International Conference on Modern Age fortifications of the Mediterranean coast – FORTMED 2016 Firenze, Dipartimento di Architettura, 10th-12th November – www.fortmed.eu
Mare e non più mare. Le nuove fortificazioni di Cotrone al tempo di Carlo V e il sacrificio della portualità tradizionale Margherita Corrado Archeologa, Crotone, Italia,
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Abstract In 1541, in Cotrone a big public construction site, destined to persist about 60 years. Its intention was to build an impressive new urban wall and in the meanwhile the modernization of the medieval fortress looking over the village, called Charles V. The historical study ignored that two bastions of the walls set up on the Northern side, on a position to create docks since the Roman Age and built in a way that destroyed the convexity of the small natural bays. This construction site wasted the outstanding infrastructural heritage of the Pythagorean city and left the outlying Southern dock only. It provoked an annihilation of the maritime disposition and its 2000 years of history.
Keywords: fortezza, torre, porto, Crotone, fortress
1. Introduzione
Le recenti acquisizioni e l’ancor più recente pubblicazione (parziale) dei dati documentali e archeologici che oggi, analizzati e combinati, consentono per la prima volta un’articolata quanto verosimile ricostruzione dello sviluppo diacronico della portualità crotonese dall’Antichità al basso Medioevo, non più meramente teorica [Severino 2011] né condizionata da quelle di età moderna e contemporanea, impongono in premessa una sintetica ma esaustiva disamina delle fonti disponibili per ciascuna epoca. L’argomento di questo contributo, infatti, che essendo
consequenziale alla suddetta ricostruzione ha anch’esso caratteri di novità pressoché assoluta, non avrebbe potuto attirare l’attenzione degli storici e degli archeologi, e solo a patto di padroneggiare i dati di entrambe le discipline unitamente al contributo della cartografia antica, fintanto che non fosse emersa la profonda alterazione subita dalla linea di costa in corrispondenza della città storica e a Nord di questa dal XVI secolo ad oggi, effetto (repentino e involontario) degli interventi umani condotti negli anni ’40 del Cinquecento e dopo il 1867.
Il cambiamento di che trattasi, testimoniato dalla neoformazione di quelle che la carta geologica campisce in giallo e chiama “alluvioni sabbiose”, è così significativo da renderlo quasi impensabile a chi abbia dimestichezza con lo stato attuale dei luoghi.
Fig. 1 - Carta geologico-tecnica del Comune (http://www.comune.crotone.it/flex/cm/pages/ ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1784)
[Medaglia 2010]. Ciò premesso, è difficile figurarsi in termini corretti anche il rapporto tra l’area urbana e i porti che hanno tenuto dietro ai suoi spostamenti, o meglio alla sua estensione altalenante. La disponibilità di un porto costituisce, altresì, il dato saliente della storia di Crotone e ne giustifica la più che trimillenaria sopravvivenza nella sua sede tradizionale – il promontorio è abitato in pianta stabile fin dall’età del Bronzo –, a dispetto della sua posizione intrinsecamente debole, ben prima che questa diventasse la principale «piazzaforte marittima bastionata» di età rinascimentale e moderna dell’intera Calabria [Martorano 2002], tale proprio grazie al binomio città murata-castello, quest’ultimo nato a sua volta per presidiare il porto.
Esso è l’esito del ‘riassorbimento’ del promontorio originale nella massa continentale retrostante e della contestuale attenuazione delle sue molte sporgenze e rientranze, alcune delle quali è stato poi necessario replicare artificialmente, in posizione più avanzata, per garantire alla città contemporanea infrastrutture marittime efficienti. Fig. 3 - Rielaborazione della carta di distribuzione dei reperti romani e altomedievali (Medaglia, 2010).
Fig. 2 - Ricostruzione del settore N/O della città murata fino agli anni ’70 dell’Ottocento. La linea rossa segnala invece il limite attuale della terraferma (elaborazione A. Grilletta) Una morfologia del litorale dissimile dall’odierna nella misura che è ormai agevole ricostruire anche grazie alla morfanalisi e allo studio dei tessuti urbani omogenei è confermata dalla distribuzione dei reperti archeologici di epoca romana e alto-medievale
In assenza di porti attrezzati lungo il litorale da Brindisi a Messina, atteso che quello di Taranto era inaccessibile in condizioni meteomarine avverse, al porto di Crotone, per quanto imperfetto, le autorità politico-militari riconobbero sempre un ruolo strategico imprescindibile, trattandosi peraltro di uno scalo obbligato per le rotte tradizionali di attraversamento dalla Penisola ai Balcani e viceversa. Solo Crotone, perciò, come Reggio, scampò alla profonda trasformazione del quadro poleografico dell’odierna Calabria verificatosi nell’alto Medioevo. Incombendo la minaccia araba, infatti, tutti gli abitati costieri furono abbandonati a favore di sedi più arretrate e di preferenza arroccate naturalmente, salvo i porti del cosiddetto limes marittimo bizantino, funzionale a mantenere
aperte le rotte da e per l’Oriente [Corrado 2001].
Fig. 4 - Crotone odierna, vista da S/E. In evidenza il centro storico. 1.1. I porti di Crotone all’alto Medioevo.
dall’Antichità
Teste Polibio, storico greco del II secolo a.C., la fortuna di Kroton, la polis achea fondata a metà del litorale ionico calabrese nella prima stagione della colonizzazione ellenica dell’Occidente e assurta al rango di potenza mediterranea dopo la vittoria su Sybaris (510 a.C.), era legata al mare, benché la città non disponesse che di semplici approdi (òrmoi). Mancava, invece, di un porto naturale vero e proprio come quello di Taranto, posta al centro del medesimo golfo chiuso a Sud dalla sequenza di promontori, distanti mediamente sei miglia marine l’uno dall’altro, inaugurata dal rilievo modesto per sporgenza e altitudine (m 30 ca. s.l.m.) coronato proprio dall’acropoli di Kroton. Questa sorgeva al limite meridionale di un’area urbana vastissima, racchiusa, prima delle guerre pirriche, nei 18 chilometri di mura ricordati da Tito Livio. La critica s’interroga tuttora sulla ubicazione degli approdi polibiani e solo di recente ha cominciato a collocarli nella posizione più ovvia, in presenza di un litorale altrimenti basso e sabbioso, cioè ai piedi della rocca, stentando però a riconoscere loro qualche l’importanza. Preferisce invece concentrasi sull’esistenza, fin qui solo intuitiva, di un porto-canale alla foce dell’Esaro, il fiume che tagliava orizzontalmente la polis in due parti, e sull’ipotesi, suffragata da un passo straboniano estremamente generico, che un porto artificiale esistesse in un punto imprecisato a Nord di quella [Racheli 2014]. Certo è che da una rada
sottostante l’arx, di nuovo nel racconto liviano, s’imbarcarono i superstiti ottimati di Kroton alla volta di Locri durante la guerra annibalica. La scrivente ha creduto di identificarla con quella stessa insenatura che, prolungata artificialmente in età romana, prima appartenne (forse a titolo privato) alla ricca domus terrazzata di impianto proto-imperiale scoperta nel 2010 al limite inferiore di Discesa Fosso, a ridosso di un probabile salto di quota naturale che, all’epoca, doveva enfatizzare non poco la posizione panoramica della sua terma, affacciata sul mare, poi al porto del castrum proto-bizantino dove papa Gregorio Magno ambienta l’epilogo della traversata miracolosa di Massimiano, futuro vescovo di Siracusa, e a monte del quale, nel contempo (tardo VI - VII sec.), sorgeva verosimilmente un magazzino per il deposito di vasellame e anfore commerciali d’importazione trans-marina e regionale [Corrado 2014; Corrado c.d.s.]. Se la domus citata, proprio in quanto dimora esclusiva – l’eccezionalità è rimarcata dalla non condivisione dell’orientamento N/S dell’abitato –, tra la fine della Repubblica e il primo Impero doveva risultare periferica rispetto al cuore della città, contrattasi così sensibilmente, a partire dal III a.C., da ridursi al solo quartiere sud della polis e ben presto al solo versante N/O del promontorio culminante nell’arx [Ruga 2014], è ragionevole supporre che dopo il suo abbandono, databile alla media età imperiale, l’uso del porticciolo sottostante sia diventato promiscuo. Deve avere favorito tale fenomeno anche la presenza, alle spalle, lungo il versante ovest, degli ampi vani voltati con funzione di servizio (rimessaggio, riparazione, stoccaggio di merci, ecc.), parte scavati nella roccia naturale e parte costruiti in calcestruzzo, che l’antiquaria locale e le fonti archivistiche consentono di riconoscere fino alla completa distruzione di metà Ottocento causata dalla costruzione del Palazzo Giunti [Corrado 2014; Corrado c.d.s.]. Il molo, al contrario, finì sommerso nel corso del Medioevo per quel fenomeno di innalzamento del livello eustatico dello Ionio rispetto all’Antichità che ha determinato, tra gli altri, la scomparsa dell’antemurale che dall’avanzato VI secolo prolungava il braccio ovest del Capo Rizzuto,
poi scomparso integralmente anch’esso a causa dell’erosione [Corrado 2001].
Fig. 5 - Crotone, fotopiano (1974). La linea rossa segnala il profilo antico della costa; le frecce la baia del porto nord (gialla) e il sito del molo del porto liviano (arancio). Il ridimensionamento dell’area urbana avviato, come detto, nella media età imperiale sembra avere privilegiato le falde inferiori della collina a scapito delle fasce centrale e sommitale – l’arx si può supporre abbandonata da allora almeno fino all’impianto (presunto) del castello medio-bizantino – ma anche della pianura adiacente, tant’è che il kastron giustinianeo di metà VI, di cui avanza, lungo Corso Vittorio Emanuele II, un tratto rettilineo di mura pari a poco più di m 10 [Corrado 2001], racchiuse verosimilmente le sedi del vescovo e dell’amministrazione civile costruite in quella che in precedenza, benché situata quasi ai piedi del modesto rilievo, dopo il III secolo era diventata un’area marginale. Tra gli edifici abbandonati, in corso di ruderizzazione e disfacimento, erano fiorite discariche, mentre la
sua stessa liminarità la rese adatta ad accogliere le prime sepolture cristiane [Marino, Corrado 2012], forse a partire dal IV secolo. Grazie alla sua contiguità allo spazio urbano così ridisegnato, il porticciolo sottostante la rocca e che i Romani avevano dotato delle infrastrutture già descritte, benché oggettivamente periferico, risultò essere il più comodo e attrezzato per le necessità della polis bizantina – le fonti greche continuano a chiamarla così (in senso tecnico), riconoscendone implicitamente l’importanza –, per finire poi sommerso dalle acque qualche secolo dopo. Il porto principale della città romano-imperiale, invece, con tutta probabilità coincidente con la parte più meridionale della grande insenatura a Nord del promontorio di Crotone, da immaginarsi chiusa a S/E dal prolungamento artificialmente di un’altra modesta prominenza della linea di costa (fig. 5), a quell’epoca doveva già risultare sovradimensionato e distante. Per le stesse ragioni, il porto-canale alla foce dell’Esaro, lontano poco meno di 2 Km dal promontorio diventato la sede pressoché esclusiva della popolazione urbana in età imperiale, fu sacrificato a vantaggio di alcuni degli antichi òrmoi, dotati però delle opere necessarie a qualificarli tecnicamente con il termine latino portus. 1.2. I porti di Crotone nel basso Medioevo. L’infrastruttura di epoca romano-imperiale cui si è fatto cenno alla fine del paragrafo precedente sarebbe tornata utile e fatta oggetto dei dovuti interventi di conservazione ed efficientamento nel basso Medioevo, quando Cotrone, città demaniale per decisione di Federico II, che nel 1239 si premurò di potenziare il porto, e più tardi data in feudo ai Ruffo, fedelissimi alla monarchia angioina, fu specialmente fiorente grazie ai commerci marittimi garantiti anche dalla presenza del castello. Rioccupate le falde superiori del colle già sede dell’acropoli e poi dell’arx, proprio in quanto presidio di un porto di altissimo rilievo strategico, il fortilizio ebbe da subito un’importanza primaria nella gerarchia delle architetture militari calabresi. In tale fase, la città tornò ad espandersi, delocalizzando molte attività
economiche nella pianura alluvionale situata ai piedi dello spazio urbano e sui rilievi più prossimi [Corrado 2014; Racheli 2014], serviti l’una esclusivamente e gli altri prevalentemente dal porto sopra descritto, valorizzato a sua volta da Carlo I d’Angiò [Severino 2011]. Da qui in poi lo si chiamerà porto nord, per distinguerlo dall’altro molo, sito a S/E del borgo in posizione meno felice, e da certi ancoraggi intermedi d’uso occasionale. L’insenatura che nel XV secolo sappiamo situata tra le torri del Vento e Pignalosa [Rende 2003] – i numeri 4 e 8 ai limiti della concavità presente nella pianta dell’abitato basso-medievale (fig. 6) –, come detto coincidente con l’estremità sudorientale della grande baia a Nord della città, chiusa all’estremo opposto da Punta Alice e dove secondo Edrisi (XII sec.), si gettava l’ancora al sicuro salvo che nelle tempeste di grecale (N/E), si chiamò significativamente marina de Terczana (n. 7). Il toponimo, derivante dal latino medievale tarzanà, tuttora diffuso in varie città di mare ad esempio in Sicilia, segnala senza meno l’esistenza di un arsenale, dunque di peculiari infrastrutture portuali di servizio a carattere modulare ben conosciute in altri contesti analoghi delle coste mediterranee [Corrado 2014]. Il testo che accompagna le mappe del Libro della Marina di Piri Re’is, del resto, utilizza per i porti crotonesi termini tecnici che richiamano l’esistenza di edifici in muratura e non solo del molo in pietra squadrata riconoscibile sulle carte [Marino et alii 2010]. Nella stessa fase storica aveva ancora senso anche la denominazione Piscaria riferita al quartiere affacciato sulla spiaggia tra il molo romano di N/E (sommerso nel corso del Medioevo) e la punta dominata dalla Torre del Vento: quella del porto nord appunto. Benché il toponimo sopravviva tuttora, da metà Cinquecento, vedremo, non ha più ragione alcuna. Insieme alla presenza della vivace comunità ebraica – vi si localizza la Giudecca –, ulteriore spia della marginalità della fascia litoranea settentrionale, pianeggiante e probabilmente esterna alle mura pre-viceregnali, Piscaria è
forse il relitto di una realtà urbana anteriore al Quattrocento o di una diversificazione funzionale delle infrastrutture portuali e delle attività antropiche connesse.
Fig. 6 - Rielaborazione delle planimetrie ipotizzate da P. Rende per la città bizantina e basso-medievale inserite nelle mura spagnole.
Fig. 7 - Cotrone nel Codice Romano Carratelli. Sopperisce alla mancanza di iconografie anteriori al XVI secolo che ci mostrino il porto nord la nutrita serie di copie del Libro della Marina realizzate tra il XVI ed il XVIII secolo, ricche di varianti ma accomunate da una rappresentazione più o meno dettagliata del molo in esame [Marino et alii 2010] incurante dell’anacronismo determinato dalla sua demolizione, avvenuta già negli anni ’40 del Cinquecento – a fine secolo, la tavola della Città di Cotrone del Codice Romano Carratelli [Martorano 2015] ne conferma visivamente la scomparsa (fig. 7) – nell’ambito dei lavori di fortificazione del
borgo promossi dalla Regia Corte essendo imperatore Carlo V e Viceré di Napoli Don Pedro de Toledo. Ciò sembra dare ragione a quanti escludono che il portolano in questione e altre opere analoghe baciate da un discreto successo ‘editoriale’, avessero uno scopo pratico e possano, perciò, essere considerate riproduzioni affidabili della realtà [Molteni 2015].
come segnalato, a partire dall’età romana quelle erano state prolungate per farne altrettanti moli che nel Cinquecento, l’uno superstite ed efficiente, l’altro sommerso da tempo, i documenti del cantiere regio assicurano essere stati demoliti ad arte entrambi, in funzione della costruzione dei bastioni Villa Franca (a N/O), così chiamato in omaggio al Viceré in carica, e Petro Nigro (a N/E), toponimo invece preesistente [Corrado 2014].
1.2 Il progetto integrato di fortificazione della rocca e del borgo al tempo di Carlo V.
Un’artificiosa regolarità fu dunque imposta al nuovo tracciato murario, disegnando un circuito orientato N/O-S/E che assicurasse la difesa del versante ovest della fortezza interponendo la città stessa tra quella e il territorio retrostante, mentre l’abitato era a sua volta protetto sul lato mare dalla collina culminante nel c.d. castello nonché, ai piedi del fortilizio, dai bassi fondali antistanti. Come testimonia anche la cartografia (fig. 10), infatti, questi impedivano l’avvicinamento ai vascelli di grande stazza [Ökte 1988].
Nella Cotrone del primo Cinquecento, l’acquisto con denaro sonante dello status di città demaniale, avvenuto negli anni ’30, precedette di poco l’apertura del cantiere che, grazie ai proventi della conquista di Tunisi (1535) e alla tassa sulla seta imposta poco dopo all’intera Calabria, in esecuzione del progetto unitario elaborato da Gian Giacomo d’Acaya, si prefisse la costruzione di una nuova e possente cinta urbica contestualmente all’ammodernamento della fortezza aragonese, detta poi di Carlo V, tuttora in gran parte superstite [Mussari 2009].
Fig. 9 - Ricostruzione della fortezza e della città viste da S/O fino agli anni ’70 dell’Ottocento (elaborazione A. Grilletta).
Fig. 8 - Perimetro della fortezza e delle mura urbiche vicereali (elaborazione V. Spagnolo). La ricerca storica ha finora trascurato il fatto che, in conseguenza dell’esecuzione del progetto integrato sopra descritto, protratta per oltre settant’anni, due dei cinque bastioni del nuovo circuito murario furono eretti in posizione più avanzata delle sporgenze naturali che la frastagliata linea di costa presentava sul versante nord. Già in uso ai tempi di Kroton,
Invece di assecondare la morfologia del promontorio, come la cinta urbica quattrocentesca, fitta perciò di segmenti giustapposti, la muraglia spagnola risultava avere una pianta grossomodo ellittica. Ne deriva una diminuzione del numero degli angoli, punti deboli di qualsiasi circuito difensivo, ridotti ad appena cinque da Nord a Sud lungo il versante occidentale, dove a circa metà dello sviluppo complessivo fu aperta l’unica porta dell’intero anello, se si escludono un paio di entrate/uscite di emergenza. In
corrispondenza dei suddetti angoli furono edificati altrettanti bastioni ‘a punta di lancia’, disposti ad intervalli abbastanza regolari e in grado di assicurare la difesa reciproca grazie al tiro incrociato delle loro artiglierie. Due di questi, sovrapposti ai vecchi moli, pescavano direttamente in mare e furono raccordati da cortine in grado di annullare la convessità delle marine del versante nord, ora inglobandole, come quella de Terczana, ora lasciandole all’esterno, come alla Piscaria. La grande lacuna trapezoidale nel tessuto urbano della città storica costituita da Piazza Umberto I coincide proprio con la baia di N/O, ‘entrata in città’ a metà del Cinquecento ma rimasta inedificata fino alla fine delle servitù militari (1865) e sostanzialmente tale tuttora. Nel quartiere della Piscaria, invece, il poderoso muro rettilineo negava ormai ogni accesso al mare fatta salva la cosiddetta porta falsa, aperta in rarissime occasioni, e ne impediva persino la visione.
ta almeno dall’età romana [Marino et alii 2010] e che nel XVI secolo prevedeva di legare le cime ad un anello fissato al muro della chiesa sorta al centro dell’isolotto, ben documentata anche nel Libro della Marina (testo e tavole). Quanto al bacino interno – l’odierno Porto Vecchio –, la sua inadeguatezza alla fonda e dunque la necessità di provvedere periodicamente al dragaggio per contrastarne l’insabbiamento è una problematica costante nel tempo, come testimoniano anche le mappe del portolano citato. Lo stesso fenomeno si manifestò con una rapidità e un’intensità sorprendenti nel tratto fra la foce dell’Esaro e la città dopo la costruzione dei due bastioni più volte richiamati. L’artificiosa trasformazione della linea costiera in coincidenza con la città causò infatti un’alterazione sensibile nella modalità di deposito dei detriti fluviali provenienti dall’Esaro e più a monte dal Neto, sì da annullare l’accentuata concavità originale e, in pochi decenni, incrementare non poco la fascia di terraferma. Conclusioni
Fig. 10 - Particolare di una mappa del Libro della Marina raffigurante Crotone (Marino et alii, 2010). Sorti i bastioni Villa Franca e Petro Nigro, tutto il traffico marittimo fu dunque dirottato sul porto sud, un pennello situato grossomodo di fronte all’isolotto con il quale si conclude la sequenza di scogli emersi che a partire dal 1753 i Borbone avrebbero trasformato in molo vero e proprio, complice il suo profilo semicircolare [Severino 2011]. Dati archeologici e documentali testimoniano una consuetudine dei natanti all’ancoraggio provvisorio sul versante esterno della curva, in condizioni meteo-marine favorevoli, inaugura-
Il cantiere vicereale delle fortificazioni di Cotrone sacrificò alla difesa dei confini dello Stato il cospicuo patrimonio infrastrutturale marittimo della città pitagorica e la privò di ogni attracco che non fosse il periferico molo sud, annullando quasi del tutto una vocazione marittima forte di oltre 2000 anni di storia e che da sempre l’aveva vista rivolgersi verso l’opposto limite del Golfo di Taranto come al proprio orizzonte ‘naturale’. Se, all’inizio del Cinquecento, coerentemente con la parabola storica di Crotone fino ad allora, Piri Re’is ancora scriveva che “il castello di Kotoronda, si affaccia sul mare in direzione N/E” [Ökte 1988], a partire dagli anni ’40 la realtà mutò completamente perché le possenti mura spagnole avevano invaso le marine attigue e adiacenti all’area urbana negando loro, da qui in poi, ogni rapporto con l’elemento liquido.
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