). La precipitazione delle particelle contenenti cromo presenti nell'aria avviene in meno di 10 giorni. Nel suolo il cromo si lega fortemente alle particelle del terreno. Nell'acqua la maggior parte del cromo si lega ai sedimenti, mentre solo una piccola quantità entra in soluzione e pertanto contamina le falde. I pesci non lo bioaccumulano (3). Per la vita acquatica, il cromo (VI) ha una tossicità acuta maggiore del cromo (III). Non sono disponibili dati sulla tossicità a breve termine per le piante, gli uccelli e gli animali terrestri. Il cromo è caratterizzato da un'alta persistenza nell'acqua, con emivita 200 giorni (4). Bibliografia: (1) INRS Fiche toxicologique, n° I, 1975. (2) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano. (3) ATSDR - Agency for Toxic Substances and Disease Registry, April 1993. Chromium, U.S. Department of Health and Human Services, Public Health Service, Atlanta, GA, USA. (4) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, U.S.A., July 31, 1986. (5) Ivankovic, S. and R Preussmann, 1975. Absence of toxic and carcenogenic effects after administration of high doses of chromic oxide pigment in subacute and longterm feeding experiments in rats. Food Cosmet. Toxicol. 13: 347-351. FERRO Formula bruta: Fe Composti: solfato ferroso FeSO4 è quello che trova maggiori impiego come fitofarmaco. Impiego: battericida, correttivo, integratore nutrizionale. Aspetto fisico: Solido in cristalli fini o grossolani di colore verdastro o giallastro Peso molecolare: 151.91 Solubilità: In acqua: solubile a 20°C. Metodi di analisi: Spettrofotometria in assorbimento atomico Tossicologia Tossicocinetica e metabolismo LA DISTRIBUZIONE negli epatociti Il Ferro è assorbito dal lume intestinale attraverso le cellule epiteliali della mucosa, raggiunge il plasma dove si lega alla transferrina, un glicoproteina di 83-kDa. La Transferrina, è una proteina di trasporto per il ferro sintetizzata e immessa in circolo dagli epatociti ; Lega il ferro formando un complesso ferro-transferrina. Questi complessi giungono ad un recettore per transferrina sulla membrana cellulari dal lato plasmatico ed è interiorizzato con il recettore per endocitosi (Figura 7). Il basso pH nell’ endosoma vescicolare causa la dissociazione di ferro dal complesso ferritina recettore. Il complesso di transferrina-recettore viene riciclato e torna alla membrana cellulare, la transferrina(TF) è rilasciato posteriore nella circolazione. Ferro può entrare anche epatociti come i complessi di citrato di Fe3+ o i complessi di Fe3+-eme attraverso carrier speciali. Il ferro di Intracellulare è immagazzinato nella forma di ferritina alcuni/e dei/lle quali è scambiato con emosiderina ed accumula in lisosomi. Il Ferro è preso anche su da epatociti come eme. Almeno tre complessi di eme diversi possono entrare: emoglobina-aptoglobina, eme-emopexina, e eme-albumina (Smith e Morgan, 1979; Ceppo) et al., 1980; Al di et di Sinclair., 1988). Una volta nel epatocita, il eme viene rotto. Il Ferro è rilasciato ed entra rapidamente nel compartimento di ferro scambiabile. Il ferro di Intracellulare è immagazzinato principalmente come ferritina. Ferro intracellulare aumentando incentiva la sintesi di apoferritina aumentando la traduzione di apoferritina mRNA preesistente. Ferritina maturo è composta da 24 subunità con un peso molecolare di 450 kDa ed è capace di magazzinare 4500 atomi di ferro come ossido-fosfato ferrico ed idrato (al di et di Seligman., 1987). Quando c’è bisogno, di ferro ferrico è rilasciato da ferritina riducendo agenti, come cisterna, glutatione, acido ascorbico. Ferritina ha emivita di 24 h ed è degradata a emosiderina che si accumula nei lisosomi di cellule ferro-sovraccaricate (Figura 7) (al di et di Masuda., 1990. L'escrezione di biliare di ferritina endogena durante sovraccarico di ferro è un processo clorochina-sensibile, microfilamenti-dipendente (al di et di Ramm., 1994).Il Ferro è legato da transferrina e ferritina non solo per il trasporto e per il deposito, ma anche per impedire al ferro di catalizzare reazioni di radicali liberi che sarebbero tossiche. Meccanismo di azione tossica: La forma più comune di sovraccarico di ferro è emocromatosi ereditaria. Nel emocromatosi, l'assorbimento di ferro aumentato da tratto di gastrointestinale, questo conduce all'accumulazione cellulare di ferro, specialmente negli epatociti. Dal ferro sono catalizzate diverse reazioni tra cui la perossidazione attraverso la formazione di radicali liberi che rappresentano un importante componente della tossicità di ferro in epatociti favorendo la perossidazione dei lipidi che precede la morte cellulare (al di et di Hogberg., 1975). L'antiossidante, è un tocoferolo, è il chelatore di ferro, deferoxamina ed apotransferrina significativamente riducono la perossidazione dei lipidi e migliorano l’ autosufficienza di cellula . Molti studi hanno tentato di chiarire quali membrane cellulari sono danneggiate durante sovraccarico di ferro. Lo studio da al di et di LeSage. (1986) mostrò quell'in ratti alimentati con carbonil ferro associato all’alimentazione, l’ attività degli enzimi lisosomiali epatici fu ridotte, indicando il guasto di lisosomi (al di et di Peters., 1985). al di et di Myers. (1991) mostrò che quel sovraccarico di ferro aumentò perossidazione di lipide di lisosomiali, decrescendo cosi la fluidità delle membrane, e innalzando il pH intra lisosomiale . Molti studi sono stati effettuati sugli effetti del sovraccarico di ferro sulle funzioni di mitocondriali. I Mitocondri si gonfiano, viene inibita la fosforilazione ossidativa, la perossidazione mitocondriale dei lipidi di membrana, e le sintesi di proteine di membrana in seguito al sovraccarico di ferro (Ganote e Nahara, 1973; Al di et di Hanstein., 1981; Al di et di Castilho., 1994). Il Sovraccarico di ferro cronico riduce l'attività di citocromo ossidasi epatica, questa riduzione è dipendente dalla concentrazione di fosfolipidi di membrana, specialmente di cardiolipina (Tzagoloff e MacLennan, 1965; Frigga e Verde, 1980). La Cardiolipina contiene acidi grassi poliinsaturi che sono estremamente sensibili a perossidazione (al di et di Mitchell., 1980). Così, la perossidazione di questi acidi grassi possono essere responsabili di in attivazione della citocromo ossidasi e della disgregazione susseguente della fosforilazione ossidativa mitocondriale. Il solfato di ferro interferisce con l'assorbimento della vitamina E nei bambini prematuri. può aumentare (l'emolisi dei globuli rossi nei bambini con carenza di vitamina E. Effetti sulla riproduzione: gli studi sulla teratogenesi sia da carenza che da sovraccarico di ferro non sono definitivi. Quello che si è messo in evidenza e che in entrambi i casi lo sviluppo embriofetale può essere compromesso in quanto c’è una maggiore incidenza di malformazioni oltre che una situazione di sofferenza fetale grave che può evolvere anche in exitus. La mortalità che si colloca verso il giorno 12 di gestazione. La precocità di questo picco correla con il periodo del aumento rapido in cellule rosse nel sangue ,periodo in cui il metabolismo aerobico diviene importante nell'embrione. l'unica causa significativa della deficienza di ferro altro che la ridotta introduzione materna dell'elemento è il diabete cancerogenicità: La cancerogenesi del ferro in mammiferi è poco chiaro. Esposizione professionale, principalmente agli ossidi, è comune nello scavare, ferro e lavoro di fonderia di acciaio ed in saldatura ad arco. Studi epidemiologici hanno mostrato che una mortalità di eccesso da cancro di polmone è stata osservata in minatori di ferro- minerale metallico rispetto alla popolazione non esposta. Un Incidenza aumentato di cancro di polmone è stato riportato anche in lavoratori di fonderia di acciaio da Sheffield, l'Inghilterra (McLaughin e Harding, 1956). più recentemente un epidemiologo francese ha trovato una mortalità aumentata per cancro del polmone, e dello stomaco minatori (al di et di Chau., 1993). si concluse che il rischio di cancro di polmone in questi minatori era dovuto principalmente a causa di polvere, fuliggine di motore diesel, e gli altri cancerogeni aerotrasportati, mentre per i cancri di stomaco essendoci un riflusso di postinalazione ed ingoiando le polveri tossiche inalate (al di et di Meyer., 1980). Un studio sul cancro di stomaco mostrò che molti dei soggetti furono esposti smodatamente alle polveri, e che il rischio della formazione di cancro aumentò con la concentrazione e la durata delle esposizioni (al di et di Kraus., 1957). Sintomatologia Ingestione: Nausea. costipazione. feci scure. dolori di stomaco, letargia, ipotensione. ulcerazione della mucosa gastrica, danni epatici. inalazione: Irritazione delle alte vie respiratorie. contatto oculare: Irritazioni. approccio terapeutico: Allontanare il soggetto esposto dal contatto con il composto. Lavaggio con acqua. Lavaggio abbondante con acqua per almeno 15 minuti. bibliografia: Nuccinelli M.. 1997. Prontuario dei fitofarmaci (VIII edizione). Edagricole. Bologna. (2) New Jersey • tsartment of Health. Trenton. NJ. February 1989. MANGANESE Caratteristiche chimico-fisiche Manganese, elemento del gruppo VIIA del sistema periodico, ha proprietà per molti aspetti simili a quelle del ferro, immediatamente preceduto nella prima serie di transizione. Manganese, tuttavia, è più duro, più fragile e meno refrattario del ferro. L’elemento ha una densità di 7,3 g/cm3, una temperatura di fusione di 1244 °C ed una temperatura di ebollizione di 1962°C il Manganese puro è di colore argenteo, ma non si trova in natura. Manganese metallico è ferromagnetico soltanto dopo uno speciale trattamento. Questo metallo è chimicamente reattivo e si dissolve rapidamente in acidi diluiti non ossidanti; nel cloro si incendia per formare MnCl, reagisce con l’ossigeno ad alta temperatura, producendo Mn3+ O Mn4+; si combina anche direttamente con B, C, S, Si e P Manganese ha numerosi stati di ossidazione, il più importante dei quali, sotto l’aspetto pratico, è quello bivalente. Mn(II) forma una serie di sali manganosi con tutti i più comuni anioni, quasi tutti solubili e cristallizzabili come idrati; Mn(II) forma anche una serie di chelati con EDTA ed altri agenti. La chimica di Mn(III) non è molto vasta, perché in soluzione acquosa Mn(III) è instabile e viene rapidamente ridotto a Mn(II). Allo stesso modo i composti Mn(IV) sono di limitata importanza pratica, ad eccezione di MnO2. Mn(VI) si trova soltanto nello ione manganato (MnO2). I permanganati, che sono forti agenti ossidanti, hanno valenza +7. Diffusione ambientale Il Manganese è relativamente abbondante (costituisce intorno allo 0.1 % della litosfera) ed è il dodicesimo elemento più comune. Tra i metalli pesanti è secondo soltanto al ferro. Il Manganese in natura si trova combinato con borati, carbonati, fosfati, ossidi, silicati e solfuri. Il minerale contenente manganese più importante è la pirolusite (MnO2); altri minerali sono i rodanati e la rodocrosite . Le miniere si trovano in depositi sotterranei o all’aperto. I maggiori giacimenti sono in Australia, Brasile, Gabon, Sud-Africa, Russia, India e Messico. Ci sono grandi riserve di manganese nelle profondità oceaniche in forma di noduli polimetallici, attualmente considerate non utilizzabili, perché di recupero dispendioso e difficile. Manganese è presente in tutti i tessuti animali e vegetali, nell’acqua e nel pulviscolo atmosferico. Nelle aree urbane e rurali senza sorgenti puntiformi, i livelli di fondo dell’elemento nell’aria vanno da 0,01 a 0,07 mg/m3, mentre nelle aree con sorgenti di emissione industriale i livelli vanno da 0,22 a 0,3 mg/m. Le sorgenti antropogeniche di manganese nell’ambiente aereo sono costituite dalla combustione dei combustibili fossili (20%) e dall’emissione gassosa industriale (80%). L’utilizzo dei composti organometallici nella produzione di benzine può provocare un incremento delle concentrazioni di manganese nell’ambiente aereo delle aree urbane. L’erosione del suolo è un’altra importante sorgente di manganese nell’aria, ma i dati disponibili per stimare questo contributo sono scarsi. Le concentrazioni medie di manganese nell’acqua di mare sono di 2 mg/L, mentre nell’acqua dolce vanno da 1 a 200 mg/L. Alcuni composti, come il cloruro ed il solfato di manganese, sono solubili in acqua e quindi l’esposizione può avvenire attraverso l’ingestione di acqua contaminata. Utilizzi produttivi Manganese è stato proposto come elemento da Sheele nel 1771, ma è stato scoperto da Gahn, un chimico svedese che nel 1774 lo ottenne per riduzione della pirolusite tramite carbone. I suoi utilizzi, però, sono rintracciabili nel Periodo del Paleolitico, quando il biossido di manganese era impiegato come pigmento nelle pitture delle caverne. Più tardi, nell’Antica Grecia, la presenza di manganese nei minerali ferrosi usati dagli Spartani è la più plausibile spiegazione del fatto che le loro produzioni metalliche fossero superiori a quelle dei Troiani. Gli Egizi ed i Romani utilizzavano i minerali del manganese nella produzione del vetro, sia per la decolorazione sia per la colorazione (rosa, porpora o nera). Il nome del metallo deriva dal latino “magnes”, e proviene dalle proprietà magnetiche della pirolusite Manganese viene utilizzato in piccole quantità nella produzione di leghe di alluminio, rame, zinco, magnesio per incrementarne alcune proprietà. Il secondo settore utilizzatore di manganese è attualmente quello della produzione di batterie. Nel 1868 Leclanché sviluppò le batterie a secco, tramite l’utilizzo del biossido di manganese come depolarizzante. I composti del manganese si formano da reazioni con Mn metallico o con i minerali che contengono l’elemento. Il cloruro di manganese trova impiego nella produzione di accumulatori elettrici, di integratori per mangimi zootecnici, di catalizzatori per la clorazione di sostanze organiche e di precursori per altri composti del mandanese I. Il biossido di manganese trova impiego, oltre che nella produzione di accumulatori elettrici, nella produzione del vetro e dei fuochi d’artificio. Il solfato di manganese viene usato nella produzione di ceramiche, nonché di integratori per mangimi zootecnici e di fertilizzanti. Manganese in varie forme viene anche impiegato nella produzione di pigmenTi e vernici nere, circuiti elettronici, preparazioni industriali e farmaceutiche. I composti organici del manganese si utilizzano nella produzione di fungicidi, additivi per benzina con e senza piombo, combustibili in genere e abbattitori di fumo. Alcuni fungicidi della famiglia dei ditiocarbammati, come Maneb e Mancozeb, contengono l’elemento e sono molto utilizzati per il controllo di avversità della vite, dei cereali e delle piante da frutto in genere. Diffusione negli alimenti Fino a tempi recenti, le informazioni disponibili sul contenuto di manganese dei diversi alimenti e sull’assunzione da parte delle varie categorie della popolazione erano scarse. La situazione è cambiata con il miglioramento delle tecniche analitiche e con l’acquisizione delle conoscenze sul significato che ha l’elemento per la salute. Analisi effettuate in numerosi paesi mostrano come i livelli del metallo nelle stesse categorie di alimenti sono abbastanza simili. Le concentrazioni nei diversi tipi di alimenti, invece, mostrano grandi variazioni: i valori più elevati di manganese si tro- vano nei prodotti vegetali, specialmente nei cereali integrali, mentre i valori più bassi si trovano nei prodotti di origine animale. Il tè può costituire la maggior fonte di manganese nella dieta ed è probabile che in una dieta in cui non sono presenti tè e cereali interi ci sia una bassa assunzione di manganese Diffusione nell’organismo e ruolo biologico Manganese si è rivelato elemento essenziale in ogni specie animale studiata. Il contenuto totale di manganese nell’organismo umano varia da 12 a 20 mg . L’elemento è noto come attivatore di diversi enzimi in vitro e costituisce numerosi enzimi (arginasi, piruvato carbossilasi, glutamina sintetasi e superossido dismutasi mitocondriale). Manganese, inoltre, è essenziale per la formazione dell’osso e della cartilagine. Manganese può essere essenziale per l’utilizzazione della vit. B1, della vit. E e del ferro. Non sono stati accertati con sicurezza casi di carenza di manganese nell’uomo. Manganese, dopo essere entrato nel circolo sanguigno, viene in gran parte captato dal fegato. L’escrezione avviene quasi esclusivamente per via biliare, ma con un circolo entero-epatico che ne limita l’eliminazione. L’elemento viene concentrato, quindi, nel fegato ed anche nel rene e nel pancreas, organi ricchi di mitocondri. I tessuti ricchi di cheratina possono accumulare manganese ed è stato proposto che i capelli ed il pelo possano riflettere lo stato dell’elemento nell’organismo. Le strutture pigmentate come la retina, la pelle scura ed i granuli di melanina contengono alti livelli di manganese. Le ossa sono abbastanza ricche di manganese ed a causa della loro massa contengono la percentuale dell’elemento più elevata del corpo (nell’uomo il 25% del contenuto totale). Il feto non accumula riserve di manganese prima della nascita e le concentrazioni tissutali fetali sono molto basse. Tossicità A dispetto della sua essenzialità, l’eccessiva esposizione al manganese provoca fenomeni di tossicità al sistema nervoso centrale L’intossicazione acuta per inalazione delle polveri di manganese porta nell’immediato alla cosiddetta “febbre da vapore metallico”, caratterizzata da dolori muscolari, brividi, secchezza della gola e della bocca. I sintomi sono preceduti da bronchite acuta, nasofaringite, polmonite ed intorpidimento delle estremità. Manganese, poi, dai polmoni trasferisce i suoi effetti devastanti al cervello. L’intossicazione può portare a manifestazioni acute psichiche e neurologiche, che nel complesso prendono il nome di “manganismo”. Tali sintomi sono molto simili a quelli del morbo di Parkinson (difficoltà nel cammino e nel controllo preciso dei movimenti della mano), causati da degenerazione cerebrale e distruzione della funzione nervosa in alcune aree. Se l’intossicazione non viene scoperta in tempo i sintomi possono esacerbarsi e diventare irreversibili. Possono essere esposti ad un eccesso di manganese anche gli operatori agricoli che utilizzano impropriamente i formulati contenenti le sostanze attive a base di manganese. Ricerche epidemiologiche ed esperimenti in vitro suggeriscono che gli effetti tossici possono verificarsi con esposizioni a concentrazioni di Mn molto basse. Fino a tempi recenti si credeva che, mentre i vapori e le polveri del metallo potessero provocare tossicità, l’ingestione di manganese con il cibo non provocasse danni. La comune opinione che manganese negli alimenti non sia potenzialmente tossico. Il sovraccarico di manganese, infatti, causa lesioni ai gangli basali con abbassamento dei livelli di dopamina. Quindi, anche se la maggior parte dei casi di tossicità cronica è legata all’inalazione di particolato contenente manganese, gli effetti sul SNC si hanno anche con l’ esposizione al manganese attraverso altre vie. E’ stata osservata tossicità in popolazioni che bevevano acqua contenente naturalmente concentrazioni elevate di manganese. La tossicità è stata anche evidenziata in individui che ricevevano alimentazione per via intravenosa. L’intossicazione cronica nell’uomo per ingestione può causare cefalea, agitazione, irritabilità, disturbi della personalità, allucinazioni, sordità, rigidità e tremori.Dal momento che manganese è un elemento essenziale per la salute umana anche la sua scarsita' ha effetti sulla salute. Si manifestano i seguenti effetti: - Grassezza - Intolleranza al glucosio - Coagulazione del sangue - Problemi di pelle - Livelli di colesterolo bassi - Disordini allo scheletro - Problemi di nascita - Variazione del colore del sangue - Sintomi neurologici L'avvelenamento cronico da manganese può derivare da inalazione prolungata di polvere e fumo. Il sistema nervoso centrale è il luogo principale di danni causati dalla malattia, quale può provocare l'inabilità permanente. I sintomi includono il languore, sonno, debolezza, disturbi emozionali, andatura spastica, crampi alle gambe ricorrenti, e paralisi. Un'alta incidenza di polmonite e di altre infezioni respiratorie superiori è stata trovata in operai esposti a polvere o al fumo di composti di manganese. I composti del manganese sono agenti cancerogeni sperimentali. L’eccesso di manganese nella dieta interferisce con l’assorbimento del calcio e del ferro. Negli animali domestici, così come nelle sperimentazioni animali, l’effetto più comune della tossicità da manganese è la carenza secondaria di ferro; ciò è dovuto ad una competizione tra Fe e Mn per comuni sistemi di trasporto e complessati. La tossicità acuta porta negli animali a crescita stentata, anoressia, alterazioni del metabolismo dei carboidrati, alterazioni delle funzioni cerebrali e anomalie comportamentali. Alti livelli di manganese nella dieta non sembrano essere teratogeni, sebbene manganese iniettato sia feto-tossico in numerose specie, come gatto, topo, coniglio e suino. Nelle sperimentazioni sui ratti la tossicosi cronica porta a disturbi del comportamento, come riduzione delle abilità legate all’apprendimento ed un aumento delle attività spontanee L’analisi del manganese L’analisi è condotta in Spettrofotometria di Assorbimento Atomico. Le letture dei campioni di fegato, rene, stomaco e ossa avvengono con sistema di atomizzazione in fiamma ossi-acetilenica utilizzando il correttore di fondo a lampada al deuterio, una larghezza della fenditura di 0,2 nm ed una lunghezza d’onda di 279,5 nm. Il metodo di lettura è quello della retta di taratura con soluzioni standard di 0, 0,5, 1, 2, 5 mg/L di Mn, tempo di lettura di 5 sec e controllo ogni 50 letture del “bianco”. Il limite di rilevabilità è di 0,058 mg/kg. Le letture dei campioni di muscolo, cuore, cristallino, polmone e cervello si effettuano con sistema di atomizzazione a fornetto di grafite con tubi pirolitici, utilizzando le medesime condizioni ottiche descritte sopra. Il metodo di lettura è quello della retta di taratura con soluzioni standard di 0, 5, 10, 20, 50, 100 e 200 mg/L di Mn. Il programma della fornace prevede 7 passaggi con temperatura di atomizzazione a 2500°C. La regolazione della sensibilità avveniva tramite controllo delflusso di argon. Il volume iniettato manualmente è di 10 ml. Il limite di rilevabilità è di 3,8 mg/kg. Per le letture dei campioni di sangue intero e plasma, anch’esse con sistema di atomizzazione a fornetto di grafite, si utilizza il metodo delle aggiunte standard, con costruzione della retta di taratura sul primo campione. Al volume di 0,4 ml del campione vengono aggiunte aliquote di 10 e 20 mL di una soluzione di Mn a 0,1 mg/kg. Il programma della fornace prevede nove passaggi con temperatura di atomizzazione a 2500°C. Ogni 5 letture avvieni il controllo del “bianco”. La manipolazione dei campioni è condotta in modo da evitare tutte le pos-sibili contaminazioni o perdite. Sono sempre stati utilizzati guanti di lattice da laboratorio. I reagenti chimici utilizzati sono stati scelti della massima purezza. Prima dell’uso, tutti i contenitori di vetro sono stati accuratamente lavati, mantenuti in una soluzione al 10% di acido nitrico, risciacquati più volte con acqua deionizzata ed asciugati in un forno ventilato. MERCURIO Formula bruta: Hg Composti: HgCl2 (Cloruro di mercurio) # CAS: 7439-97-6 Caratteristiche Impiego: Il mercurio è un liquido pesante inodore e di colore argenteo, usato per termometri, barometri. lampade a vapore, nel rivestimenti degli specchi e nella fabbricazione di. Equipaggiamenti chimici ed elettrici (I, 3). Composti mercuriali molto utilizzati sono: il nitrato di mercurio, impiegato soprattutto nella fabbricazione di cappelli di feltro, e il fulminato di mercurio. usato nella produzione di polveri detonanti (3). Peso molecolare: 200.59 Punto di fusione: -39°C Punto di ebollizione: 357°C Densità: 13,546. Solubilità: Molto poco solubile in acqua (0.002 Q/100 ml a 20°C), ma solubile in acido nitrico diluito. Proprietà chimiche: Il mercurio è un composto corrosivo, ma è praticamente nón reattivo giacché è fortemente resistente alla corrosione. Può dissolvere vari metalli come l'argento. l'oro e lo stagno, formando amalgami. Può però reagire violentemente con bromo, biossido di cloro, acetilene e ammonio. Non è infiammabile (2, 3). E' stabile a temperatura ordinaria e non reagisce con aria. ossigeno, anidride carbonica o biossido di azoto, mentre si combina con alogeni e viene attaccato da acido nitrico diluito e da acido solforico Metodi di analisi: Spettroscopia di assorbimento atomico con il metodo dei vapori freddi (CV-AAS) Tossicologia Tossicocinetica – Metabolismo I1 metallo, se ingerito, non viene assorbito dal tratto gastrointestinale. mentre il 70-80% del mercurio inalato, viene trattenuto negli alveoli polmonari e in seguito viene immediatamente ossidato a ione bivalente, che è ritenuta la forma più tossica del mercurio inorganico. Una volta assorbito, il mercurio si distribuisce a tutti gli organi corporei con un' emivita media di 60 giorni. La maggiore via di escrezione è quella urinaria e solo una piccola percentuale viene eliminata con l'aria espirata e con le feci attraverso le vie biliari (3)] Sorveglianza biologica: E' stato osservato che esiste una buona correlazione lineare tra contenuto di mercurio nell'ambiente di lavoro e nelle urine degli esposti. L'OMS ha indicato. come valore di sicurezza, un Hg urinario di 5 g/g dì creatinina per prevenire danni renali e turbe neurologiche (3). A coloro che sono soggetti a frequenti ed elevate esposizioni a mercurio a lavorare o a intervalli regolari nel corso del lavoro, di eseguire i seguenti esami: esame del sistema nervoso (incluso il test di scrittura per verificare tempestivamente tremori alle mani); esame del contenuto di mercurio nelle urine (che deve essere solitamente inferiore a 0.02 mg/l); test di funzionalità renale (I ). Cancerogenicità: Secondo le informazioni al momento disponibili presso il Dipartimento della Salute del New Jersey, il mercurio è stato sperimentato su animali da laboratorio senza causare tumori. Esso non si è rivelato cancerogeno neppure per l'uomo. Effetti sulla riproduzione: Le prove che dimostrerebbero la capacità del mercurio di causare un aumento degli aborti spontanei in donne esposte sono poche. Hanno però rivelato proprietà teratogene verso l'uomo alcune sostanze organiche contenenti mercurio. I composti inorganici a base di mercurio, pur non essendosi rivelati teratogeni per l'uomo, dovrebbero essere tuttavia maneggiati con prudenza poiché potrebbero determinare effetti sulla riproduzione sia degli uomini che delle donne (1). Tossicità acuta: Gli effetti del mercurio sugli animali possono essere anche causa della morte di questi. Anche le piante possono morire o subire un accrescimento rallentato. Gli effetti acuti possono manifestarsi sia sulle piante che sugli animali da 2 a 4 giorni dopo il contatto con un composto contenente il metallo. Il mercurio organico e il metilmercurio manifestano un'elevata tossicità acuta nei confronti degli organismi acquatici, anche se non vi sono dati sufficienti per valutarli. Vi sono anche degli effetti cronici visibili anche a lungo termine: accorciamento della durata della vita, riduzione della fertilità, cambiamenti di natura estetica e comportamentale. Uccelli, altri animali e esseri umani che si nutrano con pesci contaminati da mercurio possono rimanere intossicati. Non vi sono dati che quantifichino l'entità dei danni a lungo termine del mercurio sulle piante (1). La tossicità acuta del mercurio nell'uomo varia in misura significativa a seconda della via di esposizione. Per ingestione non si verificano effetti tossici acuti, l'inalazione di elevate concentrazioni del metallo produce gravi irritazioni, disturbi digestivi e danni renali. Rispetto ai vapori di mercurio non vi sono particolari misure di attenzione poiché essi sono incolori, inodori e privi di gusto (2). L'inalazione di vapori al mercurio (1.2 - 8 mg/m3) nell'uomo causa intossicazione acuta, provocando un danno permanente al sistema nervoso con possibilità di morte. La CL50 inalatoria per il mercurio nei conigli è di 29 mg/m3 (30 ore). La DL50 orale per il cloruro di mercurio nei ratti è di 37 mg/kg (3). Tossicità cronica: L'intossicazione cronica o "mercurialismo" colpisce il sistema nervoso in maniera insidiosa, così che gli effetti tossici non possono essere osservati se non dopo mesi dall'esposizione. La sintomatologia fondamentale è rappresentata -dal tremore, che suole manifestarsi dapprima a carico degli arti superiori e nei casi gravi si estende anche agli arti inferiori, ai muscoli della faccia e della lingua. Al tremore si associa spesso un particolare stato psichico, contrassegnato da depressione con apatia e irritabilità (3). Un'esposizione cronica a mercurio può causare danni alla vista e ai reni, nonché problemi cutanei di natura allergica e disturbi degli istinti sessuali. Sintomatologia Ingestione: Dolori colici (sali solubili), diarrea, anuria, morte. Rimedi: somministrare una soluzione latteo-albuminosa e provocare il vomito. Inalazione: Disturbi emotivi, infiammazione della bocca e delle gengive, irritazione dei polmoni, tosse, affaticamento, perdita della memoria e della concentrazione, cefalea, tremori, anoressia, perdita di peso, febbre, disturbi dell'umore, allucinazioni, psicosi, danni renali, dolori toracici, respiro breve, edema polmonare, morte. Rimedi: trasferire l'infortunato all'aria aperta. Effettuare una rianimazione cardio-polmonare. Sorveglianza medica per 24-48 ore poiché l'edema polmonare può comparire con ritardo. Contatto cutaneo: Dermatiti, allergie, prurito, eruzioni cutanee. Rimedi: lavaggio abbondante con acqua e sapone. Contatto oculare: Visione offuscata. Rimedi: lavaggio abbondante con acqua per almeno 15 minuti sollevando le palpebre. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: Il mercurio elementare è un liquido pesante e relativamente inerte. Esso si ossida a mercurio organico in condizioni naturali. Questo può combinarsi con una frazione organica a formare metilmercurio. Entrambi questi composti rivestono una notevole importanza ambientale. Il mercurio organico contamina l'ambiente attraverso il trattamento di rifiuti industriali e urbani a partire da sedimenti già contaminati. Altro mercurio può derivare dalla degradazione di alcune rocce e viene trasformato da batteri in metilmercurio. La concentrazione del mercurio organico nell'acqua può aumentare con le piogge acide che raccolgono il metallo presente nell'aria e per disgregazione dei sedimenti che lo contengono. La sua persistenza nell'acqua è molto lunga, giacché la sua emivita è 200 giorni. Il mercurio ha la capacità di bioaccumularsi negli organismi acquatici, tant' è che la sua concentrazione nei pesci può essere considerevolmente maggiore che nell'acqua in cui essi vivono (l). Bibliografia: (1) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, ottobre 1986. (2) HHMI Laboratory Safety, 1995. National Academy of Science. (3) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano. NICHELIO Formula bruta: Ni Composti:NiO Ossido di nichel Ni(OH)2 Idrossido di nichel NiCO3 Carbonato di nichel 2NiCO3, 3Ni(OH)2, 4H 20 Carbonato basico idrato di nichel NiCl2, 6H 20 Cloruro di nichel esaidrato Ni(NO3)2.6 H 20 Nitrato di nichel esaidrato NiSO4, 6H 20 Solfato di nichel esaidrato # CAS: Nichel: 7440-02-0. Ossido di nichel: 1313-99-1. Idrossido di nichel: 12054-48-7. Carbonato di nichel: 3333-67-3. Cloruro di nichel: 7718-54-9. Nitrato di nichel: 13138-45-9. Solfato di nichel: 7786-81-4. Caratteristiche Impiego: II nichel è utilizzato(1, 4): nella produzione di acciaio inossidabile e di altri acciai speciali. La sua presenza in questi prodotti migliora infatti le loro proprietà meccaniche e la loro resistenza alla corrosione e al calore; - nella preparazione di leghe non ferrose (con il rame, il cromo, l'alluminio, il molibdeno), in particolare nella fabbricazione di monete, utensili e arnesi da cucina; −nei rivestimenti elettrolitici dei metalli; −nella catalizzazione in chimica organica (idrogenazione di oli e grassi, desolforazione di prodotti a base di petrolio, polimerizzazione e decomposizione di idrocarburi, riduzione di ossidi di azoto); −nella fabbricazione di nuclei magnetici, batterie alcaline nichel-cadmio, −pigmenti minerali per smalti e ceramiche Proprietà fisiche: Composto Peso molecolare Punto di fusione Punto di ebollizione Densità Solubilità Nichel 58.71 atomico 1452°C 2730°C 8.9 a 25°C Insolubile in acqua e nei solventi organici. Si dissolve lentamente negli acidi forti. Ossido 74.69 1984°C _ 6.67 Praticamente insolubile in acqua (0,1 mg/100 ml a 20°C). Solubile in acidi e anunoniaca. Idrossido 92.70 4.15 Poco solubile in acqua (10 mg/ 100 ml a 20°C). Solubile in acidi e ammoniaca. Carbonato 118.72 2.6 Poco solubile in acqua (10 mg/100 ml a 20°C). Solubile in acidi. Carbonato basico idrato 587.57 Insolubile in acqua. Solubile in acidi e ammoniaca. Molto solubile in acqua (254 g/I00 ml a 20°C). solubile in etanolo e glicoletilene. 56.7°C 136.7°C 2.05 Molto solubile in acqua (238 g/l00 ml a 0°C). solubile in etanolo e glicoletilene. Facilmente solubile in acqua (65 g/100 ml a 0°C). Solubile in etanolo e metanolo. Cloruro esaidrato 237.69 Nitrato esaidrato 290.79 Solfato esaidrato 262.84 2.07 Proprietà chimiche: Il nichel è un elemento duttile e malleabile, dall'aspetto simile all'argento. ma con un riflesso che volge al grigiastro (4). A temperatura ordinaria il nichel è praticamente inattaccabile dall'ossigeno; a caldo si ricopre di una pellicola di monossido, unico prodotto di reazione tra 300 e 700°C. La polvere di nichel ottenuta dalla reazione dell'ossido con l'idrogeno tra 250 e 350°C è infiammabile. Il prodotto ottenuto a 450°C si ossida all'aria e a 150°C può esplodere. A freddo e in assenza di umidità il metallo resiste bene agli alogeni; in presenza di acqua invece, esso è attaccato in superficie con formazione di alogenuri. A caldo gli alogeni reagiscono senza incandescenza. In corrente di ossido di carbonio il nichel volatilizza tra 45 e 70°C dando origine al carbonile di nichel. Difficilmente attaccabile dagli acidi cloridrico e solforico, il nichel si dissolve lentamente in acido nitrico con formazione di ossidi di azoto irritanti e tossici. Esso può essere corroso da alcune soluzioni saline (per esempio dal cloruro di sodio), ma resiste bene alle soluzioni alcaline (1). II nichel reagisce violentemente con fluoro, nitrato d'ammonio, idrazina, ammoniaca, acido formico, fosforo, selenio e zolfo (4). L'ossido di nichel esiste come due forme allotrope: verde e nero, quest' ultima più reattiva. Ha un carattere prevalentemente basico ed è quindi dissolto dagli acidi con formazione di sali di nichel. Può essere ridotto dall'idrogeno, dall'ossido di carbonio (a 120°C), dall'ammoniaca, dal carbonio (a 450°C), così come da diversi metalli (1). L'idrossido di nichel ha carattere prevalentemente basico. Per riscaldamento si trasforma in ossido a 200-230°C. non si ossida all'aria (I). Il carbonato anidro di nichel esiste sotto due forme allotropiche (verde e gialla) ed è raramente utilizzato nell'industria. Le forme commerciali sono generalmente di tipo idrato (I). Il cloruro esaidrato in soluzione acquosa è facilmente idrolizzato (1). II nitrato esaidrato in aria secca brucia a 40°C (1). II solfato di nichel esaidrato esiste sotto due forme allotropiche (blu e verde) (1). Metodi di analisi: Tossicologia Tossicocinetica - Metabolismo: La deposizione, la ritenzione e l'assorbimento polmonare dei composti di nichel sono regolati dalle proprietà fisico-chimiche delle particelle: nel caso di particelle solubili nel mezzo biologico e accumulate negli alveoli, l'emivita può essere di qualche ora; nel caso di particelle insolubili, l'emivita può variare da poche settimane a qualche anno. L'assorbimento gastro-intestinale è molto debole. I composti idrosolubili possono dare origine a un trasporto percutaneo più o meno importante in funzione della natura del sale e delle condizioni di contatto. Nel sangue il nichel assorbito è in minima parte libero e soprattutto legato a proteine e all' istidina. L'emivita del nichel nel siero è di circa 10 ore (1) , nei tessuti è di circa 1200 giorni (4). Il nichel si ritrova in quantità notevoli nei reni e nei polmoni: viene escreto con le urine (70%) entro i primi 3 giorni dall'esposizione e una parte attraverso il sudore. In caso di ingestione, la maggior parte del nichel viene eliminata attraverso le feci(1,4). Sorveglianza biologica: Test di funzionalità polmonare. Test per il nichel su feci, urine e plasma; tali misurazioni sono più utili se è noto il composto con il nichel cui si è stati esposti. Questi esami non forniscono tuttavia alcuna previsione su eventuali futuri effetti sulla salute (2). Genotossicità: Come succede per tutti i metalli, i risultati delle prove di Assorbimento atomico mutagenicità sono molto discordanti e variano a seconda del sale utilizzato e delle condizioni sperimentali. I risultati ottenuti da test batterici sono generalmente negativi come quelli ottenuti sulle aberrazioni cromosomiche su ratti e topi. Tuttavia, l'effetto citogenetico del cloruro di nichel è stato messo in evidenza in cellule di linfoma di topi e risultati positivi sono stati ottenuti nei seguenti esperimenti: aberrazioni cromosomiche (sali solubili), scambi di cromatidi fratelli (sali solubili e solfuro), trasformazioni cellulari (sali solubili, metallo, ossido e solfuro). Si sono verificati anche fenomeni di errori nella trascrizione del DNA (l). Cancerogenicità: Numerosi studi sulla cancerogenicità del nichel sono stati effettuati su un certo numero di specie animali, ma solo una parte di essi hanno utilizzato vie di somministrazione in rapporto all'esposizione umana (inalazione, iniezione intratracheale, via orale). A seguito di iniezioni, l'insorgenza di eventuali tumori si verificava nel punto stesso di iniezione. A seguito di trattamenti per inalazione con solfuro di nichel per 78 settimane ad una concentrazione di 1 mg/m3, più del 60% dei ratti trattati presentava iperplasie polmonari a livello dei segmento bronchiali e bronchiolo-alveolari, mentre il 14% presentava tumori maligni (1). Casi di cancro dei polmoni e dei 'seni nasali sono stati osservati in lavoratori che avevano inalato polveri contenenti grandi quantità di composti a base di nichel. In base a esperimenti effettuati su ratti e topi, si è visto che l'esposizione ad alcuni composti (ad es. NiS, NiO e Ni(CO)4) causava tumori al polmone ed ai seni nasali con una risposta del 60-100%, contrariamente ad altri composti (2, 4). Effetti sulla riproduzione: Il nichel ionizzato attraversa la barriera placentare. I suoi composti minerali hanno determinato sui ratti degli effetti fetotossici, riduzione del peso dei feti, aumento della frequenza di riassorbimento e di morte prematura, riduzione durante la 4a-8a settimana del peso dei nuovi nati. Nei topi e nelle cavie i composti inducono anche un aumento dell'incidenza delle malformazioni a livello di cervello, occhi, volta palatina e cranio. Questi differenti effetti sono stati osservati in generale, a prescindere dal tipo di composto e dalla via di somministrazione. Studi realizzati su tre generazioni di ratti hanno mostrato effetti tossici marcati alla dose di 250 ppm di nichel nel cibo o di 5 ppm nell'acqua da bere; in questi studi si è osservato un aumento della percentuale di anomalie nelle femmine della terza generazione. I composti del nichel sembrano avere effetti anche sulla fertilità dei maschi (I). Tossicità acuta: __Il nichel è relativamente atossico, analogamente a _ ferro, cobalto, rame e zinco in funzione della loro solubilità. La DL 50 orale (mg/kg) per i ratti è di: 9000 (nichel metallo); 5000 (ossido); 1600 (idrossido); 1044 (carbonato idrato); 105-285 (cloruro); 1620 (nitrato esaidrato); 300 (solfato esaidrato) (1). Tossicità cronica: Nei ratti la dose letale per inalazione dopo un'esposizione ripetuta (6 ore/giorno, 5 giorni/settimana, per 12 settimane) è superiore a 1.7 mg/m3 di nichel nel caso di un'esposizione al solfato, a 7.3 mg/m3 nel caso del solfuro e a 26.3 mg/m3 nel caso dell'ossido. L'inalazione prolungata o ripetuta di alcuni composti di nichel (ad es. NiO, NiCl2) causa essenzialmente danni nasali e polmonari, in particolare polmonite chimica con incremento di macrofagi alveolari (1, 4). Seguono reazioni infiammatorie interstiziali fino all'enfisema polmonare. In alcuni esperimenti si sono verificate ulteriori anomalie: modificazioni epatiche e renali, aumento del peso del cuore, alterazione della risposta immunitaria. Il nichel è conosciuto come l'allergene per la pelle più diffuso. L'aumento della sensibilizzazione al nichel nella popolazione è elevato: per le donne la percentuale è del 10%, per l'uomo va da 1 a 3%. L'esposizione professionale sembra essere la causa meno importante di questa sensibilizzazione (favorita dal calore e dall'umidità) rispetto al contatto giornaliero con degli oggetti usuali (gioielli, bottoni, monete, ecc.). Il 40-50% delle persone sensibili al nichel sviluppano, per contatto ripetuto con il metallo e i suoi composti, delle dermatiti eczematiformi recidive. Numerosi casi dì asma sono stati osservati a seguito di esposizioni a composti solubili del nichel con crisi che apparivano nei minuti successivi all'esposizione o ben più frequentemente nelle ore successive. In ambiente professionale l'asma può essere associata ad una dermatite da contatto, ad un'orticaria o a una rinite (I). Sintomatologia Ingestione: Nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, cefalea, bradicardia,ipotermia,tremori, paralisi, modesto aumento della bilirubina. Rimedi: indurre il vomito. Inalazione: Cefalea, disturbi polmonari, tosse, respiro breve, edema polmonare. Rimedi: trasportare l'infortunato all'aria aperta e tenerlo a riposo. Contatto cutaneo: Irritazioni, allergie. Rimedi: lavare abbondantemente con acqua e sapone. Contatto oculare: Irritazioni. Rimedi: lavare abbondantemente con acqua. astenia, Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: [I nichel è uno dei metalli più comuni che si rinvengono nelle acque superficiali a causa del dilavamento delle rocce. Altre sorgenti di nichel possono essere i residui della combustione del carbone e di altri combustibili fossili e scarichi industriali. Il nichel e i suoi composti sono caratterizzati da un'alta persistenza nell'acqua, con un'emivita 200 giorni (informazioni EPA). Bibliografia: (1) INRS Fiche toxicologique, n° 68, CND 133, 4° trim. 1988 (2) ATSDR - ToxFAQs, september 1997. (3) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, aprile 1989. (4) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano PIOMBO Formula bruta: Pb Composti: PbF2 Fluoruro di piombo PbF4 Tetrafluoruro di piombo PbCl 2 Cloruro di piombo PbCI 4 Tetracloruro di piombo PbBr 2 Bromuro di piombo Pbl 2 Ioduro di piombo Sinonimi: Lead (GB), Piombo (I), Plomb (F), Blei (D), Plomo (E). # CAS: 7439-92-1 Nome commerciale: C.I. Pigment metal 4; C.I. 77575; Glover; KS-4; Lead S2; Olow; Omaha Caratteristiche Impiego: II metallo è utilizzato nelle batterie di accumulo, per la protezione dei cavi elettrici, piombature, munizioni, come fonoassorbente, come scudo contro i raggi X e le radiazioni nucleari, come componente di vernici, per contenere liquidi corrosivi. nelle leghe di ottone il biossido come antidetonante del petrolio e per produrre vetri per lenti e per cristalli (l, 2)..J Peso molecolare Punto di fusione Punto di ebollizione densità solubilità 207.19 327,4°C 1740°C 11,344 insolubile in acqua a 20 °C Proprietà chimiche: il Pb è un metallo di colore blu-grigiastro duttile e malleabile.é resistente all’ acido solforico ma viene rapidamente disciolto dall’ acido nitrico. Il piombo in polvere riscaldato a 290°C diventa piroforico. In presenza di acqua ossigenata al 60% e di trioxano reagisce violentemente. Il biossido è comburente (2). E' incompatibile con forti ossidanti, perossido di idrogeno e metalli attivi (sodio, potassio) (1). Metodi di analisi: ASSORBIMENTO ATOMICO Tossicologia Meccanismo di azione tossica: Il piombo interferisce con molteplici sistemi enzimatici, fra i quali i più importanti sono quelli coinvolti nella sintesi dell'eme (2). Tossicocinetica - Meta : I composti organici del piombo vengono assorbiti prevalentemente lungo il tratto gastro-intestinale e nei polmoni, mentre l'assorbimento cutaneo è modesto. Una volta assorbito, il piombo si distribuisce inizialmente negli eritrociti e successivamente si diffonde nei tessuti molli, in particolare nel rene e nel fegato. Soltanto in un secondo tempo il piombo viene depositato nelle ossa e nei denti con un accumulo continuo nel tempo. Tuttavia il piombo che si trova nelle ossa è soggetto a mobilizzarsi in tutte quelle condizioni nelle quali si ha una mobilizzazione del calcio, in seguito alla quale può manifestarsi la sintomatologia da intossicazione da piombo. L'escrezione del piombo avviene prevalentemente per via renale attraverso la filtrazione glomerulare. Una parte del piombo viene pure escreta attraverso la bile, il sudore e il latte materno 2) Sorveglianza biologica: Per stabilire se vi è stata esposizione al metallo, è stata proposta la determinazione del piombo ematico, dì d-ALA e di coproporfirina nelle urine (2). La quantità di piombo nel sangue non deve superare il limite massimo di 40 mg/100 g di sangue e l'analisi va ripetuta ogni 2 mesi fino a quando 2 analisi consecutive non rivelino una concentrazione di piombo nel sangue inferiore a tale limite. Genotossicità: Alcuni studi hanno dimostrato che i composti del piombo sono capaci di indurre aberrazioni cromosomiche in vivo e in colture di tessuti. Il piombo ha dimostrato, in un certo numero di saggi sulla struttura e la funzione del DNA, di influenzare i processi molecolari associati alla regolazione dell'espressione genetica (dati EPA). Cancerogenicità: Dieci esperimenti su ratti ed uno su topi hanno prodotto incrementi statisticamente significativi di tumori renali a seguito di esposizioni giornaliere orali e sottocutanee a diversi sali solubili di piombo. I saggi sugli animali hanno fornito risultati riproducibili in diversi laboratori su diverse varietà di ratti e con prove di cancerogenicità a carico di vari organi. E' stato dimostrato che i sali di piombo (in primo luogo fosfati e acetati) hanno un certo potenziale cancerogeno dopo essere stati somministrati a ratti e topi per via orale o per iniezione. La forma tumorale più frequentemente indotta è il carcinoma renale bilaterale. Ratti nutriti oralmente con acetato o subacetato di piombo, hanno sviluppato gliomi, mentre in topi il subacetato ha prodotto anche adenomi polmonari dopo somministrazione intraperitoneale. La maggior parte di questi studi hanno riscontrato una reazione cancerogena solo alla dose più alta. I composti di piombo saggiati sugli animali sono quasi tutti sali solubili, mentre il piombo metallico, l'ossido e i tetralchili non sono stati utilizzati adeguatamente. Non vi sono in letteratura studi sull'esposizione al piombo per inalazione. Le prove di cancerogenicità del piombo sull'uomo non sono sufficienti a dimostrare la relazione tra insorgenza di tumori ed esposizione al metallo (EPA). Effetti sulla riproduzione: Studi effettuati su animali e uomo indicano che il piombo può essere prontamente trasferito attraverso la placenta al feto. Dati su donne i gravidanza hanno verificato questo trasferimento già dalla 12° settimana di gestazione. In genere, i sali alchilici di Pb, come il tetraetile, non sono stati associati a effetti teratogeni. I sali inorganici di piombo hanno determinato malformazioni al SNC e palatoschisi in topi, variazioni nelle dimensioni di criceti e idronefrosi e difetti scheletrici nei ratti. Sebbene studi sul comportamento postnatale nei ratti abbiano dato risultati contraddittori, esperimenti sulle pecore hanno indicato che livelli dì piombo nel sangue di femmine gravide pari a 34 mg/dl hanno indotto difetti dell'apprendimento nei nuovi nati. Più di 100 anni fa si è sospettato che il piombo avesse effetti tossici su donne in gravidanza che lavoravano con sali di Pb nella fabbricazione di contenitori. Nascite di feti morti e aborti sono stati inoltre frequenti tra questi soggetti. Ciò è stato confermato da dati più recenti che hanno verificato l'associazione dell'esposizione al piombo anche alla rottura prematura delle membrane amniotiche e alle nascite premature. Durante la gravidanza vi è anche la possibilità che il piombo contenuto nel sangue aumenti per la mobilizzazione delle quantità contenute nelle ossa (I ). Tossicità acuta: Intossicazione acuta da piombo è rara ed è dovuta all'ingestione di derivati solubili oppure ad inalazione di elevate quantità di piombo finemente suddiviso o sotto forma di fumi. La dose letale orale acuta si aggira intorno ai 10-30 g di un sale solubile. La DL50 orale acuta di piombo acetato nei ratti è di 165 mg/kg (2). Tossicità cronica: La dose minima con effetti cronici è di 0.5 mg/giorno e gli effetti comprendono anemia. irritabilità. incoordinazione, paralisi, disturbi mestruali, aborto. atassia. letargia. encefalopatia, delirio, convulsioni, coma (1). L'apparato uropoietico subisce danni che si manifestano con oliguria e alterazioni della funzionalità renale. Nell'intossicazione cronica (saturnismo) possono sopravvenire diverse sindromi più o meno gravi: neuropatia centrale. neuromuscolare, ematologica, gastro-intestinale e renale (2). L'emivita nelle ossa è di 32 anni, nei reni è di 7 anni (I). Sintomatologia Ingestione: Sete, sapore metallico. perdita di appetito, debolezza, cefalea, nausea, vomito, dolori addominali. ipotermia. Rimedi: gastrolusi con sospen-sione di carbone attivo in soluzione di solfato sodico al 3%. Inalazione: Rimedi: trasportare l'infortunato all'aria aperta e praticare la respirazione artificiale se necessario. Contatto oculare: Rimedi: lavaggi accurati con acqua corrente per almeno 15 minuti. Bibliografia: (I) Dreisbach R. and W. Robertson, 1987. Handbook of Poisoning: prevention, diagnosis and treatment. Twelfth edition. Los Altos: Appleton and Lange. (2) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano. RAME Formula bruta: Cu # CAS: 7440-50-8 Caratteristiche Impiego: Il rame è un metallo di colore marrone-rossastro ampiamente utilizzato nell'industria elettrica; nelle leghe come zinco-rame (ottone) e stagno-rame (bronzo) e con altri elementi come berillio, fosforo, manganese, argento, piombo, silicio, cromo e nichel per la fabbricazione di leghe speciali dove sono richieste particolari proprietà come elevata durezza, resistenza alle vibrazioni, agli agenti corrosivi e a elevate temperature; nei riscaldamenti; per i rivestimenti e nelle costruzioni edilizie. E' inoltre impiegato nell'industria chimica e farmaceutica 1, 2). Peso molecolare: 63.54 Punto di fusione: 1083°C Punto di ebollizione: 2595°C Densità: 8.96 Solubilità: E' scarsamente solubile in acqua (< 0.1 % sia calda che fredda. E' solubile in acidi ossidanti (nitrico e solforico) e in ammoniaca. Proprietà chimiche: Il rame è un metallo duttile e malleabile, stabile, incompatibile con acidi forti, con composti attivi contenenti alogeni, con cloro, fluoro, iodio, bromo e ammonio. La sua decomposizione produce fumi di rame (I). Il rame è caratterizzato da bassa reattività chimica. All'aria secca e a temperatura ambiente non si ossida, mentre riscaldato all'aria si ricopre di un velo di ossido e a temperatura elevata si trasforma interamente in CuO2 o CuO. Si combina facilmente con gli alogeni, rivelando una particolare affinità per il selenio e per lo zolfo. Con l'azoto non reagisce neppure ad elevate temperature, mentre con il carbonio non si combina direttamente, ma è capace di sostituire l'idrogeno nell'acetilene per dare acetiluro rameoso, il quale esplode in presenza di fonti di accensione. Dopo l'argento è il migliore conduttore di elettricità e di calore (2). Metodi di analisi: Assorbimento atomico Tossicologia Tossicocinetica - Metabolismo: L'assorbimento del rame nel corpo umano avviene principalmente lungo il tratto gastro-in estinale. Lo stomaco e tutte le parti dell’intestino tenue, particolarmente la parte superiore di quest'ultimo, assorbono gran parte del rame ingerito. Dopo l'assorbimento intestinale, il rame si distribuisce nel plasma legandosi all'albumina e. in piccola parte, ad aminoacidi e a piccoli peptidi. Successivamente, in poche ore, il 60-90% del rame assorbito viene depositato nel fegato. dove circa 1'80% è legato a particolari proteine denominate metallotioneine. Concentrazioni di rame relativamente alte si ritrovano, oltre che nel fegato. anche nel cervello, nel rene e nel cuore. Il contenuto medio di rame nell'adulto è di circa 72 mg. L'escrezione del rame avviene attraverso il fega( con la bile ed è evacuato con le feci. L'emivita del rame nell'organismo è di circa 40 giorni 2). Genotossicità: Non vi sono dati che dimostrino inequivocabilmen la mutagenicità del rame su animali e esseri umani. Esperimenti su batten, incubati in piastra con quinolinolato di rame o con solfato di rame in quantità fino a 5 mg per piastra. non hanno verificato l'insorgenza di mutazioni. Cloruro e acetato di rame hanno invece prodotto errori nella sintesi del DNA in alcuni ceppi virali. mentre il solfato di rame ha indotto aberrazioni cromosomiche in epatociti isolati di ratto. Trasformazioni sono state notate inoltre su cellule embrionali di criceto infette da un virus, dopo un trattamento con solfuro rameoso e solfato rameico. Alte concentrazioni di composti a base di rame hanno poi causato mitosi in cellule ascitiche di ratto. Larve e uova di Drosophila nrelanogaster sono andate incontro a un incremento percentuale di morte per effetto rispettivamente di microiniezioni allo 0,1% di solfato di rame e di immersione in solfato di rame acquoso concentrato (dati EPA). Cancerogenicità: Nel 1968 e stato condotto uno studio per verificare la cancerogenicità di un composto a base di rame. l'idrossiquinolino di rame, su due razze di topi. A gruppi di 18 maschi c 18 femmine di topi di 7 anni di età sono stati giornalmente somministrati per 28 settimane 1000 mg del composto su kg (180.6 mg di ramefkg), sospesi allo 0.5% in gelatina; trascorso questo tempo. la somministrazione è passata a 2800 ppm (505.6 ppm di rame) per 50 ulteriori settimane. AI termine dell'esperimento non è stato riscontrato alcun incremento statisticamente significativo dell'incidenza dei tumori negli animali. Nell'ambito dello stesso studio, a gruppi di animali già soggetti ai primi 28 giorni dell'esperimento precedente è stata somministrata per iniezione sottocutanea una singola dose di gelatina (come controllo) oppure 1000 mg del composto (180.6 mg di rame/kg) sospesi allo 0.5% In gelatina. Dopo 50 giorni i maschi trattati di una delle due razze hanno mostrato un incremento dell'Incidenza dei sarcomi delle cellule del reticolo rispetto ai controlli. mentre i maschi dell'altra razza non hanno presentato alcun tumore. Sulle femmine trattate di entrambe le razze l'incidenza di quel tipo di tumore e stata bassa (dati EPA). In un altro esperimento, ratti di 2-3 mesi sono stati sottoposti. in entrambe le cosce, a iniezioni intramuscolari contenenti 20 mg di ossido di rame (16 mg di rame), di solfuro rameoso (13.3 mg di rame) e di solfuro rameico (16 mg di rame). Dopo 20 mesi, intorno ai punti di iniezione non sono stati osservati tumori in alcuno degli animali trattati; altri tipi di tumore sono stati tuttavia riscontrati. ma con un'incidenza molto bassa, nei ratti trattati con solfuro rameico (2/30) e con solfuro rameoso (1/30). Poichè la capacità dei composti organici a base di rame di indurre sarcomi non è stata accertata e dal momento che l'incidenza dei tumori su animali trattati con rame inorganico per via intramuscolare è molto bassa, si ritiene che l'insieme di queste informazioni non sia sufficiente a classificare il rame come cancerogeno. Non vi sono inoltre dati sulla cancerogenicità del rame per gli esseri umani (informazioni EPA). Tuttavia è stata osservata un'elevata incidenza di cancro polmonare tra i fonditori del metallo e di cancro allo stomaco in soggetti che vivono in regioni con alte percentuali di Zn/Cu nel suolo. Tali evidenze epidemiologiche non sono state comunque ancora confermate da indagini sperimentali (2). Effetti sulla riproduzione: Secondo le informazioni al momento disponibili, il rame, nelle prove effettuate. si è rivelato incapace di influenzare la riproduzione (I). Tossicità acuti : Il rame è un elemento comunemente presente nelle acque naturali A basse concentrazioni esso è essenziale , piante che per g I animati A concentrazioni leggermente maggiori risulta però tossico per gli organismi acquatici Tale tossicità varia con le condizioni fisiche e chimiche dell'acqua. I fattori che la influenzano sono la durezza. l'alcalinità e il pH dell'acqua. Gli effetti acuti possono portare alla morte degli animali e a un ridotto accrescimento delle piante. Tali effetti si verificano da 2 a 4 giorni dopo il contatto con il metallo, ma non vi sono dati sugli effetti a breve termine del rame a piante, uccelli e animali terricoli O). I fumi di rame possono causare la "febbre da fumi di metalli" con sintomi che possono comparire con un ritardo variabile da diverse ore a uno o due giorni, anche solo dopo un'esposizione di circa 0.1 mg/m3 di polvere fine di rame. L'esposizione industriale alle polveri e ai fumi non sembra provocare manifestazioni morbose, mentre sono state osservate lesioni polmonari nei viticoltori che impiegavano il solfato di rame ("poltiglia bordolese") in forma di spray come fungicida. L'ingestione di una dose dell'ordine di 10 g di solfato o ossido di rame provoca un'intossicazione grave e talvolta mortale con gastroenterite, disidratazione e shock. 1, 2). Nei ratti la DL 50 orale è di 300 mg/kg per il solfato, di 140 mg/kg per il cloruro, di 159 mg/kg per il carbonato e di 940 mg/kg per il nitrato (2). Tossicità cronica: Un'esposizione cronica al rame può indurre negli animali l'accorciamento della durata della vita, problemi riproduttivi, riduzione della fertilità, e modificazioni dell'aspetto e del comportamento. Tali effetti possono verificarsi anche molto tempo dopo la prima esposizione al metallo. Gli effetti cronici di un'esposizione al rame possono manifestarsi nell'uomo qualche tempo dopo il contatto con il metallo e durare anche per mesi o anni. Sintomatologia Ingestione: Nausea, vomito, diarrea, cefalea, vertigini, irritazioni gastrointestinali, convulsioni, necrosi epatica e renale. Rimedi: lavanda gastrica con una soluzione precipitante di ferro cianuro di potassio o Blu di Prussia all'l%. Somministrare grandi quantità di acqua. Consultare il medico. Inalazione: Irritazioni delle alte vie respiratorie, sanguinamento dal naso, "febbre da fumi di metalli" (gusto metallico, febbre, tosse, raffreddore, dolori, disturbi toracici). Rimedi: esporre il soggetto all'aperto. Consultare il medico. Contatto cutaneo: Eruzioni cutanee di natura allergica, dermatite ("scabbia da rame"), colorazione dei tegumenti e degli annessi cutanei. Rimedi: lavaggio abbondante con acqua e sapone per almeno 15 minuti. Contatto oculare: Irritazioni, cecità. Rimedi: lavaggio abbondante con acqua per almeno 15 minuti. Consultare il medico. Approccio terapeutico: In caso di contatto cutaneo, le dermatiti allergiche sono trattate con successo con pomate all'idrocortisone (2). Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: Il rame e i suoi sali sono altamente solubili nell'acqua (oltre 1000 mg/1) e vi permangono a lungo, giacché la loro emivita è 200 giorni. Il rame è soggetto a bioaccumulazione. Nei pesci, infatti, la sua concentrazione è notevolmente maggiore che nell'acqua nella quale essi vivono (1). Bibliografia: (1) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, luglio 1986. (2) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano. ZINCO Formula bruta: Zn Composti: ZnCl2 Cloruro di zinco # CAS: 7440-66-6 (zinco) 7646-85-7 (cloruro di zinco) Caratteristiche Impiego: Lo zinco è uno dei più comuni elementi della crosta terrestre ed è un metallo lucente, tenero e di colore bianco con sfumature bluastre. E' usato come rivestimento antiruggine per ferro ed acciaio, nelle pile a secco e per la fabbricazione di leghe metalliche di ottone e bronzo. E' usato inoltre come polvere per vernici c coloranti (3). Vengono utilizzati in larga misura anche i sali di zinco: l'ossido nella produzione di gomma. linoleum, vernici, ceramiche, cosmetici e tessuti; il cloruro come conservante del legno e nelle batterie a secco; il bromuro nelle emulsioni fotografiche; il solfato nel rayon, nelle colle. fertilizzanti e nei tessuti: il cromato in pigmenti per vernici e il caprilato in fungicidi 4). Peso molecolare: 65.38 Punto di fusione: 419.4°C Punto di ebollizione: 907°C Solubilità: Insolubile in acqua a 20°C, ma solubile in acidi e in alcali. Proprietà chimiche : Quando lo zinco metallico viene riscaldato in presenza di aria a temperature che si avvicinano al suo punto di ebollizione, esso volatilizza sotto forma di fumo bianco di ossido di zinco, il quale rappresenta il maggior rischio per la salute. Lo zinco in polvere può formare miscele esplosive in aria umida o ad elevata temperatura e quindi può costituire un rischio di incendio. Inoltre reagisce violentemente a contatto con alogeni (cloro, fluoro e bromo). metalloidi (zolfo, arsenico, selenio, tellurio, ecc.), agenti ossidanti (clorato di potassio, acido nitrico, nitrato di ammonio ed ossidi di metalli). idrocarburi alogenati. nitrobenzene. dicloruro di manganese e idrato di sodio (4). Metodi di analisi: Assorbimento atomico Tossicologia Tossicocinetica - Metabolismo: L'assorbimento gastrointestinale dei sali di zinco solubili è assai variabile, dell'ordine del 50% circa della quantità assunta con gli alimenti, e dipende dalla concentrazione di zinco nella dieta. L'inalazione di sali di zinco dà luogo ad un accumulo transitorio nei polmoni prima del passaggio in circolo. Lo zinco viene distribuito a tutti gli organi e tessuti ed è presente in concentrazioni elevate nelle ossa, nella cute, nella prostata e nello sperma. Viene escreto principalmente con le feci, solo il 10% dello zinco assorbito è invece escreto con le urine (4). Sorveglianza biologica: Analisi del sangue, elle feci, delle urine e della saliva. Per esposizioni a lungo termine si effettua anche l'analisi dei capelli (2). Cancerogenicità: Sulla base delle informazioni disponibili presso il Dipartimento per la Salute del New Jersey, sullo zinco non sono stati effettuati esperimenti per saggiarne la capacità di causare tumori negli animali. I dati sugli effetti cancerogeni dello zinco sull'uomo sono insufficienti (3). Sono stati effettuati studi sugli effetti dello zinco somministrato per motivi terapeutici: sono inoltre stati confrontati i livelli di zinco nei tessuti normali e in quelli tumorali. Da una serie di studi effettuati su lavoratori esposti a composti dello zinco, non si è riscontrato alcun aumento nell'incidenza dei tumori; tuttavia si sono potuti riscontrare altri effetti come una leggera leucocitosi, febbre da fumi metallici, anomalie respiratorie e ipocalcemia (EPA). E' stata confermata la cancerogenicità nell'uomo dello zinco cromato (4). Effetti sulla riproduzione: Sulla base delle informazioni disponibili presso il Dipartimento per la Salute del New Jersey, sullo zinco non sono stati effettuati esperimenti per saggiarne la capacità di influenzare la riproduzione degli animali (3). Alcuni esperimenti sugli animali hanno mostrato che esposizioni giornaliere a dosi molto alte di zinco sono associate a un incremento dei difetti scheletrici nei topi, a exencefalia nei criceti e a un aumento dell'incidenza delle malformazioni congenite nei ratti. Un altro studio ha tuttavia dimostrato che, sebbene alti livelli giornalieri di solfato di zinco abbiano ridotto il tasso di concepimento nei ratti, non sono stati osservati effetti negativi del trattamento sull'accrescimento e sullo sviluppo del feto (I). Mentre varie ricerche hanno dimostrato gli effetti negativi della carenza di zinco nella riproduzione degli animali, i dati sugli esseri umani riguardo a questo argomento sono scarsi. Il ruolo dello zinco nella fertilità maschile non è completamente chiaro (1). Adolescenti con carenze di zinco nella dieta possono presentare uno scarso sviluppo degli organi sessuali e un rallentamento della crescita. Se una donna in gravidanza non assume zinco a sufficienza può dare alla luce bambini con ritardi dell'accrescimento (1). Tossicità acuta: Avvelenamenti da ingestione di grandi quantità di sali di zinco sono abbastanza comuni. Tipicamente, essi risultano da un impropria conservazione di liquidi o cibi acidi in recipienti in cui l'acido scioglie lo zinco metallico che riveste il ferro. Non si sa se l'esposizione a zinco metallico causi effetti acuti alla salute, ma se esso viene riscaldato può dare luogo a fumi di ossido di zinco tossici (I). Prove cutanee effettuate su conigli, cavie e topi con composti di zinco hanno determinato irritazioni (2). Lo zinco può produrre effetti tossici acuti su animali e piante che possono portare alla loro morte o, per le piante, a un ridotto accrescimento. Tali effetti possono presentarsi dopo 2-4 giorni dall'avvenuto contatto con il metallo. Lo zinco e i suoi composti presentano una elevata tossicità acuta per gli organismi acquatici, maggiore nelle acque meno dure. Non sono tuttavia sufficienti i dati disponibili per valutare o prevedere gli effetti a breve termine del metallo e dei suoi composti sugli organismi (3). 1 composti dello zinco sono relativamente atossici per l'uomo a causa di un meccanismo omeostatico efficiente di questo elemento. L'inalazione di aria contenente ZnO da 1 a 34 mg/m3 produce "febbre da fumi metallici" Gli effetti tossici dello zinco derivano dalla complessa interazione con altri elementi essenziali come ferro, rame, magnesio e calcio. La DL orale per il solfato di zinco nei ratti è di 2200 mg/kg (4). Tossicità cronica: Gli effetti tossici cronici dello zinco sugli animali possono includere: accorciamento della vita, problemi riproduttivi, riduzione della fertilità e modificazioni dell'aspetto e del comportamento. Tali effetti possono manifestarsi anche molto tempo dopo la prima esposizione al composto tossico (3). Lo zinco e i suoi composti presentano una elevata tossicità cronica per gli organismi acquatici. Non sono tuttavia sufficienti i dati disponibili per valutare o prevedere gli effetti a lungo termine del metallo e dei suoi composti sugli organismi (3). Sintomatologia Ingestione: Disturbi gastrici, nausea. vomito, diarrea, anemia, danni al pancreas. spossatezza, ottundimento dei riflessi tendinei, leucopenia, depressione del SNC, tremori. shock. collasso. morte. Inalazione :Febbre da fumi metallici. ipertermia. malessere, depressione. nausea, secchezza delle fauci e della cute, cefalea, tosse con catarro. Rimedi: trasferire l'infortunato all'aria aperta. Contatto cutaneo: Irritazioni. Rimedi: lavare abbondantemente con acqua e sapone. Contatto oculare: Irritazioni e abrasioni. Rimedi: lavaggio immediato. Ambiente e agronomia Degradazione nel suolo: La diffusione dello zinco nell'ambiente può avvenire in parte da processi naturali. ma nella maggior parte dei casi deriva da attività estrattive, da produzione di acciaio, da processi di combustione e dall'incenerimento dei rifiuti. Esso si lega ai sedimenti del suolo ed è presente nell'aria come particelle sospese che la pioggia e la neve possono far depositare sul suolo dove possono contaminare le acque profonde. i laghi e i fiumi. La maggior pane dello zinco resta legato alle particelle di suolo e si può accumulare in pesci, altri organismi, ma non nelle piante (2). Lo zinco e i suoi composti tendono a bioaccumularsi negli organismi acquatici. La loro persistenza in acqua è molto lunga, giacche la loro emivita è 200 giorni (3). Bibliografia: (1) Dreisbach R. and W. Robertson, 1987 Handbook of Poisoning: Prevention, Diagnosis and Treatment. Twelfth Edition. Los Altos, Appleton and Lange. (2) ATSDR (Agency for Toxic Substances and Disease Registry) - ToxFAQs. September 1995. (3) New Jersey Department of Health, Trenton. NJ. gennaio 1986. (4) Bressa G.. 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A.. Milano.
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