Mostro Di Firenze: Processo Pacciani '94 - Arringhe Delle Parti Civili (Udienza Del 20-10-94)

March 27, 2018 | Author: George Goro | Category: Truth, Crime & Justice, Justice, Crimes, Science


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PROCESSO PACCIANI– UDIENZA DEL 20/10/1994 – ARRINGHE DELLE PARTI CIVILI Note del trascrittore: – L’intervento dell’Avvocato Luca Santoni Franchetti è stato già precedentemente trascritto ed è leggibile qui: http://insufficienzadiprove.blogspot.it/2013/01/avvocato-luca-santonifranchetti_21.html – Eventuali parti di audio mancanti saranno trascritti con la dicitura (…mancante, ndr…) Presidente: Benissimo signori, si riprende. Chi parla? L’avvocato Ciappi? Avvocato Saldarelli, prego… Avvocato Saldarelli: Signori della Corte, signor presidente. Prendo le conclusioni per le parti civili costituite: Elfride Meyer, Waltraud Sorensen e Nencini Rina da me assistite. Depositerò le conclusioni al termine del mio dire, mi scuso sin d’ora con la Corte se, per la doverosa ristrettezza dei tempi che mi sono assegnato, dovrò per forza di cose saltare argomenti o considerazioni pure importanti. Soprattutto in un processo come questo, nel quale questa parte civile ha inteso esercitare una presenza certamente sofferta perché è un processo che riguarda fatti di eccezionale gravità. Una presenza sofferta ma anche contrassegnata dall’attesa; perché non vi è dubbio che solo da questo dibattimento e solo attraverso la formazione della prova, dinnanzi a questa Corte, si sarebbe potuta raggiungere la convinzione della avvenuta acquisizione di quegli elementi che necessariamente debbono essere il supporto probatorio ad una sentenza di condanna. Non poteva essere che un approccio umile da parte di questa parte civile perché molti magistrati, molte autorità giudiziarie, avevano tentato in passato di scavare in queste vicende drammatiche con esiti contraddittori; del resto posti in evidenza dal collega avvocato Santoni Franchetti che ha proposto a questa Corte una ipotesi che, all’avviso di questa difesa, non è certamente conflittuale con quella che vi ha proposto il Pubblico Ministero. E che per ragioni di logica, per ragioni di esperienza, per ragioni, soprattutto, di un corretto criterio di valutazione della prova paiono in questa sede giudiziaria sicuramente condivisibili, fermo restando che questa parte civile non esclude la possibilità che ulteriori indagini possano acclarare altre e convergenti responsabilità nei confronti di altri soggetti. Ma il dato obiettivo che è emerso in questo processo è che certamente Pietro Pacciani è colpevole dei reati a lui ascritti. Qual è, ad avviso di questa difesa, il criterio più sereno di valutazione del materiale acquisito, degli elementi? Sia che li si chiamino indizi, sia che li si chiamino prove: non sono due categorie diverse. Sia che costituiscano essi prova diretta o indiretta o prova logica. Sia che essi traggano spunto da elementi oggettivamente acquisiti agli atti di questo processo, sia che gli stessi derivino dalle testimonianze anch’esse acquisite a questo processo. L’importante è che si adotti sempre un criterio “di normalità”: un criterio di valutazione, secondo prudente esperienza e secondo coscienza, che è poi il criterio che dovrebbe regolare tutte le attività umane. È vero, ogni elemento di prova, ogni indizio è suscettibile di letture diverse; tali letture devono essere in qualche modo fatte, ma – con riferimento a tali letture! – deve essere scelta quella che è il frutto della normalità, di ciò che è patrimonio comune di tutti noi. Se io vedo un albero di mele e se una certa mattina trovo che sotto questo albero vi sono alcune mele presumo, inevitabilmente, che tali mele siano cadute da quell’albero! Non posso fare a meno di dire che quelle mele sono cadute da quell’albero, pure esistendo una serie infinità di altre possibilità: ad esempio che qualcuno sia andato da un ortolano a comprare un cestino di mele e le abbia sparse attorno a quell’albero, oppure che un forte ed impetuoso vento abbia portato sotto quell’albero mele di un altro albero… Astrattamente sono tutte ipotesi fattibili, si può anche arrivare a dire che entità extraterrestri hanno, ad un certo punto, portato quelle mele sotto quell’albero! Come deve essere valutata? Qual è l’esito finale del ragionamento al quale tutti noi dobbiamo tendere e necessariamente uniformarci? L’“id quod plerumque accidit” mi dice che quelle mele sono cadute da quell’albero. E, pure astrattamente non escludendo le altre ipotesi, a questo punto, io chiedo, a chi sostiene queste ipotesi, la prova rigorosa che quelle mele non sono cadute dall’albero; che quelle mele sono state acquistate dall’ortolano e che sono state portate nottetempo sotto quell’albero per fare apparire all’indomani essere, le dette mele, cadute da quell’albero. Ed è un po’ la regola che deve governare la valutazione della prova in questo processo perché eh, perché questo processo è pieno di elementi, è pieno di prove. È pieno soprattutto di riscontri: siano essi positivi o siano essi negativi. In sostanza, e lo vedremo fra un momento perché è un aspetto fondamentale di questo processo, ogni qualvolta si è chiesto a Pietro Pacciani di dare una spiegazione relativa ad elementi oggettivi, che in maniera indiscutibile lo legavano ai fatti dei quali è a processo, Pietro Pacciani ha dato una risposta falsa. La falsità è una categoria che, sotto un profilo squisitamente giudiziario, forse non ha una grandissima rilevanza atteso che l’imputato può mentire. L’imputato però ha una facoltà importantissima che è quella di astenersi dal rispondere, facoltà ormai canonizzata e ribadita sia dalle norme positive sia dalla costante giurisprudenza. L’imputato però quando… Presidente: Chiudiamo quella porta per favore! Scusi avvocato… Avvocato Saldarelli: … intende rispondere, direttamente o indirettamente, quando intende fornire spiegazioni, direttamente o indirettamente, riferite a specifici episodi, a specifici fatti, a specifici elementi che in qualche modo lo collegano al fatto-reato ha due possibilità: la scelta di astenersi dal rispondere – di talché, da tale sua condotta non può derivarne, né può inferirsene alcun significato –, o la scelta di dare una spiegazione, nel qual caso, se la spiegazione e se la versione è falsa, le conseguenze, anche sotto un profilo di diritto, sono conseguenze ben precise. Perché quando si parla di alibi ci si riferisce all’alibi assoluto e all’alibi relativo, perché quando si parla di circostanze significative ai fini dell’accertamento della verità si fa riferimento proprio a quegli elementi acquisiti nell’ambito del processo che siano elementi indiziari specifici, perché quando si parla del cosiddetto alibi fallito o falso si fa una bella differenza… E nel caso di Pietro Pacciani, e la Corte dovrà contrassegnarlo, non si è trattato mai di alibi fallito ma di alibi falso! Dicevamo che il primo problema che questa difesa, attraverso molti anni nei quali ha vissuto certamente non in maniera così intensa come il Pubblico Ministero o come i Pubblici Ministeri che si sono occupati di questi casi o di altri difensori, le vicende che hanno insanguinato questa provincia, certamente non può non aver riflettuto su un problema fondamentale che, mi si consenta!, non è tanto del tipo di autore ma della compatibilità d’autore. Cioè – e mi spiego meglio – fin dal primo momento nel quale si è sentito parlare di Pietro Pacciani come indagato per questi reati, il primo problema che istintivamente alcuni di noi si sono trovati ad affrontare era il seguente: “Ma può essere Pietro Pacciani l’autore di questi delitti?” Perché Pietro Pacciani dava un’immagine di sé che in qualche modo stonava, non era compatibile perché Pietro Pacciani ha tentato, fino all’ultimo momento, di accreditare una sua immagine che “conflittava” irrimediabilmente con colui che è stato certamente l’autore di questi fatti. Voi ricorderete il ribadire, l’insistito dire del Pacciani sulla sua cultura agraria, sul suo attaccamento alla terra, sull’essere un contadino, sul non aver fatto mai male a una mosca, sull’essere stato sempre buono, sull’aver sempre lavorato… Il tentativo di accreditare un’immagine che certamente non aveva punti di coincidenza con la efferatezza di questi delitti! Pian pianino però – e i processi anche a questo servono… – pian pianino però il problema della compatibilità di autore si è risolto da solo; ci ha pensato Pietro Pacciani a risolverlo: perché anche su questo ha continuato a mentire, ha continuato a voler accreditare, nei confronti dei giudici popolari e dei giudici togati, l’essere lui persona assolutamente incapace – per costituzione, direi – a commettere quei delitti. In realtà è emerso da una serie di acquisizioni che ormai fanno parte della storia giudiziaria l’assoluta compatibilità d’autore. La prima risposta al quesito non può che essere positiva, Pietro Pacciani può essere l’autore di questi delitti: ne ha le caratteristiche, ne ha la personalità, i suoi trascorsi giudiziari testimoniano la sua devianza; testimoniano, oltre che la sua devianza, note caratteriali assolutamente specifiche di violenza, di sopraffazione, tali da rendere Pacciani il possibile autore di questi delitti. Non starò certo a dilungarmi su questo aspetto, mi permetto solo di connotare alla Corte che è stato un aspetto che per molto tempo ha, in qualche modo, inquietato questo difensore perché rappresentava il primo gradino faticoso di approccio alla verità. Perché se la risposta al quesito non fosse stata positiva avrei dovuto ritenere che gli elementi indiziari a carico del Pacciani, ancorché significativi, ancorché convergenti, ancorché univoci, forse non erano sufficienti a spiegare o a dare la prova certa della responsabilità del Pacciani. Perché “conflittati”, alla radice, da una incompatibilità d’autore. La verità è che, di fronte a questa Corte, e nel metro di giudizio che questa Corte certamente utilizzerà anche con riferimento a questa problematica, abbiamo assistito al reiterato mendacio del Pacciani che, in qualche modo e con l’astuzia che lo ha sempre contraddistinto, ha capito immediatamente che avrebbe dovuto allontanare da sé questi delitti. Immediatamente sotto il profilo della compatibilità d’autore! “Non li ho fatti io, non li ho ammazzati io perché io non ne sono capace…”. Questo vi ha detto: “Perché io sono una persona buona, sono una persona attaccata alla famiglia, sono un contadino che ama la terra! Che ama quindi la realtà della vita… E quindi non posso essere stato io l’autore di questi delitti perché io, Pietro Pacciani, non mi riconosco in questi delitti…”. Che abbia detto il falso la Corte lo ha potuto apprezzare in maniera assolutamente chiara; che abbia detto il falso e che fosse un “falso strumentale” lo ha potuto altrettanto apprezzare. E la strumentalità del falso deriva proprio da questa sua esigenza istintiva di allontanare immediatamente da sé i fatti ai quali è chiamato a rispondere. Che il falso sia purtroppo stato accertato è altrettanto pacifico, e non è certo compito di questa difesa ripetere l’elenco drammatico, fatto dal Pubblico Ministero, su tutti gli elementi che univocamente convergono ad accettare e a stabilire questa compatibilità d’autore. Le testimonianze penose, sofferte, impressionati che hanno dato un’immagine del Pacciani talmente chiara, talmente evidente, talmente significativa da poter dire… da consentire a questa parte civile di fare un’affermazione assoluta: “Pacciani può essere l’autore di questi delitti.” Eh, superato questo scoglio iniziale, un altro problema si è affacciato in maniera imponente, che in qualche modo consente anche una chiave di lettura logica di una serie di omissioni, di apparenti discrepanze; oserei dire di oggettiva impossibilità di accertare fino in fondo certe cose o certi comportamenti: l’ambiente nel quale si muoveva il Pacciani. L’ambiente nel quale il Pacciani non solo si muoveva ma che, in qualche modo… che in qualche modo consentiva al Pacciani di muoversi! Ambiente fatto di reticenza, complicità; fatto e composto da soggetti che, per difendere se stessi, non potevano che tacere. Ed hanno taciuto! Noi siamo convinti che molte persone sappiano ciò che è successo, sappiano che il Pacciani è l’autore di questi delitti! Non verranno mai di fronte ad una Corte a dirlo. È una complicità ed un’omertà che deriva da un esigenza primaria di salvaguardare se stessi. Bene ha fatto il Pubblico Ministero a sottolineare questo aspetto perché questo spiega tante cose di questo processo: come, spesse volte, alcuni testi neghino di aver detto certe cose quando poi si è accertato, pacificamente, che quelle cose sono state dette. O perché in alcune occasioni la memoria… Presidente: Senta Pacciani… Avvocato Bevacqua, scusi ma non lo farà apposta certamente ma qui disturba… Però è il tono di voce che ha, quindi o sta zitto oppure… Sennò bisogna che vada di là… Veda un pochino: se poi non vuole stare in aula e vuole accomodarsi lì. Va Bene? Mi scusi avvocato Saldarelli… Avvocato Saldarelli: Presidente anzi la ringrazio. Perché non vi è dubbio che il Pacciani abbia il diritto di lamentarsi e credo che si lamenterà – attraverso i suoi difensori valorosi, certamente agguerriti – di quello che io sto dicendo e delle poche cose che andrò a dire tra poco. Se ne lamenterà perché, ad avviso di questa difesa, gli elementi a carico del Pacciani sono talmente tanti e significativi, quantomeno con riferimento a due delitti, che non consentono di ipotizzare altre soluzioni se non quella di un affermazione di responsabilità del Pacciani! Ma per tornare, un momentino, a quell’annotazione che mi ero permesso di rassegnare alla Corte – direi come criterio metodologico che questo difensore ha inteso adottare nel momento in cui si è avvicinato ad una serie di elementi testimoniali – non può non tenersi conto della provenienza, dell’ambiente; non si può non tener conto dell’esistenza di un condizionamento complessivo che deriva proprio dall’essere quell’ambiente quello che noi abbiamo sentito essere in queste aule. Non lo abbiamo mica inventato noi: certo, Pacciani ha continuato reiteratamente anche su questo a mentire, a rappresentare se stesso alla Corte come persona che nulla ha a che vedere con quell’ambiente. Ha parlato di un complotto nei suoi confronti, che sarebbe stato addirittura ordito e poi portato a perfezione da un soggetto non identificato ma facilmente identificabile, convinto della sua responsabilità di questi fatti. Ha negato tutto; ha negato, oserei dire, anche l’evidenza! Sempre per quell’esigenza di rappresentare se stesso come soggetto incompatibile con i fatti. Direi che sul punto ha fatto una ben misera e meschina figura; se è vero come è vero che voce univoca, direi corale, che in questo dibattimento è emersa è che Pietro Pacciani aveva quelle caratteristiche, faceva parte di quell’ambiente, aveva quelle devianze sessuali delle quali abbiamo ripetutamente sentito parlare. Ho detto poc’anzi… ho detto poc’anzi, accennando anche a quello che io ritengo essere il materiale probatorio a carico del Pacciani, che forse un eccesso di sicurezza, forse addirittura, per certi aspetti, un desiderio o una necessità inconscia di lasciare comunque delle tracce che in qualche modo potessero rappresentare quella sorta di “sigillo d’autore”, certamente in due episodi gli elementi acquisiti sono talmente rilevanti e schiaccianti da contrassegnare in maniera indiscutibile la responsabilità del Pacciani. Io non parlerò degli altri delitti perché – vedano – secondo quella regola generale che mi sono permesso di sintetizzare con quella esemplificazione agreste, io debbo dire alla Corte che i fatti oggetto del presente giudizio sono tutti oggettivamente legati tra loro in maniera indissolubile. Di talché l’autore di uno di essi non può essere l’autore anche degli altri! Si dirà: “Ma è un protopostulato!”. No, non è vero: è un dato assolutamente obiettivo acquisito al processo. L’identità dell’arma con la quale queste coppie sono state uccise, questo è un elemento oggettivo talmente rilevante e talmente pesante da non consentire in alcun modo altre ipotesi. Il problema è vedere se in uno di questi delitti, o in più di questi delitti, vi siano elementi tali da contrassegnare in maniera univoca la responsabilità di Pietro Pacciani. Se in uno di questi delitti, commessi con la stessa arma, vi siano elementi che leghino indissolubilmente Pietro Pacciani al fatto. Questa sarebbe la “prova specifica” della quale vi ha parlato l’avvocato Santoni. Beh io direi che per molti di questi episodi vi sono elementi di prova a carico di Pacciani. Siano essi di “prova generica”, siano essi direi appartenenti a quella sfera logica, che ancora non è prova, ma che certamente confluisce ad affermare il criterio di valutazione della prova: ad esempio la territorialità dei fatti, ad esempio la possibilità materiale per Pietro Pacciani, che pure è stato a lungo detenuto ed in due occasioni, di commettere questi reati perché in quel periodo Pietro Pacciani non era detenuto. Non è prova questa certamente, ma appartiene a quella categoria logica che consente di interpretare il significato degli elementi oggettivamente acquisiti. Beh io direi… io direi che Pietro Pacciani è indissolubilmente legato, siccome raggiunto da prove di natura oggettiva e di natura soggettiva – intendendo per tali le testimonianze – sicuramente univoche, sicuramente gravi, sicuramente tali da non consentire ipotesi alternative se non quella della commissione di questi fatti da parte anche di altri soggetti, oltre a Pietro Pacciani. Perlomeno in due degli episodi dei quali la Corte è chiamata ad emettere sentenza: l’omicidio Meyer e Rush e l’omicidio Kraveichvili e Mauriot. Quando la Corte si troverà ad analizzare questi due episodi si troverà in possesso di una serie di elementi tali da imporre logicamente l’affermazione di responsabilità di Pietro Pacciani. E partirò, brevissimamente perché poi io non avrò altro da dire, dall’ultimo omicidio: quello della coppia francese avvenuto il 9 settembre ’85 in Scopeti. Non starò certamente a ripetere la dettagliata elencazione degli elementi testimoniali a carico del Pacciani. Pacciani è stato visto sul luogo del delitto… Pietro Pacciani è stato ripetutamente visto sul luogo del delitto! Pietro Pacciani non è stato in condizione di fornire alcuna spiegazione: Pietro Pacciani ha negato; Pietro Pacciani è stato trovato in possesso di quel biglietto che fa esplicito riferimento di quella località! Pietro Pacciani è certamente l’autore di quel delitto. Ripeto e sottolineo: può non essere stato il solo, può certamente emergere – se le indagini andranno avanti – ulteriori responsabilità. Può essere certamente accettata la ricostruzione che ci ha offerto il collega Luca Santoni Franchetti, che però non inclina minimamente il complesso probatorio nei confronti di Pietro Pacciani. Ma la Corte si dovrà porre un ulteriore e significativo problema, che in punto di valutazione della prova è certamente importante: Pietro Pacciani, oltre che essere indicato da soggetti che hanno riferito essere stato Pietro Pacciani sul luogo dell’omicidio, e quindi significativamente raggiunto da elementi di responsabilità, la Corte dovrà dare il giusto peso anche agli elementi oggettivi. Ma forse noi ci dimentichiamo che in questo processo a Pietro Pacciani sono stati trovati e quindi sequestrati sicuramente provenienti da uno dei delitti dei quali si parla: il delitto dei due ragazzi tedeschi. Può anche essere che il quadro fosse in quel furgoncino, ma a me non interessa perché non vi è la prova che fosse in quel furgoncino; la ricostruzione offertavi dal collega che mi ha preceduto è suggestiva: può essere, ma appartiene alla categoria delle ipotesi che questo difensore non intende fare, non intende affrontare. Ma a Pietro Pacciani sono stati trovati oggetti sicuramente provenienti da quel furgoncino: il blocco, le matite, il portasapone. Perché dico sicuramente provenienti da quel furgoncino? Perché noi abbiamo agli atti la prova che, per certo, quei ragazzi erano in possesso di quegli oggetti… e noi abbiamo la prova, assoluta!, che con riferimento a quegli oggetti il Pacciani ha mentito! Questo è il dato più importante, questo è il dato più importante: Pacciani ha detto prima di averli acquistati in cartoleria, poi di averli trovati in una discarica. A me serve connotare alla Corte questo rilievo, che è fondamentale perché quando si parla di “alibi relativo” si allude proprio a questo: quel blocco da disegno, quelle matite, quel portasapone sono stati subito contestati al Pacciani come elementi che lo legavano al delitto dei tedeschi. Pacciani lo ha saputo subito, sono stati sequestrati. Pacciani ha detto la sua verità e l’ha detta… falsa! L’ha ripetuta, falsa anche questa volta. Perché? Perché Pacciani non può dire dove li ha presi! Non lo può dire. In questo processo Pacciani avrebbe potuto permettersi di dire “sono entrato in una casa, l’ho svaligiata e ho rubato questi oggetti…”. Perché l’accusa che si formulava a carico di quest’uomo era di tale rilevanza e di tali conseguenze da indurlo inevitabilmente anche a confessare un reato, qualora tale reato avesse dato una risposta effettiva a questi rilievi obiettivi imponenti; dei quali il Pacciani ha subito percepito la pericolosità. No, Pacciani ha mentito perché non può dire dove li ha presi, non perché non sa dove li ha presi! È ricorso alla storiella della discarica perché bene o male è il “rifugio in fallo”, falso anch’esso. Perché sono oggetti che non si trovano in una discarica perché sono oggetti nuovi, perché sono oggetti di comune utilizzazione. Perché non è il lavandino del quale ci si deve disfare perché si ristruttura una casa! Perché sono matite, perché è un blocco da disegno nuovo, perché è un portasapone… Ma voi ricordate che cosa ha detto il Pacciani sul portasapone? Di averlo preso in carcere! Forse non pensando che la solerzia degli investigatori sarebbe arrivata a tal punto da fare anche quegli accertamenti. Ha dato la prima versione che in qualche modo, a suo giudizio, appariva compatibile: falsa anch’essa. Perché Pietro Pacciani non può dire dove li ha presi… Perché Pietro Pacciani li ha presi in quel furgoncino la notte nella quale ha ucciso i due tedeschi! Così come ha fatto negli altri delitti, nei quali si è parlato di “istinto feticista”, vale a dire l’aver preso qualche oggetto appartenuto alle vittime. Certo, c’è la componente feticista ma c’è anche quella componente tipicamente contadina che tende a salvare ogni e qualsiasi cosa sia utile. Poi il blocco lo ritroveremo in una particolare collocazione nella casa Pacciani, che nulla ha a che vedere col normale utilizzo; forse quindi per quel blocco vi è una componente feticista. Ma certamente il portasapone l’ha preso perché gli serviva, così le matite: in perfetta sintonia con quella che è la personalità di Pietro Pacciani. È un materiale… un materiale indiziario (la categoria giuridica dell’indizio)? È un materiale probatorio? Io, per la verità, prescinderei da queste distinzioni. Mi limiterei solamente ad affermare, facendo tesoro di quel presupposto logico del quale in premessa ho fatto riferimento, che in questa vicenda la Corte non può che attenersi a principi di prudente valutazione, rifuggendo da forzature. Rifuggendo da ipotesi che pur possono essere fatte, ma valutando secondo la normale prudenza e diligenza; secondo le regole che debbono governare ogni e qualsivoglia umana attività: tutto secondo buonsenso e secondo normalità. E allora io debbo dire che a quegli indizi, che a quelle prove raccolte contro Pietro Pacciani, e puntualmente elencatevi dal Pubblico Ministero, l’unica risposta che può essere data è che Pietro Pacciani è l’autore di questi delitti! Non esistono nel nostro ordinamento le coincidenze! Diceva un grande magistrato che: “Una coincidenza è possibile, due coincidenze sono una grande sfortuna, tre coincidenze fanno prova.” Di coincidenze – se così le vogliamo chiamare – in questo processo ce ne sono tantissime e io sono convinto che, se le indagini avranno ulteriori prosecuzioni ed approfondimenti, forse ne troveremo molte altre. Ma non sono coincidenze, sono prove: voi avete come criterio logico-interpretativo alcuni dati fattuali ai quali si è chiesto spiegazione e giustificazione a Pietro Pacciani. Sono dati fattuali che sicuramente collegano Pietro Pacciani a questi omicidi, che lo fanno ritenere responsabile di questi fatti. Pietro Pacciani su questi elementi vi ha mentito, vi ha mentito perché non poteva dire la verità! Perché non poteva dire che cosa effettivamente era successo e come effettivamente ne era venuto in possesso. Su questo la suprema Corte di Cassazione ha fatto ormai chiarezza. Non si tratta di “alibi fallito”, ma di “alibi falso”. Ed è con questa convinzione che questa parte civile, condividendo quanto il Pubblico Ministero vi ha detto, elogiandolo anche per la puntualità, oserei dire per la certosina pazienza nell’elencazione scrupolosa di ogni elemento, per la onestà intellettuale che lo ha portato forse anche a svilire di significato alcuni elementi che, contrariamente, a me sono apparsi particolarmente significativi. A svilirli perché forse provenienti da fonte non del tutto attendibile o inquinata, o perché in qualche modo attenuati dal tempo. Ma elementi che pur sempre si inseriscono nel quadro probatorio a carico di Pietro Pacciani che, oltre ed in aggiunta a questi cospicui elementi che da soli non consentirebbero di raggiungere forse il convincimento della sua responsabilità (convincimento giuridico, non morale), è raggiunto da quegli elementi che io mi sono permesso di enucleare sotto il profilo della loro sistematizzazione e dai quali Pietro Pacciani ha dato una risposta che si è rivelata falsa. Sono elementi oggettivi, soggettivi, comportamentali. E questo difensore non ha voluto e non intende trarre alcun elemento ulteriore di convincimento dal fatto che Pietro Pacciani si sia sottratto all’esame. Non sarebbe suo costume, è suo diritto farlo; però ha il diritto e il dovere di utilizzare comunque quello che Pietro Pacciani vi ha detto liberamente. Perché è non sottoposto ad alcuna pressione da parte di chicchessia, né da parte del Pubblico Ministero né da parte dei difensori. Le due ore nelle quali Pietro Pacciani ha recitato la sua verità sono ricolme di ulteriori e significativi elementi: basta anch’essi sintetizzarli e sistematizzarli perché contrassegnano una condotta, anche processuale, sicuramente significativa e tale da comportare una qualificazione specifica di quegli elementi che io mi sono permesso di indicare a questa Corte. Chiedo pertanto che l’imputato Pietro Pacciani venga condannato a pena di giustizia, con tutte le conseguenze in punto civile come da separate conclusioni scritte che rassegnerò alla Corte. Grazie dell’attenzione. Presidente: Bene, grazie avvocato Saldarelli. Allora chi parla? Avvocato Ciappi lei? Benissimo. Avvocato Ciappi: Presidente, prendo le conclusioni per Cardini Iolanda, vedova Baldi. E ovviamente le mie conclusioni le leggerò al termine della requisitoria che sarà brevissima… Presidente: Benissimo. Avvocato Ciappi: Avevo assunto un impegno di sintesi ma, venendo dopo questo Pubblico Ministero e dopo queste parti civili, sarò ancora più aderente all’impegno che avevo assunto perché di cose da dire evidentemente, man mano che si va avanti, ne rimangono sempre meno. Mi sembra che il punto fondamentale sia, prima di ogni altro tipo di considerazione, la necessità di sgombrare il campo da due equivoci che hanno rischiato di condizionare questo processo; e che non l’hanno condizionato però per l’attenzione che ad esso è stata dedicata dagli organi giudicanti. Mi sembra che questo processo abbia corso il rischio di essere confuso con il processo al “Mostro di Firenze”, invece questo è un processo per otto episodi di duplice omicidio. Quindi non si tratta di operare una sovrapposizione fra Pietro Pacciani e l’autore di questi omicidi, ma di vedere se, in realtà, esistano elementi plurimi, gravi, precisi e concordanti per arrivare a ascrivere a Pietro Pacciani i reati di cui si tratta. Il presidente questo equivoco l’ha percepito, l’abbiamo percepito e vissuto probabilmente anche noi come parti ed il pubblico, come porzione di quel popolo nel cui nome si amministra la giustizia… (…mancante…, ndr) Quando ha dovuto fare l’avviso per cui non era l’oggetto del processo la sovrapposizione o la compatibilità della figura di Pacciani con quella dell’autore; l’oggetto del processo era l’accertamento di otto episodi di duplice omicidio. Dall’altro lato un altro equivoco: il fatto che si trattasse di un processo indiziario e in qualche modo per questo di un “processus minor”, cioè di un processo basato su indizi e quindi su prove di carattere minore, e sol per questo di un processo che rappresentasse un arretramento del confine di “civiltà giuridica” in ordine a questo caso specifico. E non è così, poi vedremo perché, soprattutto con il nuovo rito processuale. In realtà i due equivoci avevano una matrice comune a mio avviso, e cioè il fatto che si attribuiva una comprensibile importanza alla vicenda di cui si trattava, ma si doveva tener presente che non si poteva attribuirne così tanta importanza da alterare i parametri procedurali. E questo non è stato fatto. E allora questo processo va deciso secondo le medesime regole procedurali e i medesimi criteri logici e giuridici del processo più banale che si possa affrontare! Anche se banale non lo è… Il tipo di vicende di cui ci si interessa è un tipo di vicende che comporta una complessità di accertamento ma non muta le regole del procedere. E allora probabilmente avremmo… potremmo provare a leggere, in realtà, gli elementi che sono in questo processo; da ciò una specifica precisazione in punto di indizi. Per dire che gli indizi in realtà non hanno un valore probatorio inferiore rispetto alla “prova rappresentativa”: questo ce l’ha detto la Cassazione a più riprese e nel Nuovo Codice, in particolar modo, la previsione di una regola espressa di valutazione degli indizi che stabilisce che laddove essi siano gravi, precisi e concordanti (e plurimi ovviamente…) essi abbiano il valore di una “prova diretta”, essi abbiano un valore sufficiente a fondare qualsiasi tipo di decisione. Comporta un maggior livello di garanzia nell’ambito di un processo di questo tipo, non andiamo a dire cos’è “l’indizio certo” perché il fatto indiziante noto, accertato giudizialmente… l’indizio grave, quello che ha capacità dimostrativa in ordine al fatto ignoto che interessa accertare; l’indizio preciso, quello che circoscrive l’ambito delle soluzioni a cui si può arrivare; l’indizio concordante, quello che si collega agli altri e va in una direzione univoca. In realtà noi abbiamo un processo che sotto un profilo di indizi – laddove letti in relazione non alla globalità della vicenda, e non in relazione alla sovrapposizione dell’autore con Pacciani, alla sovrapposizione dell’immagine di Pacciani a quella ancora oscura che viene proiettata nella nostra fantasia dell’autore – ma in relazione ai singoli episodi. Qui l’avvocato Saldarelli che mi ha preceduto ha parlato di due specifici episodi che sono quelli, secondo me, in relazione ai quali necessariamente si deve addivenire a una conclusione di responsabilità nei riguardi di Pietro Pacciani: e cioè l’omicidio dell’83 e quello dell’85. In realtà se noi rileggiamo tutto il patrimonio probatorio presente in questo processo, in relazione ai singoli episodi e non in relazione alla globalità della vicenda, noi ci rendiamo conto che, ad esempio, quella perizia balistica Spampinato-De Benedetti del ’92, laddove ci dà delle risultanze, viene forzata sia nel quesito sia nella risposta al quesito. Viene forzata perché il quesito è dire se vi sia identità fra tutti i bossoli di tutti gli omicidi (o perlomeno di sei omicidi) e la cartuccia rinvenuta nell’orto di Pietro Pacciani. Se noi invece scindiamo le singole conclusioni in relazione ad ogni singolo omicidio troviamo dei risultati che hanno un maggior grado di significatività in ordine alla vicenda per cui si procede. E questo è visibile: perché se noi, per esempio, leggiamo i risultati di questa cartuccia in relazione all’omicidio Meyer Horst (Meyer e l’altro dell’83…) noi troviamo un’identità significativa fra il solco, l’incisione sulla cartuccia, sul bossolo E2; larghezza e solco e posizione microstrie al suo interno coincidono con quelle del Pacciani. Poi abbiamo una reciproca coincidenza su un altro bossolo, delle microstrie. Questo è un elemento che la Cassazione il 14 maggio del ’93, quando rigettò l’impugnazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che rigettava il riesame proposto dai difensori in ordine allo “status libertatis” di Pietro Pacciani, ebbe a fraintendere valutandola “non univoca”. La Cassazione ci disse: “Ci sono degli elementi – la cartuccia – che non portano a conclusioni univoche.” La cartuccia non portava ad una conclusione univoca; ora noi sappiamo che l’univocità è requisito diverso dalla capacità dimostrativa che ogni singolo indizio deve avere. Questo rileverebbe là dove noi si volesse leggere la cartuccia in maniera scissa rispetto a tutti gli altri elementi che, in realtà, compongono il corredo probatorio di questo processo; ma la cartuccia è un elemento che ha capacità dimostrativa indubbiamente in relazione ad ogni singolo omicidio! E ne ha, in modo maggiore e in modo minore, a seconda di come siano state le risposte ai quesiti dati dai periti in relazione ai singoli fatti omicidiari. E non ha, invece, una valenza probatoria assoluta, implicita, indipendente per cui essa debba essere valutata da sola, scissa dal resto del contesto probatorio. E allora “l’alta probabilità” a cui faceva riferimento l’ordinanza del Tribunale della Libertà, dice: “È molto probabile, è altamente probabile che questa cartuccia sia passata per la stessa arma dalla quale sono passati i bossoli che hanno costituito oggetto di raffronto nell’ambito della perizia Spampinato-De Benedetti ‘92”. Allora questo risultato di “alta probabilità” in realtà è oltre che sufficiente per il tipo di valutazione che oggi si va a fare, perché non ha da bastare da sé stesso, deve essere letto nell’ambito di un contesto insieme ad altri elementi indizianti. E allora abbiamo nel caso dell’omicidio del 1983, del duplice omicidio, abbiamo una cartuccia che ha dei significati specifici, e sono innegabili questi significati specifici! Sono, forse, non univoci ma sono altamente probabili: ce lo dice la Corte di Cassazione che non rinnega quello che aveva detto l’ordinanza del Tribunale della Libertà. Si valuti che la Cassazione, in realtà, in quel momento compie un tipo di accertamento sulla base del testo del provvedimento impugnato; cioè la Cassazione non vede la perizia Spampinato-De Benedetti, non vede le singole risposte dei periti ai singoli quesiti. Vede semplicemente un’ordinanza che fa riferimento perché quando si impugna un ricorso per Cassazione, per difetto di motivazione, un provvedimento se ne legge il testo ma non si vedono gli atti. Quindi la valutazione della Cassazione già esce dai binari, dai parametri normali di un tipo di valutazione di questo genere. Inutile e superfluo dire che non siete vincolati da quella decisione perché era una decisione allo stato degli atti. Tuttavia, in quel momento, quel tipo di valutazione è rinviato più a voi che non alla Cassazione. Allora abbiamo la cartuccia, abbiamo lo Skizzen Brunnen. Abbiamo lo Skizzen Brunnen che in realtà costituisce per una serie di elementi che non vi sto a elencare… Le ricognizioni effettuate sulle cifre vergate, la consulenza tecnica del confronto di segni grafici e di saggi grafici dati da questi stessi testimoni, la spiegazione del codice apposto sul retro, il riconoscimento della sorella e altri elementi! Abbiamo un blocco Skizzen Brunnen che si aggiunge e che possiamo dire che apparteneva alla vittima di quell’omicidio, al Meyer. Abbiamo le giustificazioni di Pacciani su quel punto, che ci dà giustificazioni diverse: il 15 luglio ’92 quando ci dice che forse lo hanno comprato le figlie, forse l’ho trovato nella discarica; ce ne dà ancora diverse il 22 febbraio ’93 in interrogatorio… “Potrei averlo trovato in una discarica…” – “Ma è in buone condizioni, è quasi del tutto inutilizzato” gli si contesta. Allora lui ci dice: “Non l’ho mai visto, se c’è la mia calligrafia sopra può essere un trucco!”. Poi arriva l’ultima versione: “L’ho avuto prima dell’80, l’ho trovato in una discarica, le scritte che ci sono vergate sopra – ’80 e ’81 – lo confermano.” Ora da questo insieme di elementi noi questo blocco lo possiamo sicuramente collocare tra gli “indizi certi”; lo possiamo collocare tra gli “indizi certi” superando anche un’equivoca valutazione della Corte di Cassazione in data 14/05/’93, che non poteva esprimere un giudizio in ordine alla certezza o meno di questo indizio perché non poteva scendere in una valutazione di merito che riguardasse lo spessore dell’elemento indiziante e la sua certezza. Perché non è questo il compito della Cassazione in quella sede di impugnazione. Oltretutto non avendo potuto valutare le rogatorie, le consulenze tecniche “a luce radente” per vedere se le scritte erano ricopiate o erano estemporanee e spontanee… Come ci hanno detto i periti? Che non erano! E non ha potuto valutare ovviamente tutti gli interrogatori di Pacciani che, più volte, si è contraddetto in ordine a questo elemento. Abbiamo il blocco… e il portasapone “Deis”. Indicativi riconoscimenti della sorella e dell’amico del Meyer, ma ancora più indicativa la dichiarazione di Pacciani che il 15/07/’92 ci dice: “Ho due portasaponi, uno l’ho comprato in carcere, non so se sia quello che vi esibisco…” – e ne esibisce uno bianco con rigature che viene sequestrato – … o se sia quello che vedo in foto.”. Che è il Deis. Nell’interrogatorio 22/02/’93 dice: “Io ho solo un portasapone bianco!”. L’altro lo contesta, e contesta la fotografia. Ma la fotografia non l’aveva contestata nell’interrogatorio del 15/07/’92! E questo elemento mi sembra che vada a confermare il riconoscimento di coloro che dicono che questo portasapone probabilmente apparteneva al Meyer. Abbiamo l’avvistamento: la testimonianza circa la posizione di un ciclomotore “imbarcato” vicino al furgone e la presenza di un soggetto che era descritto come somigliante a Pacciani vicino al luogo dell’omicidio dell’83. Tre testimoni ce lo dicono: Celli, Pratesi e De Giorgio. Abbiamo poi l’asta guidamolla di recupero che viene ritenuta, anche dalla Cassazione, un elemento indiziante grave perché avvolta in due pezzi di stoffa che provenivano da casa Pacciani. In relazione a questa asta guidamolla non si può parlare di “documento anonimo”, e del contenuto del “documento anonimo”, come giustamente fa osservare il Presidente; ha fatto osservare al collega che mi ha preceduto Santoni Franchetti… Non si può parlare di questo. Tuttavia si può parlare del fatto che quest’asta guidamolla arriva il 25/05/’92 ai Carabinieri e che il 20/05/’92 si ha l’intercettazione, che noi abbiamo ascoltato in quest’aula, “ora dove la metto…”. Mi sembra che i due fatti siano strettamente interconnessi! Abbiamo infine… L’asta guidamolla si riferisce a una pistola calibro 22 modello 74 che rientra nella serie di pistole di cui si è servito sicuramente l’autore degli omicidi, in base agli accertamenti svolti nelle plurime perizie sui bossoli e sui proiettili. Abbiamo alla fine un tentativo di antedatare il blocco, del quale vi ha parlato il Pubblico Ministero con dovizia di particolari, e che mi sembra fortemente significativo nel senso di voler celare qualche cosa di cui si conosce il significato; altrimenti non avrebbe senso cercare di occultare o di camuffare qualcosa di cui non si sia in grado di valutare la provenienza e la pericolosità. Abbiamo l’altro omicidio, quello dell’85. Anche qui giocano due elementi che hanno giocato prima: cioè la cartuccia che viene ritenuta coincidente, per microstrie coincidenti, con tre bossoli dell’omicidio dell’85. Viene ritenuta portatrice di una microstria identica nel bossolo, con quella portata dal bossolo F4. Quindi se si scende in realtà nel dettaglio dei singoli reperti e delle singole valutazioni, che non siano l’oggetto di una valutazione globale riferibile a tutti i bossoli per tutti gli omicidi, ma per i singoli bossoli in relazione ai singoli omicidi i risultati cominciano ad essere più precisi, anche in relazione alla perizia balistica. Abbiamo sempre l’asta guidamolla che ha quel significato, abbiamo i testimoni che lo vedono nelle circostanze che voi sapete, abbiamo un appunto che indica kilometraggio “Vicchio – Mercatale 132 km”, abbiamo un memoriale di Pacciani spedito in data 17… no, è l’altro… memoriale di Pacciani che ci dà… Scusate, memoriale del 26/12/’93 dove dice: “Io mi trovavo a Mercatale il 9 settembre ’85. Senza macchina! Interrogato e perquisito… E non ero a Vicchio a 145 km di distanza, come questo pazzo che impostò una lettera a San Piero di Vicchio con timbro ore 9, giorno 9 al giudice Della Monica come dicevano i giornali.” Ora i giornali probabilmente potevano dare il kilometraggio che c’era fra Scopeti e Vicchio, cioè la distanza che c’era tra Scopeti dove si era commesso l’omicidio e a Vicchio dove si era imbucata la lettera, ma non davano mai una distanza raddoppiata in base al fatto che l’autore dovesse tornare indietro! Perché questo non poteva essere saputo da nessuno ovviamente… Lui lo sapeva che distanza c’era andata e ritorno da casa sua, da Mercatale! L’aveva cronometrata un’altra volta, l’aveva calcolata; si era fatto un appunto che è stato sequestrato. Ed ora io dico, quando si ha un appunto che dà il kilometraggio Vicchio-Mercatale 132 km… Lo stesso percorso stranamente fatto dall’autore quella notte, e si imbuca la lettera in un luogo distante. Perché quel luogo distante può servire sia a crearci un alibi perché noi abitiamo a Mercatale, cioè andata e ritorno 140 km circa, sia perché lì si “appunteranno” le indagini più approfondite. Mi sembra che l’elemento non sia “non significativo” sotto un profilo di valutazione globale. Si ha poi l’alibi fallito, che non è “alibi fallito” ma è “alibi falso”. Ne ha parlato il collega Saldarelli, quindi brevissimamente. Lui ci dice che quella sera era alla festa di Cerbaia, lo dice in un memoriale che invia il 17/09/’90. Dice: “Sull’omicidio avvenuto a Scopeti o Chiesanuova, che avvenne di domenica sera…”. Ora l’omicidio lui ci dice che avvenne di domenica sera, ma la perizia De Fazio ci diceva che questo omicidio in realtà era avvenuto nella notte fra il 7 e l’8, cioè fra sabato e domenica. L’avvocato Santoni Franchetti che ha parlato prima di me non è ancora certo sulla data di quell’omicidio, secondo lui si possono essere sbagliati i periti. Il Pubblico Ministero ha portato tre testimoni per dirvi che quell’omicidio è avvenuto di domenica sera perché i francesi erano vivi la domenica, quindi necessariamente sono stati uccisi nella notte fra domenica e lunedì. Maurri ha detto che secondo lui… il professor Maurri ha detto che, secondo lui, l’omicidio è avvenuto nella notte fra domenica e lunedì. Pacciani fornisce un alibi in cui si disinteressa della notte fra sabato e domenica e mira dritto alla notte fra la domenica e il lunedì. Fornisce un alibi su questo: Cerbaia, Festa dell’Unità. Viene smentito dal teste Fantoni! Viene smentito dal teste Fantoni e in sede di interrogatorio del 27/11/’90, laddove gli si contesta quello che lui aveva dichiarato a sommarie informazioni testimoniali il 19/09/’85 – e non il 9/09/’85 come Pacciani continua a sostenere –; laddove lui aveva affermato: “Di aver mangiato a casa, di essere stato a Cerbaia ma di essere tornato alle 19; d’aver cenato a Mercatale, di essere uscito, di essere stato alla Casa del Popolo e di essere tornato alle 2.” Lui dice: “Mi sarò sbagliato! Son tempi lontani…”. Allora lui si è sbagliato, in realtà, il 19 settembre dell’85 quando ha detto quelle cose ma non si sbaglia nel ’90 quando dice: ”Io ero a cena a Cerbaia, alla Festa dell’Unità e lì ho trovato Fantoni.”? Cioè le sue dichiarazioni son più attendibili quando le rende nel ’90 in carcere di quando le rende nell’85 ai Carabinieri nell’immediatezza del fatto… Ora, tutti questi omicidi, e l’alibi falso si sa per giurisprudenza “pacifica” che costituisce un elemento indiziante, laddove sia precostituito come questo e smentito come questo; perché un conto è l’alibi che manca, e sarebbe un’inversione dell’onere probatorio dire che un soggetto deve fornire un alibi per forza. Un conto è l’alibi che fallisce perché un soggetto è nell’impossibilità di dimostrare quest’alibi, un conto è un alibi costituito, precostituito, che si costruisce “ad arte” e viene smentito… e quest’alibi viene smentito sia perché Pacciani fa riferimento a una distanza che era ben in grado di “controllare” (e ce lo dimostra l’appunto che ha!), sia perché il teste Fantoni smentisce l’alibi, sia perché Pacciani fa riferimento a un interrogatorio dei Carabinieri come punto di riferimento dell’alibi, appunto, che avviene dieci giorni dopo rispetto alla data in cui lo colloca lui. E allora questo è un “alibi falso”! Se questi sono gli elementi, in relazione a questi due duplici omicidi, come si potrebbe arrivare, per questi due duplici omicidi, a una decisione di carattere assolutorio?! Qualsiasi processo che sia regolato dalle regole procedurali vigenti, dai criteri logico-giuridici normalmente operanti deve arrivare ad un’affermazione di penale responsabilità, in ordine a questi due omicidi quantomeno. E non possono essere falsati i parametri processuali perché qui si tratta dell’omicidio a carico del “Mostro di Firenze”, in realtà qui si tratta di un processo per otto singoli episodi di duplice omicidio che vanno valutati ciascuno per sé stesso e poi ognuno in relazione agli altri per i punti di collegamento che esso ha! Io non vedo come Pietro Pacciani possa “uscire” da questo tipo di imputazione per questi due episodi. E come si collegano agli altri? Abbiamo le perizie balistiche che ci dicono che in questi due episodi è stata usata un’arma che, in forza dei bossoli e dei proiettili, è identificabile con l’arma con cui si sono compiuti gli altri duplici omicidi. Abbiamo le perizie De Fazio dell’84 e dell’85 che ci dicono, in più punti, che abbiamo: un duplice strumento lesivo, una ripetitiva scelta di condizioni ambientali e situazionali, una ripetitiva scelta dell’oggetto dell’aggressione (una coppia), un profilo morfologico e caratteristiche tecniche delle lesioni genitali riconducibili ad un’unica mano; ciò è stato provato sia attraverso la visione computerizzata del tipo di lesioni, sia attraverso dati sperimentali: venti persone diverse hanno tracciato tagli con caratteristiche diverse, quindi era la stessa mano. Abbiamo una progressione psicologica perché abbiamo un aggravamento – dal caso Pettini, al caso De Nuccio, al caso Baldi al caso Cambi, al caso Rontini, al caso Mauriot – in ordine alle lesioni che vengono apportate alle vittime donne. Abbiamo il disinteresse per l’uomo e l’overkilling verso l’uomo e abbiamo l’interesse specifico verso la donna. Abbiamo un identico modus operandi. Abbiamo la perizia Spampinato e De Benedetti che trova un’identità fra la cartuccia, un’identità tra la cartuccia, le microstrie della cartuccia di Pacciani e il bossolo dell’omicidio Mainardi-Migliorini. Abbiamo un bossolo di questo stesso omicidio che ha lo stesso solco “da caricamento” che aveva il bossolo che abbiamo visto dell’omicidio Meyer. Abbiamo poi le condizioni di reciproca coincidenza con gli altri, con i bossoli degli altri duplici omicidi. Abbiamo l’asta guidamolla e la stoffa che hanno un significato in ordine a tutti gli omicidi (e non solo a questi…) perché hanno un significato in ordine a tutti e a ciascuno degli omicidi. Abbiamo materiale pornografico recante – dice la Corte di Cassazione il 14/05/’93 – “…in origine o in seguito a disegni apposti di marcate analogie con specifiche caratteristiche di alcuni degli omicidi oggetto di indagine.” E questo è un elemento grave secondo la Corte di Cassazione 14/05/’93. Abbiamo il biglietto “Coppia Firenze F…” in relazione al quale non occorre ricordare le giustificazioni di Pacciani. E allora senza andare a cercare il “tipo di autore”, senza andare a cercare quello che era il grosso pericolo di questo processo e cioè il problema di subire suggestioni che derivassero da tutto quello che su questo processo e su questi delitti era stato, prima ancora su questi delitti, era stato detto e scritto, bisogna valutare questo patrimonio probatorio. E bisogna cercare di capire se, in realtà, questi elementi che non necessitano nessuno di una univoca lettura, non necessitano nessuno del requisito della precisione, cioè della capacità di darci, a seguito dell’applicazione ad essi di una regola inferenziale che non è sempre “l’id quod plerumque accidit”. Giustamente il collega Saldarelli ha fatto presente il bellissimo esempio del melo e delle mele, ed è stato un esempio fortemente evocativo: cioè ha dato a tutti la misura di quella che è una regola inferenziale basata sulla comune esperienza e sul nesso probabilistico. Ma rendiamoci conto che qui ci sono regole inferenziali che attingono a scienze (balistica, dattiloscopica, medico-legale…) che attengono a criteri logici. Non soltanto esperienze di comune percezione e condivisione perché, nel momento in cui si va a dare un alibi mancato-falso come questo, in realtà vediamo che quello che non regge non è il fatto, non è il criterio logico che si applica al fatto noto, cioè il fatto che lui era a Cerbaia; da lì in base al criterio della non ubiquità lui non poteva essere a Scopeti. Questo non fallisce, il criterio logico non fallisce mai, fallisce la dimostrazione del fatto che lui era a Cerbaia. E quindi non sono criteri logici che comportano, da parte vostra, salti logici; sono criteri logici che non danno scampo. Sono criteri scientifici che hanno un tasso di probabilità vicino all’univocità della certezza in molti casi. E non occorre che la perizia Spampinato-De Benedetti dia certezze e risposte univoche, la perizia Spampinato-De Benedetti è sufficiente che dia risposte “altamente probabili” (e questo lo dice la stessa Cassazione!) che, lette nell’ambito di un contesto unitario, possano portare a una conclusione unica. Era bellissima la sentenza delle Sezioni Unite sulla valutazione sul processo di Bologna sulla valutazione degli indizi, laddove si faceva presente appunto che occorre una preventiva valutazione di indicatività di ciascun indizio che abbia pure portata “possibilistica e non univoca” ci dice la Cassazione Sezioni Unite in relazione al processo di Bologna. Successivamente però ne è doveroso, e logicamente imprescindibile, un esame globale unitario attraverso il quale la relativa ambiguità di ciascun indizio si risolva perché l’un-indizio si integra con gli altri e si somma in una valutazione complessiva; sicché il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria. E allora il problema che ci si pone è questo. In realtà il collega Saldarelli ha accennato il problema della “ipotesi alternativa”; ovverosia oggi noi abbiamo un “rito accusatorio” che esalta il processo indiziario… Perché lo esalta? Perché mentre il “rito inquisitorio” era affidato alla valutazione nella massima buona fede di un giudice, che però doveva pensar lui alle ipotesi alternative perché non gli potevano essere fornite da altri, oggi noi abbiamo un rito che si basa sullo scontro dialettico delle parti e il metodo dialettico porta alla verifica di contrapposte ipotesi ricostruttive di un fatto che vengono suggerite dalle parti stesse. Ora Pietro Pacciani, oggi, valentissima la Difesa dei suoi difensori, dico Pietro Pacciani oggi quali ipotesi ricostruttive alternative, non dico di pari capacità esplicativa di questi indizi ma dico di capacità esplicativa vicina alla verosimiglianza, ha portato? Vi dico di più, se Pietro Pacciani avesse ammesso di essere un guardone, di essere stato sul luogo dell’omicidio nell’83 (dopo l’omicidio!), di essere stato lui a frugare nel furgone, a sottrarre il portasapone e a sottrarre il blocco, spiegherebbe: il blocco, il portasapone, spiegherebbe anche l’alterazione del blocco (perché sapendo che proveniva da un omicidio poteva aver la necessità di camuffarlo!), spiegherebbe anche il fatto di essere stato visto. Una persona a lui somigliante, con un motorino simile al suo con il serbatoio a goccia, con l’elastico sul portapacchi, in quel luogo subito prima o subito dopo, soprattutto subito dopo l’omicidio. Ma spiegherebbe la cartuccia e l’asta guidamolla, anche in relazione a questo? Non la spiegherebbe e, nonostante questo, Pietro Pacciani non ci fornisce neppure questa ipotesi verisimile. Che sarebbe un’ipotesi verisimile che non spiegherebbe tutto, ma almeno spiegherebbe una parte… Neppure questa! Il collega Santoni ha detto che per lui non c’era possibilità di far chiarezza; in realtà il collega Santoni ha una sua visione di questi episodi omicidiari, nella quale Pietro Pacciani non si colloca mai perché ha la sua tesi. Benissimo. Cosa succede? Succede che lui si blocca dinanzi alla presenza di questi elementi che sono tutti specificamente e concordemente indirizzati nei confronti di Pietro Pacciani. E non riesce a spiegarli e a collocarli nel contesto di una tesi diversa! Allora lui arriva alla conclusione di dire: “Pietro Pacciani deve essere condannato perché ha sempre mentito… Perché è bugiardo…”. Non è questo il punto! Non occorre questo “sforzo decisionale” da parte di questa Corte; in realtà basta una valutazione globale che risponda ai noti principi di valutazione e di motivazione, che sono poi: la completezza, tenere conto di tutto il patrimonio probatorio, la correttezza. Fondarsi su questo: la ragionevolezza! E cioè l’adozione di regole inferenziali e di storie, ipotesi ricostruttive che diano congruenza narrativa, che diano coerenza ai fatti che si conoscono; e non ipotesi ricostruttive fantascientifiche, o immaginarie o di fantasia. Per arrivare a dire che questi elementi in ordine a due omicidi sono schiaccianti e da quei due omicidi portano, inesorabilmente, alla responsabilità di Pietro Pacciani per tutti gli altri omicidi. E non c’è ipotesi alternativa di sorta che venga fornita da Pietro Pacciani! Capace di avere, ripeto, non una pari capacità esplicativa perché sarebbe una violazione del principio della presunzione di innocenza, ma una capacità esplicativa minima che la renda quantomeno verosimile. Se non la cospirazione, il complotto contro Pietro Pacciani! Perché questa è l’unica spiegazione che Pietro Pacciani dà. E Pietro Pacciani, se viene condannato, non deve essere condannato perché mente in generale; Pietro Pacciani, se viene condannato, viene condannato per le sue singole menzogne in relazione a elementi indizianti gravissimi, specifici che pendono su di lui. Che non riesce a spiegare e che nel momento in cui cerca di occultare rivela ancora di più nella loro significatività! È questo il punto, il fatto che Pietro Pacciani poi menta in generale fa sì che lui non riesca – e non potrebbe comunque riuscirci anche se parlasse, se non dicendo la verità – a dare un’ipotesi ricostruttiva che riesca a spiegare, in modo verosimile-congruente, i fatti che sono a disposizione di questa Corte. Sulla base di queste premesse io presento le conclusioni in ordine alla pretese risarcitorie della Cardini Iolanda e notula allegata. E credo di essere stato aderente alle premesse… Presidente: Benissimo, grazie Avvocato Ciappi. Benissimo, chi parla adesso? Avvocato Capanni, prego. Prego avvocato… Avvocato Capanni: Grazie, signor presidente. Signor presidente, signori della Corte: prendo la parola per rassegnare le conclusioni nell’interesse della parte civile costituita da Rontini Marzia. L’ammonimento ieri fatto dal presidente ai difensori della parte civile affinché contenessero, nei limiti più sintetici, la loro esposizione è ammonimento a giudizio di questo difensore frutto solo di saggezza. Lo svolgimento del processo è stato tale… L’ampiezza, la complessità, la minuziosità con cui in quest’aula, di fronte a voi, si è fatto luce su una vicenda che ha agghiacciato e angosciato una città intera per un arco di tempo così rilevante è stato di peso per tutti noi, di grande impegno e di grande fatica. Appesantire quindi il dibattimento con quelle che, bene o male, potrebbero solo essere ripetizioni di concetti già enucleati non pare producente e non pare giusto nei confronti di nessuno. Questa parte civile sottoscrive in pieno le considerazioni fatte dal signor Pubblico Ministero nella sua esemplare requisitoria, così come condivide le considerazioni fatte dai colleghi che hanno preceduto: l’Avvocato Saldarelli, l’Avvocato Ciappi. Il problema di quest’indagine è che, al termine della fase precedente, ovverosia mi riferisco alla chiusura dell’istruttoria del Dottor Rotella, atti a voi noti, l’indagine è dovuta ripartire non da zero – perché è evidente che gli inquirenti, gli investigatori avevano del materiale, materiale che poi in prosieguo di tempo è tornato utile ovviamente – ma han dovuto riorientare l’indagine con un raggio iniziale vastissimo. Raggio iniziale che si è andato poi riducendo di ampiezza via via che il lavoro procedeva, e procedeva con criteri e metodologie che, a giudizio di questa parte civile, possono essere definite solo scientifiche: con metodo e con una selezione di elementi che ha portato ai risultati che sono stati dinnanzi a voi presentati e che poi, nel corso del dibattimento, non dobbiamo dimenticare, si sono via via arricchiti anche di elementi originariamente imprevisti. In questo senso l’attività della magistratura della Procura della Repubblica e degli investigatori è un’attività che deve essere solamente lodata per un motivo semplicissimo: si è arrivati finalmente alla celebrazione di un processo non perché un processo dovesse essere fatto ad ogni costo, ma alla celebrazione di un processo nei confronti di un imputato raggiunto, e poi lo vedremo, da prove che vorrei definire conclusive. Quando, nel corso degli anni, questa vicenda si è snodata attraverso tutte le luttuose vicissitudini che tutti ormai ben conosciamo ognuno di noi da cittadino, da lettore di giornali si è infinite volte chiesto: “Ma lo prenderanno mai? Ma lo fermeranno mai?” Purtroppo non è accaduto… Non è accaduto perché? Questo è il punto: non è accaduto perché le condizione pratiche, di fatto, delle quali godeva l’autore di questi delitti erano condizioni di assoluto vantaggio; in primo luogo rispetto alle vittime e in secondo luogo rispetto agli investigatori. È evidente, a tutti voi ormai è assolutamente chiaro, come si svolgevano i fatti. Quest’uomo arrivava: non visto, non sentito, nel buio; colpiva, lui armato non di una ma di due armi distinte, dopodiché compiva quegli atti i cui risultati sono negli occhi di tutti noi e, dopodiché, se ne andava nel buio e scompariva. Ritrovare le tracce di un individuo di questo genere, con modalità operative di questo genere, era per gli investigatori un problema serissimo che poteva essere risolto soltanto con un lavoro lento, minuzioso ma, soprattutto, supportato da scientificità di metodo e di risultato. È evidente che, ai tempi dei delitti, l’autore di questi delitti poteva essere fermato nell’immediatezza, come si suole dire nella prassi giudiziaria, poteva essere fermato nell’immediatezza solo a condizione che, nella serie causale posta in essere, si producesse un sovvertimento totale dei piani dell’autore. Vale a dire: che l’arma si potesse inceppare subito all’inizio dell’azione, che le vittime reagissero perché magari una di loro armata, che qualcuno sopraggiungesse (sappiamo bene che questo non è mai avvenuto!). Ma era l’unica alternativa, si poteva arrivare a chiudere questo cerchio solamente, nell’immediatezza, a queste condizioni. Altrimenti l’indagine doveva prendere la strada della lenta risalita di una parete ripidissima! Ed è questo che è stato fatto, con i risultati, credo tranquillanti, che voi avete visto durante questi sei mesi – perché il processo è durato sei mesi, pur con le pause – davanti a voi. Quindi che il quadro probatorio completo, a giudizio di chi vi parla, sia però mancante, ad esempio, della pistola è un fatto ineludibile; ma non condiziona la serenità dell’esposizione di chi vi parla e, secondo me, non deve condizionare la serenità del giudizio vostro perché è evidente che è così. Non poteva essere altrimenti ma ciò che si è fatto è sufficiente, non starò a ripercorrere la stessa strada di chi mi ha preceduto perché farei sicuramente cattivo servizio a voi e peggior riuscita. Quindi mi limiterò a trattare dei punti assolutamente specifici riportandomi a ciò che, ad esempio, la Procura della Repubblica vi ha esposto per quanto riguarda il resto. Vi è un dato che ricorre in tutti gli episodi; o praticamente in tutti e, laddove manca, della mancanza del dato può essere data una spiegazione sempre. Nel corso di queste vicende o le borse delle povere vittime di sesso femminile sono state frugate… Mancano oggetti, vi sono state delle vere e proprie appropriazioni, dei veri e propri furti di oggetti, oppure comunque le borse sono state frugate. Questo processo che si svolge nei confronti di Pietro Pacciani a mio giudizio ha mostrato che, tra tutti gli episodi contestati e – dico io – anche rispetto all’omicidio del ’51, riguardo a questo aspetto che vi sto trattando vi è un filo che unisce tutti gli episodi, dal ’51 sino all’ultimo e che è questo… Partiamo dai dati certi; dato certo è che la sentenza del ’51 dà atto del fatto che il povero Severino Bonini, al povero Severino Bonini il Pacciani asportò il portafoglio. Questo è un dato sicuro, la sentenza ne parla. Altro dato certo, perché l’istruttoria dibattimentale si è svolta in modo tale che io posso dire che è certo, è che Pietro Pacciani asportò portasapone e blocco dal furgone dei tedeschi nell’83. Perché non importa certamente che vi riracconti la “storia” del blocco che voi ben conoscente, ma è un dato che viene acquisito al vostro giudizio come con la forza della prova; e quindi questi due sono i dati certi. Andiamo ai dati allora da valutarsi sotto il profilo dell’indizio e non della prova. Nel 1968 la borsa della Locci viene frugata. Lo ha ricordato lo stesso Pubblico Ministero: viene strappata anche una collanina (non portata via ma strappata!). Quindi è presente anche in questo caso l’elemento del cercare, del frugare, dello sparpagliare gli oggetti della donna. Nel 1974 ampiamente si è parlato, riguardo al delitto del 1974: in pratica viene manomesso quasi tutto ciò che c’è nell’automobile! I vestiti del ragazzo ritirati dalla lavanderia (c’è anche il tagliandino, viene repertato) vengono trovati fuori dalla macchina, la borsa della ragazza viene trovata a 300 metri insieme al pullover. La madre della ragazza vi ha detto che al suo giudizio, tra gli oggetti restituiti alla famiglia dopo lungo tempo, mancavano: orologio, portafogli e collanina. 1981, delitto Foggi-De Nuccio: la borsa è stata frugata, gli oggetti sono sparpagliati e rinvenuti accanto allo sportello sinistro dell’auto. Identica cosa, uguale, nell’altro delitto del 1981 Baldi-Cambi: l’orologio, il bracciale e gli orecchini della ragazza sono in terra, sono sparpagliati e sono vicini allo sportello sinistro all’esterno dell’auto. Nel 1982 voi conoscete la concitata dinamica del delitto Migliorini-Mainardi: probabilmente dato lo svolgimento dei fatti l’autore si è trovato nell’impossibilità di frugare e, quindi, ha dovuto allontanarsi il più possibile velocemente dal luogo perché, come voi ben sapete, quell’omicidio per poco non gli è costato caro! Nel 1983, come abbiamo detto, abbiamo il delitto dei poveri ragazzi tedeschi Meyer e Rüsch: qui abbiamo la tematica del blocco e del portasapone che già vi ho indicato come certa. 1984, Rontini-Stefanacci: anche qui abbiamo una collanina strappata, quindi ritorna sempre questo elemento di ricerca di cose che, probabilmente, vengono toccate, tastate negli oggetti femminili presenti sul posto. Nel 1985 non abbiamo alcuna certezza: la tenda sarà stata frugata? Non sarà stata frugata? Non sappiamo, non abbiamo idea di quali effetti personali possano mancare, anche trattandosi di vittime di nazionalità straniera. E comunque, anche in questo caso, la meccanica dell’aggressione dei due omicidi è tale che molto probabilmente, anzi sicuramente!, il normale svolgimento delle cose viene stravolto dalla fuga del giovane e, quindi, il piano, le modalità consuete “saltano” e non possono essere seguite. Vi è, quindi, in tutti questi fatti dal ’51 all’85 un filo, una costanza di comportamento; cioè voi dovete, e sicuramente l’avete fatto, di “immaginarvi le scene”! Il delitto, le uccisioni, le mutilazioni… e poi? Credo che ce ne sarebbe abbastanza per chiunque, no? Questa persona ha ancora la forza, la voglia, lo stomaco di continuare a trattenersi sul posto per frugare nelle borsette portando via qualche feticcio! O nel furgone o dove più vi piace… Non è un elemento secondario! Certo, vi sono prove diverse in questo processo ma è un filo che li lega tutti e che rende attribuibili allo stesso soggetto tutti i delitti contestati. Proprio perché è un ulteriore piccolo, me ne rendo conto, elemento; piccolo ma significativo perché siamo in situazioni comportamentali assolutamente anormali, abnormi. E quindi tutto ciò che colpisce l’attenzione deve essere analizzato! Perché la enormità di ciò che si è fatto, la stranezza di ciò che si è fatto sono “un che” di complessivo nel comportamento dell’individuo. È certo che il blocco proveniente dal furgone dei ragazzi tedeschi è stato trovato in possesso del Pacciani, è certo che questo blocco – perché le prove che sono state raccolte portano in questa direzione – era realmente dei ragazzi tedeschi (in particolare di uno di loro); proveniva dalla Germania, non è mai stato venduto in Italia e quindi non può essere trovato né in discariche né altro. Quindi a questa serie di comportamenti “si fruga, si cerca, qualche volta si porta via” l’imputato Pietro Pacciani è indissolubilmente legato! E, così come ci dice giustamente il Pubblico Ministero, che: l’unità dell’arma, l’unità dell’uso, l’abilità nell’uso dell’arma da taglio unificano i delitti facendoli attribuire a una stessa mano. Anche questo è un elemento sussidiario ma convincente dell’attribuibilità dei delitti a una stessa mano! Perché Pacciani è legato a questo tipo di comportamenti non solo dal delitto del ’51 ma anche dal blocco. Un’ultima considerazione che riguarda la problematica già trattata – me ne rendo conto, ma sarò molto sintetico – del proiettile rinvenuto in casa Pacciani nell’orto. Io… Più volte in quest’aula è risuonata la parola trucchi, più volte si è dubitato o tentato di far dubitare di questo ritrovamento, della sua genuinità. Si è velato questo proiettile con mille possibili significati: non è un’annotazione polemica nei confronti di nessuno, si è parlato anche di demiurghi! Signori, il Pubblico Ministero sul proiettile è stato chiarissimo e quelle considerazioni sono ovviamente tali da essere condivise da chi, come me, vi parla. Ma se proprio si deve continuare a dubitare di questo elemento di prova cruciale, allora io correrò il rischio di offendere la vostra intelligenza spiegandovi una cosa ovvia. Allora, se vogliamo partire dalla “problematica del trucco” immaginiamoci che trucco ci sia! Chi lo può aver fatto? La Polizia oppure il “vero mostro” che vuole incastrare Pacciani, alternative non ve ne sono. Prendiamo la Polizia: è impossibile! E la logica, a giudizio di questo difensore, dovrebbe convincere anche voi di questo. Non voglio dire che è impossibile perché mi fido, la fiducia è metafisica! Questi uomini, queste donne che hanno lavorato a questa faccenda noi le conosciamo ed è evidente che ci fidiamo, ma non è questo il problema. Non è il problema di fiducia; è un problema oggettivo, naturale, fisico. È evidente che quel proiettile, ritrovato nell’orto del Pacciani, reca in sé impresse quelle famose microstrie che le perizie ci inducono a credere, ci fanno… (…mancante…, ndr). Allora potrebbe essere stato il “vero mostro”? Eh, un momento: allora dovremmo presupporre che il “vero mostro” prende un proiettile dalla sua scorta, lo maneggia in maniera… Quale maniera? Il proiettile deriva da un inceppamento! L’inceppamento non è governabile da parte di colui che manovra la pistola! Perché è disassato il proiettile, ve l’hanno spiegato. Quindi già produrre volontariamente un inceppamento credo non sia cosa da poco, quindi già qui… Ma mettiamolo come possibile, produce questi segni manovrando la pistola e il proiettile e lo va a mettere nell’orto del Pacciani. Perfetto: prima, dopo non si sa… ma diciamo di sì. Eh, poi però a questo punto il nostro signor “vero mostro” che incastra il Pacciani è costretto a far sì che il proiettile venga fuori perché averlo semplicemente nascosto non gli serve a niente, non serve a nessuno. Allora sarebbe stato obbligato a: mandare una lettera anonima, una telefonata anonima, qualunque sistema per far sì che la Polizia lo trovasse! Ebbene, signori, voi sapete bene che questo innanzitutto non è avvenuto e che la maxi-perquisizione deriva, ma loro sanno che la maxi-perquisizione deriva dalle emergenze delle intercettazioni ambientali perché fu in base a quelle che si decise di procedere con quella metodologia. Perché nessuno, neanche il, virgolette, “vero mostro che vuole incastrare Pacciani”, chiuse virgolette, neanche lui poteva prevedere che la Polizia, che la Magistratura avrebbero escogitato una perquisizione lunga dieci giorni; condotta, avete visto i filmati, con quelle modalità, con quel dispendio di mezzi, di uomini, di tempi. Perquisizioni a Pacciani ne avevano già fatte con metodologie completamente diverse, cioè era inimmaginabile: io credo che quella perquisizione nella storia dell’indagine giudiziaria italiana sia un caso unico. E quindi com’era prevedibile tutto ciò? Quel proiettile deriva dalle manovre fatte dal Pacciani nell’arma! È un proiettile smarrito, forse a lungo disperatamente cercato ma non trovato da lui, trovato dalla Polizia. Fu trovato al terzo giorno della maxiperquisizione, al terzo giorno mica subito! E, se ricordate quel che disse il dottor Perugini, la terra superficiale del paletto dentro cui era occultato il proiettile era stata asportata; e quindi si vide il proiettile perché la gente ci aveva camminato sopra. Cosa che, nei primi giorni della perquisizione che non era piovuto, non faceva. Quindi, in realtà, è il ritrovamento frutto di un lavoro estenuante ma con un briciolino di fortuna, la quale non deve mancare mai perché tanta sfortuna ha avuto chi ha indagato prima. Quindi è un compenso che a mio giudizio è necessario, un po’ di fortuna viene fuori. Non il “vero mostro” che ce l’ha messo, non il poliziotto perché il poliziotto fisicamente non poteva! Allora, a questo punto, questo proiettile diventa una prova; una prova che regge non soltanto al vaglio logico – che è quello che io ho fatto adesso dinnanzi a voi –, ha retto a tali e tanti vagli scientifici che non può essere sconfitta, non può essere sminuita da mere argomentazioni. A tutto concedere perché quelle per cui Pacciani vuole “distruggere” questo elemento a suo carico, sono a tutto concedere mere argomentazioni se non menzogne. E di menzogne ha riempito le vostre orecchie! E quindi questa prova è una delle prove principali, insieme al blocco; che danno, tutte insieme, un quadro talmente tranquillizzante che questa parte civile, avendo esaurito il suo compito, conclude affinché piaccia all’eccellentissima Corte di Assise di Firenze affermare la penale responsabilità dell’imputato e condannarlo alla pena ritenuta di giustizia. Nonché al risarcimento dei danni tutti patiti dalla costituita parte civile, danni da liquidarsi in separato giudizio. Lascio la parola un attimo all’Avvocato Puliti del quale sono sostituto processuale. Avvocato Puliti: Solo per dire che formalmente concludo io. Presidente: Benissimo. Avvocato Eriberto Rosso… Avvocato Eriberto Rosso: Signor presidente, signori della Corte: prendo la parola quale difensore e rappresentante di Cambi Cinzia che è sorella di Cambi Susanna, massacrata in località “Bartoline di Calenzano” il 22-10-’81; e prendo la parola in rappresentanza di Georg Meyer, padre di Horst ucciso in “Giogoli di Scandicci” il 9-09-’83. Rassegno le conclusioni scritte che sono nel senso di richiedere alla Corte l’affermazione di responsabilità penale del signor Pacciani Pietro per i reati a lui ascritti. Vi è una richiesta di provvisionale, la motivazione per la non liquidabilità allo stato del procedimento in questo processo dell’intero danno. La do per letta e la consegnerò al cancelliere d’udienza. Signor presidente, signor giudice a latere, signori giudici popolari: io credo che bisogna partire da una considerazione che è ovvia e banale; che però sempre è bene ripetere nei processi e, soprattutto, in processo dinnanzi alla Corte di Assise. Vi è un onere nel processo. Un onere ovvio dicevo, a carico dell’Accusa Pubblica e in certa misura anche a carico dell’Accusa Privata, che faccia la scelta di essere presente nel processo, di dimostrare, attraverso prove dirette e/o prove indirette, la responsabilità dell’imputato con riferimento al fatto storico, al fatto-delitto che a lui è attribuito. A me pare, è questa la mia convinzione, che la ricostruzione prospettata dal Pubblico Ministero – per nulla suggestiva; direi anzi sin troppo diligente, paziente, minuziosa, meticolosa – che ha ripercorso quel “mare magnum” di elementi che erano emersi nella fase del dibattimento ha dimostrato che queste prove esistono. Che oggi questa Corte, perlomeno questo chiede questa parte civile, si trovi nelle condizione non di poter ma di dover condannare Pietro Pacciani per i reati a lui contestati. Alla loro valutazione sono sottoposte prove dirette e sono sottoposte prove indirette; sono sottoposte prove storiche, che sono immediatamente rappresentative di quella drammatica realtà scolpita nel capo d’imputazioni, e sono sottoposte prove critiche. La distinzione, signori giudici popolari, è molto semplice e facilmente comprensibile: le prime sono di portata orale, sono di portata documentale, sono di portata reale e rappresentano immediatamente il fatto che si vuol provare. Le seconde non rappresentano immediatamente il fatto da provare, ma da un dato certo, da un fatto noto, attraverso un iter logico assolutamente rigoroso, portano a conoscere ciò che allo stato è sconosciuto. Vi è già stato detto dal rappresentate dell’Accusa Pubblica, da tutti i difensori di parte civile che mi hanno preceduto, di quali sono le regole che sovraintendono la lettura e la valutazione di questi elementi. Di come gli indizi debbano essere gravi, precisi e concordanti; di come la loro lettura debba essere una lettura unitaria ex-post e che abbia presente l’intera vicenda processuale, l’intero materiale probatorio che si è formato dinnanzi a voi nel divenire del processo, udienza dopo udienza. Eh, tale valutazione non è una valutazione libera, è una valutazione che, pur rifacendosi al libero convincimento del giudice, lo espone poi alla necessità di motivare quel suo convincimento. E quindi lo espone a un controllo, a un vaglio critico. E noi non chiediamo certamente a nessuno, e tantomeno a questa Corte, di discostarsi dalla rigida direi – come dato anche di civiltà giuridica – normativa che presieda la lettura di questi elementi consacrata nell’articolo 192 del codice di procedura, frutto di una sofferta, lunga elaborazione giurisprudenziale e che è certamente un dato di civiltà giuridica del nostro ordinamento. Ma io credo che proprio sulla base di quei criteri, per quel miscuglio di prove dirette e prove indirette che vi sono state sottoposte, voi potrete giungere a quella soluzione, a quella indicazione che io prima preconizzavo. Sarebbe certamente inutile, certamente defaticante e certamente improprio atteso il mio ruolo processuale che io tentassi di ripercorrere tutta la messa di elementi che sono stati, appunto, raccolti nell’ambito del processo perché tale attività ha svolto (e ha svolto in modo egregio!) l’ufficio della Pubblica Accusa, lo ha fatto il Pubblico Ministero di udienza. Credo che compito dell’ “Accusa Privata” sia anche con riferimento alle posizioni di chi rappresenta, di chi viene a testimoniare la domanda di giustizia frutto ovviamente di sofferenza, di meditazione, di coinvolgimenti di vita che certamente determinano fatti come quelli attribuiti a Pacciani. Credo, dicevo, che il ruolo della parte civile stia nel fornire una sorta di approfondimento di alcuni temi, nell’inserirsi nel solco di quella riflessione accusatoria per portare un suo contributo. E poiché difendo il padre di Horst Meyer avevo pensato a una ricostruzione dell’omicidio di “Giogoli di Scandicci” quasi a voler proporre alla Corte, per un attimo, di astrarsi dall’insieme delle imputazioni e questo considerare. Ho visto che questa era idea evidentemente non originalissima perché probabilmente in quell’omicidio si concretano gli elementi più acuti, più pesanti in riferimento alla posizione del signor Pacciani. Altri difensori su questo si sono soffermati e, quindi, io mi limiterò a riproporvi una lettura per titoli di quello che era un ragionamento che intendevo riproporvi. Lasciando però inalterata la domanda che intendevo fare; e cioè se, fuori da ogni suggestione, se fuori da ogni riflessione in ordine alla personalità dell’imputato che pure grande spazio ha da avere nella vostra valutazione, di fronte a quel fatto-omicidio voi vi trovaste di fronte agli elementi che io ora cercherò di indicare… Beh, vi chiedo il vostro libero convincimento e, usando di quelle regole che ho prima richiamato e che sono le regole che devono presiedere alla vostra attività di delibazione, quale potrebbe essere la soluzione. Il primo dato non è il blocco, il primo dato con riferimento all’omicidio di “Giogoli di Scandicci” è la probabilissima presenza dell’imputato sul luogo del delitto. Lo dice il teste Celli: alle ore 7:30 del mattino, prima che l’omicidio sia scoperto, vi è una persona dalle sembianze assolutamente rapportabili al Pacciani che si aggira intorno a quel furgone. Vi è un elemento di riscontro a questa sorta di riconoscimento che è dato da quel motorino che ormai tutti sappiamo essere “particolare”, non solo nella forma ma anche nella tinteggiatura. E questa persona si aggira, è intorno a quel furgone, è sul luogo del delitto. Vi sono i risultati delle perizie medico-legali che si addentrano anche su un campo non strettamente legato al tavolo autoptico. Vi è, per fortuna, quell’iniziativa del professor Maurri in ordine alla misurazione delle altezze dei fori di entrata dei colpi di arma da fuoco, che ci indicano in 1,35 – 1,40 M per l’appunto i fori di entrata. E vi è poi quella perizia, disposta dalla Corte in sede di dibattimento, in ordine all’altezza dell’imputato dalla quale si evince che la sua altezza alla spalla coincide perfettamente con l’altezza dei fori di quei proiettili. E quindi è assolutamente compatibile che egli sia stato l’agente che in quella occasione ha esploso quei colpi d’arma da fuoco. Vi sono poi i tre elementi di cui tante parti del processo hanno già parlato, ma dalla considerazione dei quali io non mi posso certo esimere, ancorché in modo breve, in modo succinto. Che non sono solo il blocco, ma sono anche il portasapone marca Deis; e vedrete come, perlomeno nella ricostruzione che io propongo, questi due oggetti sono assolutamente legati. Vi sono le matite… Blocco, portasapone marca Deis, matite colorate: certamente appartenuti al povero Horst Meyer! Blocco, portasapone marca Deis e matite colorate certamente ritrovate nella disponibilità del Pacciani! Risolviamo questo secondo dato: vi sono i verbali di sequestro in atti, vi sono addirittura sul punto le difese, ancorché fuori dal contraddittorio, dell’imputato che su tutti e tre questi elementi si misura. Eh, una qualche valutazione in ordine anche a questo dovremmo pur farla. Torniamo ora al primo elemento, proprietà/disponibilità dell’Horst Meyer dei tre oggetti indicati. Da che cosa la ricaviamo? Qui non c’è nessun dato incerto, non c’è nessuna suggestione da inserire nel processo: vi è una rogatoria internazionale, vi sono le dichiarazioni rese al dibattimento (in sede di escussione testimoniale) dalla sorella Margherete Meyer. Eh, quella rogatoria è un atto importante: perché non si sente una persona, non si sentono due persone… se ne sentono veramente tante e le loro dichiarazioni sono tutte concordanti! E le loro dichiarazioni vanno tutte nello stesso senso. E che cosa ci dicono le persone che vengono sentite? Innanzitutto la stessa Margherete, che ci dice che quel portasapone le ha dato quella sensazione di familiarità. Vi è poi l’amico, che ha già citato il Pubblico Ministero nel corso della sua requisitoria. Vi è però una persona che io ritengo essere la più importante di tutti! Io mi permetto di leggere solo alcune righe… «Posso qui aggiungere, per integrare la mia deposizione, che, nell’attimo preciso in cui l’ufficiale di Polizia Italiana estraeva dalla sua valigia il portasapone, ho immediatamente pensato: “Io questo portasapone lo conosco!”. In risposta alla domanda rivoltami posso dire che, vedendolo, ho pensato subito: “È quello che abbiamo nel nostro bagno!”. Ho inoltre notato che esteriormente era un po’ sporco, anche questo elemento mi ha richiamato alla mente un vecchio portasapone che avevamo.» Questa non è la sorella… Questo è Georg Meyer, questo è il padre del ragazzo! Che riferisce che cosa? Non solo l’elemento della familiarità di quel portasapone, ma riferisce addirittura di sentirlo attribuibile alla sua famiglia! Per una qualche macchia, per un qualche elemento che si era determinato nella vita intima di quella famiglia. Va beh insomma, questo non è un elemento che può facilmente essere revocato in dubbio. È un elemento forte; è un elemento che, unito alle modalità di vita, al trasloco imminente del giovane ragazzo, rendono assolutamente certo il fatto che quel portasapone fosse in quel furgone nella disponibilità dell’Horst Meyer. Il blocco: eh beh, sul blocco voi avete sentito il Pubblico Ministero, avete sentito gli altri difensori… tutti sono ritornati su questo elemento. Però, insomma, alcune cose penso possano essere sottolineate senza che rappresentino un’inutile fatica e ripetizione, ma perché meglio si possa assorbire un elemento che, secondo me, è dato centrale del processo. La sorella ci dice che il giovane Horst aveva studiato in una scuola specializzata di disegno. Era una scuola, era “un tipo di studi” (non una scuola…) che anch’essa aveva frequentato, ancorché presso un’altra scuola. Ci dice che il fratello l’aveva consigliata ad usare quel tipo di blocchi: lo Skizzen Brunnen! Che egli era solito acquistare in una cartoleria specializzata di Osnabrück, il famoso negozio Prelle Shop. Ha portato alla polizia dei blocchi simili; ed il dato che emerge, aldilà di tutte le considerazioni che già sono state loro rappresentate (e non solo e non tanto che quel blocco in Italia non è commercializzato), è che è un blocco per professionisti! È un blocco cioè che ha un mercato assolutamente ristretto. Solo chi vuole fare certo tipo di disegno usa quel tipo di blocco, solo chi vuole fare certo tipo di disegno usa certo tipo di matite; come quelle che la sorella ci ha portato in quest’aula e che, a raffronto con quelle di cui alla foto 5 in sequestro all’imputato Pacciani, ha immediatamente riconosciute. Soprattutto quelle di cui al numero 6 blu perché ci ha detto che, quelle matite, sono necessarie per riprendere elementi di natura, e non certo per strutturazione o disegno di cose; che, allora, altro elemento con altra durezza serve… Eh, allora: se quel blocco viene da Osnabrück, se quel portasapone viene da Osnabrück, loro hanno anche una riprova diversa. Hanno quella impronta! Alla quale, per una forte prudenza – debbo dire – che ha caratterizzato tutta la sua requisitoria, il Pubblico Ministero non ha voluto attribuire la importanza che secondo me ha. È dato certo – perché ciò risulta dai verbali di sequestro, perché ciò risulta dalle perquisizioni, dalle constatazioni “de visu” fatte dagli ufficiali di Polizia Giudiziaria – che quel blocco e quel portasapone venivano custoditi da Pacciani Pietro in modo assolutamente autonomo. Erano collocati in parti della casa assolutamente distanti e non comunicanti perché il blocco era tra “i valori” (e, quindi, aveva quel tipo di modalità di custodia), mentre il portasapone era collocato in quella vetrinetta. Ed era certamente un portasapone non usato… Eh, allora, nulla di più logico, questo si può inferire da quel dato: che quel portasapone, che quella macchia nel blocco si sia verificata per una attività, posta in essere nel corso di quella vacanza, nel disordine di quel furgone e non certo successivamente dall’imputato! Vi sono anche le dichiarazioni delle commesse, vi è la perizia che riconosce, per loro, la scrittura! Ma su questi elementi vi hanno già intrattenuto gli altri difensori, ed io non voglio tornare sopra. Voglio sottolineare però, con forza, con riferimento alle matite colorate che la Margherete Meyer, in quest’aula: ha portato due astucci, ci ha detto delle modalità di custodia delle matite da parte del fratello in quella valigetta portacolori; che, però, era valigetta che serviva solo per contenere le matite ma non era anche “valigetta di trasporto” perché non riusciva a contenere gli albi. Era una sorta di “castello da lavoro”, tipico di chi svolge attività manuali e che, quindi, quando le matite venivano usate dal fratello venivano prelevate da quel luogo di custodia. E ci ha detto di non potere escludere, in una testimonianza direi connotata di grandissima serenità, ancorché sia persona certamente provata dalla tragica esperienza che la vita ha riservato, in primo luogo, al fratello ma poi, ovviamente, anche a lei… Dicevo di grandissima serenità, ci ha detto di non potere escludere che il fratello avesse con sé delle matite, avesse con sé un blocco da disegno. Cosa che, direi, però nel dato dell’esperienza umana è assolutamente proponibile: non solo come tesi, ma come elemento di lettura. Perché mai una persona che ha fatto quel tipo di scuola, che è solito disegnare, che si reca in vacanza in Italia (e precisamente in Toscana), che si sofferma, si accampa in luoghi certamente di grandissima suggestione non deve avere con sé materiale che gli consenta di disegnare quei luoghi? Perché ha una passione fotografica? E le due cose si escludono? È veramente dato che non riesco a leggere in questo modo. Allora l’imputato Pacciani è raggiunto da alcuni elementi: egli è sul luogo del delitto, egli ha alcuni oggetti che sono certamente provenienti da una delle vittime. E vi è poi il proiettile. Anche su questo siete già stati intrattenuti a lungo, ma è bene rimarcarlo perché nell’omicidio di “Giogoli di Scandicci”, per l’appunto, noi troviamo uno di quei bossoli che, all’esame di comparazione, non solo presentano quelle microstriature “interrotte” nel bossolo, per l’attività di sparo che è avvenuta, ma presenta quel particolare solco nel fondello che anch’esso contiene microstriature; e queste sì eguali sia nel bossolo che nel proiettile! Già vi è stato spiegato e già è stata fatta giustizia della proposizione del Pacciani per cui quel proiettile nel suo orto ci sarebbe finito per “vie alternative”: la cosa non è sostenibile, non tanto e non solo sotto un profilo logico ma perché dovremmo immaginare cose che non sono immaginabili e che non hanno significato. La prima è che sia un’attività di provocazione della Polizia: io non da fare attestati di benemerenza a nessuno, il processo penale è un momento di verifica in cui vanno verificate tutte le ipotesi. Senza mancare di rispetto a nessuno, questa ipotesi può anche essere considerata, ma vi è già stato spiegato perché non è possibile! Significherebbe che le forze di Polizia, che la Squadra Anti-Mostro che per anni ha fatto quest’indagine ha la disponibilità della pistola. E quindi sa chi è il mostro e, quindi, porta in aula una persona diversa da quella che è il mostro. Ora, quale sia la logica di questo comportamento, come si possa solo immaginare, non è dato sapere! Oppure il vero autore dei delitti, nel caso in cui non sia il Pacciani. Ma sarebbe un autore talmente qualificato in materia balistica da conoscere la possibilità della rappresentazione del recupero di quelle microstrie sia su un proiettile esploso, e quindi sul bossolo, sia sul proiettile inesploso. Ed è attività che, invece, casualmente è emersa e che mai prima era stata rappresentata! Eh no, allora quel proiettile non può che essere del Pacciani. Avete, oltre a questi elementi, la causale. Perché loro possono escludere, in modo certo, in modo decisivo veramente aldilà di ogni ragionevole dubbio, che quell’omicidio che si è verificato in “Giogoli di Scandicci” e che ha visto come vittime i due poveri ragazzi tedeschi non può avere causale diversa da un suo inserimento in quegli otto duplici omicidi che sono oggi contestati a Pietro Pacciani. Non esiste nessuna motivazione, non esiste nessuna causale diversa che si può prospettare: non certo un furto perché quelle cose vengono trovate nella disponibilità del Pacciani; non certo motivazioni personali rapportabili a persone diverse perché essi erano lontano dai loro luoghi abituali di “frequentazione di rapporto”, ancorché in via astratta si dovesse andare alla ricerca di un movente. Le modalità di quel fatto sono certamente rapportabili a quell’unico movente. Che è un movente che vi è già stato, lungamente, descritto che trova le sue ragioni ed origini in una terribile perversione sessuale; che ha armato la mano anche degli altri episodi contestati al Pacciani. E allora: se questa è la realtà, se questi sono gli elementi a carico del Pacciani, se il processo viene – come dire – “ripulito” da tutti gli elementi di contorno e, forse, da quegli eccessivi elementi endoprocessuali di cui tutti siamo a conoscenza per la grande risonanza dei mass-media… Ma stiamo al dato processuale, stiamo al dato della utilizzabilità delle cose che in questo dibattimento abbiamo raccolto. Se il Pacciani di quell’omicidio dovesse rispondere io non ho dubbi che nessuna Corte di Assise lo manderebbe mai assolto! E se questa riflessione ha un senso e un significato e non è solo un assemblaggio di parole… Ma è logica, come io credo; e si fonda su dati certi e su prove logiche. E si inserisce a pieno titolo in quel solco più generale, oggi disegnato dall’Avvocato Saldarelli, e a pieno titolo in quella ricostruzione (precisa, puntuale, meticolosa…) ricostruita dal Pubblico Ministero. Io credo che rendere giustizia in questo processo sia aderire alla domanda della Accusa Pubblica e dell’Accusa Privata ed affermare la responsabilità di Pietro Pacciani. Vi ringrazio. Presidente: Bene, direi di sospendere signori. Rimane l’avvocato Colao… l’avvocato Pellegrini. Nessun altro? Ecco, scusate perché… Avvocato Pellegrini: A che ora riprendiamo? Presidente: Alle tre e un quarto. Vi va bene? Avvocato Pellegrini: Tre e mezzo Presidente: Tre e mezzo, però mi raccomando: puntualità e sintesi. Come è stato per tutta la mattina e per gli altri difensori. Ci vediamo più tardi. Buongiorno… (Pausa, ndr) E la parola allora all’Avvocato Pellegrini. Va Bene? Avvocato Pellegrini: Sì, signore… Presidente: Prego, avvocato… Avvocato Pellegrini: Conclusioni nell’interesse delle parti civili Rontini Renzo e Winnie Kristensen nel processo a carico di Pacciani Pietro, imputato dell’omicidio pluriaggravato e del vilipendio del cadavere di Pia Rontini commesso in Vicchio il 30 luglio ’84. Piaccia alla Corte affermare la penale responsabilità dell’imputato, condannarlo alla pena ritenuta di giustizia e condannarlo a risarcire i danni – da liquidarsi in separato giudizio – subiti da Pia Rontini in ordine ai quali concludenti agiscono “iure successionis”; e quelli subiti dai genitori di lei, in ordine ai quali concludenti agiscono “iure proprio”. Piaccia alla Corte assegnare intanto una provvisionale, immediatamente esecutiva ex lege, di lire 500 milioni da imputarsi nella liquidazione definitiva, oltre al pagamento delle spese come da notula. Mi sono assunto il compito di dire in tre parole, anche a nome degli altri colleghi di parte civile, perché non abbiamo chiesto (nessuno di noi ha chiesto…) che venisse liquidato il danno in questa sede, cosa che tendenzialmente l’articolo 538 prevede come prioritaria rispetto alla soluzione che abbiamo adottato. Perché la questione del risarcimento del danno, portata in questo processo, avrebbe appesantito il processo stesso perché ci sono problemi molto complessi da un punto di vista civilistico. E noi, peraltro, siamo le parti civili quindi ci compete questo aspetto; pero ci siamo resi conto che metterci a parlare della distinzione del diritto al risarcimento, inteso come diritto proprio o diritto che si eredita dalla morta in questo caso, avrebbe creato soltanto un allungamento e, probabilmente, una coda processuale non gradita e nemmeno di facile soluzione perché si sarebbero dovuti portare documenti, dimostrare redditi… Insomma, tutta una serie di cose: dimostrare la qualità di eredi, le quote ereditarie… Cioè sarebbe stato un “fuor d’opera” rispetto al contenuto, alla natura, all’entità, ai problemi “veri” (diciamo veri…) di questo processo. E quindi, in linea astrattamente astratta e teorica, abbiamo pensato: “Molto meglio limitarsi a chiedere la provvisionale.” Sappiamo perfettamente che non c’è spazio, non c’è consistenza perché possano essere pagate le provvisioni. Ma, d’altra parte, non potevamo nemmeno svilire le nostre richieste, dal momento che si tratta di danni addirittura incalcolabili sotto il profilo morale e sotto il profilo dell’aggressione all’integrità psico-fisica dei parenti, soprattutto quando sono genitori – come nel mio caso e come in quasi tutti gli altri casi – hanno subito da questa orrenda morte dei loro figli… E quindi questo avrebbe creato soltanto una situazione poco consona a questo dibattimento. Nei limiti in cui è chiesta la provvisionale credo che non ci siano problemi, ai sensi del 539, a considerare raggiunta la prova che l’entità del danno almeno è quella che abbiamo chiesto. Con questo, sgomberato il campo; e mi ero impegnato, appunto, a spiegare le ragioni molto semplici che ci hanno indotto a seguire questa linea. C’è da dare anche un significato: è stato detto anche dagli altri colleghi di parte civile, ma lo devo riaffermare perché ognuno di noi deve riaffermare questo principio. I parenti si sono costituiti non tanto in vista di un risarcimento che non verrà mai (e che comunque non avrebbe neanche molto senso, di fronte a quello che è successo!). D’altra parte è indispensabile, per essere presenti, azionare una richiesta di danno che altrimenti mancherebbe la nostra legittimazione alla presenza. Ma la nostra presenza nasce da un diritto-dovere di tutt’altra natura: un diritto e dovere di natura morale! Che ci impone di essere qua a rendere testimonianza della sofferenza inaudita che quei ragazzi hanno subito. E della sofferenza inaudita che i loro familiari, di conseguenza, subito dopo, hanno subito e continuano a subire tutt’ora. È una partecipazione diretta che si è voluta in questa termini, si è fortemente voluta soprattutto da parte della persona che io rappresento, che è sempre stato presente, in questo processo, fino dal 30 luglio ’84: Renzo Rontini! Si è voluta questa partecipazione diretta alla rievocazione di quei fatti, al giudizio che di quei fatti si darà e si sta dando nella considerazione che quei fatti hanno sconvolto la vita di tante persone e turbato profondamente un’intera città. Questo è il senso della nostra presenza qua! È del resto pacifico (e quindi direi che non c’è nessuna possibilità di equivocare!), che il Pacciani non fa nessuna “gola” dal punto di vista della risarcibilità del danno. Altro discorso se fosse venuto fuori un personaggio come si pensava: un ricco professionista, qualcosa del genere… Con ville, conti in banca. Pacciani nulla di tutto questo! Ma noi siamo ugualmente qua perché il nostro dolore, la nostra testimonianza prescindono dalla persona imputata; ovviamente attenendo solo alla sfera più intima del dolore, della sofferenza dei miei assistiti e anche di tutti gli altri. Le parti civili si sono poste in questo processo – se mi è consentito, se non la ritenete una presunzione da parte nostra – si sono poste come ulteriori giudici delle tesi accusatorie. Siamo entrati in quest’aula dicendo tutti espressamente, o implicitamente, che ci mettevamo alla finestra per vedere se il processo portava elementi sufficienti onde consentirci di concludere a carico di Pietro Pacciani. Siamo tutti qua, nessuno di noi ha revocato la costituzione di parte civile e tutti stiamo concludendo a carico di Pietro Pacciani. Questo è il segno! E non è un segnale di parte perché vi ho detto prima che non abbiamo interesse economico a sostenere la tesi dell’accusa a carico di Pietro Pacciani, ci poteva far comodo un altro imputato. Magari l’altro, o gli altri che, forse, potrebbero anche venir fuori ci potranno dare maggiori garanzie. Pietro Pacciani no! Però la tesi dell’Accusa, giorno per giorno, si è concretizzata, si è materializzata e ci ha convinto. E noi siamo qua, adesso, sicuri di potere aggiungere un granello alla ricostruzione puntuale, esaustiva fatta dal Pubblico Ministero. Io ritaglio il mio intervento su due elementi soltanto, quindi non parlerò del dedotto e del deducibile che già sono stati affrontati con maestria da Paolo Canessa e anche dagli altri difensori, si intende ognuno per la sua parte. Parlerò soltanto di due cose: la presenza di Pacciani nel Mugello; le assonanze (per il momento così le definisco, ma già il Pubblico Ministero le ha chiamate “identità”!) fra l’omicidio, fra l’episodio, fra i fatti del ’51 e quelli che sono seguiti dal ’74 in poi con ovvio particolare riferimento ai fatti che, dal ’74 in poi, si sono verificati nel Mugello. E cioè, per l’appunto, l’episodio del ’74 e quello dell’84 che più direttamente mi riguarda. Sapete ormai perfettamente che il Mugello ritorna: come luogo, come teatro; certamente il più frequente, il più esteso, il più “ritornante” in qualche modo in questa vicenda anche per quella spedizione, avvenuta da San Piero a Sieve, di quella infame busta con i ritagli di seno inviati alla Dottoressa Della Monica. Quindi nel Mugello forse è la chiave di lettura di tutto questo… E allora ricordiamoci che Pacciani è nato a Vicchio; e che è stato a Vicchio e a lavorato a Vicchio… Non a Vicchio scusate, nel Mugello, traferendosi da Vicchio a Rufina, l’ultimo passaggio dal ’70 al ’73. Poi col ’73 lascia la zona e si trasferisce… Presidente: Comunque è nato a Vicchio, eh… Avvocato Pellegrini: Sì nato a Vicchio, sì. Ma non abitato sempre a Vicchio ecco, ma abitato sempre in zona. Nel ’73 si trasferisce a La Rufina. I due omicidi del ’74, quel duplice omicidio del ’74 è avvenuto a “Fontanine di Sagginale” e quello dell’84 a “Boschetta di Vicchio”. Dopo, dopo ambedue, dopo che Pacciani si era trasferito da La Rufina in quel di San Casciano. Dove aveva abitato per 48 anni, salvo l’interruzione del carcere, dove aveva lavorato per altrettanto tempo conoscendo da buon contadino, che ha un particolare rapporto col territorio, palmo a palmo la zona a lui familiarissima. Quando non vi abita più perché, appunto, si è trasferito a La Rufina si verifica, poco dopo, un anno poco più, si verifica il primo omicidio Pettini-Gentilcore. Cos’è? Un’attrazione fatale verso i luoghi natali? Un’attrazione fatale verso il luogo del primo omicidio, quello del ‘51? O un’accorta valutazione? Perché ormai lo sappiamo, questo non è in discussione: Pacciani è astuto, Pacciani è una volpe. Ho quindi attenta considerazione della precostituzione di una specie di alibi: “Io ora non sto più in zona. Nessuno mi può sospettare se in zona, dove fino ad un annetto fa stavo, succedono delle cose strane…”. Potrebbe essere una delle due, una delle tre ipotesi. Sta di fatto questi sono i dati concreti: dalla Rufina si sposta a San Casciano. Dopo poco comincia la serie, dal Mugello parte o ri-parte la serie degli omicidi che hanno insanguinato la provincia di Firenze fino all’85. Sulle varie ubicazioni dei posti di lavoro e delle residenze di Pacciani nel Mugello fino al ’73 non sto a tediarvi! Le conoscete, le potete rivedere sulla carta geografica. E, anzi, vi prego di farlo perché è impressionante vedere la coincidenza dei luoghi toccati da Pacciani in quel periodo in quella zona rispetto ai luoghi dei tre omicidi: Tassinaia nel ’51, Fontanine nel ’74, Boschetta nell’84. E siamo al delitto del ’51. Passionale? Era stata contestata a Pacciani “omicidio premeditato a scopo di rapina”, in quell’occasione; la sentenza fece giustizia di questo, tanto che poi la pena fu modesta: omicidio passionale, duplice strumento lesivo. Coltello, bastone o forse scarpa! Leggendo la sentenza del ’51 sembra, potrebbe darsi. La perizia, la necroscopia dicono che può darsi che gli sia stata schiacciata la testa con il tacco, con il tacco di una scarpa. Comunque la testa restò maciullata di quel Bonini… Siamo in un bosco, in una località isolata, fu trascinato il cadavere del Bonini per circa 300 metri. Queste cose, via via, vi richiamano necessariamente alla mente tutto quello che poi si svilupperà successivamente. Lasciò il Bonini, abbandonato/nascosto nel fogliame (e anche questo vi ricorderà qualche cosa…), gli procurò orrende mutilazioni: alla testa ho detto, l’occhio, l’orecchio sinistro quasi staccato di netto. Ma prima che questo avvenisse c’è un altro atteggiamento del Pacciani, che ritorna anche successivamente: spiò, si mise a spiare i due (Bonini e Bugli) che stavano sopraggiungendo e che stavano poi facendo “quel che facevano”… I punti di contatto sono questi, le identità sono queste; è inutile ripeterle ritrovando nei singoli omicidi, nei singoli episodi dal ’74 in poi i punti di contatto perché sono troppo evidenti e sono già stati messi in luce dal Pubblico Ministero. Sono tali e tanti che ci sembra impossibile che possano costituire delle semplici coincidenze e che ci possano consentire di pensare che l’autore non sia la stessa persona! Io credo di poter dire, con sufficiente cognizione di causa ed attendibilità (perché questa è la convinzione che mi sono fatto), che l’episodio del ’51 è la madre di tutte le battaglie che successivamente si scateneranno nell’animo di Pietro Pacciani. Che era già incline ovviamente, e lo stesso episodio del ’51 lo dimostra, a una violenza fuori misura: per aneddoto (eh, forse è meglio…) si può rammentare che, durante un litigio, mise il proprio padre a sedere sulla graticola del focolare acceso; già prima del ’51, quindi già prima del raggiungimento dei 26 anni. Questo è il personaggio, conosciuto in zona per la particolare violenza e per la particolare attitudine a imporsi, con la violenza appunto!, sugli altri. È una violenza brutale, di cui ha dato dimostrazione con le modalità di uccisione di quel Bonini (e non ritorno su questi particolari che possono soltanto aggiungere truculenza a truculenza). Ma vi sono anche altri particolari di quell’omicidio, meno truculenti meno macabri, che ritornano negli episodi successivi e anche di questo vi è stato parlato. I furtarelli, eh? Furtarelli anche strani se si vuole: di piccole cose, di poche cose, praticamente senza valore economico, che si riscontrano da allora in poi. Allora furono sottratti 11000 lire, un portafoglio con 11000 mila lire. Eravamo nel ’51 ma non era una grossa somma nemmeno nel ’51! Successivamente le cose sottratte dalle borse o dalle autovetture sono veramente insignificanti sotto il profilo economico, non lo saranno poi sotto il profilo probatorio (ma di questo io non parlerò…). Nell’interrogatorio che Pacciani rese ai Carabinieri il 13 aprile del ’51 disse testualmente, quindi due giorni dopo l’omicidio disse testualmente: «Non appena il Bonini ebbe pronunciata tale frase…» – e cioè “se mi dai retta ti do 2000 lire, così ti compri un vestito…” – «la mia fidanzata acconsentì alla proposta e si sdraiò supina tenendo le gambe aperte. Subito dopo il Bonini si buttò sopra alla mia fidanzata, la quale contemporaneamente si tirò fuori la mammella sinistra. Fu così che io vidi che i due si congiungevano carnalmente. Io non potendo più resistere nel vedere l’orrendo spettacolo e risentito del comportamento della mia fidanzata…». Quel che è successo dopo lo sappiamo. Cosa è successo? O cosa pensiamo che sia successo… Ma credo che se ai criminologi di Modena (o di altra università) avessimo dato incarico di trovare le similitudini, di trovare la matrice comune con riferimento all’episodio del ’51 credo che oggi ne saremmo tutti molto più convinti. Quando l’esame è stato fatto, sugli episodi dal ’74 in poi, nessuno aveva in mente Pacciani come autore dei reati, quindi nessuno poteva pensare agli episodi del ’51. Ma la correlazione fra quello e questi è estremamente importante: io credo che potremmo veramente capire meglio, molto meglio di quello che io riuscirò a far capire perché non sono un esperto di criminologia, quale possa essere il significato profondo, conturbante di quel fatto rispetto a tutto quello che è successo dopo. Tutte le volte in cui Pacciani vedrà, negli anni successivi, una ragazza che si concede a un uomo Pacciani vi rivede la propria fidanzata! Guardate, anche queste sono piccole cose ma da sottolineare. In quel brano di interrogatorio che vi ho letto, composto di quattro frasi, la parola «la mia fidanzata» si ripete tre volte. Eh, è questo che ha creato questo trauma nel Pacciani; cioè la sua fidanzata, una “proprietà” sua, eh, lo sappiamo che quest’uomo è padre-padrone… ma è padrone nel vero senso della parola! Quindi la sua fidanzata, qualcosa che gli appartiene, osa concedersi o stare per concedersi ad altri. È questa la frase… È questo il momento, è questa la cosa che suscita quell’orrore, quell’ ”orrendo spettacolo”: tutte le volte che rivede negli altri uno spettacolo analogo scatta in lui l’avvelenamento subito nel ’51. Deve intervenire perché ancora ossessionato da quella visione! Mi si può dire: “Ma nel ’51 non uccise la donna. Allora tutto questo discorso che l’Avvocato Pellegrini sta facendo non torna, l’analogia crolla…”. Direi che è tutto il contrario! Nel’51 egli punì ed umiliò la Bugli costringendola all’accoppiamento, si trattò di violenza carnale vera e propria; stranamente gli fu contestato ai due gli “atti osceni”, come se la Bugli fosse stata consenziente… In realtà sotto la minaccia di essere uccisa anch’essa da un uomo che aveva dato dimostrazione, tre minuti prima, che cosa era capace come faceva a sottrarsi alla richiesta del Pacciani me lo dovete spiegare voi. Ma, sottostando alla violenza del Pacciani, la Bugli si salvò e lui la risparmiò. Del resto a quella ragazza, allora diciassettenne ma già abbastanza chiacchierata in zona, non parve vero di cavarsela a buon mercato, eh: stava per essere uccisa. Ma è proprio la mancata eliminazione della donna che condiziona e determina tutto il comportamento successivo, negli anni a venire. Perché, dal ’74 in poi, è proprio la donna che egli vuole eliminare e punire! Questa volta in maniera molto più definitiva che nel ’51: uccidendola perché deve completare quell’operazione, quell’azione iniziata nel’51 e lasciata in sospeso o chiusa là; con un comportamento che, in quel momento, fu di sua soddisfazione… ma che poi, negli anni successivi, nel ripensamento forse del carcere (14 anni sono pochi rispetto a un omicidio efferato, ma sono anche tanti per fare le proprie valutazioni), ha capito di aver sbagliato – dal suo punto di vista, si intende – a non uccidere anche la Bugli. Di aver commesso un errore e non se l’è più perdonato! La Bugli poi non lo ha aspettato alla uscita del carcere, e questo ha rafforzato sicuramente la sua convinzione di avere commesso un errore madornale. E allora vi rimedia! Vi rimedia poi punendo le donne che stanno facendo l’amore. I ragazzi, i giovani li elimina perché non può fare a meno; è ovvio, è naturale, inevitabile. Ma contro di loro non ha un “conto aperto” perché il conto lo aveva chiuso con la parte maschile di quella coppia nel ’51! Il conto è aperto solo nei confronti della parte femminile, nei confronti della donna. È tutto l’atteggiamento successivo, anche al di fuori degli episodi che particolarmente ci riguardano: dimostrano l’odio di Pacciani per le donne. Pensate alla moglie, pensate alla figlia, pensate probabilmente anche a quella “sperduta”, quella Sperduto che insomma può essere un’altra delle sue vittime… Vi è una smania di vendetta e un’ansia punitiva che lo accompagnerà per tutta la vita e che condizionerà anche la vita di tutti coloro che gli stanno vicini. Nel ’51… Perché dobbiamo onestamente vedere accostamenti e scostamenti: ma vorrei riuscire a convincervi, come mi sono convinto io, che quelli che sono apparenti scostamenti fra quell’episodio e quelli successivi, in realtà, in un quadro psicopatico si completano, combaciano perfettamente, si sovrappongono. Nel’51, dopo l’uccisione del Bonini, ha quella manifestazione di sessualità che abbiamo testé rammentato. Sessualità bestiale direi io, ma sempre sessualità. Dopo no, di questa sessualità in questi termini non vi è più traccia; si può spiegare a mio parere, e alcuni passi poi delle conclusioni delle valutazioni dei periti confortano quello che sto dicendo (non sto inventando, non sto improvvisando una tesi qualsiasi!), si può spiegare quello che dopo non succede proprio col fatto che quell’aspetto della sua vendetta fu consumato allora e, quindi, non è più necessario ripeterlo. È l’uccisione con i riti macabri, che conosciamo perfettamente, che prendono il posto di quella violenza carnale! L’omicidio della donna, che successivamente potrà “sfogare” dal ’74 in poi, finalmente lo appaga; finalmente gli fornisce quella gratificazione sessuale che non ha più, quindi, bisogno di ricercare nella “sessualità agita” sul luogo del delitto. I criminologi parlano di “coazione a ripetere” i gesti che provocarono il trauma, il turbamento psichico iniziale. Io credo di potere aggiungere che vi è anche una coazione non solo a ripetere ma a perfezionare, a completare. L’escissione del pube e del seno equivale all’atto sadico, è l’equivalente sadico… Scusate, è l’equivalente sadico del rapporto sessuale perché è la realizzazione di un’idea fantasticata. Anche queste sono parole non propriamente mie. Dopo la permanenza in carcere si scatena in quest’uomo un delirio di potenza. Esce dal carcere a 39 anni, è ancora nel pieno delle forze. Forse è anche questa una ragione della sua convinzione che, tutto sommato, la si può fare anche abbastanza franca e, via via, si convince; forse (forse, avanzo un’ipotesi), forse c’è anche quell’episodio del ’68 con altre connotazioni dove potrebbe darsi che Pacciani abbia agito, sparato magari al soldo di qualcun altro? Chi lo sa, ma anche quella volta non viene trovato: gli viene confermato che si può uccidere. La prima volta gli è andata male (o maluccio), poi si convince che si può anche uccidere senza pagare pegno. E allora si può uccidere, si può seviziare. Si può soggiogare col terrore la moglie, le figlie, i conoscenti, i testimoni. Quindi il ’51 è la chiave di lettura, da un punto di vista psicologico, proprio per quell’impulso a ripetere, quella “coazione a ripetere” e a perfezionare; è la chiave di lettura, a mio parere, che dà la spiegazione degli atteggiamenti successivi. Venendo a parlare brevemente – credo di rientrare nel tempo che mi è stato concesso – del delitto dell’84 è pacifico che non vi sono elementi specifici riferiti a quell’omicidio a carico di Pacciani. Ma quell’episodio, con quella matrice psicopatica che dicevamo adesso, è così uguale a tutti gli altri che gli elementi probatori, trovati in relazione ad altri episodi particolarmente l’episodio dei tedeschi e particolarmente l’episodio dei francesi (che sono certamente più documentati rispetto a quello di Vicchio), si estendono inevitabilmente – e direi su questo non c’è ombra di dubbio! – anche all’omicidio di Pia e Claudio. Tornando un attimo anche ai luoghi, e quindi al Mugello, tenete presente che Boschetta, dove è stata uccisa Pia e Claudio, è un luogo così appartato che solo un conoscitore dei luoghi (un perfetto conoscitore dei luoghi!) sa che lì i ragazzi, i giovani si appartano per le loro intimità. E, guarda caso?!, che Pacciani aveva lavorato finché era nel Mugello a pochi metri da quel luogo, nel podere di un certo Cesari che, in linea d’aria, dista 500 metri da Boschetta! Sono tutte coincidenze? Diceva un vecchio magistrato che: «Una coincidenza non conta, due coincidenze sono sfortuna… ma tre coincidenze cominciano a far prova!». Tralasciamo, non contiamo, trascuriamo le continue menzogne del Pacciani. Anche stamattina qualcun altro si è convinto di concludere in un certo modo proprio partendo dalla inspiegabilità delle menzogne del Pacciani. Non contiamo le testimonianze contro Pacciani. Uno di questi testimoni sarebbe stato svilito perché soprannominato “La Ciuca”, io non credo che le ciuche abbiano l’attitudine a mentire. Non contiamo i risultati delle intercettazioni ambientali, gli evidenti scivoloni del Pacciani quando cerca di spiegare/banalizzare tutto. Io vi ricordo soltanto che, quando abbiamo ascoltato tutto il trambusto, che in quella notte documentata da un’intercettazione ambientale l’abbiamo sentito, Pacciani volle spiegare quel trambusto dicendo che cercava la caffettiera per farsi un caffè perché malato di cuore. Notoriamente il caffè ai malati di cuore fa benissimo! Ma, dico, in casa propria ognuno va a colpo sicuro, prende la caffettiera: non ha bisogno di spostare il frigorifero come è successo per trovarla. Sono tutti elementi di giudizio quelli che risultano da questo “panorama” di prove, o quantomeno di gravi indizi (ma sono tanti: sono precisi e sono concordanti…), che, perlomeno dal ’74 in poi, raggiungono inevitabilmente e, direi, sicuramente Pietro Pacciani. Per quanto riguarda, e concludo, l’omicidio dell’84 – che, ripeto, non è così corroborato specificamente da prove o da elementi indiziari – è pacifico che: la unicità della pistola (di cui non si può discutere!), la unicità della mano (di cui non si può discutere!) collegano indissolubilmente tutti quanti gli episodi; sicché, attribuendo la responsabilità di uno (certa, inequivocabile), di uno di questi episodi a Pacciani, è inevitabile concludere per la responsabilità di Pacciani anche in relazione all’uccisione di Pia Rontini. Presidente: Le conclusioni le ha già depositate… Vero, Avvocato Pellegrini? Avvocato Pellegrini: Sì. Sì signore… Presidente: Benissimo, grazie. Allora: Avvocato Colao. A lei la parola… Avvocato Colao: Signor Presidente, signor giudice a latere e signori della Corte. È inutile dire che questa serie di delitti si è presentata come effettuata dall’autore con una duplice arma: arma da fuoco calibro 22 e arma bianca. Io mi soffermerò sull’arma bianca, mi soffermerò sull’arma bianca perché – come il Pm ha rilevato – l’autore di questi omicidi e l’imputato si sono rilevati, diciamo, abili maneggiatori di questi strumenti di armi bianche. In particolare partirò dal fare alcune considerazioni sulle perizie medico-legali: il professor Maurri parla di un’arma bianca che è larga e che sicuramente degrada a punta. Questo è un lato inequivocabile. Poi parla anche che sul corpo della povera Pettini Stefania – e anche nel rivelamento di quest’arma si rilevava, si riferiva a questo episodio – ci sono sempre, o per la maggior parte, ferite da punta che hanno un angolo acuto e un angolo ottuso. E questi sono elementi riferiti all’arma sul corpo della Pettini Stefania. Poi ha parlato di un tagliente che aveva una costola, il professor Maurri, sagomata; raramente Maurri si è spinto sulla seghettatura, è sempre rimasto su una costola sagomata ed era un tagliente e questo è un elemento… ed era un monotagliente, ecco. Ora, passando poi a esaminare le ferite sul seno sinistro di Mauriot, la povera francese, il professor Maurri, nel fare la descrizione della escissione che come sapete – non voglio dilungarmi tanto – parte da ore 23 poi si porta ad ore 7/8 e, in punto, ad ore 3 c’ha una leggera intaccatura. E poi dopo da ore 7/8, nel ritornare ad ore 23, produce delle intaccature; una serie di intaccature. Una serie di inteccature fintanto che, poiché all’autore di questi misfatti interessava avere il seno intero ed integro il più possibile, questa doveva essere un’unica azione di taglio. Quindi ecco come si verificava questa circostanza, così come spiegava il professor Maurri. Ora il professor Maurri, commentando questa serie di lembetti di cute, di intaccature, ha sempre detto: “È un’arma di cui io non mi so spiegare come possa essere, per me è un’arma che non ho la più pallida idea…”. E questo, con grande franchezza e sincerità, l’ha sempre sostenuto. Se passiamo a considerare lo schema della perizia De Fazio vediamo che questo corrisponde, anche per quanto riguarda la perizia De Fazio; è uno schema che, naturalmente, è in perizia (è uno schema che è in perizia…) e qui si vede meglio. Non ho voluto prendere una foto, ecco: già era stato troppo truculento… Tutte queste visioni! Ho preso questo schema e qui ancora si vede meglio quale è stata, oggettivamente, la rilevazione fatta dai tecnici di questa escissione. Poi, se passiamo, bisogna considerare che il seno sinistro della Mauriot era largo 13 cm: attenzione, questo è un dato molto importante! Dico attenzione a me. Era largo 13 cm. Se passiamo a considerare, invece, la escissione del seno della povera Pia Rontini sappiamo che le modalità più o meno sono le stesse; soltanto che le intaccature ci sono anche, fra le tre e le cinque, e ci sono ancora sotto delle piccole seghettature, e il seno è largo 18 cm. Quindi fra i due seni c’è una differenza di 5 cm: e questo, secondo l’ipotesi che io porgo alla Corte, è una cosa molto interessante per una possibile ricostruzione della effettiva dinamica di come si è svolto tutto questo. Bene, oh, su questo punto il professor Pierini, nel volere associare la possibilità di compiere un taglio del genere tutto intero, parlava di adduzione dell’ulna sul radio per blocco fisiologico arrivato alla massima potenzialità di torsione del braccio. E quindi, addirittura, inversione del filo di lama: per cui, dall’altra parte, sarebbe risultato seghettato e nel salire dava luogo a tutto questo. Questa è la ricostruzione. Ora mio devo fermare, eh. Io poi presidente, se crede, ho fatto la “memoria scritta” che depositerò e quando poi saremo un po’ più avanti le farò un’istanza, in modo sia un po’ più comprensibile, no, il fatto. Ho fatto anche un piccolo grafico, un piccolo scritto… Presidente: Poi ce lo consegnerà… Avvocato Colao: Ecco, questo è tutto. Però dicevo: se consideriamo la ferita al polso destro del ragazzo francese, la quale è stata una ferita che ha lasciato uno stampo nel radio perché, essendo l’osso rigido come più volte vi hanno detto i periti, e voi sapete benissimo perché queste cose le avete sentite, risentite… Però le devo dire. L’osso è rigido e quindi, naturalmente, non è soggetto a deformazioni e di conseguenza lascia proprio il calco della parte di arma che è penetrata nell’osso. Questo è un dato inattendibile? Questo è un dato, certo, del tutto inconfutabile. Ora questa ferita “a stampo”: io, se non vi spiace, darei lettura a quanto dice su questo qui il professor Pierini. E quindi passerei a leggere; il professor Pierini dice (nell’udienza del 15/07/’94, pagina 32-33 fascicolo 74), dice: «Una misura un po’ più precisa si ricava dalla ferita da punta “a stampo” sul radio del ragazzo perché è una ferita a sezione triangolare. Questa sezione triangolare ha angoli di 20 gradi circa e fanno pensare quindi ad un coltello con una carena di rinforzo…». Successivamente, mi pare nella stessa udienza (sì, nella stessa udienza del 15/07/’94) dice: «Per quanto riguarda il tipo di coltello, ho detto anche che l’unico caso in cui è stato possibile fare un po’ di “modellistica”… Cioè per “modellistica” si intende il recupero della forma tridimensionale dell’oggetto perché, normalmente, durante l’esame delle lesioni da taglio si hanno soltanto dei piani bidimensionali. Però, nel caso dell’impronta stampo sul radio del ragazzo francese, il piano osseo permette di mantenere la forma proprio per mancanza di elasticità, quindi certe misure sono precise. Infatti è l’unico caso per il quale mi sono spinto a fare una misura angolare del filo di taglio, cioè 20 gradi, ammettendo quindi che l’osso abbia funzionato da calco. Dalla parte opposta all’angolo di 20 gradi c’è l’altro angolo acuto che però è frammentato, scheggiato.» «Come si spiega questa differenza?» si pone il professor Pierini. Ed io credo, dopo che avrò descritto anche il trincetto, di poter rispondere a questo. Come si spiega questa differenza? In ipotesi sempre, poi a voi giudicare. Se noi immaginiamo una piramide in sezione, quindi un triangolo con la base molto lunga e l’altezza abbastanza breve, rimangono due angoli di 20 gradi. Ancora leggo queste poche righe, precisazioni sul punto: la relazione autoptica d’ufficio svolta dal professor Maurri e dai dottori Bonelli e Cafaro descrive in dettaglio le caratteristiche della ferita “de quo”. E ci danno altri dati che possono, diciamo, completare quelli che mancano da parte del professor Pierini: «In corrispondenza del dorso dell’epifisi distale del radio, soluzione “di continuo” o variforme, con asse maggiore parallelo al maggior asse dell’arto di cm 1,5.» Quindi è piccola, una ferita piccola! «Con margini abbastanza regolari e che fa evidenziare il tessuto aponevrotico muscolare sottostante. L’esame di detta soluzione permette di evidenziare il piano osseo radiale, ove si apprezza un’incisura di forma triangolare parallela al maggior asse dell’arto; con base rivolta verso il carpo di mm 2, vertice verso l’epifisi prossimale del radio, verso il gomito. I lati appaiono netti e di questi il radiale è di 1,2 cm e l’ulnare è di 1 cm. Tale incisura si approfonda per circa 2 mm nello strato osseo sottostante. Foto 26, 27 e 28…». E questo è l’altro aspetto che ci dà la profondità, cioè il professor Maurri ci dà anche la profondità. A questo punto sarebbe opportuno, presidente io gli avanzo questa richiesta, se lei naturalmente l’accoglie bene… Sennò io posso proseguire oralmente. Però non so quanto possa essere efficace io nello spiegarmi e, quindi, alcuni di voi se possono avere una comprensione piena o no. Sarebbe opportuno che io avessi qui sul banco i corpi di reato perché su questi corpi di reato, armi bianche, vorrei in particolare illustrare il trincetto grande… Presidente: Avvocato, perché non me l’ha detto prima? Ora dobbiamo andarli a recuperare là… Avvocato Colao: No, il momento è ora. Certo glielo potevo dire prima. Ma si anticipava: ognuno si fa la scaletta sua e segue un suo ordine. Però comunque, se lei dà disposizione, io posso andare avanti e intanto quando c’ho i corpi del reato qui illustro… Presidente: Vada avanti nel frattempo avvocato, via… Avvocato Colao: Prego. Avvocato Bevacqua: Vorrebbe anche un cadavere? Avvocato Colao: Prego? Avvocato Bevacqua: Vorrebbe anche un cadavere? Avvocato Colao: Ma io penso che non è opportuno che ti risponda… Avvocato Bevacqua: Poi è incompleta… Avvocato Colao: Per me è spiacevole scusa che tu mi dica così… Presidente: Signori, non perdiamo tempo! Eh adesso farò portare il corpo di reato però la raccomandazione che le ho fatto di sintesi… Avvocato Colao: Io sto facendo una ricerca… Presidente, allora, per avvantaggiarmi… Presidente: No, no. Ora ora glielo faccio portare… Bisogna che io vi trovi Romano(?). Da soli i corpi di reato non vengono! Avvocato Colao: Presidente, io per avvantaggiarmi, per avvantaggiarmi… Presidente Ognibene, io per avvantaggiarmi farò delle osservazioni sui trincetti in generale perché è un presupposto molto importante questo. Allora il trincetto, come sapete tutti voi meglio di me (ed i calzolai ancora meglio!), è il trincetto un arnese da calzolaio. Viene fornito dalla fabbrica appuntito e i trincetti… I calzolai che vogliono fare il mestiere (oppure coloro che vogliono dilettarsi in questo) lo spuntano appena in cima di 2 o 3 mm trasversalmente, trasversalmente per il motivo che vi dirò. I trincetti servono sia per tagliare il pellame e allora, in questo caso, la punta si conserva, però è necessario che il filo su cui si taglia il pellame non sia né tagliente né semitagliente. Quindi deve avere una bella costola, uhm. Oppure per far le scarpe e basta! Allora in questo caso si taglia la suola, si inchioda sul tomaio e quando il calzolaio per adattare il bordo della suola al tomaio fa il cosiddetto “fino”, è così che si dice in gergo. Mi sono informato presso uno, due, tre calzolai: ho voluto approfondire bene questo discorso. Allora cosa succede: nel fare il fino deve tagliare, come sbucciare una mela, la suola “torno torno” e la punta non ci deve essere. Perché se ci fosse quella “puntina”, che è stata scapozzata/troncata, si taglierebbe il tomaio: quindi è tutto qui! Deve avere una “puntina” tronca in cima. Ora i corpi di reato che io ho esaminato e che ora poi vedremo presentano delle caratteristiche… In particolare uno, il più grande. Sono tutti e due appuntiti: quindi, per questo motivo, non sono atti a risolare le scarpe e a fare il fino. Se l’imputato è stato in un calzaturificio e vi ha lavorato a lungo e adoperato la mola mi potrà comprendere bene in queste asserzioni, se le dico giuste o no. Quindi questi due trincetti non sono idonei a fare il fino, quindi per far le scarpe non sono adatti. Possono essere adatti per altri usi, per usi impropri! Bene poi, inoltre, il trincetto, in particolare il più grande di cui vi dirò le misure, è una vera e propria baionetta perché voi avete modo di guardarlo con attenzione, controllando tutto quello che io vi dico: i dati, le misure, tutto quello che vi fornirò; in maniera tale per verificare quello che io vi dico. E questo trincetto si presenta come? Largo 2,3 cm. Poi ha una costola di lungo 28,4 cm; ha la costola della parte sinistra di 1,8 mm. Alla fine del millimetro e otto c’è un tratto che è stato modificato dal proprietario: è stato molto inclinato, rispetto alle caratteristiche del trincetto, per cui ha formato un tratto inclinato di 1 cm, il quale è semi-tagliente perché molato dalle due parti; e quindi non è un tagliente ma un semitagliente e confluisce a punta con l’altro tratto, lungo 5cm e mezzo, che è affilato. Il quale, a sua volta, si porta alla base del trincetto con una costola di 1 mm, degrada da 1 mm a 1 mm. Al centro ha una concavità di 0,9 mm e lo spessore al centro è di 1,4. Questi dati hanno la loro importanza, almeno penso, poi sta a voi giudicare. Ora c’è da mettere in evidenza ancora altre caratteristiche di questo trincetto perché io mi sono spinto a fare, oltre col calibro le misurazioni che vi ho dato ora riguardo allo spessore e alla concavità, mi sono spinto a fare la misurazione degli angoli. Per cui: l’angolo che viene formato dalla costola di 1,8 mm e il tratto di 1 cm è un angolo ottuso di 139 gradi. L’angolo che si forma dal filo tagliente di 5,5 con l’altra intersezione del tratto di uno è un angolo acuto di 55 gradi. All’interno della punta, se prendiamo la tangente, ha una leggera smussatura che è sul filo di 5,5 in fondo; si forma un angolo acuto di 55 gradi. Queste sono le misure, queste misure ritengo che hanno importanza. Ritornando alla possibile ricostruzione del trincetto grande, delle ferite… Presidente: Prego, avvocato… Avvocato Colao: Io fornirei, se mi è possibile, a lei questa copia, intanto che vi può seguire in questo discorso del difensore anche questo schizzo. Mettendo subito in rilievo che io non sono né un geometra né ingegnere, qui queste qui non sono in scala, ma viceversa questo punto qui è in scala… Avvocato Bevacqua: Come avrebbe tagliato il seno. Quindi c’è il seno e il coseno anche perché siamo in geometria… Voce indefinibile: Menomale c’è gente allegra! Avvocato Bevacqua: … Cerchiamo di essere allegri, no? PM Canessa: Io no, caro… Avvocato Bevacqua: Lei no, lei non può essere allegro… Presidente: Bene, signori. Prego avvocato, continui. Intanto le farò portare questi corpi di reato, eh? Avvocato Colao: Dunque beh, a questo punto, se non li portano più è lo stesso perché… Che vi devo dire? C’ho un modellino e farò su quello se lei ritiene… Presidente: Ora arrivano avvocato. Se me lo diceva prima… Avvocato Colao: Ecco va bene. D’accordo. Però non voglio farvi perdere tempo, questo in maniera categorica quindo voglio andare avanti. Magari con altri argomenti in attesa di questo. Bene, allora illustro allora questo schizzo. Questo è la sezione della piramide con il triangolo, con la sezione piramidale del triangolo, che si forma dagli angoli al vertice di 20 gradi; così come ci sono stati dati dal professor Pierini. E l’altro angolo di 20 gradi. Questo è l’angolo di 140 gradi alla base, con un’altezza di 2 mm. Il radio che sopra/di fronte qui si vede, si può apprezzare il triangolo scaleno visto di sopra. Ha l’altezza, ha una base di 2 mm: è scaleno perché un lato era 12 mm e quell’altro era 10; quindi era chiaro venisse scaleno. E allora ha il lato verso il radio, è di 12 mm. Mi sono permesso di mettere il vertice in viso scritto gomito(?), e da quest’altra parte ho segnato le dita, no, il senso della direzione e verso l’ulna è di 10 mm. Oh, per conseguenza questo angolo che si forma di 140 gradi corrisponde, coincide! Poi questa… Io ho fatto questa ricerca, poi a voi controllare tutte queste misure: verificarle, accettarle o meno, correggerle, integrarle, non tenerne conto. Non lo so, però il punto è questo: che io, facendomi questo modellino e mettendo in scala da 1 a 1 (cioè in scala al vero), l’incisione così come si forma con questa angolatura di 20 gradi, il punto del modellino che mi ero fatto coincide perfettamente con l’angolo di 139 gradi e con la costola che è 1,8 mm. Queste sono le mie considerazioni. Avevo già detto prima che, diciamo, non c’è da sorprendersi del fatto, un domani, in ipotesi, che queste armi perché il trincetto grande senz’altro non è più… È un’arma! Così come si presenta è tale. Oh, rimane il fatto che c’è da fare anche questa considerazione molto semplice. Questi sono una serie di omicidi: avvenuti in territori di campagna, avvenuti nel nostro circondario campagnolo. Qui si affonda le radici nella cultura contadina, che è tanto saggia e buona nel bene e tanto perfida, come è stato in questo caso; in questa occasione tanto perfida e diabolica. Perché è stata la “diabolicheria massima” il potere conservare anche e modificare i trincetti, che è un’arma irripetibile. Eh, intendiamoci: un trincetto così… non ce ne può essere altri! Perché è stato modificato, ha dei connotati ben precisi. Allora, dicevo, è chiaro che in una mente che ha istinti primitivi in certi momenti… In altri momenti quella stessa mente può essere ilare; istinti di ilarità, di saggezza, di simpatia. Ma, in certi momenti, quando scattano gli istinti primitivi, quella mente, se è una mente contadina, pensa al trincetto come arma! Perché il trincetto è tenuto nelle campagne in grande considerazione: è l’arma per eccellenza. Quanti delitti sono stati fatti con i trincetti?! Non solo, ma il contadino associa la resistenza del trincetto, la capacità di taglio alla stessa capacità di taglio di un bisturi. Perciò noi possiamo dire che il trincetto sta al contadino come il bisturi sta al medico, se la vogliamo fare a livello di equazione; e questa mi pare una considerazione molto importante… Presidente: Questi sono i trincetti avvocato. Lei li fa vedere poi ai suoi colleghi… Avvocato Colao: Bene! Presidente: La Corte poi li vedrà. Avvocato Colao: Grazie. Avvocato Bevacqua: Possiamo vederli anche noi? Avvocato Colao: Allora, questo è il trincetto che interessa. È il trincetto grande. Mi riferisco a questo angolo ottuso di 139 gradi. Questo è il tratto molato (di qua e di la), a parte un po’ lo sporco che c’è sopra; e questo angolo qui è acuto di 55. Il trincetto è lungo 28,4 e largo 2,3. Ha una costola di 1,8… Che qui è 1,8, in questo tratto così modificato, con questa forma caratteristica che tutto è fuorché un trincetto! Soltanto nel nome… È un trincetto modificato a mo’ di arma da offesa. Presidente: Vabbè, così lei ritiene insomma avvocato eh… Avvocato Colao: Presidente, se mi consente io verrei lì e poi lo faccio vedere ai miei colleghi. E vorrei fare l’esperimento di mettergli il trincetto su questo… Presidente: Vabbè avvocato, combaciano perché penso che… Avvocato Colao: Combaciano perfettamente! Avvocato Bevacqua: Ci voleva il cadavere… Avvocato Colao: Combaciano perfettamente! Guarda, mi prendo il dovere di farlo vedere anche a te… Verso la tua grande correttezza come professionista. Avvocato Bevacqua: Grazie. Avvocato Colao: Quindi ecco, io so che se tu ti rendi conto di questo che è un fatto… Io sono venuto a rappresentare i fatti! Avvocato Bevacqua: La tua versione dei fatti… Avvocato Colao: Sì d’accordo, per carità. Puoi controllare! Come vedi… Avvocato Bevacqua: So che sei liftato (?) anche a vedere lì i reperti… Giusto? Addirittura a vedere dei peli. Avvocato Colao: Certo… Avvocato Bevacqua: Ecco hai visto anche i peli che c’erano… addirittura dei peli di pube… Presidente: Beh, vabbè comunque… Avvocato Bevacqua: Quindi sai, questa è stata disegnata là sotto abbi pazienza. Ah, via: c’è chi fa parte della Sam e chi del Gam. Tu fai parte del Gam? Avvocato Colao: No, io vorrei fare una precisazione a questo punto. Io come avvocato di parte civile posso esaminare i corpi di reato! Articolo 116 del Codice… Avvocato Bevacqua: Ma dicci allora che li hai già esaminati… Che li hai già esaminati e che guarda caso… Avvocato Colao: E le misura come le prendevo?! Avvocato Bevacqua: È perfettamente identico quel benedetto trincetto, benedetto o maledetto che sia… Avvocato Colao: Maledetto, maledetto! Avvocato Bevacqua:… A quella tua fotografia. Diciamo le cose come stanno… Presidente: Vabbè avvocato, se ha esaminato i corpi di reato è una sua… Signori, sia ben chiaro che tutti voi avevate diritto! Avvocato Bevacqua: Avevamo diritto, certamente. Presidente: Io ora non so, non c’ero se lo avete fatto o no. Ma se lo avete fatto era nel vostro diritto. Ho lasciato le chiavi a Romano proprio per questo motivo… Poi naturalmente ognuno ne trae le conclusioni che vuole. L’Avvocato Colao ritiene che questo sia… Avvocato Colao: Il Pm è stato informato passo passo di questo mio procedere… Pm Canessa: Ci mancherebbe… Presidente: Ma lei non ha fatto nulla di illecito, Avvocato Colao… Avvocato Colao: Perché io volevo procedere con tutti i crismi della legalità… Pm Canessa: Non si preoccupi… Avvocato Colao: Ho portato dei fatti… Presidente: Non perdiamo altro tempo! Non peridamo altro tempo… Avvocato Colao: Sto cercando di dare una dimostrazione… Avvocato Bevacqua: Chiedo scusa, sennò sembra che io sia maleducato. Presidente: No, quando mai, quando mai… Avvocato Bevacqua: Cerco di non esserlo, no col collega col quale mi vincola una sicura amicizia. Avvocato Colao: Grazie di questo. E anche da parte mia… No, anche da parte mia. Eh, diciamolo… Avvocato Bevacqua: Il problema è soltanto questo. Mi scusi presidente, un attimo soltanto, mi perdoni. Qua si piglia un trincetto, si dà addirittura da parte della parte civile una forma di questo trincetto che lui non avrebbe visto. In realtà il trincetto… Avvocato Colao: No la foto! Se mi lasci spiegare… Avvocato Bevacqua: La forma! E la forma si adatta perfettamente alla forma del trincetto… Presidente: Lui ritiene… Avvocato Bevacqua: No, la forma… Avvocato Colao: Io ritengo… Avvocato Bevacqua: Abbia pazienza presidente, l’abbiamo visto qui lui. L’ha disegnato, ha fatto la forma e da lì ha costruito i seni e i coseni… Basta. Presidente: Va bene. Avvocato Colao: Se mi consenti, io non ho fatto la forma del trincetto. Il trincetto ha quella forma! Presidente: E lui ritiene che sia… a quel tipo di ferita descritta eccetera, via… Avvocato Colao: Io, esaminando il corpo di reato, ho misurato quei dati che oggi sono in grado di fornire alla Corte! Ho fatto quelle misurazioni che oggi sono in grado di riferire. Se questi dati io ho sbagliato nel farli… vuol dire che ho sbagliato! E l’ho detto subito… Presidente: Si farà una perizia eventualmente, via… Avvocato Colao: Non lo so, presidente. Decida lei come crede meglio… Presidente: Andiamo avanti, no io non decido semmai la Corte… Avvocato Colao: Io non ho nessun problema, mi sentivo in dovere: me ne sono accorto e l’ho fatto e l’ho svolto! Presidente: Va bene, va benissimo. Lei ha fatto ciò che riteneva giusto e quindi nessuno le può dare sulla voce… Ecco, prego però vorrei andare avanti. Avvocato: Sì, prego. No, sarò molto… sarò molto sintetico. Dunque io mi voglio soffermare un attimo ancora su un particolare che può essere trascurabile… Ma qui sembra trascurabile tutto e niente! E quindi viene che, a un certo punto, cose che sembrano trascurabili viceversa non lo sono. Bene, fra i disegni al volume otto, fra i disegni fatti dal Pacciani, che l’altro giorno nelle dichiarazioni spontanee ha detto che “siamo tutti fratelli perché figli di Adamo ed Eva…”, c’è un disegno che il Pacciani riferisce di avere ricalcato da non so dove. Però io so anche che, questo ricalco, non è possibile perché corrisponde a tutte la facce degli altri disegni che fa il Pacciani; e questo è il primo elemento, non potrebbe ricalcare di qua e di là con le stesse facce, le stesse fisionomie. Poi, inoltre, ci sono delle caratteristiche un po’ sgraziate, no, nelle articolazioni, quindi sono disegni… Per me io li qualificherei disegni del Pacciani, però con qualche riserva. Allora c’è “Eva ed Adamo”: è questo il disegno; non so se lei, se l’avete mai visto… “Eva ed Adamo”: lo sguardo pare nel vuoto (nel “vuto”, non so). Allora qui si dice: “Ho vieni ho ti strozzo. Non mi vedi? Ti aspetto!”. Questo potrebbe essere una cosa da poco, però non è da poco. Se voi osserverete attentamente al volume otto del dibattimento, questo qui è stato sequestrato quando usciva dal carcere il 6/12/’91 (sono stati sequestrati insieme a molti altri…); osserverete c’è sul tavolinetto un punteruolo e un pugnale: questo è sintomatico dell’idea che vi dovreste fare. Io me la sono fatta la mia, non la dico neanche! Però esprime violenza; la violenza col coltello fu tremenda su Pettini Stefania, talché gli sfondò lo sterno e gli staccò l’osso xifoide. E violenza è stata quella fatta dall’imputato al guardiacaccia Ricci che l’ha intimorito come un coniglio. Eppure, a suo tempo, il Ricci doveva girare spavaldo per i boschi col suo fucile a tracolla! Perché gli ruppe un rene con un calcio, e questo è un aspetto. Poi, parlando ancora di alcuni disegni che ci sono, l’imputato nelle dichiarazioni spontanee… A parte che è stato confutato da tutti i testi quello che lui ha detto che non è un guardone perché i testi sono venuti a dichiarare che lui lo è, sia la Lapini sia la Sperduto e tanti altri. Fa un disegno pornografico: non lo mostrerei, ma siamo in aula di udienza di Corte d’Assise. Qui, ad un certo punto, non bisogna farsi nessuno scrupolo di nulla. E allora questo disegno, che ha le stesse fattezze più o meno dell’altro, dice: “Copia ricalco fumetto”. Sui fumetti ho già parlato prima, dice: “L’accoppiamento del sesso – pornografia – fumetto”. Si vede un uomo che si può definire un “assatanato del sesso” che si slancia addosso ad una donna, la quale sta in posizione con gambe divaricate ma ha i sessi molto prominenti, no? Da questi disegni appaiono questi sessi molto evidenti… Sembra che non ci sia altro! I visi… Però dice la donna: “Guarda lassù” – dice la donna – “Mi vergogno”. Questo qui, non lo so: potete pensare… Naturalmente voi ne farete l’uso che riterrete e i collegamenti meglio di me. Però denota: un’ossessione sessuale, esasperati sono i particolari erotici. E, secondo me (mi posso sbagliare), ma l’autore descrive una scena vissuta e si compiace, l’autore, della donna che si turba. Questa qui è un’altra foto, sempre da questa serie di album, in cui l’autore, in cui l’imputato, nelle dichiarazioni spontanee, ha detto che lui non conosceva (quasi o che) le armi. Dice “atta tiramolla”, non pronunciava neppure… “Tiramolla… Che vogliono questi? Cosa tiramolla…”. Non sapeva nemmeno quest’asta tiramolla che cosa potesse essere!? Viceversa questi sono disegni dettagliatissimi di armi: con pistola automatica fatta alla perfezione, fucile, c’è un fucile mitragliatore, ci sono tante altre armi… Ecco e naturalmente non si può dire che lui non sapesse cosa fosse un’asta tiramolla! Poi devo evidenziare, anche se con la massima professionalità (intesa proprio in senso professionale…), che in questo stesso volume otto del dibattimento c’è un rapporto erotico triangolare. Oh, ma questo cosa significa? Non è qui fine al rapporto erotico triangolare, ma fra queste due persone in accoppiamento, diciamo “accoppiamento proprio”… ecco definiamo “accoppiamento animale”. Ecco, fra queste due persone in “accoppiamento animale” c’è di mezzo un’altra persona che si inserisce e, poiché è a fumetti, dice: “Lei gli dice mettilo lì, ma lui lo sa. Certo che lo sa, non è mica scemo”. Però, rifacciamoci a quello che ci hanno detto i periti: cosa ci hanno detto i periti? Che… Il professor Beduschi in particolare cosa ha detto? Ha detto che quest’azione fatta dall’autore dei delitti è sempre stata tesa a separare, a dividere l’uomo dalla donna. Allora anche questo ha il suo collocamento, uomo o donna che sia la figura che è in mezzo. Divisa perché? Perché l’uomo viene ucciso. A volte con undici, sono stati sparati anche undici colpi (di questo poi ne parleremo per il proiettile) in due delitti: quello della Pettini e in quello della Mauriot. Ma l’uomo viene ucciso, la donna viene “divisa”, separata; come se si portasse via un pezzo di carne da una parte. Però si porta lontana e su questo si è detto: “Si porta lontana – dicono i periti – perché ci vuole più agio, più spazio… e quindi più agio”. Ma non è vero niente perché in certi punti che erano occultati, dopo che la donna poteva essere tirata fuori dalla macchina, poteva stare lì vicino al margine della macchina! Invece viene presa e trascinata sempre lontano, sempre via. Cosa è, cosa vuol dire questo? Si vuole separare! Come bene ha detto il mio collega Pellegrini, le radici affondano nell’omicidio del’51 e lui vuole sempre separare la donna dall’uomo; e ucciderla e punirla! Così come separò la Bugli dal Bonini ammazzando il Bonini. Non fu una separazione, fu una “separazione traumatica” con l’omicidio. Un altro punto mi soffermerei, poi sarei quasi a fine e mi voglio soffermare su questo: il professor Luberto, unitamente al professor Beduschi, al professor Pierini, ci hanno evidenziato che ci sono state due fasi nel tipo di autore di questa serie di omicidi. Che sono fasi, diciamo: una frenetica e un’altra calma-fredda. Di questo ne ha parlato anche, a lungo, il Pm. Però ciò non toglie che vorrei mettere in rilievo questo: eh c’è stata, diciamo, questa fase frenetica in cui l’autore spara. Spara tutti i colpi che ha. Ricorderete che nell’omicidio del ’74 di Pettini-Gentilcore lui non riuscì, benché avesse sparato undici colpi, a ucciderli tutti e due. Non ce la fece, al che la ragazza girò dall’altra parte; la ragazza gli dette un morso o gridò e sul labbro qui c’è il segno di un’unghiata. A questo seguì un grosso fendente sul viso perché si accanì sul viso della povera Pettini. Si accanì sul viso perché il viso era quello che aveva più a portata di mano! Questa è la ricostruzione. Però, ritornando alle due fasi “frenetica e fredda”, come fu domandato ai periti: “Si può ipotizzare che questa fase frenetica fosse dovuta a stato di eccitazione da orgasmo?” I periti non lo esclusero; certo, dissero: “Tracce da orgasmo noi non le abbiamo trovate sui posti, però è possibile.” Dissero: “Come no, è possibile sì. Perché poi diventa freddo, sfogato, calcolato…”. Come, in realtà si sa, che quando un orgasmo è fatto avviene, no? Si acquista una lucidità, una freddezza, una compostezza. Allora vi ricorderete il caso di Luca Iandelli? Questo caso ha lasciato tutti noi molto perplessi, per tanto tempo. Sia perché Luca Iandelli, in un primo tempo, aveva detto alla fidanzata (ora sposata): “Ho visto il Pacciani.” E poi perché aveva ritrattato… Ma soprattutto ci aveva lasciati perplessi per la dinamica dell’esposizione di questa aggressione che aveva subito Luca Iandelli, che ci era sembrata veramente strana e anche stigmatizzabile perché sembrava veramente assurdo che uno stesse con le mani così attaccato alla macchina e che quello girasse… Luca Iandelli girasse nel piazzale per scaraventarlo di sotto. Bene, a parte il fatto che questo episodio che lui, in un primo tempo, aveva detto che era il Pacciani è stato confermato sia dalla fidanzata; da brava cittadina, venuta qui a confermarlo insieme addirittura al marito con cui si era sposata, quindi un senso civico elevatissimo. Però rimane il fatto che anche Luca Iandelli, pur avendolo smentito e avendone già parlato con un altro, con un certo Calosi, di questo fatto poi l’ha smentito… Però Luca Iandelli ha detto due cose: la mano era molto grossa e il polso era molto grosso. Quindi c’ha dato caratteristiche della mano che corrispondono all’imputato. Ma venendo alla fine, a conclusione di questa parentesi, in quell’episodio loro se la cavarono perché l’autore era sotto una fase di orgasmo! Ecco perché! È la mia interpretazione, chiaramente sta a voi giudicare se idonea o no; se io sbaglio o meno… Per carità, siamo tutti fallibili! Però, sennò non si spiegherebbe altrimenti; ecco che si era creato… E se la cavarono perché in questa fase lui non sparò, però era pronto allo sparo. C’è un altro aspetto e poi sarei arrivato a termine. Un’altra foto, o meglio un altro disegno fatto sempre dal Pacciani in carcere. Volume otto – sequestro 16/12/’91: è intitolato “Amor di Madre” e si vede una tigre veramente grossa, anche se lambisce la lingua. Quindi in atteggiamento bonario, che sovrasta un’altra tigre più piccola; la quale, a sua volta, ha atteggiamento di essere la madre di questo cane che è disegnato qui sotto. E c’è scritto: “Il cane truccato”, e c’è: un pennello, un secchio di vernice e la vernice che cola. Bene, io mi sono chiesto: «Questo cane truccato… Pacciani che ha fatto questo disegno… Cosa voleva intendere il “cane truccato”? Chi è il “cane truccato”? È questo “povero agnelluccio”, come l’ha sempre dipinto fin dall’inizio il valido, attento, accurato Dottor Canessa che ci ha portato a queste conclusioni? È quel “povero agnelluccio”?». Anche per me è così, lui raffigura questo cane dentro una tigre; quella tigre che sì, quando ha gli istinti perversi fa quel che fa, però è un “cane truccato”! Poi denota anche che a questo signore piace fare trucchi, addirittura li idealizza perché sono scene che lui vive nella fantasia. Si sa che il pittore fa questo discorso qui, questo ormai è provato; sto sfondando una porta aperta, sono cose che voi sapete benissimo. Con questo chiudo. Confermo le mie conclusioni, chiedendo che vogliate ritenere la penale responsabilità dell’imputato. Mi riporto all’indennizzo chiesto a favore dei miei rappresentati per quanto è richiesto, cifra di mezzo miliardo, e presento la mia notula e le conclusioni. E la memoria… Presidente: Bene, grazie avvocato. Bene signori, allora abbiamo chiuso con le difese di parte civile. Allora, Avvocato Bevacqua e Avvocato Fioravanti… Mi avevate fatto presente, appunto, il desiderio di parlare la prossima settimana: lunedì, martedì, mercoledì… Pm Canessa: Addirittura tre giorni! Avvocato Bevacqua: Che Dio ce la mandi buona e senza vento. Con l’acqua ci siamo… Presidente: Quindi, mi confermate questo desiderio. Quindi, se siete tutti d’accordo, noi possiamo andare allora… Rinviare il processo in prosecuzione a lunedì 24 ottobre ore 9 per la difesa dell’imputato. E poi in prosecuzione il 25 e il 26… D’accordo? Bene, l’imputato sarà tradotto ovviamente. L’udienza è tolta signori. Buona sera! Pm Canessa: Buona sera, presidente…
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