Osceno, risibile, sacro: Iambe/Baubò, Hathor, Ame-no-Uzume e le altre

March 29, 2018 | Author: bonafin1055 | Category: Persephone, Horus, Homo Sapiens, Anthropology, Religion And Belief


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ESIBIRE IL NASCOSTO.TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO MASSIMO BONAFIN Osceno, risibile, sacro: Iambe/Baubò, Hathor, Ame-no-Uzume e le altre 'Esibire il nascosto' esprime già una contraddizione che implica la violazione di una norma, antropologicamente l'infrazione di un tabù: inoltre, far vedere quello che di solito è celato sottintende un pubblico, destinatario dell'esibizione; uno spettacolo, insomma, in cui qualcuno mostra qualcosa a qualcun altro, qualcosa che fuori da quello spettacolo non è ammesso mostrare; questa dimensione – che non è quella 'teatrale' in senso ristretto e moderno – interseca inevitabilmente i territori 1 dell'osceno, del risibile o ridicolo e del sacro, almeno nel suo aspetto rituale, di cornice che rende possibile e legittimo ciò che altrimenti è proscritto, perché pone in contatto con una alterità. Lo spettacolo del sesso – che siamo abituati a pensare solo nella realtà degradata e mercificata del nostro tempo – diventa il luogo dove si incrociano e si sovrappongono, sfumando uno nella sfera semantica dell'altro, l'oscenità, la risata e lo spavento di fronte al mistero. Si potrebbe anzi dire che l'osceno mostra il sesso dapprima nella sua potenza, che sentiamo superiore a noi, e subito dopo nella sua disponibilità, che avvertiamo come da noi controllabile, e quindi ridiamo del superamento della situazione angosciante 2 . Il ‘nascosto esibito’ di cui si tratta in questo contributo è, alla lettera, quello del sesso femminile, quale emerge da una rete di testi e di immagini, provenienti da culture, tempi e luoghi molto distanti fra di loro, ma che si condensano attorno ad un mitologema 3 a cui queste tre determinazioni (l’osceno, il riso, il sacro) sono essenziali. In sé, ciascuna di esse è certo molto studiata, ma assai di meno lo è la loro interrelazione, che appare, più spesso di quanto la communis opinio vorrebbe, laddove un'esibizione oscena, in questo caso l'esposizione volontaria dei genitali, avviene in un contesto religioso e/o cerimoniale ed è accompagnata dal sorriso e dal riso. In considerazione del fatto che i materiali 1 Si rileggano le «definizioni di territori» di Calvino (1980). 2 Il lettore scaltrito si sarà accorto che riutilizzo liberamente alcuni spunti altrui, in particolare, per la dimensione spettacolare, cfr. Tessari (1983), e per la teoria del riso, cfr. Ceccarelli (1988). Ringrazio Gioachino Chiarini per avermi indicato il volume da lui scritto in collaborazione con Roberto Tessari. 3 Cfr. Kerényi: «un'antica massa di materiale tramandata in racconti ben conosciuti che tuttavia non escludono ogni ulteriore modellamento, – "mitologema" è per essa il migliore termine greco – racconti intorno a dèi, esseri divini, lotte di eroi, discese agli inferi.» (in Jung – Kerényi 1972: 15) L'accezione sarà nondimeno da allargare a tutte le tradizioni, antropologicamente intese. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 1 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO escussi, per il loro numero e per la pluralità di implicazioni che possiedono, richiederebbero una trattazione che esorbita dai limiti imposti in questa sede 4 , l’approccio seguito qui sarà eminentemente problematico. In via preliminare, accenno solo ad alcuni contesti ermeneutici ed euristici coinvolti in questo tipo di studio: 1) la metodologia comparativa, data l’internazionalità delle evidenze (Egitto, Grecia, Giappone, etc.) e la varietà delle testimonianze, che inducono a riflettere sulla classificazione del materiale; 2) l’identità e l'identificazione del personaggio, che compie il gesto di sollevare le vesti scoprendo la vulva (l’o·ocu¡¡o) 5 , e di quello a cui l'esibizione è rivolta, sia per una variabilità del nomen agentis, sia per il diverso valore che può assumere l'atto; 3) i rapporti fra rito, mito e fiaba o racconto popolare e letteratura, atteso che il gesto dell’o·ocu¡¡o li attraversa tutti; 4) le relazioni spesso circolari fra testi e immagini, fra enunciati storici, etnografici, poetici, narrativi e reperti archeologici, rappresentazioni iconiche fittili, glittiche o d’altro tipo. 1. Nell’Inno omerico a Demetra (VI secolo a.C.) la dea, a cui Ade ha rapito la figlia Core o Persefone, abbandona l’Olimpo e vaga desolata sulla terra, dopo aver deformato la sua figura perché nessuno la riconoscesse; aveva l’aspetto di una vecchia non più capace di partorire, né di partecipare ai doni della dea dell’amore. Ad Eleusi viene invitata alla reggia di Celeo e Metanira, «ma Demetra apportatrice di messi, dai magnifici doni,| non volle sedersi sul trono risplendente,| e ristette in silenzio, abbassando i begli occhi,| finché l’operosa Iambe ebbe disposto per lei| un solido sgabello, gettandovi sopra una candida pelle.| Là ella sedeva, e con le mani si tendeva il velo sul volto;| e per lungo tempo, tacita e piena di tristezza, stava immobile sul seggio,| né ad alcuno rivolgeva parola o gesto,| ma senza sorridere, e senza gustare cibi o bevande,| sedeva, struggendosi per il rimpianto della figlia dalla vita sottile:| finché coi suoi motteggi l’operosa Iambe,| scherzando continuamente, indusse la dea veneranda a sorridere, a ridere e a 4 Per questo mi riservo di continuare e approfondire l'indagine in altra occasione. 5 Deverbale astratto di o·ocu¡., al medio o·ocu¡¡o. col significato di 'mi tiro su le vesti, mi denudo'. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 2 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO rasserenare il suo cuore:| Iambe che anche in seguito fu cara all’animo della dea» 6 . Quindi Demetra, dopo aver rifiutato il vino offertole da Metanira, dà istruzioni perché le si prepari il ciceone (bevanda a base di orzo e menta). Ci sono in questo testo già quasi tutti gli elementi del mitologema: 1) la crisi rappresentata dal lutto demetrico per la sparizione della figlia, con i segni che la dea assume su di sé (rifiuto della fecondità e dell’amore, rifiuto della sovranità, del cibo e della bevanda, silenzio, gestualità trattenuta e assenza di sorriso), 2) l’intervento risolutore di Iambe, consistente in scherzi e facezie atte a divertire e a sciogliere la tensione della dea, 3) il riso di Demetra che segnala l'uscita dalla crisi luttuosa, recuperando la gioia di vivere. La distribuzione dei ruoli gerarchici fra le attanti (dea / ancella) non è senza significato nelle testimonianze greche, ma si noti tuttavia la comune appartenenza al genere femminile e forse anche l’aspetto di donna in età non più fertile 7 . Il valore simbolico del riso, come segno di un ‘ritorno alla vita’ umana e alla fertilità della terra, più volte indicato in sede demo- antropologica, anche come mezzo magico per (ri)suscitare la vita 8 , sembra di nuovo attualizzato in questa scena mitica; tuttavia, non è altrettanto evidente che cosa inneschi il sorriso prima e poi il riso aperto di Demetra, stante la genericità dei termini che descrivono le parole di Iambe. Se non il contenuto, almeno la natura del risibile di quei motti è manifestato dai riferimenti a quella scena in altri autori antichi successivi (soprattutto Apollodoro e Diodoro Siculo) 9 , che connettono le battute e le prese in giro di Iambe alle ingiurie rituali nel contesto eleusino 10 , e al turpiloquio (o.c¸¡`,.o) e ai lazzi osceni che le donne si scambiavano durante le trasgressive feste Tesmoforia in onore di Demetra 11 . Sarebbe dunque il riferimento al sesso, l’oscenità verbale, a essere tematizzato nel motteggio dell’ancella, ad agire in quanto violazione, forse ritualizzata, di un 6 Per la traduzione italiana cfr. Càssola (1981). 7 Demetra lo simula (è detto poco prima nell’Inno); Iambe appare tale da altre fonti (l'inno a Demetra di Filico di Corcira, la Biblioteca attribuita ad Apollodoro): cfr. Olender (1985: 12-13). 8 Cfr. Reinach (1996) e Propp (1975) che insistono sul carattere rituale di questo riso («ce rire rituel marque la renaissance de la déesse et celle des forces végétales qu'elle personifie», Reinach: 153), quindi sulle connessioni col folklore agrario in cui l'abbinamento di licenziosità e risa agisce come provocazione magica della fecondità. 9 Cfr. Di Nola (1984: 25-26): il saggio di Di Nola, insieme a quello di Olender (1985) già citato, rappresenta tutt'oggi il contributo più ampio e documentato sul mitologema in questione. Sul passo della Biblioteca storica di Diodoro cfr. anche Martorana (1985: 51-57). 10 Cfr. De Martino (1934): insulti rituali, detti gefirismi, erano lanciati al passaggio della processione da Atene a Eleusi sul ponte sul Cefiso. 11 Una vivida descrizione ne dà Aristofane nelle Tesmoforiazuse ; penetrante la lettura di Zeitlin (1982). Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 3 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO interdetto culturale, suscitando il riso liberatorio e rivitalizzante della dea; e se Freud 12 ci ha insegnato a riconoscere in ogni witz di carattere osceno nient’altro che una denudazione in verbis non è difficile decifrare nelle facezie di Iambe una forma di evocazione/esibizione del sesso tout court. 2. Nella variante orfico-alessandrina della consolazione di Demetra la scena si arricchisce di altri dettagli. Nei testi di Clemente Alessandrino, II-III secolo (poi ripreso da Eusebio di Cesarea, III secolo) e di Arnobio, III-IV secolo, la dea alla ricerca della figlia incontra, sempre nel territorio di Eleusi, alcuni indigeni, una coppia, Baubò e Disaule, coi loro tre figli Trittolemo, Eumolpo ed Eubuleo. La donna (Baubò) accoglie ospitalmente la dea e le offre il ciceone: µ; :: o·o.·¡:·µ; `o3:.· -o. v.:.· u- :):`ucµ; v:·)µ¡µ; ,o¡ µ· v:¡.o`,µ; µ 3ou3. ,:·¡:·µ, .; uv:¡¡o):.co :µ):·, o·oc:``:o. o o.:.o -o. :v.::.-·u:. µ ):. µ :: :¡v:o. µ ,:. µ Aµ. -o. ¡`.; v: ::¸:o. v·, µc):.co . ):o¡o.. [ma lei lo respinge e si rifiuta di bere (infatti era in grave lutto); Baubo è molto addolorata, ritenendo di essere stata disprezzata; scopre le vergogne e le mostra alla dea; allora Deo, divertita a quella vista, accetta infine la bevanda, rallegrata da quello spettacolo] 13 Questi sono i misteri segreti degli Ateniesi, commenta Clemente e prosegue citando versi attribuiti a Orfeo, nei quali Baubò .; :.vuco v:v`u; o·:cu¡o, ::.;: :: vo·o c.¡o; u:: v¡:v·o uv· vo.; :∆ µ:· “lo-¸;, ¸:.¡. : ¡.· ¡.voc-: ,:`.· 3ou3u; uv -`v.; µ :∆ :v:. u· ¡:.:µc: ):o, ¡:.:µc∆ :·. )u¡., ::;o :∆ o.`· o,,;, :· . -u-:.· :·:-:. [così detto, sollevò il peplo e mostrò tutte le oscenità del suo corpo; il fanciullo Iaccho c'era, e, ridendo, agitava la mano sotto il seno di Baubo; la dea, allora, sorrise, sorrise nel suo cuore, e accettò la coppa dai colori cangianti, in cui si trovava il ciceone.] 14 A differenza di Iambe, Baubò non ricorre al motteggio verbale, ma a un gesto di denudamento (l’o·ocu¡¡o), che ha tutta l'aria di una reazione minacciosa al rifiuto 12 Cfr. Freud (1975: 122, 244). 13 Protreptikos pros Ellenas, II, 20, 3. 14 Protreptikos, II, 21, 1: la traduzione tradisce, come sempre, le sfumature lessicali e semantiche di un testo che, oltre tutto, si propone come filtro dei 'misteri eleusini'. Avverto inoltre che, nel seguito, per non complicare ulteriormente la discussione, tralascio di occuparmi dell'enigmatico Iacco. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 4 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO dell'offerta della bevanda: ciò che a prima vista appare inesplicabile è proprio il riso della dea 15 . In Arnobio il contrasto è ancora più marcato: 3. Igitur Baubo illa, quam incolam diximus Eleusinii fuisse pagi, malis multiformibus fatigatam accipit hospitio Cererem, adulatur obsequiis mitibus, reficiendi corporis rogat curam ut habeat, sitientis ardori oggerit potionem cinni, cyceonem quam nuncupat Graecia: aversatur et respuit humanitatis officia maerens dea nec eam fortuna perpetitur valetudinis meminisse communis. [quindi quella Baubo, che abbiamo detto abitante del villaggio eleusino, offre ospitalità a Cerere affaticata da molteplici sofferenze, le fa festa con gentile rispetto, la prega di aver cura di far riposare il corpo, all'arsura dell'assetata pone davanti una bevanda che i Greci chiamano ciceone: la dea afflitta rifiuta e respinge i segni della cortesia e non sopporta che le ricordi per caso la comune salute (?)] 4. Rogat illa atque hortatur contra, sicut mos est in huiusmodi casibus, ne fastidium suae humanitatis | f. 111b | adsumat: obstinatissime durat Ceres et rigoris indomiti pertinaciam retinet. [ella chiede e raccomanda invece, com'è d'uso in questi casi, di non aggiungere il fastidio della sua gentilezza: Cerere resiste con ostinazione massima e mantiene la costanza di una durezza feroce] all’ostinazione della dea, nel rifiutare con la bevanda ogni consolazione che le viene offerta, Baubò cambia tattica: 5. Quod cum saepius fieret neque ullis quiret obsequiis ineluctabile propositum fatigari, vertit Baubo artes et quam serio non quibat allicere ludibriorum statuit exhilarare miraculis: partem illam corporis, per quam secus femineum et subolem prodere et nomen solet adquirere genetricum, longiore ab incuria liberat, facit sumere habitum puriorem et in speciem levigari nondum duri atque histriculi pusionis. 6. Redit ad deam tristem et inter illa communia quibus moris est frangere ac temperare maerores retegit se ipsam atque omnia illa pudoris loca revelatis monstrat inguinibus. Atque pubi adfigit oculos diva et inauditi specie solaminis pascitur: tum diffusior facta per risum aspernatam sumit atque ebibit potionem, et quod diu nequivit verecundia Baubonis exprimere propudiosi facinoris extorsit obscenitas [dato che più di una volta accadeva questo e non si riusciva a logorare con alcuna cortesia il proposito indomabile, Baubo cambia maniere e quella che non riusciva ad accattivarsi con la serietà decide di rallegrare con uno scherzo straordinario: quella parte del corpo, dalla quale il sesso femminile genera la prole e ottiene il nome di madre, libera da una prolungata trascuratezza, fa che prenda un aspetto più pulito e che sia resa liscia con l'apparenza di un ragazzino ancora tenero e imberbe. Torna dalla dea triste e fra quelle cose comuni con le quali è costume mitigare e alleviare le sofferenze si scopre e denudandosi l’inguine mostra tutte quelle zone vergognose. La dea allora fissa gli occhi sul pube e si diletta alla vista di quella inedita consolazione: quindi resa più rilassata dal riso 15 Se traducessimo la scena clementina in una battuta del dialogo quotidiano, lontano da ogni risonanza mitica, Baubò direbbe pressappoco: «Ah, sì? Rifiuti? Allora ti faccio vedere io…» La risposta verbale (e gestuale) ad un diniego o ad una ricusazione di qualcosa proposto da chi parla, nel linguaggio ordinario, adotta una formula stereotipata, in cui, però, il 'far vedere' sembra alludere senz'altro ad alcunché di normalmente celato, che, qualora sia mostrato, possa sorprendere e colpire il destinatario. In ogni caso si tratta di un messaggio di minaccia. Che poi sia sotteso ad esso un piano simbolico che investa l'oggetto non dichiarato dell'esibizione di una valenza sessuale e/o energetica, lascio che siano altri ad argomentare più compiutamente. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 5 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO prende la bevanda disprezzata e beve, e quello che a lungo non era riuscita a produrre la riservatezza di Baubo lo estorse l'indecenza di un atto osceno] 16 Se il quadro di riferimento appare in sostanza lo stesso (la crisi luttuosa di Demetra risolta dal riso provocato dall’esibizione oscena), i ruoli attanziali appaiono mutati e lo stimolo del riso meglio specificato. Pur in un quadro di interrelazioni femminili – che ha un indubbio peso nel determinare il significato dell’o·ocu¡¡o – Baubò è qui investita di un ruolo non ancillare, ma equiparabile a quello della dea, a cui offre il ciceone (non è Demetra a istruirne la preparazione) quasi elemento di un rituale di ospitalità. All’iterato rifiuto, risponde – nel testo clementino – con un atteggiamento provocatorio, e non con le parole scherzose di Iambe; nel testo arnobiano invece la motivazione appare più complessa: se l'atteggiamento rigido e sprezzante della dea non può esser attenuato dalle maniere gentili, espressione del rispetto comunque dovutole, allora Baubò ricorre alla sorpresa, che aggira le difese demetriche, ponendola di fronte a uno spettacolo inatteso: ma ci si domanda che significato può avere, se non è invenzione maliziosa dello scrittore cristiano, l'accurata preparazione dell’o·ocu¡¡o e quale messaggio corre nella comunicazione fra le due donne 17 . È indubbio che al centro di queste testimonianze è il gesto vero e proprio dell’ostensione vulvica 18 e non un suo surrogato verbale; ma l’esatta natura della relazione fra le due donne e del risibile implicato nell’atto osceno deve ancora essere meglio indagata. Non è tanto in questione l’identità di Demetra, quanto l’identificazione di Baubò e il valore dell’o·ocu¡¡o. 3. 3ou3. è un nome dal significato incerto, ma non del tutto indefinito se ci si accontenta di individuare un reticolo semantico-etimologico in cui situarlo; la ripetizione consonantica denoterebbe una voce di origine affettiva, congruente con alcuni verbi che significano ‘addormentarsi’ specialmente cullati da una ninna-nanna, con evocazione del carattere di ‘nutrice, balia’ che è in alcune fonti 16 Arnobii Adversvs Nationes Liber V, 25. 17 Forse una forma di complicità o solidarietà femminile? Fra la contadina e la dea, ontologicamente distinte, il richiamo a una comunione di genere, che faccia superare la diffidenza, prima che l'afflizione luttuosa, che alberga nell'animo di Demetra? 18 Mi prendo la libertà di modellare questo aggettivo sul corrispondente 'fallico', per sottolineare il comune sostrato etnoreligioso, che nel più comune, e d'ambito medico, 'vulvare' passerebbe inosservato. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 6 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO associato al personaggio 19 ; la radice onomatopeica lo collegherebbe all’abbaiare del cane, e non si potrà fare a meno di ricordare la spudoratezza che il mondo greco associa simbolicamente a questo animale, 20 cosí conforme al gesto di Baubò. Una glossa di Esichio spiega un passo di Empedocle dando al nome (della ‘nutrice’ di Demetra) il significato di -.`.o ‘cavità’, ma altresì ‘ventre, visceri; utero’. Nel VI dei Mimiambi di Ero(n)da (III sec. a.C.) compare una variante maschile del nome (3ou3.· ) col significato di `.c3;, simulacro fallico impiegato nei piaceri femminili. Fuori dal greco non sono mancati gli accostamenti a personalità mitologiche dell’antico Egitto e del vicino Oriente, accomunate dalla radice onomastica /Ba/ e dal carattere di divinità femminili, quindi dal simbolismo della vulva (fecondità, allevamento ecc.) 21 . Se dall'onomastica e dall'etimologia, pur accennate in modo troppo sommario, ci spostiamo al gesto che sembra connotare il personaggio piú di ogni altra cosa, l’o·ocu¡¡o, il campo di osservazione si amplia di molto, sia dentro che fuori del mondo greco, e ci impone degli attraversamenti di generi, di tempi e di luoghi. Il valore dell’atto di sollevare o tirare indietro le vesti per mettere a nudo ed esibire il sesso femminile può essere riportato in chiave antropologica alla evocazione di una potenza (mana) propria della donna, di una energia sessuale (non necessariamente erotica, si badi bene) in grado di allontanare il male, il dolore, la sventura (funzione apotropaica) e di restituire la vita, specificamente la fecondità; si tratta di un tipico atto ambivalente – secondo la logica del sacro – in cui si combinano un effetto (magico) negativo e uno positivo (negazione della negazione), in dipendenza dei destinatari a cui è rivolto. Come tale, e in ragione della condizione della donna nella Grecia antica, esso è interdetto e la sua esecuzione comporta una violazione del tabu, quindi una circostanza eccezionale 22 . C’è ad esempio una serie di aneddoti in cui una o più donne ricorrono al gesto di scoprire le parti più femminili del loro corpo; in contesti bellici o comunque conflittuali, sia come mezzo per ‘spaventare’ il nemico sia come incoraggiamento o rimprovero rivolto ai propri figli, mariti o uomini che 19 Cfr. Olender (1985: 6, 39 e passim), Di Nola (1984: 33, 42 e passim) per indicazioni più puntuali sulle testimonianze che seguono. 20 Cfr. il recentissimo Franco (2003). 21 Cfr. Lubell (1994: 21-28) oltre ai citati Di Nola e Olender. 22 Di Nola (1984: 41) distingue fra nudità e denudamento, esibizione del sesso e o·ocu¡¡o vero e proprio, a seconda della violazione o meno di un interdetto relativo al corpo nudo: in questa sede mi sembra lecito non utilizzare sottigliezze eccessive. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 7 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO scappano dal combattimento, spartane, licie o persiane, da sole o in gruppo, la tradizione antica ci ha conservato più d'un ricordo di tali atti esibizionistici molto efficaci e nient'affatto erotici 23 ; in forme attenuate (messa in mostra del seno anziché del pube) 24 siffatti comportamenti compaiono anche in testi e documenti della cultura germanica e celtica 25 . Denotano già una utilizzazione narrativa del ‘motivo’ le storie di Agnodice e di Santa Eugenia; la prima può essere assunta a mito di fondazione dell’ostetricia femminile 26 , la seconda rientra nel sottogenere agiografico delle ‘travestite’. Nelle Fabulae di Igino (274, 10-13) 27 si narra della ragazza Agnodice che, per poter studiare medicina, si tagliò i capelli e si vestí da maschio; dopo gli studi, aiutò una donna durante le doglie, ma per ottenerne la fiducia dovette rivelarsi a lei come femmina (1° o·ocu¡¡o); in questo modo assistette in seguito altre donne, finché i medici maschi, sempre meno richiesti, la accusarono di sedurre le pazienti e la trascinarono in tribunale; qui, per provare la falsità dell’imputazione, Agnodice sollevò di nuovo le sue vesti mostrando la sua natura femminile (2°o·ocu¡¡o). È interessante notare come in questa narrazione l’atto compaia nella sua duplice valenza, di virtuale creatore di solidarietà (rivolto a un destinatario congenere), nella prima occorrenza in cui Agnodice, forse, oltre ad accattivarsi la complicità di un'altra donna, potrebbe volerne alleviare magicamente il dolore, ma altresì di mezzo in grado di stornare una minaccia (proveniente da antagonisti maschili), nel secondo caso in cui la ragazza, oltre ad allontanare le accuse dei giudici, implicitamente ma non troppo mira a svergognarli. Anche la leggenda di Santa Eugenia include un processo: una giovane patrizia romana, istruita e bella, figlia del prefetto di Alessandria, dopo aver 23 Plutarco, de virtutibus mulierum IX, 248b; ancora Plutarco, moralia 241b, 246a, 247f, 248d ; Polieno, strategemata VII, 45, 2; Nicola di Damasco, FGrH 90A66, 43-44; Pompeo Trogo, historiae philippicae (compendio di Giustino I, 6, 13-14): cfr. testi e commenti in King (1986), altri riferimenti a questa serie testuale che è lungi dal limitarsi alla tradizione antica, come dico qui sopra, nei lavori di Moreau (1951) e, prima, di Bonner (1920). 24 «Maintes exemples empruntés aux littératures les plus diverses, prouvent que les seins sont les substitut régulier des pudenda muliebria chaque fois que le caractère du texte exige l'adoucissement de l'expression» (Moreau 1951: 291). 25 Tacito, germania 8, 1 (obiectu pectorum); Eiriks saga raudha XI, 19-21 (trad. it. in Caprini 1995: 97); Táin Bo Cúailnge, versione del Libro di Leinster, cfr. Moreau (1951: 292); ma credo che appena si approfondisca un po' l'indagine la serie delle testimonianze aumenterà senz'altro, tralignando sia i limiti linguistico-areali che quelli storici e culturali, perché non mancano indizi di usanze simili presso popolazioni di interesse etnografico, anche in epoche recenti (cfr. Lubell 1994: 181). 26 Cfr. Bettini (1998: 310-11) che ripercorre il tema all'interno di un discorso sull'astuzia delle levatrici. 27 Testo e commento analitico nell'articolo di King (1986). Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 8 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO rifiutato una proposta di matrimonio, comincia a interessarsi alla religione cristiana attraverso gli scritti dell'apostolo Paolo; in viaggio verso la campagna viene attratta da un gruppo di cristiani che cantano le lodi del Signore, perciò con l'aiuto di due servi si taglia i capelli, si veste da uomo e si unisce a una comunità monastica. Per la sua pietà e umiltà viene in seguito scelta come abate del monastero; Eugenia/Eugenio si trova un giorno a curare una ricca vedova, che si invaghisce del bell'abate, ma viene ovviamente respinta; l'agiografo riutilizza qui il ben noto motivo della moglie di Putifarre: la donna denuncia allora un tentativo di seduzione da parte del religioso e lo trascina in tribunale. Davanti alla corte presieduta dal prefetto suo padre, Eugenia non ha altro modo per discolparsi che strapparsi la tunica, mostrando il suo sesso femminile, e rivelare la sua identità 28 . Se vogliamo proseguire questo itinerario nelle diverse realizzazioni narrative e letterarie del motivo (non parlerei piú a questo punto di mitologema, avendo a che fare con testi assai lontani dal quadro etnoreligioso originario, qualunque esso sia), senza pretendere di esaurirlo, possiamo accennare ad alcune occorrenze in testi folklorici o comunque compromessi col folklore. 4. Propp aveva analizzato, nell’ambito di una ricerca sul riso rituale, le due fiabe parallele di Nesmejana, la principessa che non ride, o,:`oc; come Demetra, e dei ‘contrassegni’ della principessa; in entrambi i casi la protagonista sposerà chi riuscirà nel compito, o di farla ridere, o di rivelarne i contrassegni, cioè, come si capisce dal confronto delle diverse redazioni, a scoprire un particolare anatomico (un neo, un pelo) situato in una parte del corpo di solito coperta, quindi a indurre la principessa a un gesto di denudamento. 29 In questo caso il motivo appare scomposto e rielaborato, ma conserva ancora alcuni legami simbolici con l’universo femminile della fecondità: il promesso sposo deve provocare il riso della ragazza e/o ottenerne l’amplesso. Inoltre il materiale fiabistico ci conserva inalterato il nesso fra elemento sessuale, comico e religioso che l'inseguimento della fenomenologia dell' o·ocu¡¡o poteva aver messo in ombra. L'interpretazione ritualistica del riso, che Propp accoglie sulla scorta del vecchio 28 Cfr. Bonner (1920): il testo è trasmesso in tre redazioni, una armena, una latina e una greca, senza sostanziali differenze; il tema delle sante travestite è trattato da Patlagean (1992: 135-65) e in ambito francese antico cfr. Ferrari (2000); l'ambientazione processuale del denudamento non può non ricordare la leggendaria difesa di Frine, fatta da Iperide. 29 Il saggio di Propp (1975) è assai noto e citato, dunque rinvio alla sua analisi dettagliata, che esplicitamente richiama, tra l'altro, il mitologema di Demetra e Iambe/Baubò. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 9 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO lavoro di Reinach, mette in forte evidenza il simbolismo del riso come indice e fattore di rinascita, e parimenti come solutore di una crisi 30 . Più esplicito l’aneddoto conservato nell’introduzione del Pentamerone (Cunto de li cunti) di Giambattista Basile 31 : la figlia del re di Vallepelosa non rideva mai, finché un giorno assistette allo scambio di ingiurie fra un certo diavoletto paggio di corte e una vecchia, a cui quello aveva rotto l’anforetta che portava; quello che fece scoppiare a ridere la principessa fu la reazione della vecchia che «alzata la tela dell’apparato fece vedere la scena boschereccia», cioè si produsse in un’esibizione oscena dall’evidente funzione apotropaica; si noterà la costanza di alcuni tratti: le attanti femminili, delle quali una è vecchia come Iambe, il riso prima negato poi scatenato dall’o·ocu¡¡o, che tuttavia non è mosso da intenzione comica. Analogo il trucco usato da una vecchia di Papafiche, nel quarantasettesimo capitolo del Quarto libro di Gargantua e Pantagruele di François Rabelais 32 : per allontanare il diavolo da casa sua «si scoprì fino al mento, come già fecero un tempo le donne persiane di fronte ai lor figli che fuggivano dalla battaglia, e gli mostrò il suo come si chiama»: a quella vista l’avversario se la svignò; si noti, per inciso, come Rabelais combini scientemente la tradizione dell’ostensione vulvica ‘combattente’ della tradizione antica con quella folklorica in funzione scaccia- guai. Proseguendo a ritroso e senza preoccupazioni di sistematicità, il Medioevo francese conosce la performance di Grinberge, un’altra vecchia oscena, i cui grotteschi denudamenti delle parti basse nel poemetto eroicomico di Audigier 33 , punteggiano le esperienze fondamentali di questo cavaliere burlesco, ma conservano sempre, oltre la superficie oltraggiosa, l’aggressione terribile, un residuo della funzione positiva, rigenerante dell’esposizione alla matrice della vita. 30 Non a caso nella festa delle Daidala a Platea, ricordata da Reinach (1996: 145) in apertura del suo saggio sulla scorta di un passo di Eusebio di Cesarea, fondato su un testo plutarcheo perduto, il mito racconta che Era scoppia a ridere allorquando scopre, strappando i veli che la rivestono, che la promessa sposa di Zeus portata sul carro nuziale non è altro che un manichino di legno, che sarà bruciato. Il riso scaturisce ancora una volta quando una minaccia si rivela di colpo clamorosamente infondata. 31 Cito dalla traduzione di Ruggero Guarini, cfr. Basile (1994). 32 Cito dalla traduzione di Mario Bonfantini, cfr. Rabelais (1973). 33 Cfr. Lazzerini (2003: 42-43); i passi pertinenti sono: «et, por lui faire honte et corroucier, | se descouvri la dame sanz atargier» (vv. 216-17: «e per svergognarlo e farlo arrabbiare | s'alzò la sottana senza esitare»), «Grinberge a descouvert et cul et con | et sor le vis li ert a estupon» (vv. 410-11: «Grinberge ha messo a nudo culo e fregna | e sulla faccia gli s'è acciambellata»), «Grinberge estdescouverte jusqu'au nombriz, | sor Audigier s'asiet non pas enviz» (vv. 418-19: «Grinberge è scoperta fino all'ombelico, | sopra Audigier ben volentier s'asside»). Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 10 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO Apparentemente antitetica rispetto a questa galleria di megere, la delicata Nicoletta della cantafavola Aucassin et Nicolete possiede pure doti analoghe se è vero quel che ne dice il suo fidanzato 34 : L'autr'ier vi un pelerin, | nes estoit de Limosin, | malades de l'esvertin, | si gisoit ens en un lit, | mout par estoit entrepris, | de grant mal amaladis; | tu passas devant son lit, | si soulevas ton traïn | et ton peliçon ermin, | la cemisse de blanc lin, | tant que ta ganbete vit: | garis fu li pelerins | et tos sains, ainc ne fu si; | si se leva de son lit, | si rala en son païs | sains et saus et tos garis. (XI, 16-31) [L'altro giorno vidi un pellegrino, | era nato nel Limosino, | malato era del male dei folli, | se ne stava dentro un letto, | era proprio mal conciato, | oppresso da tanti malanni; | passasti tu davanti al suo letto, | e alzasti la gonna | e la tunica foderata di ermellino, | la camicia di lino bianco, | fin tanto che vide la tua gamba sottile: | il pellegrino ne fu guarito | e del tutto risanato, non era mai stato così bene; | e si alzò dal suo letto, | e se ne tornò al suo paese | sano e salvo e completamente guarito] La pudica attenuazione cortese della parte esibita, pur in un contesto palesemente ironico, è contraddetta dalla tecnica spogliarellistica della fanciulla e dalla subitaneità dell'effetto risanatore: il senso del testo diventa trasparente una volta che lo si inserisca nella filiera di denudamenti più o meno mitici che stiamo considerando. Ma risulta addirittura flagrante l'analogia con una fiaba aleutina sull’incesto, in cui «una fanciulla violata dal fratello lo uccide, quindi alza le gonne e incanta 35 : come questo aveva prima eccitato la sua virilità, cosí ora deve alzarsi lui stesso»: l'intreccio causale di esposizione del sesso femminile e richiamo magico della vita non ha bisogno di commenti. 5. Gli esempi appena addotti, pur nella loro limitatezza, sottintendono il problema delle relazioni di dipendenza fra mito e racconto popolare e poi fra questo e la letteratura, cioè, per dirla tutta, la questione se il patrimonio narrativo folklorico internazionale sia in una certa misura il deposito di tradizioni mitologiche antiche, in esso sprofondate, ovvero, per la sua natura pluristratificata e di lunghissima durata, sia il mezzo che ci consente di attingere ad altezze cronologiche non altrimenti documentate, dunque assai più remote dell'antichità classica 36 . Come apparirà anche dal seguito di questo intervento, mi pare che anche le ramificazioni del nostro mitologema (e del motivo etnoletterario 34 Testo e traduzione secondo Liborio (1991: 56-57). 35 Così la traduzione italiana del saggio di Jakobson (1975: 223) da cui cito; anche l'originale inglese (negli Studia…L. Spitzer del 1958) reca un improbabile «incants»; mi pare chiaro che il verbo alluda al carattere magico del gesto, quasi un incantesimo. 36 Come Propp ha sempre ribadito (cfr. Propp 1990: 166 e passim) e la comparatistica romanza sta riscoprendo (cfr. Donà 2003: 226 e passim). Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 11 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO che ne deriva) possano mostrare quanto la seconda ipotesi sia più coerente coi dati di una comparazione senza pregiudizi. Una buona parte della discussione critica intorno all’affaire-Baubò si è anche preoccupata di rintracciare le correlazioni rituali dei racconti mitologici, perlopiù in ordine a una presunta funzione eziologica (storie inventate per spiegare rituali esistenti), ma altresì con l'intento di connettere i singoli tratti (relazioni femminili, denudamento, risa, oscenità, crisi/soluzione etc.) a usi e condotte variamente attestate nel mondo antico. Due sono stati i principali termini di riferimento di queste indagini: i misteri eleusini e soprattutto le Tesmoforie, entrambi legati al culto e alla mitologia demetrica e collocati nella stagione autunnale; nel corso della celebrazione dei misteri, i partecipanti attualizzavano il digiuno, come la dea in lutto per la perdita della figlia, poi lo interrompevano con la bevuta rituale del ciceone, come anche aveva fatto Demetra, e, nel corso della processione, erano oggetto dei gefirismi, assimilabili ai motteggi di Iambe o all'oscenità di Baubò. 37 Più complesso il rapporto con i tre giorni di festa delle donne, che si ritrovavano insieme per celebrare il lutto e festeggiare la consolazione della dea all’insegna del riso, degli scherzi, del turpiloquio e di allusioni ai temi e ai simboli della sessualità e della fecondità, nonché di consumazioni rituali (melagrana, agnocasto) pure strettamente legate alla fertilità femminile e alla dinamica delle sue trasformazioni 38 . Anche se siamo meno informati su queste celebrazioni, in cui alle donne, separate dagli uomini e dal resto della città, era permesso violare quei tabù e quegli interdetti che ne caratterizzavano invece la vita ordinaria e organizzarsi autonomamente, dando libera espressione alla loro natura, è verosimile che il mitologema di Baubò, con la sua esibizione di ciò che di norma è nascosto e con il suo simbolismo, che abbina la bocca aperta dalla risata alla vulva dischiusa 39 , vi avrebbe trovato il contesto più idoneo. Il plesso formato da esibizione oscena, relazione fra esseri divini o mitologici, risata risolutrice di una crisi non è tuttavia specifico solo dell’universo greco. Abbiamo già incontrato, forse senza accorgercene 40 , alcune localizzazioni, 37 La connessione di Baubò con Eleusi appare tuttavia, se non erro, solo tardi e negli autori cristiani citati sopra. 38 Cfr. Lubell (1994: 29-43) che riassume anche le interpretazioni precedenti. 39 Cfr. Zeitlin (1982: 144) a cui rinvio anche per un'ottima interpretazione delle Tesmoforie. 40 Gravitavano infatti su Alessandria sia Clemente che Santa Eugenia. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 12 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO parallele a quelle eleusine, che ci portano in area egiziana, dove incontriamo qualche altra testimonianza degna di nota. Anzitutto, Erodoto 41 racconta che durante la festa celebrata a Bubasti in onore della dea-gatto Bastet (accostata ad Artemide e più tardi assimilata a Iside), nel corso della navigazione fluviale, le donne al passaggio davanti ad un centro abitato si abbandonano a ingiurie e derisioni oscene, alzandosi in piedi e sollevandosi le vesti, all’indirizzo delle donne che là dimorano. Quattro secoli dopo, Diodoro Siculo 42 documenta un altro gesto di denudamento rituale femminile in occasione delle cerimonie successive alla scelta del nuovo toro sacro Apis, ritenuto incarnazione del dio Ptah: il popolo è liberato dal lutto e le donne, normalmente impedite dal mostrarsi davanti al dio, vanno al suo cospetto e alzano le vesti, esponendo i genitali. Si tratta plausibilmente di una provocazione ritualizzata della fecondità, come risulta dall'infrazione permessa del tabù, che si può senz'altro paragonare ad esposizioni consimili testimoniate, anche in età moderna, per aree di interesse etnologico, come quella indiana 43 ; ma questa spiegazione non è sufficiente per l’esempio erodoteo, che implica il motteggio verbale, insieme all’esibizione oscena, il coinvolgimento dello stimolo del riso e il comune genere femminile delle attanti. Ma è l’episodio di Hathor che presenta molte somiglianze con il mitologema di Baubò; nel papiro Chester Beatty I, reso noto da sir A.H. Gardiner nel 1931, è contenuto un testo che rielabora la leggenda della rivalità fra Horo e Seth per l'eredità di Osiri. Durante il processo davanti all'Enneade, il tribunale degli dèi, nasce una discussione e il signore dell'universo e dio solare Ra-Harakhte viene gravemente offeso da un altro personaggio divino, Baba: Ra-Harakhte soffrì per la risposta che gli era stata fatta; si sdraiò sul suo dorso, eil suo cuore era molto triste. Allora l'Enneade divina uscì fuori e lanciò un grande grido verso la faccia del dio Baba e gli disse: «Vattene fuori! Il crimine che hai commesso è molto grande!» Poi se ne andarono nelle loro dimore. Il grande dio passò un giorno steso sul dorso nel suo padiglione e il suo cuore era triste e lui era solo. Ora, dopo un lungo momento, Hathor, la signora del sicomoro del Sud, venne e stette davanti a suo padre, il signore Universale, e scoperse il suo sesso davanti a lui. Allora il grande dio ne rise; poi si alzò e venne a sedersi con la grande Enneade, e disse a Horo e a Seth: «Parlate, voi!» 44 Lo schema è ancora quello di una crisi scoppiata fra personaggi di rango divino, e quindi con potenziali implicazioni universali, che viene risolta con 41 Storie II, 60 : cfr. Di Nola (1984: 22) e Lubell (1994: 26). 42 Biblioteca storica I, 85, 2 43 Mi riferisco alle donne che mettono a nudo la parte anteriore del loro corpo di fronte a statue del lingam (cfr. Bonner 1920: 260n). 44 Traggo il testo da Bresciani (1999: 366). Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 13 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO l'intervento di una donna che suscita il riso liberatorio dalla tensione grazie a un o·ocu¡¡o; il testo offre assai pochi indizi per congetturare che cosa scateni la risata del Signore Universale e, d'altronde, introduce un legame di parentela e una differenza di genere fra i due attanti. La protagonista Hathor è detta signora del sicomoro meridionale o signora di Hetepet, toponimo cultuale che è stato interpretato come 'vulva', quindi la dea sarebbe appunto una signora della vulva o della fecondità 45 : il riso di Ra-Harakhte potrebbe leggersi allora «come evento potente che coincide con l'osceno nel processo solutorio della crisi» 46 . 6. Il mitologema di cui ci stiamo occupando sembra fatto apposta per far saltare i rassicuranti confini delle nostre compartimentazioni disciplinari, linguistiche, geografiche, storiche: come avevano già notato alcuni fra i primi studiosi che se n'erano occupati 47 , la mitologia giapponese conosce un esempio del tutto analogo. L'episodio, che gli studiosi del teatro Nō conoscono nella forma di mito fondativi, datagli da Zeami Motokiyo 48 , è tràdito con leggere varianti nei testi del Kojiki (712 d.C.), Nihongi (720 d.C.), e Kogoshui (807 d.C.); nella versione più dettagliata, narra delle offese 49 di Susa-no-wo, dio marino dell'uragano, verso sua sorella Ama-terasu, dea solare, che decise allora di ritirarsi nella caverna celeste, lasciando il mondo nelle tenebre. Per reagire a questa situazione di minaccia cosmica, gli altri dei si recarono all'entrata della caverna dove ella si era rinchiusa portandole dei doni, ma solo l'intervento di Ame-no-uzume-no-mikoto 50 45 Cfr. Di Nola (1984: 21); non pare dunque plausibile che Ra-Harakhte rida di lei, ma forse che rida di gioia (?) alla vista del suo sesso: cfr. anche Lubell (1994: 178) che accenna pure alla possibile bisessualità del Signore Universale. 46 Ovvero « come forma di pienezza vitale restaurata e di aggressività attingente agli istinti fondamentali del Lebenskraft» (sempre Di Nola 1984: 92). 47 Come Reinach (1996: 150; ma la prima pubblicazione è del 1911) e Lévy (1936: 822). 48 Cfr. Zeami Motokiyo (1966: 109-10): «nel momento in cui la Grande-Divinità-che-illumina-il- cielo si confinò nella Celeste-Dimora-Rocciosa, il Mondo-sotto-il-Cielo sprofondò nelle tenebre; allora le ottocento miriadi di dèi si riunirono sul Celeste-Monte- Kagu, e volendo conquistare il divino Cuore della Grande-Divinità, gli [sic] offrirono un kagura e incominciarono un seino. Dalla loro schiera uscì Ama-no-uzume-no-miko; tenendo delle bende votive fissate a un ramo di sakaki, alzando la voce, suscitando un tuono con un rapido calpestio, quando ella fu in stato di possessione divina, cantò e danzò. Poiché questa voce divina giungeva indistinta, la Grande- Divinità socchiuse la Porta-Rocciosa. La terra, di nuovo, si illuminò. Le divine facce degli dèi splendettero. Il divino divertimento di quel tempo fu, si dice, il primo sarugaku. Le precisazioni si troveranno nella tradizione orale». Ringrazio Maria Dolores Pesce per alcune utili indicazioni in proposito. 49 Contaminazione di un luogo sacro, lancio di sterco nella sala del banchetto e di un cavallo scuoiato nella sala dove la dea stava filando, provocandole una ferita all'inguine. 50 Considerata divinità protettrice e antesignana delle danzatrici, ma non esente da aspetti spaventosi e stregoneschi: cfr. Di Nola (1984: 61). Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 14 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO sbloccò la situazione. Costei, dopo essersi legata le maniche con dei tralci, con un fascio di foglie nelle mani, rovesciò un recipiente davanti alla porta della dimora rocciosa e vi si pose sopra, facendolo risuonare col battito dei piedi. Agitandosi come in uno stato di possessione, mise a nudo il seno e si sciolse la veste fino a scoprire i genitali. Allora le miriadi di dei risero insieme e il fragore attirò fuori Ama-terasu, che aprì uno spiraglio nella porta, per capire come mai il paese che doveva essere avvolto nell'oscurità risuonava delle risa degli dèi e Ame-no-uzume cantasse e danzasse: così poté essere ripresa e la luce tornò 51 . Anche se ci sono delle differenze col mitologema di Baubò, non si può trascurare che ci si trova di fronte ancora a un mito in cui una divinità femminile, in uno stato simile al lutto e simbolicamente morta al mondo (per inciso un essere solare come nel caso egiziano), viene richiamata in vita da una esibizione, di natura forse sciamanica, dove il denudamento del seno e delle parti intime scatena una risata 'cosmica', che diventa occasione del ripristino di una condizione di pienezza vitale. L'utilizzazione culturale del riso come elemento attivo di una rinascita o di un ritorno alla vita, di cui la donna appare la depositaria -o :;¸µ·, appare confermata da questo esempio 52 , pur se rimane in ombra quale sia precisamente lo stimolo del riso: l'inaspettata nudità di parti del corpo normalmente coperte, a seguito di una danza che eccede il controllo della danzatrice, che si rivela in tal modo pretenziosa 53 ? La comparazione di questi documenti pone una volta di piú il problema della spiegazione delle omologie fra fatti culturali ricavati da universi etnici e linguistici diversi e dislocati nel tempo e nello spazio. Senza riaprire qui una vexata quaestio mi limiterò ad osservare, che, se per la filiera greco-alessandrina- egiziana è plausibile un contatto orizzontale, un'ipotesi di diffusione o almeno di scambio e intreccio di elementi fra culture vicine, ma non necessariamente nel senso della monogenesi mitica (monodirezionale) 54 , per la relazione con l'estremo 51 Cfr. Di Nola (1984: 57-58) che discute anche alcuni loci critici delle traduzioni occidentali. 52 Una fiaba giapponese presenta un altro uso del denudamento come stimolo del riso, in cui il gesto serve a salvare due donne (madre e figlia) dagli orchi che le inseguono: cfr. Calvetti (2001). 53 Non è mancato chi ha voluto esplicitare come, nella «esibizione 'spudorata' del nudo femminile, modulata nel percorso della progressiva vestizione, e culminante in atteggiamenti di 'comica' indecenza», la nota dominante consisterebbe «sia nella esibizione del sesso 'socchiuso' di Ame-no- uzume-no-mikoto sia in una qualche 'animazione' comicamente erotica dell'organo sessuale», partendo dal fatto che il risultato di quella danza fu che Ama-terasu socchiuse la porta della caverna celeste: cfr. Tessari (1983: 17 e n.). 54 Come pensava Lévy (1936: 828) che supponeva trattarsi di un 'racconto migratore' di matrice egiziana. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 15 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO oriente riesce difficile pensare a qualcosa di simile – se non risalente a un'altezza cronologica davvero remota – e si sarebbe pertanto piú inclini a congetturare un punto di contatto su scala diacronica, una radice comune di natura stadiale e in tal senso poligenetica 55 . S'impone pertanto alla ricerca la presa in considerazione di quelle evidenze di natura archeologica e artistica che ripetono in forma iconica i tratti del mitologema. 7. La raffigurazione della donna che esalta in modo particolare i suoi caratteri sessuali, specialmente il seno e la vulva, data dal Paleolitico ed è diffusa quasi in tutti i continenti; si tende a vedere in queste rappresentazioni una traduzione visiva della venerazione della potenza sessuale femminile, se non di divinità femminili primordiali, potenza che non va intesa in senso erotico, ma perlopiù in senso riproduttivo e procreativo, potenza di rigenerazione e trasformazione che è simboleggiata dall'organo genitale; si tratta infatti spesso di reperti fittili o incisioni che ritraggono silhouette o torsi senza testa e braccia. Quando le mani sono rappresentate, una maggiore somiglianza con il gesto di Baubò si può cogliere nella posizione delle mani che sul grembo sembrano indicare o, in qualche caso, tenere aperta la vulva 56 . A questo schema iconografico aggiunge dei lineamenti facciali chiaramente tracciati, con la bocca apparentemente atteggiata in un sorriso, una figurina portata alla luce in Siberia e risalente a 17.000 anni prima della nostra era 57 . Un cenno va fatto almeno ad un altro tema iconografico, quello delle cosiddette 'rane' 58 , che includono non solo le rappresentazioni più o meno stilizzate di questi animali ma anche le rappresentazioni isomorfe di donne accosciate con la vulva in evidenza. Questo contesto figurativo può essere utile a una collocazione dell' o·ocu¡¡o in un quadro di credenze etno-religiose relative ai poteri specificamente femminili, che forse bisogna presupporre per intendere bene quei testi. In modo meno generico, si può accennare ad alcuni reperti che sono stati piú direttamente collegati a Baubò: sono le statuette ritrovate a Priene nel 1898 fra i resti di un 55 Come si vedrà dal paragrafo seguente, è più facile spiegare l'universale diffusione dell'esposizione degli organi genitali femminili che il legame di essa con il riso. 56 La bibliografia e l'iconografia sono ampie e note (dalla Grande Madre di Erich Neumann al Linguaggio della Dea di Marija Gimbutas, per fare solo due nomi); una buona panoramica, con un corredo illustrativo (74 disegni dell'autrice in b/n) offre Lubell (1994). 57 Cfr. Lubell (1994: 83, fig. 6.19). 58 Da notare che in greco 'rana' si dice 'Frine'. Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 16 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO tempio di Demetra e Kore, sorprendenti e grotteschi 'grilli', nel senso di Jurgis Baltrušaitis, in cui una testa femminile si appoggia direttamente su un paio di gambe, confondendosi col ventre 59 : il volto sproporzionato è tracciato nitidamente (occhi, naso, bocca) e sul mento si profila il segno del sesso femminile. Un'acconciatura sopra la testa potrebbe a sua volta confondersi con l'orlo sollevato di un vestito; monconi di braccia, quando presenti, reggono una fiaccola, uno strumento musicale, un cesto di frutta. Restarono senza nome finché Hermann Diels le identificò come 'Baubò', designazione che oggi è revocata in dubbio da altri studiosi di antichità classiche e che in effetti presuppone un'interpretazione molto particolare dello spettacolo visto da Demetra, secondo i racconti citati. Più esplicita la raffigurazione del gesto di denudamento in alcune statuine di danzatrici, forse sacerdotesse della dea, portate alla luce in un santuario di Demetra in terra scitica, e soprattutto nelle terrecotte ellenistiche, di provenienza egiziana e presumibilmente legate ai culti isiaci (o forse da riferire alle esposizioni rituali di fronte al dio-toro: vedi sopra) 60 . In sede di comparazione iconografica – mi si perdoni se in questo caso procedo per accenni e a volo d'uccello 61 – non si può fare a meno di accennare infine alle Sheela-na-gig irlandesi medievali: grottesche icone di un corpo femminile ormai compendiato in un volto simile a un teschio e in una vulva vistosamente aperta; immagini ambivalenti di morte e di vita, simboli della sovranità associata alla donna nel mondo celtico, spauracchi comici o figure apotropaiche spesso poste all'ingresso di luoghi sacri: l'interpretazione resta aperta. Lasciando da parte la polionimia che a questo punto caratterizza quello che alcune vorrebbero identificare come un archetipo del femminile e della sua potenza di trasformazione – e che ci porterebbe a discutere di come si fa a identificare un personaggio mitico, folklorico, leggendario, in quanto segno culturale costituito da tratti mobili 62 –, voglio tornare per un momento ai testi da cui ho preso le mosse per una verifica del meccanismo scatenante del riso: se riusciamo a formulare un'ipotesi su perché e di che cosa ride Demetra davanti a 59 Cfr. Olender (1985) per una discussione aggiornata su questi reperti; riproduzioni fotografiche se ne trovano facilmente anche navigando in Internet. 60 Molti riferimenti ancora in Lubell (1994). 61 Altro materiale iconografico, e interpretativo, molto interessante in Murray (1934) e Karkov (2001): sono grato a Diego Poli per quest'ultima segnalazione. 62 Qualche spunto in Bonafin (2004). Seminario 19-20 maggio 2004 – BONAFIN 17 ESIBIRE IL NASCOSTO. TESTI E IMMAGINI DELL’OSCENO Baubò, forse potremo aggredire anche gli altri esempi del mitologema con la prospettiva di un'interpretazione unitaria. Utilizzo a tal fine un modello che lavora con categorie antropologiche e specificamente biosociali 63 , secondo il quale lo stimolo del riso viene innescato ogni volta che si verifica un passaggio brusco e involontario dall'emissione di messaggi di minaccia all'emissione di messaggi di sottomissione, in altre parole ogni volta che qualcuno o qualcosa rivendica un rango o accampa una superiorità in circostanze che lo rivelano inadeguato e/o che lo costringono a rinunciare subito alle sue pretese, ovvero ne dimostrano chiaramente l'infondatezza. Lo statuto di meccanismo scatenante innato di questo stimolo (lo stimolo R, o del risibile) fa sì che esso funzioni non solo in circostanze naturali immediate, ma anche in circostanze artificiali, come sono quelle di tutta la comicità riprodotta, verbale o scritta. Nella scena di Baubò e Demetra credo che possiamo riconoscere un esempio di utilizzazione culturale del riso, di applicazione del meccanismo dello stimolo R, che non contraddice affatto la decifrazione simbolica e antropologica già più volte avanzata e ricordata. Baubò fronteggia la dea come un'antagonista, forse come la detentrice di un potere ad essa preesistente: il rifiuto di accettare la sua ospitalità, di bere il ciceone, suscita una reazione che è mossa da intenzioni minacciose; l'o·ocu¡¡o – come forse le parole di Iambe – ha un contenuto potenzialmente aggressivo, ma proviene, nell'ottica del testo che coincide con quella della dea, da un personaggio (Iambe è addirittura una vecchia serva) gerarchicamente inferiore a Demetra; perciò la minaccia si sgonfia, si rivela infondata e pretenziosa, cioè, alla lettera, ridicola; e la dea, rasserenata, ride di quello spettacolo osceno; osceno altresì proprio perché la risata lo ha desacralizzato, per le circostanze in cui si è svolto e per la distribuzione dei ruoli (dominante/subalterno) fra gli attanti. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI. Basile (1994): Giambattista Basile, Il racconto dei racconti, a cura di A. Burani e R. Guarini, Milano, Adelphi, 1994. 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