Neoclassicismo di Honour

March 28, 2018 | Author: Elisa Manuzzato | Category: Nature, Marcus Junius Brutus The Younger, Roman Empire, Reason, Rome


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NEOCLASSICISMO di Honour Il neoclassicismo è uno stile del tardo ‘700, della fase rivoluzionaria e dell’esplosione di ricerca nata conl’illuminismo; condivide a pieno lo spirito di riforma che si tenta di realizzare attraverso un ritorno alla semplicità e alla purezza primitive, in cui ragione ed equità prevalgono. Il termine è coniato nel tardo ‘800 come termine negativo per indicare questo stile considerato inerte e freddo, che si esprime su imitazioni della scultura greca e romana. Nel ‘700 i critici e i teorici non usano neoclassicismo o classicismo, ma lo chiamano il “vero stile” e ne parlano ocme un risorgimento delle arti. Il neoclassicismo matura molto rapidamente, la sua fioritura è breve e seguita da un periodo di decadenza e deprezzamento. 1. CLASSICISMO E NEOCLASSICISMO Nel 1759 D’Alembert scrive di un mutamento nelle idee così rapido da preannunciare un cambiamento maggiore in seguito: in effetti la trasformazione stava avvenendo, quando nei salons parigini si inizia ad eliminare curve ed ornamenti rococò per dar spazio a forme più semplici e classiche. La reazione intellettuale al rifiuto di frivolezza e cinismo ha il suo parallelo nelle arti con il rifiuto radicale del rococò; il fenomeno si estende in tutta Europa contemporaneamente ed in Germania si combina col sentimento antigallico, perché rococò è legato al gusto francese. Questa reazione contro i rococò ha tono razionale e può trovare un parallelo nella letteratura degli stessi anni con Richardson e Diderot. I critici criticano non solo i soggetti del rococò, ma anche gli elementi sensuali su cui quest’arte si fondava, che sfanno appello prettamente ai sensi e quindi sono definite immorali. Alla base di questa critica c’è un puritano disprezzo verso il mondano e l’elegante, le seduzioni e il virtuosismo. Questo atteggiamento porta l’artista ad essere considerato sopra la società: egli deve sollevarsi sopra l’artigiano e diventare un pubblico educatore rivolto al grande pubblico, non al privato committente. Le lezioni che egli deve dare sono morali di modeste virtù, incorrotta semplicità, astinenza e nobile sacrificio di se e per la patria. In arte questo si traduce con temi nobili, chiarezza e sobrietà, contorni fermi con superfici di colore piatte e a toni primari. Nella composizione poi la veduta diventa frontale e tutto ciò che era obliquo diventa elementare, come in una scatola prospettica. Nell’architettura si ricercano effetti di solidità e stabilità, solennità e rigidità in grado di evocare la verità senza tempo del mondo antico. L’idea alla base è di primitiva purezza, senza policromia ed ornamenti scultorei, ridotta al suo stato primo e autonomo. Ideali così radicali non trovano condivisione nei committenti privati, ma questo non è un problema perché gli architetti neoclassici si rivolgono a commissioni pubbliche. Nella letteratura contro il rococò si fa molto spesso riferimento all’antichità classica per affermare il “vero stile: Winckelmann scrive che l’unico modo per diventare grandi è imitare l’antichità. Con imitare non intende copiare, perché l’imitazione implica un rigoroso processo di estrazione dall’opera antica. Naturalmente non tutti gli artisti e critici considerano l’arte classica in questo modo, non mancano mere citazioni classiche o parafrasi anti classiche. Nella maggior parte dei casi tuttavia, l’antichità era da tempo un elemento essenziale dell’educazione della persona colta: in Italia esisteva una tradizione dal ‘400; in Francia già nel ‘600 era in vigore questo tipo di educazione. Proprio i francesi, intorno al 1745 con Tournehem, sono i primi a progettare di ristabilire la classica gerarchia dei soggetti che il rococò ha spezzato, attribuendo importanza il ritratto e al paesaggio, alle nature morte. Il direttore istituisce scuole in cui assicura agli studenti d’arte una più vasta cultura generale, attribuendo importanza alla storia, in modo da far assorbire agli allievi anche il culto morale degli antichi. A lui succede Marigny che dà vita ad un programma di mecenatismo, volto a ricordare i vari fasti del grande secolo di Luigi XIV; questa nostalgia della gloria del Re Sole è molto evidente in architettura: Ecole militaire e i due edifici a Place de la Concorde di Gabriel, la scala monumentale di San Ginevra di Soufflot. Ma è il Petit Trianon di Gabriel che si anticipa l’architettura neoclassica, con l’uso di equilibrio d uniformità, senza perdere però vivacità grazie ai diversi elementi decorativi e alle proporzioni tra una facciata e l’latra. Anche per la decorazioni di interni, a Parigi si afferma uno stile “alla greca” intorno al 1750, che però di greco ha solo il nome. Vengono comunque sostituite alle curve rococò forme rettilinee e ai vistosi ornamenti forme architettoniche quali la voluta vitruviana. In pochi anni questo stile diventa una mania: esterni, interni, gioielli e stoffe. Il revival di Luigi XIV è esclusivo della Francia, in Germania ed Italia il rifiuto del rococò è una reazione contro il gusto francese. In Italia, monsignor Bottari, giansenista è uno dei più attivi fautori della lotta al barocco, che lui associa ai gesuiti. In Inghilterra invece lo stile neoclassico è legato ad un patriottico desiderio di potenziare le arti per contrastare le scuole nazionale francesi e italiane. Anche se le circostanze del rigetto del rococò sono diverse di paese in paese, il nuovo stile raggiunge un carattere nazionale omogeneo, grazie anche al fatto che gli artisti si rivolgono a tutti gli uomini di tutti i tempi. Un altro fattore che contribuisce al rapido sviluppo del nuovo stile è l’affermarsi di Roma come luogo di incontro e scambio, dove anche studiare le antichità e i dipinti del ‘500 classico. Inoltre l’educazione di un gentiluomo non si riteneva completa finché non avesse fatto un viaggio nella città eterna sotto la guida di un cicerone, per trasmettergli gusti classici. Importante opera è Il Parnaso di Mengs, eseguito per la villa dove il cardinal Albani conservava la sua collezione di sculture antiche. Amico di Winckelmann, che l’ha aiutato nella concezione dell’opera e che scrive della nobile semplicità, Mengs evita effetti di colore, la composizione intrecciata e le fughe di profondità. Per esaltare la semplicità dell’opera, pone a fianco d’essa due tondi dipinti con colori caldi, chiaroscuri decisi. Le diverse tendenze che iniziano a formarsi intorno alla metà del ‘700 si fondono intorno al 1785 per produrre un gruppo di capolavori: Il giuramento degli orazi di David, il monumento a Clemente XIV di Canova e le Barrieres di Ledoux; queste opere potenti e rivoluzionarie son state create tra il 1783 e in 1789. Il carattere esplosivo di questo fenomeno è riconosciuto dai contemporanei, che sono consapevoli delle poche implicazioni politiche e risorgimentali. David inizia la sua carriera all’ombra del rococò; viene in Italia convinto di aver poco da imparare dall’antico, ma un incontro a Napoli con Winckelmann gli dà modo di vedere e intendere l’antichità. Il risultato di ciò è “Belisario che riceve l’elemosina”: un soldato che aveva militato agli ordini di B riconosce il suo antico generale ormai vecchio ed abbandonato da tutti, con un bambino che prende col l’lemo una monetina offertagli da un passante. Importanza è l’elevazione di un aneddoto storico a tema universale, simboleggiando la gloria umana effimera, la desolazione della vecchiaia, ma anche l’eroismo morale nelle avversità. La verità del quadro è accentuata dalla cura con cui sono resi i particolari storici. Col giuramento degli orazi, David raggiunge piena maturità, diventando padrone del nuovo stile per la perfetta fusione di forma e contenuto. È rappresentato il momento in cui le maggiori virtù romane si cristallizzano in una forma pura: è il momento del giuramento, quando i tre giovani decidono di sacrificare la loro vita per la patria. Esalta in modo eroico passioni semplici e verità rigorose, senza compromessi. Il coraggio e la virilità sono messe in contrasto co la tenerezza e rassegnazione femminile, così da fungere da contrappeso; inoltre tutto è rafforzato dalla luce chiara e limpida e dalla semplicità dell’ambiente che circonda la scena principale. I primi anni di Canova sono simili a quelli di David; 1780 va a Roma ed entra in una cerchia internazionale di artisti, dedicandosi così alla creazione di un nuovo stile. Il primo risultato è Teseo e il Minotauro, in cui rappresenta, su suggerimento di Hamilton (teorico), il momento di calma dopo la vittoria. L’opera gli concede il titolo di continuatore dell’arte antica ed è subito chiamato ed eseguire due monumenti papali, cioè le commissioni più importanti che potessero toccare ad no scultore a Roma. Nel monumento a Clemente XIV, rifiuta i panneggi tumultuosi e i marmi policromi con gli ornamenti, per purificare e correggere il monumento papale barocco richiamandosi alle severe critiche di Winckelmann; inoltre trasforma le personificazioni dell’umiltà e della temperanza in soggetti che compiangono la morte del papa in un silenzio di dolore. 2. LA VISIONE DELL’ANTICHITA’ Il mutamento stilistico che si verifica alla metà del ‘700 è spesso attribuito ad una miglior comprensione dell’antichità data dalla scoperta di Ercolano 1738 e Pompei 1748; ma questa spiegazione è semplicistica. In realtà l’atteggiamento verso l’antichità è stato un risultato quanto una causa della reazione contro il rococò. Un aspetto de profondo mutamento che subisce la visione dell’antichità si può cogliere nel variare degli atteggiamenti verso la mitologia pagana. Da sempre essa è stata plasmata a seconda dei bisogni del tempo; nel ‘700 la superstizione pagana si usa contro il cristianesimo, gettando il dubbio sull’idea stessa di divinità. Gli dei sopravvivono nell’arte come tipi di bellezza fisica, ma alla fine del secolo solo pochi committenti ne fanno richiesta e vengono così sostituiti da guerrieri, legislatori e filosofi dell’antichità. Gli dei vengono quindi visti come amorali e simbolo di vizio, al contrario dei grandi uomini che sono simbolo i educativi e virtuosi. Diversi aspetti di questi cambiamenti verso l’antichità si colgono nelle reazioni ambivalenti alla messa in luce di Ercolano e Pompei. Certi scrittori si mostrano anche scettici, pur riconoscendo che il riportare in luce una città sepolta da secoli può scuotere anche l’indifferenza più sorda. I ritrovamenti più importanti compiuti sono i dipinti murali di grandi dimensioni, che suscitano perplessità e curiosità più che ammirazione, visto che dipinti antichi di figure sono pochi. Hamilton invece si dimostra entusiasta, come gli altri mercanti d’arte ed antiquari, da queste reliquie antiche. Via via che gli scavi continuano, vengono fatte scoperte imbarazzanti, perché mentre si critica la moralità del rococò e si propone il neoclassicismo come stile puro dal mondo antico, l’accademia ercolanese pubblica un volume in cui son presenti incisioni di lampade e amuleti di forma fallica. Le opere d’arte contemporanee rispecchiamo questi atteggiamenti ambivalenti di fronte alle scoperte di Ercolano e Pompei; solo alla fine del secolo lo stile decorativo pompeiano comincia a soppiantare lo stile raffaelliano. I dipinti di figura, usati per rappresentare correttamente abiti e ambienti, sono di ispirazione stilistica nulla: Mengs per le figure del Parnaso, riprende dai dipinti antichi, ma le migliora fino a renderle quasi irriconoscibili, rifacendosi a Raffaello; analogamente fa Vien per la Venditrice d’Amorini. Nonostante il dilagare dell’antichità pochi tentativi sono fatti per imitare il mobilio greco prima degli ultimi anni del secolo. Questi oggetti infatti, si rifanno al culto dell’antichità sono per fini decorativi: continua il gusto del rococò ancient regime sotto apparenze antiche fantastiche. Buona parte della letteratura artistica del ‘700 è occupata da una lunga e noiosa polemica sui meriti dell’architettura greca e romana. Entrambe le parti traggono spunti da Vitruvio, che aveva affermato che i greci hanno derivato la loro architettura dall’Egitto, perfezionando gli ordini per poi passarli a Roma. Gli scrittori a favore della Grecia sono a favore dell’antica purezza e affermano che l’architettura roana è una semplice derivazione. In questa polemica Piranesi è a favore di Roma, mentre Winckelmann dei greci. Piranesi studia a Venezia e a metà ‘700 si stabilisce a Roma, quando le rovine della città son considerate fonte di motivi decorativi e miniere di curiosità. Invece lui vede le rovine come testimonianze vive della grandiosità dell’antica Roma, una fonte di viva ispirazione e non di malinconia. Nella sua ammirazione per l’arte romana, egli arriva a studiare i punti di vista, le proporzioni, le luci e le ombre delle sue opere per accentuare la magnificenza e l’incombenza delle rovine; opera che raccoglie la visione di Piranesi è “l’artista commosso davanti alla grandiosità delle rovine degli antichi” di Fussli. Inoltre è convinto che la dignità e magnificenza romana si esprime con la massa, accentua la compattezza di muri e bastioni, ricercando la scala ciclopica: muri che si innalzano verso l’alto e affondano in profondità; le sue vedute d’interni presuppongono uno spazio illimitato che s’inoltra il gole di pietra sotto volte e cupole. Piranesi sostiene in un suo libro polemico, l’idea che gli etruschi hanno portato pittura, scultura ed architettura ad una perfezione che poi è stata mantenuta dai romani, loro naturali eredi e denigrata dai greci. Per questo sostiene che gli architetti debbano liberarsi della teoria accademica ispirandosi all’architettura romana. Gli effetti oppressivi e cavernosi delle opere di Piranesi sono ripresi da Soane nei suoi disegni per gli interni, in cui l’architettura romana è spogliata di tutti i particolari superflui e ridotta alla sua forma essenziale e pura. Winckelmann fa la stessa cosa di Piranesi, ma nell’ambito dell’ arte greca. Insiste nell’affermare che le statue antiche non sono solo reliquie di una civiltà scomparsa, ma opere d’arte vive che possono avere interesse per i contemporanei perché incarnano l’essenza dello spirito greco. Prima di W, la parola “antichità” indicava un periodo che andava dal V secolo a.c. al regno bizantino di Foca; con termine “antico” si comprendeva il grande numero di opere d’arte di questo periodo, a cui W applica un metodo storico allo studio di queste opere. Convinto che la storia procedesse per cicli, divide la storia antica in quattro periodi, ognuno con il proprio stile: in questa suddivisione definisce sublime e grandiosa l’arte greca e stile d’imitazione per l’arte romana. Per rafforzare la superiorità dell’arte greca, utilizza anche l’influenza del clima sul divenire umano: gli stessi greci sono la razza più bella mai esistita grazie al clima geografico e a quello politico (libertà nata in Grecia). Il suo ideale nell’arte è l’Apollo del Belvedere, che è ammirato fin dai tempi della sua scoperta nel ‘400, ma non ha mai suscitato interesse pari a quello che ha W; l’arte inizia a sostituire la religione e l’esperienza estetica. Per W l’adorazione dell’arte greca è una religione, di cui ne parla con zelo come se volesse fare proseliti: per noi, l’unico modo per divenire grandi è quello di imitare gli antichi. Non raccomanda di copiare fedelmente le figure antiche, ma auspica un ritorno allo spirito con nobile semplicità e calma grandezza. La rivalutazione che ha Omero nel ‘700 può spiegare in parte il mutamento ancora più profondo dell’atteggiamento verso l’antichità e verso il valore di tutte le opere della letteratura e dell’arte. Agli inizi del secolo Omero è considerato come uno dei grandi poeti antichi, sulla fine del secolo troneggia su tutto il mondo antico. 3. ARTE E RIVOLUZIONE Winckelmann scrive che soltanto la libertà ha sollevato l’arte alla sua perfezione. Questo legame tra arte politica era stato proposto per la prima volta nei primi del ‘700 da lord Shafterbury, a cui Winckelmann deve molte delle sue idee. Ci sono forti legami tra neoclassicismo ed illuminismo e si è tentati di estendere questo fino a comprendere il clima di analisi critica e di dubbio che è poi sfociato nella rivoluzione. Ma analizzando i singoli artisti e le loro opere, risulta difficile identificare la rivoluzione artistica con quella politica. La rivoluzione francese è una serie complessa di avvenimenti, una successione di rivoluzioni contemporanee, ma con origini e scopi diversi; gli artisti non sono implicati nella vicissitudini politiche perché le loro reazione sono poco esplicite o nulle. È certo che alcuni dei personaggi più progressisti sul piano dell’arte sono politicamente indifferenti o reazionari. David è definito il perfetto artista politico, ma i legami tra la sua arte e la politica sono meno immediati di quanto si suppone. Dai contemporanei viene descritto come rivoluzionario per tutta la vita, che per opportunismo si allea col partito dominante del momento. Il suo giovane Belisario è definito come una denuncia dei re e di Luigi XVI in particolare; la stessa opera è indicata intorno al 1793 come prova della sua compiacente adesione all’Ancien règime. Il quadro verso cui la polemica è più violenta è Il giuramento degli orazi del 1784, considerato spesso come appello ai sentimenti repubblicani e quindi come manifesto della rivoluzione. Tuttavia quest’opera commissionatagli per la Corona, ha l’approvazione ufficiale anche se non era delle misure richieste. Tutti i commenti verso la tela non fanno pensare a contenuti volti a questioni politiche in discussione in quel periodo, anche perché gli Orazi giurano con fermezza assoluta di versare il loro sangue fino all’ultima goccia per la patria, patriottismo che implicava ancora in Francia la lealtà al re. Per Bruto, iniziato nel 1788 l’autore ha scelto un tema della Roma repubblicana, l’espulsione di un tiranno: Bruto è seduto nell’atrio della sua casa mentre gli vengono portate le salme dei figli condannati a morte per tradimento. Nonostante ciò, David descrive l’opera riferendosi esclusivamente alle passioni raffigurate, senza il minimo accenno a qualche significato politico. Dipingendo le ultime due opere, David ha espresso l’animo di quegli intellettuali francesi che come lui, avrebbero finito per essere trascinati dall’onda della rivoluzione. Esprime in termini artistici la rigida moralità, il loro idealismo e la loro fede nella ragione e nei diritti dell’uomo. È nominato per un certo periodo membro della Convenzione, ma comunque segue fino in fondo le sue convinzioni artistiche e politiche. Nei quadri Il giuramento della pallacorda e dei tre martiri della rivoluzione adotta uno stile più severo, sviluppandosi in modo perfettamente logico dalle opere che le hanno precedute; non diventa però un giacobino dottrinario: nel quadro di Maria Antonietta traspare la sua tenerezza per la donna, nonostante l’abbia dovuta per votarne la decapitazione, e nel quadro delle Sabine in cui richiama pace e conciliazione. Infine David riesce a mantenere gli eroi della rivoluzione fuori dalle circostanze della loro epoca, raffigurando Marat morto e Bara morente come esempi di coloro che muoiono per le loro convinzione. Una fiducia sulla missione educativa degli artisti è al fondo della teoria settecentesca. La voce dell’Encyclopedie “interessant” afferma che un’opera d’arte deve il suo interesse al suo contenuto morale e sociale e l’artista deve quindi essere insieme filosofo e uomo onesto. Il relativo corollario, cioè che le arti si possono anche corrompere, viene applicato alle rappresentazioni di soggetti licenziosi e allo stile impuro. Anche per gli edifici, quelli brutti sono progettati senza ordine d’ intelligenza e le decorazioni ridicole ed eccessive hanno un cattivo effetto sulla mentalità della gente. Come già accennato, di dà grande importanza alla formazione intellettuale degli artisti e alla realizzazione di quadri di storia animati da un serio intento morale. Nel periodo del Re Sole, Le Brun e gli altri artisti illustrano virtù astratte quali giustizia, clemenza, saggezza, tutte legate alla monarchia. Le opere commissionate invece, intorno al 1774 celebrano la nazione, cioè il coraggio, la sobrietà, confidenza e il patriottismo, perché il loro compito è quello di educare il popolo. È per contribuire a queste opere educative che David dipinge il giuramento e il bruto. A metà del ‘700 comincia a manifestarsi in tutte le parti d’Europa il desiderio di celebrare gli uomini famosi, soprattutto scrittori e filosofi con immagini di marmo e bronzo; erigono così monumenti a personaggi morti da tempo quali Galileo, Shakespeare, Newton. La convinzione illuministica che la grandezza dei governanti (Pericle, Augusto e lo stesso Re Sole) deve essere giudicata meno dalle conquiste territoriali e più dalle opere d’arte e di letteratura realizzate sotto il loro governo è un ulteriore stimolo al miglioramento delle arti: iniziano a moltiplicarsi le accademie e si rinnova l’idea di muse: un’ampia collezione pubblica destinata all’educazione più che al fuggevole piacere è come una ricca biblioteca a cui tutti possono attingere. Nel 1798 si definisce la concezione fondamentale del museo come strumento di educazione nel senso più vasto del termine: le opere d’arte costituiscono patrimonio per l’umanità e solo rendendole pubbliche ed esponendole insieme possono divenire oggetto di vero studio. L’idea di arte come fatto educativo non è imposta ad un pubblico riluttante da un governo dispotico, anzi si premeva per una maggiore serietà e moralità più severa nelle arti come nella vita. Nel campo delle arti figurative il mecenatismo diretto delle classi media non poteva essere molto vasto perché son pochi i commercianti e i professionisti che dispongono denaro per comprare o esporre i grandi quadri di storia e le statue eroiche. I Salons parigini diventano numerosi ed attirano molti visitatori, tra cui anche soggetti di ceto medio e in parallelo si sviluppa il romanzo che esprime sentimenti di coloro che appartengono alla classe povera. Tutto questo porta all’ampliamento dell’interesse del pubblico che si ripercuote sulla condizione dell’artista e sul concetto della sua figura nella società. Gli artisti che sono stati ritenuti finora come una categoria più elevata di artigiani, ora diventano figure pubbliche e professionisti, portando loro maggior indipendenza e un mutamento del rapporto con i committenti. Nel ‘700 inoltrato il borghese inizia ad essere raffigurato come è realmente: ritratti concepiti come una rappresentazione diretta e concreta, priva di adulazione, grazia ed affezione. Nessuna posa o gesto retorico turbano l’atmosfera di semplice familiarità o creano una barriera tra soggetto e spettatore. 4. L’IDEALE I bozzetti in terracotta di Canova rappresentano a prima vista contrasto con il marmo bianco lavorato, perché hanno audacia ed immediatezza che sembrano anticipare Rodin: secondo Winckelmann lo schizzo su carta ci rivela il vero spirito dell’artista, a tal punto che nel quadro o nella statua finita il suo talento è nascosto dalla rifinitura che egli ha cercato di imprimere nella sua opera. Tolti dal loro contesto possono essere prova di una visione preromantica, infatti bozzetti di Canova sono stati inclusi in una mostra romantica. Ma la concezione giusta che sta alla base dell’abbozzo è la fiducia nell’Ideale. Nel bozzetto di Cupido e Psiche, Canova intreccia forma ed idea e concepisce l’opera su più livelli di significato: composizione tridimensionale, rappresentazione idilliaca di amore giovanile e come un’immagine di amoremorte, cioè nel momento di perfetto trasporto fisico che ricorda un unione quasi mistica. L’opera neoclassica è la rappresentazione ideale di una situazione, per esempio due amanti che si abbracciano rappresentati con atteggiamenti puri ed innocenti. L’artista, nella ricerca di queste forme ideali, cerca di sondare verità eternamente valide, oltre le diversità superficiali e degli accidenti della natura. La natura si contrappone alla deformità e quindi ad unno stile artistico manierato; Fussli scrive: “con natura io intendo i princìpi generali e permanenti degli oggetti visibili”, quindi collettivi, non soggettivi. Secondo Mengs, l’artista deve sollevarsi al di sopra dell’accidentale e per farlo è necessario uno studio serrato sulla natura e sulle opere che hanno già compiuto selezione della natura. Per la ricerca della forma ammette la possibilità di una scorciatoia: lo studio degli scultori antichi, che hanno lasciato dietro di sé modelli di perfetta forma. Così la dicotomia tra Natura e Ideale è risolto con un’interpretazione naturalistica dell’arte classica. Il progetto di idealizzazione della natura nell’arte attraverso un processo razionale di selezione e combinazione tra le parti perfette risale all’antichità stessa: in questo modo l’arte classica diventa essa la forma più elevata e più vera di naturalismo, perché rivela le vere intenzioni della natura, estraendo da essa ciò che la natura naturans si è proposta di realizzare, ma che la natura naturata non è riuscita a compiere. La netta distinzione affermata dagli artisti neoclassici tra “copia” ed “imitazione” discende dalla loro concezione idealistica dell’arte classica. Copiare la natura porta a prodotti meschini come la pittura di genere e quella di natura morta olandese, mentre copiare l’antico conduce ad uno stile marmoreo tipico degli artisti che erano meri riproduttori dell’arte antica. L’imitazione, al contrario, impegna tutte le facoltà dell’artista, soprattutto quelle inventive. Mengs: “colui che studia ed osserva le opere dei grandi uomini con sincero desiderio di imitarla, si rende capace di produrre opere che ad esse assomigliano, perché sono state fatte con le medesime ragioni, e questo fa dell’artista un imitatore senza plagio.” Da qui la scarsa considerazione verso la pratica della copia, valutata puro artigianato nonostante questo, fin dall’inizio del 1700 a Roma sono state eseguite copie da statua antiche in numero sempre crescente, su richiesta di amatori del Nord Europa. Questa prassi è molto ben retribuita e fornisce i mezzi per la sussistenza di molti artisti: all’epoca lo scultore dipendeva dal committente in modo molto maggiore rispetto agli artisti di altre attività (Canova si ribella però a questa pratica). Per gli artisti neoclassici, l’imitazione dell’antico è un mezzo per creare opere ideali di valore universale ed eterno; essi si considerano non semplici imitatori, ma restauratori del vero stile. Per mettere a nudo la verità che si trova al di sotto della superficie, essi si concentrano sulla forma e sulla linea; gli effetti di colore possono essere colti solo attraverso i sensi e quindi appaiono diversi a seconda dei soggetti. Inoltre è necessaria la precisione del contorno, nitidi ed elementari pitture, preferenza dell’elemento concettuale rispetto a quello puramente visivo. Nel tardo ‘700 i modelli di nudo sono rari e poco soddisfacenti. Nelle accademie non esistono modelli femminile, così l’artista neoclassico con i suoi intenti morali si trova in difficoltà un’appendice della scuola di nudo è però fornita dalla raccolta dei calchi di statue antiche che costituiscono sussidio per ogni accademia artistica. Le pose delle statue rimangono così nella memoria dell’artista al punto che arriva a pensare in linguaggio classico. Ma l’antichità fornisce anche una guida infallibile per creare opere d’arte ideali: osservare come gli antichi hanno modificato le proporzioni del corpo umano e come han trovato la forma perfetta in ogni parte dell’anatomia. Nel rendere il nudo, l’artista propone di essere naturale, egli vuole purificare il corpo da situazioni erotiche esaltando l’innocenza, la semplicità e la purezza del nudo. Infatti il nido è accettato solo quando è il più lontano possibile dal corpo umano ignudato. Il nudo rappresenta l’uomo spogliato di tutti gli elementi esterni, così come la natura l’ha fatto: liberato da tutte le pastoie del tempo, verso l’eternità. La ricerca di verità universalmente valide, tende a riportare tutti gli ideali artistici sempre più indietro nel passato storico, alla ricerca di forme pure e primarie. Solo nell’architettura però si approda in un primitivismo radicale: l’architettura ideale di Ledoux fatta di forma assolute, come piramidali e sferiche, è ispirata alla purezza geometrica dei fenomeni naturali. Purgare l’architettura degli artifici e dei capricci del rococò è una delle prerogative della prima generazione di architetti neoclassici: misurano gli edifici antichi di Roma, Paestum ed Agrigento per creare una nuova forma architettonica geometrica e misurata. L’attività archeologica della metà del secolo porta alla scoperta di templi dorici, di cui vengono fatti disegni e riproduzioni. L’ordine dorico diventa così il prodotto di un popolo incorrotto che vive vicino alla natura e quindi l’espressione più pura di un ideale architettonico. Un’altra via per accostarsi all’ideale architettonico è la geometria, con la bellezza del cubo, della sfera e del cono, figure regolari. L’ornamento non è essenziale, ma accessoria alla funzione; la proporzione, la convenienza e l’ornamento possono prendere forma solo con l’applicazione della matematica e della fisica. Questi ideali puristi incontrano ostilità da parte dei committenti privati, che non riuscivano ad accettare questi ideali. Quindi le manifestazioni più significative dell’arte neoclassica sono costituite da edifici pubblici a cui è impresso un carattere monumentale. 5. LA SENSIBILITA’ E IL SUBLIME Il sentimento ha avuto una parte senza precedenti nella critica settecentesca e risulta un’arma più efficace della ragione per combattere la schiavitù e l’ingiustizia sociale, oppure i principi della rivoluzione francese. Il culto della sensibilità è compatibile con le idee del neoclassicismo: la capacità di un’opera toccare il cuore come ad istruire moralmente è ammessa da coloro che condividono che l0idea di un uomo più compassionevole è migliore. Spinti dal loro interesse morale e sentimentale, gli artisti considerano in modo nuovo soggetti che sono stati spesso dipinti in precedenza; per esempio il David trasforma la leggenda del vecchio Belisario in un tema di significato profondo e vasto. Scrive: “non è con gli occhi che le grandi opere d’arte raggiungono il loro fine, lo fanno attraverso l’animo e adoperando sullo spirito”. Questa efficacia emotiva viene contrapposta al concetto di sublime: emozione di profonda reverenza, prossima al terrore, ispirata dai fenomeni naturali; questo termine viene usato anche per le opere d’arte che esprimono grandiosità che non si spiega coi normali criteri critici. Nella morte ognuno incontra il sublime, ed una scena intorno ad un letto di morte nel tardo settecento avrebbe strappato sicuramente questa parola a un critico. La morte è l’immagine che trova uno specchio in ogni spirito: la scena di morte è ricca di sentimenti i quali suscitano eco in ogni petto. La nobiltà e la tranquillità di un eroe morente diventano così temi universali o eroici. L’artista neoclassico abolisce gli aspetti erotici; la figura di uomo o donna morta son rappresentati in pacato riposo senza segni di sfinimento dei pittori barocchi: esempio la scena d’amore neoclassica è spesso associata ad amore-morte come in Amore e Psiche di Canova. Winckelmann descrive una pietra tombale antica su cui son scolpite le figure della Morte e di suo fratello Sonno, come due giovani che tengono torce rovesciate: morte inizia ad essere vista come sonno eterno. Inoltre le Scritture parlano di un angelo della morte: raffigurazione di un angelo al posto di uno scheletro. Nel monumento a Clemente XIII di Canova in San Pietro, l’artista rappresenta un giovane con le membra abbandonate che si lascia andare al sonno e alla morte, esprimendo pace dell’eternità. I pittori invece hanno spesso rappresentato la quiete della morte in contrasto con l’agitazione della vita. Nelle numerose opere sulla Morte di Socrate, al letto di morte con la quiete del filosofo sono contrapposti il dolore e la disperazione dei suoi discepoli. Lo stesso effetto è ottenuto nella raffigurazione di scene di battaglia in cui l’eroe raggiunge la quiete eterna, mentre intorno a lui si scontrano ignari di ciò che accade. Nelle scene di morte e nei monumenti sepolcrali neoclassico, i beati in paradiso vengono sostituiti da tangibili valori quali l’amore e il dolore di chi sopravvive sulla terra; l’eroe prende posto del santo nell’iconografia della morte. Nel Bruto di David, il dramma passionale è concentrato sulle reazione del padre della madre e delle sorelle; il protagonista è distratto dal dolore e dalle grida della famiglia. Nell’opera La morte di Marat, non ci sono figure sussidiarie ad evidenziarne il significato morale. Il nudo fatto della morte domina la scena. Come rivela la scritta sulla cassetta di imballaggio, messa come pietra tombale, si tratta di un tributo all’uomo che David considera martire della rivoluzione: una Pietà laica. Il quadro è un esempio della concezione illuministica dell’immortalità ed una dimostrazione della sua verità. Anche i monumenti sepolcrali eretti nelle chiese nel tardo ‘700 riportano i nuovi atteggiamenti verso la morte e l’immortalità. Sono eliminati i simboli cristiani e le complicate allegorie barocche; la convinzione principale è che la vita del morto sta nella memoria del vivo, quindi il monumento deve dimostrare la sua semplicità di carattere e non rappresentare simboli non direttamente intelligibili. Questa idea di Canova si esprime al meglio nel monumento funebre a Maria Cristina d’Austria del 1805. La concezione è semplice ed i simboli sono immediatamente comprensibili: un gruppo sembra entrare nella piramide a rendere omaggio; sopra la porta la Felicità sostiene il ritratto della defunta incorniciato da un serpente, emblema dell’immortalità; a destra il Dolore si appoggia alla Fortezza (leone) e sul lato opposto la Pietà porta le ceneri seguita da figure che rappresentano la Beneficienza. Spesso si presume che i parchi create in Inghilterra nel ‘700 sono tentativi di rendere con alberi e prati i paesaggi ideali di Claude e Poussin; sono piuttosto tentativi di ricreare il paesaggio letterario che era stato abbozzato da Omero, poi da Virgilio con Le Bucoliche. Il paesaggio classico del parco spinge l’immaginazione indietro all’antichità, al mondo incorrotto dei pastori che vivono a stretto contatto con la natura. Le intenzioni del pittore che si dedica al paesaggio classico sono volte non ad un’imitazione della natura, ma ad una selezione di tutti gli oggetti più belli che essa offre: la natura è lussureggiante, regnano pace e tranquillità. 6. EPILOGO Il neoclassicismo diventa una moda; David è nominato primo pittore di Napoleone e Canova diventa l’artista prediletto della famiglia imperiale. Ma anziché rappresentare l’apogeo del movimento neoclassico, l’impero ne segna il rapido declino e la sua involuzione a revival antico, diventando uno stile puramente decorativo destinato solo a dare grandezza all’Impero. Cupido e Psiche di Gerard del 1798 è un quadro decorativo di scarsa forza di suggestione: riprende a pieno le soluzioni canoviane, ma aggiunge alla graziosità dei due fanciulli ammicchi erotici. Esempio ancora più evidente della svalutazione artistica è dato da un orologio impero decorato con statuette di bronzo che richiamato le figure de Il giuramento degli orazi, riducendo una nobile idea ad ornamento. Mentre gli artisti neoclassici hanno cercato nelle forme pure e primitive dell’arte antica, quelli del tempo dell’impero di inizio ‘800 si rivolgono alla fastosità della Roma imperiale con lo splendore corinzio. Inoltre, l’idea di arte come fatto educativo viene sostituita da arte come propaganda, incentrata sul culto di Napoleone; anche David si dedica alla sua celebrazione, coi quadri in cui Napoleone attraversa le Alpi. Anche in architettura ritornano le decorazioni celebrative del potere della famiglia imperiale, col l’innalzamento di palazzi ed archi di trionfo. La funzione propagandistica dello stile impero non spiega da sola l’abbandono del neoclassicismo. Il nuovo atteggiamento verso le arti è stato portato nei vari paesi dalla Rivoluzione francese; il neoclassicismo è stato espressione visiva di idee illuministiche che hanno dato una forma alla prima parte della rivoluzione francese. David ha dimostrato la nobiltà di cui l’uomo è capace, Goya al contrario già mostra la degradazione a cui si può arrivare col sonno della ragione. Ma è proprio dall’atelier di David che escono i Primitifs che portano al punto di rottura le convinzioni alla base delle dottrine neoclassiche: alla linea e alla semplicità accostano colore e l’integrazione compositiva. Con il loro fanatismo sconvolgono l’equilibrio che era stato realizzato tra il rispetto delle regole e l’ammirazione per il genio, la fede per l’imitazione e il desiderio di originalità: segnano la morte del neoclassicismo.
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