Kriya Yoga: sintesi di un’esperienza personaleAutore: Ennio Nimis 1 PRIMA PARTE: RICERCA DEL KRIYA 3 CAPITOLO I/1…AUTODIDATTA Primo interesse verso il Pranayama. Tecnica del vuoto mentale. Decisione di estendere la dinamica di questa tecnica all'intera vita. Morirò per vivere! Pranayama - routine di base. Primi effetti. Risveglio di Kundalini. 18 CAPITOLO I/2… UN'ORGANIZZAZIONE DI KRIYA Prime informazioni sul Kriya. Far parte di una organizzazione e di un gruppo di meditazione. Tecniche preliminari al Kriya. Ricordo della mia cerimonia di iniziazione al Kriya. Difficoltà col materiale stampato relativo ai Kriya superiori. 43 CAPITOLO I/3…. ASSENZA DI RESPIRO Patanjali. Mére (la Madre). Japa. Lo stato di assenza di respiro 53 CAPITOLO I/4… RICERCA DEL KRIYA ORIGINALE Il mio primo insegnante di Kriya (al di fuori dell'organizzazione). Il mio secondo insegnante. La fine di un incubo. L'inganno della segretezza. L'abuso del concetto di Guru. SECONDA PARTE: CONDIVISIONE DELLE TECNICHE KRIYA 76 CAPITOLO II/1… FORMA BASE DEL PRIMO KRIYA Introduzione alla localizzazione dei Chakra. Tecniche di base. Familiarizzarsi col Primo Kriya. Come si raggiunge il Kechari Mudra. Pranayama col Kechari Mudra. 97 CAPITOLO II/2… KRIYA SUPERIORI Secondo Kriya. Terzo Kriya. Quarto Kriya. Profonda meditazione dopo i Kriya superiori. 110 CAPITOLO II/3… DIVERSE SCUOLE DI KRIYA TERZA PARTE: RIFLESSIONI 128 CAPITOLO III/1... KRIYA YOGA: REALTÀ E ILLUSIONI Alcuni atteggiamenti erronei nei confronti del Kriya. 146 CAPITOLO III/2… UN SENTIERO MISTICO PULITO L'essenza del Kriya Yoga. Esempio pratico. Ulteriori informazioni sulla Preghiera. 162 CAPITOLO III/3… ULTIMO CAMPO DI RICERCA 178 CAPITOLO III/4… KRIYA YOGA E ALCHIMIA INTERIORE Quattro passi della Alchimia Interiore. Quattro livelli del Kriya Yoga. 189 GLOSSARIO 2 PRIMA PARTE: RICERCA DEL KRIYA CAPITOLO I/1…AUTODIDATTA Primo interesse verso il Pranayama La mia ricerca spirituale cominciò quando, affascinato in modo inesplicabile dalle persone sedute nella "posizione del loto", comprai un libro introduttivo allo Yoga classico. Il fatto di poter fare qualcosa d’importante senza muovermi da alcuna parte, senza i rischi e i pericoli degli sport classici, mi attraeva come un’arte, la più perfetta di tutte, che non presentava dei limiti intrinseci. Incominciai a nutrire grandi speranze nei confronti di «certe pratiche orientali» quando un compagno di scuola mi disse che possedeva un testo dove erano spiegati, in tutti i dettagli, varie forme di Pranayama, aggiungendo che: «questi esercizi ti trasformano dentro...». Cosa poteva significare ciò? Non poteva certo riferirsi solo al conseguimento di particolari condizioni di rilassamento o di concentrazione; sicuramente non alludeva all’aderire ad una particolare filosofia o a mutare la propria concezione della vita, ma intendeva qualcosa di più coinvolgente. L'amico non si decise a prestarmi il libro e dopo alcuni giorni non ci pensai più. Per quanto riguarda altre letture, a differenza dei miei coetanei, prediligevo testi poetici, in particolare quelli che trattavano di temi che potevo collocare idealmente entro la cornice della vita campestre in cui vivevo la maggior parte del mio tempo libero. In quei giorni, quando vissi dal punto di vista affettivo qualcosa di intenso che percepivo come una difficile sfida, verso cui la mia emotività imprudente mi spingeva a fare dei passi che si rivelarono distruttivi, intrapresi il rito quotidiano di ascoltare musica classica, soprattutto Beethoven.1 Durante lunghe passeggiate in mezzo alla natura, l'improvvisa vista di un paesaggio, così bello da togliere il respiro, accompagnato da un passaggio della musica di Beethoven, la quale non aveva mai smesso di risuonare nella mia mente ma che ora era udita come nuova dalla febbre di quello shock estetico, afferrava l'anelito del mio cuore, cancellava ogni immagine dalla mia mente e mi concedeva un perfetto godimento entro un ebbro ideale di 1 Lo studio della sua vita fu nutrimento per la mia anima. Egli estrasse dalle profondità del suo essere una musica incomparabile da offrire ai suoi fratelli, all’umanità. La tragedia della sordità lo colpì nel pieno della stagione creativa. Reagì in modo dignitoso decidendo di portare avanti, in condizioni quasi impossibili, la vocazione artistica. Il tremendo impatto della sua coraggiosa decisione si può trovare nel Testamento di Heiligestadt. 3 perfezione. Il mio atteggiamento verso quella sublime forza che prendeva possesso della mia anima assumeva gradatamente la caratteristica di una religione. Tecnica del vuoto mentale Un giorno un semplice testo, Yoga in 20 lezioni, esposto presso l’edicola della stazione ferroviaria, attirò la mia attenzione. Lo acquistai d'impulso. In un angolo della nostra palestra, durante le lezioni di Educazione Fisica, dopo gli esercizi preliminari di riscaldamento, l’insegnante mi dava il permesso di separarmi dai compagni di classe – che si divertivano con qualche gioco di squadra – e di dedicarmi a padroneggiare alcune posizioni di Yoga (Asana). (L’insegnante era stupefatto nell’osservare come riuscissi a muovere i muscoli addominali per mezzo della tecnica Nauli.) Obiettivamente parlando, il mio libro di riferimento sullo Yoga non era di qualità mediocre: c'era, insieme a ogni posizione, il chiarimento del significato del nome che la designava, una breve annotazione sul miglior atteggiamento mentale nei confronti della pratica e molte considerazioni su come ciascuna poteva stimolare certe particolari funzioni fisiologiche (importanti ghiandole endocrine ecc.). Era chiaro che queste posizioni non dovevano essere considerate come un semplice "lavoro di stretching", ma come un mezzo per fornire uno stimolo complessivo a tutti gli organi interni per aumentarne la vitalità. Il senso di benessere, percepito alla fine della sessione parlava in favore dell’utilità di questa pratica. Un capitolo intero era dedicato alla "Posizione del cadavere", Savasana, da praticarsi per ultima, le cui istruzioni rivelavano che l'autore ci aveva messo qualche cosa appresa in altri contesti. Strutturato con gran cura, tale spiegazione divenne infatti la mia prima lezione di meditazione. Il testo non perdeva di vista ciò cui mirava (come faceva invece la maggioranza di libri che trattavano temi analoghi, attraverso complicate dissertazioni sulle più svariate forme di energia, all'interno del corpo ecc.) ma, con un linguaggio tipicamente occidentale, presentava l’interessante possibilità di «fermare tutte le funzioni mentali e, senza cadere nello stato di sonno, rimanere per un certo tempi in uno stato di pura consapevolezza». Esso sottolineava così la possibilità di porre a riposo le facoltà pensanti e «ricaricare di fresca energia il nostro sistema psico-fisico ». Fui attratto dalla sicuramente esagerata promessa che, in un intervallo di venti minuti, tale pratica avrebbe fornito un «riposo mentale equivalente a tre ore di sonno». Descriverò brevemente l'esercizio che divenne poi un'abitudine quotidiana: fu, per molte ragioni, essenziale; grazie ad esso, verificai una volta per tutte la 4 differenza fondamentale, tuttora cruciale per la mia comprensione del Kriya Yoga, tra "mente" e "consapevolezza". La posizione da assumere era quella supina, le braccia distese lungo i lati del corpo e una benda per coprire gli occhi, onde non essere disturbati dalla luce. Dopo due o tre minuti di quiete, l'esercizio cominciava con l'affermazione mentale: «sono rilassato, sono calmo, non penso a niente». Dopo di questo, per entrare nello stato definito dall'autore "vuoto mentale", era necessario portare avanti una sola azione: dare una forma visiva ai pensieri, spingendoli via, uno per volta, come se «una mano interna li trasportasse dolcemente dal centro dello schermo mentale verso la sua periferia». Tutti i pensieri, senza eccezioni, dovevano essere messi da parte, anche il pensiero di star praticando una tecnica. Per eseguire correttamente questo processo delicato era essenziale "vedere" ogni pensiero, anche se questo aveva caratteristiche astratte. Non si doveva mai rifiutare un pensiero, censurarlo, eliminarlo, ma solo creare una pausa nell'attività mentale. Visualizzandolo come un oggetto, lo si spostava da parte mettendolo come "in attesa", impedendo così che esso sviluppasse, a sua volta, un’ulteriore catena di altri pensieri. Dopo aver spinto via il primo pensiero si ritornava al centro, tra le sopracciglia (Kutastha) e ci si distendeva in qualcosa che era come un lago di pace. In tal modo il potere di spingere da parte i successivi pensieri che avrebbero bussato alle porte dell’attenzione sarebbe aumentato. Quando in certe occasioni – che seguivano episodi di forte disturbo emotivo – il meccanismo non voleva mettersi in moto, allora si trasformava la propria concentrazione in un piccolo ago che continuava a toccare istante dopo istante la zona tra le sopracciglia: ad un certo punto la fatica impiegata in tale atto scompariva e un rilassamento simile allo stato che precede il sonno sopraggiungeva. Dopo alcuni minuti, la situazione era la seguente: mentre una parte dell'essere assorta nel Kutastha, godeva di un piacevole senso di riposo, un'altra parte, che si trovava alla periferia della precedente, caratterizzata come da un tranquillo tremolio, osservava passivamente un processo di creazione d’indefinite immagini, come nei primi istanti quando si cade addormentati. La consapevolezza rimaneva così ferma e tranquilla per alcuni minuti. Nella mia esperienza questo stato non durava più di 10 o 15 minuti e l'esercizio, nella sua totalità, preparazione compresa, non superava i 25-30 minuti. La tecnica finiva inevitabilmente in un modo "curioso": lo stato di calma profonda era interrotto dal pensiero che l'esercizio dovesse essere ancora intrapreso, alla qual cosa il corpo reagiva con un fremito e il cuore batteva più 5 veloce. Quindi appariva la consapevolezza che esso era stato portato perfettamente a termine. Da bravo studente, usai tale mezzo per riposare, di pomeriggio, tra una sessione di studio e quella successiva e cominciai ad affezionarmi ad esso. Decisione di estendere la dinamica di questa tecnica alla vita pratica. Quanto stavo sperimentando non mi lasciava indifferente; era interessante osservare il modo in cui il processo mentale poteva essere momentaneamente arrestato, il modo in cui la sua apparente consistenza si affievoliva mentre uno stato di pura consapevolezza, autonoma da contenuti, contrassegnata da una costante continuità nascesse. Intuii che questo stato particolare era la mia più vera essenza. Il Cartesiano: «Penso dunque sono», gradualmente divenne: «Se non sono in grado di dominare il meccanismo del pensiero al punto di poterlo fermare a volontà, non posso dire di esistere realmente». Cruciale fu il momento in cui provai ad estendere le dinamiche essenziali di questa tecnica alla vita pratica, applicando la stessa disciplina ai pensieri specialmente nei momenti di inattività. Quello che avvenne mi sorprese: cercando il silenzio mentale (come lo chiamava Sri Aurobindo) entrai in una specie di "vuoto" devastante. La mia vita sembrava emergere come un'isola da un oceano di dolore. Non fu facile sostenere la sfida di quel cupo e depresso stato d'animo, ma la lezione che ne ricavai fu oro puro. Disperdere il fumo dei nostri pensieri significa non solo ottenere uno stato di silenzio, pace, rilassamento ma anche ottenere una rivelazione importante che ci riguarda molto intimamente. Ovvero, applicando questa disciplina, scopriremo impietosamente la perversa situazione che caratterizza il nostro modo di vivere e che è l'origine di tutte le nostre miserie. Sappiamo che se vogliamo stabilire dei sani rapporti umani e vivere sentimenti autentici dobbiamo accettare di abbandonare (temporaneamente o definitivamente) alcune delle nostre abitudini. Afferrarsi testardamente ad essi è una delle cause che creano una rottura nelle relazioni o un netto deterioramento di esse. La vita richiede duri sacrifici, mollare la presa su certe situazioni e volgere il nostro cuore verso nuovi schemi di vita. Ora, nello specchio della nostra introspezione resa limpida e non distorta da questa disciplina, cominciamo a vedere l'influenza enorme che la ricerca del piacere – una continua iniezione di piccoli piaceri, inutili e pericolosi - ha sulla nostra vita. Capiamo il grado di dipendenza da certe abitudini. Ne abbiamo a dozzine, da apparentemente innocenti come il bere bibite zuccherate, che pian piano mina la nostra salute, a più complicate, costose e cerebrali: ciascuna in sé potrebbe essere vinta facilmente ma non vogliamo 6 farlo. Quando siamo abbastanza lucidi per concepire un modo alternativo di vivere onde poterci liberare da tutta questa miseria, dopo avere respirato per alcune ore la limpida, scintillante, celestiale euforia della libertà, incontriamo con una resistenza significativa. Rinunciare ad una abitudine è come subire una morte interiore. Ciascun piacere derivato dalle nostre abitudini è avvolto, e nobilitato in modo inaspettato da forti emozioni viscerali. Il nostro sforzo è percepito come una agghiacciante inutile tortura. I nostri sentimenti sembrano cospirare ad ingannarci in modo che noi portiamo avanti in perpetuo, difendendola audacemente da ogni attacco, la causa del nostro continuo impoverimento. Il fascino ipnotico di questa forza è grande, ma non abbiamo alternative: a meno che non vogliamo prosciugare continuamente ogni fonte di vitalità, creare uno dopo l'altro tutti i possibili fallimenti, dobbiamo fermare l'agonia di questa situazione perversa. Sorseggiando ogni goccia del dolore che ne deriva e muovendosi risolutamente verso il nuovo, l'unico conforto è che questa angoscia, anche se ritorna incessantemente, dura sempre di meno. Morirò per vivere! In quei giorni, quando l’istinto mi guidava ad evitare la responsabilità di prendere decisioni cruciali, mentre inesorabilmente scivolavo nell'abitudine di nutrirmi continuamente di innumerevoli memorie di speranze perdute, qualcosa venne in aiuto, infondendo il coraggio di non abbandonare mai la mia severa disciplina. Un amico mi "iniziò" alla seconda Sinfonia di Mahler Resurrezione. Avendo cercato di penetrare il suo significato leggendo tutto quello che potevo trovare su di essa, la ascoltavo rapito nella quiete della mia stanza. Dopo molti entusiasti ascolti integrali, mi ritornava in mente durante il giorno mentre studiavo e mi accompagnava nella vita. Cresceva, si amplificava nei momenti di pace, espandendo gli stati elevati della mia mente. Le parole «Sterben werd ich, um zu leben!» - Morirò per vivere! -, scritte dallo stesso Mahler e cantate dal coro nell'ultimo movimento sinfonico, erano un'eco chiara al mio progetto. Esse divennero come un filo attorno al quale il mio pensiero si cristallizzò, mentre il fascino dell’intera opera ripristinò in un modo chiaro una visione d’infantile bellezza. «Was du geschlagen, zu Gott wird es dich tragen!» (Quello che tu stesso ti sei guadagnato, ti porterà a Dio!) così finiva la poesia. Così lo interpretavo: «Il fatto stesso che hai continuato a lottare, incessantemente, ti ricompenserà con la immersione finale nella Luce». Sebbene avessi letto su Reincarnazione, Karma, Dharma, Maya e simili, non era possibile aderire "ipso facto" a questo modo orientale di pensare; in quel 7 periodo di svolta della mia vita, ricevetti aiuto invece dalle parole cantare in quella sinfonia. Ero determinato a rifiutare il "conforto" dei pensieri, fioche luci della mente, tremolanti nella notte dell'incertezza; ero deciso a porre la parola fine a tutto ciò che non era vero, volevo incontrare la verità assoluta, senza fronzoli non importa quale fosse – ed ero pronto ad attraversare con gli occhi ben aperti un vasto territorio di dolore. Mentre intensificavo il mio sforzo, continuavo a ripetere entro di me: «Morirò per vivere»! Un giorno attraverso un sentiero mal tracciato, raggiunsi un posto in alto: il pensiero fisso era cosa avrei fatto di pratico negli anni a venire onde tenere vivi i miei ideali. I miei studi mi portavano verso un certo tipo di lavoro, necessario per guadagnarmi da vivere e anche per mantenere la mente sempre ben allenata: non c’era la minima incertezza sul fatto che avrei sempre trovato il tempo per una seria ricerca della Realtà che situavo oltre i comuni obiettivi materiali. È chiaro che la mia risoluzione non aveva nulla a che fare con un allargamento della mia conoscenza. Non era un fatto di leggere ma di fare... fare cosa? Le vite dei grandi uomini che ammiravo in campo artistico mi insegnavano a coltivare intensamente una qualche disciplina impegnativa. Fino ad allora, non avevo mai formulato il pensiero di seguire un percorso spirituale: nella mia immaginazione esso si legava ad una chiesa, a rituali... e perciò non era neanche degno essere preso in esame. Di certo potevo riprendere con più serietà di un tempo la pratica dello Hatha Yoga. Considerando anche i benefici per la salute, per la memoria ecc. lo Hatha Yoga era perfetto. Un pensiero mi attraversò immediatamente la mente: prima o poi, fatto i conti anche col Pranayama. Acquistai il libro di B.K.S. Yengar Teoria e pratica dello Yoga. Per un mese, circa un'ora al giorno volava via in una piacevole disciplina. Alla fine del libro c'era una breve introduzione sul luminoso potere del Pranayama. Delle annotazioni prudenziali invece di smorzare il mio entusiasmo e guidarmi ad una estrema prudenza, mi accesero invece un'infuocata volontà di praticarlo intensamente. Lessi che «Il martello pneumatico può spezzare la roccia più dura. Nel Pranayama lo yogi usa i suoi polmoni come uno strumento pneumatico. Se esso non è usato propriamente, esso distrugge sia lo strumento stesso sia la persona che lo usa. La pratica scorretta crea una sollecitazione impropria nei polmoni e nel diaframma. Il sistema respiratorio ne soffre e il sistema nervoso è colpito negativamente. Le stesse basi della salute fisica e mentale verrà scossa da un pratica erronea del Pranayama». 8 Quando lessi quelle linee, un lampo improvviso pose il silenzio e la quiete nel mio essere. Tale avvertimento prudenziale portò il mio interesse alla esasperazione, proprio per il fatto che quanto cercavo di raggiungere era qualsiasi cosa che producesse un cambiamento nel mio intimo. Avevo bisogno di una qualsivoglia "miscela esplosiva" per sopraffare le resistenze interne; persino un "terremoto interno" era da preferirsi alla presente situazione. Forse attraverso quella disciplina avrei potuto imparare il segreto per «morire a me stesso». Una citazione dalla Bhagavad Gita colpì la mia immaginazione: «(Lo yogi) conosce l'eterna gioia, quella che è al di là del confine dei sensi e che la ragione non può afferrare. Abita in questa realtà e non si allontana da essa. Ha trovato il tesoro dei tesori. Non c'è nulla più grande di questo. Colui che lo ha raggiunto non sarà toccato dal più grande dei dolori. Questo è il vero significato dello Yoga – una liberazione dal contatto col dolore e con la disperazione.» Ero veramente emozionato, non avevo mai letto nulla di simile! Ripetevo spesso tale frase a quegli amici cui ritenevo di poter trasmettere il mio entusiasmo. Un'altra idea complementare che si abbinava perfettamente alla precedente derivò dallo studio di Jolande Jacobi La Psicologia Analitica di CG Jung, seguita da Jung, Jaffé (1965) Ricordi, Sogni, Riflessioni. Dopo avere letto tali libri, non potevo non sentire il grande desiderio di cominciare il "processo di individuazione", ma esso richiedeva di aspettare molti anni e guadagnare molto denaro per pagare le mie sedute di analisi! Ma io coltivavo la speranza che il Pranayama potesse aiutarmi a pulire la mia mente inconscia. Avevo fiducia in me stesso, sentivo che potevo fare questo lavoro. Pranayama – routine di base Ora descriverò nei dettagli il modo in cui praticai il Pranayama, premettendo una breve teoria. Questo implica un cambiamento nella natura della narrazione. Non è un compito difficile capire che gli esercizi di respirazione non sono volti ad allenare i muscoli del torace, fortificare il diaframma o creare delle condizioni particolari d’ossigenazione di sangue ma ad agire sull'energia Prana - presente nel nostro sistema psicofisico. Durante tale pratica, si cerca di percepire i flussi d’energia attraverso canali sottili chiamati Nadi. I principali sono Ida, che fluisce verticalmente lungo il lato sinistro della colonna spinale - si dice che possieda una natura femminile - e Pingala - di natura maschile - che fluisce parallelamente alla precedente. 9 Nel mezzo fluisce Sushumna, al di là della dualità collegata alle Nadi laterali. Non è difficile pensare che tali canali, proprio come i tubi che conducono l'acqua nelle case, possano essere "arrugginiti", "sporchi", "ostruiti" e che questo fatto implichi una diminuzione della vitalità nel corpo. L'ammontare dell’"immondizia" nelle Nadi può essere collegata a disarmonia e conflitti nella nostra disposizione d’animo; pulendo questi canali attraverso le tecniche di Pranayama si ottiene una trasformazione interiore che si rifletta anche sulla personalità. Ci sono momenti nella nostra vita nei quali ci sentiamo più esteriorizzati, altri in cui avviene il contrario; in una persona sana quest’alternanza significa un equilibrio tra una vita di rapporti positivi ed un contatto sereno con la profondità del proprio essere. Sfortunatamente, molte persone vivono al di fuori di tale armonia. Colui che è troppo introverso incomincia a perdere il contatto con la realtà esterna, al punto che questa "si farà sentire" esercitando - per reazione - un’eccessiva influenza e quindi distruggerà la pace interiore; chi è troppo estroverso si cagionerà ben presto tutti quei sintomi che sono comunemente considerati l'inizio di una nevrosi. Attraverso la pratica del Pranayama, specificamente la varietà a naricialternate, tali tendenze opposte verranno, almeno temporaneamente, equilibrate. In pratica, ci sarà più gran consapevolezza emotiva, criteri più precisi di valutazione e più abilità di elaborare le informazioni, più grande intelligenza operativa. Da questa più efficiente sinergia tra pensiero e affettività, ne verrà un’emozionalità più intensa e calibrata ed un pensiero logico più chiaro, preciso e completo. Da quest’equilibrio può nascere l'intuizione che permette di scavalcare la logica sequenziale del pensiero razionale ed affrontare al meglio quei momenti della vita in cui si prendono le importanti decisioni. Quando s’incominciano a percepire i primi buoni effetti derivanti dalla pratica, la persona è incoraggiata a persistere, andando anzi sempre più in profondità, cercando "qualcosa di più". Questo "di più" è l’attivazione della corrente Sushumna che, fluendo, crea un'esperienza di gioia, felicità, esaltazione. Questo è l’inizio vero e proprio dell’avventura "mistica", un processo che si mette in moto nonostante il soggetto potrebbe non avere alcun barlume sul significato di tale esperienza. a…Nadi Sodhana. È importante, prima di cominciare l'esercizio, pulire le narici così che il respiro possa fluire liberamente. Questo può essere fatto usando acqua, inalando essenza d’eucalipto e soffiandosi il naso. Talvolta qualcuno si lamenta del fatto che una delle due narici è sempre ostruita: questo è un problema medico che va preso nella dovuta considerazione. Se l’ostruzione è 10 causata da un serio raffreddore, non si dovrebbe praticare nessun esercizio di Pranayama. Per incominciare, la bocca deve essere chiusa, la narice destra deve essere tenuta chiusa dal pollice destro e l’aria è lentamente, uniformemente e profondamente inspirata attraverso la narice sinistra. L’inspirazione dura da sei a dieci secondi. È importante non esagerare e sentire l’esercizio come faticoso. Dopo avere inspirato attraverso la narice sinistra, si chiude la narice sinistra col mignolo ed anulare - sempre della stessa mano – e si espira attraverso la narice destra, sempre secondo lo stesso lento, uniforme e profondo ritmo. Poi, le narici si scambiano il ruolo: mantenendo chiusa la narice sinistra, l’aria è lentamente, uniformemente e profondamente inspirata attraverso la narice destra. Poi, chiudendo la narice destra col pollice, l’espirazione avviene attraverso la narice sinistra, sempre in modo lento, uniforme e profondo. Questo è un ciclo: all’inizio se ne fanno sei, poi dodici. Si può usare un conteggio mentale per essere sicuri che inspirazione ed espirazione abbiano la stessa durata. Una breve pausa per un conteggio mentale di tre, avviene dopo ciascun’inspirazione. Le dita possono essere usate per aprire e chiudere le narici in diversi modi ed ognuno può fare come preferisce.2 b…Ujjayi La tecnica consiste nell'inspirare profondamente e poi espirare attraverso entrambe le narici, producendo un suono/rumore nella gola. Durante l’espirazione tale suono non è forte come durante l'inspirazione. Dopo la pratica d’alcuni giorni, l'azione respiratoria si allunga senza sforzo. Quest’esercizio è praticato normalmente per dodici volte. Un conteggio mentale aiuta a far sì che inspirazione ed espirazione abbiano la stessa durata. È importante non solo concentrarsi sul processo stesso, ma anche sul senso di benessere e di calma indotta; in tal modo la concentrazione si approfondisce. c…Bandha Il collo e la gola sono leggermente contratti, mentre il mento s’inclina verso il petto (Jalandhara Bandha). I muscoli addominali sono leggermente contratti per intensificare la percezione d’energia nella spina dorsale (Uddiyana Bandha). I muscoli del perineo - tra l'ano e gli organi genitali - sono contratti come a volerli sollevare verticalmente e inoltre, in contemporanea, la parte 2 Una tradizione suggerisce che l'espirazione duri un tempo doppio di quello usato per l'inspirazione, mentre la pausa dopo l'inspirazione duri un tempo di ben quattro volte tanto. Non ho mai applicato tali consigli, trovandoli innaturali. 11 inferiore dell'addome è premuta indietro (Mula Bandha). I tre Bandha sono applicati simultaneamente e mantenuti per approssimativamente quattro secondi onde provocare una lieve vibrazione del corpo; quest’esercizio è ripetuto per tre volte. Col tempo può essere percepita una sensazione di corrente energetica che sale lungo la colonna spinale, un brivido interno quasi estatico.3 d…Concentrazione finale Con un atteggiamento di profondo rilassamento, l'attenzione, per almeno cinque minuti, è intensamente indirizzata nel Kutastha - il punto tra le sopracciglia. Primi effetti Attraverso una pratica seria, volli vedere da me se la disciplina del Pranayama era realmente dotata di tale forte potenzialità. Intrapresi questa pratica in un "modo assoluto", con una concentrazione feroce, quasi fosse la mia unica ragione di vita. Ricordo con nostalgia quest’intensità, ogni qual volta mi accorgo che difetto della spontaneità iniziale. Praticai la routine descritta il mattino e la sera, stando attento a che lo stomaco fosse vuoto. Essa era preceduta da qualche esercizio di stretching o, quando avevo più tempo, da qualche semplice Asana. Quindi assumevo la posizione del mezzo-loto, seduto sul bordo di un cuscino e tenendo la schiena in posizione diritta. Mi concentravo con zelo nell’applicare correttamente le istruzioni unendovi uno spirito di inventiva; mi concentravo alternativamente sulle sensazioni alternate di fresco e di tepore prodotte dall’aria che sfiorava la mano, usata per aprire e chiudere le narici. La pressione, il lieve e uniforme fluire del respiro… ogni dettaglio si rivelò molto piacevole. Divenendo consapevole di ciascun particolare tecnico riuscivo a mantenere una vigile attenzione senza esserne stressato. Talvolta nei primi giorni di sole dopo l'inverno, quando i cieli erano cristallini, blu come non lo erano mai stati, praticai spesso all'aria aperta. Contemplavo ciò che mi circondava: se in una fossa piena di vecchi cespugli, ricoperti di edera, il sole riversava la sua luce su dei fiori come quelli che un mese prima erano sbocciati durante i freddi giorni invernali ed in quel momento si attardavano nonostante i giorni più miti, quest’incantevole radiosità, mi ispirava. 3 Queste "contrazioni" portano l'energia nella colonna spinale. 12 Mai avrei pensato che lo Yoga mi potesse guidare verso la dimensione del godimento estetico: potevo solo immaginare che, qualora dall’esterno provenisse uno stimolo estetico, lo Yoga potesse fornirmi una duratura base di lucidità, aiutandomi così a mantenere la sua bella atmosfera durante la vita quotidiana. Ma ora sentivo che la percezione delle cose era cambiata; cercavo ovunque dei colori intensi restando affascinato da essi come se fossero una sostanza materiale che potevo toccare e accogliere in me. Guardandomi intorno, appariva un panorama tra le foglie: un gruppo di case distanti che circondavano un campanile. Chiudevo gli occhi e mi affidavo ad un’interna radiosità. Dopo alcune settimane di pratica entusiasta, durante un quieto pomeriggio, poco prima del tramonto, camminavo in mezzo agli alberi. Dando ogni tanto un breve sguardo ad un commento di alcune Upanishad, che portavo con me, una frase risvegliò una consapevolezza del tutto nuova, ma nello stesso tempo antichissima: «Tu sei Quello»! Chiusi il libro e cominciai a ripetere estasiato quelle parole. Non so se la mia ragione riusciva ad afferrare l’incommensurabile implicazione di quell’affermazione, ma sì … io ero quella luce che filtrava attraverso le foglie, di un verde incredibilmente delicato perché era primavera ed erano appena nate. A casa, non tentai neppure di stendere su carta il "momento di grazia" esperito - non sarei stato capace di farlo. Il mio unico desiderio era di immergermi sempre più in questa nuova sorgente interiore di comprensione e illuminazione. Solo quella particolare "luce" poteva instillare nel mio essere un equilibrio sovrumano e impedirmi dall'agire, per quanto riguarda i rapporti umani, guidato da impulsi distruttivi generati da enormi, incontrollabili emozioni nutrite dalla linfa grigiastra della mie paure. Tante volte ebbi occasione di osservare un cambiamento nel funzionamento complessivo della mia mente - memoria, concentrazione... - questo accadeva sopratutto durante gli esami. Alcuni minuti prima di sostenere un esame, praticando un po’ di Pranayama, ero investito da un’improvvisa calma che durava per l’intero esame, non importa quale fosse l'atteggiamento dell'esaminatore. Non mi sentivo nervoso per niente. Ero capace di essere totalmente padrone delle mie parole, tanto da esprimere non solo quello che sapevo, ma anche qualche cosa più - come se alcuni concetti divenissero allora chiari per la prima volta. Intraprendere la pratica del Pranayama fu come piantare un seme nella 13 desolazione della mia anima: crebbe illimitatamente in gioia e libertà interiore. La consuetudine stabilitasi di gioire del flusso controllato del mio respiro cambiò il corso della mia vita: questa disciplina implicò molto di più che smussare le disarmonie e conflitti entro la mia personalità o raffinare la capacità del godimento estetico. Essa si prese cura della mia speranza e la portò avanti. Risveglio di Kundalini Avvenne qualcosa di nuovo, di radicalmente diverso da qualsiasi cosa mai sperimentata prima. Fu un particolare evento "intimo". Tuttavia, siccome è una conseguenza ben-definita conseguita attraverso la pratica del Pranayama, penso sia corretto condividerla accuratamente. Una notte, assorbito nella lettura, ebbi un brivido, come una corrente elettrica che attraversava il corpo. L'esperienza non aveva nulla di speciale, ma l’intuito mi annunciò un'esperienza più profonda. I minuti trascorrevano, ma non ero capace di proseguire con la lettura; percepivo un senso di inquietudine che si trasformò in ansia, e poi divenne paura, una paura intensa di qualche cosa di ignoto, una minaccia alla mia esistenza. Non avevo davvero mai provato un simile terrore. In momenti di pericolo, mi era capitato di restare come paralizzato, incapace di pensare, ma ora l'ansia era di qualità diversa, era panico per qualche cosa d’alieno all'esperienza comune, qualche cosa di assolutamente imprevedibile. Mentre la mente prevedeva le peggiori ipotesi su quanto stava per accadere, sentivo l'urgenza di fare qualcosa, anche se non sapevo cosa. Assunsi la posizione di meditazione ed attesi. Mi sembrava d’essere vicino alla pazzia - o alla morte. Una parte di me, forse la totalità di quell'entità che io chiamo "me stesso", sembrava al punto di scomparire; i peggiori pensieri, minacciosi, erano sospesi sopra di me senza una chiara ragione.4 4 In quei giorni avevo finito Kundalini, l'energia evolutiva dell’uomo di Gopi Krishna. L'autore descriveva come, seguendo un’intensa pratica di concentrazione sul settimo Chakra, aveva avuto un'esperienza splendida di "risveglio", mentre, dopo di ciò, probabilmente poiché il corpo non era preparato, aveva incontrato dei seri problemi fisici e, di riflesso, anche psichici. Secondo quella descrizione, nel suo corpo un'energia si era messa in movimento dalla base della spina dorsale verso il cervello. Talmente forte era il flusso da costringerlo a letto ed impedire il completamento delle normali funzioni fisiche. Aveva l’impressione di stare letteralmente bruciando di un fuoco interno, che non riusciva a spegnere in alcun modo. Settimane più tardi egli scoprì intuitivamente come controllare il fenomeno, il quale rivelò la sua natura come una esperienza di realizzazione spirituale. Per quel che mi riguarda, temevo di essere arrivato alla soglia della stessa esperienza ma, siccome non vivevo in India, ero 14 Il mondo spirituale mi sembrava un orribile incubo, capace di distruggere, annientare la persona che gli si era imprudentemente avvicinata. La vita consueta, al contrario, mi sembrava la realtà più cara, più sana. Temevo di non riuscire più a ritornare in quella condizione. Ero convinto, nel modo più assoluto, che una malattia mentale stesse facendo a pezzi il mio essere: la ragione era che avevo aperto una porta a ciò che era molto più immenso di quanto potevo prefigurarmi. Decisi di fermare l’esperienza e rimandare, se possibile, il momento fatale. Non ero nell'umore adatto per rimanere nella posizione di meditazione. Sentivo che dovevo alzarmi, uscire all'aria aperta. Era notte e non c'era alcuno a cui comunicare il mio terrore! Al centro del cortile di casa mi trovavo oppresso, soffocato, schiacciato da un sentimento di disperazione, invidiando quelle persone che non avevano mai praticato lo Yoga, provando rimorso perché, attraverso parole aspre, avevo ferito un amico. Questi, come molti altri, aveva un tempo preso parte alla mia ricerca; poi aveva rinunciato alla pratica e si era preoccupato soltanto di godersi la vita. Dotato di una giovanile baldanza, gli avevo indirizzato parole per nulla affettuose, e queste mi rintronavano ora in testa; provavo dolore per aver espresso una crudeltà ingiustificata senza sapere che cosa realmente vi fosse nella mente e nell’anima dell’amico. Avrei fatto qualsiasi cosa per averlo di nuovo davanti a me, per potergli dire quanto mi spiaceva. Sentivo di aver violato brutalmente il suo diritto a vivere come meglio credeva; lui non aveva cercato altro che la salute psicologica e non si era arrischiato ad avventurarsi in pratiche di cui non si sentiva sicuro e che, intuiva, avrebbero potuto arrecargli più problemi di quanti non ne avesse. Considerata la mia gran passione per musica classica, pensai che una bella musica avrebbe avuto un effetto calmante, forse una protezione dall'angoscia, forse un aiuto per ritornare indietro... perché non tentare? Fu la musica di Beethoven - il suo Concerto per violino ed orchestra – a calmarmi e, mezz’ora dopo, a conciliarmi il sonno. La mattina seguente mi svegliai con la stessa paura. Il concetto di una Intelligenza divina presente ovunque e di una disciplina atta a far sorgere la mia consapevolezza di essa, mi comunicava un senso di orrore! La luce del sole entrava nella stanza attraverso le fessure delle imposte. Avevo un intero giorno davanti a me. Sarei uscito di casa per cercare di distrarmi in mezzo ad altre persone. Incontrai degli amici ma non dissi nulla di quello che stavo sperimentando. Passai il pomeriggio scherzando su varie cose, spaventato dal fatto che le persone attorno a me potessero non capire; in tal caso le conseguenze sarebbero state terribili! Nessuno avrebbe potuto assicurarmi che, come accadde a Gopi Krishna, essa si sarebbe indirizzata verso un esito corretto, benefico. 15 comportandomi proprio come le persone che avevo sempre considerato pigre e intellettualmente spente; riuscii a nascondere la mia angoscia. Il primo giorno passò così - la mia mente era logora. Dopo due giorni la paura diminuì e finalmente mi sentii sicuro. In ogni modo, qualche cosa in me era cambiata: non riuscivo infatti a pensare allo Yoga: rifuggivo da quell'idea! Una settimana più tardi, distaccato e calmo, cominciai a pensare al significato di quello che era accaduto. Compresi la natura della mia reazione. Avevo, da codardo, volto le spalle proprio all'esperienza che avevo perseguito per così lungo tempo! La dignità presente nel profondo del mio animo mi diceva che dovevo ricominciare la ricerca dal punto dove l’avevo abbandonata, accettando tutto quello che sarebbe accaduto, lasciando che ogni cosa seguisse il suo corso, anche se ciò potesse implicare la perdita della mia vita o della salute mentale. Ripresi la pratica del Pranayama, intensamente come prima. Alcuni giorni passarono e non percepii alcuna forma di paura; poi sperimentai qualche cosa di tremendamente bello – molti lettori riconosceranno nella seguente descrizione la loro stessa esperienza. Era notte. Mi trovavo rilassato in Savasana, quando percepii una piacevole sensazione, come se un vento elettrico stesse soffiando nella parte esterna del corpo, propagandosi rapidamente e con un moto ondoso, dai piedi alla testa. Il corpo era così stanco che non potevo muovermi, anche se la mia mente impartì l’ordine di muovermi. La Tranquillità era così profonda, che non avevo alcun timore. Ero capace di mantenere la totalità del mio essere assolutamente composta e serena. Poi il vento elettrico fu sostituito da un’altra sensazione, comparabile ad un’enorme forza che entrava nella spina dorsale e rapidamente saliva al cervello. Quell'esperienza fu caratterizzata da un indescrivibile e fino allora ignoto senso di beatitudine, e tutto fu accompagnato dalla percezione di un’intensa luminosità. Posso condensare tutto ciò che riesco a ricordare con un’espressione - «una certezza chiara ed euforica di esistere come oceano illimitato di consapevolezza e beatitudine! ». Nell’opera Dio esiste, io l’ho incontrato, l'autore, A. Frossard, tenta di descrivere un'esperienza simile usando il concetto di "valanga al contrario". La valanga è qualcosa che crolla, che va in giù, prima lentamente, poi in modo più veloce e violento allo stesso tempo. Frossard suggerisce di immaginare una "valanga al contrario" che comincia raccogliendo le forze ai piedi della montagna e sale verso l'alto spinta da un potere che aumenta e poi, improvvisamente, fa un balzo verso il cielo. Non so quanto tempo durò quest’esperienza, ma il suo culmine fu di soli pochi secondi, dopo i quali la 16 mia coscienza mollò la presa e si lasciò cadere in un sonno calmo ed ininterrotto. La cosa strana è che nell'istante in cui la ebbi, la trovai familiare. Era come se i miei pensieri fossero delle escrescenze nate da essa. Quando finì, mi girai di lato e caddi in un sonno calmo, ininterrotto. Il giorno seguente, quando mi svegliai, non ci pensai; mi ricordai di essa solo alcune ore più tardi, durante una passeggiata. Fui preso dalla bellezza di quell’esperienza e, appoggiandomi ad un albero, per molti minuti fui letteralmente affascinato dal quel ricordo e dal riverbero di quello stato d’anima. Il pensiero cercava di familiarizzarsi - compito impossibile - con un'esperienza che lo travalicava. Tutto ciò che fino allora avevo pensato sullo Yoga non aveva affatto importanza. Per me l'esperienza era come essere stato colpito da un fulmine. Non avevo nemmeno la possibilità di scoprire quali parti di me erano ancora là e quali erano scomparse per sempre, non ero capace di capire realmente quello che mi era accaduto, piuttosto non ero sicuro se "qualcosa" fosse davvero accaduto. 17 CAPITOLO I/2… UN'ORGANIZZAZIONE DI KRIYA Una certezza d’eternità, una condizione euforica che si distendeva oltre i confini della mia consapevolezza - come una specie di memoria che si nascondeva nei recessi della coscienza - cominciò a rivelarsi come se una nuova regione del mio cervello fosse stata stimolata verso una condizione di pieno risveglio. In seguito, tante volte fui testimone del ripetersi dell’esperienza. Quando mi impegnavo nello studio fino a notte tarda concedendomi, ogni tanto, un brevissimo riposo, nel momento in cui alla fine della giornata, esausto, mi distendevo per dormire, dopo alcuni minuti avveniva e talvolta la salita dell'energia si verificava più di una volta. Naturalmente, appariva solo a condizione che, nello stesso giorno o il giorno prima, avessi praticato profondamente le mie tecniche di Yoga. Più avanti nel tempo, ebbi una occasione di notare qualcosa di interessante di essa parlando con una persona che aveva avuto la stessa esperienza. Avveniva, preferibilmente, quando uno, pervaso da un’intensa aspirazione spirituale, sceglieva una qualsivoglia pratica di meditazione che includesse una intensa concentrazione nel Kutastha per lo meno per venti minuti e poi si dedicasse ad un lavoro mentale che richiedesse una continua concentrazione, senza cedere alla tendenza di addormentarsi. La mia routine infatti terminava sempre con una concentrazione molto intensa sul Kutastha, come se la mia vita dipendesse dal risultato di tale azione. L'abitudine di studiare fino a tardi creava la condizione favorevole, una dimensione intermedia tra sonno e veglia. Non seppi fare a meno di utilizzare la realtà della vita quotidiana come un campo di osservazione: nella mia giovanile baldanza ero convinto di riuscire a vedere le persone come in trasparenza. Commisi l’errore di voler discutere con altri delle mie opinioni. Siccome per me la miseria umana consisteva in un solo fatto: la tirannia dei pensieri incontrollati e delle emozioni istintive e selvagge, cercavo di rendere i miei amici consapevoli di ciò. Infatti, il loro modo di agire e di esprimersi mi appariva come accompagnato da una specie di isteria la quale incarnava un inganno mentale: volevano creare una immagine totalmente falsa di sé. L'enorme quantità di energia sprecata in questa commedia, era controbilanciata da periodi in cui davano l'impressione di "implodere" in se stessi. Scomparivano per un certo tempo e, strano a dirsi, non riuscivano più a tollerare la presenza di quegli amici che dicevano di amare così tanto. Credevo che il Pranayama avesse il potere di farli vivere meglio rivelando la gioia di fondo dietro la non necessaria auto tortura delle loro sceneggiate. 18 Parlai un po’ troppo, tanto da generare una violenta reazione. Lasciamo perdere la diagnosi di pazzia o di seri disturbi mentali, che alcuni formularono, quasi per scongiurare la fatica di ascoltarmi attentamente. Risposero che ero incapace d’amare, di rispettare e di mostrare disponibilità umana verso gli altri. Indubbiamente la mia analisi e rimedio erano "troppo semplici e disadorni". La trasparenza mentale di cui parlavo sembrava un vuoto insignificante, qualche cosa di innaturale; aveva il sapore della «morte», era come una morsa fredda e dolorosa che minacciava di estinguere ogni gioia nella loro vita. Solamente un amico, un "Hippy" (eravamo negli anni settanta), manifestò un po' di empatia; l'unica cosa che considerava impropria era il mio zelo nella disciplina. Gli altri continuarono a rivoltarsi contro di me con amarezza. Ne nacque un periodo in cui, disorientato, mi chiesi quale fosse il ruolo della sincerità e onestà nell'amicizia. Cominciai a sospettare di star sfruttando l’amicizia solo per discutere le mie teorie. Dovetti cedere e ammettere che, almeno per il momento presente, non ero capace di esprimere vero amore. Prime informazioni sul Kriya Proseguii lungo la strada che mi ero scelto, ben deciso a migliorare, senza alcun limite, l’arte del respiro. Dopo avere acquistato le opere di Ramakrishna e Vivekananda e un bel libro coi commenti agli Yoga Sutra di Patanjali - una antica opera, fondamentale per capire le basi dello Yoga, specialmente del Pranayama - decisi in fine di acquistare l’autobiografia di un Santo Indiano, un libro da cui già ero stato attratto anni prima ma che non avevo acquistato. Preferivo i manuali pratici, ma pensai che avrei potuto trovarvi delle buone informazioni, degli indirizzi di valide scuole di Yoga. L’autore che indicherò con P.Y. 5 era un esperto di quel genere di Pranayama, che fu per primo insegnato da Lahiri Mahasaya col nome di 5 Il lettore mi perdonerà se non menziono il nome di P.Y. - non è difficile comunque dedurne l’identità! Ci sono molte scuole di Yoga che diffondono i suoi insegnamenti secondo una precisa legittimazione. Una di queste, attraverso i suoi rappresentanti, mi fece comprendere che non solo non avrebbe tollerato la minima violazione del Copyright, ma che non gradiva che il nome del loro amato Maestro venisse, in Internet, mescolato a discussioni sul Kriya. La ragione va ricercata nel fatto che, in passato, delle persone usarono quel nome per fuorviare la ricerca di un gran numero di ricercatori che stavano cercando di ricevere gli insegnamenti originali. Voglio porre l’accento sul fatto che nelle pagine seguenti mi soffermerò solo sommariamente sulla mia comprensione dei Suoi insegnamenti, senza alcuna pretesa di riuscire a dare un resoconto obiettivo di essi. Un lettore interessato non dovrebbe rinunciare al privilegio di rivolgersi alla letteratura originale! 19 Kriya Yoga. Egli scrisse che questa tecnica avrebbe dovuto essere padroneggiata in quattro stadi successivi. Questo fatto accese la mia curiosità. Lahiri Mahasaya era dipinto come l'incarnazione dello Yoga: questo mi faceva pensare che ci doveva essere qualcosa di unico nel suo "sentiero"! Amavo il Pranayama e l’idea di approfondirlo attraverso quattro livelli mi sembrava qualcosa di meraviglioso: se le tecniche che avevo già praticato mi avevano dato risultati così belli, era chiaro che un sistema fatto di quattro livelli li avrebbe ingigantiti! Cominciai ad esplorare tutta la letteratura che riuscivo a trovare sul Pranayama e continuai a leggere i libri di P.Y. Ero stupito dalla sua personalità, dotata d’incomparabile potere di volontà e spirito pratico. Non mi emozionava quando parlava con un tono puramente devozionale, bensì quando assumeva un tono tecnico che mi permetteva di avvicinarmi a qualche aspetto dell'arte sottile del Kriya – allora la consideravo un'arte in continuo perfezionamento, non un impegno religioso. Ciò che riuscii a intuire fu che il Kriya consisteva di un modo di respirare lento e profondo, mentre la consapevolezza era focalizzata sulla spina dorsale. In qualche modo l'energia interiore veniva fatta ruotare attorno ai Chakra. L'autore poneva l’accento sul valore evolutivo del Pranayama, non solo includendo il lato spirituale di un uomo ma anche i suoi lati fisici e mentali. Spiegava che se noi paragoniamo la spina dorsale ad una sostanza ferromagnetica, costituita, come insegna la Fisica, di magneti elementari che si volgono verso la stessa direzione quando un campo magnetico è sovrapposto ad essi, allora l'azione del Pranayama è analoga a questo processo di magnetizzazione. Creando un orientamento uniforme di tutte le parti "sottili" dell’essenza fisica e astrale della nostra spina dorsale, il Pranayama avrebbe bruciato i cosiddetti "cattivi semi" del nostro Karma. Ci riferiamo al Karma allorquando riportiamo la comune credenza che una persona erediti dalle vite precedenti una gran massa di tendenze latenti, comparabili a semi destinati a fiorire, alla fine, nella vita attuale. Naturalmente il Kriya è una pratica che può essere sperimentata senza dovere necessariamente accettare alcun credo, comunque siccome il concetto di Karma sta alla base del pensiero indiano, ecco perché vale la pena di parlarne liberamente. Secondo questa credenza, il Pranayama può essere considerato un processo che esaurisce gli effetti di quei semi prima che diventino manifesti nella vita. È spiegato ulteriormente che le persone che sono attirate intuitivamente da metodi di sviluppo spirituale come il Kriya, hanno già praticato qualcosa di analogo nell’"incarnazione precedente". Si fa notare, infatti, che tale azione non è mai invano e nella presente incarnazione la 20 persona riprende il suo cammino esattamente da dove, in un passato remoto, lo aveva abbandonato. Mi chiedevo se i quattro livelli del Kriya consistessero in un processo sequenziale di raffinare la corda spinale o nel risveglio di particolari aree nel cervello. Il mio problema urgente era decidere se dovevo, o no, partire per l'India dove cercare un insegnante per ottenere tutti i chiarimenti necessari al Kriya. Siccome progettavo di completare al più presto possibile i miei studi universitari, esclusi un viaggio immediato. Mi decisi piuttosto a rimanere dov’ero e tentare di migliorare il Pranayama usando i libri che potevo trovare - poco importava in che lingua fossero scritti. Ora sapevo cosa ricercare: un tipo di Pranayama in cui si dovesse visualizzare o percepire l'energia che ruota in qualche modo attorno ai Chakra. Se questo era - come P.Y. affermava - un processo universale, avevo delle buone probabilità di rintracciarlo presso altre fonti. Qualcosa riposto in un angolo della mia memoria mi ritornò vivo davanti agli occhi. Quando ero piccolo, leggevo tutto ciò che mi capitava tra le mani, specialmente libri censurati dalla Chiesa o, per qualche ragione, considerati non adatti alla mia età; ero orgoglioso di esercitare una totale libertà di scelta; non badavo ad alcun suggerimento. Sprecai molto tempo in letture di poco conto; tra quel gran mucchio non era possibile distinguere in anticipo i libri che avevano un po' di valore da tanti altri che, pur avendo un titolo allettante contenevano le invenzioni di coloro che amavano sbalordire le persone. Alla fine compresi di aver fatto un viaggio in un caos indistinto. Capivo con amarezza che i segreti più preziosi erano ancora ben nascosti a me in qualche altro libro che non ero stato abbastanza fortunato di trovare. Ma torniamo a noi, mi ricordavo, indistintamente, di aver visto dei disegni che ritraevano, di profilo, una persona: c’erano diversi circuiti di movimento energetico che attraversavano il suo corpo. Nacque l’idea di cercare la necessaria informazione nella sfera esoterica piuttosto che nei libri classici di Yoga – come gli Yoga Sutra di Patanjali, lo Hatha Yoga Pradipika... Cominciai a frequentare una rivendita di libri usati; era molto ben fornita, probabilmente perché una volta era stata la libreria di riferimento della Società Teosofica. Trascurai i testi che trattavano solo di temi filosofici, mentre, estatico e senza badare al tempo, sfogliavo quelli che illustravano degli esercizi pratici. Prima di acquistare un libro mi assicuravo che contenesse istruzioni relative alla possibilità di guidare l'energia lungo i canali interni, meglio se esse promettevano di creare un'azione di risveglio dell'energia Kundalini. Fin dalla prima visita fui molto fortunato; leggendo l'indice di un testo in tre volumi, che presentava il pensiero magico di una famosa confraternita, fui 21 attirato dal titolo di un capitolo: Esercizio di respirazione per il risveglio di Kundalini. Si trattava di un approfondimento del Nadi Sodhana; questo era, secondo gli autori, il segreto per svegliare l'energia misteriosa! Tentando di ricostruire la tecnica a memoria - poiché non la sto praticando più e non possiedo quel libro - ricordo che il segreto era di inspirare attraverso la narice sinistra, visualizzare una corrente energetica che dal naso scendeva entro il corpo fino alla base della spina dorsale; la sillaba sacra Om colpiva tre volte il Chakra Muladhar. Poi, espirando, una corrente partiva dal Muladhar, saliva nel corpo, in particolarmente nella spina dorsale, ed era chiaramente percepita. Delle note ammonivano che l'esercizio non doveva essere usato in modo esagerato, perché rischiava di risvegliare Kundalini prematuramente. Ciò doveva essere evitato con tutti i mezzi. Di sicuro, questo non poteva essere il Kriya di P.Y., il quale, da vari indizi, non era eseguito respirando alternativamente attraverso le narici. Continuai a frequentare la libreria; il proprietario era molto gentile con me ed io mi sentivo quasi obbligato, anche in considerazione del prezzo conveniente dei libri - di seconda mano ma in condizioni perfette - di comprarne almeno uno ad ogni visita. Spesso troppo spazio era destinato a teorie che rifuggivano dai semplici concetti che trattavano della vita pratica, cercando di descrivere quello che non è visto, quello che non può essere sperimentato - i mondi astrali, i vari gusci sottili d’energia che avvolgono il nostro corpo fisico. Un giorno, dopo una faticosa selezione, mi avvicinai al proprietario tenendo in mano un libro; forse mi lesse negli occhi che non ero sicuro del suo valore e mentre lo riguardava decidendo il prezzo, sembrò ricordare qualche cosa che avrebbe potuto accendere il mio interesse. Mi condusse in un angolo nascosto del suo negozio e m’invitò a frugare in un mucchio disordinato di fogli contenuti in una scatola di cartone. Tra una quantità consistente di materiale miscellaneo (serie complete della rivista teosofica, note sparse di un vecchio corso di ipnosi ecc.) - trovai un libretto, scritto in tedesco da un certo K. Spiesberger che illustrava, tra alcune tecniche esoteriche, delle tecniche di Mantra: mi imbattei nel Respiro Kundalini. Non avevo allora abbastanza dimestichezza con la lingua tedesca, ma riuscii ad intuire subito la straordinaria importanza di quella tecnica; a casa, con l'aiuto di un dizionario, sarei riuscito indubbiamente a decifrarla.6 6 Sorrido quando sento persone affermare di essere appassionate di Kriya, e tuttavia non si danno da fare nello studiare importanti testi in inglese, avendo paura – così dicono - di interpretare male tale idioma! Sono convinto che il loro interesse è superficiale e piuttosto emotivo. Tale era il mio entusiasmo, che sarei stato in grado di mettermi a studiare il Sanscrito o il Cinese, o qualsiasi altra lingua nella quale, ahimè, 22 La descrizione del Respiro Kundalini ancora mi stupisce; l’autore, infatti, non era tanto vicino al Kriya di Lahiri Mahasaya quanto alla versione portata in occidente da P.Y. Durante un respiro profondo, l'aria era immaginata, invece del suo corso abituale, fluire dentro la colonna spinale; era perciò indicata la visualizzazione di questa come un tubo vuoto. Inspirando l'aria, questa doveva essere immaginata fluire dentro il tubo cavo dalla base fino alla zona tra le sopracciglia; espirando, si sarebbe dovuto sentire che l'aria andava in giù verso il Muladhar lungo lo stesso percorso. C'era anche la descrizione di due particolari suoni che l'aria originava nella gola. In un altro libro, in Inglese, c’era una descrizione esaustiva del Respiro Magico - che era circa lo stesso esercizio, ma la differenza consisteva nel visualizzare/sentire l'energia intorno alla spina dorsale, seguendo un percorso ellittico, non entro di essa. Tramite l'inspirazione, l'energia saliva dietro la colonna spinale, fino al centro della testa; espirando, scendeva lungo la parte frontale del corpo, proprio come nel "Piccolo Circolo", la tecnica descritta nei testi dell'Alchimia Interiore che rappresenta la tradizione mistica dell’antica Cina. Lasciai da parte tutto l'altro materiale. L’espressione di soddisfazione con la quale mi presentai al proprietario della libreria, come se avessi trovato un tesoro di valore insondabile, mi cagionò certamente un aumento di prezzo. Ritornando a casa, non potevo non trattenermi dallo sfogliare quelle pagine, molto curioso a riguardo di alcuni disegni grezzi che illustravano altre tecniche basate sul movimento dell’energia interiore. Lessi che il Respiro Magico era, presso le scuole esoteriche, uno dei segreti più preziosi di tutti i tempi: questo mi riempii del più grande entusiasmo. Se praticato costantemente, con forza di visualizzazione, avrebbe costruito una specie di sostanza interna che avrebbe poi condotto alla visione dell'occhio spirituale. Mi convinsi che il Respiro Magico era sicuramente il Kriya di Lahiri Mahasaya. Lo incorporai nella mia routine quotidiana: esso sostituiva la pratica dell' Ujjayi Pranayama. Ero molto soddisfatto anche se nelle settimane successive non percepii dei sostanziali mutamenti negli effetti. Mentre cercavo tutti i modi possibili per trovare le informazioni che mi servivano, rileggendo un testo di P.Y. venni a sapere, con mio grande stupore, che questi aveva scritto un intero corso di lezioni sul Kriya, e che queste si potevano ricevere per corrispondenza. Ciò mi avrebbe risparmiato, almeno per alcuni anni un viaggio in India. Mi iscrissi il più velocemente possibile a tale corso. fossero stati compilati gli insegnamenti essenziali del Pranayama! 23 Far parte di un'organizzazione e di un gruppo di meditazione Un giorno, attendendo l’arrivo delle lezioni, giunse una lettera della organizzazione mi informava dell’esistenza di altre persone, vicino a me, che praticavano il Kriya Yoga e che avevano formato un gruppo. Ne fui entusiasta, fremevo dell’anticipazione gioiosa di incontrarle. Quella sera riuscii a stento a prendere sonno. Il primo contatto avvenne incontrando il kriyaban (colui che pratica il Kriya) che organizzava quelle riunioni. Con grande entusiasmo ed una specie d’euforia, nutrita dalle mie recenti esperienze spirituali, mi avvicinai a lui nella speranza di ricevere maggiori dettagli sul Kriya. Ricordo il nostro incontro con particolare emozione; questo fu davvero un evento chiave. «Troppo brillanti erano i nostri cieli, troppo distante, troppo fragile la loro eterea sostanza», scrisse Sri Aurobindo: non avrei mai pensato che alle conseguenze del nostro incontro si sarebbero potute applicare tali parole! Se mi fosse permesso di usare una certa amara ironia, oserei affermare che la fase attuale della mia esistenza era troppo un felice per durare. La vita è fatta di brevi momenti di tranquillità ed equilibrio immersi tra alternate vicissitudini durante le quali una persona soffre sulla sua pelle i problemi, le limitazioni, le deformazioni causate dalla mente umana. Avvicinandomi a tale personaggio con totale e disarmante sincerità, non potevo rendermi conto di quale duro colpo stessi per ricevere. Visibilmente emozionato, mi diede il benvenuto, sinceramente entusiasta di incontrare uno con cui condividere la sua passione. Sin dal primo istante del nostro incontro - non avevo ancora varcato la soglia della sua casa - gli dissi quanto fossi entusiasta della pratica del Kriya! Di rimando mi chiese quando fossi stato iniziato al Kriya, dando per scontato che l’avessi ricevuto dalla stessa organizzazione di cui lui era un membro. Come venni a sapere, egli praticava il Kriya da non più di un anno, avendo ricevuto istruzione in questo da parte di un discepolo diretto di P.Y.. Quando seppe come avevo imparato la tecnica, rimase come pietrificato, mostrando un sorriso amaro di sconforto. Era come se gli avessi dichiarato di essere l'autore del più gran crimine. Mi disse con enfasi che il Kriya non poteva essere appreso attraverso libri. Cominciò il racconto - che in seguito avrei avuto l'opportunità d’ascoltare tante volte fino alla nausea - dello yogi tibetano Milarepa che, avendo acquisito senza le benedizioni del suo Guru, delle tecniche spirituali, non ricavando risultati incoraggianti anche se queste erano state praticate con grande intensità, ricevette finalmente le stesse istruzioni dalla bocca del suo Guru - con le benedizioni di questo - ed i risultati questa volta arrivarono facilmente! Sappiamo che la mente umana è condizionata più da una storia 24 che dall'inferenza logica! Un aneddoto come questo, anche se completamente immaginato, tanto per costruire la trama di un romanzo, possiede un genere di "luminosità interna" che condiziona il buon senso di una persona: suscitando una emozione in noi, può far accettare conclusioni che apparirebbero assurde alla facoltà raziocinante. Questa storia mi ammutolì, non seppi cosa rispondere. C'era solamente un modo per imparare il Kriya: essere iniziato da un "Ministro" autorizzato dalla direzione della sua organizzazione! Secondo quanto diceva, nessun'altra persona era autorizzata a insegnare quella tecnica. Fissandomi direttamente negli occhi, con un enorme impatto emotivo cominciò a dirmi che una pratica imparata da qualsivoglia altra fonte «non valeva nulla, non sarebbe stata effettiva per quanto riguarda la finalità spirituale», ed eventuali effetti, solo apparentemente incoraggianti, sarebbero stati «solo una pericolosa illusione nella quale l'ego sarebbe rimasto intrappolato per molto tempo». Infiammato da una fede assoluta, si lanciò in una digressione sul valore del "Guru" - Maestro spirituale - un concetto che per me rimaneva enigmatico, anche perché attribuito ad una persona che non era stata conosciuta direttamente. In base a quello che mi comunicava, poiché lui era stato iniziato al Kriya da canali legittimi, P.Y. era una presenza reale nella sua vita: era il suo Guru. La stessa cosa avveniva per coloro che appartenevano al suo gruppo. Il loro "Guru" era l’aiuto che Dio stesso aveva loro inviato, quindi un tale evento era «la più gran fortuna che potesse accadere ad un essere umano». La conseguenza logica - e l’amico rilevò questo con grande enfasi era che abbandonare di conseguenza tale forma d’aiuto, o cercare un percorso spirituale diverso, equivaleva a «rifiutare con disprezzo la mano del Divino protesa in benedizione». Sorrise, poi mi condusse nella sua stanza e mi chiese di dimostrare per lui la mia tecnica Kriya appresa dai libri. Era naturalmente mosso da curiosità e, suppongo, dalla speranza di verificare un ben radicato pregiudizio secondo cui la tecnica, appresa fuori dai canali legittimi non poteva essere - a causa di una particolare legge spirituale - che corrotta. Fu sollevato, intimamente rassicurato quando vide che stavo respirando attraverso il naso e non attraverso la bocca, come a lui era stato detto di fare; la mia pratica era - secondo la sua impressione - chiaramente sbagliata. Mi chiese di spiegare più profondamente quello che visualizzavo internamente durante la mia respirazione e, mentre glielo stavo descrivendo, vedevo una soddisfazione intima che si diffondeva sul suo volto. Gioiva appieno del fatto che nel mio tentativo di indovinare la tecnica ero andato molto lontano dal vero Kriya. Il segreto cui lui era legato non era dunque stato violato da alcun 25 autore dei miei libri esoterici! Come il lettore ricorderà, secondo le istruzioni trovate sui libri, l’energia interiore poteva essere guidata sia lungo un percorso ellittico attorno ai Chakra sia in su e in giù dentro la spina dorsale. Avevo provato entrambi i metodi ma, poiché P.Y. aveva scritto che la pratica del Kriya avveniva facendo ruotare l'energia attorno ai Chakra, mi ero abituato principalmente al primo metodo; perciò questa fu la versione che esposi. Inoltre, avendo letto in un altro libro che durante il Kriya Pranayama si doveva cantare mentalmente Om nei Chakra, aggiunsi anche questo dettaglio. Non potevo immaginare che P.Y. avesse deciso di semplificare le istruzioni e insegnare in occidente l’altra variante omettendo il canto mentale di Om. La situazione era davvero bizzarra: gli stavo esponendo quello che a tutti gli effetti era davvero il Pranayama originale di Lahiri Mahasaya e lui sorrideva con espressione sarcastica, sicuro al cento per cento che stessi dicendo delle sciocchezze! Fingendo di sentirsi addolorato per la mia naturale disillusione, mi confermò in un tono ufficiale, definitivo, che la mia tecnica «non aveva niente a che fare con il Kriya Pranayama»! Poiché la mia posizione era totalmente inconsistente, mi raccomandò di spedire una descrizione scritta, precisa e dettagliata, delle mie vicissitudini alla direzione della scuola, nella speranza che loro mi accettassero come discepolo. Poi avrei iniziato la pratica sotto la loro guida. Ero come inebetito dal tono che il nostro dialogo stava assumendo; per riattivare l'amabilità iniziale della riunione tentai di rassicurarlo parlando degli effetti positivi che avevo ottenuto con la mia pratica. Quest’affermazione ebbe l'effetto di peggiore la situazione, dandogli l'opportunità per una seconda reprimenda, davvero non completamente sbagliata, ma in ogni modo fuori luogo. Mi chiarì che, nella pratica del Kriya, non avrei mai dovuto cercare degli effetti tangibili; meno ancora vantarmene, perché così « li avrei persi». Quel "bravo giovine", senza rendersi conto, era entrato diritto in una chiara contraddizione: stava dicendo che i risultati erano importanti ed uno non doveva neppure rischiare di perderli raccontandoli ma, poco prima, aveva sottolineato che non valevano niente o piuttosto «potevano essere negativi e pericolosi»! Realizzando che mi aveva dedicato fin troppo del suo tempo, una strana metamorfosi avvenne nel suo comportamento. Era come se tutto un tratto fosse stato investito da un ruolo sacro: promise che avrebbe pregato per me! Per quel giorno, almeno, avevo perso la partita. Dissi all'amico che avrei seguito i suoi suggerimenti. Il gruppo di persone che praticavano il Kriya s’incontravano due volte a 26 settimana per praticare insieme tali tecniche. La stanza dedicata alla meditazione aveva un arredamento essenziale, ma piacevole. I membri si erano auto tassati per affittarla affinché la sua fruizione non dipendesse dai capricci del proprietario, e anche per il piacere di consacrarla esclusivamente ad un uso spirituale. La mia frequentazione avvenne in un periodo che ricordo con particolare nostalgia: l'ascoltare canti spirituali indiani, tradotti ed armonizzati all'occidentale e, soprattutto, il fatto di meditare insieme era una vera gioia! Tutto mi sembrava paradisiaco - anche se l'ammontare di tempo dedicato alla pratica delle tecniche era davvero corto: non più di 20 minuti, spesso solo 15. Una sessione di pratica collettiva, particolarmente bella, arricchita da canti devozionali, avveniva alla vigilia di Natale e durava molte ore. Siccome non avevo ricevuto ancora il Kriya nel "modo ufficiale", mi fu richiesto di limitare la pratica al puro atto di tenere il centro della consapevolezza nel punto tra le sopracciglia. Al termine di ciascuna meditazione era previsto che ci allontanassimo in silenzio, perciò cominciai a conoscere più da vicino i miei nuovi amici solo durante gli incontri mensili. In effetti, una volta il mese c’era il "pranzo sociale". Era una bella occasione di passare insieme del tempo parlando e rallegrandosi della reciproca compagnia. Perché molti di noi non godevano dell'approvazione e meno ancora dell'appoggio nella pratica dello Yoga da parte della loro famiglia, l'occasione unica di trovarsi fra persone con le stesse idee ed interessi era un'esperienza di gran serenità e rilassamento. Sfortunatamente un certo imbarazzo rovinava la piacevolezza degli incontri. La direzione dell’organizzazione chiedeva di non parlare tra noi di altri percorsi spirituali e di non trattare i specifici dettagli del Kriya. Tale compito doveva essere riservato solamente a persone di proposito autorizzate dalla scuola e nel nostro gruppo nessuno aveva ricevuto tale autorizzazione. Durante gli incontri, la necessità di indirizzare i contenuti delle conversazioni su binari ben definiti rendeva difficile trovare un argomento di conversazione che rispettasse le regole, essendo, nello stesso tempo, interessante. Non era certo quello il luogo per pettegolezzi mondani, disadatti a gruppo spirituale. Certo si poteva conversare sulla bellezza del percorso Kriya, sulla gran fortuna di averlo trovato! Ma, come si può presumere, dopo alcune riunioni di "reciproca esaltazione", cominciò a regnare nel gruppo una noia quasi allucinante. Come ultima risorsa, qualcuno si arrischiava a fare qualche battuta innocente; non si trattava certo di storielle che potevano offendere qualcuno, ma di un uso moderato del senso dell'humour. Purtroppo questo si scontrava con l'atteggiamento ispirato a devozione tenuto dalla maggior parte dei membri e 27 capitolava di fronte alla loro fredda reazione, incapace di mostrare una sola briciola di vera giovialità. Non posso certo dire che le persone erano sul depresso andante, anzi parevano divinamente felici, ma quando si cercava di apparire simpatici, si riceveva uno sguardo e un abbozzo di sorriso che ti lasciava raggelato per il resto del giorno. Non ci si deve meravigliare che il gruppo fosse caratterizzato da un grande riciclo; molti, entrati con entusiasmo, dopo alcuni mesi non solo decidevano di abbandonarlo ma poi si davano da fare per rimuovere completamente quell'esperienza dalla loro coscienza. Il mio temperamento aperto mi permise di avvicinare qualche persona e stabilire un legame che più tardi divenne vera amicizia. Comunque, era difficile trovare un serio ricercatore nel campo dello Spirito. Anche se cercavo di fare del mio meglio per convincermi di trovarmi fra individui simili a me - vale a dire appassionati, entusiasti del Kriya - dovetti ammettere che la realtà era ben diversa! Alcuni reagivano al mio entusiasmo con un certo fastidio: non potevano credere che non coltivassi alcun dubbio o incertezza verso il sentiero del Kriya. Consideravano la mia euforia quella tipica di un principiante immaturo. Una persona che praticava il Kriya da molti anni mi disse: «Quando riceverai il Kriya resterai deluso». Non riesco a capire cosa avesse voluto dire, dal momento che quando ricevetti il Kriya, ne fui entusiasta. Onde ricevere qualche accenno, per lo meno in termini generici, sulla tecnica corretta del Kriya, in svariate occasioni provai a discutere su quella che era stata la mia pratica del Pranayama prima di divenire parte del gruppo. Speravo che qualcuno, rispondendomi in modo preciso, distinguesse tra quello che era simile al Kriya e quello che nulla aveva a che fare con esso. Nessun "corteggiamento" riuscì ad estrarre da loro nemmeno una briciola d’informazione. Ognuno ripeteva che non era «autorizzato a dare spiegazioni»: questa regola era strettamente rispettata: avevano ricevuto la tecnica, sottoscrivendo una precisa e solenne promessa di segretezza! Segretezza! Come insolito risuonò tale termine alle mie orecchie, che strano richiamo, che misteriosa fascinazione esercitò sul mio essere! Fino a quel momento avevo sempre creduto che fosse di poco o di nessun valore il modo in cui un certo insegnamento fosse appreso, su quale genere di libri fosse stato studiato; l'unica cosa importante era che dovesse essere praticato in modo corretto, con l’aggiunta, auspicabile, del costante desiderio di perfezionarlo. Ora cominciò ad entrarmi in testa l'idea, che non trovai affatto balzana, che fosse una bella cosa quella di proteggere un insegnamento prezioso da occhi 28 indiscreti. Apparentemente la segretezza era da consigliarsi in questo campo; ma in seguito, nel corso di molti anni, fui testimone di una serie innumerabile di assurdità che si originarono da questa richiesta; in modo drammatico, ebbi l’evidenza che essa portò delle ripercussioni miserabili nella vita di migliaia di persone. Con l'eccezione di una sola persona (che nutriva veramente delle strane idee sul sentiero spirituale, al punto tale che un giorno pensai che non ci stesse tanto con la testa) questi nuovi amici kriyaban parevano censurare il mio eccessivo interesse per le tecniche, affermando che la devozione era molto più importante; spesso facevano riferimento ad un concetto che a mio avviso stonava nel campo dello Yoga: il valore supremo della lealtà nei confronti di P.Y. e della sua organizzazione. Avevo l'impressione che essi facessero uno sforzo moderato nel praticare il Kriya e cercassero di estrarre dalle profondità della loro psiche qualsivoglia traccia di devozione, la quale era amplificata dalla loro emotività. Pensando a quei tempi, mi chiedo quale potesse essere l'opinione che si erano fatti del mio atteggiamento impaziente, troppo diverso dalla loro calma ovvero - se mi è concesso dirlo – della loro fiacca. Nella mia sensibilità, non riuscivo a concepire l'idea di appoggiarmi passivamente alla protezione di un santo che ti risolve i problemi mentre intanto la tua intelligenza impigrisce. Questo fatto, assieme ad altri sperimentati in quella scuola, furono la cause di un vero conflitto. Il mio approccio al sentiero spirituale era completamente diverso dal loro e non c'era speranza di raggiungere un punto di contatto. Tecniche preliminari al Kriya Poco dopo la mia ammissione al gruppo fui presentato ad una signora anziana che era stata in corrispondenza con P.Y. stesso. Grazie alla sua serietà, sincerità e comportamento "leale", aveva ricevuto l’autorizzazione di insegnare le tecniche preliminari al Kriya. Il suo temperamento era molto dolce e sembrava più incline alla comprensione che alla censura. Da quello che ero capace di leggere sul suo volto, quando si riferiva a quella tecnica Kriya che avevo indovinato per mezzo di letture non ortodosse, ebbi l'impressione che la considerasse valida, efficace. In ogni modo non aveva dubbi sul fatto che l'apprendere la tecnica da canali ufficiali, mi avrebbe dato la migliore opportunità di incominciare una pratica ricca di buoni risultati e sicura. M’insegnò due tecniche preliminari al Kriya, invitandomi a limitare la 29 mia pratica a queste. 7 La prima calma il respiro e l’intero sistema psicofisico; è detta Hong-so a causa del Mantra impiegato. La seconda riguarda l’ascolto dei suoni interiori (astrali) che, approfondendo, si mescolano, si fondono col suono di Om. Non mi diede queste istruzioni in un’unica sessione ma in due momenti diversi - la seconda quattro mesi più tardi. Ebbi perciò la splendida possibilità di dedicarmi per molto tempo solamente alla prima tecnica e, per altri mesi, nell’attesa dell’iniziazione al Kriya, alla combinazione delle due: la prima il mattino, la seconda di notte. Potei sperimentare perciò il significato e la bellezza di ciascuna. La tecnica Hong-so è semplice e consiste - dopo alcuni respiri profondi che ossigenano il sangue e calmano il sistema - nel lasciare il respiro libero, ripetendo mentalmente il Mantra Hong-so, collegando la sillaba Hong con l'inspirazione e So con l'espirazione. La concentrazione, lo sguardo interiore, viene mantenuto sul terzo occhio. La raccomandazione essenziale è non influenzare il respiro attraverso la volontà, poiché esso deve procedere in modo del tutto naturale e spontaneo. Le istruzioni pratiche della tecnica erano solo queste, ma, prevedendo il pensiero che si stava formando nella mia mente, aggiunse che la procedura, nonostante la sua apparente semplicità, non era per niente facile! Disse che se i risultati mi avessero deluso, la causa sarebbe stata alcuni sottili errori nella pratica. Rimase un po' sul vago ma, con un sorriso incoraggiante, concluse: «La tecnica contiene tutto ciò di cui hai bisogno per entrare in contatto con l'essenza divina». Devo ammettere, francamente, che il mio atteggiamento da principiante mi portò a pensare che il Mantra potesse agire come una "parola magica" e darmi, come un incantesimo, risultati sbalorditivi. Negli insegnamenti teorici impartiti dalla scuola, avevo trovato un’assicurazione piuttosto strana: questa tecnica era presentata come l’unico mezzo "scientifico" che poteva produrre una concentrazione vera, reale, effettiva. Ero stato indotto perciò a pensare che, se avessi semplicemente messo in atto questa istruzione, in breve tempo sarei stato in grado di ottenere una concentrazione sovrumana. Chiaramente incontrai una forte disillusione: quella mi sembrava la procedura 7 Volendo essere precisi, mi corresse anche i cosiddetti "Esercizi di Ricarica" che avevo già appreso dalle lezioni scritte. Questi erano degli esercizi fisici simili alla ginnastica isometrica che si praticavano stando in piedi. In essi la forza della concentrazione dirigeva il Prana in tutte le parti del corpo. 30 più noiosa del mondo, un’inutile prova di ottusa persistenza. Continuai a ripetere questo Mantra per settimane e la maggior parte del tempo non riuscii a rimanere consapevole del respiro. Fu allora che, sostenuto da buona volontà, incominciai ad osservare con grande attenzione due dettagli che, a mio avviso, era i responsabili dei miei fallimenti. [I]…Il Mantra Hong-so, citato ampiamente nei testi classici della spiritualità indiana, è veramente eccellente per calmare gradualmente il respiro. Tuttavia, il suo reiterato canto mentale può facilmente e naturalmente conformarsi ad un ritmo che ha la tendenza a mantenersi immutato. Se il respiro segue questo ritmo è chiaro come il sole che non rallenterà mai! Quando tale ritmo si è stabilizzato, la persona inspira ed espira anche se il corpo "gradirebbe" o "potrebbe" rimanere dei momenti senza respirare. È in quegli istanti che la persona fa dei brevi respiri senza che il corpo abbia il reale bisogno di respirare. Chiunque può evitare quest’errore rimanendo sempre attento a non cadere in tale tranello. Le pause tra un respiro e l’altro devono "poter esistere"; perciò esse dovrebbero essere sperimentate, anche se ciascuna dura meno di un istante. Questo semplice fatto è sufficiente per calmare drasticamente il respiro, mentre una condizione di totale o quasi perfetta immobilità si stabilizza nel corpo. [II]…Durante l'inspirazione il torace si dilata e si crea una tensione elastica. Mentre i polmoni e il diaframma sono tesi, c'è una forza elastica che cerca di rilassarli. Perciò la pausa tra inspirazione ed espirazione è contrastata non solo dal ritmo ma anche dall'elasticità dei muscoli della cassa toracica. È un'ottima cosa essere consapevoli di questa forza elastica: ciò basta per rendere più confortevole e più libera la pausa dopo l’inspirazione - così da aggiungere grande armonia all'esercizio. Mettendo in pratica tutto questo, il respiro divenne sempre più sottile e si viene a creare un "circolo virtuoso" tra la calma crescente e la ridotta necessità di ossigeno; ciò mi guidò a minimizzazione il processo di respirazione, mentre il movimento dell'aria fuori e dentro i polmoni si ridusse ad un palpito. Quando tentai di discutere le mie osservazioni con coloro che praticavano tale tecnica, mi resi conto di quanto fosse difficile per loro parlare di simili argomenti. Talvolta incontrai un’enorme ed irragionevole resistenza. Potevano essere divisi in due gruppi: quelli che non erano soddisfatti della loro pratica ma progettavano di migliorarla in futuro (in tale occasione 31 avrebbero preferito posporre l'ascolto dei miei ragionamenti), e quelli che avevano un tale atteggiamento superficiale da non riuscire a comprendere quello che stavo dicendo. Ricordo una signora cui tentai di spiegare questi dettagli con molta cura, che finse di ascoltarmi con attenzione; alla fine, con un dogmatismo brutale, disse che aveva già un Guru e non sentiva il bisogno di un altro. Fui sorpreso e ferito, poiché non stavo recitando la parte dell'insegnante ma volevo solo discutere un'idea. Fu il susseguirsi di episodi simili a confermarmi l'idea che l’assiduità di molte tra quelle persone alla pratica quotidiana delle tecniche era il risultato della loro superstizione. Mancando della sufficiente limpidità nell’auto osservazione, essi andavano avanti ad eseguire meccanicamente quello che era divenuto null’altro che un vuoto rituale, un modo per essere in pace con la coscienza. Il mio tentativo era di discutere un arte che ritenevo potesse essere perfezionata indefinitamente, fare un discorso costruttivo che potesse essere di ispirazione per entrambi. Ma ahimè, il loro unico tema preferito di cui parlare era quanto fosse bello il tal libro o la tal poesia del loro Gurudeva... Per introdurre la seconda tecnica preliminare, la cosiddetta tecnica Om, la signora spiegò che il suo insegnante P.Y., (lo stesso che decise che questa tecnica, fra tante possibili, dovesse essere una preparazione necessaria e non facoltativa al Kriya) aveva illustrato in un modo nuovo l'insegnamento della Trinità. Om è l'Amen della Bibbia - lo Spirito Santo, il suono "testimone" della vibrazione dell'energia che sostiene l'universo. La tecnica Om che stavo per imparare, una scoperta che i mistici fecero tempo addietro, rende possibile percepire tale vibrazione. Grazie ad essa è possibile essere guidati verso l’esperienza del "Figlio" - la consapevolezza Divina presente all’interno della vibrazione energetica summenzionata. Alla fine del suo viaggio spirituale lo yogi può raggiungere la più alta realtà: il "Padre" - la consapevolezza Divina che risiede oltre tutto ciò che esiste nell'universo. Mentre la precedente tecnica Hong So conduce allo sviluppo della concentrazione (caratterizzata da pace e gioia spontanea), quest’ultima realizza un contatto diretto con la Meta spirituale. 8 8 Tale tecnica non appartiene a quelle incluse nel Kriya originale, nel quale i suoni interiori si manifestano senza chiudere le orecchie. Non è una invenzione di P.Y. in quanto è descritta ampiamente nei libri di yoga classico, col nome di Nada Yoga - "lo Yoga del suono." Essa è un’ottima tecnica di preparazione al Kriya in quanto invece di 32 Per praticare la tecnica Om, uno yogi appoggia i gomiti su un comodo sostegno che può essere stato costruito anche solo per questa funzione. L'appoggio può essere dato da una tavoletta orizzontale fatta di qualsiasi materiale coperta di gommapiuma e fissata su un’asta verticale d’altezza regolabile. È bene che uno si chiuda in una stanza per evitare che qualcuno possa disturbare - il miglior momento per questa pratica è la sera o la notte. La pratica consiste nel chiudere coi pollici le orecchie ed ascoltare qualsiasi suono interiore, continuando a cantare mentalmente Om, Om Om... L'attenzione è diretta alla parte interna dell'orecchio destro, poiché è lì che i suoni sottili possono essere facilmente realizzati e con più persistenza. L'intuizione dello yogi comincia un lungo viaggio nella sua più profonda memoria, quella della sua origine divina. Il suono dell’Om può apparire attraverso diverse varianti; può essere percepito facilmente dopo che gli orecchi sono stati chiusi, non appena si crea un minimo di calma interiore. L'atteggiamento corretto è quello di focalizzarsi sulla più forte tra queste varianti. Ogni ripetizione mentale del Mantra Om mantenendo desta l’attenzione è essenziale; la consapevolezza segue pazientemente ciascun debole suono interiore come se fosse un "filo d’Arianna" per uscire fuori del labirinto della mente. Gradualmente si avvicina ad una dimensione sublime, quella della Realtà Omkar che è la vibrazione dell'Energia primordiale. Il chiarimento ricevuto dalla signora era caratterizzato da un tale sentimento di sacralità che rimase con me nei mesi seguenti e mi aiutò a superare la fase iniziale della pratica nella quale sembra improbabile che i suoni interiori apparissero. Ripenso con nostalgia a quel tempo in cui vivevo confinato nella mia stanza come un eremita. Dopo tre settimane di pratica assidua, un giorno, dopo circa dieci minuti dall’inizio, mi resi conto che stavo ascoltando un suono interiore. Non avvenne all’improvviso: era come se lo stessi già ascoltando da alcuni minuti. Mi trovavo in uno stato di gran rilassamento, il suono mi ricordava il ronzio di una zanzara, poi finalmente si trasformò nel suono di una distante campana, che era un abbraccio di dolcezza. Si trattò di una vera esperienza estatica e si manifestò in un modo talmente strano che mi incantò. Personalmente non ho mai avuto l'opportunità di ascoltare suoni come quelli di un flauto o di un'arpa, che sono spesso citati nella letteratura specializzata. Ascoltare l'Om significò toccare la bellezza stessa. Non riesco ad immaginare qualcosa di simile che possa far sentire una persona così a proprio agio porre l’accento sul "fare" insegna l’atteggiamento di "percepire". 33 Per la prima volta nella mia vita sentii che il concetto di "devozione" aveva un senso. Ricordo che quando mi nasceva quel senso di beatitudine, dicevo a me stesso «Questo è esattamente quello che ho sempre desiderato, e non voglio perderlo più».9 Ricordo della mia cerimonia di iniziazione al Kriya Studiando il corso per corrispondenza, imparai diversi modi per creare delle abitudini salutari e il modo di comportarsi nella vita pratica senza disturbare la ricerca spirituale. Cercai in ogni modo di abbracciare la visione religiosa Induista-Cristiana della scuola. Fu facile per me ammirare e amare la figura di Krishna, immaginando Questi come la quintessenza di ogni bellezza; più difficile fu avvicinarsi alla figura della Divina Madre, che non era la Madonna, ma un addolcimento dell’idea della dea Kalì. Tanto feci che mi allontanai di molto da me stesso. Lessi e rilessi solo gli scritti di P.Y.; talvolta trovavo un suo particolare pensiero così bello e così perfetto che lo scrivevo su un foglio di carta e lo tenevo davanti a me sulla scrivania, mentre studiavo. Mentre continuavo a ricevere da chiunque, anche senza chiederle, lezioni di devozione, umiltà e lealtà, il mio interesse per il Kriya divenne una vera e propria brama, una febbre che mi consumava. Non capivo il motivo per cui dovevo attendere tanto: la mia anticipazione, a volte, diveniva una inutile tortura. Il Kriya vero e proprio poteva, di norma, essere richiesto dopo un anno di studio delle lezioni per corrispondenza. Nel mio caso, per motivi contingenti il materiale scritto che la scuola inviava viaggiava per nave e i ritardi erano enormi – tale periodo divenne di due anni. Coloro che già possedevano il Kriya, mi prendevano in giro con malcelata crudeltà e mi dicevano: «Vedrai che a te il Kriya neanche lo daranno, perché un devoto non deve desiderare una tecnica con tanta intensità: Dio si trova anzitutto con la devozione e l’abbandono alla Sua volontà.» Cercavo di stare buono; attendevo e sognavo. Alla fine venne il momento in cui potei formalmente richiedere l’insegnamento per corrispondenza del Kriya. Passarono quattro mesi, ogni giorno speravo di ricevere il tanto desiderato materiale, finalmente arrivò una 9 Molti affrontano il Kriya con un atteggiamento sbagliato, quasi per cercare risultati che gratificano l'ego. Credono e sperano che il Kriya sia un percorso di "crescita psicologica" ma non vi troveranno un sostituto della psicoterapia! La cosa migliore è rilassarci ricreando tramite la memoria l’atmosfera delle esperienze più belle incontrate nella nostra vita e sentire un forte desiderio di ritrovarle nella vibrazione Om. 34 busta. La apersi con un’aspettativa che non riesco a descrivere: rimasi profondamente deluso perché conteneva soltanto altro materiale introduttivo. Dall’indice del materiale, posto alla prima pagina, compresi che la lezione che tenevo in mano era la prima di una serie e che la tecnica completa sarebbe giunta entro circa quattro settimane. Così, per un altro mese, avrei dovuto studiare le solite filastrocche che conoscevo a memoria. Avvenne invece che nel frattempo un Ministro di quella organizzazione visitò il nostro paese e potei partecipare ad una cerimonia di iniziazione. Dopo mesi di attesa, finalmente giunse il tempo di «stringere un patto eterno con il Guru e ricevere la tecnica Kriya nell’unica maniera legittima, carica quindi delle Sue benedizioni». Quelli come me, pronti per essere iniziati, erano un centinaio. Ci trovammo in una bellissima stanza, affittata per l'occasione ad un costo molto elevato, decorata con tantissimi fiori - un simile insieme non ne avevo mai visto in vita mia neanche nei più sontuosi matrimoni! L’introduzione alla cerimonia avvenne in un modo sfarzoso: una trentina di persone indossando una sobria uniforme, entrarono in fila nella stanza, con atteggiamento solenne e mani giunte in preghiera. Mi venne spiegato che quelle persone facevano parte del gruppo locale il cui capogruppo era uno stilista il quale aveva preparato la coreografia di quella entrata trionfale. I due Ministri, appena arrivati dall'estero camminavano umilmente, disorientati, dietro di loro. La cerimonia vera e propria incominciò. Accettai senza obiezioni che ci fosse richiesta una promessa di fedeltà eterna non solo al Guru P.Y. ma anche ad una catena formata da altri cinque Maestri: Lahiri Mahasaya ne era un anello intermedio mentre P.Y. era il così detto Guru-precettore, ovvero colui che si sarebbe parzialmente assunto il peso del nostro Karma. Sarebbe stato veramente strano se nessuno avesse avuto dubbi su quest’ultimo evento: ricordo, infatti, che un’amica mi chiese se P.Y. - non potendo confermarlo, essendo residente nei mondi astrali - l'avesse realmente accettata come "discepola" prendendosi, di conseguenza, anche il fardello del suo Karma. Ci assicurarono che il Cristo apparteneva a questa catena di Maestri e che un tempo era apparso a Babaji (Guru di Lahiri Mahasaya) chiedendogli di mandare qualche emissario nell'Ovest per diffondere l'insegnamento del Kriya. Questa storia non mi provocò alcuna perplessità: forse non avevo il tempo di pensarci. Ero ansioso di ascoltare la spiegazione della tecnica che sarebbe avvenuta di lì a poco. D’altro canto, considerare che la missione di diffusione del Kriya, fosse originata dal Cristo stesso era un’idea assai carina. La tecnica Kriya incarnava le più effettive benedizioni di Dio alla Sua 35 creatura privilegiata, l'essere umano, dotata, a differenza degli animali, di sette Chakra. La scala mistica dei Chakra fatta di sette gradini è la vera autostrada verso la salvezza, la via più veloce e più sicura. La mia mente era in una condizione d’enorme attesa per quello che avevo desiderato con tutto il mio essere: per questo mi ero seriamente preparato da mesi. Non partecipavo ad una cerimonia per far contento qualcuno o per salvaguardare una tradizione di famiglia: essa rappresentava il coronamento di una scelta definitiva! Il mio cuore era immensamente e perfettamente felice anticipando la gioia che sarebbe scaturita dalla pratica del Kriya. Quando arrivammo alla spiegazione del Kriya Pranayama, scoprii che già conoscevo la tecnica: si trattava del Respiro Kundalini che avevo trovato tempo addietro nelle mie letture esoteriche - quello in cui la corrente energetica fluiva totalmente all’interno della spina dorsale. Ho già spiegato che non lo avevo preso in seria considerazione poiché P.Y. nei suoi scritti aveva scritto che l’energia ruotava «attorno ai Chakra, lungo un circuito ellittico». Non fui deluso, anzi, la tecnica mi sembrava perfetta. La spiegazione delle tecniche Maha Mudra e Jyoti Mudra (non usavano mai il termine più comune Yoni) concludeva le istruzioni tecniche. Tutte le tecniche vennero spiegato nei minimi dettagli, in un modo che non ammetteva la minima variante e, inoltre, venne caldamente raccomandata una precisa routine. Se fosse sorto il minimo dubbio sulla correttezza di un certo dettaglio, nessuno era incoraggiato a tentare un esperimento per conto proprio e trarre da sé le conclusioni. La mossa giusta era quella di prendere contatto con la direzione della scuola, esporre il problema, ricevere i consigli appropriati. Questo, in effetti, fu quello che sempre feci. Imparai ad interagire solamente con persone "autorizzate"; cercavo con molta serietà il loro giudizio come se fosse dato da esseri perfetti che non potevano sbagliare. Credevo che fossero dei "canali" attraverso i quali le benedizioni del Guru fluivano. Inoltre, ero intimamente convinto che - anche se non lo ammettevano per umiltà - loro avessero già raggiunto il più alto livello di realizzazione spirituale. Nota sulla routine Voglio anticipare qui un problema che è fondamentale nel costruire una buona routine Kriya. Il primo esercizio da praticarsi era la tecnica di osservazione del respiro (la tecnica Hong-so) che durava da dieci a venti minuti. Il respiro si sarebbe calmato e ciò avrebbe creato un buon livello di concentrazione. Poi, dopo avere messo gli avambracci su un appoggio, iniziava l'ascolto dei suoni interiori – questo avrebbe richiesto circa lo stesso tempo. Poi ci sarebbe stata un'altra interruzione a causa del Maha Mudra. 36 Infine, ritornando nella posizione immobile e cercando di ripristinare lo stato di sacralità, s’incominciava il Kriya Pranayama nel rigido rispetto di tutte le istruzioni. Dopo lo Jyoti Mudra, la routine Kriya si sarebbe conclusa con dieci minuti di pura concentrazione nel Kutastha assorbendo gli effetti della pratica. Nella mia esperienza pratica, le due tecniche preliminari erano profondamente sacrificate, mentre il tempo da dedicarsi alla concentrazione finale era troppo breve. Durante l’esecuzione della tecnica Hong-so, il pensiero che presto avrei dovuto interromperla per passare alla tecnica Om mi creava una sensazione di disturbo, limitando il mio abbandono totale alla sua bellezza. Lo stesso accadeva con la seconda tecnica, che veniva interrotta per praticare il Maha Mudra e il Pranayama. La tecnica d’ascolto dell'Om era in se stessa un universo "completo" e portava all'esperienza mistica: ecco perché l'atto di interromperla era qualcosa di peggio che un semplice disturbo. Era incompatibile con ogni logica; come se, riconosciuto con piacevole sorpresa un amico in mezzo alla folla, mi intrattenessi con lui, poi, all’improvviso, gli volgessi le spalle, mi mescolassi alla folla con la speranza di sperimentare entro breve tempo la sorpresa di incontrarlo nuovamente per riprendere la conversazione sospesa. Il suono di Om rappresentava l'esperienza mistica stessa, la Meta che cercavo, perché mai avrei dovuto interromperne quella sublime sintonia per poi riconquistarla attraverso un'altra tecnica? Forse perché il Kriya Pranayama era una procedura più elevata? Più elevata? Ma cosa diavolo significa? È una cosa senza senso! Mi costrinsi a questa assurdità per un periodo estremamente lungo. Provo imbarazzo a confessare che durò non meno di tre anni. Proseguii senza mutare la routine che mi era stata consigliata, sperando in una ipotetica evoluzione futura di tale precaria situazione. Tale era il potere di quella follia che nel nostro gruppo era chiamata "lealtà". Ero divenuto come uno di quegli animali nutriti dall’uomo che perdono il potere di essere auto sufficienti. Allora, il pensiero di usare la mia testa mi pareva un atto di stupida superbia. Difficoltà col materiale stampato relativo ai Kriya superiori La scuola impartiva i Kriya superiori solamente in forma scritta. Non vennero mai impartite delle iniziazioni dirette. Il lettore può intuire quanto fossi curioso di imparare quelle tecniche. Nella mia ricerca spirituale, la tecnica del Secondo Kriya fu un segreto ben-sigillato per molti anni. 10 10 Se ora considero che cosa diversi insegnanti dissero e stanno dicendo attualmente su questa tecnica, penso a una iettatura che ci grava sopra! Come se stessero esplicando una volontà perversa, essi diedero sfogo a tutta la loro abilità di generare la più selvaggia deformazione. Uno di loro tentò di convincermi che il Secondo Kriya era simile alla tecnica tibetana di aprire un foro nella Fontanella (cima della testa) e la prova della validità della tecnica era la stessa delle tradizioni tibetane: un kriyaban 37 Siccome P.Y. scrisse che la tecnica del Secondo Kriya rende capace uno Yogi di lasciare il suo corpo consciamente a volontà, apprendere il suo delicato meccanismo era uno dei miei sogni. Ero certo che esercitarmi con tale procedura avrebbe avuto un forte effetto sulla mia evoluzione spirituale. Fra i kriyaban del gruppo di meditazione, c'era una signora, che aveva ricevuto l'iniziazione al Kriya molti anni addietro e aveva un tempo vissuto presso la sede centrale della nostra scuola. Un giorno le chiesi se avesse ricevuto il Secondo Kriya. Sembrò non capire la domanda. Perciò, celando il mio stupore, le ricordai che un discepolo di Lahiri Mahasaya, Swami Pranabananda, aveva accompagnato il momento della sua morte con la pratica del Secondo Kriya. Si alterò visibilmente, dicendo che la citazione chiaramente si riferiva alla tecnica del Pranayama: un respiro, poi un altro ancora e questo "secondo respiro" era, a suo dire, il "Secondo Kriya"! Mi sentii mancare; la guardai in modo mite ma intenso: senza rendersi conto mi aveva rivelato in quale infimo posto avesse messo quanto P.Y. aveva scritto o detto. Ebbi l'impressione che la stessa idea dell'esistenza di una tecnica simile la infastidisse alquanto; era come se lei avesse fatto finora uno sforzo così grande nello stabilirsi nell'abitudine alla pratica quotidiana del Primo Kriya che il solo pensare ad altre tecniche la faceva sentire esausta: lei aveva già «dato il massimo». So per certo che fino ad oggi è rimasta ferma nella sua convinzione. Non so quale fu il peggior esempio di quella che chiamo mancanza di rispetto per il Kriya, se quello riferito o il seguente. Un giorno una signora dall'aspetto aristocratico mi rivelò di aver ricevuto molto tempo addietro l'iniziazione ai cosiddetti Kriya superiori. Pieno di entusiasmo sgranai gli occhi. Disse che si era sentita così indegna che li aveva messi in disparte e, dopo un po' di tempo, li aveva dimenticati completamente. Quest'ultimo abominio era inconcepibile per me. Quando obiettai che il suo comportamento sembrava una manifestazione di indifferenza verso gli insegnamenti elevati del suo Guru, mi guardò smarrita come se la mia impertinenza avesse violato una legge implicita: non entrare impudentemente nella dimensione intima del suo Sadhana. Mi rispose dicendo che quello che aveva le bastava; poi troncò bruscamente il discorso. I Kriya Superiori venivano dati nell'ultima parte del corso per corrispondenza; alcuni dettagli erano in parte ambigui. Avevo dei dubbi su come il Kechari Mudra dovesse essere ottenuto (P.Y. scrisse che esso era un tecnica avrebbe dovuto poter inserirvi il gambo di un fiore (!). Non opprimerò il lettore con l'elenco di altre sciocchezze udite da me nel corso degli anni. La ragione che spiega come mai rimasi pressoché ipnotizzato dal fascino magico di tali assurdità, era che avevo l'attitudine di privilegiare tecniche complicate. 38 importante, da essere praticata regolarmente onde risvegliare Kundalini), incerto su come eseguire la forma particolare di Secondo Kriya e anche su come padroneggiare la tecnica del Thokar (la scuola lo chiamava Terzo e Quarto Kriya) che richiedeva dei particolari movimenti della testa. Scrissi alla direzione della scuola per fissare un appuntamento con uno dei suoi rappresentanti, un Ministro che presto sarebbe giunto in visita in Italia. Speravo di chiarire ogni cosa in quella occasione e attendevo quell'appuntamento con grande anticipazione. Quando il Ministro arrivò gli fui presentato. Disse che avrebbe chiarito i miei dubbi appena possibile. Ero tranquillo e attendevo. Fui molto deluso quando mi accorsi che questi continuava a posporre, senza valide ragioni, il momento del nostro incontro. Siccome avevo deciso di non arrendermi, finalmente ci incontrammo. Attraversai un'esperienza veramente spiacevole. Credevo che l'ipocrisia, la burocrazia, le formalità, le piccole falsità e sottili violenze all’onestà altrui fossero totalmente estranee a chi dedicava la propria esistenza a praticare e insegnare il Kriya. L’impressione che ebbi fu simile a quella di incontrare un manager che aveva altre cose più importanti in testa e che era molto irritabile. Fu irremovibile sul non parlare del Kechari Mudra e per quanto riguarda i movimenti del Thokar, mi consigliò bruscamente di limitare la mia pratica alle tecniche del Primo Kriya. Affermò che ero troppo agitato per essere un buon kriyaban (ero solo disperato); infastidito m’invitò bruscamente ad indirizzare le mie domande, in forma scritta, alla direzione della scuola. Non servì a nulla obiettare che non era possibile verificare per mezzo di una lettera i movimenti della testa, mi trovai di fronte ad un muro ed il rifiuto fu assoluto. Avevo sempre avuto fiducia e rispettato quella scuola; avevo studiato tutta la relativa letteratura come se avessi dovuto preparare un esame universitario. La mia costernazione era quella d’essere ora un testimone impotente del capriccio insensato di un uomo in una posizione di potere. Dopo l'intervista con quel personaggio mal disposto, mi trovavo in una condizione mentale ed emotiva atroce. Coloro che mi videro subito dopo tale incontro rimasero scioccati: dissero che ero irriconoscibile. Afferrato quello che era successo, un'amica kriyaban con voce agnellata suggerì che quella era una importante "calmata" che Gurudeva mi aveva dato. Non riuscivo ad accettare alcun invito alla calma e a lasciar perdere l'intera questione. Ci sono pensieri infantili che emergono in momenti difficili: temevo, oscuramente, che quest’uomo, ritornato alla direzione della scuola potesse parlare male di me, dicendo qualche cosa che nel futuro avesse potuto mettere in pericolo un'altra opportunità di avere quei chiarimenti tanto agognati. Temevo di non poter più affidarmi al rapporto idilliaco con quella 39 organizzazione di Kriya che per tanti anni aveva rappresentato il mio orizzonte. Allo stesso tempo, un'altra parte di me stesso, che le regole del gruppo non erano riuscite a soffocare completamente, sapeva che avrei trasformato quell'esperienza distruttiva in qualcosa di decisivo non solo per il mio sviluppo spirituale, ma anche per quello di altre persone. Il vecchio studente di Pranayama, autodidatta, risvegliato da un sonno fin troppo lungo per mezzo di quel salutare calcio "nel fondo schiena", stava godendosi l'intera situazione. Anni dopo venni a sapere che un gruppo di appassionati di Kriya, che vivevano in un'importante città europea, dopo avere cercato invano di ricevere dai cosiddetti "Ministri autorizzati" i chiarimenti proprio su quelle tecniche, si erano rivolti ad un insegnante indiano invitandolo nel loro gruppo. Questi accettò l'invito, giunse nel gruppo e, dando una lettura veloce al materiale scritto, oggetto di così tanti dubbi, affermò di non riconoscere il Kriya da lui praticato. Gli insegnamenti scritti forniti dalla scuola erano effettivamente ambigui. Per portare un esempio, il Mantra era presentato in un modo inusuale, scritto in modo specifico per gli anglofoni (om naw maw bhaw….). Si può rispettare questa scelta, ma solo fintantoché essa sia integrata da una nota che riporta il vero spelling del Mantra. A parte questo, la cosa assurda era che detto Mantra era sempre scritto con dodici sillabe separate, come se non di un Mantra si trattasse ma di dodici. Il lettore medio non era capace di riconoscere affatto il Mantra Om Namo Bhagavate Vasudevaya e perdeva tempo a cercare invano di immaginare l’origine e il significato di ciascuna delle sillabe, come se ciascuna fosse uno strano bija Mantra. Ora, conoscendo gli indiani, sono sicuro che quel Maestro aveva totale familiarità con quanto andava leggendo e che fosse capace di chiarire ogni dubbio. Stava fingendo: la sua sceneggiata era intesa a dare l’impressione che gli insegnamenti di P.Y. fossero totalmente errati, ingannevoli, costruiti di fantasia. In questo modo cercava di fare apparire come provvidenziale il suo lavoro di chiarificazione. Voleva dare l’impressione di essere venuto presso il gruppo per salvare le persone da un completo abisso di errore. Affermò che era necessario ripartire completamente daccapo e ricevere di nuovo, da lui, l’iniziazione al Primo Kriya. Come conseguenza perse immediatamente due terzi degli studenti che rifiutarono categoricamente di diventare formalmente "suoi discepoli", come lui richiedeva. Quelli che accettarono le condizioni furono iniziati di nuovo nel Primo Kriya e ricevettero tecniche nuove come il Kechari Mudra e il Navi Kriya. Provvidenzialmente la segretezza non fu rispettata, ed informazioni preziose giunsero ai miei orecchi. Alcuni praticanti assidui ricevettero in seguito anche i Kriya superiori; qualcuno tra loro non si fece più sentire e scomparve, come in un buco nero, nell'orbita di quell’insegnante, altri rimasero con un piede nella scuola ed uno fuori, portando avanti una pratica contraddistinta da molti ripensamenti e da un generale sentimento d’insoddisfazione. 40 Mi rivolsi a quella signora anziana che mi aveva già insegnato le tecniche preliminari e che era investita ufficialmente del ruolo chiamato "Meditation Counselor". Mi incolpò di aver reso burrascoso il colloquio col Ministro. Incapace com'era di chiarire i miei dubbi tecnici, disse in fine che il consiglio del Ministro incarnava la volontà di Dio. Cercai di ragionare ma lei disse che la mia logica si originava dall'ego ferito; continuò a spiegare che l'intelligenza è un'arma a doppio taglio: essa può essere usata per eliminare l'ascesso dell'ignoranza e anche per recidere di netto il collegamento con la linfa vitale che sostiene il percorso spirituale. Parlando, spostai la mia attenzione su una fotografia di P.Y., presa lo stesso giorno della sua morte. Mi sembrò di vedere come se una lacrima fosse in procinto di formarsi nei suoi dolci occhi (non era una sensazione bizzarra, altre persone mi riferirono la stessa impressione); le riferii questa impressione, divenne seria, e guardando in lontananza verso un punto indefinito, sospirò gravemente: «Devi considerarlo un avvertimento; il Guru certamente non è contento di te»! Rimasi in silenzio, confuso. Parlò a lungo, ininterrottamente per circa un'ora. Del suo discorso ricordo solo un episodio sulla vita di P.Y.. Mi raccontò quanto accadde quando un discepolo decise di lasciar l'Ashram di P.Y.. Il Guru, consapevole di ciò, cercò di fermarlo, quando sentì internamente una voce - quella di Dio stesso, Lei assicurò - la quale gli intimava di non interferire con la libertà del discepolo. Il Guru obbedì ed in un bagliore d’intuizione vide tutte le incarnazioni future del suo discepolo, quelle in cui lui si sarebbe perso, nelle quali avrebbe continuato a cercare - in mezzo a sofferenze innumerabili e indicibili, passando da un errore ad un altro - lo stesso sentiero spirituale che ora stava abbandonando. Poi, alla fine, sarebbe ritornato sullo stesso sentiero. La signora disse che il suo Guru specificò il numero delle incarnazioni che quest’immenso e desolato "viaggio" sarebbe durato: approssimativamente trenta (!) La morale di questa storia era evidente, qualcosa da cui non potevo sfuggire: dovevo ubbidire a ciò che mi era stato consigliato, «perché quella era sicuramente la volontà di Dio». Se non lo avessi fatto mi sarei senz'altro perso in un labirinto di enormi sofferenze e chissà quando avrei di nuovo ritrovato la strada giusta. Sebbene ammirasse la serietà con la quale procedevo lungo il sentiero diversamente da altre persone tiepide ed esitanti che andavano da lei unicamente per essere ricaricate di una motivazione che non riuscivano a trovare in loro stessi - era delusa per il fatto che la devozione che lei provava per il suo Guru mi era totalmente estranea. Raccontando questo o altri episodi della vita di P.Y., cercava di rendermi 41 partecipe delle sue esperienze. Le sono grato per tutti i suoi sforzi sinceri e per il tempo che spese per me; ma come poteva cambiare la mia natura? Fece quello che era nelle sue possibilità: non poteva dar sollievo alla mia immensa sete di conoscenza dell’arte del Kriya. Guardando i suoi begli occhi rattristati, ebbi la chiara impressione che lei fosse in permanente anticipazione che io agissi in qualche modo "sleale." Mesi più tardi, venne a sapere che avevo letto un libro "proibito", uno di quei testi che, agli appartenenti alla nostra scuola di Kriya, era raccomandato categoricamente di non leggere. Era scritto da un uomo (D.W.) il quale, un tempo, aveva fatto parte della direzione della scuola, poi si era messo in proprio aprendo una scuola di Kriya: un "traditore" secondo lei. Non avevo dubbi che in questo terzo millennio una persona potesse leggere quello che riteneva più conveniente e così feci; trovai il libro interessante e distribuii alcune copie ad altri amici! Uno di questi, successivamente, mi mostrò una lettera nella quale lei si riferiva a me come «uno che pugnala il suo Guru alle spalle e distribuisce pugnali affinché altri facciano lo stesso»! La sua reazione fu così abnorme che non mi ferì affatto; sperimentai piuttosto per lei una sorta di tenerezza. Sentii che aveva agito sull'onda di un’emozionalità irrefrenabile e che decenni di condizionamento avevano influito irreparabilmente sul suo buonsenso. Mi pareva di vederla mentre batteva a macchina quella lettera. Ravvisando che le sue infauste attese nei miei confronti si erano materializzate, scrivendo di getto e aggiungendo altre considerazioni come per liberare tutta la tensione accumulata, la sua espressione doveva essere stata finalmente tranquilla, come quella di chi assapora una dolce, intima, soddisfazione. Alcuni anni dopo, quando il mio rapporto con quella scuola di Kriya era quasi completamente compromesso, incontrai un altro dei suoi rappresentanti: in cinque minuti mi chiarii tutti quei dubbi senza isterismi e mi incoraggiò nella pratica di tutte le tecniche del Kriya. Aveva Dio mutato i Suoi piani, o avevo finalmente incontrato una persona educata ed assennata? 42 CAPITOLO I/3…. ASSENZA DI RESPIRO A lungo sperai di trovare in qualche libro quei suggerimenti che riuscissero a chiarire i miei dubbi sui Kriya superiori. La mia ricerca prese una particolare direzione: sapevo che c'erano dei discepoli diretti di P.Y. che avevano litigato con la direzione della scuola e che in seguito si erano messi per conto proprio. Conoscevo due o tre nomi di tali discepoli diretti: acquistai tutto il materiale pubblicato da loro, persino registrazioni di loro conferenze. Speravo che, onde esprimere la profondità della loro esperienza col Kriya, essi uscissero fuori con delle frasi interessanti, più profonde del solito materiale fornito dalla scuola. Avevo anche una debole aspettativa che, per una specie di vendetta, avessero anche riversato nel libro dei cenni più espliciti alle tecniche segrete. Il primo discepolo sembrava un esperto in chiacchiere ed era avaro con le spiegazioni pratiche; il secondo era indubbiamente più professionale, dotato di spirito didattico, ma dalla sua letteratura e registrazioni su nastro solo una delle sue frasi gettò una debole luce su uno dei Kriya superiori; nella letteratura del terzo discepolo – sorprendente e preziosa in quanto, avendo incontrato la tragedia della malattia mentale, raccontava dettagliatamente il suo travaglio – trovai (tranne una frase illuminate sul ruolo del Kechari Mudra) solo una devastante banalità. I segreti, se ne avevano, erano ben custoditi! Vincendo una certa riluttanza, cominciai a leggere alcuni libri scritti dai discepoli di Lahiri Mahasaya, che non avevano alcun collegamento con P.Y.. La mia esitazione ad abbandonare la letteratura legata a P.Y. derivava dal fatto che, a mio avviso, egli era unico ed ero certo che quanto lui aveva scritto conteneva la totalità della informazione che avrei usato durante la mia vita. Ero propenso ad accogliere una ipotesi suggerite dai miei amici kriyaban secondo le quali egli avrebbe avuto un incontro con Babaji, molti anni dopo l’episodio dell’iniziazione di Lahiri Mahasaya. In pratica avrebbe ricevuto delle istruzioni più fresche ed efficaci di quelle ricevute dallo stesso Lahiri Mahasaya. Perciò, se qualcuno affermava che ci fossero dei segreti sul Kriya da potersi ottenere al di fuori del lascito di P.Y., questo fatto m’infastidiva. I libri scritti da diretti discepoli di Lahiri Mahasaya (o da loro discepoli) erano pochi: principalmente commenti dei classici spirituali. Mi delusero parecchio e mi fecero rimpiangere lo stile chiaro di P.Y. Non vi trovai nient’altro che parole vuote, prive di alcun significato, ripetizioni senza fine unite alla caratteristica intollerabile di saltare continuamente da un argomento ad un altro. I chiarimenti pratici che erano presentati come preziosi non erano altro che delle povere cose copiate dai libri classici di Yoga. Erano scritti così male da far pensare che l'autore non si fosse neanche dato la pena di controllare i 43 testi originali che citava. Probabilmente aveva copiato da un altro libro il quale a sua volta era copiato da altri, in una catena dove ogni autore aggiungeva qualche strana considerazione tanto per lasciare il segno della sua personalità. Le cose andarono avanti così per parecchio tempo, finché una crisi profonda sradicò ogni apparente certezza. Essa nacque dalla decisione ostinata di affrontare i problemi connessi con una delicata relazione umana nel modo yogico. Probabilmente il buon senso sarebbe bastato per trovare uno schema corretto di azione, ma io ero un kriyaban e perciò tentai di applicare in modo integrale, o piuttosto letterale, gli insegnamenti di P.Y.. Scelsi, fra tutti i suoi scritti, una frase che sembrava confermare quei modi di comportamento verso cui il mio istinto cieco mi conduceva. Decisi tra me e me che stavo agendo come sostenuto dall’"alto", immaginando che le benedizioni e la forza del Guru erano con me. Non riuscii a vedere che questo letale approccio mi impediva di esercitare prudenza e discriminazione. Il fallimento venne e fu desolante e deplorevole. In un primo momento non riuscivo ad accettarlo. Rifiutavo di credere di avere agito in modo errato. Ero convinto che l'altra persona fosse incapace di essere all’altezza del mio modo di agire. Credevo che il mio fosse un fallimento apparente, che un giorno tutto si sarebbe risolto a mio favore. Poi il mio sogno illusorio cominciò a disintegrarsi, lentamente ma inesorabilmente. Dopo vari mesi in cui non ero capace di rintracciare il filo di un pensiero coerente, riuscii a guardare all'intera situazione con il dovuto distacco. Intrapresi la pratica - che avrei usato varie volte in futuro nei momenti di aridità interiore o di scoraggiamento per ritrovare quasi istantaneamente l'entusiasmo che è la costante del mio stato mentale – di ricordare gli accadimenti del mio percorso spirituale dal loro inizio. Rivissi nel ricordo la magia delle prime sedute di Pranayama che avevo appreso dai libri: questa disciplina era per me un'arte da essere perfezionata con la più grande concentrazione, intelligenza e anche con un po' di coraggio. Divenni un membro di un'organizzazione di Kriya solo per perfezionare questo Pranayama. Mentre non avevo motivo di lamentarmi del modo in cui affrontai la pratica delle tecniche Hong So e Om (fui aiutato in questo dal pensiero che esse erano tecniche preliminari e, per poter avere risultati, dovevo usare la mia intuizione al massimo grado), avevo affrontato il Kriya Pranayama con un atteggiamento improprio. A parte altri stupidi pensieri, avevo accettato l'idea infantile che ciascun respiro Pranayama producesse «l'equivalente di un anno solare di evoluzione spirituale» e che con un milione di questi respiri Kriya avrei raggiunto infallibilmente la Coscienza Cosmica. Quando mi sedevo per praticare, 44 cercavo di eseguire il più gran numero possibile di Pranayama onde avvicinarmi più velocemente al momento in cui avrei completato il numero menzionato sopra. Ora, anche se praticavo l'autentico Kriya Pranayama - ricevuto con tutte le benedizioni del Guru - non lo stavo eseguendo con la primitiva intensità, quando non potevo far leva se non sulla mia intuizione. Siccome mi sentivo un essere privilegiato che aveva ricevuto la benedizione del Kriya come una fortuna inaspettata, lo stavo praticando senza la libertà di sognare sviluppi impensabili da ottenersi con lo sforzo e con l'intelligenza. Nelle nostre riunioni di gruppo avevo udito per anni questo ritornello: «Non siete contenti di aver trovato un vero Guru? Non siete entusiasti che Lui sia stato mandato a voi da Dio Stesso?» «Oh siiii che siamo contenti» rispondevamo con lacrime di gioia. Vidi quanto letale fosse l'idea perniciosa di praticare «la più veloce delle tecniche nel campo dell'evoluzione spirituale». L'atmosfera ipnotica delle "benedizioni del Guru" era stata, nel mio caso, la culla nella quale il mio ego era stato alimentato e fortificato. Il dolore pungente creato dalla consapevolezza della situazione presente si mescolò con l'esultanza per un passato che non se n'era andato per sempre. La necessità di ricreare lo spirito di un’autentica ricerca divenne imperativa. Era necessario sentire ancora la benedizione dell'incertezza e del dubbio. Era imperativo comportarmi non come un uomo che ha trovato un tesoro, lo nasconde e ci dorme sopra soddisfatto, ma come un ricercatore che sviluppa la sua scoperta e la rende più grande. Patanjali Studiai gli Yoga Sutra di Patanjali per trovarvi un indizio su come pianificare una routine razionale di Kriya. Patanjali fu un pioniere nell’arte di considerare razionalmente il sentiero mistico, cercando di individuare una direzione agli eventi che fosse universale, fisiologica, che spiegasse come mai un certo fenomeno, inerente al sentiero spirituale, dovesse precederne un altro e necessariamente seguirne un altro. La sua fatica di sintesi potrebbe essere criticata, o, a causa della sua distanza temporale, essere di difficile comprensione ma, in ogni caso, è di straordinaria importanza. Nello sviluppo del processo mistico (Yoga), egli individua otto passi: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. Ci sono diversi modi di tradurre questi termini sanscriti. Yama: autocontrollo (non-violenza, non mentire, non rubare, non lussuria e non attaccamento). Niyama: osservanze religiose (pulizia, appagamento, disciplina, studio del Sé, e resa al Dio Supremo). 45 Per quanto riguarda Asana (posizione del corpo) Patanjali spiega che deve essere stabile e comoda. La prima azione significativa è il Pranayama: regolazione del Prana principalmente tramite la regolazione del respiro. Ne nasce uno stato di calma e di equilibrio che diviene il fondamento dei passi successivi. La fase del Pranayama conduce allo stato elevato di assenza di respiro. Pratyahara (la consapevolezza è scollegata dalla realtà esterna) richiede perfetta immobilità. Dharana significa concentrazione (focalizzare la mente su un oggetto scelto). Dhyana è meditazione o contemplazione (la prosecuzione dell'azione di focalizzazione come un flusso costante ininterrotto della consapevolezza che esplora pienamente tutti gli aspetti dell'oggetto scelto) e Samadhi è perfetto assorbimento spirituale (contemplazione profonda, nella quale l'oggetto della meditazione diviene inseparabile da colui che medita). Per quanto riguarda Dharana e Dhyana, Patanjali spiega che, dopo la scomparsa del respiro, lo Yogi dovrebbe cercare un oggetto concreto o astratto verso cui volgere la sua concentrazione ed esercitarla in una specie di meditazione contemplativa fino a perdersi in esso. Onde porre in relazione gli otto passi di Patanjali con il Kriya, appare chiaro che i primi due passi (le cose che è giusto fare come anche quelle che è giusto evitare) dovrebbero essere dati per scontati senza menzionarli. È palese la totale inutilità delle "prediche" moraleggianti. Questo non significa che la vita del kriyaban possa essere dissoluta: per dirla in modo semplice, si è visto che delle persone che conducono una vita moralmente discutibile hanno avuto successo con il Kriya arrivando spontaneamente alla cosiddetta vita virtuosa, mentre molti "benpensanti" abbiano fallito. La necessità di conformarsi a dei precisi precetti morali è qualcosa che si comprende solo dopo aver gustato il miele dell'esperienza spirituale. Un buon insegnante di Kriya è sempre incline a lasciar perdere tanti fatti discutibili riguardanti il comportamento dell’allievo, facendo finta di non vederli; egli ha gran fiducia nell’effetto trasformante della pratica del Kriya. D'altro canto è ovvio che se una persona, desiderosa di imparare il Kriya, va dall'insegnante e questi gli propone le regole morali di Patanjali (Yama, Niyama) chiedendogli una solenne promessa di adeguarsi ad esse, quasi sicuramente l’allievo farà tale promessa, solo per accontentare l'insegnante. Per quanto riguarda Asana, nel Kriya si utilizza comunemente il mezzo-loto (raramente Siddhasana, e ancor più raramente Padmasana). La maggior parte degli insegnanti di Kriya non si sognano nemmeno di sprecare il loro tempo nel dare dei consigli personali dettagliati che riguardano questo punto: sanno che lo studente serio e risoluto userà il suo buon senso per trovare una 46 posizione ideale e confortevole, in modo di poter mantenere facilmente la schiena ben diritta durante la pratica del Kriya. La pratica del Maha Mudra, oltre al suo ruolo importante nel preparare il corpo per il Pranayama, aiuta a mantenere la spina dorsale sempre flessibile. La fase del Pranayama è il nucleo del Kriya Yoga, il quale prevede delle procedure così ampie e delicate che molti kriyaban dimenticano le fasi successive. Queste richiedono una sottile attenzione e non semplicemente l'atto di attendere cinque-dieci minuti prima di alzarsi dalla propria Asana e considerare completata la propria pratica quotidiana del Kriya. Siccome il passo successivo del Pratyahara richiede l'immobilità, ciò significa che le tecniche che richiedono movimento devono essere praticate entro la fase del Pranayama e non verso la fine della routine. Hong So sembrava l'ideale da praticarsi dopo tutte le tecniche attive, sicuramente non quei Kriya superiori che richiedevano movimento. La tecnica Om poteva essere praticata nella sera come alternativa ad Hong So, ma sempre vicino al termine della pratica. Abbiamo visto che per quanto riguarda Dharana e Dhyana, Patanjali da un'istruzione che è inutile per un kriyaban. Scegliere un oggetto fisico o astratto su cui guidare la propria concentrazione è senza senso. Un kriyaban incontra la manifestazione della realtà Omkar nell'aspetto di suoni interiori e di luce spirituale nel Kutastha. La coscienza è riempita di tale delizia che egli non ha motivo di abbandonare tale percezione e sceglierne un'altra che sicuramente non potrà che appartenere al regno della mente. In sintesi una routine di Kriya incomincia con un’azione sul respiro (Pranayama) il quale viene guidato, indirizzato, controllato e, pur essendo lungo e profondo, trasformato essenzialmente in un movimento di energia. La spina dorsale è magnetizzata; questo crea una situazione di profonda calma e tranquillità, una sensazione d’espansione e di conforto interiore. Il respiro si calma e il cuore rallenta. Segue poi una fase in cui la consapevolezza del respiro è messa da parte e incomincia un processo in cui il respiro prosegue libero, per conto suo ed è molto, molto calmo. La concentrazione sui Chakra, secondo una tempistica suggerita dall’intuizione, non fa che arricchire enormemente la percezione della realtà Omkar. Man mano che il livello di coscienza si solleva nei Chakra superiori, in particolare nel Kutastha, la coscienza si fonda con Om. Nella totale immobilità, quando il rilassamento raggiunge lo stato perfetto, c’è l’esperienza della luce. Non fu difficile aderire a questo principio; la sua correttezza appariva proprio dalla profusione di interna gioia. La concentrazione sul terzo occhio l'"occhio interiore" che Wordsworth con parole appropriate definisce come "l'estasi della solitudine" - avveniva spontaneamente. 47 Mére (la Madre) Il gran fascino per quest’eminente figura era incominciato anni prima, dopo aver incontrato il pensiero di Sri Aurobindo - i cui Aforismi ed il poema epico Savitri mi avevano profondamente impressionato. Dopo la morte di Aurobindo nel 1951, fu Mére che portò avanti la sua ricerca e incarnò il suo sogno: che il Divino - l’intelligente forza evolutiva alla base di tutto ciò che esiste - potesse giungere ad una perfetta manifestazione su questo pianeta! «Il mondo non è uno accidente mal riuscito: è un miracolo che si muove verso la sua piena espressione» e «Nella materia, il Divino diviene perfetto…» erano le sue frasi preferite. Dal 1958 al 1973, l'anno in cui lei lasciò il corpo, cercò di trovare dov'era il passaggio alla prossima specie, di scoprire un nuovo modo di vita nella materia e raccontò la sua straordinaria esplorazione a Satprem. I loro colloqui sono trascritti nell' Agenda [Edizioni Mediterranee]11 Lei non si atteggiò a Guru tradizionale, sebbene cercasse di estrarre da ogni essere umano che veniva a cercare inspirazione ai suoi piedi, tutte le potenzialità nascoste. «Non appartengo ad alcuna nazione, ad alcuna civiltà, ad alcuna società, ad alcuna razza, ma al Divino. Non obbedisco ad alcun Maestro, ad alcun sovrano, ad alcuna legge, ad alcuna convenzione sociale, ma al Divino» affermava. La Sua presenza nella mia vita, evocata da letture attente e appassionate, agiva come una pressione interna che invocava la necessità di estrarre un significato da ciascuna parte, anche apparentemente incomprensibile, del mio essere. Secondo il suo insegnamento, uno diventa un vero individuo solo quando, in un aspirazione costante per una più grande bellezza, armonia, potere e conoscenza, è perfettamente e compattamente unificato attorno al suo centro divino. Lei pose l’accento sul valore di non cercare ad ogni costo di divenire puri davanti agli occhi degli altri, ma di comportarsi in armonia con la verità del proprio essere. Secondo Mére, ciascuno dovrebbe riconoscere il proprio lato oscuro, accettare il fatto che nel profondo del suo essere si agita la stessa sostanza che in alcuni si è sviluppata in un modo di vivere disapprovato dalla società. Non so dove trovai l’affermazione secondo cui «il desiderio della purezza è il più grande ostacolo sul cammino spirituale»! «Non cercate di sembrare virtuosi - aggiunse - vedete fino a che punto siete uniti, una sola cosa con tutto ciò che è anti-divino.» Non riuscirò mai a descrivere l’esplosione di gioia, il sentimento di libertà che provai leggendo quelle parole così rivoluzionarie! 11 Questo grandioso documento – 6000 pagine in 13 volumi – è il resoconto delle scoperte di Mére in un periodo di 22 anni. 48 Japa Con un gran bisogno di pace e tranquillità, scelsi di conformarmi alla più semplice routine Kriya e vivere in un modo più consapevole (essere sempre cosciente di tutte le percezione, interne ed esterne). Io afferrai caparbiamente alla ben nota istruzione di mantenere risolutamente un atteggiamento imparziale nei confronti sia degli eventi piacevoli che di quelli sgradevoli, rimanendo come un "testimone" distaccato. Sostenuto dall'entusiasmo di avere adottato questa nuova disciplina – raccomandata in pressoché tutti i libri che trattano di pratiche meditative orientali - riuscii nel raggiungere un stato quasi ideale. Dopo tre giorni, mi sentii sottoposto ad uno stress intollerabile come se tutto fosse una finzione, un'illusione. Fu a questo punto che incontrai e lessi avidamente una biografia di Swami Ramdas, il santo indiano che si era mosso in lungo e in largo attraverso tutta l’India ripetendo incessantemente il Mantra Sri Ram Jai Ram Jai Jai Ram Om. Questo fu davvero un evento importante: la sua fotografia - la semplicità quasi infantile del Suo sorriso - accese la mia intuizione e mi spinse a provare la stessa pratica. Da questa decisione venne qualche cosa che è rimasta sempre nella mia vita come un’esperienza di vetta. Con l'aiuto di un mala (rosario) incominciai a praticare il Japa ad alta voce per 108 volte durante una passeggiate, poi tentai di continuarlo mentalmente durante la restante parte del cammino e durante le attività della giornata. Il suono del Mantra che già avevo ascoltato in una registrazione di un canto spirituale, era molto piacevole. Siccome la scelta del mio Mantra era scaturita da una predilezione inequivocabile, amavo accarezzare la sua vibrazione, prolungarla sulle mie labbra, farla vibrare nel mio petto, investirla dell’aspirazione del mio cuore. Il mio atteggiamento non fu mai l’attitudine di supplica di un devoto che si lamenta e singhiozza ma quella di un uomo che si trova ad un passo dalla sua meta. Anche se qualche volta mi sentivo un po’ stordito, ero determinato a non abbandonare mai la pratica. Dal momento che, facendolo, notai un impulso irresistibile di mettere tutto in ordine, pensai che il Mantra potesse lavorare in un modo simile pulendo la mia sostanza mentale e mettendo in ordine la mia "mobilia psicologica". Questo ordine si trasformò quasi automaticamente in uno stato di silenzio mentale. La pratica era come un martello pneumatico che distruggeva il cemento dei condizionamenti mentali, permettendomi di attraversare indenne le sue paludi e raggiungere la dimensione della pura consapevolezza. Avevo l'impressione che esso annullasse il rumore di fondo delle mente, della 49 cui presenza ero consapevole solo quando mi sedevo per praticare il Kriya – talvolta mi sentivo disperato poiché esso bloccava definitivamente ogni tentativo di concentrazione. Ci sono dei pensieri che possiamo visualizzare, identificare e bloccare, ma un diffuso persistente rumore di fondo annulla tutti i nostri sforzi. Questo non avviene quando pratichiamo il Japa: questo mezzo è unico, può fare "miracoli" proprio dove falliscono le nostre migliori intenzioni! Ero stupefatto nel percepire il suo deciso effetto. Ci deve essere sicuramente una ragione se il Japa ("Preghiera Continua", "Preghiera Interiore", "Preghiera del Cuore", Dhikr) fu ed è la pratica base della maggioranza dei mistici. So che alcuni kriyaban non usano mai il Japa; obiettano che Lahiri Mahasaya non raccomandò tale pratica. A questo possiamo ribadire che pressoché tutti suoi discepoli, indù e musulmani, lo praticavano poiché era, a quell'epoca ed in quel ambiente, una pratica molto diffusa. Infine mi sia concesso dire che sebbene le tradizioni Orientali raccomandino che il Japa sia fatto mentalmente, ho la certezza che esso dovrebbe essere fatto a voce alta - perlomeno durante un insieme iniziale di un centinaio di ripetizioni. L’esperienza e il buon senso contraddicono la credenza che un Mantra funzioni solo se è ricevuto dal proprio Guru; naturalmente è chiaro che una persona esperta che ci aiuta a scegliere un Mantra ed usa tutto il suo potere di persuasione per convincerci ad applicarlo continuamente, ci fa il più grande favore possibile, ma questo è tutto! Lo stato di assenza di respiro Venne l'estate e ogni giorno praticavo il mio Japa di mattina e il Kriya a mezzodì in campagna. Un giorno, durante il Pranayama mentale, mentre stavo salendo e scendendo su e giù attraverso i Chakra, percepii distintamente una fresca energia che sosteneva il corpo dall’interno. Entrai in un'immobilità perfetta e, ad un certo momento, scoprii di essere completamente senza respiro. Questa condizione durò vari minuti, senza alcun sentimento di disagio: non c'era né il minino fremito di sorpresa, né il pensiero: «Finalmente ho ottenuto questo stato! » Questo evento era di una gioia oltre le parole: in una profondità fatta di blu, essa conteneva i cieli della mia infanzia. Nei giorni successivi lo stesso meccanismo si verificò di nuovo. Osservai una perfetta associazione tra la pratica del Japa durante il giorno e l'ottenimento di questo stato. Fui sorpreso che una delle più semplici tecniche del mondo, qual è il Japa, avesse prodotto un tale prezioso risultato! 50 Prima di cominciare la mia pratica Kriya, guardavo il panorama circostante e mi chiedevo se tra poco avessi sperimentato ancora una volta quello stato: dopo circa 35-40 minuti avevo già completato la parte attiva - gli ultimi respiri del Pranayama - e poi, dopo non più di due o tre minuti, mentre a malapena avevo completato un giro di concentrazione sui Chakra in su e in giù, il miracolo avveniva. Un incomparabile senso di libertà interiore - che è impossibile da dimenticarsi – accompagnava l'impressione di essere implacabilmente frantumato dalla bellezza della natura e, allo stesso tempo, di essere situato al di sopra del mondo intero. Per quanto riguarda gli effetti sulla vita quotidiana, mi ricordava ciò che Sri Aurobindo scrisse descrivendo il momento in cui piede sul suolo indiano, dopo il lungo periodo di studi in Inghilterra. Parlò di una vasta calma che discese su di Lui, lo circondò e con Lui rimase per sempre. In seguito, osservai attentamente, come sorgeva lo stato di assenza di respiro. La mia consapevolezza faceva una pausa su ogni Chakra approssimativamente per dieci secondi - come un'ape attratta dal nettare nei fiori, che si libra su ciascuno in grande delizia - "toccando" lievemente il suo nucleo lungo un percorso antiorario. Più mi rilassavo durante questa azione interiore, più divenivo consapevole di una fresca sensazione di energia che sosteneva ogni parte del mio corpo. Ero così simultaneamente consapevole sia dei Chakra che del corpo nel suo insieme. Una percezione ben netta di leggerezza interiore e assoluta trasparenza mentale era il segno che lo stato senza fiato si stava stabilendo. La respirazione, che nel frattempo era divenuta molto molto corta, alla fine raggiungeva l'immobilità, come un pendolo che arriva dolcemente al punto di equilibrio. Nel corso di tre mesi vissi in questa dimensione celestiale, perfettamente a mio agio, senza alcun desiderio da realizzare. Una calma euforia mi accompagnava: la certezza di aver trovato finalmente qualcosa di stabile e immutabile entro l’evanescente flusso dell’esistenza, che talvolta sembra avere la consistenza di un’infinita teoria di riflessi sull’acqua. Barlumi dello stato finale di libertà toccavano la mia mente... Quando uscivo per una passeggiata, se incontravo qualcuno e mi fermavo ad ascoltarlo, non importa quello che dicesse, un’improvvisa gioia scoppiava nel mio petto, saliva fino agli occhi, tanto che era difficile trattenere le lacrime. Guardando le montagne lontane o altre parti del paesaggio, cercavo di 51 indirizzare verso di esse quello che sentivo, onde trasformare la gioia paralizzante in un rapimento estetico: questo tratteneva la gioia che serrava il mio essere, e la nascondeva. Assenza di respiro non significa azione; essa è la mancanza totale di movimento e del più lieve palpito causato dal pensiero, comunque è da tale stato che nasce l’azione che cambia il proprio destino. Aurobindo scrisse «La mente non agisce; semplicemente dai suoi recessi origina un’azione irresistibile». Seguirono diversi cambiamenti esteriori nella mia vita; certamente la luminosità che un giorno mi avrebbe aiutato a liberarmi di tutti i miei dubbi a riguardo della decisione di scrivere un libro sul Kriya, rompendo così il voto di segretezza, cominciò ad irradiarsi sin da quest'epoca incantevole. Pensavo: «Non devo dimenticarmi mai di quest’esperienza, voglio provarla ogni giorno della mia vita poiché è la cosa più vera mai sperimentata»! Sembrava impossibile perderla. Durò quasi un anno, poi lo persi. Il mondo dei "Guru itineranti" si stava avvicinando alla mia vita, e con esso un'incredibile confusione. 52 CAPITOLO I/4… RICERCA DEL KRIYA ORIGINALE Durante una gita in Austria, trovai un testo scritto da uno Swami Indiano, il quale introduceva il suo metodo affermando essere il Kriya originale di Lahiri Mahasaya, mentre quello di P.Y. era menzionato come una forma lievemente modificata di Kriya. Ovviamente il testo, come infiniti altri che avrei letto in futuro, doveva servire da esca, per interessare le persone a quella forma particolare di Kriya e non includeva spiegazioni pratiche. Ero molto incuriosito quando lessi che la pratica del Pranayama doveva essere considerata errata se, dopo un opportuno numero di respiri di assestamento, il praticante - senza chiudere gli orecchi - non avesse ottenuto l’esperienza del suono dell’Om. L'affermazione valeva la pena di essere presa in considerazione: era chiaro che l'insegnante si riferiva ad una pratica molto profonda del Pranayama. Leggendo il libro, ebbi la sensazione che l'autore conoscesse il processo del Kriya Yoga più profondamente di altri insegnanti. Il Kriya era, secondo lui, suddiviso in sei livelli. Egli affermava che essi costituivano dei gradini progressivi volti a produrre l’illuminazione finale che sarebbe avvenuta nel cervello, nella cosiddetta "grotta di Brahma". Nella parte frontale di questa regione vi è la ghiandola ipofisi e, dietro, la pineale: rispettivamente la sede del sesto e del settimo Chakra. Fra questi due "poli" si sarebbe prodotta un’emissione di luce, una specie d’arco di voltaico il quale avrebbe "illuminato" la regione. Questo fatto era descritto come un "matrimonio mistico". La descrizione era accompagnata da uno schizzo suggestivo che invogliava a credere alla validità e universalità dell'esperienza. Non avevo alcuna idea su quando e dove avrei avuto l’opportunità di incontrare questo insegnante ma pregustavo la meravigliosa possibilità di approfondire il Pranayama e di chiarire, probabilmente, ogni altro dubbio che riguardava il Kechari Mudra e i Kriya superiori. Ero eccitato come un bambino che sta per ricevere il più bel regalo. Nei mesi seguenti, la mia idea fissa era intuire in che modo il Pranayama potesse essere approfondito. Talvolta appariva un dubbio insidioso: qualora avessi ricevuto questo nuovo insegnamento, come avrei fatto a capire se esso era davvero quello originale oppure non era altro che un’invenzione? La ragione di tali incertezze derivava dai miei condizionamenti di allora secondo i quali qualsivoglia informazione Kriya, ottenuta al di fuori della scuola, poteva essere un’invenzione da parte di coloro che curavano solo i loro interessi personali, come far soldi o esercitare potere sulle altre persone. Comunque ragionai così: l’ascoltare l’Om con le orecchie aperte sarebbe stata la prova di un ottimo approfondimento del Pranayama. 53 Mi convinsi che la decisiva aggiunta tecnica consisteva nel cantare mentalmente Om nei Chakra, esercitando, allo stesso tempo, tutta la possibile attenzione all’ascolto dei suoni interiori; inoltre, poiché la tecnica di ascolto dell’Om appresa all’interno della scuola mi aveva regalato la più profonda delle soddisfazioni, mi prefiguravo un marcato successo con il mio nuovo intento.12 Non ricordo quanti di questi respiri ero solito praticare ciascun giorno: di sicuro non più di 48-60 unità. Siccome mi avevano insegnato a praticare il Pranayama con la bocca aperta o semichiusa, così continuavo a fare. Dopo questi piacevoli respiri continuavo ad ascoltare ogni possibile suono interiore mentre interiorizzavo il canto di Om in ciascun Chakra. Talvolta dimenticavo completamente il respiro, altre volte ero consapevole di esso (un respiro calmo, breve, quasi impercettibile che pare quasi stia per scomparire) ponendo in relazione ciascun respiro con un Chakra diverso.13 Il suono interiore apparve dopo appena quattro giorni di pratica assidua. Era d’inverno e avevo tre settimane di vacanza. Scelsi di rimanere tutte le mattine nel caldo della mia casa praticando il più possibile. Sperimentai un appagamento totale come se il percorso Kriya fosse giunto alla fase finale. Durante il giorno tutte le cose sembravano essere circondate da un alone magico che rendeva ogni dissonanza impossibile. Tutto era come trasfigurato; era come vivere in una realtà perfetta, ogni cosa mi sorrideva in estasi; ogni dolore era volato lontano dal mio sguardo. Alcuni giorni furono trascorsi in una bella località di sport invernali, dove ero libero di camminare nella campagna bianca di neve senza una destinazione prefissata. Mentre oziosamente camminavo senza una meta, il tramonto veniva presto e colori meravigliosi tingevano il paesaggio; le luci del piccolo villaggio sprofondato nella neve si accendevano nel buio. Quello rimarrà per sempre lo splendido simbolo del mio contatto con l’esperienza Omkar. La cosa curiosa è che ancora non conoscevo l’insegnante, avevo soltanto letto il suo libro: era l’intensità della mia pratica che era totale! Le vacanze invernali finirono e ripresi il lavoro. Nei pochi momenti liberi 12 Quel insegnante mi avrebbe deluso. Quello che stavo ora indovinando era il Kriya originale di Lahiri Mahasaya non la forma insegnata da quello Swami. Durante il corso degli anni, aveva semplificato la tecnica originale ed ora aveva ristretto l'insegnamento al raccomandare l'ascolto interiore mentre la coscienza si muoveva lungo la spina dorsale. L'intera questione è affrontata in dettaglio nel capitolo II/3: il suo intero insegnamento è illustrato sotto il titolo Sezione [A]. 13 Nel libro avevo trovato un dettaglio profondo: se vogliamo fare un notevole progresso spirituale, dovremmo impegnarci ad essere consapevoli di 1728 respiri al giorno, seguendo tale procedura. 54 pensavo alla preziosità del Kriya e visualizzai per il mio futuro la possibilità di approfondire, con totale dedizione, anche i Kriya superiori. Un giorno, sul luogo di lavoro, mi trovavo in una stanza da cui, attraverso una porta di vetro, potevo vedere da lontano le montagne e contemplare sopra di loro un cielo di un puro celestiale. Ero in estasi! Quel cielo distante era lo specchio dei miei anni futuri dove avrei gioito solamente del mio Kriya. Per la prima volta, il progetto di andare in pensione e vivere con un minimo reddito, permanendo in questo stato per il resto dei miei giorni, venne a me. Il mio primo insegnante di Kriya (al di fuori della organizzazione) L’autore del libro, a causa della necessità di essere sottoposto ad un intervento chirurgico negli Stati Uniti, si sarebbe presto fermato in Europa; mi diedi molto da fare per incontrarlo e ricevere da lui l’iniziazione al Kriya. Quel momento giunse finalmente! La conferenza introduttiva fu di grande impatto emotivo. Egli aveva un aspetto maestoso e nobile, era "bello" nel suo abito ocra, anziano con capelli lunghi, barba pure - era la personificazione del saggio. Lo sbirciavo nascosto dietro alcune file di persone; sentivo che parlava del lascito di Lahiri Mahasaya per esperienza diretta. I concetti teorici che introdusse erano assolutamente nuovi per me e creavano una cornice bella e coerente per una pratica Kriya concepita come un unico processo progressivo di sintonia con la realtà Omkar. Come un filo in cui sono infilate delle perle, la percezione Omkar attraversava tutte le diverse fasi del Kriya. Il Maha Mudra non era separato dal Pranayama il quale non era separato dal Pranayama mentale. Inoltre, la realtà Omkar doveva essere percepita non solo nell'aspetto di suono e luce ma anche come "sensazione di oscillazione" (altre volte parlò di un senso di pressione). Le sue stupende e alettanti parole erano per me una rivelazione ma in certi momenti, la curiosità di apprendere i nuovi dettagli tecnici, mi impediva di afferrare il senso e le implicazioni di tali concetti. La mia ossessione era: «Chissà quali suoni nella gola sono previsti nel suo Kriya, quali sensazioni sono previste nella spina dorsale, fino a quale centro sale l'energia durante l’inspirazione?» Stava guidando noi ascoltatori in una meravigliosa dimensione, si donò completamente a noi affinché potessimo intuire il profumo di questa esperienza. Per far sì che gli studenti comprendessero l'aspetto di movimento proprio di Omkar, "toccò" alcuni di loro (testa e torace) vibrando la sua mano, cercando di trasmettere questo tremito al loro corpo. Il suo Secondo Kriya era facile e godibile: consisteva anzitutto nel fondere il Mantra di dodici sillabe (Om Namo Bhagavate Vasudevaya) con il 55 Pranayama, toccando internamente ciascun Chakra con ciascuna sillaba. Nessuno incontrava difficoltà nell'eseguire tutto ciò e nel farlo diventare parte regolare della propria routine quotidiana. Eppure il terreno che tale insegnante aveva dissodato e stava coltivando con tanta capacità di persuasione cominciò a diventare sterile in quanto apparve chiaro che egli aveva scelto di non spiegare varie tecniche tramandate da Lahiri Mahasaya – non solo i Kriya superiori ma anche alcune tecniche base come il Navi Kriya e il Kechari Mudra. Consapevole che lo spirito del Kriya originale fosse stato perso presso le altre scuole, si concentrò solo sul farci toccare il nucleo del Kriya. Le tecniche originali del Kriya di Lahiri Mahasaya, lui le aveva provate tutte e aveva concluso che alcune non erano essenziali, che altre erano troppo delicate e difficili da praticare. Il tentativo maldestro di applicarle avrebbero potuto risolversi in un’inutile distrazione per gli studenti e, per lui, insegnante, in una perdita di tempo. Si espresse in modo molto fermo: la richiesta, da parte di alcune persone, di ricevere i Kriya superiori dimostrava il loro scarso impegno nei confronti della pratica di base. Quanto diceva era vero, eppure finì per isolarlo. Non aveva tenuto conto della realtà della mente umana, della sua curiosità insaziabile, del rifiuto totale di ubbidire a qualunque censura. Aveva tutti i mezzi necessari per attrarre il mondo occidentale. Il libro che aveva scritto era stato una perfetta azione strategica che lo aveva reso popolare in occidente, facendogli ottenere un posto di centrale importanza nel campo del Kriya. Inoltre c'era anche la sua figura di saggio indiano che colpiva le persone. C'erano centinaia di ricercatori che erano entusiasti di lui, che erano pronti a sostenere la sua missione, che l'avrebbero sempre trattato come una "divinità" e si sarebbero comportati in maniera altrettanto rispettosa anche con eventuali suoi collaboratori o successori. Ebbi la prova drammatica della sua solitudine quando un giorno, durante una seduta di ripasso del Kriya, rivolgendosi al pubblico, affermò che il vero Pranayama poteva avvenire solo nello stato di assenza di respiro: quello con il respiro lungo, era un gioco… per «bambini di asilo»! Chiuse le narici con le dita e rimase in quella posizione per un certo tempo. Alludeva in tal modo allo stato senza respiro che lui aveva padroneggiato; sembrava volesse indicare che il pubblico non era in grado né di capire né di praticare il Kriya. Dentro di me pensavo a chissà quante delusioni lo avevano portato a quella singolare dimostrazione. Forse aveva incontrato solo persone che non erano state capaci di adottare la disciplina di una meditazione regolare e quindi non avevano realizzato nulla se non curiosità per chissà quali altri segreti del 56 Kriya; forse voleva farci capire che lui ci stava dando delle spiegazioni solo per cortesia ma che non eravamo in grado di capire veramente il senso profondo di quanto ci stava mostrando. Le persone lo guardavano senza capire; lo ritenevano bizzarro, originale. Il risultato fu che i principianti non percepirono altro che una distanza incolmabile tra loro e il maestro. Coloro che avevano già una buona conoscenza del Kriya videro confermato il loro sospetto che quello che lui aveva insegnato fino a quel momento fosse una semplice introduzione al Kriya e non avesse fornito la chiave per ottenere l'esperienza decisiva. È vero che molti si trovavano bene col suo Kriya, ma si trattava di persone che tendenzialmente mai si sarebbero date da fare per organizzargli dei seminari. Per dirla franca, la fedeltà di molti non gli bastò ad evitare il peggiore esito. La sua infelice scelta mise in moto un meccanismo inesorabile che allontanò le persone a lui più indispensabili. Letteralmente divorati dalla brama di ricevere gli insegnamenti completi, cominciarono a volgersi alla ricerca di altri maestri. Tanto più, deluso dalla defezione di molti, divenne essenziale nel comunicare il Kriya, tanto meno nuove persone riuscì ad attrarre. Su internet cominciarono a circolare della voci che il suo Kriya si era ridotto ad una caricatura del Kriya originale. Chi avesse tentato di fargli capire l’assurdità della situazione si sarebbe trovato davanti ad un muro impossibile da valicare. Il sano obiettivo di tutto il suo sforzo, tutte le meravigliose sottigliezze con cui aveva arricchito il nostro Kriya, rendendo questa pratica molto più bella, non fu sufficiente ad impedirgli di incontrare il naufragio di tutta la sua missione, almeno qui in Europa. Usando gli stessi volantini, solo cambiando foto e nome, coloro che si erano dati da fare per organizzare i suoi seminari invitarono al suo posto un altro insegnante. Egli sarebbe divenuto il mio secondo insegnante. Sebbene i suoi raggiungimenti spirituali fossero quasi inesistenti - e lo sapevamo – coloro che lo avevano già incontrato in India dicevano era disponibile a spiegare il Kriya nella sua forma completa. Ci vollero due anni affinché riuscisse a superare problemi del visto e potesse venire in Europa ma quando arrivò si trovò ad accoglierlo praticamente tutti i discepoli del del Maestro che ho appena descritto. Nel frattempo incontrai diversi gruppi che praticavano il Kriya Yoga. Mi tuffai nel territorio desolato dove il Kriya si mescola col New Age. Per qualcuno dei miei amici che mi seguirono in questa escursione, esso divenne 57 il teatro di cocenti delusioni e segnò l’abbandono definitivo del sentiero spirituale. Questo periodo mi ritorna in mente quando ascolto le registrazioni di alcuni canti devozionali che in quelle occasioni acquistai. Frequentando seminari di Kriya Yoga, conobbi molte persone, con temperamenti eterogenei, con interessi che spaziavano dalle filosofie esoteriche al mondo New Age nel quale sembravano alquanto "persi". Trascorsi con loro uno dei periodi più disordinati della mia vita. All’interno della mia prima scuola di Kriya avevo conosciuto persone tiepidamente entusiaste che sembrava praticassero tale disciplina come un sacrificio quasi necessario per espiare… la colpa di "esistere". I devoti "New Age", invece, erano persino "troppo entusiasti" del Kriya verso il quale mostravano di avere una fiducia cieca nel potenziale di fornire tutta una serie di poteri paranormali. Legati ad uno stile di vita orientaleggiante, amavano un'atmosfera, un modo di atteggiarsi caratterizzato da particolari sensazioni che cercavano di coltivare con piccole attenzioni e, soprattutto, innocenti manie. Imparai ad associarmi con ognuno - per esempio quelli che mi ospitarono quando frequentai seminari in città distanti - come un esploratore affronta degli animali ignoti, preparandomi a qualsivoglia eccentrica rivelazione ….. supposti poteri taumaturgici, profezie di calamità imminenti accompagnate da improbabili suggerimenti su come sfuggirvi. A volte reagivo alle loro stranezze con un po' d’ironia, che sgorgava da me spontanea, intrattenibile. Spesso credetti di averli amareggiati eppure continuavano sempre a mostrarsi generosi verso di me e rispettosi della mia personalità. Mai cercarono di impormi qualche loro convincimento, mentre condividevano tutto quello che conoscevano, anche quanto era costato tempo, sforzo e denaro. Il nostro rapporto era basato su un reale affetto e non c'era mai disapprovazione, acidità o formalità. Cominciai ad abituarmi a rituali di "iniziazione" presso insegnanti per così dire "minori" – ovvero coloro che un tempo erano stati il braccio destro di qualche Guru famoso e poi si erano resi indipendenti per propria scelta o perché erano stati ripudiati da questo. Venni assorbito da qualcosa di estraneo che comunque era accettato come una inevitabile inconveniente di riuscire ad avere le informazioni che cercavo con tanta passione. Era prescritto di portare dei fiori - qualche insegnante ne chiedeva uno, altri chiesero tre o sei - poi qualche frutto. Qualcuno pretendeva un cocco costringendo le persone ad andare, quasi con disperazione, a cercarlo di negozio in negozio. Infine un'offerta in denaro, qualche volta libera, qualche volta di ammontare predeterminato. In linea di massima, dopo diversi rituali, 58 la spiegazione era sempre rapida e superficiale; spesso c'era anche una polemica spietatamente distruttiva nei confronti delle informazioni ricevute dalle altre fonti. Uscivo da quelle "iniziazioni" ripetendomi quanto fossi soddisfatto, proponendomi da allora in poi di abbandonare altre pratiche e dedicarmi con gran serietà solamente a quelle appena ricevute. Il cuore, se mi fossi fermato un istante ad ascoltarlo, mi avrebbe detto che mi stavo ingannando, che quanto avevo appreso era insignificante rispetto a quello che già conoscevo, che la routine che credevo definitiva sarebbe divenuta una "gabbia" che prima o poi avrei trovato troppo stretta e da cui mi sarei allontanato. C'erano anche ricercatori che parevano far provviste di tecniche come durante una carestia. Asserivano con fierezza di essere fedeli ad un certo Maestro (non necessariamente quello da cui avevano appena ricevuto l’iniziazione) ma stavano bene in allerta ad ascoltare qualsiasi voce riguardante dettagli tecnici apparsi in libri o siti web. Uno stato di disperazione li portava a prender parte a diversi seminari d’iniziazione, dove la parola d’ordine per essere accettati sembrava essere un atteggiamento da mendicante nonché l’impegno solenne di segretezza. Appena la riunione era finita, li ascoltai condividere al cellulare le informazioni ottenute coi loro amici, i quali, in cambio, avrebbero preso parte ad altre iniziazioni e restituito il favore. Coloro che organizzavano i seminari davano l'impressione di essere ricercatori onesti, anzi davano la rassicurazione che dalla loro bocca non sarebbe mai uscita alcuna sciocchezza. Rimasi stupito quando uno di loro, non per pura e semplice esibizione, citò a memoria alcune righe di uno scritto di P.Y. - proprio quelle stesse frasi sibilline che erano state un tempo la fonte di tante incertezze. Aveva letto e riletto quei testi moltissime volte tentando di decifrarli, chino su di essi, ci aveva "sofferto" veramente. Sentii che simili ricercatori erano la mia vera "famiglia"; imparai ad ascoltarli con rispetto ed in silenzio quando corressero molte mie interpretazioni fantasiose sul Kriya. Eravamo pienamente d'accordo che i nostri insegnanti erano, nella pressoché totalità dei casi, persone mediocri, con grandi limiti dal lato umano; ciò sarebbe stato tollerabile in una persona comune, ma molto stridenti in individui che si presentavano come "maestri spirituali." Eravamo ricercatori onesti, ipnotizzati dal mito del rapporto Guru-discepolo, la cui suggestione avevamo ricevuto dalla scuola di P.Y.. Ci instillò proprio ciò che ci manteneva fedeli a personaggi che intimamente disprezzavamo! Non eravamo capaci di trovarne almeno uno che lasciasse trasparire quell'abilità essenziale in una questione sottile e delicata come il lavoro 59 pedagogico che pensava di svolgere. Dei fatti secondari confermarono la prima impressione di precarietà ed improvvisazione e, in un caso, persino d’instabilità mentale. Sapevano pochissimo del Kriya Yoga ed in modo ancora più superficiale lo insegnavano. Ciononostante anche ricevere quelle poche briciole di informazione era abbastanza da lasciarci momentaneamente soddisfatti. Alcuni nostri amici, di ritorno dall’India, mostravano l'emozione di avere conosciuto una terra straordinaria e, nello stesso tempo la delusione per tutto quanto non erano riusciti a imparare. Capitò spesso che qualcuno avesse incontrato un millantatore il quale li aveva assicurati di conoscere il Kriya e di poter dare loro l'iniziazione. Questo a patto che essi mantenessero la più totale segretezza sul fatto senza stabilire alcun contatto con altri ricercatori. In tal modo questi si sentiva sicuro che per molto tempo i suoi iniziati non si sarebbero resi conto che in realtà quello che avevano ricevuto non aveva nulla a che fare con il Kriya. Mi accorsi di ciò solo quando riuscii a vincere le resistenze interiori di qualcuno e mi feci dire la tecnica che avevano appreso; si trattava della semplice ripetizione di un Mantra! La cosa che più mi dispiaceva non era tanto la sostanziosa offerta che questi amici avevano fatto a quelle persone (che per un indiano significava una fortuna) ma il fatto che così, pur viaggiando in varie parti dell'India si erano privati della possibilità di apprendere il Kriya da altre fonti in altri posti. Un fatto di diversa natura accadde ad un amico il quale incontrò un discendente di Lahiri Mahasaya, un nipote diretto, un uomo di grande istruzione accademica e anche di profonda conoscenza del Kriya, ma non ne ricavò assolutamente nulla. Rimasi allibito quando, ritornato dall'India mi annunciò qualcosa di veramente singolare. Mi disse che a Benares, e probabilmente ovunque in India, il Kriya non si praticava più. Mantenni abbastanza controllo da non interromperlo o contestarlo, poi ponendogli delle domande apparentemente marginali, cercai di capire quello che era accaduto. Il mio amico, come era solito fare, aveva aperto la conversazione introducendo argomenti futili come domande sulle abitudini indiane, l'indirizzo di un Ashram dove voleva recarsi, poi, verso la fine dell'intervista quasi ricordando improvvisamente di trovarsi nella casa di Lahiri Mahasaya aveva chiesto se per caso qualcuno dei discendenti di Lahiri Mahasaya praticasse ancora il Kriya. Il suo modo di atteggiarsi deve aver raggelato l’illustre ascoltatore perché la risposta, che nascondeva un amaro sarcasmo, fu negativa; in altre parole: «certo che no, qui nessuno lo pratica più. In India non si pratica più. Sei 60 rimasto solo tu a praticarlo!» Finito il suo racconto l'amico mi guardava con occhi stupiti. Non so ancora se sperava di convincermi o se, più che altro, era immerso nella sua amarezza e frustrazione. Non dissi nulla. Credo che non si rendesse conto di quanto stupidamente si era comportato con quella nobile persona. La batosta gli arrivò un mese dopo, quando venne a sapere che un suo concittadino aveva ricevuto l'iniziazione al Kriya proprio da quella stessa persona da lui intervistata a Benares. Fu molto contrariato, offeso dalla notizia e fece il progetto di ritornare in India e protestare presso quel Kriya Acharya.14 Un altro amico si era fermato per alcuni giorni presso un Ashram dove sapeva che si poteva ricevere il Kriya Yoga. Il monaco che guidava questo Ashram non era presente, però l'amico ricevette l'iniziazione al Kriya da un suo discepolo. Alla fine gli fu consegnato del materiale stampato dove c'era la descrizione sintetica delle tecniche. Di ritorno dall'India l'amico, visibilmente soddisfatto, mi mostrò questo materiale: le tecniche non erano molto diverse da quelle che conoscevo però c'erano tante altri dettagli in più. Non c'era nulla, in ogni caso, che andasse a chiarire i miei dubbi, non un cenno al Kechari Mudra, nulla sul Thokar. Ricordo invece una tecnica molto complicata basata sulla visualizzazione dei Chakra come sono descritti nei testi tantrici. Ogni tecnica era preceduta da un'introduzione teorica con citazioni da libri antichi e accompagnata da un'illustrazione che eliminava ogni possibile dubbio. In conclusione veniva data una routine graduale molto precisa. C'era naturalmente l’affermazione che tutte queste tecniche costituivano il Kriya come spiegato da Babaji, il mitico Guru di Lahiri Mahasaya. Siccome il materiale era molto interessante, mi sarebbe tanto piaciuto illudermi che la mia ricerca fosse finalmente conclusa e che quegli appunti contenessero quanto cercavo! Bastava solo credere che Babaji, per creare il Kriya Yoga, non avesse fatto nient'altro che fare una sintesi del comune tantrismo. Ci voleva inoltre l’audacia di pensare che il Thokar potesse essere considerato null’altro che una banale variante del Jalandhara Bandha! E se non c'erano le istruzioni per il Kechari Mudra, pazienza, ciò voleva dire …. che tale Mudra non era importante! Con un po’ di buona volontà sarei riuscito a far quadrare il cerchio! Il caso volle che ascoltassi la registrazione di una conferenza dell'autore di quegli appunti. Raccontava di aver trovato tali tecniche in alcuni testi tantrici e di averne fatto una selezione accurata per 14 Purtroppo non ci ritornò più, perché una grave malattia ci portò via quest’amico. Nonostante la diversità abissale del nostro carattere, gli sarò sempre grato per tutto quello che del sentiero spirituale in generale volle condividere con me. 61 formare un sistema coerente: quello costituiva il suo sistema Kriya! Come poteva spiegarsi allora l'affermazione secondo la quale quegli insegnamenti provenivano da Babaji? Semplice! Come molti altri insegnanti indiani, erano stati i suoi discepoli, non lui, a redigere quel materiale; questi ebbero la bella pensata di renderlo più interessante accennando alla derivazione dal mitico Babaji. L'insegnante, sempre rispecchiando un tipico costume indiano, non aveva mai controllato quegli appunti - rimase, infatti, sconcertato quando seppe di quell’aggiunta. Difese però l'operato dei suoi discepoli affermando che, in fondo … «anche il Kriya di Babaji aveva origini tantriche». Nel frattempo eravamo entrati nell'era di Internet. Il fenomeno di un Forum apparve e qualcuno fu dedicato al Kriya. Ne trovai uno, senza moderatore dove si era scatenata una volgarità indicibile e le persone si sentivano libere di insultare grezzamente coloro che avevano opinioni diverse. C'erano chiaramente, - e ci sono ancora - dei Forum molto genuini che giocano un ruolo importante. Quello che mi dà fastidio è che ci sono dei kriyaban che rispondono a domande legittime e ragionevoli con un tono inaccettabile. Con falsa tenerezza, tradendo la forma più bassa di considerazione, continuano a bollare come pericolosa mania il desiderio del ricercatore di approfondire la conoscenza del Kriya. Essi hanno l'audacia di consigliare al disorientato studente di migliorare la profondità delle tecniche già ricevute e di accontentarsi di ciò. Mi chiesi come osassero, non invitati, entrare nella vita di un’altra persona, della quale non sanno nulla, e trattarla da principiante incompetente e superficiale! È davvero tanto difficile confessare: «Non conosco l'informazione che tu cerchi»? Il mio secondo insegnante Quando giunse il momento di incontrare il tanto atteso insegnante dall’India - quello che, speravo, mi spiegasse il Kriya nella sua forma completa – non ero nello stato d’animo ottimale. Da alcuni indizi, sapevo che stavo per incontrare un approccio radicalmente nuovo. Temevo che questo potesse scombussolare la semplice e abbastanza remunerativa routine nella quale mi ero stabilito. La magica dimensione di Omkar, nella quale l’insegnante precedente mi aveva immerso in un modo così appassionato, non poteva essere messa da parte o dimenticata. Non potevo nemmeno pensare di porre altri principi come fondamento del mio sentiero spirituale. Perciò mi avvicinai al nuovo insegnante, bene deciso a rifiutarlo se lui, in qualche modo, sembrasse portarmi lontano da tale realtà. 62 Lo incontrai in un Centro Yoga dove era stato invitato da alcuni discepoli. La sintesi del suo discorso introduttivo era che il Kriya non significava gonfiare mente ed Ego muovendosi verso un’ipotetica mente superiore, ma un viaggio oltre la mente, in un territorio incontaminato. Da certe risposte a domande poste dal pubblico, vidi che conosceva il mio ultimo insegnante ed era consapevole della sua scelta di non insegnare tutte le tecniche del Kriya. Ci fece capire in modo chiaro che la ragione del suo viaggio in occidente era ripristinare gli insegnamenti originali. Questo fu sufficiente a vincere le mie resistenze. Nel seguente seminario d’iniziazione osservai con indulgenza alcuni difetti di comportamento che impressionarono negativamente altre persone. Rivelò, infatti, un temperamento irascibile. Esplodeva quando gli venivano rivolte troppe domande, anche se erano legittime; trovava sempre, al di sotto delle parole, un’intenzione nascosta di contestarlo, una forma velata di opposizione. La spiegazione delle tecniche era ragionevolmente chiara ma in alcune parti sintetica in modo inusuale. Per esempio le istruzioni sul Pranayama formalmente corrette - potevano essere capite solamente da chi già praticava da molto tempo il Kriya. Alla spiegazione di questa tecnica dedicava un tempo veramente modesto. In un'occasione lo cronometrai e vidi che non aveva dedicato più di due minuti alla relativa spiegazione. Continuò così per anni, nonostante le gentili rimostranze dei suoi intimi collaboratori. Dava inoltre dimostrazione del Pranayama facendo un suono esageratamente forte, vibrato. Lui stesso ammetteva che questo suono non era corretto ma continuò ad utilizzarlo allo scopo di essere udito anche dalle persone sedute nelle ultime file, risparmiandosi la fatica di muoversi vicino a loro, come di solito fanno gli insegnanti di Kriya. Purtroppo non si prendeva la pena di chiarire che il suono doveva essere pulito e non vibrato. So che molte persone, pensando che esso fosse il "segreto" che lui ci aveva portato dall'India, tentarono, per mesi, di produrre lo stesso rumore. Alcuni anni dopo quando mi chiese di insegnare il Kriya a quelle persone che si dimostravano interessate, fui felice di quella opportunità poiché potevo finalmente spiegare ogni cosa in modo esaustivo. Volevo che nessuno provasse il dolore di vedere una domanda legittima rimanere senza risposta. Dopo alcuni mesi, avevo l’impressione che ogni cosa stesse procedendo nel modo migliore: circa una dozzina di persone avevano ricevuto il Kriya senza alcun problema. Tutt'a un tratto la situazione sembrò precipitare. Questo avvenne quando, alcuni mesi prima della sua visita nel nostro gruppo, onde preparare un bell'evento, gli scrissi una lettera chiedendogli se fosse possibile, al termine del suo seminario di iniziazione al Kriya, controllare la comprensione degli studenti attraverso una pratica di gruppo guidata. Questo 63 naturalmente non era mai avvenuto e le persone se ne andavano da questa cerimonia con la testa piena di dubbi. La sua reazione fu inspiegabile: come risposta, mi eliminò immediatamente dall'elenco dei suoi discepoli e comunicò la sua decisione ad uno stretto collaboratore ma non a me. Probabilmente la mia avventura con quest’insegnante sarebbe finita lì - e sarebbe stata la cosa migliore - se quel collaboratore mi avesse informato della situazione. Del tutto inconsapevole, quando gli diedi il benvenuto al suo arrivo in Europa, lui mi abbracciò come se nulla fosse accaduto. Probabilmente interpretò la mia presenza come una mossa di ritorno sui miei passi. Quando, tempo dopo, venni a sapere quello che era accaduto rimasi frastornato. Per il bene della pace del gruppo decisi di non reagire ma deliberatamente cominciai a controllare il mio atteggiamento e non gli proposi più nulla. Per parlare della rottura definitiva dei nostri rapporti è necessario ritornare sulla superficialità con cui spiegava la tecnica del Thokar. Avvenne che da un anno all’altro spiegò una tecnica molto importante in modo visibilmente diverso. Cambiò la procedura dei movimenti di una forma particolare di Thokar. Quando uno tra i presenti chiese chiarimenti sul cambiamento, fece finta di non comprendere, poi sostenne che non aveva cambiato nulla, che probabilmente, in passato, c'era stato un problema di traduzione. Ero io che allora avevo fatto la traduzione. Seppi trattenermi e non protestai: la sua bugia era fin troppo evidente. I miei amici si ricordavano bene i suoi movimenti della testa avendoli visti con i loro occhi ed erano effettivamente diversi. Pur passando settimane con lui non fu possibile trovare cinque minuti per discutere tale dettaglio tecnico. Considerando altri cambiamenti, avevo l'impressione di essere il collaboratore di un archeologo che intenzionalmente altera alcuni reperti per presentarli al pubblico all’interno del suo abituale quadro di riferimento teorico. Vidi che tante cose non andavano per niente bene. Il mio inconscio faceva sentire la sua voce: ancora è vivo nella mia memoria un sogno nel quale nuotavo nel letame. Sentivo che quest’uomo, cui cercavo di soddisfare ogni pur piccolo capriccio, donandomi in ciò totalmente come se stessi compiendo un atto sacro, non amava il Kriya; se ne serviva invece soltanto per condurre qui in occidente un vita molto più bella rispetto alla vita grama in India quale spesso mi descriveva. Collaboravo a programmare i suoi viaggi in modo che egli potesse diffondere il Kriya nel suo modo affrettato e superficiale: dietro alla mia maschera di finta delizia, la mia anima conosceva un’agonia di aridità. C'erano momenti nei quali, pensando ai miei semplici inizi con lo Yoga, il mio cuore distillava 64 una nostalgia indefinita per tale periodo che non aspettava altro che coerenza e integrità da parte mia per sorgere di nuovo e fiorire pienamente. Passò un altro anno. Come risposta alla richiesta di alcuni amici all’estero, andai nel loro gruppo ad insegnare il Kriya Yoga, sempre per conto del mio insegnante. In quel gruppo incontrai uno studente molto serio che conosceva bene i modi del mio insegnante e che partecipava alla iniziazione solo come occasione di ripasso. Mi pose delle domande molto pertinenti e trovò sempre precise risposte. Il problema fu proprio quello: «Da chi hai appreso tutti questi particolari?» mi chiese. Egli sapeva bene che il mio insegnante era un disastro totale da un punto di vista didattico. Percepiva che avevo appreso molti dettagli da altre fonti. Come potevo allora dare l’iniziazione al Kriya usando una conoscenza che non proveniva dal mio insegnante? Poteva comprendere il mio imbarazzo ma era perplesso che, proprio per il fatto che mi aveva autorizzato ad insegnare il Kriya, non avessi mai avuto l’occasione di parlare apertamente di dettagli tecnici con il mio insegnante! Era logico, anzi per me doveroso, risolvere la questione e il più presto possibile. Conoscendo però il temperamento irascibile del mio insegnante, esitai molto, ma non c'era alternativa. Tramite un amico gli spedii un fax dove menzionavo il problema in oggetto e lo pregavo di predisporre il suo tempo in modo che ne potessimo discutere dopo il suo arrivo nel mio gruppo durante il suo prossimo giro. Lui si trovava in Australia ma al massimo entro una settimana avrei avuto la risposta. Il giorno successivo, feci una gita presso le montagne vicine per sciare. Durante il viaggio ero assorto nei miei pensieri. Il mio inconscio era pronto al cataclisma. Ero pronto al peggiore degli eventi. Sapevo che avrebbe potuto arrabbiarsi moltissimo, e avrebbe dato in escandescenze. Se l’intera situazione mi fosse sfuggita di mano e, come risultato della nostra rottura, non fosse venuto più nel nostro gruppo, coloro che gli volevano bene ne avrebbero sofferto; pochi avrebbero potuto comprendere le ragioni del mio agire. Sarei stato colui che aveva disturbato un situazione non perfetta ma comunque confortevole. Lui piaceva infatti ai miei amici; il fatto che ogni anno visitasse il nostro gruppo era molto stimolante; si preparavano a quelle occasioni con una pratica intensa del Kriya. Ognuno apprezzava la sua filosofia che ricalcava un po’ quella di Krishnamurti e anche io la apprezzavo moltissimo. Fino ad ora ho continuato infatti a leggere alcune opere di Krishnamurti (come La sola rivoluzione) che trasmette una impareggiabile visione dei tratti distintivi della autentica mente spirituale. Era un bel giorno per sciare. Durante una pausa mi fermai a guardare le montagne lontane che delimitavano, in tutte le direzioni, l'orizzonte. In meno 65 di mezz'ora il sole le avrebbe dipinte di rosa, di più quelle ad oriente, di un rosa che sfumava nel blu quelle ad occidente. Immaginai che l’India fosse là dietro, che l’Himalaya fosse il prolungamento di quelle montagne. Il mio pensiero andò a tutti gli appassionati di Kriya che, come me, trovavano degli ostacoli insuperabili nella comprensione della loro amata disciplina. 15 Per la prima volta osai contemplare un'immagine che indugiava da molto tempo tra i miei pensieri: un libro sul Kriya dove ogni tecnica fosse spiegata nei dettagli. Tante volte nel fantasticare chiedendomi cosa sarebbe successo se Lahiri Mahasaya o uno dei suoi discepoli lo avesse scritto! La mia immaginazione era arrivata a visualizzare il colore della copertina, a dare uno sguardo alle sue scarse pagine – un libro sobrio ma molto ricco in contenuto. Se questo libro esistesse, avremmo avuto un affidabile manuale di Kriya che avrebbe limitato le tante piccole o grandi varianti inventate da diversi maestri. Forse alcuni commentatori avrebbero tentato di "forzarne" il significato per adattarlo alle loro teorie. Anzi, sono certo che qualche pseudoguru avrebbe suggerito che le tecniche incluse erano intese per i principianti, che c’erano tecniche più "evolute", che solamente le persone "autorizzate" potevano comunicare. Alcuni avrebbero abboccato, preso contatto con l'autore, pagato cifre enormi per ricevere tecniche che questi aveva creato con la propria fantasia o che aveva preso in prestito da qualche libro esoterico! Queste son cose che accadono, questa è la natura umana. Ma i veri ricercatori sarebbero sicuramente stati capaci di riconoscere la forza, l'intrinseca evidenza autosufficiente del testo originale senza commento. Il problema consisteva nel fatto che il mio era solo un sogno! Lasciai che i pensieri vagassero su cosa sarebbe successo se io stesso lo avessi scritto. Era difficile, pur tuttavia possibile, sintetizzare la totalità di quello che conoscevo del Kriya in un libro, armonizzare teoria e tecniche in una visione pulita, razionale. Di sicuro l’intenzione non era quella di celebrare me stesso o porre le fondamenta di una nuova scuola di Kriya. Se avessi accennato alle mie esperienze, questo sarebbe stato solamente per essere più chiaro nelle spiegazioni teoriche e tecniche. Non più retoriche affermazioni di legittimazione, non più frasi enigmatiche per far intuire qualche particolare tecnico, creando però più dubbi di prima! Che bello era sognare un libro che provava la sua validità incarnando il pensiero di Lahiri Mahasaya nel modo più semplice e logico, in un insieme completo, armonioso di tecniche! Il modello avrebbe potuto essere il libro di Theos Bernard Hatha Yoga 15 Mi riferisco a quei ricercatori che avevano appreso i rudimenti del Primo Kriya e qualcosa dei Kriya superiori da un'organizzazione o da un insegnante itinerante in occidente. Non mi riferisco a coloro che hanno avuto la fortuna di incontrare un vero Maestro. 66 resoconto di un’esperienza personale [1943]. 16 Di certo, molti insegnanti di Kriya - quelli che vivono per mezzo delle donazioni ricevute durante le iniziazioni e, grazie al vincolo della segretezza, esercitano il loro potere sulle persone - avrebbero considerato il libro una minaccia al loro lavoro. Forse quello che sembrava virtualmente eterno per alcuni - vivere come dei pascià, circondati da persone pronte a soddisfare tutti i loro capricci nella speranza di ricevere le briciole di ipotetici "segreti" avrebbe potuto cambiare, e lo avrebbero temuto come la peggior peste. Questi avrebbero tentato di distruggerne l’affidabilità con una censura impietosa. Già sentivo il loro commenti sprezzanti mentre lo sfogliavano velocemente: «Contiene solo fantasie che nulla hanno a che vedere con l'insegnamento di Babaji e Lahiri Mahasaya. Diffonde un insegnamento falso!» Ma un testo simile non poteva essere una minaccia alla attività di nessun onesto insegnante, soprattutto se questi avesse accettato di comunicare le varie parti del Kriya, gradualmente, con la delicatezza e la cura richiese dalla materia, senza tenere alcuna cosa per sé per qualsivoglia motivo, onesto o disonesto. Ma come riassicurarli senza collidere con i condizionamenti radicati nella loro stessa "chimica cerebrale"? Altre persone per ragioni diverse avrebbero potuto non gradire il libro, per esempio coloro che amano i testi arricchiti da varie illustrazioni basate sul folclore indù, sarebbero rimasti certamente deluse dalla sobrietà del libro. Ma coloro che amano il Kriya avrebbero provato un immenso sollievo a scoprirlo in un libreria esoterica. Io già vivevo nella loro felicità. Grazie a loro, il libro avrebbe continuato a circolare, e chissà quante volte sarebbe ritornato davanti agli occhi di quegli insegnanti che ne aveva decretato la condanna. Talvolta questi avrebbero dovuto far finta di non vedere che, durante i loro seminari, alcuni se lo stavano passando, sfogliandolo, perdendo con ciò parte della conferenza… Ciascuna parte di questo sogno si sviluppò nello spazio di alcuni secondi, invase la mia coscienza come un torrente in piena, come se ogni parte di esso fosse già stata provata ed accarezzata infinite volte. Quel giorno divenni consapevole, e misi insieme i pezzi, del desiderio del mio cuore mantenuto vivo dietro le tendine della mia psiche complicata. Ma come avrei potuto trovare il coraggio di violare il dogma delle segretezza 16 Questo straordinario manuale riesce più che altri a chiarificare gli insegnamenti contenuti nei tre testi fondamentali del tantrismo: Hatha Yoga Pradipika, Gheranda Samhita e Shiva Samhita. Nonostante gli anni trascorsi dalla sua pubblicazione ed i numerosi testi di Hatha Yoga apparsi recentemente, tale libro rimane ancora uno dei migliori. Delle tecniche polverose divennero attuali più che mai, fattibili, chiare davanti agli occhi dell'intuizione. Ecco perché pensai che un lavoro analogo sul Kriya sarebbe stato per molti studenti e ricercatori una vera "manna dal cielo". 67 per ciò che concerne le tecniche Kriya, sfidando rudemente la sacralità del rapporto Guru-discepolo come l'unico modo per ricevere istruzione in esso? Anche se i Guru conosciuti finora (non mi riferisco a figure storiche che non ho conosciuto personalmente) non avevano nulla di sacro, il Kriya era sacro. Esso doveva essere ricevuto da persone "autorizzate" e non da libri: questo mi era stato ripetuto da una vita. Ero radicalmente convinto che non potevo scriverlo, tuttavia guardandomi attorno e osservando il cielo blu sopra l'orlo dorato delle montagne che stavano assumendo sfumature rosa tutto pareva dirmi che il libro era già scritto in qualche angolo del mio cuore! La fine di un incubo La risposta da parte del mio insegnante arrivò pochi giorni dopo. In tono sprezzante non si indirizzò direttamente a me ma finse di rispondere alla persona che materialmente gli aveva spedito il fax. Scrisse che il mio eccessivo attaccamento alle tecniche non mi avrebbe mai permesso di uscire fuori dai recinti della mia mente - ero come San Tommaso, troppo desideroso di toccare con mano e verificare la bontà dei suoi insegnamenti. Aggiunse che avrebbe soddisfatto la mia richiesta ma solo per gratificare il mio ego. Leggendo il termine "gratificazione" vidi che non aveva capito nulla. Era impossibile per me chiarire la mia posizione. Avremmo dovuto parlarci, parlarci tanto tempo prima! Mi chiesi perché non mi aveva mai lasciato esprimermi. Non volevo contestarlo, non volevo distruggerlo, la necessità che mi portò a scrivergli fu per stabilire una volta per sempre cosa avrei dovuto dire e cosa non dire ai kriyaban durante l'iniziazione. Perché mi era sempre sfuggito?17 Decisi di comportarmi limpidamente come se non avessi afferrato il suo tono: volevo proprio vedere cosa avrebbe fatto. Non chiesi scusa e nemmeno risposi in tono risentito. Risposi che un discorso sulle tecniche Kriya fra noi era necessario in quanto io insegnavo il Kriya a nome suo. Aggiunsi che a tale evento avrebbero potuto prendere parte anche le altre tre persone in Europa similmente autorizzate da lui. Gli feci dunque capire che non avrebbe sprecato 17 Un giorno, durante un periodo di tre settimane passate con lui, eravamo soli e lui stava cercando qualcosa in una stanza: trovai il coraggio di rivolgergli una domanda tecnica sul Kriya – era una domanda delicata su un argomento che contrapponeva una scuola di Kriya contro un’altra. Si volse improvvisamente verso di me con gli occhi iniettati di un tale odio che sembrava sul punto di ammazzarmi, mi urlò di praticare come mi piaceva, che tanto non era affare suo. Questo, credo, fu l’unico discorso tecnico che ebbi con lui nel giro di alcuni anni. 68 il suo tempo e fiato solo per me. Non ebbi, né allora né mai più, alcuna risposta. Settimane dopo mi fecero notare che sul suo sito Internet, il piano della sua visita in Italia era stato cambiato e il nome del mio paese non figurava più: la mia seconda lettera aveva compiuto la rottura definitiva. L’incubo era finito! Mi presi una giornata di vacanza e feci una lunga passeggiata; camminai molto, nervosamente, immaginando un ipotetico discorrere con lui. A un certo punto mi ritrovai a piangere di gioia: era troppo bello, ero libero, ero stato sei anni con lui, ed ora era veramente finita! Tale rottura fu percepita con sconcerto dai miei amici. Come un effetto domino, alcuni coordinatori appartenenti ad altri gruppi qui in Europa, che da tanto tempo mal tolleravano i suoi modi, colsero l’occasione per tagliare definitivamente i legami con lui. Sentivano che il tempo era ormai maturo per arrivare a tale liberazione. Il periodo seguente fu gradevole anche se non così euforico come prevedevo: il senso di tutto il tempo buttato via, di tutte le cose sciocche che erano state portate avanti senza pensare, mi opprimeva. Non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe divenuto il nostro gruppo senza un insegnante che fosse venuto a visitarci in futuro. Poche settimane dopo sembrò che la ruota della buona sorte riprendesse a girare e un nuovo insegnante potesse venire da noi. Poiché si trattava di una persona stimata, accettai la proposta di sostenere le spese per il suo viaggio. Alcuni giorni più tardi quando fui contattato dalla sua segretaria, lei trattò il lato finanziario del viaggio con tale brutalità e volgarità che declinai l'offerta. Ero veramente stanco della intera situazione, ne avevo abbastanza di comportarmi come un discepolo che tutto accetta, pur di elemosinare le briciole del "Kriya originale". L'inganno della segretezza Col pensiero del libro che premeva entro me, riflettei molto sulla situazione della diffusione del Kriya. Era molto difficile per me porre le domande senza risposta in un ordine logico. Vari condizionamenti, dogmi incisi nel mio cervello, agivano come entità che avevano una vita propria. Ogni volta che cercavo di pensare in logica sequenza si metteva in moto un meccanismo automatico che si prendeva cura di organizzare la mia visione in un tutto coerente: ma questo, per una ragione o per l'altra, mi appariva come una mostruosità. A sentire l'organizzazione da cui avevo appreso i primi rudimenti del Kriya, la segretezza serviva «per mantenere gli insegnamenti puri»: l'evento 69 paradossale era che questa organizzazione fu la prima a saltar fuori con alterazioni consistenti nella pratica del Kriya! Forse avrebbe fatto meglio a dire: «per mantenere le alterazioni pure!» «Le tecniche sono efficaci solo se sono ottenute da Ministri autorizzati», ripeteva l'organizzazione. Talvolta vidi l'esatto opposto. Colui che era stato iniziato in modo solenne le praticava con l’orgoglio e l’intima soddisfazione di possederle, con l’illusione di essere sottilmente e automaticamente aiutato da un Guru, mentre l’umile autodidatta ci metteva tutta la prudenza e la creatività possibile, essendo sempre nel dubbio che sul libro da cui la aveva apprese o nelle parole dell’amico che gliel’aveva rivelate non fossero contenute tutte le istruzioni necessarie. La richiesta pressante, ossessiva di segretezza con la minaccia di eventuali sciagure che capiterebbero a chi la viola, stona palesemente con tutto quello che leggiamo nelle biografie dei santi; s'addice perfettamente invece con la dimensione esoterico magica di certe società – anzi è indispensabile alla loro esistenza. Le organizzazioni di Kriya hanno bisogno della segretezza per non divenire modeste istituzioni dedicate alla pubblicazione delle opere del Maestro. Il mito della segretezza permette di tenere in vita il mito della divinità del loro Guru (il concetto di Avatar – incarnazione divina): essi sono inscindibilmente legati. Se non ci fosse la segretezza, il Guru sarebbe di tutti, sarebbe inevitabilmente più "umano", un personaggio molto rinomato ma di certo non un Dio in forma umana. In questa situazione non potrebbero portare avanti quella sottile opera di persuasione per cui alla fine il Guru si identifica con Dio e l’organizzazione diviene la materializzazione della Sua volontà. Solo in quest'ultima ipotesi possono affermare che un kriyaban non può arrivare a Dio se non attraverso quel Guru e quella organizzazione. È bene ricordare che il grande Lahiri Mahasaya rifiutò di essere adorato come un Dio. Questo è un fatto che alcuni tra i Suoi seguaci sembrano aver dimenticato. Egli disse: «Io non sono il Guru, io non mantengo una barriera tra il vero Guru (il Divino) ed il discepolo». Aggiunse che voleva essere considerato a guisa di «uno specchio». Quando il kriyaban comprende che Lahiri Mahasaya è la personificazione di quello che un giorno lui stesso diventerà, allora quello specchio deve essere «gettato via». Sì, piaccia o non piaccia, dice proprio così: gettato via. Le persone che sono state allevate in un’organizzazione di Kriya non possono capire appieno l'impatto di queste parole; se lo capissero troverebbero una forte contraddizione con tutto quello che è stato loro insegnato. Per capirle ci vuole il coraggio di abbandonare le proprie illusioni, quelle che fanno comodo, nonché un buon cervello. 70 Organizzazioni a parte, molti pensano che il Kriya debba essere ricevuto da un Guru «perché solo il Guru sa quello di cui tu hai veramente bisogno!» Questo può accadere senza alcun ombra di dubbio in qualche rarissimo rapporto, ma di solito un Kriya Acharya da le stesse istruzioni a tutti e preferisce non ascoltare domande molto intime e personali, alle quali risponde: «quella è la tua vita!» oppure «quelle sono faccende che devi risolvere con la tua intuizione». Purtroppo quei kriyaban che potrebbero essere definiti Maestri Kriya onesti e competenti stanno fissi in India e non viaggiano. Mi è stato detto che molti conoscono la condizione critica della diffusione del Kriya in occidente. Loro non apprezzano il fatto che, pur di apprendere qualche briciola di Kriya, noi andiamo ad ascoltare personaggi che loro giudicano ciarlatani. Pensano che siamo irrimediabilmente stupidi, ma invece di venirci incontro e dare ad alcuni dei loro studenti il permesso di correggere la nostra esecuzione del Kriya, accecati dai dogmi, chiusi nelle loro torri d'avorio, agiscono contro il buon senso e chiedono ancor più segretezza ai loro pochi discepoli occidentali. Un amico col quale avevo condiviso ogni cosa del percorso spirituale, che mi aveva accompagnato in tutte le vicissitudini relative ad entrambi gli insegnanti precedenti e sofferto sulla sua pelle per gli stessi motivi, fece una lunga vacanza in India e fece una visita proprio a un insegnante che io stimavo molto, anche se non avevo mai avuto l’occasione di conoscere. L’amico spiegò al Maestro la deplorevole situazione della diffusione del Kriya qui in occidente e in particolare le vicissitudini del nostro gruppo; questi si dimostrò addolorato e disse di essere disposto ad aiutarci. L’amico si fece controllare il Pranayama. Quando ritornò in Italia lo incontrai: era molto felice e mi chiese di praticare il Pranayama davanti a lui. Affermò che riscontrava un errore nella mia pratica. Gli chiesi di cosa si trattasse, la sua risposta mi gelò: disse, infatti, che non poteva dirlo perché aveva promesso solennemente all’insegnante di non rivelare nulla. 18 Precisò che aveva chiesto all’insegnante il permesso di correggere eventuali nostri errori: la risposta era stata negativa anzi il maestro aveva preteso un vero e proprio giuramento di non rivelare nulla. Quest’insegnante - che aveva manifestato l’intenzione di aiutarci - aveva forse paura che, una volta chiarito l’errore, non ci saremmo più recato da lui? Era veramente così meschino? Non pretendevo certo che il mio amico mi raccontasse per filo e per segno tutte le cose che si erano dette lui e l’insegnante; non potevo e non volevo entrare nell’intimità di quell’esperienza, ma come poteva lasciarci continuare con quello 18 Ripensando all’episodio compresi qual era questo particolare errato: non avevo fatto un respiro visibilmente addominale. Son sicuro di questo perché era l’unica cosa che il mio amico fu capace di vedere – non parlammo dei dettagli interiori della pratica. 71 che lui riteneva un errore? Trovai questo fatto allucinante. Reagii molto male, troncai ogni discussione e me ne andai via. L’unico risultato pratico fu la rottura del rapporto con quell’amico. I "saggi" maestri indiani non hanno "rappresentanti" in occidente ed i loro studenti non hanno il permesso di insegnare nulla. Ora è impensabile che ogni anno una serie innumerevole di voli charter trasportino tutti gli interessati al Kriya - non conta se vecchi o malati - presso un remoto villaggio indiano, come un pellegrinaggio a Lourdes o a Fatima! Sfortunatamente la distanza tra noi e loro è destinata a crescere. L'abuso del concetto di Guru Una sera, dopo una lunga passeggiata, spento da un'improvvisa stanchezza, mi trascinai a casa. Logorato dai miei pensieri, il problema del rapporto Guru-discepolo cominciò ad emergere oscuramente, più come una ferita che come una teoria che dispiega i suoi miti. Regolai il lettore CD con la funzione "repeat" sul secondo movimento del Concerto Imperatore di Beethoven... Era mai successo che qualcuno, carico delle benedizioni del Guru ricevute dal frequentare tutte le possibili cerimonie di iniziazione tenute da canali legittimi, avesse mai praticato il Kriya con quella dignità e coraggio con cui Beethoven aveva sfidato il suo destino? Spensi la luce e contemplai il sole che scendeva in lontananza dietro gli alberi in cima ad una collina. La silhouette di un cipresso eclissava in parte il grosso disco del sole, rosso come il sangue. Quella era la bellezza eterna! Quella era la norma a cui ispirarsi. Mi sedetti un po’ assonnato; una strana immagine afferrò la mia attenzione: quello della "investitura" di Vivekananda da parte del suo Guru Ramakrishna. Avevo letto che un giorno, verso la fine della sua esistenza terrena, Ramakrishna entrò in Samadhi mentre il suo discepolo Vivekananda (Naren) gli era vicino. Quest’ultimo cominciò a sentire una forte corrente, poi perse conoscenza. Quando ritornò in sé, il suo Guru, piangendo, gli sussurrò: «O mio Naren, oggi ti ho dato tutto, ora sono divenuto un povero fachiro, non possiedo nulla; con questo potere farai un immenso bene al mondo». In seguito Ramakrishna spiegò che i poteri che aveva passato a Vivekananda non potevano essere utilizzati dal suo discepolo per accelerare la propria realizzazione spirituale - perché ognuno deve sostenere da solo tale fatica ma lo avrebbero aiutato nella sua missione futura quale insegnante spirituale. Il mio inconscio si manifestò con quest’immagine come per ammonirmi a non cedere alla tentazione di gettare via qualcosa di valido e prezioso. Ora, se affermavo che Ramakrishna era il Guru di Vivekananda era chiaro che mi 72 riferivo ad un fatto autentico e di profondità insondabile. Mi venne spontaneo rileggere l’indimenticabile, straordinario discorso di Dostoevskij sul ruolo dei padri anziani - Starec - nei monasteri Russi (I fratelli Karamazov). «Ma allora che cos'è uno starec? Lo starec è colui che accoglie la vostra anima, la vostra volontà nella propria anima, nella propria volontà. Quando scegliete uno starec, voi rinunciate alla vostra volontà e gliela affidate in completa sottomissione, con assoluta abnegazione. Questo tirocinio, questa terribile scuola di vita viene accettata spontaneamente da colui che offre se stesso, nella speranza, al termine della lunga prova, di sconfiggere il proprio essere e di dominarsi fino al punto di conquistare infine, attraverso una vita di ubbidienza, la libertà assoluta, vale a dire la libertà da se stesso, per evitare il destino di coloro che hanno vissuto tutta una vita senza trovare dentro di sé se stessi.» Le mie riflessioni arrivarono sino a quel punto e là si fermarono - per mesi. Non ero ancora capace di vedere che il problema non stava nel concetto di Guru – il quale meritava di essere esplorato appieno - ma nel fatto che l'organizzazione mi aveva fatto credere che mi trovavo in una condizione fortunata, che avevo un Guru - mentre infatti ero distante anni luce dall'averne uno. Ero ipnotizzato e non riuscivo a vedere che la storia di Vivekananda e l'estratto di Dostoevskij rappresentavano situazioni che erano intrinsecamente, molto diverse dalla mia. Ci volle tempo prima che la consapevolezza albeggiasse su di me che mentre i grandi esempi di relazione Guru-discepolo erano basati su un vero incontro fisico tra due persone, il mio rapporto era puramente ideale. Inoltre, fu facile per me accettare l'audace, impudente supposizione che il Guru e Dio erano la stessa Realtà. Un capo del più importante gruppo italiano della mia scuola mi aveva a suo tempo istruito: «Non capisci ancora che P.Y. è la Madre Divina Stessa»? Molti kriyaban, i miei amici più cari davano questa identificazione per gratuita. Un giorno, quando fui capace di smascherare questa alienazione, chiusi gli occhi per vari minuti e tentai di avere un discernimento spassionato, impassibile della situazione. Mi sembrò un'assurdità che vestiva i panni di un incubo - sentii un'infinita ribellione. Ebbene, chi è un Guru? Consideriamo l’idea di una rete; ogni individuo è un nodo dal quale partono diversi collegamenti, come quelli fra i neuroni del cervello. Quando il singolo individuo fa una azione - intendo un movimento significativo, come intraprendere il sentiero mistico e farvi buoni progressi – egli muove anche la rete nelle immediate prossimità. Chi pratica seriamente non è mai isolato; egli 73 sarà aiutato dalla risposta positiva di altre persone e sarà rallentato dalla loro indolenza e apatia. A mio avviso il rapporto Guru-discepolo trovava in questo fenomeno la sua base. Ramakrishna e Vivekananda avevano due personalità diverse ma in profondità erano una sola cosa: l’amore li aveva legati inscindibilmente. Una persona riesce a trascinare un'altra persona in avanti, vale a dire a favorire il suo progresso spirituale, solo se ha ottenuto attraverso il suo progresso spirituale un contatto con la dimensione inconscia dell'altra persona attraverso l'Inconscio Collettivo. Di solito i Kriya Acharya autorizzati (coloro che ricevettero l'autorizzazione ufficiale di concedere l'iniziazione al Kriya) non hanno neanche un'oncia di tale potere. Come il lettore sa, Jung affermò che c’è un livello più profondo dell'Inconscio che è «ereditato con la nostra struttura cerebrale» e consiste dei «modi umani tipici di risposta» alle situazioni più intense che possono accadere nella vita - nascita, morte, malattia, famiglia, guerra... -. Noi esseri umani siamo legati l'un l'altro attraverso questo Inconscio Collettivo. Se per Freud l’Inconscio era una parte della psiche simile ad un deposito pieno di vecchie cose "rimosse" - rifiutate da un atto quasi automatico della volontà - un ammasso che oggi non riusciamo più a richiamare alla coscienza - questo Inconscio Collettivo lega insieme tutti gli esseri umani attraverso gli strati più profondi della coscienza. Chi afferma di aver ricevuto legittimamente il potere di iniziare, farebbe bene a riflettere sul fatto che accettare un discepolo non si risolve nel darsi da fare per spiegargli il Kriya, ma nel accettare lucidamente e coerentemente i futuri grovigli o sofferenze che tale rapporto potrà comportare. Coloro che hanno avuto un vero Guru, non dovrebbero sprecare il loro tempo raccontando storie miracolose, aneddoti della loro esperienza, esaltando il miracolo della loro vita salvata dalla insignificanza dalla grazia del loro Guru, ciò contribuisce solo a costruire miti inutili, pericolosi. Nessuno kriyaban può estendere ad alcuno, attraverso alcuna cerimonia, la benedizione che lui ha ricevuto, può dare solo la sua esperienza, la sua realizzazione - se ne ha. Conclusione Il senso di questo libro è fornire informazioni sull'aspetto tecnico del Kriya a quelli che, per le loro ragioni personali, le stanno cercando. Un ricercatore vi troverà del materiale attraverso il quale potrà arricchire la sua ricerca. Questo non ha niente per fare con i Guru o con le scuole. Dopo la digressione sulle tecniche Kriya (ogni briciola di quello che ora 74 conosco) la terza parte del libro tratta del corretto, sano atteggiamento con cui affrontare il Kriya. Lo stesso fatto che è così difficile liberarci dai condizionamenti, vuole dire che noi delle debolezze innate nella personalità che meritano essere studiate. 75 SECONDA PARTE: CONDIVISIONE DELLE TECNICHE KRIYA CAPITOLO II/1… FORMA BASE DEL PRIMO KRIYA "DISCLAIMER" Le tecniche qui descritte sono esposte solamente per motivi di studio, per servire come raffronto col lavoro di altri ricercatori. Da questa condivisione si spera derivi una risposta intelligente: osservazioni, critiche, correzioni e aggiunte saranno ben ricevute. Tengo a precisare che questo libro non è un manuale di Kriya! Forse in futuro ne scriverò uno e allora affronterò il problema di come dividere l'intero argomento in diverse lezioni cercando, per ciascuna fase d’apprendimento, di fornire tutti i consigli necessari. In ogni caso, certe tecniche non possono essere apprese leggendo un manuale. Un esperto deve controllare la loro applicazione. Ci sono tecniche delicate come per esempio il Maha Mudra, il Pranayama, il Thokar, lo Yoni Mudra che è impensabile apprendere per iscritto. È poi necessario che un esperto ne controlli l'impatto sulla persona - poiché ognuno di noi è diverso dagli altri e nessuno può dire a priori quali saranno gli effetti di una determinata tecnica, soprattutto se praticata in dosi elevate. L'autore non si assume alcuna responsabilità nel caso di risultati negativi, particolarmente nel caso in cui colui che non ha mai visto le tecniche del Kriya praticate da un esperto, si decidesse a praticarle semplicemente dopo avere letto qui la loro descrizione. Chi affronta questo sentiero lo fa con un senso di sacro, consapevole della ricchezza che questo può portare nella propria vita. Costui ha il diritto e deve assumersi anche il dovere di essere lui il padrone del suo destino, garantendosi il controllo e i consigli di un esperto. N.B. Quando ci si reca da un esperto, è necessario comunicargli l’esistenza di ogni eventuale problema fisico, come ipertensione, problemi ai polmoni, segni di iperventilazione… Di certo egli consiglierà una forma delicata di Pranayama, con i Mudra ad esso collegati – eventualmente, raccomanderà di limitarsi ad una pratica mentale di essi e darà ulteriori consigli di cui ci potrebbe essere bisogno. 76 Introduzione alla localizzazione dei Chakra I Chakra sono organi sottili astrali entro la spina dorsale, gradini ideali di una mistica scala che conduce alla più elevata esperienza estatica, senza alcun pericolo. Molti credono che quello che è scritto sui libri di Yoga possa essere applicato automaticamente al Kriya, ma questo non funziona. Tali testi sono riempiti di inutili, devianti raffigurazioni. Perdendo tempo a visualizzare tutto quel materiale, un kriyaban potrebbe correre il rischio di perdere l’autentico significato delle tecniche del Kriya, o parte delle loro ricchezze. Il Kriya è un processo naturale, non una condizione artificiale ottenuta col puro potere della visualizzazione creativa. Quando alcune condizioni particolari si stabiliscono - silenzio mentale, rilassamento del corpo, intensa aspirazione dell’anima - la realtà interiore si manifesta con tutto il suo fascino, assorbendo l'attenzione. Quindi, dei movimenti sottili di energia nel corpo – o un particolare raccogliersi dell'energia in qualche parte del corpo – rivelano l'essenza dei Chakra. Per intraprendere la pratica del Kriya, uno Yogi (useremo il termine kriyaban) semplicemente visualizza la spina dorsale come un tubo vuoto che si estende dalla base della spina dorsale al cervello: la Nadi Sushumna. Con la ulteriore pratica egli la percepisce come divisa idealmente in cinque parti (vedi Figura 1). Figura 1. I Chakra e altri centri associati di energia nel cervello. II primo Chakra, Muladhar è localizzato presso la regione del coccige; il secondo Chakra, Swadhisthana, si trova all'altezza dell'osso sacro; il terzo 77 Chakra, Manipura, è nella regione lombare all'altezza dell'ombelico; il quarto Chakra, Anahata, è in quella dorsale all'altezza del cuore; il quinto Chakra, Vishuddha, dove incominciano le vertebre cervicali. Un kriyaban cerca di sentire intuitivamente, anche se in modo vago, queste parti: a suo tempo, sarà capace di sperimentarle come cinque sottili stati di coscienza. Delle tradizioni tra loro indipendenti collocano il sesto Chakra, Ajna, dai due petali, in luoghi diversi. Secondo la tradizione Kriya la sua sede è nel centro del cervello. Poiché il Midollo allungato (bulbo alla sommità della spina dorsale, sotto il Pons Varolii, davanti al cervelletto) è molto vicino alla sua sede, si dice normalmente che il Midollo allungato è la sede del sesto Chakra. Secondo la stessa tradizione esso viene visualizzato come avente la forma del dorso di una tartaruga. Anche un principiante si accorge che, focalizzando la concentrazione in quella zona, l'irrequietezza scompare immediatamente mentre nella coscienza si stabilisce uno stato di tranquillità. Il Kutastha, tra le sopracciglia, conosciuto anche come il "terzo occhio" ovvero l’"occhio spirituale", è un’immagine riflessa del sesto Chakra. Tutte le tecniche Kriya si praticano mantenendo lo sguardo focalizzato in quel punto. Convergervi tutta l'energia, è la condizione per entrare nel Sushumna. Poiché è nella natura umana che l'energia sia dispersa nel corpo e i canali interiori che conducono al Kutastha sono ostruiti, è molto difficile realizzare tale condizione. Purtroppo, alcuni studenti di Kriya nel tentativo di raggiungere tale stato portano nella loro pratica lo stesso atteggiamento avido, impaziente, a volte insensibile, che hanno nella vita - specialmente se sono imbevuti di Esoterismo e di Pensiero Magico. Sono fuorviati da qualche libro e non comprendono che alcuni eventi possono verificarsi solo nel dovuto corso del tempo. Esercitando un grande sforzo di visualizzazione, impongono al loro Prana di salire dal quinto Chakra direttamente al Kutastha. Questo porta ad un restringersi del passaggio il quale, agendo altrimenti, avrebbe potuto essere aperto; più si sforzano, più si procurano solo emicrania e stress. È per questa ragione – per raggiungere il Kutastha in modo calmo ed effettivo – che è opportuno concentrarsi prima sul centro Bindu che ha un collegamento col Kutastha. Bindu si trova nella regione occipitale, dove l’attaccatura dei capelli forma una specie di vortice. (È qui che alcuni Indù, con la testa rasata, mantengono una ciocca di capelli.) Nella fase finale del Kriya, dove il respiro è quasi inesistente, l'energia e la coscienza si stabiliscono nel settimo Chakra Sahasrara. Questo non deve essere considerato come gli altri Chakra; è infatti una realtà superiore, e non possiamo concentrarsi su di esso come con gli altri. Sebbene non è difficile 78 "entrare in sintonia" con lo stato incarnato da esso, l'unico modo reale di raggiungerlo è di attraversare la porta del Kutastha. Nota Non è necessario usare una immaginazione eccessiva per divenire consapevoli dei Chakra, ma è importante informare il lettore che il modo in cui essi sono percepiti nel salire entro la spina dorsale è diverso dal modo in cui sono percepiti nello scendere. I primi cinque Chakra possiedono una natura duplice: essi sono piccole "luci" che illuminano il percorso del Sushumna (così sono percepiti salendo) e, allo stesso tempo, organi sottili che distribuiscono l'energia, che scende dal Midollo allungato, nel corpo. Questo secondo aspetto dei Chakra (possiamo chiamarlo "componente esterna" od "orizzontale") è collegato all'energia presente nelle fibre nervose che si dipartono dalla spina dorsale, e raggiungono gli organi interni. Pertanto, un insegnamento accurato è, durante la discesa, toccare gentilmente ciascun Chakra da dietro sperimentando, per un istante, il suo ravvivarsi come un fascio di raggi luminosi che si dipartono da esso e compenetrano la parte interna del corpo. 19 Tecniche di base I momenti ideali per la pratica sono la mattina prima della colazione, mezzodì prima del pranzo, pomeriggio tardi prima della cena, e di notte almeno 2-3 ore dopo aver mangiato. Le prime due tecniche (Talabya Kriya ed Om Japa) possono essere praticate alcune ore prima delle seguenti. Talabya Kriya Cominciando dalla posizione nella quale la lingua è rilassata, il kriyaban l’attacca al palato come una ventosa, prestando attenzione che la punta sia rivolta in avanti verso i denti. Avendo così premuto la lingua al tetto del palato, la mascella inferiore viene abbassata per allungare il frenulo (il tessuto che unisce la lingua alla base della bocca). L'effetto di stiramento dovrebbe essere percepito distintamente. La lingua, che per alcuni istanti è rimasta attaccata al palato, si libera con uno schiocco (vedi Figura 2). La lingua è poi spinta fuori verso il mento. Questa procedura è ripetuta 50 19 Percepire questa componente "orizzontale" di un Chakra non è il solo modo corretto di sperimentare una forma elevata di Pranayama. Nella tecnica taoista del piccolo circolo otteniamo lo stesso effetto guidando la consapevolezza sul davanti del corpo lungo un particolare canale (vedi capitolo III/1). 79 volte (non più di 10 nei primi giorni! Ci vogliono 110-120 secondi per completare i 50 movimenti). Molte persone praticano il Talabya Kriya in modo sbagliato poiché volgono istintivamente indietro la lingua (o la tengono verticale) e questo annulla completamente l'effetto. È importante che essa, prima di aderire al palato, sia piatta, rivolta in avanti (toccando i denti). 20 Dopo mesi di pratica regolare del Talabya Kriya, è possibile inserire la lingua nella cavità della faringe nasale: questo è chiamato Kechari Mudra (vedi Figura 3). Quando il tempo è maturo, l’inserimento della lingua è raggiunto anzitutto con l'aiuto di una o due dita che spingono la lingua vicino alla sua base. Un kriyaban è capace così di toccare l'ugola, poi spinge ulteriormente la base della lingua finché la punta scivola oltre il palato molle; in seguito la lingua 20 Nei testi di Hatha Yoga ci sono diversi consigli per allungare il frenulo: a) Tirare la lingua in fuori e in alto, come per arrivare alla punta del naso, con l’aiuto di un pezzo di tela avvolto attorno ad essa. b) Spingere la lingua indietro con l’aiuto dell’indice o del dito medio, e soffermandosi in tale posizione. 80 può poi infilarsi nella faringe nasale. Dopo alcune settimane, si può raggiungere la stessa posizione senza aiutarsi con le dita. Quindi un kriyaban può praticare le tecniche con la lingua mantenuta stabile in quella posizione. 21 Il Talabya Kriya crea un distinto effetto calmante sui pensieri; ecco perché non è mai messo da parte, neanche quando il Kechari Mudra è realizzato. Non è facile giustificare per quale motivo, agendo sul frenulo, sia possibile riuscire a calmare il processo di formazione di pensieri inutili. Sta di fatto che chiunque può osservare questo effetto. Naturalmente il Kechari Mudra amplificherà enormemente questo processo di introversione. Nel prossimo capitolo parleremo ancora del Kechari Mudra. Maha Mudra Si incomincia posizionando il tallone sinistro il più possibile vicino al perineo, con la gamba destra estesa in avanti. La posizione ideale (non sempre possibile e per nessuna ragione indispensabile) è quando il tallone sinistro esercita una pressione sul perineo. Questa pressione è il modo migliore per stimolare la consapevolezza del Muladhar Chakra nella regione coccigea alla base della spina dorsale. Per mezzo di una profonda inspirazione l’energia è sollevata nella testa. Questa è una sensazione semplice e facile da ottenere, non c’è bisogno di renderla troppo complicata. Poi, trattenendo il respiro, ci si piega in avanti (in maniera molto rilassata) in modo che le mani unite riescano ad afferrare il pollice del piede esteso e serrarsi attorno ad esso. Nella posizione estesa (il mento è premuto sul petto in modo naturale) trattenendo il respiro, Om (Onnng) è cantato mentalmente da sei a dodici volte nel Kutastha. Riprendendo la posizione iniziale, con una lunga espirazione, l'energia scende alla base della spina dorsale. L’intera procedura è ripetuta nella posizione simmetrica, col tallone della gamba destra vicino al perineo e la gamba sinistra estesa frontalmente. La procedura è ripetuta un’altra volta ancora, tenendo ambo le gambe estese e questo completa un ciclo di Maha Mudra. Questo ciclo di tre movimenti (che richiede circa 60-80 secondi) è ripetuto due volte ancora per un totale di nove estensioni. 21 Nella illustrazione vediamo la differenza tra il Talabya Kriya e il Kechari Mudra. Mentre si pratica il primo, aprendo la bocca davanti ad uno specchio, notiamo che soltanto il frenulo viene in avanti; nel secondo vediamo appena la radice della lingua: è l’ugola che viene in avanti. In attesa del Kechari Mudra si può praticare le tecniche del Kriya con la lingua rivolta indietro. Lahiri Mahasaya era assolutamente contrario al taglio del frenulo per ottenere risultati più veloci e più facili. 81 Punti chiave [1] Alcune scuole insegnano, durante l’inspirazione, ad avvicinare il ginocchio della gamba che sta per essere allungata (o entrambi i ginocchi, prima del terzo movimento) al corpo, cosicché la parte superiore della gamba è il più possibile vicina al petto. Le mani, con le dita intrecciate, sono poste attorno al ginocchio ed esercitano pressione sul ginocchio. Si spiega che questo serve a raddrizzare la schiena, altri a far sì che il suono interno del Chakra Anahat divenga udibile. [2] Per quanto riguarda la distensione in avanti, la maggior parte dei kriyaban non è capace di raggiungere tale posizione senza farsi male alla schiena o al ginocchio. Essi non dovrebbero, per alcuna ragione, tenere la gamba diritta, ma piegarla un po’ al ginocchio nel modo più opportuno! Questo Mudra deve riuscire facilmente, uno non deve farsi male! Nella posizione estesa, trattenendo il respiro, si mantiene una contrazione muscolare alla base della spina dorsale mentre i muscoli addominali sono leggermente tirati in dentro. È come se l'ombelico fosse spremuto verso il centro lombare. [3] Nella posizione estesa, l’alluce dovrebbe essere tenuto fermamente. Questo è un dettaglio importante poiché apre alcuni canali interiori dove il Prana può fluire. Una variante è la seguente: l’unghia dell’alluce è premuta col pollice della mano destra mentre l’indice e il dito medio sono dietro di esso e la mano sinistra tiene a mo’ di coppa la pianta del piede. Quando la procedura è ripetuta con entrambe le gambe estese, le mani allacciate afferrano entrambi i pollici. (Una variante è che i pollici di ciascuna mano afferrano le unghie rispettive degli alluci mentre indice e medio tengono l’alluce da dietro.) [4] Il Maha Mudra contiene tutti i tre Bandha. Applicati simultaneamente, quando il corpo è piegato in avanti, senza usare una eccessiva contrazione, essi producono la sensazione di una corrente energetica che sale nella spina dorsale. Poiché il tallone è sul perineo mentre l'attenzione è nel Kutastha, uno è consapevole dei luoghi dove il Sushumna ha inizio e dove ha termine: nel corso del tempo un kriyaban può avere la percezione dell'intera Sushumna come un canale raggiante. Nota Il Maha Mudra è una delle tecniche base del Kriya Yoga. È una posizione fisica unita un esercizio di respirazione da essere eseguito immediatamente prima di assumere la Asana per praticare il Kriya. (Alcuni sostengono l'utilità di praticare il Maha Mudra un'ulteriore volta prima di uscire dalla Asana dopo avere completato il 82 Kriya, e spiegano che questo aiuta a distribuire uniformemente l'energia in tutte le parti del corpo.) Il Prana localizzato nella colonna spinale è sollevato in testa, allora il corpo e la mente sono riempiti di euforia e vitalità. Ciò aiuta ad equilibrare le attività degli emisferi sinistro e destro del cervello e a rendere mente e corpo più stabili nella meditazione. Ci sono alcuni insegnanti di Kriya che danno un'importanza unica a questa tecnica. Essi la considerano la pratica più utile di tutto il Kriya Yoga ed affermano che la meta ideale (da realizzarsi molto molto gradualmente!) è di praticare 144 Maha Mudra ogni giorno, in due sessioni di 72 ognuno. Ci sono resoconti di Yogi che hanno realizzato delle esperienze fantastiche attraverso questa sola tecnica. Secondo quanto riferiscono, la percezione del percorso di Sushumna è aumentata enormemente: tutte le esperienze più elevate sono venute di conseguenza. Di solito si spiega che ci dovrebbe essere un rapporto tra il numero delle ripetizioni del Maha Mudra ed il numero di respiri - si raccomanda, infatti, che per ogni 12 Pranayama, sia eseguito un Maha Mudra. Purtroppo, avendo ascoltato vari kriyaban, posso affermare che è un miracolo trovarne uno che pratica le sue tre ripetizioni canoniche. Ci sono persone che s’illudono di praticare correttamente il Kriya senza mai praticare neanche un solo Maha Mudra! È chiaro che, privandosi permanentemente di esso e vivendo una vita sedentaria, la spina dorsale diviene meno elastica. Col passare degli anni le condizioni peggiorano e diviene quasi impossibile mantenere per più di alcuni minuti la posizione corretta di meditazione – ecco perché il Maha Mudra è così importante per un kriyaban. Asana Secondo Patanjali, la posizione dello Yogi [Asana] deve essere stabile e comoda. Sedere in Padmasana o Siddhasana 22 è incomodo per un principiante, le ginocchia e le caviglie danno un dolore intenso. La maggior parte dei kriyaban si trova a proprio agio praticando il cosiddetto 22 Nella posizione Padmasana (posizione nella quale si possono vedere i loti - Chakra) il piede destro è posto sulla coscia sinistra ed il piede sinistro sulla coscia destra con le piante dei piedi rivolte verso l’alto. Si spiega che, accompagnata dal Kechari e dal Shambhavi Mudra, questa posizione crea una condizione energica nel corpo adatta a produrre l'esperienza della luce interna che proviene da ciascun Chakra. Essa aiuta a mantenere il torso eretto quando, con il raggiungimento del Pratyahara, esso tende a piegarsi o a cadere. Personalmente, non consiglio a nessuno di eseguire questa difficile posizione. Ci sono yogi che hanno dovuto farsi togliere la cartilagine dalle ginocchia dopo che per anni si erano imposti di assumere tale Asana. Nel Kriya Yoga, almeno per quelli che vivono in occidente e non vi sono abituati sin l'infanzia, è molto saggio e comodo praticare o il mezzo loto o la posizione Siddhasana. In Siddhasana (Posa Perfetta), la pianta del piede sinistro è posta contro la coscia destra così che il tallone preme sul Perineo. Il tallone destro è posto contro l'osso pubico. Questa posizione delle gambe, abbinata al Kechari Mudra, chiude il circuito pranico e rende il Pranayama facile e proficuo. Si spiega che questa posizione aiuta a divenire consapevoli dei movimenti del Prana. 83 Mezzo-loto. Questa posizione è usata per la meditazione da tempo immemorabile perché fornisce una posizione seduta comoda, molto facile da ottenersi. La gamba sinistra è piegata al ginocchio, tirata verso il corpo e la suola del piede sinistro aderisce comodamente all'interno della coscia destra. Il tallone del piede sinistro dovrebbe essere tratto verso l'interno il più possibile. La gamba destra è piegata al ginocchio ed il piede destro è posto sopra la piega della gamba sinistra. Il ginocchio destro è abbassato il più possibile verso il pavimento. Le mani rimangono sulle ginocchia. Il segreto è di mantenere una spina dorsale eretta: questo si può ottenere solo sedendo sul bordo di un cuscino spesso, con le natiche sulla metà anteriore del cuscino. In tal modo le natiche sono leggermente sollevate, mentre le ginocchia stanno sul pavimento. Quando le gambe sono stanche, la posizione è prolungata invertendo le gambe. In certe situazioni delicate, può essere provvidenziale farlo su una sedia, purché non abbia braccioli e sia abbastanza grande. In questo modo, una gamba alla volta può essere abbassata e l'articolazione del ginocchio rilassata! Le spalle dovrebbero stare in posizione naturale, il torso, la spina dorsale, il torace, il collo, e la testa resteranno eretti in una linea diritta come se fossero una sola cosa e non potessero muoversi in alcun modo. La migliore posizione delle mani è con dita intrecciate come si può osservare nella famosa foto di Lahiri Mahasaya - questo crea un buon equilibrio di energie dalla mano destra alla sinistra e viceversa. Om Japa nei Chakra Questo esercizio, eseguito con concentrazione prima di incominciare il Pranayama, è un atto molto saggio in quanto funge da volano e fa si che il Pranayama avvenga molto facilmente. Salendo lungo la spina dorsale, il Mantra "Om" è cantato in ciascun Chakra in modo tale da produrre una sensazione di vibrazione. Durante questa pratica il respiro è completamente dimenticato. La mente è impiegata a cercare di toccare sottilmente la componente interiore di ciascun Chakra, cominciando col Muladhar, salendo fino al Chakra cervicale, Vishuddha, e poi terminando in Bindu. Poi, scendendo (prima il Midollo allungato e poi giù gli altri Chakra fino al Muladhar), ciascuna volta che Om è cantato, si percepisce la sottile radiazione di ciascun Chakra verso il corpo. Una salita (Chakra 1, 2, 3, 4, 5 e Bindu) e una discesa (Midollo allungato, 5, 4, 3, 2, 1) rappresentano un ciclo – dura circa 30 secondi. Si fanno da sei a dodici di questi cicli; è opportuno, nei primi tre cicli, dire il Mantra a voce, in 84 tutti gli altri si può continuare a dirlo a voce oppure mentalmente. Il Mantra non dovrebbe essere pronunciato: "ommm" ma "ooooong", in altre parole una "o" abbastanza lunga che finisce in una "n" nasale. In questa procedura "Om" è una pura vocale. Quando si pronunciano i Mantra indiani - Om namo bhagavate…, Om namah Shivaya…- la consonante "m" in "Om" è pronunciata, qui invece non si sente poiché la "o" è molto lunga e, sul finire della pronuncia di detta vocale, la bocca non è chiusa completamente, creando così il suono nasale "ng". Pronunciare "aum" non è per niente corretto. Pranayama Pranayama è la tecnica base del Kriya e siccome è fatto di diversi dettagli che hanno bisogno di essere integrati gradualmente in un tutto armonioso, non è facile scrivere su tale soggetto. In questo capitolo la spiegazione è divisa in due parti. Ogni kriyaban vive la sua pratica in modo diverso ed ogni insegnante ha la sua propria strategia. Alla fine di questo capitolo saranno aggiunti dei commenti; altre varianti della tecnica del Pranayama saranno aggiunte in seguito (vedi capitolo II/3). Prima parte: Pranayama di base (Un kriyaban che è capace di eseguire il Kechari Mudra lo pratica da questo momento in poi.) Gli occhi sono chiusi e rilassati, come per guardare in distanza attraverso il Kutastha. Una profonda inspirazione attraverso il naso che produce un suono sordo nella gola agisce come una "pompa idraulica" per sollevare l'energia dalla base della spina dorsale fino al Bindu nella regione occipitale. Dopo una breve pausa, una profonda espirazione attraverso il naso guida l’energia verso il basso fino alla base della spina dorsale. Qui c'è un'altra breve pausa. Durante questa profonda respirazione, l'aria che entra è percepita come moderatamente fresca, l'aria che esce è percepita come moderatamente tiepida. Un principiante impiega circa 18-20 secondi per respiro. Nella letteratura è indicato che il Pranayama perfetto avviene con 80 respiri in un'ora - circa 45 secondi per respiro. Solo durante lunghe sedute, si può tentare di raggiungere questo ritmo. Un principiante dovrebbe scordarsi di ciò; invece dovrebbe cercare di completare (in modo naturale senza farsi tanti problemi), 12 o 24 di questi respiri, non curandosi per nulla del tempo impiegato. 85 Punti chiave [1] Durante l’inspirazione, l’addome si espande e il petto si muove leggermente a causa della espansione addominale. Durante l’espirazione l’addome rientra e il movimento dell’ombelico verso la spina dorsale è percepito con chiarezza, specie negli istanti in cui l’espirazione si completa. È sbagliato praticare riempiendo completamente di aria il petto, portando il respiro troppo in su come se dovesse, letteralmente, toccare i Chakra superiori. [2] Per quanto riguarda i bei suoni che si producono nella gola mentre si respira, alcuni insegnanti sostengono che il miglior modo di procedere è di respirare in modo profondo con l'intenzione di produrre un "Oooo" durante la inspirazione e un "Iiiii" durante l’espirazione; poi, quando appaiono, insegnano ad allungare il respiro, interiorizzare i suoni e concentrarsi totalmente su essi come se fossero l'unica realtà che risuona nella propria coscienza. Istruzioni diverse dipendono dalla decisione di omettere o meno il Kechari Mudra. Quando questi è insegnato, è sufficiente dare una istruzione generica: come quella di produrre un rumore sordo schhhh… (simile a quello prodotto da un altoparlante che trasmette un rumore di fondo amplificato) durante la inspirazione e solo un leggero sibilo durante la espirazione. Allorquando verrà raggiunto il Kechari Mudra, un particolare suono bello e sottile come quello di un flauto Shiii Shiii apparirà in modo del tutto indipendente dai propri sforzi e sarà definitivo. Discuteremo di questo dettaglio alla fine del capitolo. [3] In questo Pranayama di base, il percorso seguito dall’energia si rivela gradualmente, mentre la pratica prosegue: non serve usare complicate visualizzazioni. La consapevolezza sale dal Muladhar lungo la colonna spinale, avvicinandosi al secondo Chakra, poi similmente al terzo, al quarto e al quinto; poi, seguendo la curva della regione occipitale, raggiunge il Bindu. Segue una pausa di due secondi, durante i quali l’irradiazione del Kutastha tocca la consapevolezza – come una lieve, indefinita, sensazione di luce che permea il cervello. Un’espirazione profonda, senza fretta, della stessa lunghezza dell’inspirazione porta l’energia di nuovo alla base della spina dorsale. L'energia è visualizzata che fluisce verso il basso lungo il dietro della colonna spinale. La ragione di questo dettaglio è che quando il Prana è pacificato, la consapevolezza si volge verso lo Spirito ed è naturalmente centrata "dietro", dove la realtà Omkar si manifesta. Sebbene lo sguardo converge verso il punto tra le sopracciglia, un kriyaban percepisce il centro della sua consapevolezza "dietro" la testa. In tal modo, durante la espirazione, egli diventa consapevole della spina dorsale, un pezzo alla volta, come da "dietro". 86 [4] Una calma divina è sperimentata durante le pause del respiro, tra inspirazione ed espirazione e tra espirazione ed inspirazione. È durante questi momenti, quando tutto si trova in uno stato di equilibrio, che la propria consapevolezza può scivolare nello stato di Tranquillità. Col tempo, un kriyaban realizza che tali momenti sono il segreto fondamentale del Pranayama. [5] Abbiamo accennato al fatto che il sentiero della inspirazione è fresco, mentre quello dell'aria in uscita è tiepido: questo è corretto ma non dovrebbe essere preso troppo tassativamente. Alcuni kriyaban assumono un'espressione rassegnata e scoraggiata quando confessano che durante il Pranayama "non sentono niente". Per loro non percepire nulla vuol dire non riuscire a sentire le correnti freddo-calde nella spina dorsale, come gli fu insegnato di sentire. Essi scambiano un dettaglio minore per l'essenza del Pranayama. Purtroppo per alcune persone certe sensazioni sono realmente difficili da essere percepite, ma il Pranayama funziona anche senza di esse. Il Pranayama si sviluppa a causa dello stesso fatto di gioire dei suoi diversi aspetti. Puntare tutto su un solo dettaglio significa bloccarsi. [6] Durante i primi respiri del Pranayama, per non distogliere l'attenzione da tutti i dettagli sopra citati, si evita di cantare Om o un altro Mantra in ciascun Chakra. Avendo già praticato Om Japa, la consapevolezza dei Chakra è già presente - quel tanto che basta. [7] Alcuni sostengono che il Pranayama dovrebbe essere praticato con la bocca aperta (semichiusa): affermano che esso è superiore a quello attraverso il naso poiché porta la corrente energetica nel Sushumna. Altri affermano il contrario: che solo con la respirazione attraverso il naso è possibile attivare la respirazione Sushumna. In realtà, solo lo stato senza respiro può riuscire a portare e guidare l’energia nel sottile canale della spina dorsale. In pratica, per un principiante, il Pranayama in cui si respira attraverso la bocca dona un ottimo senso di presenza nella spina dorsale: alcuni cominciano con esso e poi passano al respiro attraverso il naso. È chiaro, ma comunque va fatto notare, che il Pranayama eseguito col Kechari Mudra non può essere eseguito respirando attraverso la bocca. La lingua, essendo oltre l’ugola, blocca il flusso dell'aria nella bocca. È per questa ragione che il Pranayama con la bocca aperta è solo per principianti. 87 Seconda parte: Pranayama eccellente Dopo un minimo di 12 - 24 respiri iniziali, Om è cantato mentalmente (un'espressione più adatta è posto) in ciascuno dei primi cinque Chakra durante l'inspirazione; durante la pausa, Om è cantato nel Midollo allungato, nel Kutastha e di nuovo nel Midollo. Bindu può essere totalmente dimenticato sebbene – strano a dirsi ma vero – la consapevolezza rimane sempre in esso. Durante l'espirazione, ritornando al Muladhar, Om è cantato mentalmente in ciascuno dei Chakra. Scendendo, ogni Chakra è toccato dolcemente da dietro. La sua componente "orizzontale" è sperimentata almeno per un istante; la sua energia vitale che si irradia verso il corpo fisico è percepita intuitivamente. Quando Shambhavi Mudra (lo stato di calma in cui le palpebre non battono e lo sguardo è perfettamente fisso) si stabilisce in modo naturale, la forza mentale implicata nel Pranayam diminuisce. Un kriyaban lascia che il sottile meccanismo della tecnica avvenga quasi da solo. Questo non implica che la tecnica sia meno efficace: accade l'esatto contrario. Quando il flusso di energia diviene sottile come un filo di seta e sembra avere una vita sua propria, esso mostra il massimo del potere. Il segnale di un buon Pranayama è che il suo suono diviene liscio e senza interruzioni come l'olio versato da una bottiglia. Questa tecnica cardine è lo strumento principale del Kriya Yoga ed è di solito sperimentata per 24-36 volte. 23 Navi Kriya Con lo stesso metodo descritto nella tecnica Om Japa, senza tentare di controllare il respiro, la consapevolezza sale lungo la spina dorsale ponendo la sillaba Om (ooong) nei primi cinque Chakra, nel Bindu e nel Kutastha. Poi il mento è abbassato sulla cavità della gola. Le mani, con le palme rivolte verso il basso, sono unite con le dita incrociate; i polpastrelli dei pollici si toccano. Om è cantato – o con la voce, o mentalmente – nell'ombelico circa 75 volte (un calcolo approssimato va benissimo). I pollici toccano lievemente l’ombelico ad ogni canto del Mantra. Man mano che si procede con la tecnica, si percepisce che una calma energia si raccoglie nella parte medio bassa dell’addome (la corrente pranica che vi risiede è chiamata Samana). Questo aiuterà a dissolvere il processo del respiro. Poi il mento è sollevato (moderatamente, ma tanto da sentire la 23 In certe occasioni (una volta alla settimana per esempio, durante una meditazione più lunga) si possono aggiungere più ripetizioni. Queste sono sempre contate di 12 in12. Coloro che praticano il Kriya da vari anni possono praticare 144 ripetizioni durante ciascuna routine. 88 contrazione dei muscoli alla base della nuca); la concentrazione va prima nel Bindu e poi giù (muovendosi giù in linea retta, fuori dal corpo) nel terzo Chakra. Le dita sono intrecciate dietro, questa volta il palmo delle mani è rivolto verso l’alto, e a ciascun canto del Mantra, i pollici praticano una pressione leggera sulle vertebre lombari. Om è cantato – o con la voce, o mentalmente - approssimativamente 25 volte nel terzo Chakra. Il respiro non è in alcun modo coordinato con il canto di Om. La posizione normale del mento è poi ripristinata e Om è pensato in ordine inverso dal Kutastha al Muladhar. Questo è un Navi Kriya (dura circa 140-160 secondi); quattro è il numero ideale di ripetizioni. Nota La seguente variante del Navi Kriya è molto gradevole. Mentre tutti gli altri dettagli fino all'azione di piegare la testa in avanti rimangono immutati, il Mantra Om è cantato alternativamente tra il Kutastha e l’ombelico. (Om nel Kutastha, Om nell’ombelico, Om nel Kutastha, Om nell’ombelico…) Poi, analogamente, Om è cantato alternativamente tra il Bindu e il terzo Chakra. Come di norma, 4 cicli di Navi Kriya costituiscono la dose ottimale. Nel capitolo II/3 un'altra, molto importante variante del Navi Kriya è introdotta. Il lettore non troverà in questo libro quelle varianti che eliminano del tutto la concentrazione sull'ombelico. Esse sono originate dalla mania di eliminare, considerandole istruzioni non originali e quindi errate, tutte quelle che prevedono la concentrazione in zone al di fuori della spina dorsale o della testa. Molti praticanti non muovono la loro consapevolezza di un solo centimetro fuori dalla colonna spinale temendo che con ciò la pratica divenga meno "spirituale"! Vogliono adattarsi agli schemi della Yoga tantrico (vedi Hatha Yoga Pradipika, Gheranda Samhita e Shiva Samhita). Per ricevere l'iniziazione al Kriya Yoga, alcuni insegnanti prescrivono lo studio di questi libri come un requisito indispensabile. Sono convinti che non solo uno può trovarvi i fondamenti teorici delle tecniche Kriya, ma anche una descrizione concisa delle sue tecniche. Il Navi Kriya è ridotto così ad un sviluppo dell'Uddiyana Bandha. Altri autori fanno un tentativo goffo di giustificare il Navi Kriya facendo ricorso a Patanjali: citano un Sutra (in qualche edizione è il Sutra III/29 in altre III/30) nābhicakre kāyavyūhajñānamḥ. In diversi commentari questo Sutra è tradotto: «facendo Samyama (una lunga concentrazione che assorbe la coscienza) sull'ombelico, il ricercatore ottiene conoscenza sui diversi organi del corpo e sulla loro disposizione.» Questo è chiaramente del tutto diverso dal Navi Kriya! Leggendo la terza parte degli Yoga Sutra di Patanjali, non c'è dubbio sul fatto che egli non aveva in mente lo stesso scopo del Navi Kriya. In realtà il Navi Kriya prende le sue origini da tradizioni spirituali sviluppate fuori dell'India l'Alchimia Interiore è il migliore esempio. A mio avviso, per fare una ricerca sulle origini e sull'essenza del Kriya Yoga è necessario studiare tutti i grandi percorsi mistici e non solo la base dello Yoga. Il Navi Kriya non dovrebbe essere impoverito 89 prendendo in considerazione solamente la pura e semplice concentrazione sul terzo Chakra Manipur. Tale concentrazione può essere utile, non discuto, ma serve un altro scopo. Pranayama mentale 24 Per entrare il più facilmente possibile in una perfetta immobilità fisica e mentale si fanno tre respiri profondi, ciascuno che termina con un’espirazione veloce e completa come un sospiro. La spina dorsale è immaginata come un tubo dove la mente può salire e scendere, fermandosi in ciascun centro spinale. La sillaba Om (ooong) può essere cantata mentalmente in ciascun Chakra ma talvolta è preferibile limitarsi a porre tutta la propria attenzione in ciascuno di essi. Incominciando col primo, poi dopo circa 10-20 secondi passando al secondo … e così via. I Chakra sono come dei nodi che possono essere sciolti "toccandoli" con la concentrazione; il segreto è di mantenere la consapevolezza in ciascuno di essi fino a percepire una particolare sensazione di dolcezza, come se quel Chakra si stesse "sciogliendo". Completata la salita al Bindu, incomincia la discesa lungo il dietro della spina dorsale; oltre alla sensazione di qualcosa che si scioglie, si può anche percepire la sottile irradiazione che si origina da ciascun Chakra e che è rivolta verso il corpo. Questo è solo un fatto di pura consapevolezza, un naturale sentire che conduce alla realizzazione che i Chakra sostengono la vitalità di ciascuna parte del corpo. Talvolta, si percepisce una luce nella parte superiore della testa ed il kriyaban continua a concentrarsi per molto tempo su di essa senza provare alcuna fatica. Il processo di salire e scendere attraverso i Chakra è portato avanti fintanto che è agevole. (Un giro completo dura 2-4 minuti.) Questa è la parte più bella della routine. Un kriyaban non ha la sensazione di star praticando una particolare tecnica, ma gioisce di momenti di dolce rilassamento. Questo è il momento in cui un profondo silenzio mentale si stabilisce nella coscienza e nel corpo. Tranquillità, "Sthir Tattwa" (Prana calmo, statico) è sperimentato nel settimo Chakra. Lahiri Mahasaya chiamò questo stato Paravastha or Kriyar Paravastha – "lo stato che si manifesta dopo la azione del Kriya". Se tale stato è richiamato il più possibile durante il giorno (attraverso il semplice potere della volontà o attraverso la pratica del Japa) il risultato è fantastico. 24 Alcuni non comprendono la sottile differenza tra Om Japa e il Pranayama mentale. Om Japa, prima del Pranayama, stimola fortemente ciascun Chakra. Ci si ferma in ciascun Chakra per pochi istanti, giusto il tempo di farvi vibrare il Mantra. Nel Pranayama mentale, invece, c’è un atteggiamento di passività, ci si predispone più a percepire che stimolare e, sopra tutto, ci si rimane molto più a lungo. 90 Yoni Mudra La notte, prima di distendersi a dormire, si incomincia la pratica calmando l’intero sistema psicofisico con una breve routine Kriya (non solo qualche respiro Pranayama ma anche una breve pratica di Navi Kriya). Dopodiché con una profonda inspirazione si solleva l’energia nella parte centrale della testa. Se uno ha raggiunto il Kechari Mudra, preme fermamente la lingua sul punto più alto all’interno della faringe nasale - altrimenti la lingua è nella posizione normale, perfettamente rilassata. Si chiudono le "aperture" della testa - gli orecchi con i pollici, le palpebre con gli indici (questo aiuta nel mantenere i globi oculari fermi), le narici con i medi, le labbra con l’anulare e il mignolo - in modo che tutta l'energia possa illuminare il Kutastha. Durante tutta la pratica, ciascun gomito dovrebbe puntare verso l'esterno e non essere lasciato pendere in basso. Si può usare un sostegno, se necessario. Durante questa speciale azione di osservare la luce, gli indici non devono premere sugli occhi, nel modo più assoluto - questo è dannoso e, in ogni caso, di nessuna utilità! Se un kriyaban sente una sensazione fastidiosa per il fatto che i suoi globi oculari ricevono la pressione delle dita sulla palpebre, tira in giù le palpebre in modo che la pressione non sia più sui globi oculari ma sull'osso esterno. Trattenendo il respiro e ripetendo diverse volte Om (Ooong), mentalmente, si osserva la luce dell’"occhio spirituale" che si raccoglie e aumenta di intensità. La luce si condensa in un anello dorato. Il respiro è trattenuto finché ciò è confortevole, finché la necessità di espirare si fa sentire chiaramente. La pratica è completata scendendo con la consapevolezza lungo la spina dorsale. Lo Yoni Mudra si esegue, normalmente, una volta sola. Pratica evoluta dello Yoni Mudra Di solito, inspirare profondamente e poi trattenere il respiro causa un senso di disagio dopo pochi secondi. Col tempo si introduce un piccolo dettaglio che diminuisce il disagio e rende possibile approfondire la pratica. Alla fine di una inspirazione moderata (non la tipica del Pranayama, ma una molto breve), il kriyaban chiude le aperture della testa ma non pienamente le narici, poi incomincia una lieve espirazione e solo allora chiude le narici. Rilassa i muscoli del torace e crea l’intenzione di incominciare una nuova inspirazione: questo apre l’epiglottide e dà la sensazione che il respiro sia divenuto calmo nella zona che va dalla gola al Kutastha. In questa situazione, la concentrazione sul Kutastha e la ripetizione di Om per 91 diverse volte, può essere portata avanti e goduta al meglio. L'istruzione tradizionale è aumentare il numero delle ripetizioni di Om di una al giorno, fino ad un massimo di 200; naturalmente, il forzare deve sempre essere evitato. Nota Lahiri Mahasaya teneva lo Yoni Mudra in grande considerazione. Per mezzo di essa si sperimenta il raggiante aspetto di luce di Omkar che rivela il sentiero verso la dimensione spirituale. Il Kutastha - tra le sopracciglia - è il luogo dove l'anima individuale ebbe la sua origine ed è là che l'Ego ha bisogno di essere dissolto. Non si dovrebbe lasciarsi incantare da questa esperienza ma si deve proseguire con tutte le altre parti del percorso del Kriya per raggiungere il Vuoto oltre la dimensione fisica e stabilirsi in quella Vastità. Familiarizzarsi col Primo Kriya Nel campo del Kriya regna un sorta di frenesia, la quale prevede che la conoscenza pratica di esso debba essere data affrettatamente tutta in una volta sola. Penso che non ci sia alcuna necessità e alcun senso nel comunicare ad una persona tutti i dettagli del Primo Kriya in una sola seduta. Dopo una suggestiva cerimonia, in poco tempo tutto è dimenticato e la crisi esplode. Fortunatamente, per alcuni le cose vanno diversamente: le poche parole pronunciate dall'insegnante, continueranno a risuonare per anni - spesso nello stesso modo, con la stessa inflessione di voce, che l'insegnante ricevette un tempo dal suo proprio insegnante – e, dopo intenso lavoro, il loro pieno significato verrà realizzato. A parte questi rari casi, è più naturale, logico, impararlo un po' alla volta e sperimentarlo senza alcuna tensione. Quando si spiega a qualcuno l'insieme delle tecniche del Primo Kriya, si dovrebbe raccomandare di non cominciare con la pratica completa; non ci si dovrebbe sentire colpevoli se, per mesi, si praticata solo una tecnica tra quelle illustrate. Naturalmente, altra cosa è aspettare il "momento ideale" per cominciare – come il cambiare il lavoro o casa – allora sì che la decisione non verrà mai presa! A mio avviso, non è necessario preparare la persona per l'iniziazione al Kriya per mezzo di particolari tecniche diverso da quelle che si trovano nell'insieme di tecniche del Primo Kriya. Alcune scuole hanno scelto alcune tecniche utili dallo Yoga classico come preparazione. Ebbene, nel Kriya di Lahiri Mahasaya le tecniche preliminari sono, semplicemente, il Talabya Kriya e l'Om Japa. 92 È molto importante sperimentare come sia bello praticare una breve seduta di solo queste due tecniche. Chiunque sperimenterà un senso di meraviglia nell'osservare come il Talabya Kriya riesce a calmare subito la mente. Un fatto strano è che esso non richiede la concentrazione su qualsiasi cosa, solo una pura azione fisica. Poi, il fatto di cantare il Mantra Om nel modo descritto, finché l'addome, il torace e la colonna spinale vibrano, porta un kriyaban ad ottenere un stato che è una vera "benedizione." Quando viene il momento di introdurre il Kriya Pranayama, un'insegnante potrebbe preferire di guidare prima lo studente verso la semplice pratica dell'Ujjayi Pranayama senza accennare al meccanismo del Kriya vero e proprio. Concentrandosi semplicemente sul suono nella gola, un kriyaban potrebbe percepire il movimento di energia nella spina dorsale: il Kriya Pranayama sarà allora una piacevole scoperta priva di ogni artificiosità. Un insegnante non dovrebbe mai spingere gli allievi a crearsi delle aspettative con la pura fantasia. Similmente, uno non dovrebbe essere troppo esigente con se stesso; ciò porterebbe a dimostrare indifferenza verso la "naturalezza" delle tecniche sviluppando una tensione eccessiva, di cui sarebbe poi difficile sbarazzarsi. Molti kriyaban chiedono con troppa insistenza, a volte ossessione, che tutti i possibili e immaginabili dettagli della tecnica del Kriya Pranayama siano loro chiariti. Si stancheranno ben presto. Dopo aver riempito di note e di schizzi il proprio blocco di appunti, abbandoneranno tutto. È come se matita e fogli di carta fossero uno scudo per impedire che la genuinità e la bellezza del Kriya Pranayama possano entrare nella loro vita. Essi non capiscono quanto sia importante che la mente sia calma, che non ostruisca, con la sua tensione, il flusso di energia nella spina dorsale. Molti sono convinti che uno dei prerequisiti per praticare il Kriya è l'abilità di raggiungere facilmente uno stato di perfetta concentrazione; ma questo è uno dei risultati finali, non il primo passo! È normale che la mente vagli continuamente in mille opposte direzioni. Nessuno dovrebbe affrontare questa pratica come se si accingesse a fare delle acrobazie; nel Kriya riesce chi si affida alla "naturalezza" della tecnica e pratica con la pazienza e allo stesso tempo con la cura di una casalinga che "pela le patate"! #Una routine completa potrebbe essere: Talabya Kriya; Om Japa; Maha Mudra; Pranayama [12-24]; Navi Kriya; Pranayama mentale. (Il Navi Kriya si può fare anche prima del Pranayama.) Di notte: Yoni Mudra. Una variante interessante è: Talabya Kriya; Om Japa; Pranayama [12-24]; Maha Mudra; Navi Kriya; Yoni Mudra e Pranayama mentale. Si ripete lo 93 Yoni Mudra di notte. Alcuni insegnanti pensano che durante il giorno non si dovrebbe praticare lo Yoni Mudra. In realtà si può benissimo! Però dopo la pratica dello Yoni Mudra, nella calma profonda della notte, in un rilassamento perfetto e totale, tale tecnica è praticata al meglio e crea una tale concentrazione di energia nel Kutastha che cambia la qualità del sonno che segue. Dopo aver attraversato gli strati del subconscio, la coscienza potrà toccare il cosiddetto stato "supercosciente" Sappiamo che Ujjayi Pranayama è spesso insegnato con Aswini Mudra contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale col ritmo di approssimativamente due contrazioni per secondo. Anche il Kriya Pranayama può essere praticato con l’Aswini Mudra, specialmente nei primi 12-24 respiri Pranayama – durante l'inspirazione, l'espirazione e le pause. Dopo 10-15 minuti, il movimento fisico diminuisce in intensità e la procedura si interiorizza. È allora che la consapevolezza è portata fortemente nella spina dorsale, in un modo più intenso che con qualsiasi altro trucco tecnico. Questo potrebbe tornare utile a coloro che non sono capaci di praticare il Kechari Mudra. La cosa più importante è di non dimenticare mai di dare la massima importanza alla fase distensiva e confortante del Pranayama mentale. Una routine di Kriya senza il Pranayama mentale è come un complesso musicale che abbia accordato gli strumenti e poi saluti il pubblico e se ne vada! È la fase della propria pratica dove tutto viene messo insieme, dove le increspature nel lago della mente si placano e la consapevolezza diviene trasparente per rivelare la Realtà Ultima. È una calma diffusa: la mente, placata, smette di agitarsi, si riposa e guadagna l'energia necessaria ad essere più acutamente vigile nella vita. È come una spirale, che gradualmente e sistematicamente si prende cura di tutti i livelli dell'essere: è un processo di guarigione. Il suo valore si manifesta durante i momenti difficili, quando dobbiamo prendere una importante decisione. Allora si ha l'impressione che nulla possa interferire, che anche le più grandi difficoltà si dissolvano. Nella perfetta trasparenza di un ordine interno, tutti i problemi saranno dissolti. Come si raggiunge il Kechari Mudra Dopo mesi di pratica regolare del Talabya Kriya, un kriyaban può ritenere che la situazione sia matura per raggiungere il Kechari Mudra. Per alcuni minuti al giorno, egli spinge in dentro (premendo con le dita) la base della lingua, raggiungendo in tal modo, con la punta di questa, l’ugola. 94 Un giorno, rimuovendo le dita, avrà la sorpresa che la punta della lingua rimane come "intrappolata" in quella posizione. Il palato molle agisce come un nastro elastico, sostiene la lingua, impedendo che scivoli fuori e ritorni nella posizione normale. Questo è un momento decisivo in quanto, mantenendo la lingua in questa posizione, potrà fare alcuni respiri Kriya. Ripetendo il tentativo nei giorni che seguono, il Kechari Mudra sarà sempre più perfetto. Dopo una decina di giorni, sarà possibile entrare con la lingua completamente nel cavo della faringe nasale e rimanervi per alcuni minuti. Con calma potrà progredire ulteriormente. Il senso d’irritazione e l’aumento eccessivo della salivazione saranno superati; da allora la pratica del Pranayama col Kechari Mudra sarà facile e confortevole. La lingua arriverà al punto di confluenza del passaggio nasale entro la cavità del palato; c'è un tessuto soffice sopra i fori nasali, il quale è descritto nella letteratura Kriya come un' "ugola sopra l'ugola": la punta della lingua lo oltrepasserà – gradualmente. Kechari è tradotto letteralmente come "lo stato di coloro che volano nel cielo, nell’etere"; esso attira colui che pratica nello stato di meditazione, insegnandogli come volare nello "spazio interiore". Esso scavalca il sistema energetico della mente, scollegandola. Il cosiddetto "nodo della lingua" consiste nel fatto fisiologico che la nostra lingua non riesce normalmente a toccare l'ugola e/o certi centri nella faringe nasale. Dal punto di vista energetico, questo è espresso dal fatto che noi siamo tenuti distanti dalla riserva di energia della regione del Sahasrara. Kechari Mudra perfora tale nodo, rende il contatto possibile, muta il sentiero del flusso del Prana facendo sì che la forza vitale venga sottratta dal processo del pensiero. A volte, durante la vita quotidiana, dei momenti di pura calma e di silenzio mentale riempiono l’essere! Talvolta, senza fare alcuna pratica aggiuntiva, si percepisce una felicità insolita. Si spiega che il Kechari è un aiuto infallibile nel raffinare e chiarire qualsiasi desiderio e nel ripulire il nostro subconscio. La letteratura sul Kriya afferma che uno è capace di percepire, attraverso il Kechari, l'elisir della vita, "Amrita", il "Nettare". È un fluido dal gusto dolce che scende dal cervello nel corpo attraverso la lingua. Onde favorire questa esperienza uno dovrebbe toccare, con la punta della lingua, tre punti specifici: l'ugola, la prominenza ossea, come una piccola asperità sul tetto del palato (entro la faringe nasale) sotto la ghiandola pituitaria e il tessuto molle sopra il setto nasale a cui abbiamo accennato. La punta della lingua dovrebbe ruotare su questi punti almeno per 20-30 secondi; poi facendo un movimento con labbra e bocca come per centellinare un liquore, si percepirà un certo particolare sapore sulla superficie della lingua. Si può ripetere l’esercizio 95 diverse volte durante il giorno. Quando la vera sensazione di nettare si manifesta, ci si concentra su di essa, tenendo la lingua in contatto con uno dei centri descritti sopra. La letteratura spiega che in questo modo l'abitudine perniciosa di esaurire tutta la propria vitalità verrà controllata. Pranayama col Kechari Mudra Durante il Pranayama col Kechari Mudra, la espirazione ha un suono molto bello come di un flauto. È come un lieve fischio che nasce nella faringe nasale. Alcune scuole lo chiamano il Shakti Mantra. Lahiri Mahasaya lo descrisse come «simile a quando uno soffia aria attraverso il buco della serratura.» Dice che è come «un rasoio che taglia tutto - ovvero: la mente». Esso ha il potere di eliminare ogni fattore esterno che disturba, pensieri inclusi (uno può farsi una idea di come dovrebbe essere questo suono tenendo tra le labbra il bordo di un foglio di carta e soffiando gentilmente). Viene al punto massimo del rilassamento: il più piccolo tratto di ansietà o agitazione ha il risultato di perderlo. Rappresenta una esperienza incantevole, straordinaria di meditazione: esso segna uno dei migliori momenti della vita di un kriyaban. Egli sente di avere nelle sue mani non una comune tecnica di meditazione ma qualcosa di straordinario. La modestia è sempre la benvenuta, ma quando questo risultato è realizzato, un'euforia positiva (come se uno avesse trovato la lampada magica di Aladino) non può essere trattenuta. Nel letteratura Kriya c'è una frase che descrive che se uno ha realizzato un Pranayama perfetto, può ottenere tutto attraverso di esso. Bene, se vogliamo pensare ad un Pranayama ideale, senza difetti, non dovrebbe essere troppo lontano da quest'ultimo. 96 CAPITOLO II/2… KRIYA SUPERIORI La fase del sentiero Kriya che stiamo per trattare è di importanza straordinaria: il soggetto non è difficile da comprendere, piuttosto la sua applicazione pratica richiede una estrema delicatezza. I Kriya superiori dovrebbero sempre cooperare a stabilire uno stato base di armonia e calma. Gli effetti positivi di pace, gioia interiore e il fatto di riuscire ad ascoltare i suoni interiori (che sono una manifestazione della realtà Omkar) dovrebbero aumentare sempre. Nel caso opposto significa che uno non è ancora pronto a procedere a questo stadio della pratica o che non sta seguendo le istruzioni correttamente! È necessaria una certa maturità ed estendere il proprio impegno spirituale all’intera giornata. Nella terza parte del libro si può trovare un discorso sul Kriya dove si sottolinea quanto sia importante liberarsi dai propri atteggiamenti erronei e fare affidamento anche a semplici ma essenziali pratiche come il Japa. Tenere la mente sempre in sintonia con un stato di calma, la quale fiorisce (durante i momenti liberi dal lavoro) in un stato estatico di silenzio mentale, è il modo più sicuro per far tesoro di questi insegnamenti. La pratica dei Kriya superiori avviene sempre dopo il Navi Kriya e il Pranayama, all’interno di una routine come quella descritta nel capitolo precedente. L’unica eccezione a questa regola è quando il kriyaban è un esperto e riesce a creare in pochi istanti una buona condizione d’interiorizzazione e ad entrare in modo dolce nella dimensione dei Kriya superiori con un respiro che rimane calmo mentre il senso di beatitudine continua ad aumentare. Per quanto riguarda le dosi specifiche previste per i Kriya superiori (come ci sono state tramandate dalla tradizione), un kriyaban può deviare da esse, scegliere la quantità di ripetizioni che considera necessaria e ottenere comunque notevoli risultati. Il sentiero del Kriya è un cammino attraverso il quale acquistiamo sempre più libertà e quindi sarà sempre un'esperienza gioiosa: non deve essere vissuto come un’amara costrizione. Un'osservazione sul Kechari Mudra È stato spiegato che il progresso attraverso il sentiero del Kriya consiste nel sciogliere il nodo della lingua con l'aiuto del Kechari Mudra, quello del cuore ascoltando Pranava (Om) e nel sciogliere il nodo del Muladhar sperimentando la manifestazione della Luce interiore. Forse il lettore ha già incontrato la frase di Lahiri Mahasaya: «Ogni sentiero religioso consiste di quattro tappe caratterizzate dallo sciogliere quattro "nodi": lingua, ombelico, cuore e coccige». È un fatto che in India, il modo in cui uno studente pratica il Kechari Mudra è cruciale per la sua iniziazione ai Kriya superiori. Gli Acharya chiedono di vedere 97 l’esecuzione effettiva del Kechari; domandano che si apra la bocca di fronte a loro e controllano che la lingua scompaia nella cavità nasale. A mio avviso, la pratica dei Kriya superiori non dovrebbe essere evitata da coloro che trovano impossibile praticare il Kechari Mudra. Trovo insopportabili frasi come «Finché uno non è stabilito nel Kechari Mudra, non può raggiungere lo stato di Eterna Tranquillità». Questo non è affatto vero! Se fosse vero, allora molti mistici (la maggior parte dei quali non sentì mai parlare di Kechari Mudra) non avrebbe mai potuto avere una piena esperienza del Divino. Mi prendo la libertà di credere che ottimi risultati possano anche essere ottenuti volgendo la lingua indietro verso l'ugola ed ascoltando la vibrazione Omkar. Questo semplice fatto elimina la frattura (dal punto di vista energetico) tra il cervello e il corpo e fa sì che l'energia circoli (in un modo chiaramente percettibile) entro il corpo. Non sto dicendo che il Kechari non sia importante. Non c'è dubbio che praticare i Kriya superiori con la lingua posta nella faringe nasale sia diverso dal praticare mantenendo la lingua in posizione normale. La "pressione" interna prodotta dal Kechari, fa sì che l'Omkar Pranayama e il Thokar funzionino nel modo più efficace. D’altro canto, so che per mezzo di una pratica regolare del Talabya Kriya – prima del Pranayama o in qualsiasi momento del giorno – è possibile ottenere alcuni dei tipici effetti del Kechari. Inoltre, alcune persone sono capaci di tenere la punta della lingua sull'ugola, ma non di entrare completamente nella faringe nasale o toccare una particolare zona nella parte più alta del palato. Indubbiamente degli ottimi risultati possono essere ottenuti tenendo ogni giorno per dieci-venti minuti la lingua in contatto con l'ugola. Un'altra mia convinzione è che Lahiri Mahasaya richiedeva certamente uno sforzo regolare nel Talabya, ma che abbia concesso delle Iniziazioni superiori anche a coloro che non riuscivano ad assumere la posizione corretta del Kechari Mudra. La sua attitudine, il suo prendere parte alle sofferenze umane mi inducono a credere in questo. Secondo Kriya [a] Omkar Pranayama In questa tecnica sono potenzialmente contenuti tutti i Kriya superiori. Effettivamente, ogni ulteriore Kriya può essere considerato un'espansione di essa, un sviluppo ben mirato di alcuni suoi dettagli. Questo Omkar Pranayama è un vero gioiello, rappresenta la quintessenza della bellezza. È essenzialmente un Pranayama dove il respiro trova dei momenti di quiete non solo ai due estremi della spina dorsale, ma anche nei Chakra che sono come diverse "stazioni" lungo essa. Un kriyaban tocca ciascun Chakra in un modo veramente efficace: egli individua così la sede astrale di ciascun Chakra. Quando si pratica l'Omkar Pranayama, il tempo vola senza accorgersi: quello che potrebbe sembrare essere un compito spossante (108 o 144 ripetizioni per esempio) risulta essere facile come un momento di riposo. L'unico inconveniente di questa procedura è che, all'inizio, essa potrebbe sembrare un po' complicata. Nel processo di perfezionare i diversi dettagli tecnici, la saggezza e buon senso sono richiesti. Ogni dettaglio dovrebbe essere introdotto gradualmente, così che esso non disturbi 98 l'armonia del quadro generale. [1] Dopo un minimo di 12 respiri del Pranayama di base, la procedura comincia col cantare mentalmente una sillaba del Mantra Sanscrito "Om Namo Bhagavate Vasudevaya" per Chakra 25 facendo una breve pausa in ciascuno. Ciò si ottiene dividendo inspirazione ed espirazione in sei + sei parti. Durante il primo "sorso" della inspirazione, la concentrazione è sul Muladhar, dove la sillaba Om è posta idealmente; durante il secondo "sorso", la concentrazione è sul secondo Chakra, dove la sillaba Na è posta idealmente... e così su, finché Ba è posta nel Bindu e l'inspirazione è completata. Similmente, l'espirazione è divisa in sei parti ben marcate come pulsazioni. Durante la prima di queste parti, la sillaba Te è posta nel Midollo; durante il secondo, la sillaba Va è posta nel quinto Chakra.... e così via.... Su... De... Va, finché Ya è detto mentalmente nel Muladhar. Alla fine dell'inspirazione, il respiro è mantenuto per 2-3 secondi. La consapevolezza fa una completa rotazione in senso antiorario lungo la corona della testa, entro il cervello, cominciando dalla regione occipitale e là ritornando. La testa accompagna questo movimento interno con un movimento di rotazione molto leggero (piegandosi leggermente indietro, poi a destra, davanti, a sinistra e in fine indietro). Durante una pausa di due secondi alla fine dell'espirazione, la consapevolezza fa un giro completo, antiorario entro il Muladhar. Il tempo di un respiro con le pause (o-o-o-o-o-o + iii-iii-iii-iii-iii-iii) dipende dall'individuo: di solito è circa 15-20 secondi, ma può essere più lungo. [2] Le mani con le dita intrecciate sono appoggiate sull'addome. Salendo col canto mentale di Om, Na, Mo... uno ha la sensazione di viaggiare nella spina dorsale. Alla fine della pausa in alto, si sente che il centro della sua consapevolezza è posto idealmente "dietro" la testa. Dopo aver pensato Te nel Midollo, si percepisce che le successive sillabe discendenti Va, Su, De, Va, Ya sono poste in ciascun Chakra come da "dietro." Detto con parole più semplici: la consapevolezza sale internamente alla colonna spinale e scende lungo la parte posteriore. [3] Durante l'inspirazione i muscoli alla base della colonna spinale sono contratti leggermente. Questa contrazione è mantenuta fino alla fine dell'inspirazione e durante la seguente breve pausa, poi è rilassata e l'espirazione comincia. I dettagli sopra menzionati sembrano complicati ma questo è solo un modo 25 Di sicuro il lettore conosce la pronuncia corretta del Mantra, perciò non aggiungo alcun simbolo fonetico. Notiamo che nel Bindu non pensiamo Va ma Ba: questa convenzione si è stabilita attraverso gli anni. 99 per mettere in moto il processo; poi l'esperienza si approfondisce da sola e tutte le complicazioni svaniscono. Da un certo momento in poi, tutti i dettagli fisici sono vissuti in un modo molto sottile: [4] La frammentazione del respiro in sei + sei parti viene interiorizzata e il respiro fluisce più armonioso, ma le pause in ogni Chakra sono sperimentate con acuta concentrazione. Ciò è il nucleo della tecnica. Qualche volta uno ha l'impressione di scivolare entro un Chakra, altre volte sente che la propria consapevolezza si avvolge dolcemente attorno ad esso. Le sillabe sono sempre poste con grande accuratezza nelle rispettive ubicazioni dei Chakra. Quello che è importante è non avere fretta e lasciare che l'esperienza avvenga, altrimenti la pratica sarà inutile o persino tamasica - negativa. Per evitare il rischio di scivolare in un atteggiamento affrettato, il kriyaban si impegna a porre le sillabe nei rispettivi Chakra attendendo intenzionalmente un senso particolare di godimento. [5] Il respiro produce solamente un lieve, debole suono nella gola (o nella faringe nasale se sta praticando con il Kechari Mudra) oppure anche fluisce senza alcun suono; la contrazione dei muscoli alla base della colonna spinale è gradualmente sostituita da una "pressione mentale"; il movimento della testa è solo accennato e poi sparisce quando viene a stabilirsi una perfetta immobilità; la rotazione antioraria della consapevolezza attorno alla corona della testa sembra abbassarsi all'interno e toccare anche il Midollo allungato, avvolgendosi attorno ad esso. [6] Un kriyaban è costantemente aperto ad ogni sottile percezione che proviene da questa procedura - in primo luogo, ascoltare qualsivoglia suono interiore (senza chiudere gli orecchi). Il suono dell'Om emerge in modo del tutto naturale ed affascina la mente. La bellezza del suono della campana è inesplicabile; ascoltando questo dolce suono che, come una lieve pioggia di petali, bussa dolcemente alle porte dell'intuizione, nasce la realizzazione che tutte le esperienze d'amore sono come splendidi cristalli che fioriscono attorno al suo filo dorato. Esso incarna quel profondo sentimento di speranza che ha riscaldato innumerevoli volte il nostro cuore sin dall'infanzia, quel vasto sorriso che ci arrecava conforto durante i momenti difficili. 100 [b] Secondo Kriya vero e proprio: la forma base del Thokar Thokar significa aggiungere all’Omkar Pranayama dei particolari movimenti della testa. Con il mento abbassato sul petto, un kriyaban pone la sua mente nel Sushumna, inspira sollevando la consapevolezza lungo la colonna spinale, toccando il nucleo di ciascun Chakra con le sillabe del Mantra (la sillaba Om è posta nel primo Chakra, Na nel secondo, Mo nel terzo, Bha nel quarto...) - simultaneamente il mento è sollevato come a seguire il movimento interiore. Durante l’inspirazione, i muscoli alla base della colonna spinale sono contratti. Quando il mento è sollevato, parallelo al suolo, l’inspirazione finisce e la percezione si trova in Bindu. Il respiro è trattenuto, la contrazione dei muscoli è mantenuta. Descriviamo ora come viene fatta una completa rotazione antioraria della testa, seguita da un movimento brusco della testa per mezzo del quale il mento è portato verso il centro del petto. La testa comincia la sua rotazione muovendosi verso la spalla sinistra (l’orecchio sinistro viene avvicinato alla spalla sinistra, la faccia non si gira né a destra né a sinistra, inoltre il movimento non prevede alcun sobbalzo), Te è pensato nel Midollo allungato. La testa s’inchina leggermente indietro e, tracciando un arco, raggiunge la spalla destra (l’orecchio destro si avvicina alla spalla destra), la sillaba Va è pensata nel Chakra cervicale. La rotazione prosegue, la testa viene in avanti e si muove verso sinistra ritornando al punto dove la rotazione era incominciata, quindi l’orecchio sinistro si avvicina alla spalla sinistra (la faccia è sempre rivolta in avanti). Da qui il mento va in giù diagonalmente a colpire il centro del torace mentre simultaneamente Su è pensato nel Chakra del cuore. Per mezzo di quest'ultimo movimento, si percepisce nel Chakra del cuore una specie di colpetto ben preciso. Col tempo, questo aiuterà a vedere il "vero" Bindu che è il punto o la stella entro il terzo occhio. La consapevolezza rimane ferma in tale zona per un secondo o più, tanto quanto basta per percepire o questo Bindu o per lo meno un'"irradiazione" che parte da tale Chakra. La mente è quieta nello stato contemplativo. Con questo Kriya dei livelli profondi di percezione del suono interiore di Om si manifesteranno e assorbiranno la consapevolezza. La contrazione alla base della spina dorsale è rilassata; per mezzo di una espirazione molto sottile le rimanenti sillabe sono "poste" nei primi tre Chakra: De nel terzo, Va nel secondo, Ya nel primo Muladhar. Durante ciò la testa è di solito tenuta abbassata. La durata di questo processo è di circa 24 secondi. Per alcune settimane il kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 12 volte al giorno. Poi è istruito ad aumentare gradatamente le ripetizioni. Ciascuna settimana può aggiungere 101 sei ripetizioni. Quelli che si imbarcano in questa avventura, dovrebbero eseguire i movimenti della testa in un modo molto delicato. Un esperto insegnante di Kriya controlla che il colpo fisico non sia forte. Non si dovrebbe permettere che il peso della propria testa spinga il mento verso il petto: in questa condizione, il movimento fisico è decisamente troppo potente e dannoso per la testa e per il collo. Quindi, uno sforzo fisico particolarmente attento è volto ad abbassare il mento, resistendo contemporaneamente alla forza di gravità, concludendo con un leggero sussulto che è percepito intensamente all’interno del quarto Chakra. La presenza di problemi fisici (le vertebre cervicali sono molto sensibili!) può richiedere che egli si fermi per alcuni giorni o che pratichi a giorni alterni. Figura 5. Movimenti della testa nella forma base del Thokar È molto meglio incrementare il numero delle ripetizioni solo dopo molto tempo, piuttosto che fronteggiare la prospettiva di sperimentare dolore in testa e nel collo durante l’intera giornata! Un approccio molto saggio è costituito dallo stabilirsi nella ripetizione quotidiana di 36 ripetizioni senza mai oltrepassare questo numero. La tradizione orale tramandata da insegnante a discepolo, è di aumentare il numero delle ripetizioni fino a 200 (esse possono essere divise in due o più sedute al giorno). Aumentando il numero delle ripetizioni, i movimenti della testa descritti precedentemente sono solo accennati: il mento non si avvicina molto al petto e il colpo sul quarto Chakra è raggiunto principalmente dal puro potere della concentrazione mentale. 102 Terzo Kriya Questo Thokar, con molte ripetizioni del movimento della testa all'interno di un solo lungo respiro, è un'intensificazione enorme del lavoro di aprire la "porta" del cuore. Questa procedura crea un aumento del potere e dell'energia nel quarto Chakra, producendo così un'inebriante esperienza di gioia. Un kriyaban inspira nello stesso modo del Secondo Kriya. Trattenendo il respiro al termine dell’inspirazione, ripete diverse volte l’intero insieme dei movimenti della testa. Le sillabe Te, Va, Su, Te, Va, Su, Te, Va, Su... sono sono poste nei luoghi precedentemente descritti. (Te sempre nel Midollo allungato, Va sempre nel Chakra cervicale e Su sempre nel Chakra del cuore Anahat.) La tecnica si conclude esattamente come la precedente: espirando e ponendo le sillabe De, Va e Ya nei rispettivi Chakra. L'effetto è così forte che la procedura è eseguita una volta sola. Segue una lunga concentrazione sul quarto Chakra. Per un congruo numero di settimane, l’intero insieme di movimenti è ripetuto non più di 12 volte. Per dare un'idea della velocità dei movimenti, l'intero processo, inspirazione ed espirazione incluse, con 12 ripetizioni della rotazione della testa (ciascuna rotazione si conclude con il movimento del mento verso il petto) può durare circa 70-80 secondi. Dopo alcune settimane o mesi, il kriyaban è istruito ad aumentare gradatamente il numero dei movimenti di rotazione – sempre trattenendo il respiro! Mentre molti kriyaban non superano mai il numero equilibrato di 36 rotazioni, la tradizione riferisce di 200 ripetizioni (sempre trattenendo il respiro!) che si possono raggiungere incominciando con 12 rotazioni e aumentando di una al giorno. È assolutamente necessario usare il buon senso per comprendere appieno il senso di questa istruzione! Cercare di fare un gran numero di rotazioni, ripetendo esattamente i movimenti descritti (non solo la rotazione ma anche il colpo), ad alta velocità con l’ossessione di trattenere il respiro, significa solamente una violenza verso il corpo! Aumentando il numero delle rotazioni, i movimenti sono solo accennati e il mento non si arriva molto vicino al petto. Il modo giusto di praticare questo Terzo Kriya è una questione di realizzazione interiore - un istinto che viene col tempo. Una condizione molto particolare deve manifestarsi: il così detto "stato del Kriya". L'energia è distribuita uniformemente nell'intero sistema, la mente è calma in mondo unico. Un kriyaban ha la sensazione di praticare l'intero insieme di rotazioni senza respirare e senza la necessità di respirare. 103 L'esperienza è piacevole e naturale, il senso di calore e la gioia elettrizzante che scaturiscono nella regione del quarto Chakra, portano il kriyaban ad uno stadio elevato. L'impressione è che il respiro sia racchiuso nello spazio dalla gola al Kutastha. La sensazione che il respiro sia dissolto, è completamente diversa da quella di trattenerlo. Invece di tentare di vincere qualche record d’apnea, un kriyaban impara a riempire al massimo di Prana il suo sistema; proprio come una brocca può essere riempita d’acqua fino all'orlo. Quello che scopre è un Kumbhaka non-forzato. Nessuno può dire se una piccolissima quantità di aria fluisca dentro e fuori il corpo senza accorgersi. Forse una espirazione impercettibile potrebbe avvenire ogniqualvolta il mento si abbassa sul petto e una impercettibile inspirazione si produce quando il mento è sollevato – ma, ovviamente, la mia è solo un'opinione. Nota Alcune scuole insegnano a fare diverse rotazioni private del colpo che è praticato invece solo alla fine dell'ultima rotazione. Ruotando si pensa Te nel midollo allungato (quando la testa è a sinistra), Va nel Chakra cervicale (quando la testa è a destra) e Su nel Chakra del cuore quando la testa passa davanti al centro del cuore. Lo scopo delle rotazioni è di dirigere uniformemente l'energia nei Chakra elevati. Con l’ultima rotazione, quando il mento si avvicina al petto e avviene il colpo finale, l’energia raccolta in testa è diretta nel Chakra del cuore. Quarto Kriya Diverse tecniche aiutano ad aprire il nodo del Muladhar così che la propria consapevolezza possa entrare nella spina dorsale e toccare il perfetto stato di tranquillità in cima alla testa (Sahasrara). Qui viene descritta una versione molto semplice del Quarto Kriya: altre sono descritte nel prossimo Capitolo. Sollevando il Prana nel Kutastha, dopo averlo fissato là, viene data una istruzione per sentire i «diversi ritmi dei Chakra». Mentre nel Terzo Kriya, un kriyaban si stabilisce nel Chakra del cuore, in questo Quarto Kriya una simile stabilità è realizzata in ciascuno dei Chakra. Sperimentando le sei zone di ritmo e vibrazione nel punto tra le sopracciglia (la vera sede dei Chakra), uno va oltre i reami della stabilità finora raggiunta, e l'ultimo guscio di illusione è rotto. Sul Mantra utilizzato in questa tecnica Il Gayatri Mantra è considerato essere il veicolo supremo per ottenere l’illuminazione spirituale. La sua forma più pura è Tat Savitur Varenyam Bhargho Devasya Dhimahi Dhiyo Yonaha Prachodayat. 104 (Oh grande Luce Spirituale che hai creato l'Universo noi meditiamo sulla Tua gloria. Sei l'incarnazione della Conoscenza. Sei Colei che elimina l'Ignoranza. Possa Tu illuminare il nostro Intelletto e risvegliare la nostra Coscienza Intuitiva.) Questo Mantra è introdotto o da una breve o da una lunga invocazione. L’invocazione breve è: Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha. I termini Bhur, Bhuvah, Swaha sono delle invocazioni per onorare i piani di esistenza (fisico, astrale e causale) e rivolgersi alle divinità che presiedono ad essi. La lunga invocazione è: Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha, Om Mahah, Om Janah, Om Tapah, Om Satyam. Quest’invocazione è più completa in quanto riconosce che ci sono più livelli di esistenza: i sette Loka. Mahah è il mondo mentale, il piano dell’equilibrio spirituale; Janah è il mondo della pura conoscenza; Tapah è il mondo dell'intuizione; Satyam è il mondo della Verità Assoluta, Finale. Possiamo essere soddisfatti dalla spiegazione secondo la quale questi sono i sette suoni che attivano i nostri Chakra e li mettono in contatto con i sette grandi regni spirituali dell’esistenza. Nella tecnica del Quarto Kriya noi usiamo solamente l’invocazione completa, non tutte le componenti del Gayatri Mantra: la tradizione Kriya che stiamo qui seguendo associa al Manipur Om Mahah e all’Anahat Om Swaha. Il motivo di ciò è da ricercarsi nel fatto che il mondo del pensiero, evocato da Om Mahah s'addice più alla natura del terzo Chakra, mentre il mondo causale delle idee pure, evocato da Om Swaha è in relazione con Anahat Chakra. Per concludere noi associamo un Mantra a ciascun Chakra nel modo seguente: Muladhar - Om Bhur; Swadhistan Om Bhuvah; Manipur - Om Mahah; Anahat - Om Swaha; Vishuddhi - Om Janah; Medulla - Om Tapah; Bindu - Om Satyam. (Per quanto riguarda la pronuncia dei Mantra sanscriti, ognuno può trovarla in rete.) Tecnica Dopo una breve pratica del Terzo Kriya, il respiro è dolcemente placato, e la luce interiore percepita nel Chakra del cuore, illumina/rivela il Kutastha. La coscienza si pone totalmente in quella luce. Da lì una parte dell’attenzione scende nel primo Chakra. Per mezzo di una breve inspirazione questo Chakra è sollevato idealmente nel Kutastha per essere qui visto come una "luna" brillante. Il sollevamento avviene in un istante - non è come il lento sollevarsi dell'energia che abbiamo incontrato nel Pranayama. Lì avviene il canto mentale di Om Bhur per almeno tre volte fondendo questo suono con la percezione intuitiva del ritmo vibratorio del Chakra Muladhar. Mentre si canta il Mantra, un lieve movimento oscillatorio della testa, da sinistra a destra e viceversa può essere eseguito. In questa eventualità l'oscillazione non è più ampia di due-tre centimetri. Il respiro, intenzionalmente trattenuto per alcuni istanti, scompare per mezzo di questo canto del Mantra e per il fatto di focalizzare l'energia in tale punto: è quasi non esistente o perfettamente assente. Quando le ripetizioni sono completate, si inspira brevemente e, con una calma 105 espirazione, si porta il Chakra di nuovo in basso, nella spina dorsale. La stessa procedura è ripetuta per ciascuno dei Chakra successivi fino al Midollo allungato. (Per il secondo Chakra, si usa il Mantra Om Bhuvah; Om Mahah per il Manipur; Om Swaha per Anahat; Om Janah per Vishuddhi; Om Tapah per il Midollo allungato). Poi nella luce dorata dell'occhio spirituale, si canta Om Satyam diverse volte. A questo punto la procedura è fatta al contrario sollevando di nuovo il centro cervicale,26 poi quello del cuore... infine il Muladhar. Primo schema di pratica. Ciascun Mantra è cantato tre volte e l'intero "giro" è ripetuto 12 volte. L'oscillazione della testa è eseguita durante le prime ripetizioni della procedura, poi il corpo si stabilisce nella perfetta immobilità. Secondo schema di pratica. Con riferimento alle stesse istruzioni, trentasei ripetizioni del Mantra sono fatte per ciascun Chakra, su e giù: c'è un solo "giro". Om Satyam nel Kutastha può essere ripetuto più di 36 volte: 108 200 volte. Per fornire una stima, ciascuno dei due processi (su e giù ci sono 3x12x12 oppure 36x12=432 canti di un Mantra) dura 24 - 30 minuti. Punti chiave [1] Si dovrebbe essere capaci di sentire sempre il Prana nel Kutastha. Se il Prana scende lentamente e profondamente al di sotto della gola, lo si dovrebbe sollevare di nuovo nel Kutastha per mezzo di una inspirazione. [2] Oltre alla percezione dei sei Chakra come sei lune, è anche possibile visualizzare il Kutastha come un tunnel che incomincia dal punto tra le sopracciglia e si estende in avanti come una proboscide orizzontale nello spazio davanti al corpo; la sua apertura è la luce del Muladhar, poi, procedendo in avanti, ci sono le luci degli altri Chakra. Profonda meditazione dopo i Kriya superiori Spero che richiamare una teoria che è spesso citata nella letteratura sul Kriya non disturbi; non sono sicuro che essa provenga da Lahiri Mahasaya stesso, nondimeno vale la pena almeno di citarla. Ricordiamo, anzitutto, che per Patanjali, Pratyahara è il ritiro dei sensi che avviene quando la consapevolezza è scollegata dalla realtà esterna; Dharana è concentrazione, focalizzare la mente su un oggetto scelto; Dhyana è 26 Tradizionalmente, l'atto di sollevare il Midollo e il conseguente canto del Mantra Om Tapah non è ripetuto quando si fa la procedura al contrario. 106 contemplazione, la persistenza di un'azione di concentrazione come un costante, ininterrotto flusso di consapevolezza che esplora pienamente tutti gli aspetti dell'oggetto scelto; Samadhi è perfetto assorbimento spirituale, contemplazione più profonda nella quale l'oggetto della meditazione diviene inseparabile da colui che medita. Ora, secondo una diffusa tradizione, la ripetizione di 12 eccellenti Kriya Pranayama è sufficiente per arrivare allo stato di Pratyahara; la ripetizione di 144 Pranayama eccellenti è sufficiente per arrivare allo stato di Dharana; la ripetizione di 1728 Pranayama eccellenti (in una sola seduta!) è sufficiente per arrivare allo stato di Dhyana; la ripetizione di 20736 Pranayama eccellenti (in una sola seduta!) è sufficiente per arrivare allo stato di Samadhi. Fu spiegato (una teoria davvero attraente - se non è del tutto vera, comunque è ben pensata!) che i Kriya superiori vengono insegnati proprio per evitare di star seduti per tale lungo tempo e raggiungere comunque gli stati di Dhyana e Samadhi. Venne spiegato che Omkar Pranayama e Thokar furono progettati specificamente per promuovere Dharana - la concentrazione perfetta sul suono di Omkar e sul Chakra del cuore rispettivamente. Aumentando le rotazioni del Thokar, si raggiunge Dhyana: la mente è effettivamente persa nella beatitudine e nella luce che emergono dal Chakra del cuore. Quando questa esperienza è estesa ad ogni uno dei Chakra (come avviene nel Quarto Kriya) l'esperienza finale del Samadhi è realizzata/favorita. In sintesi: alla conclusione di una routine di Kriya che contiene una pratica attenta dei Kriya superiori, uno è pronto per lo stato Samadhi. Se, dopo aver eseguito l'ultima tecnica, l'assorbimento divino non si manifesta spontaneamente, allora la pratica del Pranayama mentale (senza altre procedure) dischiuderà per lui tale stato. La tecnica del Pranayama mentale (divenire consapevoli di ciascun Chakra, toccarli o solo con la consapevolezza o cantandovi mentalmente qualsivoglia Mantra) produce, uno dopo l'altro, i seguenti stati. [I]... Introversione (Pratyahara e Dharana) La mente è assorta naturalmente dal fiorire di Jyoti – la luce interiore. La pratica delle procedure prima spiegate riesce a raccoglie insieme il Prana disperso nella fronte nella una luce circolare nota come l'Occhio Spirituale o "Occhio singolo." Mentre per un principiante, la rivelazione dell'occhio spirituale appare improvvisamente e scompare, come il sole che per un istante si mostra in mezzo alle nubi, ora è permanente. Ciò incarna lo stato di 107 Dharana. Uno scoppio di gioia viene vissuto e - questo è cruciale – la mente non si agita, è capace di sostenerlo pacificamente. [II]... Assenza di respiro (Dharana e Dhyana) Uno non sente affatto il bisogno di respirare e questo dura un tempo molto lungo, più lungo di quanto potrebbe essere accettato dalla scienza. È chiaro che l'immobilità fisica accompagna questo stato, nondimeno è corretto far notare che se uno si muove di poco (come quando è necessario cambiare la posizione delle gambe) e perde quello stato, ci vorrà meno di un minuto per riguadagnarlo.27 Lo stato senza respiro incarna Dhyana, lo stato di meditazione senza sforzo, di puro godimento. [III]... Esperienza del Samadhi (Dhyana e Samadhi) Di solito il Samadhi si annuncia con un senso di immobilità unita ad una gioia enorme. Quello che nella vita ci ispira, appare all'occhio interiore come ingrandito migliaia di volte. La consapevolezza si stabilisce spontaneamente su qualche immagine interiore. Può essere quella di una persona santa o qualche cosa di bello ritrovato nella memoria (un meraviglioso panorama da sogno per esempio) ed anche una luce indefinita. La beatitudine "insopportabile" è accompagnata da un'unica calma dei polmoni e del cuore. Essere esperti nel Kriya vuole dire essere capaci di intensificare questa esperienza entro una perfetta calma fisica, mentale ed emotiva. Il Samadhi deriva dal potere di rilassamento: uno non si eccita nell'usuale modo fisiologico! La posizione - per quello che ne so - può essere mantenuta per mezzo di un appoggio fisico (disteso sul pavimento, appoggiato a un muro) altrimenti uno cade come chi si addormenta o sviene. La coscienza è isolata dall'esterno - non c'è più respirazione e il polso è praticamente inesistente. Il punto (Bindu) nel centro Kutastha emerge gradualmente: ne segue un senso di beatitudine indescrivibile e finora allora ignoto; la percezione di una luminosità intensa accompagnata da «una certezza chiara ed euforica di esistere come un oceano illimitato di consapevolezza e beatitudine». La consapevolezza è attirata attraverso questa luce che si espande in un tunnel e si immerge in quella luce di circolare; segue il movimento progressivo sulla 27 Per quanto riguarda l'ottenimento dello stato di Samadhi, la situazione è diversa: quando, sfortunatamente, questo stato è interrotto, è molto difficile (naturalmente non impossibile) riconquistarlo, durante la stessa seduta di Kriya. 108 strada dei sei Chakra fino al Sahasrara. Si ascoltano i vari suoni dei Chakra. Questo conduce ad una cessazione totale del battito del cuore - chiaramente un kriyaban è inconsapevole di questo dettaglio. Con l'esperienza di una più grande Luce, la strada che conduce al Sahasrara è aperta. Il loto dai mille petali è rivelato in piena fioritura. Perfettamente a suo agio, un kriyaban è perso nell'aspetto più profondo dell'Omkar, finché va oltre l'essenza del tempo. La consapevolezza gioisce di una pace perfetta. [IV]..."Pensione" del Kriya (Paravastha) Si dice che dopo una media di ottanta esperienze dello stato di Samadhi, uno si gode la pensione del Kriya. A parte il numero citato, su cui non sono nella condizione di fare alcun commento, una rendita spirituale significa che, da un certo momento in poi, tutte le tecniche del Kriya sono abbandonate: uno non ha la necessità di praticare una procedura fissa per trovarsi nello stato più alto di divino ricordo. Avendolo ottenuto questo, non rimane nessun desiderio per alcuna cosa, uno riceve tutte le cose necessarie. Questo è il Par Paravastha. 109 CAPITOLO II/3… DIVERSE SCUOLE DI KRIYA Coloro che desiderano solo familiarizzarsi con i concetti elementari del Kriya faranno bene a tralasciare il presente capitolo: in esso sono descritte alcune delle tanti varianti esistenti delle tecniche Kriya. Nulla si può dire della loro origine. Il mio criterio è di condividere quelli che si sono dimostrati essere dei mezzi efficaci per approfondire la concentrazione nella spina dorsale e nei Chakra o tuffarsi nella realtà Omkar. È possibile che alcuni fra i discepoli di Lahiri Mahasaya abbiano insegnato le tecniche da lui ricevuti mescolati con aggiunte di tantrismo. Alcuni Kriya Acharya (insegnanti) ebbero un rapporto disinvolto con la verità e non chiarirono qual era la parte non alterata del loro insegnamento. Forse non lo rivelarono perché pensavano che le loro tecniche sarebbero state praticate con più grande cura se fossero state prese come Kriya originale. Dividerò le varianti seguenti in tre gruppi; in ciascuno dei quali verrà delineata una routine Kriya completa. Esse mostrano diversi approcci per raggiungere la stessa finale immersione nella realtà Omkar; qualunque sia la scuola Kriya scelta, se uno la segue onestamente, allora Omkar, la vibrazione dell'Intelligenza che sostiene l'universo, afferrerà la sua consapevolezza e la guiderà nelle profondità dell'esperienza mistica, senza alcun pericolo di perdersi. Nel primo gruppo [A] condensiamo l'insegnamento di una particolare scuola di Kriya che può essere definite moderata e cauta. 28 Il centro del suo interesse è come intensificare la sintonia con la dimensione Omkar nell’aspetto di vibrazione di suono, luce e sensazione di movimento. La sensazione oscillatoria non è il ben definito movimento Trivangamurari che è descritto nella sezione [C], ma una forma semplificata di esso. Nel secondo gruppo [B] descriveremo un insieme di tecniche che sono realmente intense. Esse contengono particolari chiave che forzano l'energia entro la spina dorsale nel Kutastha. Mentre nella scuola [A] il lavoro di concentrazione nella parte superiore della testa (Sahasrara) è considerato essenziale, in questa scuola, non è nemmeno menzionato. La teoria è che quando la consapevolezza entra nella stella dell'occhio spirituale, allora anche il Sahasrara è raggiunto. Nel terzo gruppo [C] prenderemo in considerazione un insegnamento che si discosta decisamente da tutte le altre scuole: esso è basato – questo è la loro affermazione non confermata - su un insegnamento che Lahiri Mahasaya avrebbe sviluppato nell'ultima parte della Sua vita. L’esperienza di Omkar come suono e luce interiori non sono ricercati intenzionalmente (e nemmeno menzionati da alcuni Acharya appartenenti a tale scuola), mentre la percezione del movimento interiore Trivangamurari prevale su tutti gli altri aspetti. 28 Motivi di prudenza mi sconsigliano di indicare il nome del suo principale fautore – voglio evitare polemiche. 110 SEZIONE [A] Piegamenti in avanti e Maha Mudra [Scuola A] [a] Mantenendo la posizione del mezzo loto - o sedendo sui talloni - dopo aver ispirato come nel Pranayama, ci si flette in avanti; la testa si avvicina alla regione fra i ginocchi (vedi Figura 4). Figura 4. Piegamento in avanti, partendo da seduto sui talloni oppure partendo dal mezzo-loto. Le mani sono usate come più viene naturale; il respiro è trattenuto. La faccia è girata verso il ginocchio sinistro così che è possibile percepire una pressione sulla parte destra della testa; poi la faccia è rivolta verso il ginocchio destro: una pressione è percepita nella parte sinistra della testa. Poi la faccia è rivolta in basso così che è possibile percepire una pressione sulla fronte. Dopo aver completato i tre movimenti, si ritorna nella posizione di partenza con la schiena raddrizzata. Tramite una lunga espirazione, si guida l'energia in giù dal Kutastha al Muladhar. È bene ripetere quest’esercizio almeno tre volte. La tecnica può essere praticata molto più lentamente e senza trattenere il respiro. Dopo aver inspirato, ci si flette in avanti; la testa è posta nella regione fra i ginocchi. Il respiro viene lasciato libero ma l’energia è mantenuta in testa come se il respiro fosse trattenuto – questa abilità si sviluppa con la pratica. La testa è avvicinata al ginocchio destro, la faccia è girata verso sinistra. Qui ci si ferma alcuni secondi (10-30) tentando di percepire non solo una pressione nella parte destra della testa (il che è facile) ma anche un senso di movimento, di oscillazione al suo interno. Poi la testa è condotta vicina al ginocchio sinistro, in posizione simmetrica: la stessa percezione avviene nella parte sinistra della testa. Poi la testa è posta tra i ginocchi: quelle stesse sensazioni sono percepite nella parte frontale della testa. Dopo aver completato i tre movimenti detti, si ritorna nella posizione di partenza con la schiena raddrizzata. Poi, per completare un ciclo di questo esercizio, si guida l'energia in giù dalla testa al Muladhar tramite una lunga espirazione. Ripetendo alcune volte questa posizione, le due parti del cervello vengono, dal punto di vista energetico, equilibrate: ciò crea equilibrio tra le correnti di Ida e di Pingala, il cui stato di disequilibrio costituisce la ragione principale 111 del blocco esistente alla base della spina dorsale. [b] Per quanto riguarda il Maha Mudra vero e proprio, consideriamo le istruzioni di base. Quando la gamba destra è distesa, la mano destra afferra le dita del piede destro e la mano sinistra afferra il lato interno del piede destro mentre la faccia si gira verso sinistra. Si trattiene il respiro sentendo la "pressione interna" nella parte destra della testa. Si cerca poi la stessa percezione nella posizione simmetrica. Quando entrambe le gambe sono distese, si tenta di sentire la pressione nella parte frontale della testa. Anche questa tecnica può essere praticata molto più lentamente senza trattenere il respiro. Può sembrare strano, ma sono convinto che sia più proficuo limitare la pratica quotidiana del proprio Kriya solo ai piegamenti descritti e al Maha Mudra, rimanendo poi seduti in pace a cercare la sintonia con la dimensione Omkar, che fare una pratica isolata del Pranayama. Non so se questi piegamenti provengano da Lahiri Mahasaya, ma è certo che alcuni dei Suoi maggiori discepoli li insegnarono. Pranayama [ Scuola A] [a] Om Japa. La spina dorsale è paragonata ad un pozzo. La consapevolezza (come una secchia si muove nel pozzo) sale e scende e in ciascun Chakra la sillaba Om viene pensata da una a tre volte, cercando di sentire nella sede del Chakra una sensazione di oscillazione. Dopo essere saliti dal Muladhar al Vishuddha, qualcosa di particolare avviene. Il kriyaban percepisce una linea ideale che collega le due tempie e un’altra che viene indietro dal Kutastha alla regione occipitale. Oscillando la testa lateralmente (molto dolcemente di pochi millimetri!) e poi avanti e indietro riesce a sentire con facilità il punto d’intersezione tra le due linee. Tale punto è la sede di Ajna Chakra ed è il luogo migliore per concentrarsi (cantando Om molto molto dolcemente) onde percepire e incrementare il sottile aspetto di movimento di Omkar. Poi, similmente, la consapevolezza scende cantando Om in Vishuddha…giù fino al Muladhar. È importante percepire la sensazione di oscillazione, almeno per un istante, in ciascun Chakra. La procedura è ripetuta da tre a sei volte. [b] Pranayama vero e proprio. Si gioiscono e si intensificano le stesse percezioni con l'aiuto del respiro. Mentre parte della consapevolezza non si sposta da Ajna Chakra, la respirazione è molto profonda e lenta - di solito senza suono nella gola. La visualizzazione che viene suggerita è strana ma rende l'idea: si visualizza un pendolo che si estende da Ajna al Muladhar e come uno si sposta in su (e in 112 giù) la lunghezza del pendolo cambia di conseguenza. Il senso di tutto ciò è che l'oscillazione percepita in ciascun Chakra prende le mosse da Ajna che è il perno e l'origine di tutto. Salendo e scendendo in questo modo lungo la spina dorsale, il respiro diviene sempre più sottile, impercettibile. La pratica converge vero una piena rivelazione della Realtà Omkar. Navi Kriya [Scuola A] La consapevolezza del kriyaban sale lungo la spina dorsale ponendo mentalmente la sillaba Om (ooong) nei sei Chakra. Il mento è avvicinato alla cavità della gola. Una breve inspirazione è seguita da un lunga espirazione, durante la quale si sente che l’energia scende, lungo un sentiero che si trova fuori dal corpo, dalla parte frontale del cervello verso l’ombelico e, attraversandolo orizzontalmente, si muove verso l’interno della regione addominale. 29 Durante questa espirazione, Om è cantato mentalmente, rapidamente, da 10 a 15 volte, accompagnando la discesa dell’energia lungo il percorso, come applicando tante "piccole spinte". La testa ritorna nella sua posizione normale ed è seguita da una breve inspirazione (due secondi al massimo senza concentrarsi su alcun Chakra) che solleva l’energia in testa. La testa si piega sulla spalla sinistra, senza girare la faccia. Una lunga espirazione (assieme al canto di Om, Om, Om…) accompagna il movimento verso il basso dell’energia che parte dalla parte sinistra del cervello e si muove lungo la parte sinistra del corpo (passando oltre oppure attraversando spalla e braccio) fino alla cintura dove si piega e si muove orizzontalmente verso l’interno della regione addominale. La testa ritorna nella sua posizione normale; ancora c'è una breve inspirazione (due secondi al massimo senza concentrarsi su alcun Chakra) per sollevare l’energia in testa. La testa ora si piega indietro. Una lunga espirazione (assieme al canto di Om, Om, Om…) accompagna il movimento verso il basso dell’energia che parte dalla zona occipitale e si muove (esternamente al corpo) giù verso la cintura dove si piega, passa attraverso il terzo Chakra Manipura e si muove verso l’interno della regione addominale. 29 È quella parte del corpo dove la Alchimia Interiore colloca il Dan Tien. Per circoscrivere la sua posizione ci si deve concentrare sull'ombelico, venire approssimativamente quattro centimetri indietro verso la spina dorsale e poi sotto per la stessa estensione: può essere visualizzato come una sfera di circa otto centimetri di diametro. 113 La procedura è ripetuta allo stesso modo a destra, poi avanti, poi a sinistra, ecc. La seduta base di questa particolare forma di Navi Kriya è costituita da 36 discese (quindi 36/4 = 9 rotazioni della testa). Essa si chiude con Om Japa dall'Ajna Chakra al Muladhar. (Il tutto dura da 8 a 10 minuti e sostituisce le 4 ripetizioni della forma base del Navi Kriya.) È del tutto normale che, procedendo con le rotazioni, i movimenti della testa siano meno marcati. Si possono anche avere risultati incoraggianti arrivando gradualmente l'immobilità e completando il numero prescritto da un puro e semplice processo mentale. Secondo Kriya [ Scuola A] Si inspira come nell'Omkar Pranayama (vedi capitolo II/2) cercando di percepire nella sede di ciascun Chakra una sensazione di oscillazione. Poi il respiro è trattenuto. Il mento si piega in avanti, abbassandosi verso la cavità della gola: una certa pressione interiore è sentita nella parte frontale del Chakra del cuore. Poi la testa ritorna nella sua posizione normale. La testa si piega leggermente verso la spalla sinistra, senza volgere la faccia: una certa pressione interiore è sentita nella parte sinistra del Chakra del cuore. Poi la testa ritorna nella sua posizione normale. La testa si piega indietro: la stessa pressione è sentita nella parte dietro del Chakra del cuore. Poi la testa ritorna nella sua posizione normale. La testa si piega leggermente verso la spalla destra, senza volgere la faccia: la pressione è percepita nella parte destra del Chakra del cuore. Poi la testa ritorna nella sua posizione normale. Il mento si piega in avanti, abbassandosi verso la cavità della gola... la pressione è percepita nella parte frontale del Chakra del cuore. Poi la testa ritorna nella sua posizione normale. Poi la espirazione come nell'Omkar Pranayama guida la consapevolezza attraverso i Chakra nel Muladhar. Il tempo impiegato dipende dalla persona; di solito è di 20-25 secondi, ma può essere maggiore. La procedura è ripetuta per lo meno 12 volte. Durante questa tecnica quando la testa è in una posizione inclinata (può essere sia in avanti, che a sinistra, dietro o a destra) si crea un'apertura per la luce divina che possa fluire in giù da sopra la testa (sede della divina Tranquillità) nel corpo intero. In questo tradizione si spiega che il movimento della testa è come il movimento del coperchio di una pentola che muovendosi permette alla pentola di essere riempita di un flusso di energia. 114 Terzo Kriya [ Scuola A] Il lettore ricorderà come, nel capitolo precedente, descrivendo la forma base del Thokar, siamo passati dalla tecnica del Secondo Kriya a quella del Terzo, introducendo la variante di ripetere i movimenti della testa durante un unico respiro. La stessa cosa avviene qui. Valgono le stesse considerazioni sul fatto di trattenere il respiro. Un kriyaban inspira come nell'Omkar Pranayama cercando di percepire nella sede di ciascun Chakra una sensazione di oscillazione. Poi il respiro è trattenuto. I movimenti della testa sono quelli descritti nella tecnica precedente, solo che sono un po' più rapidi e non ci si ferma dopo il primo giro, ma si prosegue. Durante ciascun piegamento della testa si sente una pressione sul Chakra del cuore, davanti a questo, proveniente dalla sinistra, da dietro... Ci sono differenti rotazioni della testa: 6 rotazioni è un buon numero per incominciare. Poi la espirazione come nell'Omkar Pranayama guida la consapevolezza attraverso i Chakra nel Muladhar. Si può incrementare di sei ripetizioni a settimana. In limite di 200 rotazioni non viene superato anche se il respiro sembra scomparire e una persona ha la sensazione di poter continuare indefinitamente con le rotazioni. 30 Avviene qualcosa di stupefacente che estasia il kriyaban: una gioia mai provata prima e un grande senso di libertà. A un certo punto uno si trova in uno stato di estasi e sente che quello è il momento giusto per cessare i movimenti e passare alla pratica successiva. Quarto Kriya [ Scuola A] Un kriyaban percepisce una particolare sensazione di immobilità fisica; è così forte che la spina dorsale sembra come una barra di acciaio che si estende dal Muladhar alla Fontanella mentre la corona della testa è illuminata di una luce crepuscolare. In questa situazione un kriyaban si concentra solo sulla luce. Questo è il perfetto Dhyana. Non serve altro. Se la luce non si rivela spontaneamente, lo stato meditativo si ottiene per mezzo della procedura seguente. Il kriyaban dimentica completamente il respiro. L'attenzione è posta su ciascun Chakra, cercando di percepire una sensazione di oscillazione. La percezione della luce interiore e l'ascolto dei suoni interiori è favorito da alcune ripetizioni mentali di ciascuna delle sillabe 30 Siccome le vertebre cervicali sono qualcosa di molto delicato, siccome non si può stressarle imprudentemente, i movimenti della testa sono solo accennati ma i colpetti interiori sul quarto Chakra sono sempre distintamente percepiti. 115 del Mantra di dodici lettere. 31 Ci si ferma su ciascun Chakra per uno, due minuti. Si ripete Om, Om, Om, Om ...(tante volte) nel primo Chakra; Na, Na, Na, Na ... nel secondo…Mo, Mo, Mo, Mo… nel terzo etc. Il ritmo è di circa una o due sillabe al secondo. Il "ritmo" specifico di ciascun Chakra si manifesta e uno non canta più – si muova da Japa ad Ajapa. La procedura è ripetuta per almeno tre giri completi (un giro è la concentrazione sulle dodici stazioni). Un ulteriore raffinamento della percezione del ritmo dei Chakra è di scoprire le stesse vibrazioni simultaneamente nei Chakra e nella corona della testa. Spieghiamo come si collegano i Chakra con la corona della testa. L'ellisse della corona, visto dall'alto, può essere idealmente diviso in 12 parti. Incominciando sopra il Bindu e muovendosi in senso antiorario lungo la corona, le prime sei parti sono sul lato destro della testa, le rimanenti sei parti sono sul lato sinistro da sopra la fronte al punto di inizio sopra Bindu. Un kriyaban si concentra sul Chakra Muladhar. Grazie a un atto mentale o a una breve inspirazione, questo Chakra è sollevato idealmente nella prima di queste dodici parti. La concentrazione è posta simultaneamente sulla sede fisica del Muladhara e in quella particolare parte della corona della testa. Una sensazione di oscillazione interiore, accompagnata dalla ripetizione mentale di Om Om Om Om ..., è percepita in entrambi i luoghi. Poi la concentrazione si sposta sul secondo Chakra. Analogamente esso è sollevato nella seconda parte della corona della testa. Un kriyaban percepisce una sensazione di oscillazione interiore in entrambi i posti, cantando mentalmente Na Na Na Na ... La stessa procedura è ripetuta per gli altri Chakra (3, 4, 5, Ajna, di nuovo Ajna, 5, 4, 3, 2 e 1) ciascuno posto in relazione con una diversa parte della corona della testa. 31 Alcuni chiudano gli orecchi con i pollici premendo il "trago" (piccola sporgenza cartilaginosa situata davanti al meato uditivo esterno) e appoggiano i gomiti su un sostegno. Tale metodo è descritto chiaramente nella Hatha Yoga Pradipika 4:68 «Sedendo con lo Shambhavi Mudra, uno dovrebbe chiudere gli orecchi, occhi, le narici e la bocca. Poi, ascoltando il suono interno, - entro l’orecchio destro - dovrebbe esplorare il passaggio cristallino del Sushumna che è stato pulito di tutte le sue impurità» 116 SEZIONE B Maha Mudra & Navi Kriya [vedi capitolo II/1] Pranayama [ Scuola B] Dopo aver praticato alcune rotazioni della forma base del Pranayama - con o senza il canto del Mantra nei Chakra - la procedura è intensificata. Al termine della inspirazione, trattenendo il respiro, viene fatta una forte azione di spinta per attrarre l'energia dalla regione addominale e immetterla nel Kutastha. Vediamo di descrivere come questo avviene. Mentre si trattiene il respiro, la consapevolezza "ruota" a sinistra, scende un po' ed entra nel Midollo allungato, le sopracciglia sono sollevate, uno è consapevole di una luce interiore entro e sopra tale Midollo allungato. A questo punto si pratica il Mula Bandha che dà una forte spinta all’energia presente nel corpo che è guidata nel Kutastha. Una particolare sensazione, come un brivido estatico segue. La tensione è poi liberata, la espirazione comincia e l'energia scende al Muladhar. Respiro dopo respiro, il potere creato nel Kutastha esploderà nella grande luce dorata dell'occhio spirituale. Il Kechari Mudra – se uno riesce a praticarlo - aiuta il processo: la lingua è spinta in avanti e verso l'alto durante la spinta del Mula Bandha. Secondo Kriya [ Scuola B] [a] Prima parte col respiro lungo L'inspirazione avviene come nell'Omkar Pranayama ma il processo è intensificato dall'aiuto del movimento della testa che avviene nel modo seguente: Cominciando col mento sul torace, un kriyaban inspira e simultaneamente solleva la sua consapevolezza lungo la colonna spinale; il mento si solleva lentamente come per seguire millimetro dopo millimetro il movimento interno della consapevolezza. Il movimento è caricato della massima possibile intensità mentale: come spremere con un'unghia un tubetto quasi vuoto di dentifricio per fargli uscire tutto quello che rimane. Si toccano i Chakra con le sillabe (Om è posto mentalmente nel primo Chakra, Na nel secondo, Mo nel terzo, Bha nel quarto, Ga nel quinto e Ba nel Bindu). Durante l'inspirazione, i muscoli alla base della colonna spinale rimangono contratti e le mani (con dita intrecciate) sono poste sopra l'area dell'ombelico come per spingere la regione addominale verso l'alto, creando così una pressione mentale sui primi tre Chakra. Il respiro produce solamente un lieve, 117 debole suono nella gola o avviene senza suono. Quando il mento è su, orizzontale, l'inspirazione finisce e la percezione è ora al Bindu. Il respiro è trattenuto, la contrazione dei muscoli è mantenuta. Senza girare la faccia, la testa si muove verso la spalla sinistra, poi ritorna alla posizione iniziale sollevando in contemporanea il mento tanto quanto possibile; ne consegue una contrazione dei muscoli dietro il collo. (È come la normale rotazione della testa in Omkar Pranayama ma solo metà e con l'aggiunta del movimento verso l'alto del mento. La posizione finale è quella della seconda parte del Navi Kriya, con la testa indietro.) Durante questo movimento, l'energia in Bindu discende a sinistra, curvando ed entrando nel Midollo allungato. Il kriyaban pratica allora intensivamente il Mula Bandha iniettando la sua coscienza come una freccia nel Kutastha insieme alla sillaba Teeee. (È lo stesso processo, intensificato, che abbiamo incontrato nella forma particolare di Pranayama insegnato da questa scuola.) Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge a destra e poi a sinistra (in questo caso l'orecchio non si avvicina alla spalla: semplicemente uno gira la testa); durante questo movimento il quinto Chakra cervicale è percepito e la sillaba Va è vibrata mentalmente in esso. Dalla posizione a sinistra, il mento colpisce poi il centro del torace (la testa si trova ora nella stessa posizione di tutte le altre forme di Thokar) e la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore. I muscoli alla base della colonna spinale sono rilassati ed, espirando, le sillabe rimanenti De, Va e Ya sono poste rispettivamente nel terzo, secondo e primo Chakra. Il kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 6-12 volte. (Come sempre col Thokar, dovrebbe essere sottolineato che in presenza di problemi fisici, è importante eseguire con attenzione solo movimenti delicati.) [b] Seconda parte: col respiro calmo. La pratica si approfondisce dimenticando il respiro e rallentando l'intero processo: il risultato è di gran lunga, più potente. Cominciando col mento sul petto, un kriyaban muove la sua consapevolezza molto, molto lentamente lungo la colonna spinale verso l'alto, sollevando simultaneamente il mento come se accompagnasse e spingesse allo stesso tempo l'energia in su. L'energia è visualizzata come una sostanza nel sottile canale sottile del Sushumna, idealmente spremuta verso l'alto (molto molto lentamente) per mezzo di questo movimento del mento. Si ha la sensazione di viaggiare entro la spina dorsale e proprio di toccare direttamente ciascun Chakra. Il sollevamento dell'energia in testa non deve durare meno di 30 secondi! Il Kechari Mudra dovrebbe essere adottato per ottenere la massima intensità mentale. Come al solito, i Chakra sono toccati dalle sillabe del Mantra. Quando il mento è su, la percezione è al Bindu. I movimenti seguenti sono come quelli descritti prima, solo un poco più lenti, 118 ma tutto avviene nello stato di Kevala Kumbhaka, vale a dire con il respiro completamente immobile (respirare ora vorrebbe dire distruggere la bellezza del processo). Quello che è importante è non avere fretta, essere totalmente rilassati e lasciare che l'esperienza si intensifichi naturalmente. Nel momento in cui la testa si muove verso il petto e Su è vibrata nel Chakra del cuore, come descritto sopra, là si fa una pausa: il respiro non si muove nelle narici e la mente è rapita nella radiazione di energia sentita nel Chakra del cuore. Il mento sale un poco e il respiro è di nuovo libero ma ignorato. Abbassando molto, molto lentamente il mento, la consapevolezza tocca profondamente il terzo Chakra, dove si pone De, il secondo dove si pone Va e finalmente il Muladhar dove si pone Ya. Una micro pausa è fatta in ciascuno di questi Chakra. Sottolineiamo di nuovo quanto è importante non avere fretta, essere rilassati e lasciare che l'esperienza si intensifichi. Per alcune settimane, il kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 12 volte, poi è guidato ad aumentare gradualmente le ripetizioni per un totale (prima parte+seconda parte) di 200 volte. Terzo Kriya [ Scuola B] Si comincia col praticare l'appena spiegato Secondo Kriya. Non appena l'energia è in testa, trattenendo il respiro, si può scegliere tra due opzioni: la prima è di ripetere i movimenti spiegati sopra, ma solo accennati lievemente, per dodici volte e poi espirare, la seconda è di ruotare la testa in senso antiorario dodici volte (il tempo è normalmente meno di tre secondi per rotazione), mentre allo stesso tempo anche la consapevolezza ruota in senso antiorario lungo la corona della testa, e poi porre Teeee nel Kutastha, Va nel centro cervicale e Su nel centro del cuore con gli stessi movimenti del Secondo Kriya. La tecnica di questo Terzo Kriya si conclude sempre con una calma e lunga espirazione mentre la consapevolezza scende nei Chakra inferiori, cantando De, Va, Ya... Un kriyaban è guidato ad aumentare gradualmente il numero delle rotazioni della testa: ogni settimana può aggiungere sei ripetizioni in più... (per la discussione sul trattenere il respiro, si veda la descrizione della procedura di base del Terzo Kriya nel capitolo II/2.) Come sempre, solamente uno Terzo Kriya è praticato. Quarto Kriya [ Scuola B] [a] Prima parte: Thokar su tutti i Chakra Questo Quarto Kriya è una variante del Secondo. La differenza principale è che il movimento finale della testa è ripetuto e lo stimolo del Thokar è diretto anche sui Chakra lombare, sacrale and coccige. 119 Dopo che la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore, trattenendo il respiro, un altro simile movimento diagonale del mento sul petto è ripetuto e l'energia è diretta mentalmente verso il terzo Chakra, dove la sillaba De è vibrata; un altro simile movimento dirige l'energia verso il secondo Chakra dove la sillaba Va è vibrata; finalmente con un ultimo colpo l'energia è diretta verso il primo Chakra dove la sillaba Ya è vibrata.32 Figura 6. Thokar esteso ai Chakra sottostanti [b] Seconda parte: sollevamento dell'energia Ora segue una forte esperienza di sollevamento del Prana nella spina dorsale fino a raggiungere il Kutastha. Un kriyaban deve percepire il modo corretto di favorirla scegliendo tra l'usare e il non usare il respiro. 32 Alcuni insegnanti di Kriya insegnano a questo punto a sollevare il corpo solo di alcuni millimetri con l'aiuto delle mani e po far sì che le natiche tocchino con un lieve sussulto il pavimento. Questa azione è detta Maha Veda Mudra: Veda significa perforazione, ovviamente del nodo del Muladhar. Se la tecnica è praticata correttamente, ne consegue un brivido estatico. 120 Nel primo caso, un'espirazione molto lunga accompagna il movimento dell'energia la quale, come un liquido luminoso, sale su per la spina dorsale – un punto chiave è quello di accompagnarla entro il Kutastha percependo il suo fluire attraverso esso fuori dal corpo. (In entrami i casi, il mento si solleva come a seguire il sollevarsi del Prana). Nel secondo caso, (il respiro è lasciato fluire liberamente) il sollevarsi dell'energia avviene più lentamente. Un kriyaban concentra per alcuni istanti la sua attenzione a percepire il potere che si diffonde dal Muladhar Chakra nella spina dorsale e nell'intero corpo. Poi si sente che l'energia si solleva lungo la spina dorsale. Talvolta è percepita come onde di una marea che si muovono sempre più in su, raggiungendo un Chakra, poi di nuovo tornando indietro e muovendosi dalla base della spina dorsale ad un centro più in alto... Alla fine la concentrazione è nel pieno splendore del Kutastha. La procedura può essere ripetuta per sei-dodici volte. Talvolta una ripetizione è più che sufficiente. Solo un esperto Acharya può guidare un kriyaban ad aumentare le ripetizioni di questo Kriya. I suoi effetti sono molto difficili da essere assimilati! La cosa migliore è di aggiungere a questa procedura il Gayatri Kriya, ovvero la forma base del Quarto Kriya come esposta nel capitolo precedente. SEZIONE [C] Ci sono numerosi kriyabans che, con motivazioni diverse, affermano che le seguenti procedure non provengono da Lahiri Mahasaya. Osservano che l'unica frase che può essere attribuita ragionevolmente a lui è: «Per rendere questo corpo Trivangamurari "che abbia tre curve", si devono attraversare tre centri, il Muladhar, l'Anahat e il centro di Vishnu alla radice della lingua.» Evidentemente questo non basta per giustificare l'esistenza di una serie di tecniche che si basano sul percepire nel proprio corpo quella forma particolare. Mi è stato detto che alcuni kriyaban ricevettero l'iniziazione da questa scuola ma presto trascurarono le tecniche del Trivangamurari prestando attenzione a quelli che affermavano che quelle tecniche portano la consapevolezza e l'energia fuori dal Sushumna. La verità è che queste tecniche possono regalare una esperienza ineffabile. Esse sono impossibili da essere afferrate intellettualmente, come lo è l'esperienza Omkar. Per quanto mi riguarda, sono senza parole nel considerare la bellezza ed il potere di esse. Per questa ragione (ed anche perché erano e sono praticati da grandi anime) le condivido col lettore. Nulla di positivo o di utile venne da quegli insegnanti che tentarono di dare al movimento Trivangamurari una personificazione. Effettivamente, alcuni affermarono che esso apparve loro nella particolare forma di Krishna o di Shiva. 121 Cercarono di far credere che solamente avendo questa visione raggiunsero la padronanza di queste tecniche. Senza disputare con loro, possiamo pensare che sia corretto dire che la forma del principe Krishna, come dipinta nell'iconografia, ci ricorda la forma Trivangamurari; collo, gambe e schiena di Krishna sono tenute in una posizione particolare che chiaramente delinea queste tre curve, forse implica il taglio dei tre nodi - ma questo è tutto, non c'è altro. Maha Mudra & Navi Kriya [vedi capitolo II/1] Pranayama [ Scuola C] Si pratica un minimo di 36 respiri Pranayama nella forma base. 33 Poi, proseguendo il Pranayama, mentre il percorso della inspirazione rimane lo stesso, durante la espirazione la consapevolezza scende in modo del tutto particolare. Figura 7. Movimento Trivangamurari Il flusso di corrente scende dal Bindu nel Midollo allungato muovendosi leggermente sinistra, entra nel Midollo allungato, lo attraversa e curva verso il basso, in modo di raggiungendo il quarto Chakra, attraversarlo, curvare verso il basso e arrivare quindi al Muladhar provenendo da sinistra. Inspirazione ed espirazione proseguono in questo modo. All'inizio questa percezione non avviene esattamente come è mostrato in figura: l'intera percezione non si discosta così tanto dall'asse centrale. Ad un certo punto l’intuizione guida il kriyaban a dimenticare completamente il respiro. Egli solleva la sua consapevolezza lungo la spina dorsale più lentamente che non col respiro fino a toccare il Bindu: mezzo minuto è il tempo ideale della salita; lo stesso è richiesto per la discesa. Una pausa di circa 33 Alcune scuole affermano che il minimo numero di Pranayama di base dovrebbe essere 200. 122 un secondo avviene nel Chakra Muladhar. Un giro richiede dunque un minuto, ma se ci si accorge che avviene in minore tempo, diciamo 45/50 secondi, ciò non significa che la procedura è stata fatta in modo errato. Non appena la concentrazione aderisce totalmente a questo movimento, il sentiero è percepito simile a quello mostrato nella Figura 7. È difficile aggiungere ulteriori dettagli a questa spiegazione. Si deve sottolineare che il sentiero energetico non è l'effetto del potere di immaginazione, è una realtà che esiste per conto proprio. I quattro nuovi centri (uno a destra, tre a sinistra) lungo il flusso discendente non devono essere considerati come nuovi Chakra; essi sono soltanto dei piccoli "vortici" di corrente all’interno della corrente principale. Sebbene chi pratica non dovrebbe preoccuparsi di percepire con precisione estrema la loro sede, diciamo, in linea di massima, che quello sul lato destro va visualizzato nella schiena 2/3 centimetri più in su dell’altezza del capezzolo destro, mentre il successivo, sul lato sinistro del corpo, è situato nella schiena 2/3 centimetri più in basso del capezzolo sinistro. Aggiungiamo anche che il flusso Trivangamurari avviene su un piano ideale che contiene la spina dorsale (ovvero non viene in avanti). Il segreto di questa tecnica sta nell’abilità di concentrazione, nell’immobilità e nella capacità di reggere al potere originato dalla procedura. Per due settimane il kriyaban è istruito a ripetere questa tecnica 25 volte. Per altre due a ripeterla 50 volte e così via fino a 200 volte. Completato questo numero, potrà passare alla tecnica del Secondo Kriya. Mentre la tecnica descritta è detta Amantrak (senza Mantra), il Secondo Kriya seguente è detto Samantrak (con Mantra) Secondo Kriya [ Scuola C] Il respiro è calmo e non viene preso in considerazione. La percezione del movimento Trivangamurari è intensificata dal Mantra di dodici sillabe. Mentre la corrente sale, le sillabe Om, Na, Mo, Bha e Ga sono fatte vibrare nei primi cinque Chakra, e la sillaba Ba in Bindu. Poi la corrente scende a sinistra curvando finché raggiunge il Midollo allungato: qui la settima sillaba Teeee è fatta vibrare. A questo punto il flusso interno si muove verso il lato destro del corpo raggiungendo il centro dove è fatta vibrare l’ottava sillaba Va. Poi il flusso interno curva e taglia trasversalmente la regione del Chakra del cuore e raggiunge il punto dove è fatta vibrare la nona sillaba Su. Poi è la volta delle sillaba De, Va e Ya che intensificano la percezione degli ultimi due vortici del flusso interiore della corrente e del Muladhar. Ogni sillaba è un moderato Thokar (colpetto) diretto verso la sede di ciascun centro. 123 Siccome la tecnica è eseguita lentamente (mezzo minuto per sollevare la consapevolezza, lo stesso per scendere) c'è tutto il tempo che serve per far sì che questa percezione sia molto accurata. Figura 8. Forma particolare del Secondo Kriya Per due settimane il kriyaban è istruito a ripetere questa tecnica 25 volte. Per altre due a ripeterla 50 volte e così via fino a 200 volte. Dopo di che potrà utilizzare regolarmente questa tecnica nella sua routine, al posto del Pranayama mentale, (con dosi moderate: 24 – 36) oppure passare alla pratica del Terzo Kriya. Terzo Kriya [ Scuola C] Col mento sul petto, il kriyaban solleva molto lentamente la consapevolezza lungo la spina dorsale; il mento si solleva lentamente seguendo il movimento interiore; come sempre i Chakra vengono toccati con le sillabe del Mantra. Anche qui il respiro è libero. Quando il mento è parallelo al suolo, la percezione ha raggiunto il Bindu. I movimenti della testa sono simili a quelli cui ci siamo abituati con la pratica del Thokar discusso nella sezione [B], ma sono molto più lenti. Senza volgere la faccia, la testa si muove molto lentamente verso sinistra, poi ritorna nella posizione di partenza, sollevando il mento il più possibile con leggera contrazione del muscoli della nuca. Durante questo movimento, il flusso Trivangamurari scende dal centro Bindu verso sinistra, curva ed entra nel Midollo allungato dove la settima sillaba Teeee è fatta vibrare. Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge lentamente a destra, il mento si abbassa naturalmente finché raggiunge la posizione parallela alla spalla destra, sopra di essa. Durante questo movimento della testa, il flusso interiore Trivangamurari 124 procede lentamente come un ruscello e raggiunge l’ottavo centro. 34 A questo punto il mento, parallelo al terreno e sopra la spalla destra, la tocca per un istante (questo è il primo di cinque colpi) ed è allora che la sillaba Va è fatta vibrare mentalmente nell’ottavo centro. (La spalla pure fa un piccolo movimento verso il mento per rendere il contatto più facile). Figura 9. Variante del Thokar Subito dopo, la faccia, con un movimento molto lento si volge verso sinistra, accompagnando millimetro dopo millimetro la percezione del flusso interno che attraversa il quarto Chakra. Il secondo colpo avviene in modo simile sul lato sinistro, allorché la sillaba Su è cantata nel nono centro. Rimanendo poi a contatto o quasi con la spalla sinistra, il mento, molto lentamente, sfiorando la parte sinistra della clavicola, si muove verso la posizione iniziale ciò verso il centro del petto. Ma durante tale movimento proprio quando le sillabe De e Va sono pensate nel decimo e undicesimo centro - due colpetti sono assestati sulla clavicola in posizioni intermedie. Quando infine la sillaba Ya è posta nel Muladhar l’ultimo colpo del mento sul 34 Quindi non c’è alcun dubbio sulla velocità del movimento della testa: il flusso Trivangamurari procede come nel precedente Secondo Kriya e la testa non fa altro che andargli dietro accompagnandolo. 125 petto, in posizione centrale, è assestato. Qui c’è una pausa di circa un secondo. Gli insegnanti di Kriya affermano che un giro dovrebbe durare idealmente un minuto, ma in pratica si vede che dura un po’ di meno: circa 40/50 secondi. Questa procedura è ripetuta 12-36 volte. La supervisione di un esperto aiuta ad evitare problemi - intendo problemi fisici di sforzo eccessivo e di dolore nelle vertebre cervicali e nei muscoli del collo. Movimenti bruschi dovrebbero essere evitati; è possibile usare al loro posto una grande intensità mentale di concentrazione nel momento in cui ciascuna delle ultime cinque sillabe è pensata. Durante le prime settimane conviene praticare non ogni giorno ma ogni due o tre giorni. Quarto Kriya [ Scuola C] Il kriyaban diviene consapevole del Muladhar Chakra - che è visualizzato come un piccolo disco orizzontale delle dimensioni di una piccola moneta, due o tre centimetri di diametro.35 Il respiro è molto calmo e lasciato fluire liberamente. Con l'aiuto del sopra citato Mantra di 12 sillabe, che è pensato nella sua totalità entro il Chakra stesso, il movimento Trivangamurari in dimensioni ridotte (micro) – la forma è la stessa già sperimentata in più grandi dimensioni - è percepito sulla superficie di questa moneta ideale. (Figura 10) Figura 10. Trivangamurari micro-movimento entro un Chakra L'intero Mantra col suo associato micro movimento è ripetuto tre volte. La stessa procedura avviene in ciascuno dei dodici centri (i Chakra + il Midollo allungato + i quattro centri esternamente alla spina dorsale + il Muladhar). Questo è un Quarto Kriya. Di solito se ne praticano dodici.36 La durata è 35 Tutti i centri sono visualizzati come dei dischi orizzontali: di solito viene spontaneo visualizzarli come se li si stesse guardando dall’alto. Col tempo e con l’esperienza, questa visualizzazione diventa un fatto personale, anche perché allora la nozione di dimensione, di alto e basso viene perduta. 36 Anche una piccola quantità come 3- 4 rotazioni (fatte con grande rilassamento e 126 determinata dalla velocità con cui si canta il Mantra. Per molte persone ciascun canto del Mantra e di conseguenza ciascun micro-movimento dura circa 10-12 secondi. Lahiri Mahasaya raccomandava: «Non abbiate fretta!». Il Micro-movimento è la rivelazione della realtà Omkar entro ciascun Chakra. La tecnica che stiamo per descrivere incarna nel modo più sano il processo di Muladhara Granti Veda; gli insegnanti che portano avanti questa versione del Quarto Kriya sostengono che altre azioni che gli yogi compiono con lo scopo di sciogliere il nodo del Muladhar, producono soltanto una sua chiusura ancora più ermetica che viene avvertita come uno stato molto fastidioso di nervosismo. Scopriremo come questa rivelazione di Om, dopo aver viaggiato attraverso tutto il corpo, raggiunge il nodo del Muladhara e apre la porta di Sushumna. In tutte le scuole di Kriya, il Quarto Kriya è considerato praticabile solo se il Terzo Kriya è stato padroneggiato, almeno fino ad un certo livello.37 Questo vale in particolare modo nella scuola che abbiamo indicato con la lettera [C]. In queste condizioni, in qualsivoglia Chakra un kriyaban si concentri (o in uno dei centri sopra introdotti fuori della spina dorsale) se con calma egli pronuncia mentalmente le sillabe "Om-Na-Mo-Bha-Ga-Ba-Te-Va-Su-De-Va-Ya", percepirà qualcosa che si muove, oscillando entro il Chakra. Dopo una lunga pratica del Secondo e del Terzo Kriya, il Mantra di 12 lettere e il movimento Trivangamurari divengono strettamente connessi: il segreto su cui si basa la procedura è principalmente questo. Nota È bene allenarsi a percepire il micro-movimento senza l'aiuto del Mantra. La seguente procedura è adatta allo scopo. (Questo processo è perfettamente simile a quello descritto nella forma base del Quarto Kriya – vedi capitolo II/2). Il kriyaban solleva il Muladhar Chakra nel Kutastha per mezzo di una breve inspirazione. Quando la presenza dell'energia è chiaramente sentita nel punto tra le sopracciglia, un kriyaban "guarda in basso" il disco del Chakra e vi disegna (come con una penna laser) la forma del micro-movimento per mezzo di una debole oscillazione della colonna vertebrale (non più grande del risultante micro-movimento) avanti, lateralmente, indietro. Ciò è ripetuto tre volte in ciascuno dei 12 centri. Dopo uno o due giri completi, sono introdotte le sillabe, quali "piccole spinte o pulsazioni", la qual cosa fornisce un notevole stimolo e una più dettagliata percezione di tale fenomeno, mentre il corpo ritrova la sua immobilità. abbandono) producono una grande gioia e una quasi irresistibile beatitudine. 37 Non diciamo "padroneggiato perfettamente" in quanto questo vorrebbe dire aver ottenuto la realizzazione del Sè, nel qual caso il Quarto Kriya si renderebbe superfluo. In seguito, dopo aver spiegato il concetto di routine verticale, avremo l'opportunità di spiegare quale è il lavoro minimo che si dovrebbe completare col Terzo Kriya prima di imbarcarsi nella pratica del Quarto. 127 TERZA PARTE: RIFLESSIONI CAPITOLO III/1… KRIYA YOGA: REALTÀ E ILLUSIONI Il sentiero Kriya è molto delicato: deve essere protetto con la massima cura dalle tendenze distruttive della nostra mente. Provando a condividere o discutere il Kriya con altri ricercatori, notai che solo alcuni erano capaci di ascoltarmi: molti volevano portare avanti i loro sogni e cercavano un aiuto da parte mia soltanto per stabilirsi in modo ancora più pervicace nelle loro illusioni. Provo a discutere adesso alcune tra le più comuni illusioni. Anche se il quadro che emerge non è affatto confortante, credo sia fondamentale fermarsi su di esso. Le altre persone sono uno specchio di noi stessi, di quello che eravamo o di quello che siamo; in essi possiamo scorgere più facilmente le piccole manie che portiamo dentro. C'è da stupirsi nell'osservare quanto siamo complicati! Alcuni atteggiamenti erronei nei confronti del Kriya Prima parte: atteggiamenti che tengono una persona alla periferia del Kriya [a]… Eccessivo amore dei libri a carattere esoterico e spirituale [b]…Tendenza a non fidarsi pienamente dell'azione del Kriya (o non abbandonarsi ad essa) [c]… Considerare il Kriya come qualcosa da utilizzare per ottenere la guarigione da disturbi psicologici [d]… Conflitto con la religione di partenza Seconda parte: atteggiamenti che deviano un ricercatore, pur avendo egli già intrapreso la strada del Kriya nel modo corretto e già incominciato a percepirne la bellezza intrinseca [e]… Ricerca New Age di un benessere "olistico" [f]… Tendenza a divinizzare alcune persone Terza parte: atteggiamenti che chiudono il cuore del kriyaban e soffocano la sua aspirazione iniziale [g]… Orgoglio di seguire il migliore tra tutti i sentieri spirituali 128 Prima parte: atteggiamenti che tengono una persona alla periferia del Kriya [a]… Eccessivo amore dei libri a carattere esoterico e spirituale A molti piace coltivare la pura conoscenza esoterica. Potrebbero conoscere alcuni metodi di introspezione spirituale ma, per quanto riguarda la concreta applicazione delle tecniche, portano avanti solo una frettolosa sperimentazione. Di solito danno un grande enfasi ai principi morali. Su questo non c’è nulla da obiettare: cerco solo di scoprire una ragione plausibile che spieghi come mai una ricchezza senza fine attende di manifestarsi dietro lo schermo delle loro rivoluzioni mentali, tuttavia essi non fanno il minimo passo per afferrarla o permettere che la sua radiosità pulisca la cantina polverosa dove preferiscono vivere. Trascorrono tutto il loro tempo a leggere libri spirituali ed in infinite discussioni con qualche amico dai simili interessi. Ci sono buoni libri dai quali potrebbero trarre benefici, ma sembra che essi preferiscano tenerli ad una certa distanza; affermano di averli già letti tutti, ma è una bugia. I libri che loro raccomandano caldamente ci colpiscono per la quantità di informazioni che essi contengono. Leggendoli, entriamo in un stato quasi ipnotico e, forse, non comprendiamo immediatamente che ogni catena di idee non ha alcun sostegno, è il parto dell'immaginazione sfrenata dell'autore. Siamo stupiti nel vedere come, tramite una ubriacatura di parole, l’immaginazione di questo si dispiega libera dalla relazione con la realtà e dalle regole della logica. Ci chiediamo come il lettore possa pensare, con tale pattume, di evolversi in qualche modo. Il tutto ci sembra un puro divertimento - paragonabile a quello di leggere libri gialli. Alcuni tra questi ricercatori finiscono nello spiritismo [medianità]. Mentre alcuni giunsero a questa realtà sognando un contatto con un parente o amico deceduto, alcuni furono mossi dalla pura sete di conoscenza occulta. Se lo spiritismo mantenesse le sue promesse, sarebbe la più valida miniera di informazioni - un collegamento diretto con l'aldilà, molto più accurato di qualsiasi altra fonte! Coloro che lo praticano sentono di essere infinitamente più fortunati di qualsiasi altro ricercatore spirituale. Sebbene credano fermamente che un grande cataclisma mondiale sia praticamente alle porte, sono sempre quieti ed ottimisti, avendo ricevuto l'assicurazione che si salveranno. Camminano ad un metro da terra. Hanno il privilegio … di comunicare direttamente con i Maestri storici del Kriya. È patetico e persino divertente sentire la loro 129 solenne comunicazione: «In questa epoca, il Kriya è fuori moda ed inutile. Basta la devozione!». Essere coinvolti in questa attività è un modo straordinariamente semplice di distruggere, in breve tempo, anni di genuino sforzo spirituale. Ho dei motivi per ipotizzare che l’infido territorio dello spiritismo sia una delle migliori aree per coltivare spaccature entro la personalità. Lo spiritismo classico – caratterizzato da un Medium che sprofonda nello stato di trance e il tavolino che batte i colpi come risposta cifrata alle domande poste dagli astanti – ha ceduto il posto ai metodi moderni dove tutti i partecipanti, ponendo le mani sul bicchiere capovolto che si muove così agevolmente tra le lettere dell’alfabeto, stampate su una comoda tavoletta pieghevole, sono loro stessi dei medium. Molti preferiscono le rivelazioni più accessibili di un Channeler. Questo è una persona che, senza tante complicazioni, lascia che l’entità invocata si esprima attraverso il fiume in piena della sua stessa eloquenza. È curioso vedere come le biografie dei Channeler ricalchino un unico schema. Un tempo erano scettici delle loro facoltà e non volevano cedere alla Volontà suprema che aveva deciso di affidare loro la difficile missione di fare da tramite tra gli spiriti e l’umanità. Una volta accettata la missione, dalla fonte ultraterrena venne l’ispirazione a mescolare il flusso delle varie rivelazioni alla diagnosi d’improbabili malattie, alla prescrizione di costosissimi rimedi alternativi. Interessanti sono i gruppi che fanno derivare i loro insegnamenti occulti da fonti presumibilmente non fisiche, con cui il medium è in contatto. Ciò di cui fui testimone, con un dolore acuito dalle particolari situazioni che allora si vennero a creare, fu la fragilità mentale (debolezza; non so come chiamarla) della maggior parte di coloro che praticavano lo spiritismo. Mi sbalordirono non solo in base alle loro affermazioni ma anche in base a quanto scorgevo nei loro occhi. Era come se, da dietro la maschera del loro volto, apparisse un'altra personalità, estremamente sicura di sé, ma che in realtà permetteva agli altri di ingannarli e defraudarli nel peggiore dei modi. Quanto è strana l’intera faccenda! A parte la scrittura automatica nella quale chi chiede è la stessa persona che dà la risposta, il medium sa in anticipo le preferenze e le anticipazioni della persona che a lui si rivolge. Perciò tutto diviene come un circuito chiuso: domanda e risposta si riverberano in una spirale senza fine come il fischio di reazione di un microfono posto vicino al relativo altoparlante. Come chiunque può osservare, le comunicazioni sono sempre gradevoli. Ogni adepto, anche di intelligenza limitata, riceve la comunicazione che il Divino gli ha assegnato un'importante missione… Alcuni amici si ficcarono in situazioni di tale ristrettezza di visione da apparire grottesche. Il loro desiderio originale di trovare la libertà totale nel Kriya Yoga finì nella peggiore di tutte le prigioni. Diedero tutti i loro possessi, e la loro vita, ad una persona che era una autentica canaglia. Fu strano trovare un complesso di indegnità nell’atteggiamento di un mio amico kriyaban. Era veramente una brava persona; nella sua gioventù aveva 130 vissuto appassionatamente l'intenzione di fare qualcosa di buono per l’umanità. Manifestava un rispetto sincero verso tutte le persone. Qualche volta le sue azioni disinteressate si scontrarono con l'ignoranza e la grossolanità delle persone. Nelle sue peculiari scelte di vita lessi sempre un solo messaggio: «Non pensare che stia cedendo al modo comune di vivere!» Aspirava ardentemente a seguire il sentiero dei Grandi. Condividemmo la passione per l’esoterismo e per i libri. Leggemmo veramente tanti, troppi libri pattume: invece di provare orrore per tutte le deformazioni provocate dalla mente umana, ci lasciammo avvincere dalle fantasie dei più svariati autori. Era incredibile quale enorme impatto potesse avere su di noi un libro quando il titolo o le quattro righe di presentazione facevano intuire che esso contenere la chiave dei misteri occulti! Assieme condividemmo l’entusiasmo per la scoperta del Kriya. L’amico cominciò ad interessarsene e leggere tutto con avidità. «È meglio che non cominci a praticare tecniche del cui effetto non sono sicuro - mi diceva - è meglio che attenda una completa comprensione della dimensione spirituale. Solo quando mi sentirò totalmente sicuro comincerò il lavoro pratico. Nel frattempo cercherò di applicare alla mia vita i principi etici raccomandati da tutti i maestri». In realtà qualcosa aveva praticato e fui portato a pensare che l'intensità dell’esperienza ottenuta potesse averlo turbato mettendo davanti ai suoi occhi il lato scuro della sua personalità. La sua prudenza estrema (assomigliava a quella di un vecchietto, dal cammino tremolante) dava davvero l'idea che il suo comportamento fosse causato dalla paura che il Kriya potesse causare un tale scossone interiore da mettere in pericolo la sua stabilità psichica. Era come uno che continua a rimuginare su un viaggio fantastico pur tuttavia, avendo paura dell'aeroplano, non si decide a partire. Sottolineando il valore dei principi etici, insistendo che nessuno dovrebbe praticare alcuna tecnica di meditazione senza aver prima raggiunto una perfetta vita morale, si rivolgeva ovviamente a se stesso. Abbastanza bene camuffata, una ferita non rimarginata lo bloccava. Durante la sua adolescenza, una nube cominciò ad addensarsi sulla sua coscienza: i suoi ideali religiosi fecero sì che egli non accettasse quello che emergeva dalle profondità della sua personalità; non fu capace di realizzare che quanto andava sperimentando era universalmente comune e sano. Molte volte tentai di aprire i suoi occhi ma, infine, il dovere verso il mio sentiero prevalse su quello della cortesia. Lo lasciai solo, a vivere la sua vita, senza più "tormentarlo". Per quale ragione avrei dovuto sprecare il mio tempo per arrivare in fine solo a confermarlo nella sua decisione? La forza della reciproca eccitazione nata dai nostri banchetti di parole era una specie di proiezione verso un ideale di amicizia dell’anima; ma attraverso essa 131 non sarei arrivato a nulla, piuttosto, in modo pericoloso, mi sarei estraniato dalla mia anima. Col passare degli anni, continuò a riprodurre, con varie parole, le stesse credenze; la sua unica evoluzione era l'allargamento del suo lessico. Talvolta si rese ridicolo con l'inflessibilità delle sue congetture e generalizzazioni (come per esempio quando affermò che tutti gli abitanti di un certo paese non erano adatti al sentiero spirituale o quando sostenne che un certo personaggio, non poteva essere auto realizzato perché in una occasione fu visto che mangiava carne o fumava..) Come una superba rovina, si rinchiuse sempre più in se stesso e perse il contatto con la vita reale. Un vicino comprensivo e paziente lo salvò dalla totale solitudine. Come per un sottile contrappasso, quest’ultimo era ignorante nelle cose dello Spirito; ma ciò non era un problema: al mio amico bastava soltanto un volto umano in cui fissare il suo sguardo. [b]… Tendenza a non fidarsi pienamente dell'azione del Kriya (o non abbandonarsi ad essa) Alcuni seguono il percorso del Kriya, lavorano coscienziosamente con le sue tecniche ma continuano a rimuginare un solo pensiero: "Cosa posso fare per migliorarmi?» La loro idea di base è che l'Infinito Sè risieda al di fuori degli esseri umani e che un individuo possa avvicinarsi a quella realtà solo se possiede un qualche merito. Per questa ragione lavorano così sodo: per essere degni di avere successo nel Kriya. A meno che non sia accoppiato ad un sforzo faticoso entro il territorio della loro vita psicologica, non hanno fiducia nel puro potere del Kriya. Pensano che le tecniche del Kriya siano solo una cornice che deve essere integrata con sforzo incessante. Sono convinti che lavorando duramente sia possibile distruggere nella loro coscienza le radici dell'iniquità e dell'egoismo. Il loro strumento favorito è una non obiettiva e distorta autoanalisi con conseguente crescita del loro antico complesso d'inferiorità e l'intensificazione di una tensione per un ideale, regolarmente posticipato cambiamento integrale delle loro abitudini. Praticano le tecniche lavorando disperatamente a costruire mattone dopo mattone, come fosse una costruzione complessa, l'esperienza mistica. Tale impresa è, per principio, un compito impossibile. Questo atteggiamento rende ogni progresso sul percorso del Kriya virtualmente impossibile. Il Kriya lavora in questo modo: quando uno si rilassa, improvvisamente qualche cosa si manifesta ed il centro interno della personalità riceve una forte scossa. Questa è la bellezza del processo: non si può dire quando accadrà. Ora, se durante la pratica Kriya, il respiro e il pulsare del cuore sembrano 132 scomparire, questa specie di persone, essendo sempre sull'attenti, invece di rilassarsi bloccano l'esperienza. Ci può essere solamente una soluzione: che un'esperienza spirituale genuina possa emergere improvvisamente e spazzare via le loro paure. [c]… Considerare il Kriya come qualcosa da utilizzare per ottenere la guarigione da disturbi psicologici Ci sono persone che si aggrappano al Kriya, essendo state sedotte dalla pubblicità che lo circonda, poiché soffrono di seri problemi psicologici diagnosticata da uno o più dottori. La decisione di applicare lo Yoga nella loro vita (da cui approdarono al Kriya) potrebbe essere stata presa assieme al terapeuta (Psicologo o Psichiatra) o potrebbe rappresentare una loro scelta indipendente. Uscire da una situazione devastante e vivere normalmente come ogni altro essere umano, è il desiderio più incalzante nella loro coscienza, un'emergenza che permea il loro pensare ed il loro comportamento.38 Il kriyaban che cerca di applicare le tecniche mistiche del Kriya soltanto per questa ragione, da l’impressione di una grande serietà e dedizione ma tende ad osservarsi troppo, è sempre ansioso di vedere risultati e si scoraggia facilmente. Difficile fargli capir che il percorso spirituale deve divenire una parte integrante della sua vita ed essere accettato come fosse parte del proprio corpo; altrimenti è meglio abbandonarlo subito. Non può essere un innesto, guardato con sospetto chiedendosi se funziona davvero. Nessun uomo può toccare il Bene supremo se non per elezione, mettendolo sopra tutti gli altri conseguimenti del mondo. Un amico che mi frequentava alcuni anni fa si trovava in questa condizione. Mi colpì il suo gigantesco opportunismo – la tendenza a sfruttare le persone. Senza rendersi conto mi spremeva, lentamente ma inesorabilmente fino al punto che, come scrive Carlo Castaneda, non restava più nulla. Allo stesso modo esasperò ed eliminò definitivamente i pochi amici che gli rimanevano usando un meccanismo micidiale. Siccome era abituato ad "estorcere" accurati e particolareggiati consigli, non importa riguardo cosa 38 È chiaro che non raccomando la pratica del Kriya a coloro che hanno problemi psicologici. Questo è il mio proposito. Però non voglio essere totalmente negativo: chi può, davvero escludere che qualcosa di buono possa provenire da un certo tipo di pratica Kriya se fatta nelle condizioni più opportune e sotto la guida di colui che è, a un tempo, medico e amico? 133 (salute fisica e mentale, routine di meditazione...) applicandoli, si produceva regolarmente qualche danno. In conseguenza di ciò, faceva sentire in colpa quell’amico che aveva avuta la malaugurata idea di consigliarlo, avendo la speranza di ottenere così più grandi attenzioni da lui. Asseriva di aver applicato le sue parole alla lettera. Invece di avvicinare l’amico a lui, lo perdeva, inesorabilmente. Questi infatti, palesemente alterato, giurava che non avrebbe mai più cercato di aiutarlo. Anzi, afferrato da una furia cieca dimenticando ogni passata abitudine di cortesia e prudenza – lo annientava con un giudizio spietato, della cui durezza e inflessibilità si sarebbe poi pentito e amareggiato. 39 Come nella favola di Barbablù, c’erano delle "stanze" dove non mi permetteva di entrare. Non mi riferisco a fatti intimi ma a fatti sui quali è accettabile discutere - per esempio mantenere una doppia vita quando non è essenziale ed è estremamente logorante... Quando toccavo tali argomenti, si incupiva e troncava rudemente il discorso. Quando mi trovavo a riflettere su ciò che poteva aiutarlo, sentivo che non ero libero di considerare il completo ritratto della sua vita. Sentivo che v’era una regione dove lui proteggeva e nutriva un fungo malefico dal quale estraeva l'elisir della sua sofferenza. Altre volte un lampo di fantasia mi attraversava la coscienza: mi sembrava che avesse due personalità. Una era quella di facciata con la quale stavo parlando ed un’altra, profonda con cui non potevo comunicare, libera da ogni sofferenza, pulita e serena, che si stava burlando di me. In quegli istanti avevo l'impressione che se fossi scomparso dalla sua vita, lui sarebbero stato completamente e perfettamente felice. [d]… Conflitto con la religione di partenza Chi sente la validità della propria religione può, per le più disparate ragioni, intraprendere anche il sentiero del Kriya. Il suo sforzo non è inevitabilmente destinato a naufragare, però il rischio di arrendersi a delle suggestioni restrittive ricevute da rigidi padri spirituali e da alcuni amici è molto forte. All’inizio si sentirà colpito dall'efficacia del Kriya: non solo proverà un generale benessere fisico e mentale ma avrà la sensazione che la 39 Mi chiedo se questi individui siano stati la causa primaria del deterioramento delle organizzazioni di Kriya. Essi infatti pensano di non avere mai ricevuto abbastanza, si lamentano sempre di qualche cosa e spesso minacciano azioni legali contro chi ha spassionatamente cercato di aiutarli. Credo che se quelle organizzazioni sono, col tempo, divenute piene di proibizioni e di quella che a noi sembra una burocrazia assurda, questo fu anche dovuto ad una reazione alle dichiarazioni e minacce di persone come quelle cui qui mi riferisco. 134 sua vita religiosa si sia fortemente ricaricata di entusiasmo e sia divenuta più determinata, acuta. Anche se gli sarà difficile accettare che gli "strani" esercizi del Kriya possano essere considerati un sentiero mistico, che stia in piedi da solo, indipendentemente da qualsiasi religione, comincerà a considerarli con molta attenzione e crescente rispetto. Il problema nasce quando uno ritiene corretto riferire della sua pratica con un’autorità religiosa. Un rappresentante del culto potrebbe non intendere il senso della pratica (probabilmente nessuno lo ha informato sulla somiglianza tra le procedure del Kriya e gli esercizi spirituali di alcuni mistici della sua stessa religione) oppure essere perplesso sullo stesso concetto di sentiero mistico. Il vizio di studiare troppi libri e di attaccarsi troppo all’aspetto dottrinale di una religione può aver soffocato la sua aspirazione spirituale. Ci sono libri che sporcano la coscienza e bruciano l'intelletto. Le chiese sono molto tolleranti e permettono che uno faccia da direttore spirituale anche se intrattiene dei dubbi e vive una mite crisi esistenziale - la speranza sta nel fatto che, fronteggiando i dubbi altrui, egli possa gradualmente uscir fuori dai suoi dilemmi. Ma, il continuo sforzo cerebrale di rispondere con risposte intelligenti – talvolta così belle o strane da lasciare stupefatti - alle domande esistenziali e alle lamentele altrui, può aver logorato la vera capacità di ascoltare e comprendere. Egli può ripetere delle evidenti assurdità - che il desiderio di seguire il sentiero mistico sia una fissazione pericolosa e fuorviante, nata da problemi psicologici irrisolti, che la religione consiste anzitutto nello studiare e meditare sulle Sacre Scritture, che la Preghiera ha un valore solo se è fatta in comunità… Giudicherà qualsiasi esperienza interiore come una pericolosa allucinazione. Penso che la maggior parte delle persone cosiddette religiose siano convinte che i mistici furono uomini scelti da Dio, a cui fu concessa una particolare grazia: «non dovremmo cercare in alcun modo di seguire i loro passi, se non vogliamo divenire mentalmente instabili!» L'implicazione emotiva di queste parole, può vincere le ragioni della saggezza e distruggere l'aspirazione di un ricercatore. Egli può essere indotto a pensare che il suo principale dovere sia quello di consolidare la propria formazione dottrinale e di seguire lezioni di catechismo. Evidentemente non c’è nulla da dire contro il catechismo purché sia integrato con lo studio delle opere dei grandi mistici. Un studio puramente razionale dei dogmi e delle dottrine teologiche può non armonizzarsi alla sensibilità che la nostra persona sta sviluppando. Facilmente entrerà in crisi e sperimenterà sensi di colpa. Sappiamo che la forza con la quale egli potrebbe resistere a tali momenti di crisi è direttamente proporzionale alle autentiche esperienze spirituali che lui ha incontrato nella 135 meditazione - ma non dobbiamo dimenticare che stiamo considerando un principiante. Non solo le guide abilitate possono fuorviare; talvolta un amico sconvolto dal mondo di quei fenomeni come le apparizioni e le profezie, può spaventare il nostro ricercatore, serrargli la gola di paura, bollare come molto pericolose e contrarie alla religione le pratiche finora portate avanti. L'angoscia di trovarsi sul sentiero errato, di muoversi verso la dannazione eterna, non placato dalla forza dell'idea contraria, crea un indurimento del suo cuore e la splendida avventura si impaluda. Ho visto alcuni kriyaban rivoltarsi contro il Kriya come se esso fosse una cosa demoniaca. Manifestarono un atteggiamento dogmatico e diedero l'impressione di essere governati da emozioni primordiali ed infantili. Crearono imbarazzo e silenzio intorno. Talvolta la consistenza inesistente tra i dogmi religiosi e la loro vita reale venne mantenuta con una agghiacciante disonestà intellettuale; ciò provocò la rottura con gli amici di un tempo e il rinnovamento totale delle loro conoscenze - questo è quello che forse loro inconsciamente desideravano. Quello che gli si può augurare è che, durante un giorno di sole, in mezzo alla natura (la quale è, davvero, una grande insegnante - forse più dei libri), davanti ad un panorama che si estende all’infinito, si ritrovino a praticare di nuovo una tecnica di meditazione. Chissà se il calore dello stato contemplativo riuscirà a sciogliere la morsa delle loro paure, se la splendida avventura del Kriya potrà riaccendersi! Durante la nostra infanzia, quasi tutti ricevemmo una formazione spirituale entro una religione ben strutturata. Grande fu la forza con la quale alcuni miti religiosi furono inculcati nella nostra coscienza. Introdotti attraverso racconti e resi più reali da alcune piacevoli raffigurazioni, quei miti furono investiti da una particolare solidità, specialmente quando evidenziavano una qualche figura ideale mancante nella costellazione familiare. Benché nell’età adolescenziale tali miti venissero messi da parte, un filo d’amore rimase per quella parte del passato cui essi erano collegati. Nella piena maturità, sentimmo il loro fascino. Il profumo di quei vecchi racconti crebbe come un’immensa nostalgia, come un balsamo di infantile gioia che si distendeva sulle ferite, mai rimarginate, della nostra vita. Quando prendemmo parte a riti religiosi, tutta una successione di ricordi legati a care persone scomparse si mise in moto … il cuore vibrava, i sentimenti furono coinvolti come mai era stato prima. Tutto questo è comprensibile, bello. Ma per qualcuno i condizionamenti dell’infanzia assunsero di nuovo una solidità inattaccabile e divennero un insieme di elementi fissi nel proprio modo di pensare. Nell'inconscio si forma 136 una ferrea intenzione: «La dimensione della fede che mi è stata comunicata dai miei genitori distilla per me il profumo del tempo più bello della mia vita. Non posso fare altro che difenderla ad ogni costo». È un vero peccato che un simile atteggiamento crei degli ostacoli, talvolta insormontabili, alla pratica del Kriya. Seconda parte: atteggiamenti che deviano un ricercatore pur avendo egli già intrapreso la strada del Kriya nel modo corretto e già incominciato a percepirne la bellezza intrinseca [e]… Ricerca New Age di un benessere "olistico" Spesso le gioie e gli effetti benefici derivanti dal percorso spirituale diventano una vera dipendenza da essi. Spesso troviamo tale tendenza in coloro che vivono appieno le tendenze New Age.40 Maggiore è la gratificazione immediata derivata dalla pratica delle tecniche, più favorevole è l'auto diagnosi dell'esecuzione corretta di esse. Questa è una situazione nella quale uno va alla deriva senza rendersi conto di aver tradito lo scopo della sua ricerca. Un ricercatore che focalizza la sua attenzione solo su aspetti secondari del sentiero mistico, non può auto ingannarsi affermando di stare inseguendo 40 Nel ‘900 il pensiero umano fece un passo in avanti in una direzione senz’altro sana. Ci sono tanti motivi per credere che, in futuro, tale epoca sarà studiata con quello stesso senso di rispetto con cui oggi si studia l’Umanesimo, il Rinascimento, l’Illuminismo… Siccome alla sensibilità New Age contribuirono uomini di scienza, non è il caso di soffermarci sull’affermazione, irrilevante, secondo cui tale progresso coincise con l’entrata del sistema solare nel segno dell’Acquario - anche se proprio da questa credenza deriva il termine "Età dell’Acquario o New Age". Il clima che si respirava era caratterizzato dalla percezione di un qualcosa di "planetario" all’opera. Ci si accorse che le scoperte della Fisica, le Medicine Alternative, gli sviluppi della Psicologia del profondo, tutti portavano verso un’unica comprensione: la sostanziale interdipendenza tra universo, corpo, psiche e dimensione spirituale dell’uomo. Le società esotericoiniziatiche superando, da sempre, le differenze di cultura e di visione religiosa avevano già riconosciuto questa verità, la quale, ora, divenne patrimonio comune. Tra l’altro, si accettò che il male esiste veramente ed è un fattore intrinseco alla dimensione istintuale dell’uomo. È legato a tutte le forme di egoismo, crudeltà, scelleratezza e alla tendenza di sfruttare l’ambiente. Può accecare l’uomo al punto che egli diviene lo strumento della rovina del pianeta Terra e quindi della scomparsa delle condizioni che sono indispensabili alla sua stessa vita. Ben lontana è quella visione teologica che implica un ruolo di despota all’uomo, posto nel centro di una creazione che pare non avere altro scopo che quello di soddisfare i suoi bisogni e anche i suoi capricci. Si capì che l’uomo, dipendente da ogni cosa che lo circondava, aveva il dovere di prendere delle misure decisive per proteggere l’ambiente. L’aspirazione per uno stile di vita che tenga conto della dimensione spirituale dell’uomo, deve procedere in perfetto accordo con l’impegno politico-ecologico. 137 la Meta Divina, mentre è, infatti, solamente interessato nel suo proprio benessere. Assomiglia a una di quelle persone che preparano la loro casa per un distinto ospite ma, mettendo in moto un processo di pulizia, di ristrutturazione, aggiungendo varie decorazioni, si dimenticano completamente dell’ospite il quale – dopo aver suonato varie volte il campanello - siede, trascurato, sullo stuoino davanti alla porta… Ricerche sulle medicine alternative, terapie di gruppo dirette da bizzarri personaggi privi di formazione accademica, sono distrazioni costose che possono affascinare un ricercatore per anni e fargli dimenticare che esse non hanno niente a che fare con il percorso spirituale che, a suo tempo, aveva deciso di percorrere. Sia chiaro che non ho niente contro queste ricerche purché non vengano confuse con la ricerca mistica. In una stanza, nella quale siede in meditazione, colma di poster e cuscini dai mille colori, decorazioni, cristalli o altri oggetti, può essere completamente soddisfatto dalla bella atmosfera creata, che è divenuta il surrogato della sintonia con la dimensione spirituale. Ebbi due tipi di contatto con tale dimensione, uno folcloristico e un altro molto negativo. Per quanto riguarda il primo, feci parte di un gruppo che era sotto l’influenza di un individuo astuto il quale, a seconda delle necessità, assumeva il ruolo di psicoterapeuta, di insegnante spirituale, di medico alternativo e, con il pendolo in mano, pretendeva di diagnosticare tutto, dalle più lievi indisposizioni alle malattie più serie, così come di suggerire rimedi. Metodi come aroma terapia, terapia coi cristalli, terapia coi colori… erano all’ordine del giorno, sembrano funzionare per un certo tempo, dopo di che venivano abbandonati. Era tipico prender parte a varie forme di psicoterapia alternativa durante seminari di fine settimana. Tali metodi richiamavano quelli tradizionali, dando grande importanza a rapporti personali pubblici su comuni traumi infantili. Ricordo vividamente come, seduti sul pavimento, posti in circolo, guardando gli altri direttamente, formavamo gruppi di lavoro e, vincendo delle resistenze interiori, condividevamo, talvolta con acuta sofferenza, esperienze che non avevamo mai detto prima. C’erano anche quelli che cercavano di ritrovare, attraverso la regressione ipnotica le proprie vite passate per far rivivere e comprendere i più profondi traumi… Alcuni amici finirono con l'essere irretiti in un sistema di marketing multilivello dove impararono metodi moderni di guarigione spirituale. Furono invogliati ad investire in costosi seminari dove i loro canali di energia sarebbero stati aperti ed avrebbero imparato il segreto di come guarire gli altri 138 con l'uso dell'Energia Universale. Tutto questo venne a costare parecchio, anche perché i seminari non erano tenuti nelle vicinanze ma all'estero, presso costose residenze. Molti abbandonano il loro atteggiamento genuino e cominciano a perdere il contatto con la realtà. Quando osai scuoterli dalla loro illusione, infastiditi mi dissero che non c'era alcuna ragione di essere perplessi a riguardo delle loro pratiche senza averle provati: «È il nostro Karma che ci sta dando la migliore opportunità di crescere su tutti i piani.» «Ci si aspetta che noi rispondiamo in modo positivo. Non dobbiamo opporci a questa benefica corrente altrimenti potremmo dover... morire e rinascere di nuovo solo per vivere quelle esperienze che ora stiamo rifiutando!» «Le tecniche Kriya si praticano con l’energia presente nel corpo – dicevano - Bene, se questa è ricaricata dal flusso dell’energia universale, anche le tecniche più complicate del Kriya sarebbero divenute una "passeggiata"». Sfortunatamente, per alcuni (parlo sempre di kriyaban, come farò sempre in questo capitolo) gli eventi presero una cattiva piega. In qualcuno c’era la mania pericolosa e potenzialmente distruttiva di cercare senza sosta tecniche di illuminazione-evoluzione spirituale. Erano capaci di fare qualsiasi stupida azione per questo scopo. Amavano esplorare i misteri inerenti al "potenziale umano". Erano approdati al Kriya in seguito ad esperienze interiori che li avevano lasciati stupiti, attoniti e che non avevano capito o non erano riusciti ad assimilare completamente. Sembrava che il Kriya avesse incominciato a far circolare nella loro mente (e nella polverosa biblioteca che era la loro vita) un'aria nuova che amplificava le esperienze avute; nella calma profonda che ne conseguiva sembrava quasi che la loro ricerca fosse approdata a qualcosa di stabile; la Realtà Spirituale gli si era intuitivamente rivelata come l’Immutabilità stessa. Eppure cominciarono a pensare di essersi imbattuti nel Kriya "per caso"; fantasticarono su quanto sarebbe potuto accadere se essi avessero incontrato una tecnica più elevata. E qui caddero nella trappola della affermazione secondo cui le pratiche meditative classiche - i metodi sobri adottati da sempre dai mistici delle varie religioni - non sono più validi per il nostro tempo – andavano bene 50 anni fa, ma con la nuova era l’uomo si è evoluto ed è pronto a impiegare mezzi più veloci. Furono sedotti dalla tentazione di raggiungere a poco costo, con mezzi più veloci, una coscienza superiore. Divennero entusiasti di tecniche costose condivise nei fine settimana presso qualche beauty farm, terme, centri di vacanza… le quali in 20 minuti al giorno avrebbero secondo loro prodotto una rigenerazione del DNA, una espansione di coscienza mai ottenuta con altri mezzi ecc. Capivano intuitivamente la differenza tra magia e dimensione mistica, 139 tuttavia, non smettevano di sognare che nel campo esoterico si potessero trovare i più profondi segreti del percorso mistico. Questi ricercatori non riuscivano a smettere di fantasticare improbabili segreti conosciuti a pochi eletti. Questa idea è affascinante, attraente… ma per un mistico è una sciocchezza pura. Un amico da tempo tentava di "migliorare" le tecniche del Kriya incorporandovi varie tecniche esoteriche, come quelle descritte nei rituali di magia cerimoniale. Era convinto che solamente usando certi rituali, formule e simboli iniziatici, fosse possibile completare il salto evolutivo che portava alla liberazione. Ci fu una circostanza nella quale le stesse basi economiche, essenziali al suo vivere rischiarono di essere spazzate via, annientate fin nelle minuzie. Incontrò infatti un auto nominatosi esperto in materie occulte che gli rivelò di conoscere i segreti di un sentiero esoterico quasi scomparso e, in particolare, una tecnica spirituale - molto più evoluta di quelle conosciute oggi - che era praticata secoli o millenni fa da pochi eletti privilegiati. «Ora che l’umanità non è più quella di un tempo, tali insegnamenti non sono più rivelati ad alcuno» esordì; fece una pausa e infine, con un sospiro, concluse: «Gli attuali ricercatori non saprebbero apprezzarli e, nelle loro mani, diverrebbero pericolosi.» Usava una terminologia affascinante vicina alla Cabala (movimento mistico entro l’Ebraismo) e parlò anche del Cristianesimo originale, dei cui testi sacri offriva un’interpretazione non convenzionale. Questo briccone, sognatore non tanto ingenuo, ammaliò facilmente la sua vittima che, credendo di circuire l’insegnante, cadde nella trappola tesagli e confidò di esser disposto a qualunque sacrificio purché gli fossero rivelati questi straordinari segreti. Al che, dopo aver simulato una certa perplessità, il nostro furbo insegnante sembrò capitolare ma … «Solo per te, soltanto perché mi sento guidato a fare un’eccezione» sussurrò. La sua vittima, fremente di emozione, visse il miglior momento della propria vita e si convinse veramente che l’incontro con l’esperto fosse stato deciso nelle alte sfere. L’offerta richiesta per l’iniziazione - unita alla promessa di mantenere l’assoluta segretezza – non poteva che essere cospicua in quanto, attraverso essa, l’adepto doveva dare prova di attribuire un grande valore a tale evento. La donazione sarebbe servita all’insegnante per compiere buone opere ovviamente. (Come sempre affermò di trasmettere le offerte ad un certo frate curiosamente non prete - che si prendeva cura di un orfanotrofio.) Mentre il mio amico, tutto soddisfatto, si preparava a ricevere tale ineguagliabile dono (gli era stato sottolineato con grande enfasi che di dono si trattava e nulla avrebbe potuto ricompensare adeguatamente le benedizioni 140 che tale iniziazione avrebbe comportato nella sua vita) il lestofante decideva pigramente quali chiaviche gli avrebbe esposto con risplendente solennità. L’amico ricevette con indicibile emozione la nuova tecnica e trascorse uno o due giorni di pura esaltazione. In futuro sentì ancora parlare di altre "rivelazioni" dal valore ineguagliabile. Prigioniero delle sue chimere, visse il riaccendersi della sua passione e la commedia si ripeté. L’illusione in cui viveva era, in effetti, invincibile. Ricevuta la sua droga, continuò la corsa, inesorabile, verso il baratro. Dopo aver percorso un enorme periplo, tutte le strade si chiusero davanti a lui, una dopo l’altra. Credo che nella sua desolazione sapesse che le tecniche per le quali aveva pagato una fortuna erano state prese da alcuni libri comuni e deformate affinché egli non riuscisse a intuirne l’origine. Questo episodio rappresenta certo un caso estremo. Il Kriya è per coloro che, anche se hanno compiuto tutto quello che l’umana follia può concepire e sprecato anni nell'esaurire le energie vitali, da un certo momento in poi sanno voltare pagina e cercano non più il potere per dominare la vita, ma la vasta Tranquillità di vivere la propria dimensione eterna. [f]… Tendenza a divinizzare alcune persone Come è noto coloro che appartengono ad una organizzazione credono che l'unico modo di avanzare sul percorso spirituale sia quello di ricevere la particolare benedizione ed infusione di potere da parte di un Maestro perfetto, auto realizzato, "Asceso". Lo stesso concetto è affermato da molte fratellanze esoteriche nonché da grandi tradizioni mistiche.41 Spiegano, in fatti, che la forza dei grandi Maestri del passato, la loro sottile vibrazione è ancora presente nei loro discendenti non discendenti per consanguineità, ma tramite trasmissione di potere - come una catena ininterrotta. Spiegano che il progresso spirituale non può avvenire se non attraverso il ricevere quel particolare potere. Una o più persone, appositamente autorizzate in ciò, fungono da tramite a questa trasmissione 41 Discutere il tema di sette, dove la dignità dell'individuo è schiacciata, esula dal nostro tema principale. Per un ricercatore che vuole investire il suo tempo nello studiare questo argomento, ci sono tante fonti dalle quali si può trarre del materiale prezioso. Colpisce indubbiamente il materiale fornito dalle istituzioni che puntano a difendere le persone dalle sette. Scioccanti sono i siti web creati dagli ex-adepti di una setta o ex-discepoli di un noto Guru e mondiale. Va detto che nessuna struttura proviene da altri pianeti: esse possiedono quello che gli uomini vi hanno posto. Molti non capiscono quanto sia importante procedere senza perdere la propria integrità - nessun atto dovrebbe, in alcun modo, essere contrario ai valori per i quali i più grandi uomini e donne delle ere passate hanno lottato. Non dovremmo mai dare ad un'altra persona o istituzione il diritto di abusare di noi - per nessuna ragione. 141 durante una particolare cerimonia. È normale, perciò, che chi entra in tale ordine di idee, provi un grandissimo rispetto per le persone che sono ufficialmente investite di quella missione e cerchi di rendersi meritevole, di conquistarsi un posto nel loro cuore. I grandi mezzi finanziari che le organizzazioni dispongono non servono solo a mantenere la bellezza dei loro edifici ma anche a dare lustro e circondare di un’aura divina i loro "ministri", rappresentanti o quant’altro. Proviamo a metterci nei panni delle persone che per una vita intera si sono sentire ripetere il ritornello: «Non siete contenti di aver trovato un vero Guru? Non siete entusiasti dal pensiero che Egli sia stato scelto per voi dal Divino Stesso?» «Oh siiii che lo siamo» rispondono con lacrime di gioia. L’impatto emotivo di questo condizionamento è forte e si trasforma nella ricerca ossessiva di un legame privilegiato con coloro che rappresentano la figura ideale del Guru. Talvolta avanzano delle pretese irragionevoli: vogliono essere ascoltati da loro, sfruttano ogni occasione per avere dei colloqui privati - anche se non hanno dubbi sulle tecniche, se li creano, tanto per il gusto di mantenere una corrispondenza inutile e dal forte tono emotivo. Conobbi un kriyaban più anziano di me che aveva intrapreso il sentiero del Kriya molti anni prima. Era un persona irreprensibile e degna del massimo rispetto. Ci frequentammo nella parte finale della sua vita. Ci furono momenti in cui, conoscendo la solitudine totale in cui viveva, mi si stringeva il cuore nello stare mesi senza vederlo. Per vari motivi ciò fu inevitabile; lo incontravo sempre per brevi e fuggevoli pomeriggi, camminando e parlando tranquillamente. Gioivo della sua compagnia, eppure mi sentivo come se stessi per essere travolto da una ondata di nostalgia che restava trattenuta, sospesa. Fui testimone di un processo inesorabile che lo condusse a perdere completamente di vista il senso della pratica spirituale e a vivere della sola irradiazione proveniente dal ricordo di un abbraccio, di uno sguardo, o persino di un semplice cenno di saluto ricevuto un giorno da una persona - a suo dire molto evoluta, anzi auto realizzata - appartenente alla direzione dell’organizzazione Kriya cui si sentiva legato. Questa figura restava nel suo cuore come il compendio della perfezione. In una dimensione di totale sincerità, un giorno sfogò tutta la sua tristezza; guardando quanto superficialmente aveva praticato le tecniche di meditazione - così diceva - non aveva dubbi che, in questa vita, avrebbe certamente mancato l’"obiettivo" … e già sognava future incarnazioni in cui avrebbe praticato con maggiore impegno. Espresse quello che, anni prima, non avrebbe nemmeno osato pensare: l’idea di una presunta evoluzione dell’individuo, determinata da ferree leggi matematiche, conseguita attraverso il Kriya era un’illusione. Tale idea - che 142 rimaneva in lui come un riflesso istintivo al punto che avrebbe continuato a ripeterla rivolgendosi a quanti gli chiedevano informazioni sul Kriya - lo aveva abbandonato da molti anni. Guardandomi con un sorriso come se fossi un bambino, mi raccontò di nuovo il suo incontro con il personaggio menzionato. Aveva pienamente accettato l’idea che su questo pianeta ci fossero persone speciali come la persona summenzionata, e persone irrimediabilmente comuni quale appunto lui si riteneva. L’effetto delle tecniche Kriya era, secondo lui, minimo; si trattava solo di una pratica religiosa, un rituale che andava svolto scrupolosamente per dimostrare la propria fedeltà. La pratica Kriya lasciava le persone, anche dopo decenni, nelle stesse condizioni in cui avevano iniziato a praticarlo. Questa divisione ineluttabile tra esseri umani era l’assioma che sosteneva la trama sulla quale aveva continuato a intrecciare il suo pensiero. Sentivo che mi stavo perdendo nel suo cupo stato di rassegnazione. Ciò che di bello e dolce poteva immaginare stava tutto nella certezza della perfezione che esisteva nell’aldilà; il suo essere era già proiettato in quella dimensione. Oggi che lui non c’è più, mi chiedo se la diffusione del Kriya qui in Occidente è servita solo a questo, a diffondere la venerazione di certe persone che sono "sfacciatamente" sante, perfette, maestose. Quanto miserabile era stata per lui la credenza che il suo bene supremo dipendesse dallo sguardo permeato d’amore proveniente da quella persona che lui sentiva divina! Aveva fatto l’imperdonabile errore di credere che la sorgente divina nel centro del suo essere, si inaridisse lontano dalle benedizioni di questa persona verso cui aveva diretto la totale aspirazione del suo cuore. Terza parte: atteggiamenti che chiudono il cuore del kriyaban e strangolano la sua aspirazione iniziale [g]… Orgoglio di seguire il migliore tra tutti i sentieri spirituali Nel campo del Kriya, il pensiero di aver raggiunto questo o quel livello di evoluzione, il complesso di superiorità che viene dall’essere stato iniziato da un certo insegnante il cui lignaggio è ritenuto nobile, o l’autocompiacimento che viene dall'idea che il Kriya sia superiore a tutti gli altri percorsi spirituali, contribuiscono a rafforzare l'armatura dell'ego e offuscare l'intelligenza. Coloro che si nutrono dell'idea perniciosa di appartenere ad un gruppo privilegiato e di praticare «la tecnica più veloce nel campo dell'evoluzione spirituale» possono assumere un atteggiamento intollerante fino alla brutalità. Essi possono concepire il Kriya non come una disciplina mistica 143 onnicomprensiva che mira ad una trasformazione completa di un individuo, ma piuttosto come una raccolta di segreti da essere utilizzati nel modo più accorto possibile. L’efficacia della propria pratica è fortemente ostacolata e non è facile che si giunga, dopo anni, ad aprire gli occhi su quanto letale sia tale atteggiamento. Sfortunatamente, chi crede di essere un ricercatore evoluto e posa come uno che è stato benedetto da un destino superiore, è spesso un individuo non ancora emotivamente maturo che nasconde complessi - enormi come baratri - di inferiorità intellettuale. Al contrario, se attraverso una liberante introspezione, uno si desta da tutto questo, può vincere la propria attitudine e realizzare un grande progresso in breve tempo. Nella mia giovinezza, imparare tutti i dettagli del Kriya, la "suprema" fra tutte le tecniche spirituali, il percorso "aereo verso la realizzazione del Divino" fu il mio obiettivo principale. Quando incontrai la prima persona che era collegata con la scuola fondata da P.Y., gli permisi di maltrattarmi. Nonostante il colpo duro che egli mi infliggeva, non volli troncare subito, con fermezza il suo sproloquio e ritornare nella mia dimensione. Alla base del mio comportamento c'era la speranza di ricevere da lui, o dalla sua organizzazione, i segreti tanto bramati. Questo fu un grande errore da parte mia poiché precipitai in una condizione nella quale non v'era nulla di spirituale. Poter apprendere il Kriya nella sua completezza mi sembrava come il più grande di tutti i miracoli; per questo accettai qualsiasi cosa necessaria a non rovinare la mia relazione col gruppo. Un giorno, quando interruppi il mio collegamento con l’organizzazione, dopo anni di finzione, crisi e stravolgimento della mia natura, dovetti ricominciare daccapo la ricerca. Avendo tradito la dignità della mia anima, l’avventura non poteva che finire in tal modo. Quello che mi rende triste è che per tanti anni, la pigra fiducia nell'automatismo del mio percorso, mi impedì la vera esperienza della meditazione. Mentre non ho nessuna ragione per esprimere il mio rammarico sul modo con cui affrontai la pratica delle tecniche Hong So e Om (il pensiero che esse erano tecniche preliminari e che quindi, per avere buoni risultati, avrei dovuto usare al massimo la mia intuizione mi stimolò a profondere sempre il massimo impegno), per quanto riguarda il Kriya vero e proprio, posso dire che lo affrontai con il peggiore possibile atteggiamento. A parte vari stupidi pensieri, bevvi l'idea infantile che ciascun respiro Pranayama potesse produrre «l'equivalente di un anno solare di evoluzione spirituale» e che con un milione di tali respirazioni sarei giunto infallibilmente alla Coscienza Cosmica. Quando mi sedevo per praticare, tentavo di compiere il più gran 144 numero possibile di respirazioni Pranayama per avvicinarmi più rapidamente al momento in cui avrei completato il numero summenzionato. Tale credenza letale fece sì che il mio ego divenisse l’ago della bussola della mia avventura spirituale. Volevo ricevere immediatamente le tecniche dei Kriya superiori. Ragionavo così: «Ora sto procedendo velocemente, perché non dovrei andare ancora più veloce con i Kriya superiori?». Il mio atteggiamento mi procurava una tensione insopportabile. È ovvio che quando tentai di imparare quelle tecniche da quei fortunati che erano stati già iniziati, mi scontrai violentemente col loro impegno per la segretezza. Mi disperai; non potevo accettare che altre persone decidessero quando io fossi degno di ricevere certi insegnamenti: questi erano il mio Bene Supremo e percepivo come una crudeltà il fatto che altri ne custodissero la chiave. Questi pensieri mi distolsero dall'esercitare vigilanza sul corretto modo di eseguire le respirazioni del Kriya. Siccome mi sentivo un essere privilegiato e il Kriya era una benedizione ricevuta come una fortuna inaspettata, esso cessò di essere un'arte da perfezionarsi con concentrazione, intelligenza e anche un pizzico di coraggio. Pigrizia interiore e paralisi intellettiva vennero di conseguenza. Dopo molti anni, realizzai che era impossibile proseguire in tal modo il cammino spirituale. 145 CAPITOLO III/2… UN SENTIERO MISTICO PULITO Il Kriya Yoga ha il potenziale di trasformare la nostra vita in un paradiso ma è reso inefficace quando chi lo pratica si aggrappa testardamente e scientemente alle sue fissazioni, le nutre in quanto gli danno piacere e gratificazione. Il materiale discusso nel capitolo precedente è inteso a rendere l'idea di come uno strumento fondamentalmente sano quale è il Kriya possa essere drasticamente impoverito dalle manie della mente umana. Vaghe ricerche esoteriche, studi che appartengono al dominio della medicina alternativa, non hanno nulla a che fare con il Kriya. Chi pratica il Kriya è un mistico. Troppe volte il termine mistico evoca una relazione col mistero, con il concetto di iniziazione (dal Greco μυστικός [mustikos], un iniziato) a rituali religiosi segreti (anche questo dal Greco μύω, celare). Non devono sussistere dubbi sul fatto che un mistico non è un appassionato di studi sul paranormale, del leggere filosofia, non è un semplice curioso, un pigro dilettante. Un processo concreto avviene nella sua vita: l'impiego di specifiche procedure per calmare la mente, per ottenere un dono totale di se stesso a qualcosa che sta oltre i territori del suo Ego. Chi vuol vivere seriamente il cammino del Kriya fino al suo esito finale, ha il dovere morale di ricrearsene una idea pulita e far si che questa si rifletta nella pratica. Per raggiungere questo obiettivo è necessario restaurare la totalità del cervello (nel caso fosse stata offesa da qualche forma di dipendenza da organizzazioni o sette) e usarla per incominciare un processo di pulizia totale, rigettando con coraggio tutto quello che nulla ha a che fare con la ricerca spirituale, preparandosi ad agire senza mai più abdicare a tutti i valori radicati nella sua anima. La civiltà ci instilla dei valori che tendiamo a ignorare del tutto quando ci avviciniamo alle pratiche di meditazione orientale – o al sentiero spirituale in generale. È come se una larga parte del cervello si chiudesse e un'altra, che ha le caratteristiche di un cervello infantile il quale crede nelle favole, incominciasse a usurpare le sue funzioni. La prima parte del cervello si occupa solo delle cose necessarie al vivere mentre la seconda cresce a dismisura. Se nei primi tempi l'individuo dal cervello "orientale" non sa reagire alle obiezioni che provengono dai suoi amici sinceri, se non fuggendo o graffiando, in seguito si farà così furbo da riuscire a vivere tranquillamente nella società (verrà considerato un saggio, uno che ama la vita naturale, che imposta il suo comportamento ad elevati principi di moralità...) senza dare a vedere i fortissimi condizionamenti che guastano la sua libertà di giudizio. È necessario invece riconquistarsi questa libertà e chiedersi quale sia 146 l'insegnamento centrale inerente a ciascuna religione, il suo insegnamento più profondo, oltre i simboli effimeri e le parole vuote – gusci effimeri imposti dalla mente umana. Che cosa viene percepito da quei ricercatori che sono capaci di trascendere la forma e raggiungere direttamente l'essenza della Realtà Eterna? Alcuni dicono che a causa della ineffabilità dell'esperienza, noi non dovremmo pretendere di afferrare pienamente l'essenza mistica. Al contrario, penso che abbiamo il dovere di soffermarci su tale tema e distillare dalle nostre riflessioni un chiaro punto di vista. La letteratura spirituale, e in particolare la letteratura Kriya, sembra essere concepita solo per confonderci ancora di più. Nelle righe seguenti il lettore troverà delle idee che vanno contro la tendenza generale; forse gli forniranno materiale per la riflessione. 42 L'essenza del Kriya Yoga La prima cosa da fare è mettere da parte ogni retorica. Distaccandomi da molte idee suggestive, penso che il Kriya Yoga (e più in generale ogni percorso mistico autentico) porti una persona al contatto col regno Spirituale attraverso una esperienza di quasi morte. Lo stato di estasi, Samadhi, con il corpo totalmente rilassato nello stato senza respiro e tutta l'attenzione volta all'interno ricorda infatti tale esperienza. Per quelli che non conoscono l'argomento, ricordiamo che l'esperienza di quasi morte (NDE) è recentemente divenuta alquanto nota, specialmente con lo sviluppo delle tecniche di rianimazione cardiaca. Raimond Moody ha divulgato tali esperienze col libro La vita oltre la Vita (1975). Alcune ricerche che hanno seguito 42 Il lettore converrà che una riflessione sulla natura del Kriya avrebbe dovuto essere affrontata prima di condividere le tecniche stesse, ma, come sappiamo, quasi nessuno ama leggere le prefazioni. Il lettore può ritenere che valga la pena di considerare tale tema solamente dopo una prima parziale lettura del libro. Meglio è farsi prima un’idea generale sulle motivazioni (…e manie) dell'autore, soffermandosi su alcune tecniche, tanto per vedere a quale livello di profondità esse sono state trattate. Qualche volta il lettore si comporta come un animale timoroso, che vaga in un territorio inesplorato, chiedendosi se dare un minimo di fiducia a quanto l'autore va comunicando. Le tecniche che il lettore si degna di leggere attentamente probabilmente gli sono già familiari, almeno fino ad un certo livello; può scoprire aspetti nuovi di esse e decidere di provarle abbinandole - forse nel più strano dei modi - ad altre a cui è già abituato. Se tutto questo sembra funzionare, egli può prendere in considerazione discorsi generali introduttivi, cercando di intuire a modo suo quanto dice l’autore, ignorando decisamente quelle parti che gli suonano come retoriche. In questa terza parte del libro, scegliendo una forma disadorna al punto di sembrare banale, ho pensato di scrivere quelle cose che è veramente importante tener presenti. 147 la pubblicazione di esso hanno rivelato che migliaia di persone negli U.S.A. hanno affermato di avere avuto esperienze simili. Le descrizioni – non solo di quell'autore ma anche di altri ricercatori - conferma la sensazione di essere morti, di galleggiare sopra il proprio corpo e di vedere l'area circostante. L'intera esperienza è vissuta con un senso di infinito amore e di pace. Molti hanno anche avuto la sensazione di muoversi verso l'alto, attraverso un tunnel o un corridoio stretto, mentre la sintesi della loro vita stava trascorrendo di fronte allo specchio della loro coscienza. Seguono alcuni resoconti divergenti sull'incontro con parenti deceduti, e con figure spirituali (esseri di luce). Poi la sensazione di essere arrivati ad una soglia e di essere rispediti indietro nel proprio corpo – spesso con profonda riluttanza a ritornarvi sembra concludere l'esperienza. È molto ispirante incontrare e ricevere le confidenze di coloro che, come risultato di un serio incidente, ebbero una esperienza di quasi morte. Questo evento li portò sull'orlo dell'abisso, offrì loro un'opportunità unica di lanciare uno sguardo a ciò che sta oltre, fece sì che essi potessero toccare la Luce Eterna. Per loro rimase l'esperienza più vera e, paradossalmente, più "viva" della loro esistenza. Il percorso spirituale porta ad una successione di aperture su una dimensione di pace che è oltre la nostra mente e oltre la normale vita terrena; lo scopo è che, attraverso quelle esperienze, noi possiamo vivere con una diversa consapevolezza. Quando un mistico si ritira nella sua stanza per le sue pratiche devozionali, forse non sa di avere un appuntamento con la vita dell'aldilà. Se arriva a trasferirsi in quella dimensione, toccherà sicuramente una felicità inesprimibile e la sua pratica potrà dirsi perfetta. Purtroppo tantissime volte la sua pratica non lo porterà a tale risultato ed egli passerà il tempo a torturarsi con ragionamenti, riflessioni, propositi, sensi di colpa senza veramente abbandonarsi a quello stato. Uscirà esausto dalla sua stanza e resterà un po' depresso per il resto della giornata a meno che non riesca a riempirla di piccole gradevoli inutilità. Sentirsi separato da ciò che è il più vero e reale stato dell'essere, non sapere come raggiungerlo, è molto triste, col tempo diventa intollerabile. La famosa affermazione secondo cui il Kriya è "la strada aerea verso la realizzazione del Divino" deve essere reinterpretata considerando il Kriya non come uno strumento magico col quale la nostra evoluzione viene accelerata, ma come uno strumento che ci portano velocemente e sicuramente verso uno stato di sovrumano rilassamento: è solo di questo che abbiamo bisogno, la nostra aspirazione e la guida infallibile dell'Om compirà il resto del lavoro. Quando un kriyaban incontra il fallimento, ciò è dovuto al fatto che non si è lasciato fluire con la corrente ma ci ha remato contro. 148 Credo che solo coloro che hanno avuto una esperienza di quasi morte o qualcosa che si avvicina ad essa, riusciranno ad afferrare il senso di quanto vado affermando. Forse hanno cercato di riprodurla: il fatto è che serve l'abilità di rilassarsi e di vivere in uno stato si silenzio mentale. Il Kriya non è una scalata per afferrare Dio, per trasformare il nostro Ego in un Ego divino. Certo, chiunque può affermare la natura divina della sua anima, ma questo è diverso. Ripetere "Io sono Lui" è una splendente affermazione, un Mantra. È la dichiarazione della nostra aspirazione verso la perfezione. Affermare di aver raggiunto una volta per tutte questa perfezione e di essere uno con Dio è una falsità colossale, un'espressione sgradevole ed anche comica. Molti libri di Kriya abbondano di simile retorica perché vogliono evitare la dissertazione sullo stato di quasi morte. Vogliono attrarre le persone al Kriya evitando di dire cose che potrebbero apparire sgradevoli (sgradevoli a chi se non a coloro che non sono pronti per il sentiero?). Nel Kriya è essenziale rilassarsi, tanto profondamente (intendo mente, polmoni e cuore) da toccare quello stato in cui eravamo immersi prima della nascita e in cui saremo di nuovo quando lasceremo il corpo. Come preparare tale esperienza Per avere tale esperienza, è necessario porre al primo posto la creazione e il mantenimento del silenzio mentale. Forse è possibile raggiungerlo col puro uso della forza di volontà. L'esperienza dimostra che ciò porta quasi sempre al fallimento o che dà risultati di breve durata: i mistici sono concordi nell'affermare che è molto meglio affidarsi al Japa (Preghiera ripetuta). Il sentiero mistico è la cristallizzazione di secoli di sperimentazione, il risultato di quanto l'uomo ha scoperto essere efficace nel calmare mente, respiro e cuore. Qualsivoglia tecnica venne alla luce attraverso una faticosa ricerca che implicava il vincere molte difficoltà e richiedeva un illimitato ammontare di tempo. I metodi mistici "sani" sono pochi: la Preghiera, il controllo del respiro, il guidare la coscienza verso la spina dorsale e i Chakra ed il contatto con la realtà Omkar. Il Kriya Yoga non è altro che questo! Questi metodi sani potrebbero sembrare all'inizio una fatica che produce poco, ma questo è vero solo in apparenza: insistendo in modo testardo, prima o poi si verifica un risultato tanto grande che non è possibile prefigurarselo da quel momento in poi diventano naturali, quasi automatici. 149 Per incominciare uno si sceglie una Preghiera breve, un Mantra (nessuno può dire se è definitivo o se un giorno verrà percepita la necessità di cambiarlo) e prende la determinazione di completare ogni giorno almeno un Mala (un rosario di 108 grani) a voce alta, poi di lasciare che esso proceda automaticamente per un certo tempo mentalmente, per lo meno per mezz'ora. Ogniqualvolta è possibile, si fanno alcune ripetizioni di esso, a voce alta o mentalmente, durante il giorno. Durante questo Japa, uno non dovrebbe cercare di dominare i pensieri o di creare il vuoto mentale, ma semplicemente farlo risuonare nella sua testa come per riempirla completamente con la sua vibrazione. Si pratica questo durante le faccende quotidiane – senza preoccuparsi di nulla. Comunque, non è automatico che questa semplice pratica prosegua senza ostacoli. La mente è abituata a cose più complicate - tenterà di sminuire in ogni modo il valore di questa azione. Ciascuno incontra momenti in cui la tentazione di abbandonare il Japa è tremenda. Talvolta è necessario concentrarsi su un Mantra con un ardore assoluto, fino allo sfinimento - un apparente sfinimento che proviene dalle resistenze della mente. Il Japa è una battaglia contro il persistente rumore di fondo costituito da pensieri inutili che sono la sostanza dello stato comune di coscienza. Esso ha il potere di un martello pneumatico che fa a pezzi le nostre complicate strutture mentali, permettendoci di attraversare incolumi le sue paludi e raggiungere la dimensione della pura consapevolezza. La meta è mantenere il silenzio mentale dove è più difficile. Nel sottofondo della coscienza, uno cerca di mantenere ostinatamente la ripetizione del Mantra anche quando sta leggendo. Mentre parla ad altre persone, invece di essere coinvolto nelle immagini che sorgono dalle parole, può restare in allerta per non perdere il senso di immutabile calma nel centro del suo essere. Molto utile è la disciplina di pensare in modo limpido una sola cosa per volta, quando è necessario pensare, altrimenti riposare nel silenzio mentale ove raccogliere le forze per preparare le azioni future. Questo modo di esistere è inottenibile da parte di quelle persone che cercano di fare troppe cose alla volta. È meglio che un kriyaban non cerchi di essere Superman e di avere, oltre al suo lavoro, anche un altro o più e di coltivare svariati hobby. Uno deve essere saggio e scegliere la vita più semplice, adatta al suo temperamento e mettere tutto in ordine, incominciando dai cassetti della propria scrivania. Questo ordine deve essere esteso a tutti gli aspetti della vita. Tanti conflitti spariranno e il cuore si volgerà solo in un'unica direzione. È necessario leggere un solo libro per volta, che ci ispira, realizzare il suo 150 insegnamento prima di incominciarne un altro. Talvolta uno si potrebbe sentire come un convalescente in un difficile processo di guarigione; talvolta il rumore proveniente dal mondo esterno arriverà alle sue orecchie come amplificato, mentre la sensibilità allargata darà l'impressione di essere divenuto più fragile, vulnerabile ed indifeso. Man mano che i giorni passeranno, sperimenterà un'irradiazione stabile di dolcezza, calore e amore: non ci sarà la minima idea di rinuncia o di mortificazione. Tutte le parti della propria esistenza, di solito caratterizzate dalle preoccupazioni quotidiane, diverranno un continuo flusso di esperienza del Divino. Si scopre un modo unico di vivere con intensità e bellezza. Nel proprio corpo, al posto dell'usuale groviglio di vibrazioni, si percepisce un'unica vibrazione. Questa è la dimensione della Preghiera Continua. Essa rimarrà, anche quando le vicissitudini della vita cercheranno di distruggere la stessa idea di dimensione mistica e l'entusiasmo di percorrere il sentiero spirituale. Ora, la pratica del Kriya significa cessare ogni attività, sedersi con la schiena diritta, e fondere la Preghiera con il respiro lungo. Il lettore potrebbe non essere preparato a vedere il Kriya sotto questa luce, specialmente se, condizionato da teorie, è abituato a guardare al Pranayama come ad un intelligente mezzo per raffinare la composizione chimica delle molecole del midollo spinale... Quando un kriyaban canta "Om" nei Chakra, prima del Pranayama, quando pratica l’Omkar Pranayama e ripete il Mantra di dodici sillabe, non è forse la sua una forma di Preghiera? Nel Pranayama il movimento d’energia ha un ruolo indiscutibile, non c'è dubbio; ma tanto per capire il ruolo della Preghiera, si può provare, per alcuni giorni, a scordarci del respiro, a lasciarlo scorrere e limitarsi a pensare le sillabe nei Chakra. Se questo è fatto lentamente, percependo la vibrazione di ciascuna sillaba, il flusso energetico si farà sentire dopo un po' in modo chiaro e preciso, più forte che mai. Potrebbe accadere che coloro che non sono mai riusciti a percepirlo con chiarezza, riusciranno a percepirlo proprio in tale occasione! Con queste idee in mente, consideriamo allora una pratica essenziale (semplice e ben mirata) che dia alla Preghiera il ruolo che merita e che elimini ogni fronzolo. Nella seconda parte del libro ho cercato di condividere la complessità delle tecniche Kriya; qui proverò a sottolineare il loro principio unificante. Esempio pratico 151 Nella seguente routine, la preghiera si fonde col respiro. Questo avviene nel modo più semplice possibile, poi viene portata nel cuore. Poi solo il potere della Preghiera viene usato onde entrare in profondi livelli di beatitudine. Lo stato d’assenza di respiro attende il momento più appropriato per riversare nell'essere la perfetta esperienza della libertà interiore. Tale stato viene raggiunto col tempo, con la pratica seria, non appena i conflitti interiori scompaiono. Non è solo una questione di pulizia delle Nadi, o di purificazione astrale di alcuni "gusci"… è anche una questione d’intelligenza e potere di volontà. Tramite questo raggiungimento, in una profondità serena, come un cielo blu, la ricerca mistica andrà avanti senza impedimenti. Prima parte - Preghiera e respiro [I] A mezzogiorno o al tramonto 43ci si siede in un luogo dove non si è disturbati, circondati da un ambiente comodo, con lo stato d’animo profondamente sereno. Le istruzioni sono concepite per non disturbare quel calmo stato di introversione e per incoraggiare il suo sviluppo secondo un modo naturale. Il corpo è rilassato; la colonna spinale è mantenuta diritta e libera da ogni tensione. Con calma e sensibilità, il Japa è fuso armoniosamente col respiro. Con la bocca chiusa e il pollice destro che blocca la narice destra, si inspira lentamente attraverso la narice sinistra. Durante quest’inspirazione si pensa la prima metà della Preghiera (Mantra). Non si pensa ai Chakra. Poi si chiude la narice sinistra col mignolo ed anulare - della stessa mano, oppure col pollice della mano sinistra – e si espira attraverso la narice destra pensando la seconda metà della Preghiera. Poi le narici si scambiano il ruolo: mantenendo chiusa la narice sinistra, si inspira lentamente attraverso la narice destra pensando la prima metà della Preghiera. Poi, chiudendo la narice destra col pollice, si espira attraverso la narice sinistra, pensando la seconda metà della Preghiera. Questo corrisponde ad un ciclo: se ne fanno sei. La concentrazione è sul respiro, sulla qualità di ciascun atto respiratorio; essa impara a fluire con il suo fresco o il suo tepore (inspirazione – espirazione) e a gioire pienamente di ciascun atto respiratorio. [II] Si inspira profondamente attraverso entrambe le narici producendo un leggero suono nella gola e visualizzando la prima metà della Preghiera che sale lungo la spina dorsale fino alla zona occipitale; poi si espira pensando alla seconda metà della Preghiera che scende lungo il cammino inverso. Dopo 43 La parte introduttiva può essere fatta anche al mattino. Poi, durante la giornata, quando è possibile isolarsi, si riprende brevemente la procedura [II] oppure la [IV] e si pratica la seconda parte. 152 alcuni giorni si riescono a pensare le sillabe della Preghiera, ciascuna in un Chakra diverso: metà in salita (Chakra 1, 2, 3, 4, 5 e regione occipitale) e metà in discesa (zona del Midollo allungato e Chakra 5, 4, 3, 2, 1). L’esercizio è ripetuto un minimo di 6 volte (circa tra12-24 è la dose ideale). [III] Dopo aver inspirato e posto le prime sei sillabe nei Chakra, trattenendo brevemente il respiro, si muove la testa leggermente verso sinistra; la settima sillaba è pensata nel Midollo allungato; poi si muove la testa leggermente verso destra e si pensa l’ottava sillaba nel Chakra cervicale. Poi si avvicina la testa diagonalmente al petto da destra come se si volesse toccarlo con il mento; si pensa la nona sillaba nel Chakra del cuore. Mentre la testa rimane giù, si espira e le rimanenti tre sillabe sono poste nei Chakra sottostanti. (Durante la successiva inspirazione il mento ritorna gradatamente alla sua normale posizione orizzontale.) La procedura è ripetuta 3 (o 6 o 12 volte). Poi si riprende brevemente la procedura [II]. Sei respiri bastano per ricreare lo stato di calma, che i movimenti del capo possono aver turbato. [IV] Con una breve inspirazione, pensando la prima metà della Preghiera, si solleva l’energia dal primo al secondo Chakra; segue una brevissima pausa (meno di un secondo); poi, con una breve espirazione pensando la seconda metà della Preghiera, si abbassa l’energia dal secondo al primo Chakra. Inspirando (sempre per la stessa durata), pensando la prima metà della Preghiera, si solleva l’energia dal primo al terzo Chakra; segue una brevissima pausa (meno di un secondo); poi, con una breve espirazione, pensando la seconda metà della Preghiera, si abbassa l’energia dal terzo al primo Chakra. (Durante questo secondo respiro è come se il secondo Chakra non esistesse). Ora dovrebbe essere chiaro come l’esercizio prosegue. …. Si solleva l’energia dal primo al quarto Chakra e poi lo si abbassa. (In questa fase è come se il secondo e il terzo Chakra non esistessero.) ….stessa cosa dal primo al quinto…. ….stessa cosa dal primo alla nuca…. ….stessa cosa dal primo al Midollo Allungato…. ….stessa cosa dal primo al quinto…. ….stessa cosa dal primo al quarto…. ….stessa cosa dal primo al terzo…. ….stessa cosa dal primo al secondo. Questo è un ciclo. Esso è composto dunque di 10 respiri e dura circa 40/60 secondi. Per prevenire dei dubbi chiariamo che i vari respiri hanno tutti la stessa durata 153 anche se i percorsi dell’energia possiedono lunghezze diverse. Dopo due, tre cicli si percepisce un gran senso di interiorizzazione. 44 Seconda parte – solo Preghiera A questo punto della pratica il proprio isolamento viene difeso con ogni mezzo. Per nessuna ragione si dovrebbe permettere che altre persone lo disturbino - se ciò avviene, si riceverà una ferita interiore. Dopo aver tratto tre respiri profondi, ciascuno che termina con un’espirazione rapida e completa come un sospiro, e dopo aver dimenticato del tutto il respiro, si sussurra l'intera Preghiera, con molta calma, ponendo la consapevolezza nel primo Chakra - la regione del coccige. La qualità richiesta è un perfetto equilibrio tra la tensione per la perfezione tecnica e aspirazione spirituale. Successivamente si passa alla zona dell'osso sacro dove, all’interno della spina dorsale è localizzato il secondo Chakra, poi al terzo nella regione lombare all'altezza dell'ombelico, poi al quarto nella zona dorsale all'altezza del cuore, poi al quinto dove incominciano le vertebre cervicali, poi si passa alla regione occipitale, dove l’attaccatura dei capelli forma una specie di vortice. Poi, senza alcuna fretta, si scende con la coscienza nel Midollo allungato e vi si sussurra dolcemente la Preghiera, poi si passa al Chakra cervicale, al dorsale ecc.. fino al primo Chakra. Questo è un giro: a questo punto, molto probabilmente si sente l’urgenza di mantenere il silenzio e proseguire la ripetizione mentalmente. La si pensa una volta ancora nel primo Chakra, poi nel secondo e così via… poi giù… e si continua in tal modo (su e giù) finché c’è tempo. Si attraversano diverse fasi. 45 (a) Nella prima fase si incontra una totale immobilità. La consapevolezza del proprio esistere è intensificata. La vita intorno è momentaneamente estranea. C'è una gran resistenza ad interrompere l’immobilità fisica. Gli occhi, se fossero eventualmente aperti o mezzi chiusi, 44 La procedura appena descritta è un modo meraviglioso di guidare la forza che si origina dalle tre pratiche precedenti, e che si sente fortemente irradiare dal Chakra del cuore, in tutti i Chakra. Inoltre è provvidenziale per coloro la cui condizione di salute (mentale o fisica o entrambi) rende impraticabile il Pranayama di base [II]. 45 Eminenti mistici hanno spiegato che questa "Orazione interna" si sviluppa attraverso diversi gradi; è necessario cominciare umilmente e pazientemente dal primo e poi salire fino allo stato più elevato. La preghiera comincia con una azione, poi diventa gradualmente una condizione, uno stato di coscienza. 154 si chiuderebbero da soli. Se sono tenuti aperti - per esempio per evitare la sonnolenza - allora non si vede nulla. La Preghiera dà il potere di "vedere", di "toccare" ciascun pensiero e quindi "fermarlo". Il modo con cui si pensa la Preghiera in ciascun Chakra dovrebbe essere adeguato alle proprie necessità. Ci sono ovviamente diversi modi per farlo; qui abbiamo indicato il più semplice, ovvero il fermarsi in ciascun Chakra il tempo necessario per pensare lentamente una volta sola la Preghiera completa. È possibile pensarla due, tre volte. L’esperienza insegna a non fermarsi in un Chakra per meno di 10 secondi e a non fermarsi più di un minuto.46 (b) La seconda fase è quella della percezione della luce interiore (o suono, o sensazione di movimento). Continuando con la Preghiera mentale, si percepisce una luce nel Kutastha e sopra la testa; essa varia da un'intensità diffusa alla luce brillante del cosiddetto occhio spirituale. L'intero essere pare costituito da una sostanza fatta di luce dorata. Si possono sentire dei suoni interiori o può apparire, in ciascun Chakra, la sensazione di un movimento interiore. Quasi originato dalla sillabe della Preghiera, esso è un senso paradossale di movimento nella più totale immobilità. Questo fenomeno è descritto in modi diversi nei vari percorsi mistici (nel sentiero mistico Cristiano si riferisce l'esperienza di "essere toccati dal Divino"). (c) La terza fase è il contatto con la gioia spirituale. A questo punto la pratica della Preghiera quale ripetizione mentale di parole tende a perdersi per strada. La persona ora sente di essere invasa da qualche cosa che ha, per così dire, il sapore dell'eternità. La coscienza è trasportata lontano, più lontano di qualsiasi territorio noto. È uno stato che rende la morte indifferente; da esso nasce un incommensurabile bene. L'anima sente di essere in contatto con una bontà infinita (non conosco un altro modo di descrivere ciò, prendo a prestito un'espressione di S. Teresa d’Avila). Mentre sta sperimentando questo e godendo di tutta la dolcezza che ne nasce, è normale che la mente dia gli ultimi segnali di una certa attività. Talvolta lo sguardo interiore si volge, teneramente, a qualche immagine che appare sullo schermo mentale. Può essere qualcosa di simbolico, ciò che rimane di un ricordo, trasfigurato dalla gioia nata dalla meditazione. Non disturba. 46 La ricerca della perfezione non è una volontà cieca di colpire il bersaglio, essa implica il rispetto per la bellezza e l’importanza di ciascun dettaglio. Il sentiero Kriya non è solo una benedizione che piove dall’alto: è uno sforzo vasto, complessivo (intuizione e creatività al primo posto) nel quale accettiamo di imbarcarci. 155 (d) La quarta fase è la cessazione del respiro. Proseguendo con la Preghiera mentale, si raggiungere quella regione a metà strada tra Preghiera e respiro, dove entrambi scompaiono e diventano pura forza mentale (un potere di toccare internamente ogni cellula del corpo). Si sente un’energia fresca e luminosa che sostiene il corpo dall’interno. Si scopre che il respiro è scomparso. La coscienza è oltre il corpo, in una dimensione di azzurro nella testa estendendosi dietro il Bindu e anche un po’ più in su. (e) La quinta fase è lo stato dell'estasi (Samadhi). Uno stato dove la coscienza è totalmente isolata dall’esterno - non c'è respiro e il polso è praticamente inesistente. Viene da sé, quando il tempo è maturo. (f) La sesta fase è l’emersione per ritornare al vivere quotidiano. Prima di alzarsi dalla posizione adottata per la meditazione e ritornare in piena attività, si ripete almeno tre volte la Preghiera nel punto tra le sopracciglia (Kutastha). Intensificando la concentrazione, le sillabe sono percepite come l’azione di un pulcino che cerca di forare, col becco, il guscio che lo racchiude. Praticando intensamente la Preghiera in tale punto si ha l’impressione che tutto si metta a posto e la routine si chiuda nel migliore dei modi. Commento Quando si inizia la pratica è fisiologico incontrare varie distrazioni. Queste sono da accettare senza innervosirsi e senza crearsi complessi; talvolta si scivola nello stato di sonno. Per evitarlo, chi pratica impara a stabilirsi nell’area intermedia tra le percezioni della realtà esterna e la fascinazione della beatitudine interiore. La coscienza assume quel distacco vigile che permette di rimanere pienamente desti nel viaggio che sta per iniziare verso l'esperienza dell'esistere oltre il corpo, nell'eternità. Muovendosi attraverso i Chakra, la vibrazione del Mantra attraversa tutti i piani dell’essere. I Chakra vengono percepiti come differenti livelli di consapevolezza. Lo stato d’animo è sollevato. Quando i movimenti della testa accompagnano la Preghiera, le sillabe "scivolano" all’interno ed entrano nel cuore. Una grande forza d'amore pervade l'essere. La preghiera non è più una azione ma uno stato di estasi dove la mente-ego non esiste più. In certe occasioni questo sentimento è paradossale: esso consiste nella presenza simultanea di una mite forma di dolore mescolata con la percezione di una dolce bontà, che non può essere comparata con alcun piacere della vita. Quando uno indulge nel goderla, lacrime di gioia scendono - è difficile sostenere la forza di tale esperienza. 156 Dicevamo che possono emergere dei ricordi: questi non vanno mai ostacolati! Durante una "esperienza di quasi morte" (viaggio nel tunnel del Kutastha) uno si ricorda di tutti i dettagli della sua vita: questo fatto è molto significativo e va capito. I Chakra sono collegati col cervello e la memoria è là. Mentre l'energia sale nella spina dorsale, i ricordi avvengono in maniera vivissima, la gioia interiore aumenta enormemente. La meditazione comporta un riaffiorare alla coscienza di varie esperienze passate; più in generale, l'esperienza spirituale è strettamente legata alla dimensione della memoria. L'essenza di alcuni eventi passati è rivissuta brevemente, in un istante di gioia, trasfigurate in luce. Una volta ottenuto il pieno fulgore di una ricordo, lo stato di Samadhi è vicino - più vicino che mai. Al ritorno allo stato di coscienza normale uno si chiede come può, dove può trovare la forza di praticare il Kriya per anni, colui che non ha mai avuto neanche il più piccolo assaggio di questo stato. Forse possiamo benedire certe diffuse illusioni sul Kriya, certe credenze erronee, in quanto, se non altro, tengono uno legato a tale pratica fintanto che la vera esperienza si produce; dopo di che, la persona, sbalordita dall'ampiezza e dal sublime sperimentato, non ha più bisogno di ascoltare storielle e Satsanga (prediche) e continuerà sostenuto da una perenne gioia che fa capolino tra i suoi pensieri e si manifesta pienamente nei momenti di calma. Il sentiero Kriya viene vissuto con una coscienza che risiede contemporaneamente in due dimensioni: la vita terrena e il mondo dell'aldilà. La "dimensione celestiale" rivela l'oro che si nasconde dietro ogni fatto della vita quotidiana. La pratica quotidiana della Preghiera contrassegnerà la stupefacente ed ubriacante coabitazione con un continuo stato di beatitudine. Esso è un sentimento intimo di presenza divina che assorbe ogni desiderio e riempie l'anima con una beatitudine ineffabile che permette di pregustare in terra le dolcezze celestiali! La Preghiera è una gemma meravigliosa il cui splendore riscalda la nostra vita. La Preghiera prende possesso di coloro che la sussurrano: è scritto che è la Preghiera che "pronuncia la persona", invece che la persona a pronunciare la Preghiera. La sua magia si diffonderà in ogni sfaccettatura della vita, sarà come camminare fuori da una stanza scura nell'aria fresca, nella luce del sole. Non ci saranno più problemi di aridità, mancanza di motivazione e difficoltà in concentrazione. Simili a colui che, vicino al focolare, si gode la bellezza dell’inverno ventoso, freddo, che circonda il nido della sua casa, colui che pratica il Japa (Preghiera continua) contempla sia il triste sia il gioioso spettacolo della vita, avendo 157 trovato nel centro del suo cuore l'infinità dei cieli! Nella vita ci sono dei momenti difficili; uno deve sopportare le sceneggiate che la vita implica. Dopo aver sfogato la sua indignazione, riguadagna l'autocontrollo con la Preghiera e riesce ad attraversare la vita con un sorriso. Quando si incontrano dei momenti in cui il sentiero spirituale sembra frantumarsi in mille maldestri tentativi, ciascuno fragile e vulnerabile, si ricomincia dalla Preghiera, dal Japa. La Preghiera è il filo rosso che attraversa tutte le fasi del percorso spirituale: trascurare la sua pratica significa abbandonare uno strumento formidabile - un errore imperdonabile! Ulteriori informazioni sulla Preghiera # Ci fu una persona con cui discussi il Japa. Praticava senza ottenere alcun risultato. Mi lasciò osservare attentamente la sua pratica e fui testimone di una pratica esangue, una stanca richiesta di misericordia a Dio. Non per nulla aveva cambiato il Mantra che avevamo discusso insieme con una espressione nella sua lingua madre che non era altro che un sospiro di autocommiserazione. Non c'era da meravigliarsi se, dopo alcuni giorni, abbandonò la pratica del tutto. Un giorno partecipò ad un pellegrinaggio di gruppo. Qualcuno incominciò a recitare il rosario - un numero fisso di ripetizioni della stessa Preghiera: a questo tutti i pellegrini si unirono. Anche se stanco e quasi senza fiato, il mio amico non si sottrasse a quest’atto ispirato a devozione. Camminando e sussurrando la preghiera, cominciò ad entrare in uno stato di tranquillità mai conosciuta prima. Guardò con occhi diversi lo spettacolo dei paesaggi che mutavano attorno a lui man mano che procedeva e gli sembrò di vivere una situazione paradisiaca. Quando il gruppo si fermò per una sosta intermedia ebbe la fortuna di essere lasciato solo – indisturbato; entrò in uno stato introspettivo e fu pervaso da qualcosa che vibrava nel suo cuore e che lui identificò come la Realtà Spirituale. Non c’era, come quando praticava il Kriya, il turbinio dei pensieri impazziti che elaboravano, in infinite varianti, le sue fantasie e paure; lo stato estatico assunse la consistenza della realtà, diviene quasi insostenibile, lo travolse. Questa esperienza gli insegnò il modo corretto di praticare il Japa. Mi rivelò che il segreto era raggiungere e superare lo stato di "sfinimento". Dopo alcune prove scelse con decisione un altro Mantra indiano e con esso raggiunse l’assenza di respiro. # Possono sorgere dei dubbi: «Qual è la migliore Preghiera per me, qual è il miglior modo di usarla?» Possiamo adattare una breve Preghiera, aggiungendoci Om o Amen all’inizio o alla fine, e ottenere una Preghiera di dodici sillabe. La preghiera scelta dovrebbe avere un tono forte e dolce allo stesso tempo. È importante gioire di essa. "Tono forte" significa che incompatibile con un atteggiamento di supplica o di lamento. La preghiera scelta non deve essere un'affermazione dei nostri limiti: deve implicare il presentimento di una felicità che con la stessa ripetizione attireremo a noi. La nostra intuizione ci guiderà a capire se una difficoltà iniziale col Japa - un 158 umore grigiastro durante il giorno - significa che la Preghiera scelta è inadatta. Può essere utile ricordare che il Japa si riferisce anche alla ripetizione di qualsivoglia suono puro [Mantra: da "Manas", mente e "Tra", protezione] che non possiede un preciso significato; può non essere una Preghiera nella comune accezione del termine. I mistici percepirono il potere inerente a certi suoni - che giunsero loro per mezzo dell’intuito - di penetrare i vari piani dell’essere, persino il piano fisico, e di portare grande pace e armonia ovunque. Ben noti sono i "bija" [seme] Mantra: HROM, KLIM, STRIM, VANG, DÚM, GLOM… Mantra più brevi - per esempio di due sole lettere come YAM, RAM, LAM… o di una sola lettera come OM, TA, VA, MA …. non sono usati di solito per il Japa (durante la vita quotidiana) mentre sono ampiamente usati durante la seduta di meditazione. # Molto interessante è la letteratura relativa all’Esicasmo, un movimento cristiano ortodosso che considera la pace interiore come una necessità d’ogni essere umano; il suo principale strumento spirituale è la "Preghiera continua, ininterrotta". L'essenza di questo movimento si trova nel I racconti di un pellegrino russo [Anonimo; Bompiani]; la storia è quella di un pellegrino di ritorno dal Santo Sepolcro che si fermò a Monte Athos e raccontò ad un monaco la sua ricerca, durata una vita intera, dell'insegnamento su come «pregare continuamente» - secondo le raccomandazioni di San Paolo. Egli era deciso a percorrere le steppe fino all’infinito pur di trovare una guida spirituale che gli svelasse il segreto di come riuscire a pregare in tal modo. Un giorno il suo ardore fu premiato e un maestro spirituale lo accettò come discepolo chiarendogli, nel corso del tempo, ogni dettaglio del sentiero spirituale. Quel libro spiega che la pratica esicasta prevede un esercizio di respirazione simile al nostro Pranayama con una precisazione sulla posizione della lingua simile a quella del Kechari Mudra. Il modo di pregare in solitudine ed immobilità ricorda il nostro Navi Kriya: c’è infatti un incoraggiamento ad essere saldi nella preghiera con la concentrazione sull’ombelico. È scritto che: «è possibile scoprire in se stessi un'oscurità senza gioia, senza luce interiore ma, perseverando, si raggiungerà una felicità senza limiti». Una volta superato l'ostacolo dell'ombelico, si apre, infatti, il sentiero che porta al cuore. Sublime - indimenticabile - è la descrizione del momento in cui la preghiera entra nel cuore; gli effetti ottenuti ricordano quelli del Thokar di Lahiri Mahasaya e ciò in modo molto preciso! Il colpire il Chakra del cuore è ottenuto coll'unire le sillabe della preghiera col pulsare del cuore. La coscienza scivola così nel luogo sacro del cuore e là contempla la Luce Increata, che è considerata il più alto dei conseguimenti mistici. # Thokar è lo stesso processo chiamato dai Sufi "Dhikr". Lahiri Mahasaya diede il Mantra islamico Lâ Ilâha Illâ Allâh ai suoi discepoli musulmani. Non abbiamo i dettagli esatti di tale procedura ma sembra ragionevole che la preghiera fosse sollevata (con o senza l'aiuto del respiro) da sotto l'ombelico su al cervello; dopo aver raggiunto il cervello, venisse spostata dal cervello alla spalla destra, poi alla 159 spalla sinistra e poi colpisse il cuore. Una moderna confraternita Sufi pratica nel modo seguente: "La" è posto nella testa, "ilaha" (con la testa che si piega a destra) nella parte superiore destra del torace "illaal" (con la testa che si piega a sinistra) nella parte superiore sinistra del torace, e "lah" (con la testa che si china in avanti) nel cuore; poi di nuovo "La" nella testa, sollevandola.... Qualsivoglia spiegazione del Dhikr nella letteratura Sufi è assai inspirante. Vengono date istruzioni per evitare le distrazioni, in modo tale che il cuore non sia occupato né con la famiglia né con i soldi. Si comincia la pratica pronunciando il Mantra ad alta voce - questo è il Dhikr della lingua. Si continua finché un grande assorbimento rende impossibile proseguire in questo modo. «La ruggine sul cuore è arsa, l'oscurità si trasforma in giorno e la candela della mente è resa inutile dal sole della luce divina.» Il cuore è continuamente impegnato nel Dhikr. Si persevera assiduamente, finché le sillabe sono cancellate dal cuore e solo il significato delle parole rimane: un tocco del divino ricordo fa impazzire la mente – esplode la più inebriante delle gioie. # Un affascinante campo di ricerca è come pensare/porre la Preghiera nel corpo. Mére mirava a portare la luce spirituale nel Suo corpo, ricaricando continuamente quest’azione con una sovrumana aspirazione verso un nuovo modo di esistere per poter incontrare il Divino non nei cieli ma nella materia. Sappiamo che il Suo Mantra era: Om Namo Bhagavate e che Lei cominciò a ripeterlo mentre camminava in lungo e in largo nella sua stanza. L'Agenda è uno splendido giornale di bordo della sua "impossibile" avventura. Parlando con Satprem, Mére descrive come, continuando a portare la consapevolezza nelle cellule del suo corpo, molte persone attorno cominciarono a reagire come se Lei si fosse introdotta nella loro intimità. Mentre alcuni ricercatori spirituali guardano alle Sue descrizioni come a delle cose assurde, esse sono indescrivibilmente toccanti ed ispiranti. Il Mantra si aprì la strada facilmente attraverso i vari strati della coscienza (pensieri, emozioni, istinti) fino ad illuminare uno strato negativo; qui c’era la base di tutte le impossibilità, l'origine d’ogni disperazione, depositate là lungo millenni. Ci volle molto tempo e fatica per attraversarlo, ma la consapevolezza toccò finalmente le cellule e un’incomparabile esperienza "esplose". Lei vi trovò un'eternità di perfezione! Ci sono descrizioni di mistici che "pensarono" la Preghiera nel corpo. Ho molte ragioni per credere che questa pratica sia tuttora in uso. Le loro preghiere erano molto brevi, arrivando persino ad essere costituite da una sola sillaba. La maggior parte preferiva l’uso di una vocale facendola vibrare soprattutto nei piedi; altri cominciavano dai piedi e gradualmente sollevavano la consapevolezza all’intero corpo. I pochi scritti di tali mistici sono pubblicati quasi esclusivamente da case specializzate nel campo esoterico e si possono trovare cercando fra testi d’occultismo e di magia. Kerning, Kolb, Lasario, Weinfurter, Peryt Shou, 160 Spiesberger... sono i nomi che mi vengono in mente. Questi mistici, sebbene siano nati nell’ambito della cristianità e si siano sentiti in completa sintonia con tale insegnamento, sono stati rilegati in un angolo come esponenti del pensiero esoterico, come se fossero dei maghi che aspiravano a sviluppare dei poteri nascosti. Il lettore che ha la pazienza di fare una ricerca in quel campo e passare oltre le pagine riempite di teorie e pratiche di poco conto, messe là quasi per confonderlo, troverà infine alcuni paragrafi d’inimitabile fascino. L'essenza del loro insegnamento è che una vibrazione di qualsivoglia suono, se ripetuta con immutabile concentrazione nel corpo, può raggiungerne gli atomi mentre l’anima vi scoprirà un diretto legame con l’Intelligenza Divina - «il corpo intero sarà attivato con nuova vita e sarà così fatto rinascere». 161 CAPITOLO III/3... ULTIMO CAMPO DI RICERCA Gli anni che seguirono alla rottura dei rapporti col secondo insegnante furono del tutto diversi dal resto della mia vita. Fu un periodo molto tranquillo, nel quale sperimentai la serenità che proviene dal dedicare tutti i propri sforzi ad un unico scopo: il Kriya, praticandolo intensamente e scrivendo su di esso. Non ci fu nulla di più bello che gioire dei processi verticali. Avendo mandato a quel paese il mio secondo insegnate, una situazione snervante era finita. Non dovevo più andare di qua e di là per organizzare i seminari a quel losco personaggio. Non dovevo più indossare maschere ipocrite per quanti mi chiedevano informazioni su di lui, ma la cosa più importante era il fatto che mi sentivo libero dentro. Acquistai un computer e, da prigioniero volontario, ridussi al minimo la vita sociale e intrapresi il lavoro di scrivere il libro. Il tempo impiegato per giungere a quest’ultima versione è stato fin troppo lungo. Alcuni amici, notando le varie edizioni del libro, mi prendevano in giro e dicevano che non avrei mai posto la parola fine all’impresa. Fu allora che incontrai nuovi ricercatori e appresi da loro altre tecniche Kriya (che pur non essendo cruciali, erano comunque importanti e preziose); risposi alla loro gentilezza condividendo quanto conoscevo. Ovviamente non accettai qualunque cosa mi venisse detta. Con la deludente esperienza con la mia prima scuola di Kriya avevo ormai perso la mia innocenza: quelli in cui avevo posto la più totale fiducia, mi avevano deluso. Dopo che ebbi la prova che loro avevano in qualche modo modificato il Kriya - anche se mi fu detto che le semplificazioni erano state fatte per il bene di noi occidentali - non credetti mai più ciecamente ad alcuno! Una minaccia al mio senso di pace fu il ricorrente pensiero che stavo violando una regola sacra: la segretezza. Questo pensiero appariva, talvolta, come una stretta dolorosa nel petto e un senso generale di disagio ed irrealtà. Tra tutti i ragionamenti che allora feci, uno mi aiutò spesso a riconquistare quasi istantaneamente uno stato d'animo ben disposto: il Kriya è universale, è il meglio di diverse tradizioni, nessuno può avanzare pretese di proprietà esclusiva. Quando cominciai a scrivere le tecniche, cercai di estrarre l'essenziale dai miei consistenti fascicoli di appunti, raccolti in tanti anni presso insegnanti diversi. Scartai alcune varianti che erano ridondanti ed inefficaci, mettendo in luce il nucleo essenziale di ciascuna tecnica privato di tutti i fronzoli. Tuttavia c'era l’impressione di trovarmi a ricomporre un ampio puzzle, senza avere qualsiasi anteprima di quello che sarebbe apparso alla fine. Non sapevo se il 162 quadro finale prevedesse quattro, sei o più livelli di Kriya. Inoltre, nella situazione in cui se ne fossero enucleati quattro, non sapevo se questi dovessero essere posti in corrispondenza biunivoca col processo di sciogliere i nodi interiori (lingua, ombelico, cuore, coccige). Praticai tutte le tecniche in grandi quantità. Potei dedicare una più costante attenzione a quello che, anni prima, era stato affrontato in modo superficiale. Riconosco che in passato, la forza trainante fu anche il desiderio di completare al più presto possibile il numero di ripetizioni prescritte per ciascuna tecnica onde ottenere dal mio insegnante l’iniziazione successiva. Il desiderio ardente di "spremere" qualunque cosa potesse insegnarmi, era causato dal timore che, per qualsivoglia motivo, non sarei stato più capace di contattarlo in futuro. I processi verticali rivelarono il loro grande valore euristico. Alla luce di questa pratica, il nucleo essenziale di ciascuna tecnica, privata di qualunque abbellimento, appariva come qualcosa di inevitabile, qualcosa che non poteva essere altro che così. Se una certa variante di una tecnica Kriya - che mi era stata insegnata in passato – era superflua o inefficace, finiva necessariamente per auto eliminarsi. Scrivere e riscrivere il libro fu in se stesso un processo di pulizia interiore. Percepii nettamente questo fatto ogni volta che abbandonavo certi punti di vista e cestinavo parti del libro. Questa fu la sorte di un insieme di tecniche, che mi era stato presentato come il Dhyana Kriya: il loro strumento base era il potere, portato all’esasperazione, della visualizzazione. Già eminenti scrittori [vedi Puran Purush] avevano fatto notare come tali pratiche non potevano avere diritto di cittadinanza nel Kriya di Lahiri; esse non hanno alcuna somiglianza con altre tradizioni mistiche ma presentano una forte analogia con la tradizione esoterica o magica. Non avevano nulla a che fare con la percezione Omkar o con lo stato di assenza di respiro. Sperimentai in modo molto evidente la loro inutilità e pericolosità: fu un sollievo ripulire per sempre la mia vita da tale ciarpame. Dopo molti ripensamenti, decisi di descrivere tutte le tecniche nello schema di quattro Kriya (evitando di utilizzare nomi di fantasia come quinto, sesto Kriya) e di considerare ogni altra valida tecnica Kriya come appartenente ad uno dei quattro livelli. Ragionai in questo modo: se Lahiri Mahasaya aveva detto che la realizzazione avveniva con lo Yoni Mudra, ciò significa che l'ultimo sforzo di un kriyaban deve avvenire nel Kutastha. Il Quarto Kriya rappresenta esattamente questo lavoro, quindi non è opportuno considerare qualsivoglia altra sottile azione – come stabilire la consapevolezza nel Sahasrara – come situata idealmente al di sopra del Quarto Kriya. Potrà essere considerata soltanto come un completamento, una variante o persino 163 solo una introduzione ad esso. I quattro Kriya costituiscono un insieme armonioso. Il primo livello ruota attorno al Pranayama, calma il respiro e convoglia l’energia nella spina dorsale, il secondo la focalizza nel cuore mentre il Kutastha comincia a rivelarsi. Con l’aiuto del terzo, il kriyaban si stabilisce nello stato di assenza di respiro e diviene capace di entrare nel Kutastha. Il quarto è il compimento del terzo. Spero che il lettore apprezzi le informazioni contenute nel libro. Non affermerò dogmaticamente che il "mio" è il vero Kriya. Allo stesso tempo non ho dubbi sul valore di ciascuna tecnica descritta. Le tecniche condivise sono una semplice e logica traduzione in pratica del pensiero di Lahiri Mahasaya. Un kriyaban che si dedica totalmente a cercare solo la meta mistica e non la chimera dell'auto miglioramento, scoprirà che l'intelligenza entro la vibrazione Omkar è la migliore guida per decidere il valore di ciascuna tecnica. Ciascuna procedura valida deve produrre la calma del respiro, la percezione del suono interiore e uno stato generalizzato di equilibrio. Ora aggiungerò alcune note sui processi verticali e poi prenderò in considerazione il concetto di Pranayama col respiro interiorizzato, cui si accenna su qualche libro di Kriya. Kechari Mudra I primi giorni in cui appresi a inserire la lingua nella faringe nasale, provai un senso di irritazione in tale zona e un aumento del processo di salivazione con la necessità di ingoiare molto frequentemente. Ma il vero problema fu un senso di "intontimento": le facoltà mentali erano come ottuse. Dopo due settimane, tutto sembrò ritornare alla normalità. Quando il Kechari Mudra nella sua forma finale (ovvero con la lingua entro la faringe nasale che tocca il tetto del palato) veniva praticato per ore, una felicità inusuale era percepita durante il giorno successivo alla pratica – e questo anche senza praticare alcuna tecnica, nemmeno il Kechari. Quando, ispirato dalle parole di Lahiri Mahasaya secondo cui la lingua avrebbe potuto essere spinta più in alto e la sua punta toccare un centro più elevato nella parte superiore della faringe nasale, provai ad estendere la lingua al massimo limite, sperimentai una grande forza di attrazione verso il Kutastha unita alla sensazione di aver raggiunto una posizione fisicamente più in alto. Come qualsiasi atlante d’anatomia può mostrare, la lingua, completamente contenuta nella faringe nasale, non può raggiungere alcuna parte superiore. Credo quindi che l’affermazione di Lahiri Mahasaya debba essere presa in un senso interiore e riguardi il livello vibratorio dell’energia. A volte penso che il Kechari Mudra esaurisca un sentiero spirituale 164 completo, indipendente. Credo che passando ore a percepire il nettare e in contemporanea tenendo la coscienza nel Kutastha si possa indurre lo stato di Samadhi. È un tecnica di grande valore: sin dalla nascita, la nostra energia ha continuato a fluire verso l’esterno rendendoci incapaci di prendere contatto con la nostra riserva interiore d’energia. Il principale scopo del Kechari Mudra è di riacquistare tale abilità; percepire il nettare è il segno del contatto ristabilito. Qualche volta non ci rendiamo conto di quanta energia sprechiamo quando immaginiamo di parlare ad una persona o comunque esprimere in pubblico il nostro pensiero. Questo "colloquio interiore" è una maniera perniciosa di consumare la nostra vitalità. Il Kechari Mudra può mutare quest’atteggiamento nel suo opposto: quello in cui solamente le reali esperienze ed attività quotidiane sono prese in considerazione e metabolizzate per mezzo dello specchio dell’intuizione. Processo verticale del Navi Kriya L’unico problema incontrato fu che, talvolta, sullo schermo interiore della consapevolezza apparivano visioni che definisco sogni ad occhi aperti. Questo è il motivo per cui fui spinto a praticare talvolta con gli occhi semichiusi. Questo disturbo – ora lo considero un processo fisiologico – non poteva essere evitato in alcun modo. Non mi fu d’aiuto il praticare diverse volte il Maha Mudra; mutare la posizione delle gambe, come pure interrompere, per una pausa, la pratica. Nel già citato libro I racconti di un pellegrino russo il protagonista descrive come la nube dei suoi pensieri lo circondava ogniqualvolta praticava il suo metodo di preghiera: egli sperimentava «una gran pesantezza, letargia, noia e un’invincibile sonnolenza». Questo è un fenomeno universale: un kriyaban dovrebbe acquisire l’abilità di mantenersi pienamente consapevole, pur restando in quello stato di diffusa ed irresistibile quiete che sembra precedere il sonno. Solo quando accettai pienamente di osservare da testimone una continua profusione d’immagini provenienti dal mio passato, quando smisi di combatterle nel tentativo impossibile di bloccarle, avvenne un miracolo. Invece di dare origine ad una catena incessante di pensieri, quelle immagini si trasfigurarono in una bellezza senza fine, scomparvero come se la loro vera essenza fosse solo beatitudine. Un filo interno collegava tutte le mie azioni passate e le forze che ora mi guidavano. Era chiaro che, attraverso delle mete intermedie, avevo sempre cercato la realizzazione mistica. Quelle immagini mi invitavano a gettare uno sguardo alle indistinte sorgenti da cui si originava il mio presente corso di vita. Il mio cuore era afferrato dalla certezza che qualche cosa di puro, 165 incantevolmente puro, presente in passato, stava emergendo di nuovo nella mia vita. Non appena gli effetti della pratica si cristallizzarono nella mia coscienza in un ordine totale e diedero origine ad un'azione coerente, pensai al comportamento di Achab nel Moby Dick di Melville: «Il percorso verso il mio scopo fisso è posato con sbarre di ferro, su cui la mia anima è scanalata per correre. Nulla è da ostacolo, nulla forma un angolo alla mia strada di ferro!» Tra altre realizzazioni che avvennero durante questo processo, notevole fu la chiarezza mentale ottenuta: probabilmente questo dipendeva dalla forte azione sul terzo Chakra che presiede alle funzioni del processo pensante. Processo verticale del Pranayama Per quel che riguarda il processo verticale del Pranayama, raggiungere le 720 ripetizioni di esso non fu un lavoro estenuante ma naturale. Varie volte ebbi la possibilità di praticare in campagna e l'esperienza fu eccezionale. A metà del percorso ebbi, di notte nella prima fase del sonno, delle esperienza molto intense di salita di energia nella spina dorsale accompagnata dalla visione di tre montagne bellissime. Quella centrale, la più alta, era nera e ricordava nella forma la punta di una freccia fatta di ossidiana: fu nella visione di questa che mi trovai rapito. Il mio cuore esultava, ero pazzamente innamorato di quella cosa astratta; quando l'esperienza finì stavo piangendo di gioia. Non più supino, appoggiai la schiena ad un sostegno. Mi fermai a sentire quella particolare forza e pressione che aumentava e aumentava e mi serrava l’intera zona del torace e mi schiacciava con la sua stretta di beatitudine. Quell’immagine era forte, tremendamente forte davanti a me. Non c’era nulla di più bello, che mi facesse maggiormente vibrare d’amore. Credo, una sera, di aver toccato quello stato a cui Krishnamurti tante volte allude nei suoi libri migliori tra cui, sommo, La sola rivoluzione. In campagna, vicino al completamento del numero previsto di Pranayama, cominciai ad essere consapevole dell'aria fresca attorno a me, la sentivo avvolgermi come una gradevole carezza sulla pelle. Gli uccelli cantavano tra gli alberi vicini. Praticai con gli occhi aperti; una bella montagna occupava quasi tutta la parte sinistra dell’orizzonte, le nubi bianche a cumuli riempivano al cielo ... e venne il silenzio, un silenzio perfetto che il canto degli uccelli non turbava e questo silenzio era dentro di me, era la mia mente... e il Kriya non era un lavoro, una fatica, un esercizio... avrebbe potuto continuare per l'eternità…. ed era bello, gradevole, naturale. Non capivo come, un tempo, anche un decimo di questo Kriya mi avrebbe dato nervosismo, non capivo il miracolo di questo Kriya... perché io ero questo Kriya e questo Kriya era la carezza dell'aria attorno a me... ed era il canto degli uccelli, ed era la montagna! 166 Belle giornate davvero! Se ripenso a quel Pranayama che assumeva la consistenza di quel cielo d’estate, mi viene in mente la frase di Aurobindo: «Abbastanza, abbastanza della mente e delle sue false stelle, accendiamo i soli che mai si spengono!» Diversi tipi di Thokar Nel capitolo II/4 commentando gli effetti del Thokar ho cercato di dare una idea di quanto si prova nel magico periodo in cui ci si tuffa in questa pratica meravigliosa. Che giornate di grazia, di ebbrezza! Mentirei se non dicessi che ne ho una nostalgia infinita. Credo di aver realmente esagerato. Non praticai solo le varianti descritte ma anche altre (che non ho descritto per evitare confusione) e posso dire con tutta tranquillità che esse si equivalgono. Il nucleo della pratica è il colpo, non tanto fisico ma interiore sul Chakra del cuore, che viene percepito come una intensificazione di energia in tale zona. Comunque non si vive di soli stati di ebbrezza, ma anche di sobrietà e questa tecnica è regina nel regalarli, e in modo permanente. Consideriamo infatti il risultato principale a cui la pratica fervente, ardente ed entusiastica del Thokar conduce. Può essere definita come il potere di tenere a bada le emozioni superficiali - questo ha una conseguenza profonda sulla vita pratica. Maturità emotiva significa che le decisioni che contano devono originarsi dalla reale saggezza e non dalle emozioni superficiali. Apriamo una parentesi e osserviamo quello che le emozioni possono provocare nella propria vita. La discriminazione dovrebbe sempre essere la qualità principale che presiede al nostro modo di vivere fra le altre persone, non ci dovrebbe essere perciò posto per alcuna decisione frettolosa. Spesso emozioni violente, frenetiche ed isteriche sorgono improvvisamente nel nostro essere e poi scompaiono: esprimono una realtà privata d’autentica profondità ma possiedono una forza propulsiva che termina in azioni affrettate, vissute in una specie di febbre cerebrale nutrita da un angusto piacere viscerale. Mentre la passione infiamma l’intero essere, non è possibile ascoltare la guida del buon senso: perciò impegnativi schemi di comportamento - quelli che ci spingerebbero verso uno stadio più evoluto e completo dell’esistenza - cedono spesso ad arresti irrevocabili. Qualche volta decisioni fatali cominciano a prendere forma nella nostra immaginazione qualche tempo prima - proprio come in estate i grani di grandine sono creati, condensati ed ispessiti nell'aria prima di precipitare sulla terra producendo tutti i disastri - specialmente quando ci attardiamo a fantasticare su come cambiare in meglio la nostra vita. Durante quei sogni ad occhi aperti, quando ci afferra l'idea di evitare qualche cosa di difficile, galleggiamo in una felicità illusoria. Questa prospettiva sembra dare più 167 "luce" alla nostra esistenza, e ciò che in passato ci avrebbe fatto vergognare per viltà, ora sembra brillare all'orizzonte della nostra esistenza come il riflesso di un cielo sereno e trasparente luccica sul flusso della corrente. Una persona non solo si consola progettando di rimandare un difficile esame universitario, ma abbraccia, all'improvviso, il progetto di abbandonare l’intero corso di studi. Il danno che le emozioni fanno è di renderci ciechi: non riusciamo a vedere che questo salto ideale ed improvviso nella "nuova felice condizione" distruggerà per sempre una grande insostituibile occasione di crescere. Nello stesso modo avviene la decisione di porre fine bruscamente ad una difficile relazione umana. Qualche volta siamo fiduciosi che un’importante nostra relazione non possa che procedere per sempre proprio come adesso, senza che avvenga mai nulla di nuovo; rilassati, non possiamo considerare seriamente nulla che possa anche lontanamente minacciare la nostra infantile immaginazione di essere giunti ad una sintonia perfetta con un altro essere umano. Non appena viene dall’altra persona il minimo cenno che qualche cosa in questo legame dovrebbe essere riconsiderata, ricostruita diversamente o comunque discussa con serenità e impegno, reagiamo come se un’inutile e crudele violenza da parte di quella persona venisse a ferire il nostro essere. Sentiamo come se l’altro non apprezzasse la pace presente e, con sadismo, volesse tirare fuori argomenti inutili onde produrre discussioni snervanti. Eventualmente noi vorremmo posticiparle, o meglio non affrontarle mai, perché con tutto il nostro essere decretiamo che esse non sono di alcun valore. E se alla fine riconosciamo la reale necessità di affrontare una discussione sgradevole, ritornando eventualmente su argomenti che credevamo di avere risolto ed esaurito perfettamente in passato, ci sembra come di ingoiare un pezzo di pietra nera dai bordi taglienti. Chi crede di ascoltare il suo cuore, ma in realtà è guidato dalle emozioni più violente, può, in tale occasione, con un'azione di "raggiante" libera volontà, che rende sconcertati gli astanti, rompere definitivamente la relazione suddetta, rifiutando ogni discussione. Negli istanti seguenti, specialmente quando ci potrebbe essere ancora la possibilità, quindi il "rischio" di ritornare sui propri passi, l'orgoglio preverrà su tutto, ingrandendo all’eccesso l’eccitante piacere presente. L’esistenza apparirà ora splendida, come non lo era mai stata, la persona si sentirà come rinata dopo una lunga e sofferta malattia e godrà d’ogni minima azione con un’ininterrotta voluttuosità, circondata da lampi d’azzurro. Ma è questa la libertà? È questo l’"agire col cuore" di cui tanti parlano? Come potrebbe essere definita felicità il camminare fra le ceneri di quello che, pazientemente e con molti sacrifici, era stato costruito in anni e per il quale 168 avevamo tremato, pianto forse? Eravamo totalmente ciechi? No, la cecità è nel cedere ora ad una rovinosa emozione! Questa è per la nostra vita come un asteroide che precipita nell'atmosfera terrestre provocando fuochi e distruzione. Dopo un po’ di giorni, la persona che ha preso quell’infelice decisione sentirà un peso nel suo petto; una tristezza indefinita tinta di pessimismo verso le relazioni umane rivelerà che quest’esperienza non è stata per nulla un "volo verso l'alto." Una parte del proprio essere è persa per sempre, intrappolata in quella relazione, appartenente ad un passato che non si sa ritrovare a causa del rifiuto della coscienza di sostenere il pieno impatto di un ricordo veritiero ed onesto. Il sottile inganno della mente stabilirà in noi la convinzione che avevamo vissuto una relazione con la persona sbagliata, e questo sarà ciò che ci ripeteremo, affrettatamente e perentoriamente, tanto per far tacere la coscienza che ci invita a vedere l’episodio nella sua vera luce. Ripeteremo di «avere agito con il cuore». Eppure nella nostra azione affrettata, come possiamo pretendere di averlo ascoltato? Il cuore chiede un silenzio onnicomprensivo per far sentire la sua voce in mezzo al coro dei luoghi comuni. Chi agisce obbedendo alle leggi del cuore non ha mai fretta, perché sa che la sua visione è incrollabile, che sopravvivrà ai barlumi passeggeri degli inganni momentanei. La pratica del Thokar rompe ogni illusione e guida verso l'accettazione della verità emotiva che muove le azioni umane. 20732 Omkar Pranayama Questo è uno di quei compiti che mentre lo si fa, pur percependo enormemente il suo effetto, ci si sente così indegni e così incapaci di praticare che già si comincia a fantasticare se portarlo avanti alla meno peggio, concluderlo tanto per mettere un po’ a posto la coscienza e riprenderlo daccapo, più profondamente, in futuro. Mi si permetta di dire, sperando di non essere frainteso che esso "invecchia" una persona, in saggezza e temperamento, di una ventina di anni. Vediamo di spiegarci: non è che tolga vigore al fisico, semmai il vigore, il disturbo delle emozioni superficiali - un po’ come il Thokar, per intenderci. Passa la voglia di avere subito qualcosa, la smania di decidere subito a riguardo di un certo progetto; si impara a godere della vita e questo perché si impara a vivere e muoversi nel flusso di Omkar – anche se non è detto che si percepisca continuamente la sua vibrazione. Dal punto di vista tecnico, mi capitò di sviluppare un modo di pratica, diciamo ad "elica". Esso incominciò interiorizzando il giro nella testa sentendolo avvolgere sempre di più il Midollo allungato. Quando cominciava 169 l’espirazione e pensavo a Teeee, mi trovavo già lì da alcuni istanti e "stringendo l’elica" intensificavo come non mai la presenza entro tale centro. Tutto ciò si estendeva poi naturalmente ai Chakra sottostanti – per lo meno nella espirazione – e in particolare al Muladhar. In altre parole, il percorso di discesa non era più lineare ma simile ad una elica che circondava ed accarezzava ciascun Chakra. Devo aver letto da qualche parte che, nel Pranayama, il respiro (ovvero l’energia) attraversa i Chakra come un filo attraversa delle perle. Ebbene quest’immagine, molto carina, era il contrario di ciò che avveniva: il filo non infilzava le perle, si dipanava e le avvolgeva. Incontro col movimento Trivangamurari Uno dei miei insegnanti, presentando questa tecnica, affermò che il flusso interiore Trivangamurari passa attraverso il Chakra del cuore e pulisce via tanta sporcizia; da qui la causa del suo particolare effetto estraniante. Durante i mesi di pratica, stati d’animo opposti potrebbero alternarsi e creare degli ostacoli; l’intuizione consiglierà come mantenere un controllo complessivo. L’azione di tale tecnica si riflette su certe energie presenti nel quarto Chakra e questo crea una modifica totale delle prospettive dalle quali si guarda alla vita. Per quanto riguarda la mia esperienza, dopo le prime settimane di Amantrak, quando praticavo circa una cinquantina di giri, sentii che stavo per esplodere! Questo avveniva ogni volta che l'energia, scendendo sul lato sinistro della spina dorsale, raggiungeva il Muladhar. Quando mi svegliavo la mattina, restavo per alcuni minuti nell'aura di sogni molto coinvolgenti, come dopo un'avventura profondamente intrigante ed affascinante. In seguito mi ritrovai in uno stato d’animo molto strano: durante il giorno mi sentivo senza entusiasmo, non c'era luogo dove potessi sentirmi a mio agio e non c’era alcuna attività che mi desse soddisfazione. Nel passato, quando camminavo in campagna, ero abituato a percepire una bellezza che sembrava uscir fuori da ogni cosa che mi circondava; ora non sentivo più nulla, ero estraneo a tutto. Per un intero mese passai la maggior parte del tempo a casa, come convalescente. Alla fine, facendo leva sulla forza di volontà, riuscii a completare le dosi previste per questa tecnica. Secondo Kriya come insegnato dalla scuola [C] Cominciai il Samantrak proprio quando un marzo straordinario, con un cielo libero da nubi, azzurro, e l'aria fresca m’invitarono a praticare all'aria aperta; l'abitudine ormai ben stabilita di metabolizzare grandi dosi di Trivangamurari mi avevano reso capace di vivere questo processo come un piacevole impegno, senza confrontarmi affatto con alcun problema. 170 Le sillabe del Mantra che ponevo con cura come dei semi in ciascun centro, avevano una radiazione simile al sole che stava riscaldando la natura, esse facevano sì che qualche cosa s’incominciasse a percepire nel cuore: una specie di tensione di tenerezza. Il flusso Trivangamurari acquisiva più luce. Appena i primi effetti della tecnica cominciarono a riempire la mia vita, riconsiderai la miglior letteratura sulla Preghiera in diversi percorsi religiosi. Queste letture riscaldarono il mio animo. Un particolare ricordo è rimasto nel mio cuore. Partecipai ad un pellegrinaggio con un gruppo di persone camminando tutta la notte poiché l'arrivo ad un bel santuario era previsto per la mattina seguente. Camminando, sussurravo a bassa voce le sillabe visualizzando, quanto possibile, i dodici centri. Sapevo perfettamente che questo non era il modo canonico di praticare ma non potevo resistere a ciò. Qualche cosa nel mio cuore, come una tensione di tenerezza, cominciò quasi immediatamente ad essere percepita, poi venne la realizzazione che l'esistenza dei miei compagni di viaggio era immersa nell’amore. Vidi che la realtà dell’amore era la forza più intensa della vita, corrotta solo dall'inquinamento della mente. Pensando all’umanità come ad un tutt’uno, sentii che l’uomo non può, a causa dell’istinto, evitare la condizione d’amare qualcuno - i suoi figli per esempio e di prendersi cura di qualcuno e, di conseguenza, di essere costretto a vivere anche esperienze dolorose. Sentii intensamente, come mai prima, che anche la persona più egoistica è capace di donare la sua vita per i propri figli e può trovare in se stesso la forza per grandi, incredibili azioni. Il calore dei sentimenti sperimentati quella notte rimane ancora nel mio cuore! Particolare forma di Thokar come insegnato dalla scuola [C] Completai il processo verticale di questa forma particolare di Thokar nell’estate che seguì, lavorando all'inizio due giorni per settimana e poi una volta. Un nuovo modo di vivere il percorso spirituale cominciò a stabilirsi nel mio essere. Imparai come risvegliare un intenso rapimento estetico per la bellezza della natura e avvalermi di questa tecnica per amplificare tale estasi. L'idea classica di usare il Kriya per andare oltre la mente fu sostituita dall'idea più avvincente di usarlo per bruciare la mente nella fiamma della bellezza stessa! Di mattina praticavo due orette nella mia stanza stando attento a rispettare ciascun dettaglio tecnico: preparavo il corpo per procedere veloce nel pomeriggio, quando mi sarei concesso la delizia di sedere all’aperto. Non ponevo troppo stress sui colpi ma continuavo a concentrarmi solo sul flusso Trivangamurari finché questo sembrava incidersi nella mia carne. Dopo un pasto leggero ed un piccolo sonnellino, ero molto felice di uscire; non appena 171 raggiungevo un luogo bello dove mi potevo sedere, mi prendevo un po’ di tempo per contemplare la natura. Poi, perfettamente a mio agio, completavo le dosi programmate. Tutto procedeva armoniosamente e diventava fantastico mentre il giorno si avvicinava al tramonto. In tali momenti mi veniva spontaneo dire il Mantra a voce, sussurrandolo. Dopo ciascuna sillaba facevo in modo che ci fosse una breve pausa, isolata e protetta dalla fretta; un istante era sufficiente a percepire una dolce irradiazione che proveniva da ciascun centro. Questo amplificava l’esperienza della gioia - illimitatamente. Una sera, tutto un tratto da un distante villaggio venne il suono di campane e fu come una cascata di luce! La sorpresa fu così inaspettata che il mio cuore sobbalzò di gioia; aprii gli occhi ma lo sguardo non si fissò su nulla in particolare. Fu un miracolo di delizia: l'intensità della beatitudine era quasi impossibile da sostenere! Una parte remota della mia mente continuava a ripetere: «Non so se ad un essere umano sia mai stata accordata tanta gioia!». Il pensiero andò ad alcuni ricercatori, con cui avevo condiviso il Kriya; in quei giorni mi avevano fornito la prova che stavano procedendo in un modo degno di ammirazione. Alcuni anni prima avrei giurato che fosse impossibile praticare il Kriya senza averlo elemosinato e ottenuto da un’organizzazione: ora avevo la prova del contrario. Questa era la mia gioia suprema! È vero che un rituale solenne imprime la rarità dell’evento nella mente di una persona, ma è anche vero che qualcuno, per lo meno in occidente, è imbarazzato da qualsivoglia cerimonia e preferisce un modo più prosaico d’apprendimento. Per me andare in campagna e praticare la tecnica in mezzo ad un bel scenario è stato sempre molto meglio di qualsivoglia cerimonia. Processo verticale del micro-movimento (Quarto Kriya come insegnato dalla scuola [C]) Gli anni durante i quali fui assorbito da questo processo verticale, appaiono alla mia memoria circondati da un’aura di sogno; trovo difficile riferire dettagli specifici ascrivibili ad esso. Anche una piccola pratica era sempre un miracolo di dolcezza. Fui fortunato che l’età della pensione venne presto nella mia vita. Ricevetti la proposta per un altro lavoro ancora più vincolante del precedente. Avevo aspettato molti anni e desiderato all’apice delle mie forze di affrontare le dosi impossibili del processo verticale del micro movimento (arrivare fino a 36x36!): non esisteva altro lavoro per me! Passai molto tempo all’aperto: portavo con me un sedile fatto da uno strato di plastica ed uno di lana, qualche cosa da bere ed un piccolo rosario di 172 trentasei grani. Mi sedevo, respiravo profondamente e poi procedevo col Mantra e col conseguente micromovimento. Alla fine d’ogni ciclo, spostavo un oggetto, un sassolino da un lato del corpo all'altro per contare il numero complessivo dei cicli di trentasei. Tante volte sperimentai una grande, irresistibile, sonnolenza. Alcune volte proprio non riuscii a resistere alla tentazione di interrompere la pratica e riposarmi per un po’. Naturalmente quest’azione non risolvette il problema poiché la sonnolenza riappariva immediatamente non appena riprendevo la pratica. Non ci fu modo (caffè, molto sonno...) di salvarmi da tale situazione; imparai ad accettare la situazione e il più delle volte mi trovai a praticare con la schiena leggermente piegata in avanti; anzi dovetti imparare a non raddrizzarla di scatto perché questo interrompeva la condizione di assorbimento e di quiete. 47 Per quel che riguarda gli effetti psicologici, essa crea una gran necessità di verità che annulla nel proprio comportamento ogni maschera diplomatica. Non si riesce a tollerare la più lieve deformazione della verità. La propria reazione è sempre di calma, cercando però inesorabilmente, di andare in profondità in qualunque problema, fino a trovare la verità. Purtroppo nel mio caso la difficoltà di sostenere un comportamento superficiale fu la causa di alcune rotture di legami di amicizia. Siccome la natura odia il vuoto, altre persone entrarono nella mia vita a tenere viva la fiamma dell'amicizia. Imparai a praticare senza essere disturbato da nulla: in questo modo la tecnica sbarcò nella mia vita e si mescolò con essa. Un giorno mi trovavo in un luogo roccioso vicino ad una spiaggia frequentata da un numero modesto di persone che ci passavano per una passeggiata e, qualche volta, si fermavano nei pressi. Nascosto dietro degli alberi, durante il giorno mi protessi dal sole; al tramonto mi avvicinai alla spiaggia, appoggiai la schiena ad un sasso e rimasi lì fingendo di guardare un oggetto distante. Praticai con gli occhi aperti: il cielo era un cristallo indistruttibile d’infinita trasparenza; le onde cambiavano continuamente il loro colore dal fascino quasi insostenibile. Cercavo di nascondere le mie lacrime dietro le scure lenti dei miei occhiali da sole. Non riesco a descrivere quello che sentivo se non in forma poetica. C’è un canto indiano [nella parte finale del film Mahabharata] le cui parole sono prese dalla Svetasvatara Upanishad: «Conosco questo Grande Spirito, 47 Ci furono delle occasioni in cui venni afferrato da una particolare euforia e sentii l'istinto irresistibile di oscillare il corpo. Fu come una danza da seduto accompagnata da una forma sottile di Thokar. Quando pronunciavo la settima sillaba, il tronco si muoveva leggermente a sinistra, poi pensando la seguente, si muoveva a destra, poi di nuovo a sinistra. Quando pensavo l’ultima sillaba, c'era un piccolo sussulto del tronco accompagnato da una tale profusione di beatitudine! 173 raggiante come il sole, trascendente ogni concezione materiale di oscurità. Solo chi Lo conosce può trascendere i limiti della nascita e della morte. Non c’è altra strada per raggiungere la liberazione che conoscere questo Grande Spirito». Se penso a quelle parole: «Non c’è altra strada», il mio cuore si infiamma. Nulla avrà il potere di privarmi di questa pratica che mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni. So che alcuni ricercatori negano che questo Kriya sia originale, dicono che fu inventato da qualcuno. Non solo io, ma tutti coloro che lo hanno provato pensano con il cuore in estasi: «Beato colui che lo ha inventato!» Ultimo campo di ricerca Terminati i processi verticali, cercai di ritrovare di nuovo quel paradiso che era lo stato di assenza di respiro, ovvero riportare in vita quel bel periodo in cui scoprii il valore del Japa. Cercai di ricreare quella semplicità e gioire di essa per molto tempo prima di lasciarmi coinvolgere di nuovo in ricerche sul Kriya. In cuor mio speravo di riprovare ancora quell'unica esplosione d'amore per Mére. Nel tentativo di godermi di una routine estremamente semplice, misi da parte tutte le tecniche tranne il Pranayama. Forse a causa di una inconscia ricettività nei confronti degli ideali di Mére, preparai il terreno e lasciai avvenire liberamente un’esperienza che rivelò una ricchezza insondabile – la chiamai il Kriya delle cellule. Tale nome derivava dall'impressione che le cellule del corpo potessero essere considerate porte che si aprivano su una dimensione totalmente nuova della coscienza. Tutto cominciò un giorno quando provai una inspiegabile repulsione ad usare il Kechari Mudra e incominciai la pratica del Pranayama con gli occhi aperti: non volevo abbandonare la bellezza del paesaggio che mi stava davanti. Quel giorno la natura era il Divino da cui non mi volevo staccare. Durante l’inspirazione, facevo vibrare nella mia coscienza un potente Vaaa e sentivo che esso partiva dalla zona sessuale, assorbiva l’energia proprio da lì e la portava in testa; espirando, era la vibrazione di Shii che guidava l’energia in giù come una pioggia in tutto il corpo. Gradualmente questo scendere divenne come un ago ipodermico che iniettava la consapevolezza nelle cellule. Venne spontaneo far sì che l’espirazione durasse molto più della inspirazione: il suono del respiro risultava più acuto e pareva più facile guidare l'energia in tutte le cellule. A questo punto ragionai nel modo seguente: la pratica del Pranayama deve continuare, anche se non c’è il respiro, l’intenzione di ruotare l’energia non deve cessare. La procedura, infatti proseguì indipendentemente dal respiro, esattamente nello stesso modo. 174 L'esperienza fu molto confortante, eppure la considerai di poco valore: non rientrava nei miei schemi. Dopo una vita di battaglie per arrivare a capire e realizzare il Kechari Mudra come poteva essere bella, soddisfacente e valida una pratica del Pranayama senza questo Mudra? Ripetendo l'esperienza nei giorni seguenti, allungai l'espirazione e la frammentai in una successione di un gran numero di micro parti. Questa procedura sembrò più diretta nell'ottenere l'effetto di entrare nelle cellule. 48 Durante ciascuna espirazione feci uso di una intensa consapevolezza dell'ombelico - ciò ricaricava di sottile forza l'intero processo. Alla fine di ciascuna seduta, emergevo sopraffatto dall'euforia: avevo una chiara percezione che tutti i problemi a livello psicologico fossero un incubo che si era dissolto per sempre, una illusione dalla quale ero emerso definitivamente. Quando ritornai ai miei doveri quotidiani, la bellezza del vivere, sembrava scaturire da ogni atomo, come il vino da una tazza ricolma e mi empiva il cuore; gioivo di una insondabile chiarezza della mente. La mia vita, che, fino ad ora, era stata piena di asperità, sembra distendersi serenamente e senza intoppi verso il futuro. Nei giorni seguenti cominciai a sentire come se "non avessi più pelle". Questo è un modo simbolico per indicare l'impressione di percepire - non solo con la consapevolezza ma anche "con il corpo" - quello che stava avvenendo nella coscienza di un'altra persona. (Non ciascun pensiero ovviamente, ma il suo stato d'animo: sentirlo come se fosse mio). Il lettore può restare deluso dal fatto che io riferisca tale impressione in quanto essa può richiamare le manie New Age. Se scrivessi che la mia consapevolezza si espandeva nell'universo, il lettore, trattenendo uno sbadiglio, acconsentirebbe. Ma non sto scrivendo parole vuote, è solo dopo avere ascoltato molte volte i resoconti di altri ricercatori e tenuto conto della mia decisione di aderire alla più totale sincerità, che ho deciso di riferire questa particolare esperienza. Per essere chiaro, riferisco un episodio ricorrente. Mi capitava che improvvisamente una depressione profonda prendesse possesso del mio animo, durasse alcune ore e poi scomparisse; non era una semplice dissonanza, una disarmonia, ma un dolore straziante in un momento 48 Scoprii che l'intera esperienza poteva essere intensificata praticando il Thokar su tutti i Chakra (capitolo II/3: Quarto Kriya come insegnato dalla scuola [B]). Ricordo che fu difficile sostenere psicologicamente questa tecnica. Sentivo il suo potere di risvegliare un più grande quantitativo di energia ma, durante il giorno incontrai uno stato d'animo grigiastro: era come se la mia stessa anima fosse graffiata. Il problema fu vinto rimanendo molto tempo concentrato nel punto tra le sopracciglia. 175 in cui non c'era giustificazione per tale stato. Poi mi rendevo conto che si era verificata una circostanza non banale: per esempio di aver fatto una nuova conoscenza, di aver stretto la mano ad una persona e di averci parlato con sincero coinvolgimento. Chiaramente tutti noi sappiamo come la nostra mente sia brava quando si tratta di arrampicarsi sugli specchi; ma quando un simile episodio fu osservato ripetersi con matematica precisione nel corso del tempo, allora l’evidenza del fenomeno di sintonia con i contenuti, con il tono della coscienza di un’altra persona non può essere negato. Quello che io ero e quello che altri erano si mescolava. Un pensiero ossessivo prese possesso della mia visione della vita: la fragilità fisica e psicologica dell'essere umano mi colpiva con una forza inusuale. Un’immagine era costantemente davanti ai miei occhi come un simbolo: gli uomini erano come animali recintati in uno spazio ristretto, costretti dai loro istinti a mangiare e a riprodursi; un uomo appariva improvvisamente, afferrava uno di loro a caso e lo decapitava davanti a tutti. Immaginavo che la compagnia, stupefatta da questo triste spettacolo, mormorasse qualche espressione di circostanza: «ora nulla sarà più come prima»... Poi, con l'occhio vitreo, si volgevano di nuovo alle attività solite. Accettai pienamente tale visione e la considerai la fotografia del modo comune di vivere. Attraverso una crudele angoscia, unita ad un infinito senso di ribellione per il male onnipresente, raggiunsi la visione della bellezza e della intrinseca necessità del sentiero spirituale. Un kriyaban che evita la visione della vita quale essa è, corre il rischio di rendere il suo cuore duro e resistente come una pietra e di coprire i suoi sentimenti con il freddo di una lama di acciaio. Il risultato può essere che la compassione e il vero amore se ne vanno lontano. Ma quello che vedevo mi suggeriva, in modo impietoso, l'impossibilità di toccare la realtà Spirituale con la mia propria forza umana. Eppure, un distacco, una calma illimitata sembrò entrare attraverso l'armatura del mio ego straziato, in un modo che nessun "pensiero positivo" aveva mai potuto produrre. Era, ed è, un'esperienza troppo grande per accettarla così, senza capirla, o per lo meno senza comprendere il suo ruolo nel Kriya. Un punto fermo nella mia indagine è la frase di Lahiri Mahasaya: «In conseguenza di un eccellente Pranayama, il respiro si è completamente orientato all’interno. Dopo un lungo periodo, oggi lo scopo della mia incarnazione si è adempiuto.» (Puran Purush)! Sembra evidente che Egli non si sta semplicemente riferendo al movimento di energia che viene percepito insieme alla respirazione profonda del Kriya Pranayama. 176 Molto probabilmente questo "respiro completamente orientato all'interno" è un movimento spontaneo di energia, simile a quello messo in moto dalla tecnica di respirazione del Pranayama, ma che procede del tutto indipendentemente dal respiro. Nell'Alchimia Interiore questa esperienza è detta: Grande Circolo Celeste (Orbita Macro cosmica, Rotazione Cosmica). Chi può negare che le due discipline (il Kriya Yoga e l'Alchimia interiore dell'antica Cina) siano esattamente una sola cosa? Forse che il Kriya di Lahiri è stato censurato, limitato in qualche parte, onde adattarlo alla principale tendenza filosofia e mistica vigente nei paesi in cui venne diffuso? Consideriamo l'Alchimia Interiore in dettaglio: ne vale la pena. 177 CAPITOLO III/4… KRIYA YOGA E ALCHIMIA INTERIORE In questa breve esposizione ho compendiato l'essenza dell'Alchimia Interiore come ci è stata tramandata dalla tradizione orale. L'insegnamento è estremamente conciso, contrariamente a quanto si trova nella letteratura specializzata dove le tecniche sono abbellite in modo abnorme ed è utilizzata una grande quantità di termini evocativi come se l'intenzione fosse quella di confondere il lettore. QUATTRO PASSI DELLA ALCHIMIA INTERIORE [1] La prima tappa è la base di tutto il processo, essa consiste nell'attivare l'Orbita Microcosmica. Il suo scopo è "portare Tre a Due, Due ad Uno". I tre sono Jing (energia sessuale), Qi (energia vitale) e Shen (energia spirituale). Si impara a tramutare Jing in Qi e Qi in Shen. Si crea un'alchimia di queste tre energie: il risultato è uno stato equilibrato della coscienza. [a] Preparazione: circolazione della luce Per far circolare l'energia/luce si devono aprire due canali nel corpo e collegarli assieme. La lingua tocca il tetto della bocca, la bocca è chiusa senza stringere i denti, le palpebre sono abbassate fino ad essere quasi chiuse. Durante questa pratica il respiro è completamente libero - questa prima parte della preparazione è puramente mentale. Si sente (e talvolta realmente si vede) l'energia nel centro tra le sopracciglia. Sollevando le sopracciglia uno diventa particolarmente sensibile alla luce interiore. Un minimo di due minuti di pausa sono passati in tal modo nel Kutastha. Poi viene attivata la componente frontale di ciascun Chakra. "Frontale" significa sulla parte anteriore del corpo. Ogni componente è visualizzata situata lungo il Canale di Funzione che corre dalla punta della lingua giù nel pomo di Adamo, sterno, ombelico, organi sessuali, perineo. Così, dopo il Kutastha, la consapevolezza scende, attraverso la lingua nel pomo di Adamo, che è collegato al quinto Chakra. La percezione della luce interiore avviene per lo stesso tempo come nel Kutastha. La consapevolezza scende nella regione centrale dello sterno... la luce è percepita... poi nell'ombelico... poi nella regione pubica e finalmente nel perineo. Poi la concentrazione si muove su lungo il dorso della colonna spinale, lungo il cosiddetto Canale di Controllo. (Questo va dal perineo su fin sopra la testa giù al terzo occhio.) Nel secondo Chakra ci sono le stesse percezioni; poi lo stesso nel terzo Chakra e così su fino al Midollo allungato, la nuca, la Fontanella, finendo di 178 nuovo nel Kutastha dove si rimane il più possibile. Poca importanza è attribuita alla natura di ciascun Chakra: ci si cura solamente del libero fluire del movimento della luce lungo l'orbita microcosmica. [b] Completamento della preparazione: consapevolezza del respiro Si respira in modo naturale attraverso il naso, traendo l'aria profondamente giù nell'addome e rendendo l'espirazione lunga ed armoniosa. Come i respiri divengono sempre più profondi e lunghi, l'attenzione è focalizzata su due sensazioni, uno in alto e una in basso. Sopra, la concentrazione è sul gentile movimento dell'aria che fluisce entro e fuori le narici. Sotto essa converge sull'ombelico e sull'intero addome, che si espande e si contrae come un pallone con ciascuna inspirazione ed espirazione. Talvolta è di aiuto contare inspirazioni ed espirazioni, finché la mente è focalizzata stabilmente. Questa è una pratica molto semplice, eppure crea una grande energia nella regione dell'ombelico: il miglior combustibile per mettere in moto l'orbita microcosmica. [c] Orbita microcosmica vera e propria La lingua tocca il tetto della bocca. La tecnica è basata sul sollevare la consapevolezza e l'energia (Qi) lungo il Canale di Controllo dietro la spina dorsale durante l'inspirazione, e nel lasciare che fluisca in giù lungo il Canale di Funzione durante l'espirazione. Si agisce direttamente sul Qi poiché è legato all'aria, e indirettamente sul Jing e sul Shen, che sono trascinati dal movimento di Qi. Inspirando, l'energia è visualizzata come un piccolo serpente che gradualmente passa attraverso il coccige, salendo lungo la schiena al cervello. Poi arriva nella regione sotto Fontanella. La testa dovrebbe muoversi in avanti e sollevarsi leggermente per aiutare il Qi a venire in avanti sopra la fronte. Al termine della inspirazione, l'attenzione ha raggiunto il centro tra le sopracciglia. L'espirazione comincia e l'energia scivola in giù attraverso il palato e la lingua nel pomo di Adamo, torace, passa l'ombelico e scende nei genitali, poi alla base della spina dorsale. Si può sentire come se scendesse acqua. Poi si incomincia un altro ciclo. La respirazione attraverso il naso è principalmente addominale - come nella preparazione [b]. [2] Quando Jing è stato trasmutato in Qi e Qi in Shen, si coltiva l'"embrione spirituale" o l'"elisir dell'immortalità". Per fare questo, Shen è guidato nel basso addome (Dan Tien inferiore) dove è progressivamente raffinato fino a che illumina lo spazio del 179 cuore (Dan Tien mediano) e la propria natura fondamentale è rivelata. Con una serie di lunghe e sottili espirazioni, l'energia immagazzinata nella testa tramite la tecnica precedente, è trasferita nel Dan Tien, dietro l'ombelico, nel basso addome. Questo processo è portato avanti fermamente finché si produce una vibrazione: quando è udita (o in qualunque modo percepita), la mente diviene pura, calma, vuota. Poi questa vibrazione ascende spontaneamente nel cuore e la "vera serenità" si manifesta. La contemplazione della luce che splende nel cuore e dietro il centro tra le sopracciglia completa questa seconda fase. [3] La terza tappa consiste nell'aumentare il Qi nel Canale di Spinta con lo scopo di mettere in moto l'Orbita macrocosmica. Il Canale di Spinta corre come un tubo dal perineo alla Fontanella attraverso il centro del corpo. Durante un'inspirazione lunga, calma, uno si concentra su un raggio di energia che entra nella corona della testa attraverso la Fontanella e lo visualizza fluire in basso attraverso il Canale Centrale di Spinta fino alla base della spina dorsale. Poi l'espirazione è frammentata in innumerevoli pezzettini ben marcati come pulsazioni. Le labbra sono unite nella loro parte centrale: l'aria esce attraverso gli angoli dei labbra e consiste di tanti "sss", "sss", "sss" .... . Si crea una sensazione di tepore sulle labbra, la quale è trasferita mentalmente alla base della spina dorsale. Quello che è importante è sentire qualche cosa che tende a salire entro il corpo. È sentito nella regione davanti al secondo Chakra, poi del terzo; talvolta la sensazione è percepita fino alla regione del torace. Questa è l'unica parte del Canale di Spinta che è percepita. Ripetere inspirazione ed espirazione in questo modo, tante, tante volte è l'essenza della procedura. Andando avanti, un riscaldamento della regione dell'ombelico è prodotto da piccoli sussulti dell'ombelico: essi danno la sensazione di un aumento dell'energia. Questa tecnica ha l'effetto di sollevare lo stato d'animo e vincere, quasi istantaneamente, qualsiasi stato negativo. Praticandola, uno prova uno stato piacevole ma il miglior effetto si ha ore dopo rilassandosi, quando esplode, inattesa, una pura beatitudine. 180 [4] Questo è un grande evento che non può essere indotto da metodi basati sulla visualizzazione, come i tanti descritti nei libri. La quarta tappa non è una tecnica, ma qualcosa che avviene spontaneamente al momento giusto per mezzo di un indomito lavoro col terzo passo. Il corpo deve essere carico di Qi, i canali devono essere perfettamente aperti e collegati tra loro. Non avviene in nessun'altra situazione. Una persona entra spontaneamente in un stato di benessere e percepisce una grande infusione di energia che scende dall'alto come un liquido dorato fuori e dentro il corpo, in tutte le sue cellule, particolarmente la pelle. Contemporaneamente, con una parte della sua consapevolezza, uno sente che qualche cosa sta salendo dietro, attorno più che entro la spina dorsale. Questi due movimenti non sono perfettamente sincronizzati. Uno dei due comincia e quando la propria consapevolezza ne gode appieno, l'altro appare. Da un certo momento in poi, il movimento ascendente non attira più l'attenzione, uno è totalmente consapevole di quello di discesa, incantato dal suo potere di allargare i bordi della coscienza. Il movimento di discesa diviene statico e si trasforma in una indefinita pressione su tutte le cellule del corpo. QUATTRO LIVELLI DEL KRIYA YOGA Dopo questa breve descrizione dei quattro passi dell'Alchimia Interiore, tale disciplina e il Kriya Yoga appaiono la copia uno dell'altro - praticamente la stessa disciplina. Certamente, possiamo osservare che nel Kriya ogni possibile sforzo è fatto per amplificare l'importanza dei primi due passi, mentre il quarto è delineato in modo vago più come un miracolo che accade tramite l'evoluzione ed una pratica devota che come un passo vero e proprio. Non saprei dire se il terzo livello dell'Alchimia interiore si incarna in qualcosa del Kriya – forse si nasconde nella dinamica del Maha Mudra, del Navi Kriya e in qualche variante del Thokar, come per esempio il Thokar su tutti i Chakra. Un studio affascinante sul Kriya dovrebbe cominciare da qui, esplorando la ragione per cui scuole e insegnanti di Kriya stanno facendo ogni sforzo possibile per camuffare la somiglianza tra i due sistemi. Certamente, le diverse filosofie alla base della pratica meditativa dell'antica Cina e del misticismo indiano, hanno il loro peso. Comunque, abbozziamo ora i quattro passi del Kriya, come appaiono nella letteratura o come sono stati decifrati dalle parole di alcuni eminenti kriyaban; premettiamo il concetto di "nodi" interiori (Granti). 181 Forse il lettore ha già incontrato la frase di Lahiri Mahasaya: «Ogni sentiero religioso consiste di quattro tappe caratterizzate dallo sciogliere quattro "nodi": lingua, ombelico, cuore e Muladhar». Questi nodi tendono ad impedire l’intero processo del Kriya; ci separano dall’infinito serbatoio di energia attorno a noi, nutrono il mondo delle emozioni superficiali e dei pensieri, sono la causa prima delle nostre miserie. Siccome sembrano essere concepiti solamente per preservare indefinitamente la nostra ignoranza, essi sono come dei sigilli che proteggono «il nostro diritto al dolore e alla sofferenza» (un'espressione cara a Mére, la fedele discepola e successore di Sri Aurobindo). Sebbene siano interdipendenti (l’uno non è estraneo all’altro, né avviene una piena apertura di uno prima che si assista all'apertura dell'altro) li descriveremo come se fossero entità separate, come fosse cioè possibile lavorare su un nodo alla volta. Lingua... Questo nodo consiste nel fatto fisiologico che la nostra lingua non tocca normalmente l'ugola e/o certi centri nella faringe nasale. Dal punto di vista energico, questo è espresso dal fatto che noi siamo tenuti separati dal serbatoio di energia nella regione del Sahasrara. Kechari Mudra perfora questo nodo, rende il contatto possibile. L'elisir della vita, "Amrita", "Nettare", può scendere nel corpo, nutrendolo. Il corpo è ricaricato di fresca energia vitale. L'abitudine perniciosa di esaurire tutta la nostra vitalità è frenata. Ombelico... Nasce col taglio del cordone ombelicale. Una realtà unica fu divisa in due parti: la componente spirituale dell’uomo, che si manifesta come gioia e calma, si stabilì nei Chakra superiori e nella testa; la componente materiale, nei Chakra inferiori. Tale frattura è la sorgente permanente di tante miserie. Se l’unità originale non è ricomposta, almeno parzialmente, non ci può essere felicità duratura, non è possibile riconquistare lo stato di pace di cui godemmo prima della nascita. Cuore... La sua natura è la paura della morte e di ogni esperienza che la ricorda. Finché questo nodo non è sciolto, non possiamo avere una vera esperienza della realtà spirituale. Quando un'esperienza spirituale si sta avvicinando, improvvisamente il riflesso del cuore distrugge la calma e lo stato di coscienza che abbiamo guadagnato con così tanta difficoltà è perso. Questo avviene perché il cuore batte all'impazzata non appena l'energia entra nella spina dorsale (come avviene al momento della morte). 182 Da questo nodo si origina un acuto desiderio di aiutare l'umanità sofferente, ma anche la tendenza di essere influenzati e deviati dalle altre persone. È la causa radice dell'atteggiamento di accettare come verità solo quello che è esposto all'interno di una cornice di magnificenza. A questo nodo si devono le emozioni superficiali che nutrono il mondo dei pensieri che coprono e soffocano il regno dei sentimenti più profondi. L'uomo non è capace di incarnare il "dramma" unico della sua vita: è come se, accontentandosi di inezie, rimandasse continuamente il momento di viverlo veramente. La sua vita è una parodia di quello che sarebbe potuta essere. Muladhar... Questo nodo rappresenta l'impossibilità (o la difficoltà) di sottrarre l’energia dal corpo e guidarla entro il sottile canale della spina dorsale. L'azione delle due correnti laterali non equilibrate di Ida e di Pingala crea una potente ostruzione alla base della spina dorsale, bloccando l'entrata nel sottile canale di Sushumna. Chiunque pratica una certa disciplina di meditazione possiede un certo controllo su queste correnti, altrimenti la stessa meditazione sarebbe impossibile. Queste due forze deviano e ostacolano lo sforzo del kriyaban di vedere e mantenere stabile la visione dell'occhio spirituale. Avendo chiarito il concetto di nodi, i quattro livelli del Kriya di Lahiri Mahasaya potrebbero essere interpretati nel modo seguente. [I]... Consiste nel far circolare l'energia attorno ai Chakra per mezzo del Pranayama, con la lingua in Kechari. L'energia distribuita ed equilibrata nel corpo è preparata per il lavoro seguente. Poiché l'interruzione (dal punto di vista energico) tra il cervello ed il corpo è eliminata, l'energia circola (in un modo chiaramente percepibile) nel corpo. La forza vitale è sottratta dagli inutili processi pensanti, momenti impareggiabili di pura calma e silenzio mentale riempiono l'intero essere: la mente comincia a perdere il suo ruolo dispotico! Ciò fornisce la prima esperienza di gioia interiore senza causa. [II]... Consiste con l'attraversare la "porta" dell'ombelico per arrivare alla sede della corrente Samana, nella parte medio-bassa dell'addome.49 Ciò avviene per mezzo della respirazione addominale del Pranayama e delle varie forme di Navi Kriya. Una volta che la mente si è quietata, si ascoltano i suoni astrali 49 Devo ammettere che nella letteratura mistica cinese il processo di entrare in tale regione è indicato con espressioni meravigliose come: «Ritorno al centro; unione della terra con il cielo; nascita del fiore d’oro, creazione della perla risplendente.» 183 (specialmente il suono di campana). Poi il respiro è dissolto nello stato di equilibrio nell'ombelico. Non c'è il minimo desiderio di respirare: le cellule del corpo fisico sono rifornite di Prana interiore. La trasformazione psicologica che ne deriva è l'unificazione di tutte le diverse sfaccettature della propria personalità, la scoperta e la accentuazione della propria vera natura. Le luci diffuse nella regione della fronte si condensano in una luce circolare rotonda conosciuta come Occhio Spirituale o "Occhio Singolo." La procedura base del Thokar aiuta a raggiungere questo stato. Thokar presenta diversi livelli: lo stato di assenza di respiro caratterizza la perfezione della sua forma base (solitamente detta tecnica del Secondo Kriya), lo stato senza battito cardiaco caratterizza la perfetta padronanza della sua forma evoluta (solitamente detta tecnica del Terzo Kriya). [III]... Consiste nel completamento del processo di sciogliere il nodo di cuore. Avviene per mezzo della pratica evoluta del Thokar. Il kriyaban è capace di mantenere una perfetta immobilità fisica, mentale ed emotiva (quando un forte sentimento di beatitudine si manifesta, non si eccita in alcun modo). La sua consapevolezza si immerge nella luce circolare del Kutastha ed è tirata entro esso che si espande in un tunnel. Il punto (Bindu) entro l'occhio spirituale, emerge gradualmente. Nello stato di Samadhi la coscienza temporale è dissolta. La consapevolezza è stabilita nel Chakra Sahasrara, ma non permanentemente. Uno deve ritornare sui suoi propri passi tante volte per recuperare un stato elevato che erroneamente era ritenuto permanente. [IV]... Consiste nel processo di sciogliere il nodo del Muladhar e nel realizzare il Pranayama con respiro "Interno."50 Questo movimento spontaneo di energia sale dal Muladhar in modo indistinto - non sempre dando l'impressione di essere confinato alla spina dorsale - e si muove in giù attraverso il corpo come per portare energia vitale a ciascuna delle sue cellule. Appaiono uno stato cristallino di gioia ed un sentimento di infinita sicurezza. È come aver attraversato una barriera negli atomi di questo universo fisico e vivere in un corpo ed in uno spazio smisurato, allo stesso tempo. Quando questo avviene, l'esperienza è molto forte e totalmente assorbente, definitivamente diversa da ogni specie di Pranayama mentale. Questa esperienza di impensabile bellezza è ottenuta per mezzo di tutte le tecniche 50 Nella relativa letteratura troviamo diversi resoconti efficaci di come questo ripetuto tentativo di interiorizzare il respiro crei uno stato alquanto speciale. Si dice che il corpo diventa leggero come star camminando nell’aria. Ci sono frasi come: "volare in alto nell’ampia luce del giorno". Sono convinto che tale perfezione del Pranayama incarni le più profonde implicazioni inerenti al concetto di realizzazione mistica. 184 Kriya, in particolare tramite una pratica intensa di un Pranayama caratterizzato dalla intenzione di guidare l'energia ricavata dall'aria in tutte le cellule del corpo. Conclusione La dissertazione potrebbe fermarsi qui, con la descrizione appena data. Ora vorrei condividere - a beneficio del ricercatore - due principali schemi di pratica della sopra citata forma Pranayama, che mira a favorire il Pranayama col respiro interno. In ciascuno di essi uno schema di respirazione profonda si trasforma nell'azione fortissima di guidare l'energia nelle cellule del corpo e di risvegliare sconosciuti poteri che giacciono potenzialmente in esse. Prima tecnica: cominciando dal Pranayama col respiro continuo Durante la procedura base del Pranayama (senza il canto mentale di Om nell'ubicazione di ogni Chakra) il movimento di energia nel corpo durante la espirazione diventa il fermo oggetto della concentrazione. Il corpo è riempito di consapevolezza; questo stimola la percezione della luce interiore che sostiene ciascuna cellula del corpo. Durante l’inspirazione, un kriyaban sente l'energia che in qualche modo si muove verso l'alto o entro o attorno la spina dorsale ed il tronco. Contemporaneamente cerca di essere consapevole al massimo grado del Prana che entra attraverso il naso, mescolato con l'aria. Si concentra sul fresco che sente nella narici e sul rumore prodotto dal respiro nella gola. La consapevolezza di questo suono è ininterrotta: questo suono è un trasformatore dell’aria in Prana. I due movimenti di energia (nella spina e attraverso le narici) sono percepiti simultaneamente. Alla termine dell'inspirazione il kriyaban compie l'atto di ingoiare, visualizzando il respiro immobilizzato (congelato) nel corpo, che si trasforma in luce interiore. Durante l’espirazione che segue, il Prana è pensato come distribuito nell'intero corpo, nelle sue cellule. L'azione dei muscoli del diaframma è percepita distintamente: l'ombelico si muove verso la spina dorsale; si sente un potere entro di esso. Questa procedura è come un Navi Kriya implicito nel Pranayama e fa parte della procedura di trasformare il respiro in Prana. Il kriyaban continua a ripetere tutto questo, fermamente, diverse volte. Durante gli ultimi momenti di ciascuna espirazione comincia a percepire una "impossibile" sensazione orgasmica. È come se il respiro fosse paralizzato entro i polmoni, non potesse uscire e questo creasse una sensazione come quella di un debole soffocamento. Strano a dirsi, è così bello da piangere di 185 gioia. È come essere chiusi in una gabbia, premere contro un muro, la qual cosa sarebbe insopportabile, ma l'anticipazione della libertà fuori dalla gabbia, oltre il guscio, crea beatitudine. Il respiro fisico tende a sparire: sta al kriyaban intuire quando dimenticare completamente il respiro e concentrarsi solo sulla libera rotazione dell'energia. Seconda tecnica: cominciando dal Pranayama col respiro frammentato Un kriyaban suddivide il respiro nel maggior numero possibile di frammenti. Nella tecnica dell'Omkar Pranayama abbiamo visto come frammentare il respiro in sei + sei parti. Un kriyaban può incominciare da questo schema di respirazione – dimenticando l'uso di qualsivoglia Mantra. Il respiro è diviso in pezzetti sempre più piccoli. Non è difficile dividere l'inspirazione in dodici, poi in diciotto pezzetti…. ovvero due, tre… per ciascun Chakra. (L'azione di inghiottire il respiro è omessa.) La frammentazione avviene anche per la espirazione. I brevi frammenti di aria divengono piccole iniezioni di energia in tutto il corpo, in particolare sulla pelle. Il numero di "micro pezzi di respiro" viene aumentato. A un certo punto il respiro diviene una serie di pulsazioni in ciascun Chakra e poi sembra scomparire. In questo modo, si può dirigere l'energia in qualsivoglia parte del corpo, in ciascuna cellula. All'inizio l'esperienza sembra complicata. È perfettamente inutile cercare di capire questo processo intellettualmente: solamente la pratica può mostrare come questi piccoli pezzi di respiro possano riuscire a distribuire l’energia in tutte le parti del corpo. Nota Credo che le scoperte di Jung siano preziose per la comprensione del percorso mistico – forse più di qualsiasi altro concetto formulato durante il 20° secolo. Sebbene egli sia stato prudente nelle sue affermazioni, la comunità scientifica non gli perdonò di essersi occupato di questioni che non erano considerate parte della psichiatria - l'alchimia, che sembrava un'assurdità, il mondo dei miti, che erano considerati un'immaginazione priva di significato e, più d’ogni altra cosa, il gran valore che lui attribuiva alla dimensione religiosa che considerava qualche cosa d’universale, fondamentalmente sano e non, come altri avrebbero preferito, una patologia. Al giorno d’oggi rimane l’entusiasmo per i suoi scritti, specialmente fra coloro che si occupano di argomenti spirituali o esoterici. L'idea che, con la dolce pressione della respirazione interna del Pranayama, un kriyaban possa spezzare la barriera del proprio corpo e toccare la dimensione psicologica che lega insieme tutti gli esseri umani (Inconscio Collettivo) sembra una favola. Eppure tutto fa pensare che proprio questo succeda. 186 Il corpo è stato descritto come un guscio che contiene l’anima; ma ora scopriamo che in questo guscio c’è la chiave per toccare ogni cosa, inclusa la coscienza di altre persone! Per mezzo del Pranayama col respiro interiorizzato, un kriyaban può scavare un tunnel attraversando la roccia della sua mente inconscia, finché approderà alle spiagge della dimensione più pura dell’esistenza – pura nel senso che non c’è più mente. Ponendo il cuore oltre lo spesso muro del dolore collettivo, percepirà il profumo e l’immensità, che stanno oltre tale muro. Il Kriya Yoga non è solamente un volo verso il cielo ma è anche la scoperta degli «abissi di verità e gli oceani di sorriso, che stanno oltre le vette anguste di verità» (Sri Aurobindo). In modo misterioso, il luminoso raggio del suo sforzo passerà attraverso gli strati della coscienza collettiva facendo sì che ciò che è oscuro, letargico e cupo diventi trasparente e si collochi perfettamente nell’armonia universale. Durante questo processo, qualche cosa accade che sembra essere fuori del comune: ciò che potremmo chiamare "paranormale". Credo che quando qualcosa di straordinario avviene nella nostra vita, esso sia solo un simbolo esteriore di qualcosa di reale che sta avvenendo all’interno. Coloro che sono spinti dalle ragioni più oneste a scrivere un libro sullo Yoga non sembrano capaci di resistere alla tentazione di copiare alcune righe dai più comuni libri, tra cui l’avvertimento del pericolo che viene dall'abuso dei Siddhi. Citando gli Yoga Sutra di Patanjali (IV:1), descrivono che i Siddhi sono i poteri spirituali (abilità psichiche) che possono accadere come risultato della pratica prolungata della meditazione e di rigide austerità; spiegano che essi variano da forme relativamente semplici di chiaroveggenza, telepatia, all’essere capaci di levitare, di essere presenti in vari luoghi simultaneamente, di divenire piccoli come un atomo, di materializzare oggetti e altro. Come in una trance ipnotica, in un modo molto diligente, proseguono e raccomandano ai loro lettori di non indulgere mai in tali poteri perché «sono un grande ostacolo al progresso spirituale»… (Avete mai visto una persona che pratica un po’ di Yoga e poi indulge nella bilocazione? Forse scrivono tali assurdità perché stanno sognando, visualizzando sé stessi in possesso di tutti i generi di Siddhi, con tutto il chiasso che ne uscirebbe in interviste, nel prendere parte a spettacoli, a talk show ecc.) Mi arrischio in un'ipotesi: alcuni fenomeni come la chiaroveggenza e telepatia sono il segno che uno è entrato in contatto con l'Inconscio Collettivo. I Siddhi e l’Inconscio Collettivo sono legati in modo molto stretto. Essi non sono un segnale che un essere umano è divenuto divino, a meno che non vogliamo intendere... che è divenuto un eroe nel accettare in se stesso l'oscurità che annebbia la mente altrui. Questa infatti è la vera natura dei Siddhi - quelli che possiamo osservare nelle nostre vite come chiaroveggenza e telepatia. Fuori dal guscio del suo ego un kriyaban scopre infatti di non essere un uomo tra altri che non hanno alcun collegamento con lui, ma l’umanità stessa. Questo è difficile da accettare perché vuole dire contenere un dolore irrisolvibile. Tanto vasto è il dolore, tanto grande la sua estasi! 187 Per la stessa ragione studiai Kabir [1398 Benares - 1448/1494 Maghar]. Tessitore analfabeta, musulmano d’origine, fu un gran mistico, aperto all'influenza vedantica e yogica, che concepì il Divino al di là d’ogni nome e forma. Le poesie e i detti, a lui attribuiti, sono espressi in un linguaggio particolarmente efficace. Nel secolo scorso Rabindranath Tagore, il gran poeta mistico di Calcutta, riscoprì la validità dei suoi insegnamenti e la forza della sua poesia e fece una bellissima traduzione in inglese dei suoi canti. Kabir fu educato a concepire l'Islam e l'Induismo come due vie convergenti verso un’unica meta: fu sempre convinto della possibilità di superare le barriere che dividono queste due grandi religioni. Non sembrava apprezzare le sacre scritture, i rituali religiosi e i dogmi. Che Dio debba essere riconosciuto interiormente, nella propria anima - come un fuoco che, se nutrito con continua cura, brucia trasformando in ceneri tutte le resistenze, dogmi, ignoranza - appare molto bene nel suo detto: «un giorno la mia coscienza, come un uccello, volò in cielo ed entrò nel paradiso. Quando arrivai, vidi che non c’era Dio: realizzai infatti che dimorava nel cuore dei Santi». Dall’Induismo Kabir accetta il concetto di reincarnazione e la legge del Karma, dall'Islam prende il monoteismo assoluto e la forza per combattere il concetto di casta e ogni forma d’idolatria. In lui possiamo trovare il senso pieno dell'esperienza yogica; afferma che nel nostro corpo c'è un giardino pieno di fiori, i Chakra, e invita a stabilire la coscienza nel Loto dai mille petali dal quale contemplare, la bellezza infinita. Per quanto riguarda il suo concetto di "Shabda", che può essere tradotto come "Parola" (la parola del Maestro) possiamo porlo in relazione con l’insegnamento Omkar - la vibrazione Om. Secondo lui questo Shabda-Om allontana tutti i dubbi, tutte le difficoltà del discepolo, però è vitale mantenerlo continuamente, come una presenza vivente, nella nostra consapevolezza. Om, il richiamo divino presente nel corpo di ognuno, che nasce nel silenzio di un dolce Kriya, è l’ago della bussola. Seguendolo ci viene rivelato il Kutastha. Ricordando l’affermazione luminosa di Lahiri Mahasaya secondo cui: «Kutastha è Dio, Lui è il Brahma supremo», ci accorgiamo che tutto il sentiero Kriya diviene un miracolo di semplicità. 188 GLOSSARIO Questo glossario non è una ripetizione pari-pari di quello che si può trovare nei libri che trattano il Kriya Yoga o, semplicemente lo Yoga; non è un collage preso dagli scritti di altri autori e messo insieme con un po’ di immaginazione. È stato aggiunto per quelli che già conoscono il significato dei termini più comuni usati nel Kriya, ma preferiscono non avere incertezze sul modo in cui essi sono utilizzati nel presente libro. Alchimia interiore [Nei Dan] L’Alchimia Interiore è la tradizione mistica dell’antica Cina. Essa richiama con tale accuratezza le tecniche del Primo Kriya da offrirci tutte le ragioni per credere che essa consista nello stesso processo universale. Le ipotesi, campate in aria, che le tecniche della Alchimia Interiore siano state, nei tempi antichi, portata dall'India alla Cina, rivela la tendenza a considerare l’India l’unico possibile luogo dove l'uomo intuì - o gli furono rivelati - i segreti del percorso mistico. La considerazione di uno sviluppo indipendente dei due sentieri conduce al concetto molto fecondo dell’universalità degli strumenti mistici. Lahiri Mahasaya espresse la convinzione che se le tecniche del Kriya fossero, per qualche motivo, scomparse dalla tradizione, verrebbero in ogni caso ritrovate dai mistici dal cuore, e quindi dalla visione, pura. Studiare il Kriya alla luce di altre tradizioni mistiche può produrre un insperato approfondimento della loro essenza e incoraggiare il rispetto per ciascuna delle sue tecniche originali – anche se esse non sembrano propriamente indiane o yogiche. La tendenza a ripulire la pratica Kriya da ciò che può richiamare concetti non yogici è pericolosa. Tanto per fare un esempio ci sono degli insegnanti che hanno stravolto il Navi Kriya - o eliminandolo del tutto o cancellando la concentrazione sull’ombelico e riducendo la tecnica ad una pura concentrazione sul terzo Chakra. Lahiri Mahasaya scrisse senza ambiguità sull’azione profonda, insostituibile del sciogliere in nodo dell’ombelico – non del Manipur! D’altra parte, con una analoga attitudine a distruggere la ricchezza di una procedura mistica che non si riesce a comprendere, ci sono insegnanti di Alchimia Interiore che hanno privato la loro disciplina di tutto ciò che riguardava il respiro; essi hanno così sottratto al tesoro della loro arte forse proprio il fattore che dà a questa disciplina il diritto di essere considerata una vera e propria alchimia – ovvero una trasformazione chimica del respiro in una sostanza più raffinata. Per quanto riguarda l’Alchimia Interiore osserviamo che: a…La tecnica del Piccolo Circolo assomiglia al Kriya Pranayama. La differenza è che, in essa, l'energia scende nel corpo toccando non i Chakra ma i punti sulla superficie del corpo che sono collegati con i Chakra: pomo d'Adamo, la regione centrale dello sterno, l'ombelico, la regione pubica ed il perineo. Questa differenza svanisce proseguendo con la pratica, poiché il risultato prodotto sull’energia presente nel corpo è esattamente lo stesso. b…La fase successiva della discesa nel Dan Tien assomiglia talmente al nostro Navi Kriya che non servono commenti. c…La procedura di sollevare il Dan Tien inferiore nella regione del cuore (Dan Tien mediano) concentrandosi sulla vibrazione che si è prodotta nel primo, richiama le 189 istruzioni di Lahiri Mahasaya di raggiungere il nodo del cuore entrando prima in sintonia con lo stato di Equilibrio nella regione Samana nell’addome. d…Il sollevamento finale del Dan Tien mediano nel Dan Tien superiore richiama lo Yoni Mudra. e… Il concetto del Grande Circolo Celeste ricorda quello del Pranayama col respiro interiorizzato. Apana Apana è una delle cinque forme di energia nel corpo (dette nel loro insieme Prana). Associata alla regione dell’addome inferiore, è responsabile di tutte le attività (processo di eliminazione per esempio) che ivi hanno luogo. Il Kriya Pranayama, nella sua fase iniziale, è essenzialmente il movimento del Prana (inteso non nel suo complesso ma come la particolare energia presente nella parte superiore del tronco – polmoni e cuore) in Apana e dell’Apana nel Prana. Quando inspiriamo, il Prana dall’esterno del corpo è portato all’interno ed incontra Apana nel basso addome; durante l'espirazione l'Apana si muove dalla sua sede su verso l’alto e si mescola col Prana. Durante la pratica profonda del Pranayama questo evento genera un aumento di calore nella regione di ombelico: ciò calma il respiro in un modo impossibile da ottenere altrimenti. È questo calore (Agni) che accende la luce dell'occhio spirituale. Asana Posizione del corpo adatta alla meditazione. Come disse Patanjali, la posizione assunta dallo Yogi deve essere stabile e comoda. La maggior parte dei kriyaban si trova bene con il cosiddetto Mezzo-loto [vedi]: esso, infatti, evita alcuni problemi fisici. Per il kriyaban medio, Siddhasana [vedi] è considerata superiore a tutte le altre Asana. Se infine prendiamo in considerazione i kriyaban esperti di Hatha-Yoga, che hanno delle articolazioni molto flessibili, la posizione perfetta è indubbiamente Padmasana [vedi]. Assenza di respiro C'è un alone di mistero sulla descrizione di questo stato; alcuni autori affermano apertamente che esso è impossibile e che ogni affermazione relativa al suo verificarsi è falsa. Esso è, in realtà, del tutto possibile, anche se può essere ottenuto soltanto dopo anni di pratica Kriya. L’assenza di respiro non ha nulla a che vedere con il trattenere forzatamente il respiro. Essa non consiste nel banale fatto che il respiro diviene sempre più calmo. È lo stato in cui il respiro è del tutto assente - con la conseguente dissoluzione della mente. Quando si manifesta, un kriyaban non sente il bisogno di inspirare; oppure fa una breve inspirazione e non sente il bisogno di espirare per un tempo molto lungo. (Più a lungo di quanto la medicina giudichi possibile.) Il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la decisa percezione di non star respirando affatto; egli percepisce un'energia fresca nel corpo, che sostiene la sua vita dall’interno, senza bisogno di ossigeno. È uno stato fantastico! Senza alcun sentimento di disagio, questa condizione dura vari minuti. Non c’è il minimo fremito di sorpresa oppure il pensiero: «Finalmente ci sono riuscito!». Ciò non significa che la persona sia inconsapevole: è perfettamente consapevole, ma in un modo calmo, molto distaccato. La persona è trasportata lontano, più lontano di qualsiasi territorio conosciuto ed è consapevole tanto quanto basta per capire che questa è la esperienza chiave della sua 190 vita; un'esaltazione, che nulla nella vita può dare, è sperimentata. Secondo la teoria del Kriya, questo stato è il risultato dell’aver completato il lavoro di tagliare il nodo del cuore. Esso incarna le caratteristiche dell’autentica vita "religiosa". Per ottenerlo è necessario vivere in un modo attivo ma anche introverso. Conservando, durante le attività del giorno, gli effetti che conseguono alla pratica del Kriya, il Prana presente nel corpo perde ogni irrequietezza; una profonda calma pervade ogni parte della costituzione psicofisica; la cessazione del respiro, durante le sessioni di Kriya, comincia ad avvenire. Aswini Mudra Aswini Mudra significa Mudra del "cavallo" perché la contrazione anale assomiglia al movimento che un cavallo fa col suo sfintere immediatamente dopo l'evacuazione degli intestini. Ci possono essere definizioni lievemente diverse di tale Mudra e, qualche volta, è confuso col Mula Bandha [vedi]. La definizione di base è di contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale [sfintere] col ritmo di approssimativamente due contrazioni il secondo. Questo Mudra è un modo diretto per entrare in contatto con l’energia bloccata e stagnante alla base della spina dorsale e spingerla verso l’alto. All’inizio lo yogi contrae e rilassa anche i glutei, il perineo o persino l’intera regione pelvica; col tempo, si riesce a contrarre solo i muscoli dello sfintere che stimolano l’energia nella sua precisa sede. Lo scopo di questo Mudra è realizzato non appena si sentono ondate di energia nella parte inferiore della spina dorsale o una forte presenza di energia sulla superficie dell’intero corpo. Questa tecnica non è una parte standard del Kriya, ciononostante alcuni insegnanti la consigliano specificatamente a coloro che non sono capaci di praticare il Kechari Mudra; consigliano di praticarla durante i primi 12-24 respiri del Pranayama, sia durante l'inspirazione che durante la espirazione. In seguito, il movimento fisico diminuisce naturalmente in intensità, mentre la consapevolezza è portata fortemente nella spina dorsale. Se questa tecnica è praticata isolatamente essa produrrà dei buoni risultati ma nulla da paragonarsi a quelli ottenuti quando è praticata insieme al Kriya Pranayama. Bandha Nello Yoga nessuna pratica del Pranayama può dirsi completa senza i Bandha. Esse sono valvole di energia, serrature, non semplici contrazioni dei muscoli che impediscono all'energia di essere dissipata e la dirigono all’interno della spina dorsale. Nel Jalandhara Bandha il collo e la gola sono leggermente contratti, mentre il mento è premuto contro il petto. Nell’Uddiyana Bandha i muscoli addominali sono leggermente contratti per intensificare la percezione dell’energia nella colonna spinale. Nel Mula Bandha i muscoli del perineo - tra l'ano e gli organi genitali – sono leggermente contratti mentre è esercitata una pressione mentale sulla parte bassa della spina dorsale. (Differentemente dall’Aswini Mudra, uno non si limita semplicemente a contrarre i muscoli dello sfintere; nel Mula Bandha il perineo sembra chiudersi verso l'alto mentre il diaframma pelvico è tirato verso l'alto per mezzo del movimento dell'osso 191 pubico.) I tre Bandha, applicati simultaneamente, creano la sensazione di un brivido interno quasi estatico, una corrente energetica che si muove in su lungo la spina dorsale. Nella parte iniziale del percorso Kriya, lo yogi ha solo una comprensione approssimata dei Bandha, in seguito addiverrà ad una loro completa padronanza e potrà utilizzarli, con leggeri adattamenti, in moltissime tecniche Kriya. Bindu Centro spirituale localizzato nella regione della nuca dove l’attaccatura dei capelli forma come un vortice. Fin tanto che l’energia, diffusa in tutto il corpo, non raggiunge il Bindu, una specie di schermo impedisce all’anima di contemplare l’occhio spirituale. Portare tutta la propria forza, là, in quel piccolo spazio, non è un compito facile perché le radici dell'Ego hanno la loro sede in tale centro; esse devono essere affrontate e sradicate. Chakra Nel corso dei secoli gli uomini svilupparono degli strumenti che mirano a viaggiare, rimanendo nella perfetta immobilità, con la propria consapevolezza nelle profondità della nostra anima: ad un certo punto scoprirono la realtà dei Chakra. Entrando in sintonia con loro, raggiunsero il livello più sottile che si può toccare risiedendo in un corpo umano, la piena attivazione del Sahasrara Chakra. Durante questo viaggio, accaddero varie esperienze spirituali, descritte nella letteratura specializzata. Oggi, quasi tutti gli studenti di Yoga sono rimasti incantati nell’incontrare la bella immagine della Madre Divina Kali, ovvero Kundalini, che realizza l’unione col suo sposo adorato, il supremo Shiva risiedente nella beatitudine eterna in cima alla testa. Essa è un simbolo dell'avventura suprema che un’anima può sperimentare. La parola Chakra viene dal Sanscrito cakra che significa "ruota" o "cerchio." I Chakra sono le "ruote" della nostra vita spirituale; sono descritti nei testi tantrici come emanazioni dello Spirito, la cui essenza si espanse gradualmente in livelli sempre più grossolani di manifestazione, raggiungendo in fine la dimensione del Chakra di base, il Muladhara, che rappresenta il mondo fisico. L'energia-coscienza, discesa, giace arrotolata e addormentata alla base della spina dorsale ed è chiamata, Kundalini - colei che è arrotolata. L'anima viene dal grembo dell'eterno: Kundalini la risveglia alla piena memoria della sua origine. Nessun autore ha mai "provato" l’esistenza dei Chakra - come nessun uomo ha mai provato l'esistenza dell'anima. Siccome non possiamo portarli sul tavolo di un laboratorio è difficile descriverli. In qualsivoglia libro di Yoga troviamo descrizioni che si appoggiano su una traduzione di due testi indiani, il Sat-Cakra-Nirupana, ed il Padaka-Pancaka, scritti da Sir John Woodroffe, alias Arturo Avalon in un libro intitolato Il potere del Serpente. L’argomento che ivi è descritto sembra essere innaturalmente complicato, quasi impossibile da essere utilizzato. Questi concetti sono stati ulteriormente inquinati dalla teosofia e simile letteratura esoterica di altolivello. Il libro i Chakra scritto dall’autore controverso C. W. Leadbeater, è in grande parte il risultato dell'elaborazione mentale delle sue proprie esperienze. Per mezzo della pratica del Kriya, possiamo avere esperienza dei Chakra. Cominciando da Muladhara, il Chakra radice, localizzato sopra l’ano, proprio alla base della colonna spinale, nella parte più bassa del coccige, incontriamo un centro che distribuisce energia alle gambe, alla parte più basso del bacino, irradiando in modo particolare le Gonadi (testicoli negli uomini, ovaie nelle donne). 192 Un compito difficile è quello di attribuire degli effetti psicologici alla stimolazione di questo o di quel Chakra. Non voglio ripetere pari pari le solite cose New Age ma solo dare un'idea di quello che un kriyaban potrà provare. Le tecniche Kriya producono precisi effetti percepiti specialmente nel giorno che segue la pratica, in molti modi: stati d’animo, fantasie, ricordi e desideri che sorgono improvvisamente. Tutto questo è benefico. Vivere in modo molto vivo parti della nostra vita, da molto dimenticate, per mezzo della memoria così stimolata è un processo di pulizia. Questo processo ha in se stesso un meccanismo equilibrante che aiuterà ad evitare di essere sommersi da tempeste di improvvisi umori grigiastri. Con questo in mente, leggiamo che il Muladhar simboleggia la coscienza obiettiva, la consapevolezza dell'universo fisico. È posto in relazione all’istinto, alla sicurezza, alla nostra abilità di radicarci nel mondo fisico, al desiderio di beni materiali ed anche a costruire una buon immagine di Sé. Se questo Chakra è in uno stato armonioso, siamo ben centrati ed abbiamo una forte volontà di vivere. Il secondo, Chakra sacrale, Swadhisthana, è localizzato nella spina dorsale tra le ultime vertebre lombari e l'inizio del sacro. Si dice che la sua area di proiezione energetica è l'area degli organi sessuali - in parte interseca la regione dell'influenza del Muladhara. Poiché è posto in relazione con le emozioni di base, con la vitalità sessuale, creatività, e con la parte più profonda dei regni del subcosciente, uno stimolo profondo a tale centro produrrà dei sogni profondi molto coinvolgenti; la sua azione può essere percepita come un sentimento di star vivendo una favola, la cui natura è dolce, allettante. Il Manipura, Ombelico o Plesso Solare, è posto nella spina dorsale allo stesso livello dell'Ombelico, vicino alla fine delle vertebre dorsali e all'inizio di quelle lombari. Si afferma che influenzi il pancreas e le ghiandole surrenali sopra i reni. Questo legame giustifica l'idea di un Chakra la cui influenza, si dice, corrisponda ai ruoli, giocati da tali ghiandole: l'emozione più alta e l’energia - proprio come il ruolo giocato dall’adrenalina. Si dice che contribuisca a creare un senso di potere personale, un sicuro sentire del "Io sono". Radicati e a proprio agio nel nostro posto nell'universo, siamo capaci di affermare con determinazione lo scopo della nostra vita. Si afferma che Anahat, il Chakra del cuore, localizzato nella spina dorsale all'altezza della parte media delle vertebre dorsali, influenzi il timo che è parte del sistema immunitario, così come parte del sistema endocrino. Tutti sono d’accordo sul fatto che Anahata è riferito alla più alta emozione, compassione, amore, ed intuizione. Quando una persona si concentra su di esso, sentimenti di tenerezza profonda e di compassione cominceranno a svilupparsi. Un Chakra del cuore sano e completamente aperto significa riuscire a vedere la bellezza interna negli altri nonostante i loro apparenti difetti, amare ognuno, anche gli estranei che incontriamo per strada. C'è un procedere graduale dalle "buone emozioni" dei Chakra più bassi alle emozioni più alte ed ai sentimenti del Chakra del cuore. Quello che riveste un grande interesse, è che l'apertura di questo centro comporta il vedere la vita in una maniera più neutrale e vedere quello che altri non possono vedere. Cessa la predisposizione ad essere influenzati dalle altre persone, dalle chiese e dalle organizzazioni in generale. Si assicura che Vishuddha, Chakra della Gola, precisamente tra le ultime vertebre cervicali e le prime vertebre dorsali, influenzi la Tiroide e la Paratiroide; siccome 193 controlla anche l'attività delle corde vocali, si afferma che esso ha qualche cosa a che vedere con la nostra capacità di esprimere le nostre idee nel mondo. Sembra che possa essere posto in relazione con la capacità di comunicazione e col prendere su di sé la responsabilità personale per le nostre azioni. La persona non biasima più gli altri per i suoi problemi e può portare avanti la sua vita con piena responsabilità. Molti autori affermano che esso risveglia l'inspirazione artistica, l’abilità di sviluppare una superiore percezione estetica. Ajna, Chakra del terzo occhio, localizzato nella parte centrale del cervello, influenza la ghiandola pituitaria [l'ipofisi] ed il cervelletto. L’ipofisi ha un ruolo vitale nell’organismo, nel senso che insieme all’ipotalamo agisce come un sistema di comando di tutte le altre ghiandole endocrine. In Sanscrito, "Ajna" vuol dire "comandare," che significa che esso ha il comando ovvero controlla le nostre vite: per mezzo di una azione controllata, porta alla realtà il frutto dei nostri desideri. Di conseguenza, si afferma che l’Ajna Chakra abbia un ruolo vitale nel risveglio spirituale di una persona. Esso è la sede dell’intuizione. Il Chakra supremo è il Sahasrara, Chakra della Corona, proprio sopra la cima della testa. Si afferma che esso influenzi, o sia legato, con la ghiandola Pineale. Esso permette il distacco dall’illusione ed è in relazione alla propria capacità di espansione di coscienza e al grado di sintonia con la Realtà Divina. È una realtà superiore e noi possiamo sperimentarlo solamente nello stato di assenza di respiro. È possibile "entrare in sintonia" con esso utilizzando il Bindu come una via d'accesso. Un kriyaban non ha bisogno di usare il potere della visualizzazione per percepire la realtà dei Chakra. Nello Yoga si consiglia di visualizzare il loro colore specifico (rosso, arancio, giallo… come la sequenza dei colori dell’arcobaleno). Possono essere visualizzati come dei loti, ciascuno con un particolare numero di petali con una lettera dell'alfabeto Sanscrito su ogni petalo. Nel Kriya, calmando la tempesta del respiro, mentre si lascia che l'energia fluisca attraverso di essi, si canta Om o altri Mantra armoniosi presso la loro ubicazione. Quando la consapevolezza, salendo dal Muladhar al Sahasrara e viceversa, si ferma per almeno mezzo minuto su ciascuno di essi, la percezione di una sensazione dolce e piacevole è quasi immediata. Dei suoni interiori così come dei colori che provengono dalle loro sedi approfondisce il contatto con la dimensione Omkar. Col tempo un kriyban ottiene l’abilità di distinguere le diverse percentuali di vibrazione di ogni Chakra, la qualcosa ha un valore decisivo per raggiungere la liberazione finale da tutte le sofferenze e limitazioni implicate nel vivere. Poniamoci una domanda: possiamo ricevere risultati negativi dal Kriya per il fatto che uno o più Chakra sono bloccati? La risposta non può essere che negativa. Certo possiamo sperimentare particolari emozioni. Si dice che ogni sentimento d'insicurezza, di essere fuori dal contatto con la realtà quotidiana sia dovuto a blocchi nel Muladhara. Lo stesso è quando desideriamo evitare ogni attività fisica. In simile maniera tutte le oscillazioni di umore originate da blocchi nel Chakra Swadhisthana andranno a scomparire, anche grazie al grande aiuto della chiarezza mentale che viene dal Manipura. Si afferma che i blocchi del Manipura possono dare luogo ad irritazione e manifestazioni di rabbia. Lavorando col Navi Kriya essi andranno a scomparire. Lavorando col Thokar, alcuni problemi presenti in Anahata possono divenire visibili. Può trattarsi di un sentimento di essere indegni, autocommiserazione, 194 temere il rifiuto, aver paura di lasciare che nuove cose si manifestino. I blocchi in Anahata sono il risultato di possibili traumi nell'infanzia e nell'adolescenza. Per quanto riguarda Vishuddha, si afferma che qualsiasi disarmonia presente in tale Chakra sia legata a problemi di comunicazione e all’incapacità di trovare il nostro posto nella società dove far sì che le nostre potenzialità si trasformino in azione concreta. Infine diamo un cenno all'esistenza dei "Chakra frontali". Nelle altre tradizioni ci sono vari modelli di Chakra: insegnamenti riguardanti i "Chakra frontali" si trovano presso alcuni kriyaban provenienti dalla discendenza di Sri Yukteswar. Il perineo è il primo, la regione dei genitali è il secondo, l'ombelico è il terzo, la parte centrale della regione dello sterno è il quarto, il pomo di Adamo è il quinto e il Kutastha può essere considerato come il sesto. Il punto chiave è capire che quando questi punti sono toccati con la concentrazione, l'energia attorno al corrispondente Chakra nella spina dorsale è stimolata. Dan Tien Sebbene pertinente al contesto teorico dell’Alchimia Interiore dell’antica Cina, tenendo ben chiara in mente la sua localizzazione, un kriyaban può approfondire il meccanismo del Pranayama e del Navi Kriya. Secondo la filosofia del taoismo, noi abbiamo tre Dan Tien, uno nel basso addome (Dan Tien inferiore), uno nel cuore (Dan Tien mediano) ed uno nel terzo occhio (Dan Tien superiore). Ebbene, pacificare il Prana in questi precisi luoghi è proprio il nucleo dell’azione del Kriya – da qui il nostro interesse in questo argomento. Il Dan Tien inferiore o "Campo di cinabro" è anche detto il "Calderino" in quanto è il luogo dove colui che pratica "raccoglie, fonde insieme e cucina" le sue energia sessuali, dell’amore e quelle spirituali. Per circoscrivere la sua posizione ci si deve concentrare sull'ombelico, venire approssimativamente quattro centimetri indietro verso la spina dorsale e poi sotto per la stessa estensione: può essere visualizzato come una palla di gomma di circa otto centimetri di diametro. Si ritiene che contenga la nostra peculiare vibrazione, la "nota" che incarna la nostra volontà di vivere nel corpo fisico. Da qui proviene quella forza che ci spiana la strada all’esperienza dello stato di assenza di respiro. Dharana Secondo Patanjali, Dharana è la concentrazione su un oggetto fisico o astratto. Nel Kriya, Dharana consiste nel far convergere la nostra attenzione verso la rivelazione dello Spirito: il suono interiore di Omkar, luce o sensazione di movimento. Questo avviene subito dopo aver calmato il respiro, Dhyana Secondo Patanjali, Dhyana scaturisce dal contemplare la natura essenziale dell’oggetto scelto, come un costante, ininterrotto flusso di coscienza. Nel Kriya la consapevolezza, soffermandosi sulla realtà Omkar, è presto persa nello stato di Samadhi. Esicasmo Molti ricercatori occidentali guardano all’oriente per imparare tecniche di meditazione volte verso la reale esperienza del Divino. Spesso trascurano il fatto che una tradizione Cristiana, sistematica e precisa, esiste presso la tradizione Esicasta. Per quanto riguarda il Kriya, nel mondo affascinante dell’Esicasmo possiamo avere l’opportunità di avvicinare anime che ne sanno più di noi sul Pranayama e sul Thokar – anche se non hanno mai sentito parlare di Kriya! 195 Il termine Esicasmo deriva dalla parola greca "hesychia" che significa quiete interna, tranquillità e calma: senza questa condizione, la meditazione non è possibile. È una disciplina che integra la ripetizione continua della Preghiera di Gesù (già usata dai primi Padri della Chiesa nel quarto e nel quinto secolo) con la pratica dell'ascetismo. C’erano eremiti che dimoravano nel deserto, cercando la pace interiore e l’introspezione spirituale praticando la contemplazione e l'autodisciplina; non avevano dubbi sul fatto che la conoscenza di Dio poteva essere ottenuta solo attraverso la purezza dell’anima e la preghiera, non tramite il semplice studio o i puri piaceri mentali nel campo della filosofia. Più tardi, il loro metodo ascetico cominciò a rivelarsi come un insieme concreto di tecniche psicofisiche: questo è, effettivamente, il nucleo dell’Esicasmo. Fu Simeone, "il nuovo teologo" (1025-1092), che sviluppò la teoria quietistica con tale precisione tanto da poter essere considerato il padre di tale movimento. La pratica, che implicava specifiche posizioni del corpo e precisi schemi di respirazione, era intesa a percepire la Luce Increata di Dio. I monaci di Athos avrebbero potuto continuare tranquillamente a contemplare questa Luce Increata (che loro consideravano essere la meta più alta meta da ottenersi nella vita) se i loro metodi non fossero stati denunciati come superstiziosi e assurdi. L’obiezione era basata principalmente su un energico rifiuto della possibilità che la loro Luce Increata costituisse l’essenza Divina. Verso l'anno 1337, l’Esicasmo attirò l'attenzione di un dotto membro della Chiesa Ortodossa, Barlaam di Seminara, un monaco Calabrese (più tardi divenne l'insegnante greco del Tetrarca) che era abate in un monastero di Costantinopoli e che visitò Monte Athos. Là egli incontrò gli esicasti e ascoltò le descrizioni delle loro pratiche. Barlaam, addestrato nella teologia Scolastica Occidentale, fu scandalizzato dall’Esicasmo e cominciò a combatterlo sia a voce che nei suoi scritti. Chiamava gli esicasti "omphalopsychoi" - persone che hanno le loro anime nei loro ombelichi (a ragione del molto tempo che passavano indirizzando la loro concentrazione sulla regione ombelicale). Barlaam proponeva un approccio alla conoscenza di Dio più intellettuale di quello che gli esicasti insegnavano; egli asseriva che questa conoscenza poteva essere ottenuta solamente attraverso un lavoro d’indagine portato avanti dalla mente e tradotto in discriminazione tra la verità e la falsità. Egli sosteneva che nessuna parte di Dio poteva mai essere vista dagli esseri umani. La pratica degli esicasti fu difesa da San Gregorio Palamas. Egli era ben istruito nella filosofia greca e difese l’Esicasmo nel 1340, in tre sinodi diversi a Costantinopoli, e scrisse anche un numero di lavori in sua difesa. Lui usò una distinzione - già formulata nel quarto secolo nei lavori dei Padri della Cappadocia - tra le energie o opere di Dio e l'essenza di Dio: mentre l'essenza di Dio non può mai essere conosciuta dalle sue creature, le Sue energie od operazioni possono essere conosciute sia in questa che nella prossima vita; esse trasmettono all’esicasta la vera conoscenza spirituale di Dio. Nella teologia Palamita, sono le energie non create di Dio che illuminano l’esicasta a cui è stata concessa un'esperienza della Luce Increata. Nel 1341 la disputa fu stabilita: Barlaam fu condannato e ritornò in Calabria, in seguito divenne vescovo nella Chiesa Cattolica Romana. In seguito, la dottrina esicasta fu stabilita come la dottrina della Chiesa Ortodossa. 196 Fino ad oggi, la Chiesa Cattolica Romana non ha mai accettato pienamente L’Esicasmo: l'essenza di Dio può essere conosciuta, ma solamente nella prossima vita; non ci può essere distinzione tra le energie e l'essenza di Dio. Oggi Monte Athos è il noto centro della pratica dell’Esicasmo. I libri usati dagli esicasti includono la Philokalia, una raccolta di testi sulla preghiera e sull’ascetismo scritti dal quarto al quindicesimo secolo. (Questo è un testo noioso che rappresenta la tendenza della mente, ossessionata dal peccato e dalle tentazioni, di complicare le cose più semplici. Molto più affascinante è "I racconti di un pellegrino russo" [anonimo, Bompiani] che è uno degli esempi della letteratura spirituale russa più diffusamente letti. L'autore che è devoto della Preghiera di Gesù, è stato identificato sulla base di testimoni come il monaco russo Archimandrita Ortodosso Mikhail Kozlov. La ragione principale dell'attrazione che quest’opera suscita è la presentazione della vita di un eremita vagabondo come il modello di condurre la vita a beneficio di coloro che si propongono di condurre una vita spirituale. «Per grazia di Dio sono un cristiano, in azioni un grande peccatore e, per scelta, un vagabondo, di umile nascita, senza casa, che erra da luogo il luogo. I miei beni sono uno zaino con un po' di pane secco e, nel taschino, una Bibbia. Questo è tutto.» È un libro semplice, edificante, di universale appello spirituale. Nel suo consiglio pratico di non esitare ad incominciare la pratica della Preghiera di Gesù, è veramente incalzante.) Ora consideriamo l’aspetto tecnico della pratica esicasta: l’insegnamento per trovare la quiete interiore e percepire la Luce Increata. La prima caratteristica è limitare le attività esterne e sforzarsi, al meglio, di ignorare i sensi fisici. Essi interpretano l’ingiunzione di Cristo nel Vangelo di Matteo: «quando vuoi pregare, entra in camera tua e chiudi la porta» come il dovere di ritirarsi internamente. Essi affermano che il primo passo è mantenere il corpo immobile per lungo tempo. Poi si occupano di un ascetismo mentale ovvero del rifiuto delle tentazioni. Molta della letteratura dell’Esicasmo si occupa dell'analisi psicologica di tali insidie. Essi osservano i pensieri negativi e li combattono con coraggio. Essi insegnano che il praticante deve essere estremamente cosciente del suo mondo interno e delle parole della Preghiera di Gesù, non lasciando che la mente si distragga in alcun modo. La Preghiera di Gesù è: "Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!" La sua formulazione può essere diversa, da: "Gesù Cristo abbi pietà di me!" alla più semplice e perfetta versione: "Gesù! Gesù!…" semplicemente un appello-implorazione all’adorato Gesù per mezzo dell’umile ripetizione del Suo nome La preghiera viene detta con il "cuore" - intendendo veramente quello che le sue parole implicano. Tale pratica prende dentro l’intero essere umano – anima, mente e corpo. (Alcuni turisti a Monte Athos ricevettero un rifiuto quando chiesero informazioni sulla Preghiera di Gesù; questo fu probabilmente causato dal loro atteggiamento superficiale e affrettato.) Ancora più sacro è considerato il metodo che implica il controllo del respiro. Il pronunciare la Preghiera è sincronizzato con il proprio respiro. Nella tradizione esicasta troviamo scritto: «Fate che il ricordo di Gesù sia presente in ciascun respiro, e poi capirete il valore della "Hesychia". » 197 Il metodo è simile al nostro Kriya Pranayama. San Simeone scrive: «Poi ti ritirerai in un luogo tranquillo, chiuderai le porte, distoglierai la mente da ogni cosa temporale e caduca e, chinata la testa sul petto, resterai così concentrato in te stesso ponendo l’attenzione sul centro della pancia ovvero sull’ombelico. Controlla poi l’entrata del respiro attraverso le narici, in modo tale da non respirare facilmente (ovvero fai un certo rumore nella gola) e cerca con l’intelletto nel tuo interno come per trovare il luogo del cuore, dove risiedono tutti i poteri dell'anima. Dapprima troverai laggiù un’oscurità ed una densità impenetrabile. In seguito, se perseveri nella concentrazione senza posa, giorno e notte, vi troverai una gioia incessante. La mente, così avvinta, illuminerà il luogo del cuore e là vedrà subito cose tali, quali non aveva mai viste né conosciute. Vedrai lo spazio aperto all'interno del tuo cuore e scoprirai di essere tu stesso luminoso e pieno di discriminazione. » Pseudo-Simeone, "I Tre Metodi di Preghiera," in: La Filocalia (5 vol.; tr. G.E.H. Palmiere, P. Sherrard, e K. Ware; Londra: Faber e Faber, 1995) 4.72-3. (Il paragone con la tecnica del Navi Kriya è impressionante.) Naturalmente c'è, per quanto riguarda queste pratiche, una grande enfasi sull’umiltà, molta cautela viene suggerita accennando ai disastri che possono capitare a colui che procede con orgoglio, arroganza o presunzione. La parte più segreta è la descrizione di quanto avviene nello spazio entro il cuore. La persona è guidata attraverso l'oscurità e attraverso "una densità impenetrabile" verso le profondità del cuore. Questa discesa è da prendersi alla lettera, non è affatto un’espressione metaforica. Questo è uno stadio evoluto della pratica spirituale e tentare di raggiungerlo prematuramente può causare delle ferite emotive molto serie. L’istruzione è quella di sentire la propria testa che si muove nel torace e lì risiede, poi di "aprire" gli occhi in tale luogo e guardare il mondo dal proprio petto. Il mondo è percepito in un modo totalmente diverso: non come aspro e ostile, ma come delicato, caldo e che risponde alle emozioni dell’amore! Il cuore è riempito della beatitudine più sottile, carica d’amore! In questo stato, il devoto diventa lui stesso "permeato" di luce. L’illuminazione proviene dall’interno, si irradia dallo spazio aperto contenuto entro il cuore. (Questa istruzione può aiutare un kriyaban a riconsiderare la tecnica del Thokar da una nuova prospettiva.) L’esicasta, quando ha ottenuta tale esperienza, ritorna alla vita di tutti i giorni completamente trasformato. Il "dialogo interno" che ostacolava la meditazione è sotto controllo: egli può vivere permanentemente in uno stato che è detto "la sentinella della mente". È lo stato più sano e naturale della mente. La coscienza non è più oppressa dalla produzione spontanea di immagini - questo è l’attributo principale della vera vita religiosa. Per trarre alcune conclusioni, comprendiamo che per stabilirci nello stato di continua sintonia con la realtà Omkar, il modo più sicuro è stabilirci nella pratica vigorosa di un Japa fervente. Il Mantra che usiamo nel Kriya dovrebbe essere vissuto come una Preghiera luminosa: in questo modo è possibile innamorarsene. La sua Magia Divina si diffonderà in ogni sfaccettatura della nostra vita, sarà come uscire da una stanza scura nell’aria fresca e nella luce del sole. Non ci saranno più problemi di aridità, mancanza di motivazione e difficoltà di concentrazione. Come quando ci troviamo all’aria fresca noi non ci concentriamo su di essa ma la respiriamo, nello stesso modo il nostro sentiero sarà un’esperienza di pura gioia. 198 Flauto, suono del [durante il Pranayama] Durante il Pranayama, si produce nella gola un leggero sibilo; quando un kriyaban riesce ad assumere la posizione del Kechari Mudra, allora la frequenza del suono della espirazione aumenta. Questo suono è stato paragonato al "flauto di Krishna." Lahiri Mahasaya lo descrive: "come quando qualcuno soffia attraverso il buco della serratura". Questo suono, estremamente godibile, fa sì che la mente cresca in calma e trasparenza e aiuta a prolungare senza sforzo la pratica del Pranayama. Ciò è la base per raggiungere lo stadio più elevato del Kriya: quello del Samadhi. Un giorno il suono del flauto si trasformerà nel suono di Om. In altre parole, farà sorgere il suono di Om, la cui vibrazione è così forte da coprire il suono stesso del flauto. Durante questo evento, un forte movimento di energia sale lungo la spina dorsale. Granti [vedi Nodo] Guru L'importanza di trovare un Guru (insegnante) che faccia da supervisore all'addestramento spirituale del discepolo è una delle credenze fondamentali di molti sentieri spirituali. Uno dei principali testi indù, la Bhagavad Gita è un dialogo tra Dio nella forma di Krishna ed il principe guerriero Arjuna. Non solo il loro dialogo è un compendio degli ideali dell'Induismo, ma la discussione e il rapporto tra i due è considerato un'espressione dell’ideale rapporto Guru-discepolo. Un Guru è un insegnante, una guida e molto di più. Le sacre scritture dichiarano che il Guru è Dio e Dio è il Guru. C'è un detto che se il devoto fosse presentato al Guru e a Dio, prima dovrebbe inchinarsi al Guru, poiché il Guru è stato lo strumento che lo ha condotto a Dio. Siamo abituati a spiegare il termine "Guru" come un'interazione metaforica tra l'oscurità e la luce: il Guru è visto come colui che disperde l'oscurità: "Gu" vuole dire oscurità e "Ru" colui che la rimuove. Alcuni studiosi non accettano questa etimologia; secondo loro "Gu" sta per "oltre le qualità" e "Ru" per "privo di forma". Per ricevere tutti i benefici dal contatto col Guru uno deve essere umile, sincero, puro in corpo e mente e pronto ad arrendersi alla volontà e alle istruzioni del Guru. I criteri per scegliere un Guru sono complessi: se egli non è sposato dovrebbe mantenersi casto, dovrebbe esibire mancanza di interesse per i soldi, abilità di sedere in meditazione per ore senza alcun movimento o disturbo. Il lignaggio del Guru riceve talvolta una grande importanza. E’ stato iniziato e da chi? C'è una prova che ricevette l’iniziazione dalla persona da cui lui dice di essere stato iniziato? Il potere spirituale di un Guru, trasmesso dai suoi migliori discepoli che continuano il suo lascito è noto come il Guru - Parampara. Si crede comunemente che tale catena di Guru trasmetta l’ingrediente essenziale affinché la Diksha funzioni - dare la conoscenza esoterica al discepolo in modo che questi possa avanzare lungo il percorso verso la auto realizzazione. Talvolta essa è accompagnata dallo Shaktipat, la procedura di risvegliare la conoscenza spirituale che giace sopita all'interno del discepolo. Un riconoscimento formale di questa relazione, che di solito assume la forma di una cerimonia di iniziazione ben strutturata, include il Gurudakshina: il discepolo offre un qualcosa di valore al suo Guru come segno di gratitudine. Questo è quello che dice la letteratura. Ora cerchiamo di conoscere i fatti. 199 Durante gli anni 60’ e 70’, come alternativa alle religioni stabilite, alcune persone in Europa e negli Stati Uniti si volsero verso le guide spirituali dell'India, ansiosi di ricevere da loro risposte sul significato della vita. Molte persone si rivolsero a dei Guru perché volevano provare lo sballo senza le droghe che avevano aperto loro l'esistenza di quella dimensione che si trova al di là della realtà percettibile. Molti Guru (provenienti non solo dall'India) viaggiarono principalmente verso gli Stati Uniti dove acquisirono gruppi di giovani seguaci. La parola "Guru" fu accettata in senso più ampio non solo per indicare un insegnante spirituale ma anche qualcuno che conosca molto bene un particolare soggetto. Purtroppo acquistò anche connotazioni molto negative per indicare un ciarlatano - affarista che finge di essere un santo. Le rivelazioni da parte di ex-seguaci giocò un ruolo importante nel riconoscere che alcuni Guru avevano davvero abusato del loro status. All'interno di alcune organizzazioni, il termine Guru assunse un significato molto strano perché fu attribuito ad una persona che i discepoli non avevano conosciuto direttamente. A tali devoti si chiedeva di giurare la loro eterna devozione non solo ad una persona ma anche ad una catena di Maestri, anche se solamente uno di loro doveva essere considerato il Guru-precettore. Essendo stati iniziati in una disciplina spirituale dai canali legittimi (discepoli autorizzati), si affermava che il Guru, anche se non più su questa terra, sarebbe stato una presenza reale nella loro vita. Gli si spiegava che il Guru avrebbe bruciato in qualche modo parte del loro Karma e li avrebbe sempre protetti; egli era uno speciale aiuto scelto da Dio Stesso già prima che loro avessero iniziato a cercare il percorso spirituale. Cercare un diverso percorso spirituale equivaleva ad «un odioso rifiuto della mano Divina, protesa in benedizione». I ricercatori spirituali che avevano un approccio ben equilibrato tra il razionale e il devoto, avevano buone ragioni per essere perplessi. Lahiri Mahasaya aveva detto: «Io non sono il Guru, io non mantengo una barriera tra il vero Guru (il Divino) ed il discepolo». Aggiunse che voleva essere considerato come uno "specchio". In altre parole, ciascun kriyaban avrebbe dovuto guardare a Lui non come ad un ideale irraggiungibile, ma come alla personificazione di tutta la saggezza e realizzazione spirituale che, a suo tempo, la pratica del Kriya sarebbe riuscita a far emergere. Ora si pone la domanda: le tecniche Kriya funzionano al di fuori del rapporto Guru-discepolo? Di sicuro non v’è risposta provata scientificamente. In questo campo possiamo usare sia la fede che la ragione. Molti kriyaban si rendono conto che il Divino risiede nel loro cuore e hanno la fiducia di riuscire a trasformare le tecniche, non importa come ricevute, in "oro". Pensano: "Al di là di tutte le aspettative, ragionevoli o improbabili, di trovare un esperto di Kriya a mia disposizione, mi rimbocco le maniche e vado avanti!" Ida [vedi Nadi] Japa [Vedi Preghiera] Kechari Mudra Il Kechari Mudra si ottiene in uno dei due modi seguenti: a… mettendo la lingua in contatto con l'ugola nella parte dietro del palato molle; b… infilando la lingua nella faringe nasale, toccando, se possibile, il setto nasale. Secondo Lahiri Mahasaya, un kriyaban dovrebbe realizzarlo non tagliando il frenulo della lingua ma per mezzo del Talabya Kriya [vedi]. Kechari si traduce letteralmente come: "lo stato di coloro che volano nel cielo, 200 nell'etere", nello "spazio interiore". Kechari è paragonato ad una corto circuitazione elettrica del sistema energetico della mente. Esso muta il percorso del flusso del Prana facendo sì che la forza vitale sia sottratta dal processo pensante. Invece di permettere ai pensieri di saltare come rane qui e là, fa sì che la mente sia quieta e permette che essa si concentri sulla meta della meditazione. Abbinato al Kriya è un aiuto sostanziale nel chiarificare ogni desiderio e nel pulire una gran quantità di materiale subconscio. È grazie a questo motivo assai realistico che è appropriato considerare il Kechari come il re dei Mudra dello Yoga. Un tema di dibattito è l'esperienza dell'elisir della vita, "Amrita", il "Nettare." Esso è un fluido dal gusto dolce percepito dal kriyaban con la punta della lingua quando tocca l'ugola oppure la prominenza ossea, nel tetto del palato, sotto l'ipofisi. C'è una Nadi che scorre attraverso il centro della lingua. Dell’energia s’irradia attraverso la sua punta e quando tocca quella prominenza ossea, la sua radiazione arriva e stimola l'Ajna Chakra nel centro del cervello. Si spiega che c'è una frattura tra il canale spinale e il midollo allungato. Come conseguenza c’è una frattura tra la spina dorsale e l’intero cervello. (Naturalmente dal punto di vista energetico.) Questa situazione è stata creata con la nostra nascita e sostenuta dal nostro comune modo di vivere. Ora, attirando magneticamente forze diverse a unirsi nella regione centrale del cervello, il Kechari elimina quella frattura e ripristina la continuità; una meravigliosa condizione di unione e di ricordo della nostra origine si ristabilisce nel nostro essere. Noi non ci rendiamo conto della quantità di energia che dissipiamo quando noi siamo persi nei nostri pensieri, nei nostri piani. Kechari trasforma questo modo pernicioso di consumare tutta la nostra vitalità nel suo opposto. La mente comincia a perdere il suo ruolo dispotico: la "attività interiore" non avviene più per mezzo del processo pensante ma per mezzo dello sviluppo, privo sforzo, dell'intuizione. Mentre altri effetti del Kechari, delineati nella letteratura sembrano essere un'esagerazione, questo conseguimento è reale e davvero importante! Kevala Kumbhaka [vedi Assenza di respiro] Kriya Yoga Se vogliamo comprendere l'essenza del Kriya Yoga, è necessario mettere da parte alcune definizioni che si trovano nei siti web. "Il Kriya Yoga è la scienza del controllo dell’energia vitale [Prana]." "… una tecnica che stimola i centri astrali cerebrospinali." ".. accelera lo sviluppo spirituale di colui che pratica e aiuta a generare uno stato profondo di tranquillità e di comunione con Dio." "…crea la calma degli stimoli trasmessi dai sensi." Non voglio contestarle, mi limito a sostenere che il Kriya è più ampio di quanto loro lascino presupporre. Ci sono definizioni che non dicono nulla: esse fanno una sintesi fallace dei suoi metodi ed elencano i suoi effetti nello stesso modo in cui uno descriverebbe la pratica dello Hatha o del Raja Yoga. Patanjali usò una volta sola il termine Kriya Yoga: "Il Kriya Yoga è formato da disciplina fisica, controllo della mente, e meditazione su Iswara." [Yoga Sutras II:1] Ciò è indubbiamente corretto, ma seguendo l’evoluzione del suo pensiero siamo condotti fuori strada. Sebbene gli affermi che, ricordando quel Suono, possiamo raggiungere la rimozione di tutti gli ostacoli che bloccano normalmente la nostra 201 evoluzione spirituale, egli non sviluppa questo metodo. È ben lungi dal descrivere la medesima disciplina spirituale insegnata da Lahiri Mahasaya. Il Kriya è un "sentiero mistico" che utilizza i migliori strumenti usati dai mistici di tutte le religioni. Esso consiste nel controllo del respiro [Pranayama], Preghiera [Japa, Mantra] e nel puro sforzo di entrare in sintonia con la Realtà Omkar. Il processo calmante del respiro Pranayama, seguito dalla procedura del Thokar, guida l’energia del corpo nel Chakra del cuore, fermando così, come in una stretta di calma, l’incessante riflesso che da origine al respiro. Quando una calma perfetta è stabilita, quando tutti i movimenti interni ed esterni cessano, il kriyaban percepisce una irradiazione di fresca energia che sostiene ogni cellula dall’interno; allora lo stato di assenza di respiro diventa stabile. Quando il respiro fisico è totalmente trasceso e nel corpo avviene la circolazione di una forma sottile d’energia - si dice che il respiro è "Interiorizzato" - nasce un senso d’infinita sicurezza, solidità e fiducia. La sensazione è quella di avere attraversato una barriera e di essere penetrati in uno spazio smisurato: il Kriya Yoga è un miracolo di bellezza. Kumbhaka Kumbhaka significa trattenere il respiro. È una fase del Pranayama, talmente importante che alcuni insegnanti di Yoga dubitano se un esercizio di respirazione che non includa alcun Kumbhaka possa essere correttamente considerato Pranayama. Si osserva che quando stiamo per fare qualche cosa che richieda la nostra totale attenzione, o per lo meno ne richieda molta, il nostro respiro è automaticamente trattenuto. Questo dimostra come tale fatto sia naturale. L'inspirazione nel Pranayama viene detta Puraka ovvero "l'atto di riempire"; l'espirazione viene detta Rechaka, ovvero "l'atto di vuotare." Il trattenimento del respiro è detto Kumbhaka, ovvero "trattenere." Kumbha è una brocca: proprio come una brocca trattiene l’acqua, così nel Kumbhaka il respiro ed il Prana è trattenuto nel corpo. Nella letteratura di Yoga classico sono quattro tipi di Kumbhaka descritti. I…Il primo è espirazione seguita da trattenimento. Noi espiriamo, profondamente e in modo calmo e tratteniamo il respiro per alcuni secondi. Questo è noto come "Bahya Kumbhaka" (Kumbhaka Esterno). II… Il secondo, "Abhyantar Kumbhaka" (Kumbhaka Interno), è trattenere il respiro per alcuni secondi dopo un'inspirazione profonda. Di solito questa specie di Kumbhaka è accompagnata dall’esecuzione dei tre Bandha. III…Il terzo tipo è quello praticato durante la respirazione alternata - inspirare profondamente attraverso la narice sinistra, poi trattenere il respiro ed espirare attraverso la destra…. È considerato la forma più facile di Kumbhaka. IV…. Il quarto è il più importante di tutti, la vetta del Pranayama. È detto Kevala Kumbhaka o sospensione automatica del respiro: è lo stato di Assenza di respiro dove non c’è inspirazione o espirazione, il minimo desiderio di respirare. Nel Kriya il principio fondamentale di [I] è presente nella forma evoluta del Navi Kriya - questo consiste infatti in una serie di espirazioni molto lunghe e calme che sembrano terminare in un nulla dolcissimo dove il respiro trova la sua quiete. Il Kumbhaka interno [II] lo troviamo in diverse tecniche del Kriya; in particolare nello Yoni Mudra. Il Maha Mudra, con la sua azione di bilanciamento sul lato destro e sul lato sinistro della spina dorsale, incarna - in senso lato – i principi del [III] 202 respiro alternato. Kundalini Il concetto di Kundalini e, in particolare, del suo risveglio, offre una comoda cornice per esprimere quello che avviene nel sentiero spirituale. La maggior parte delle tradizioni spirituali hanno una certa consapevolezza di Kundalini; non tutte sono ugualmente aperte nell’esporre i dettagli pratici di questo processo. Kundalini è un termine Sanscrito per "arrotolata": è concepita come una particolare energia avvolta come un serpente nel Chakra Muladhar. L’immagine di essere arrotolata come una molla rende l'idea di energia potenziale, ancora intatta. Essa dorme nel nostro corpo e sotto gli strati della nostra coscienza, aspettando di essere destata sia attraverso la disciplina spirituale sia attraverso altri mezzi – come particolari esperienze di vita. Si dice che essa salga dal Muladhar attraverso il canale spinale Sushumna, attivando ogni Chakra nel suo procedere; quando arriva al Chakra Sahasrara in cima alla testa, essa concede beatitudine infinita, illuminazione mistica ecc. È solo attraverso ripetuti sollevamenti di Kundalini che lo yogi riesce ad ottenere la realizzazione del Sé. Il suo risveglio non consiste in sensazioni piacevoli come un mite senso dello scorrere di energia nella spina dorsale. Il movimento di Kundalini è come avere una "eruzione vulcanica" interna, un "razzo" sparato attraverso la nostra spina dorsale! La sua natura è benefica; ci sono ragioni evidenti di perplessità nel considerare come autentici i rapporti di risveglio di Kundalini accompagnati da problemi come schemi di respirazione palesemente disturbati, distorsione dei processi di pensiero, insoliti o estremi rafforzamenti delle emozioni… Siamo piuttosto inclini a pensare che una qualche malattia latente, fatta emergere apertamente dalla pratica sconsiderata di violenti esercizi o di droghe sia la causa di quei fenomeni. Fenomeni come l'insonnia, l'ipersensibilità all’ambiente possono in realtà seguire l'esperienza autentica. In un "vero risveglio" la forza di Kundalini eclissa completamente l'ego e la persona si sente, per un certo tempo, disorientata. Ma tutto è assorbito senza problemi. Purtroppo, dopo un certo tempo, si scopre che l'ego è intatto e la reminiscenza dell'avvenimento può essere persino interpretata non più che una piacevole sensazione. La ricerca della ripetizione dell'episodio può condurre alla pratica disordinata e imprudente di tecniche strampalate, senza mai stabilire un minimo fondamento di silenzio mentale. Kundalini può essere anche ricercata per le sue vaghe implicazioni soprannaturali, per i suoi poteri illimitati che si presume conceda. Ogni libro avverte contro il rischio di un prematuro risveglio di Kundalini e afferma che il corpo deve essere preparato per quell’evento. Quasi tutti gli yogi pensano di essere capaci di sostenere questo risveglio prematuro, e la segnalazione del pericolo li eccita più che mai: il problema è che molti non hanno (o l'hanno perso) un genuino approccio spirituale e ne nutrono uno piuttosto egotistico. Nella cornice teorica del Kriya consideriamo che Kundalini è la stessa energia che esiste dappertutto nel corpo e non in particolare nel Muladhar Chakra. Kundalini è l’armoniosa fusione delle due correnti di Prana ed Apana. Quando c’è una calma ed una immobilità assoluta nel corpo, queste due correnti, divenute una sola, possono aprire la porta del Sushumna. Questo avviene dopo il Pranayama e il Navi Kriya, per mezzo di una ulteriore forte concentrazione nel Kutastha. 203 Nel Kriya usiamo raramente il termine "risveglio di Kundalini" e cerchiamo di evitare quanto potrebbe dare l’impressione che tale esperienza abbia una natura aliena: Kundalini è la nostra energia, è lo strato più puro della nostra coscienza. Concludiamo con un accenno ad una teoria molto affascinante. Essa afferma che Kundalini risiede in ciascuna cellula. Questo particolare punto di vista va di pari passo con la convinzione che il nostro corpo non è semplicemente l'involucro dell'anima - una macchina disegnata per andare qui e là in questo mondo fisico. Entrando in sintonia con la pura energia presente nelle sue cellule, si scopre lo strumento per entrare in contatto con la coscienza dell’umanità intera. Kutastha Kutastha, il "terzo occhio" o "occhio spirituale" è l'organo della visione interiore (la componente astrale unificata dei due occhi fisici), il luogo nel corpo dove si manifesta la Luce spirituale. Concentrandosi tra le sopracciglia, percepiamo anzitutto un buio informe, poi una piccola luce crepuscolare, poi altre luci; infine abbiamo l'esperienza di un anello dorato che circonda una macchia scura con un punto luminoso al suo interno. C’è un collegamento tra il Kutastha ed il Muladhar: quello che scorgiamo nello spazio tra le sopracciglia non è altro che l’apertura della porta spinale, che ha la sua sede nel primo Chakra. Alcuni insegnanti di Kriya affermano che la condizione per entrare nell’ultimo e supremo stadio del Kriya è che la visione dell’occhio spirituale sia costante; altri identificano questo stato con la condizione in cui l’energia è perfettamente calma alla base della spina dorsale. Le due affermazioni sono quindi equivalenti. Maha Mudra Maha Mudra è una particolare posizione di allungamento (stretching) del corpo. L’importanza di questa tecnica diviene chiara non appena si pensi che essa incorpora i tre Bandha principali dello Hatha Yoga. Ci sono davvero mille ed una ragioni per praticare con fermezza il Maha Mudra. C'è un rapporto tra il numero delle sue ripetizioni ed il numero dei respiri: si raccomanda che per ciascuno gruppo di 12 Pranayama, si esegua un Maha Mudra. Mahasamadhi [vedi Secondo Kriya] Mantra [vedi Preghiera] Mezzo-loto Quest’Asana [posizione] è stata usata per la meditazione da tempo immemorabile perché fornisce una confortevole posizione a sedere, molto facile da ottenersi. La gamba sinistra è piegata e portata verso il corpo e la pianta del piede sinistro si appoggia sulla parte interna della coscia destra. Il tallone del piede sinistro è tirato il più possibile vicino al corpo. La gamba destra è piegata ed il piede destro è posto sopra la zona della piega [ginocchio] della gamba sinistra. Il ginocchio destro è avvicinato il più possibile al pavimento. Le mani riposano sui ginocchi. Il segreto è di mantenere la spina dorsale eretta: questo può essere ottenuto solamente sedendo su un cuscino, abbastanza spesso, con i glutei appoggiati verso la metà anteriore del cuscino. In questo modo le natiche sono leggermente sollevate, mentre i ginocchi sono a livello del pavimento. 204 Quando le gambe si stancano, la posizione è prolungata invertendo le gambe. In certe situazioni, può essere provvidenziale assumere questo Mezzo-loto su una sedia, purché questa non abbia braccioli e sia abbastanza larga. In tal modo si può abbassare una gamba alla vota e rilassare la articolazione del ginocchio! Nota. La pressione di una palla di tennis (o di un asciugamano ripiegato) sul Perineo può dare i vantaggi della posizione Siddhasana. Nada Yoga Secondo l’insegnamento esoterico, l'essenza Divina sostiene questo universo per mezzo della vibrazione Om. Dio non è l'universo ma l'universo è parte di Lui. Qualsiasi cosa esista nel mondo fisico, astrale o causale, animata o inanimata, è fatta e sostenuta dalla vibrazione Divina. Si fa riferimento a questa vibrazione come "Om", "Omkar", "Pranava", "Shabda", "Nada Brahman." Un grande Maestro Sufi disse: "La creazione è la musica di Dio." Il suono gioca un ruolo vitale in tutte le tradizioni mistiche, essendo il ponte tra il mondo fisico e quello astrale, l'inconscio e il conscio, la forma e ciò che è senza forma. Il suono di Om è il suono "non prodotto da colpo" (Anahat) - non prodotto dall’azione di due o più oggetti che si urtano. È, infatti, un suono che non arriva all'orecchio umano dall’esterno ma dall’interno. "Cerca il Suono che mai non cessa, cerca il sole che mai non tramonta." (Rumi). "L'universo emerse per mezzo del Suono Divino; da esso emerse la Luce." (Shamasi-Tabriz). "Chi sta suonando un flauto in mezzo al cielo? Il flauto risuona in trikuti (centro tra le sopracciglia) la confluenza di Gange e Jamuna. Il suono emana dal Nord! Le mandriane, sentono il suono del flauto ed eccole, cadute in trance dal Nada." "È una musica senza note che suona nel corpo. Penetra le cose interiori e quelle esteriori e ci guida fuori dall’illusione." (Kabir). "Il Suono è in noi. È invisibile. Dovunque guardo lo trovo." (Guru Nanak). "In principio era il Verbo. E il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio." (Vangelo di San Giovanni). "Ed i suoi piedi erano come splendido ottone, incandescente; e la sua voce era come il suono di molte acque" (Rivelazione 1:15). San Giovanni della croce diede una splendida descrizione del suo incontro con i "fiumi risonanti", la "musica silenziosa", la "solitudine sonora". Non c’è dubbio che ascoltò il tipico suono di molte acque tipico della vibrazione di Om. Teresa di Avila nel suo libro "Il castello interiore" scrisse: "Esso ruggisce come molti grandi fiumi e cascate; ci sono flauti ed uno stormo di piccoli uccelli che cinguettano, non negli orecchi ma nella parte superiore della testa, dove si dice che l'anima abbia il suo posto speciale". Il Nada Yoga è il sentiero che porta all’unione col Divino attraverso l’ascolto dei suoni interiori. Surat-Shabda-Yoga è un altro nome per designare questa pratica. È una forma di meditazione estremamente godibile; chiunque può esserne coinvolto anche senza averla pienamente compresa. Le proprie capacità di ascolto miglioreranno e la sensibilità ai suoni aumenterà. Nada Yoga non è semplicemente una ricerca intellettuale ma esperienziale. Essa ha la sua base nel fatto che, una volta acquietata la mente, possiamo sentire i suoni astrali che stanno al di sotto dei suoni esteriori. Il suo primo passo è sedere quietamente e focalizzare l'attenzione sui suoni sottili che provengono dall’interno e non sui suoni udibili che provengono dall’esterno. Si può usare una particolare posizione del corpo - accucciati con i gomiti che 205 appoggiano sulle ginocchia, tanto fare un esempio - per tappare con le dita entrambi gli orecchi. Si raccomanda di ripetere mentalmente, incessantemente, il Mantra favorito. La consapevolezza dei suoni interiori apparirà prima o poi. Ci sono diversi livelli di progresso nell'esperienza dei suoni interiori: si potrà ascoltare un calabrone, un tamburo, il liuto, il flauto, l'arpa, il mormorio del tuono o il ronzio di un trasformatore elettrico. Alcuni di questi suoni non son altro che i suoni del proprio corpo, specialmente il pompare del sangue. Altri suoni sono realmente i "suoni oltre i suoni udibili." È in questo regno più profondo che, continuando a calmare la mente e a volgerla in una concentrazione rilassata, verrà attratta la propria consapevolezza. Dopo alcune settimane di pratica zelante si entrerà in sintonia con un suono più profondo di tutti i citati suoni astrali. Questo è il suono cosmico di Om. La tradizione Yogica collega questo suono interiore con Kundalini stessa. Quando raggiunge il massimo della sua elevazione e frequenza, diviene quieto. Esso rivela la sua natura come un movimento all'interno della perfetta quiete - cosa impossibile da afferrarsi intellettualmente. Questa esperienza è la via più sicura verso la realizzazione del Sè. Sfortunatamente molti cercano freneticamente impossibili surrogati di essa. Nadi Canali sottili attraverso i quali fluisce l'energia in tutto il corpo. I più importanti sono Ida che fluisce verticalmente lungo il lato sinistro della colonna spinale (si dice che sia di natura femminile), e Pingala (di natura maschile) che fluisce parallelamente al canale precedente sul lato destro; Sushumna fluisce nel mezzo e rappresenta l'esperienza situata oltre la dualità. Nadi Sodhana Esercizio di respirazione a narici alternate, non fa parte propriamente del Kriya Yoga. Poiché il suo effetto di calmare e rasserenare la mente (specialmente se l’esercizio è praticato di mattina) non ha paragoni, alcuni kriyaban lo hanno fatto divenire parte della loro routine. Navi Kriya L’essenza di questa tecnica è di dissolvere inspirazione ed espirazione nello stato di equilibrio nell'ombelico, sede della corrente Samana. È abbinata in modi diversi (prima o in seguito) alla pratica del Pranayama. Alcune scuole che non l'insegnano specificamente, offrono dei sostituti di essa – particolarmente notevole è l’istruzione, portata avanti da una istituzione di Kriya, di attirare molto intensamente l’ombelico all’interno (creando un cavo nell’addome come nell’Uddiyana Bandha) durante l’espirazione del Pranayama. Nirvikalpa Samadhi [vedi Paravastha] Nodo La definizione tradizionale dei Granthi individua tre nodi: il Brahma Granthi presso il Muladhara Chakra; il Vishnu Granthi nel Chakra del cuore e il Rudra Granthi nel Kutastha. Questi sono i luoghi dove le Nadi Ida, Pingala e Sushumna si riuniscono. I nodi sono la causa radice di tutti i nostri problemi perché ci separano dal serbatoio infinito di energia che si trova intorno a noi e nutrono il mondo sfibrante delle emozioni superficiali e dei pensieri. La definizione di Lahiri Mahasaya dei nodi è diversa da quella tradizionale. Egli 206 scrive: «Ogni percorso religioso, consiste di quattro tappe caratterizzate dallo sciogliere quattro nodi interiori: lingua, ombelico, cuore e Muladhar». Brahma Granthi (localizzato nel Muladhara) è il primo nodo. Esso è in relazione al nostro corpo fisico: mantiene l'ignoranza della nostra infinita natura ed è il primo ostacolo nella ricerca spirituale, poiché ostruisce il percorso di Kundalini quando comincia a muoversi verso i centri più elevati. Il mondo dei nomi e delle forme crea irrequietezza e impedisce alla mente di divenire concentrata in un solo punto. Ambizioni e desideri intrappolano la mente. Finché uno non scioglie questo nodo non può meditare efficacemente. Vishnu Granthi è localizzato nell'area del Chakra del cuore Anahata ed è posto in relazione al corpo astrale ed al mondo delle emozioni. La Divinità Vishnu è il Signore della conservazione. Questo nodo crea il desiderio di preservare l’antica conoscenza, le tradizioni, le istituzioni e gli ordini religiosi. Esso produce "compassione", un acuto desiderio di aiutare l’umanità che soffre. La conoscenza discriminante combinata con lo sforzo nello Yoga può sciogliere il Nodo di Vishnu e può ottenere la liberazione da quei legami tradizionali che sono profondamente radicati nel nostro codice genetico. Rudra Granthi è posto in relazione al corpo causale ed al mondo delle idee, visioni ed intuizioni. Nella zona tra le sopracciglia, le Nadi Ida e Pingala s’incrociano e poi scendono nella narice sinistra e destra, rispettivamente. Ida e Pingala, sono legate al tempo; dopo avere attraversato il nodo di Rudra, la coscienza limitata del tempo si dissolve – lo yogi si stabilisce nel Kutastha, oltre i Tattwa (gli elementi: terra, acqua, fuoco, aria ed etere). Con uno sforzo ulteriore, Kundalini si unisce con l'Atman supremo nel Chakra Sahasrara e lo yogi realizza l'emancipazione perfetta. Secondo la definizione di Lahiri Mahasaya dei Granthi, il primo nodo è quello della lingua. Esso ci separa dal serbatoio di energia che si trova nella regione del Sahasrara. È perforato per mezzo del Kechari Mudra [vedi]. La mente perde il suo ruolo dispotico! La consapevolezza è colmata da incredibili momenti di pura calma e silenzio mentale. Il secondo nodo è quello dell'ombelico. Esso si origina dal trauma del taglio del cordone ombelicale. Il terzo nodo è quello del cuore. La sua definizione si collega perfettamente alla classica. La definizione del quarto nodo è quella dei nodi Muladhar e Kutastha considerati come un’unica realtà. Il motivo è che l'azione delle due correnti laterali non equilibrate di Ida e Pingala crea una potente ostruzione alla base della spina dorsale la quale ostacola grandemente i nostri sforzi di entrare nel canale sottile di Sushumna; ma se l'attraversiamo, percepiamo l'occhio Spirituale nel Kutastha e abbiamo l'esperienza di entrarci dentro. Omkar Omkar è Om, la Realtà Divina che sostiene l’universo, la cui natura è vibrazione con aspetti specifici di suono, luce e movimento interiore. Colui che segue il sentiero mistico incontra infallibilmente questa manifestazione dello Spirito - qualsivoglia possa essere la sua preparazione e le sue convinzioni. Il suono è percepito con diverse varianti: Lahiri Mahasaya lo descrive come «prodotto da molte persone che continuano a colpire il disco di una campana». Esso è continuo «come l’olio che fluisce da un contenitore». Sin dall’inizio del sentiero Kriya, non appena la mente è sufficientemente calma, il dolce suono interiore di Om afferra la consapevolezza del kriyaban e la conduce 207 nelle profondità senza alcun pericolo che si perda. Per quanto riguarda la sensazione di movimento, solo poche scuole rivelano la sua importanza e mistero. Una particolare oscillazione è facilmente percettibile nel Chakra del cuore durante i movimenti della tecnica del Thokar. All’inizio essa sembra essere una conseguenza del movimento della testa, quasi vi fosse proiettata dall’esterno. Concentrarsi su di essa per lunghi periodi di tempo, ha un enorme impatto sulla capacità del Kriyaban di sciogliere la sua piccola individualità nel più grande Sé. Realizzare che questo movimento non è originato da alcuna causa, è autonomo, emana dall’Eternità stessa, è un evento dal valore incommensurabile. Dopo una pratica seria e costante dei così detti Kriya del respiro calmo, quando è accesa la consapevolezza del Kutastha, ciò può avvenire. Questo contrassegna l’ultima parte del sentiero Kriya. Padmasana In questo Asana il piede destro è posto sulla coscia sinistra ed il piede sinistro sulla coscia destra con la pianta rivolta verso l’alto. Il nome vuole dire "posizione nella quale si possono vedere i loti (Chakra)"; si spiega che, accompagnata da Kechari e Shambhavi Mudra, questa posizione crea una condizione energica nel corpo adatta a produrre l'esperienza della luce interna che proviene da ciascun Chakra. Personalmente, non consiglio a nessuno di eseguire questa difficile posizione. Ci sono yogi che hanno dovuto farsi togliere la cartilagine dalle ginocchia dopo che per anni si erano imposti di assumerla. Nel Kriya Yoga, almeno per quelli che vivono in occidente e non vi sono abituati sin l'infanzia, è molto saggio e comodo praticare o il mezzo loto o la posizione Siddhasana. Paravastha Questo concetto è collegato a quello di "Sthir Tattwa (Tranquillità)." Coniato da Lahiri Mahasaya, designa lo stato che si ottiene prolungando l’effetto successivo alla pratica del Kriya. Non è solo gioia e pace ma qualcosa di più profondo, vitale per noi come una guarigione. Sin dai nostri sforzi iniziali volti a padroneggiare le sue tecniche, percepiamo momenti di profonda pace e armonia col resto del mondo che si estendono durante la giornata. Il Paravastha viene dopo anni di disciplina, quando la dimestichezza con lo stato di assenza di respiro distrugge ogni limitante concetto antropomorfico del Divino: lo stato di tranquillità dura sempre, non va più ricercato con cura. Lampi dello stato di finale di libertà confortano la mente mentre affronta le battaglie della vita. Pingala [vedi Nadi] Prana L'energia presente nel nostro sistema psico fisico. Il Prana è diviso in Prana, Apana, Samana, Udana e Vijana che hanno la loro sede rispettivamente nel torace, nell'addome basso, nella regione della cintura, nella testa e nella parte rimanente del corpo - braccia e gambe. Che il termine che Prana abbia due significati non può creare confusione, se uno considera il contesto nel quale è usato. Nelle fasi iniziali del Pranayama siamo interessati principalmente in Prana, Apana e Samana. Quando usiamo il Shambhavi Mudra e durante il Pranayama 208 mentale contattiamo Udana. Tramite varie tecniche (come il Maha Mudra) e con l'esperienza del Pranayama col Respiro Interiorizzato conosciamo la fresca natura rivitalizzante di Vijana. Pranayama [Kriya Pranayama] Questo termine contiene due radici: la prima è Prana; la seconda può essere sia Ayama (espansione) che Yama (controllo). Così il termine Pranayama può essere inteso sia come "Espansione del Prana" che "Controllo del Prana". Preferirei la prima accezione del termine ma penso che la seconda sia corretta. In altri termini, il Pranayama è il controllo dell'energia nell’intero sistema psicofisico, per mezzo del processo della respirazione, con lo scopo di riceverne un effetto benefico oppure la realizzazione spirituale. I comuni esercizi di Pranayama - sebbene non implichino la percezione di una qualche corrente energetica nella spina dorsale - possono produrre straordinarie esperienze di sorgere spontaneo di energia lungo la spina dorsale. Il che non è poco poiché una simile esperienza può regalare al praticante, finora scettico, il contatto con la realtà spirituale e spingerlo a cercare qualcosa di più profondo. Nel Kriya Pranayama il processo di respirazione è coordinato con la attenzione che si muove in su e in giù nella spina dorsale. Mentre il respiro è lento e profondo, con la lingua o piatta o volta all’indietro, la coscienza accompagna il movimento dell’energia attorno ai sei Chakra. Le tre energie del sesso, dell’amore e dello spirito sono così mescolate insieme. Dopo aver raggiunto il Kechari Mudra, durante l’espirazione, appare nella gola il suono come di un flauto [vedi]. Tale suono penetrante assorbe la concentrazione, taglia via non solo i disturbi esterni e, conducendo alla realtà oltre la mente, elimina alla radice molte illusioni. Ne nasce un senso di levitazione, come di volare, e il processo della respirazione si raffina. Poi la corrente fluisce nel canale più profondo nella spina dorsale: Sushumna. L’energia, come una luminosa sostanza dorata, sale e scende dentro i Chakra (e non più attorno ad essi). Quando attraverso una lunga pratica una sottile forma di energia circola (in modo chiaramente percettibile) entro il corpo mentre il respiro fisico è totalmente placato, il kriyaban ha un’esperienza di impensabile bellezza. Pranayama mentale Nel Pranayama mentale il kriyaban controlla l’energia nel corpo dimenticando il processo di respirazione e focalizzandosi solo sul Prana nei Chakra e nel corpo. La sua consapevolezza si sofferma su entrambe le componenti di ciascun Chakra, interna ed esterna, fin tanto che sente una irradiazione di fresca energia che rivitalizza ciascuna parte del corpo e lo sostiene dall’interno. Questa azione è contrassegnata dalla fine di tutti i movimenti fisici, da una perfetta quiete fisica e mentale. A volte il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la assoluta percezione di non star respirando affatto. Preghiera [Japa, Mantra] La Preghiera è un atto di comunione con la Realtà suprema attraverso il quale il devoto porge la sua riverente supplica, o cerca una guida, o offre le sue lodi o semplicemente esprime i propri pensieri ed emozioni. La sequenza di parole usate nella Preghiera può essere una formula fissa o un'espressione spontanea. Qualunque sia l’appello a Dio, questo atto presuppone fede nella Volontà Divina di interferire nella nostra vita: " Chiedete e vi sarà dato " 209 (Matt. 7:7, 8; 21:22) La Preghiera è un soggetto molto vasto; qui mi limiterò alla Preghiera ripetitiva. In India, la ripetizione del Nome del Divino è detta Japa. Alcune pratiche devozionali cattoliche e della chiesa ortodossa comportano la ripetizione di preghiere. È molto usata nel sentiero mistico dei Sufi. Il termine Sanscrito Japa deriva dalla radice Jap – che significa "pronunciare sottovoce, ripetere interiormente". Japa è una disciplina spirituale che comporta sia la ripetizione caratterizzata da attenzione sia quella automatica. Japa significa anche ripetere qualsivoglia Mantra: questo è un termine più ampio di Preghiera. Un Mantra può essere un nome del Divino ma anche un puro suono senza un preciso significato. Nei tempi antichi gli yogi sentirono il potere inerente a certi suoni e li usarono ampiamente. (Alcuni credono che la ripetizione di un Mantra abbia il misterioso potere di produrre la manifestazione della Divinità, "proprio come il rompere un atomo manifesta le tremende forze latenti in esso".) Limitiamoci a quei suoni che creano una soave vibrazione nel corpo fisico, astrale e mentale e lasciamo perdere i suoni usati in altre pratiche come la magia. Per quanto riguarda i Mantra utilizzati nelle discipline devozionale, la spiegazione che il termine Mantra deriva dalle parole "Manas" (mente) e "Tra" (protezione) è appropriata: noi proteggiamo la nostra mente ripetendo continuamente la stessa salutare vibrazione. Quasi sempre, il Japa si fa contando i Mantra per mezzo di una collana di grani nota come Japa Mala. Il numero di tali grani è normalmente 108 o 100. Il Mala è usato in modo che il devoto sia libero di godersi la pratica e non si preoccupi di contare le ripetizioni. Di solito un Mantra è ripetuto a voce per un certo numero di volte, poi è sussurrato e poi, per un po’, è ripetuto mentalmente. Può essere praticato da seduti in posizione di meditazione o compiendo altre attività, preferibilmente camminando. È essenziale aggiungere al nostro Japa un sentimento di riverenza ma non è necessario cercare di sviscerare il suo significato e cercare di tenerlo continuamente in mente. Ripetendolo, un devoto si avvicina alla sua forma ideale di Divinità e la mente è pronta per gioire di un elevato stato contemplativo. Questo crea un permanente silenzio mentale che è la condizione affinché il miracolo del Kriya possa fiorire. Nell’ Omkar Pranayama il Mantra di dodici sillabe Om Namo Bhagavate Vasudevaya gioca un ruolo importante. Lahiri Mahasaya scrisse: "Molti non fanno il Japa in ogni centro. Se questo non avviene i risultati sono negativi. Durante il Pranayama, uno deve perciò stare attento a ciascuno centro e praticare il Japa in ognuno di essi". Ciascuna di queste sillabe rafforza la concentrazione sul relativo Chakra. Accoppiate ai movimenti della testa durante il Thokar, la loro pronuncia mentale aiuta a guidare correttamente il flusso di energia all’interno dei Chakra. La ripetizione del Mantra è molto effettiva nello stimolare la sintonia con i suoni interni, come quello della campana. Sahasrara Il settimo Chakra si estende dalla corona della testa su fino alla Fontanella e sopra questa. Non può essere considerato della stessa natura degli altri ma una realtà superiore che può essere sperimentata solamente nello stato senza respiro. Non è perciò facile concentrarsi su di esso così come facciamo con gli altri. Solo dopo una pratica profonda del Pranayama, quando il respiro è molto calmo, la 210 "sintonia" con esso è possibile; una particolare pressione viene percepita sopra la testa. Samadhi Secondo l’Ashtanga (otto passi) Yoga di Patanjali, Samadhi è lo stato di profonda contemplazione nel quale l'oggetto di meditazione diviene inseparabile da colui che medita: esso deriva naturalmente da Dharana e Dhyana. Nella letteratura Kriya non c'è un accordo definitivo sulla sua definizione. Siccome il Samadhi rappresenta qualcosa che non possiamo comprendere razionalmente, la maggior parte dei kriyaban considera la sua natura come l'apice della beatitudine e non specula sulla sua essenza. Il nostro linguaggio è fortemente impedito: alcune parole magniloquenti rischiano di non volere dire nulla. Cosa significa per esempio unione con Dio? Divenire una sola cosa o risvegliarsi alla realizzazione che noi siamo solamente una parte di Quell’Uno? Le parole ingannano la nostra comprensione e accendono in noi aspettative egoiste. Uno si esalta incontrando parole come: assoluto, eterno, infinito, supremo, celestiale, divino.. Io sarei dell’idea di proporre una definizione sobria di Samadhi, che favorisca una azione di pulizia mentale e inviti ad una riflessione sul significato di sentiero spirituale in generale. Definisco quindi il Samadhi come una esperienza di quasi morte (NDE=near death experience), indipendente da incidenti e beatifica,. Le descrizioni del Samadhi e della NDE seguono lo stesso schema: in pratica la natura del fenomeno che avviene nel corpo è quasi la stessa. Questa opinione può deludere coloro che vi fiutano una sfumatura di significato restrittivo e limitante; nondimeno preferisco pensare in questo modo e… scoprire molto più nella reale esperienza del Samadhi che prosperare in retorica. Anche se il Samadhi fosse nulla più che una esperienza di quasi morte, esso avrebbe comunque un valore sommo. In entrambe le esperienze, alla coscienza è concesso di gettare uno sguardo all'Eternità oltre la mente; in seguito (questo avviene allo yogi allenato) quella consapevolezza elevata si mescola, s’integra con la vita quotidiana che ne risulta totalmente trasformata in meglio. A chi si domanda se sia corretto sminuire il valore dello stato estatico del Kriya riducendolo ad un processo di contattare per un certo tempo la dimensione oltre la vita, rispondiamo che questa genuina esperienza non ha paragoni nel promuovere in modo pulito gli ideali di una equilibrata vita spirituale. Shambhavi Mudra Un Mudra nel quale i bulbi oculari e le sopracciglia sono rivolti verso l’alto il più possibile; normalmente le palpebre si rilassano e un osservatore esterno nota il bianco della cornea sotto l’iride. Tutta la forza visiva dei nervi oculari è raccolta in cima alla testa. Lahiri Mahasaya nel suo noto ritratto mostra questo Mudra. Secondo Kriya Sembra che usando la tecnica del Secondo Kriya, Swami Pranabananda, un eminente discepolo di Lahiri Mahasaya abbandonò il suo corpo consapevolmente (questo atto è detto Mahasamadhi - l'uscita consapevole dal corpo, al momento della morte). Non ci fu violenza al corpo; l’impresa riuscì solamente nel momento preciso determinato dal suo Karma. Ora ci si chiede: di quale procedura egli si servì? 211 a… Molti affermano che si trattava del Thokar. È possibile che egli arrestasse il movimento del cuore e perciò poté abbandonare il corpo. Può aver praticato un singolo Thokar e fermato il cuore; questo vuole che pose tanta forza mentale in questo atto da bloccare l'energia che manteneva il suo cuore in movimento. La stessa tecnica del Thokar che lui applicò per anni, fu utilizzata durante questo momento finale della sua vita. b… Alcuni credono che questa suprema azione di calmare il cuore fosse realizzata solamente da un atto mentale di immersione in Kutastha. Dicono che quelli che erano attorno a lui, non notarono movimenti della testa. Similmente quando altri grandi personaggi abbandonarono il loro corpo, non si osservò alcun movimento. c… A mio avviso, non essendo il Mahasamadhi un "accorto trucco esoterico" per padroneggiare il meccanismo di un suicidio indolore, certamente ciascun grande maestro conta su un'abilità già costruita di entrare in Samadhi. Creando una pace totale nel suo essere, il naturale desiderio di riottenere l’unione con la Sorgente Infinita mette in moto un naturale meccanismo di calmare il plesso cardiaco. Siddhasana Il nome Sanscrito significa "Posa Perfetta". In questo Asana, la pianta del piede sinistro è posta contro la coscia destra così che il tallone preme sul Perineo. Il tallone destro è posto contro l'osso pubico. Questa posizione delle gambe, abbinata al Kechari Mudra, chiude il circuito pranico e rende il Pranayama facile e proficuo. Sushumna [vedi Nadi] Talabya Kriya È un esercizio di allungamento dei muscoli della lingua, in particolare del frenulo, volto ad ottenere il Kechari Mudra [vedi]. Questa pratica crea un deciso effetto calmante sui pensieri ed è per questa ragione che non è mai messa da parte, neanche quando si realizza il Kechari Mudra. Tecniche preliminari al Kriya Yoga Alcune organizzazioni, nel loro sforzo didattico di portare il Kriya Yoga alle persone, scelsero alcune semplici tecniche come preparazione. La prima - detta Hong-So - calma il respiro ed il sistema psico fisico. La seconda riguarda l'ascolto dei suoni interiori (astrali), ed il suono di Om. Nel Kriya di Lahiri Mahasaya le tecniche preliminari sono Talabya Kriya [vedi] e cantare Om nei Chakra. Thokar Una tecnica Kriya basata sul dirigere il Prana calmo – raccolto in testa per mezzo del Pranayama - verso l'ubicazione di uno (solitamente il 4°) o più Chakra, da un particolare movimento della testa (sobbalzo). Nel Kriya di Lahiri Mahasaya, la procedura del "Thokar" (colpire, colpo) è chiamata, di solito, Secondo Kriya – gli altri Kriya superiori che seguono sono considerati un sviluppo di questo. La pratica di Thokar va approfondita negli anni per ottenere l'abilità di entrare nello stato di Samadhi con solo uno colpo. Studiando le pratiche dei Sufi, (vedi gli studi condotti da Gardet e M. M. Anawati, specialmente Gardet in Revue Thomiste (1952-3)), scopriamo che il Thokar è una variante del Dhikr dei Sufi. Dhikr è la pratica della "memoria" del Divino, che è ottenuta ripetendo una particolare breve preghiera durante il giorno e guidandola, durante momenti di 212 isolamento o di pratica devozionale di gruppo, in particolari centri nel corpo attraverso specifici movimenti della testa. (Mentre alcuni dettagli possono variare da una fratellanza di Sufi ad un’altra, l'essenza non cambia. I Sufi insegnano ad attaccare la lingua al palato e trattenere il respiro. La preghiera Lâ Ilâha Illâ Allâh vuole dire: non c’è nessun Dio tranne Allâh. Questa preghiera è sollevata da sotto l'ombelico su al cervello. Dopo aver raggiunto il cervello, si muove verso la spalla destra, poi la sinistra, poi colpisce il cuore. La sua energia ed il calore si diffondono a tutte le parti del corpo. Secondo il significato di questa Preghiera, il cercatore che ha negato tutto ciò che esiste in questo mondo si annulla nella Presenza Divina. La formula che Lahiri Mahasaya scelse fu Om Namo Bhagavate Vasudevaya, ma diede il Mantra islamico Lâ Ilâha Illâ Allâh ai suoi discepoli musulmani.) È probabile che Lahiri conoscesse questa tecnica fin dalla gioventù; fu il Suo genio che la sviluppò al massimo della perfezione. Alcuni insegnanti non spiegano nulla oltre il Secondo Kriya ed affermano che colui che lo pratica intuisce i successivi. È ovvio che, praticando il Secondo Kriya, se un kriyaban tenta di intensificare l'esperienza di beatitudine percepita nel cuore, indovina inevitabilmente il segreto dettaglio del Terzo (ripetere, inebriato, il colpo sul Chakra del cuore). Facendo questo, egli ascolta i suoni astrali, specialmente quello dello scampanio di una distante campana; guidando il Prana nel Chakra Anahat, una luce cresce nel Kutastha. Questo favorisce lo stato di assenza di respiro. Aumentando la concentrazione sulla luce spirituale, vengono rivelate le luci di tutti gli altri Chakra, aprendo con ciò la strada alle percezioni che caratterizzano il quarto Kriya. Trivangamurari [Tribhangamurari] È la più elevata manifestazione della realtà Omkar. Nell'ultima parte della Sua vita, Lahiri Mahasaya disegnò con estrema precisione la forma a tre-curve [Tri-vanga-murari = tre-curva-forma] quale è percepita approfondendo la meditazione dopo del Pranayama. Il movimento Trivangamurari può essere sperimentato sia in grandi che in piccole dimensioni nel proprio corpo fisico. Yama – Niyama Yama è Autocontrollo: non violenza, evitare bugie, evitare di rubare, evitare bramosie e libidini e non attaccamento. Niyama sono le osservanze religiose: pulizia, appagamento, disciplina, studio del Sé e resa al Dio Supremo. Mentre nella maggior parte delle scuole di Kriya, queste regole sono poste quali premesse da essere rispettare onde ricevere l’iniziazione, un ricercatore assennato capisce che vanno invece considerate come le conseguenze di una pratica corretta dello Yoga. Un principiante non può comprendere cosa significa "Studio del Sé". Qualche insegnante ripete, come un pappagallo, la necessità di osservare quelle regole e, dopo avere dato spiegazioni assurde su alcuni dei punti precedenti (in particolare che trucco mentale utilizzare onde … evitare le bramosie della carne..) passa a spiegare le tecniche. Perché pronunciare parole vuote. Ma chi vuol prendere in giro? Il sentiero mistico, quando è seguito onestamente, non può accettare il compromesso della retorica. Quando si fa una affermazione, essa è quella e basta. Yama e Niyama sono un buon tema da studiare, un ideale da tenere in mente ma non una promessa solenne. È solo con la pratica che è possibile capire il loro vero significato e, di conseguenza, vederle fiorire nella propria vita. 213 Yoga Sutra (opera di Patanjali) Gli Yoga Sutra sono un testo che ha molto influito sulla filosofia e pratica dello Yoga: più di cinquanta diverse traduzioni in inglese sono la testimonianza della sua importanza. Anche se non si può esser sicuri del tempo esatto in cui visse il loro autore Patanjali, possiamo collocarlo tra il 200 A.C. e il 200 D.C. Gli Yoga Sutra sono costituiti da una raccolta di 195 aforismi che trattano gli aspetti filosofici della mente e della consapevolezza costituendo una solida base teoretica del Raja Yoga - lo Yoga della auto disciplina e della meditazione. Lo Yoga è descritto come un percorso fatto di otto passi (Ashtanga) che sono Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi. I primi cinque passi costituiscono il fondamento psico fisico per avere una vera esperienza spirituale; gli ultimi tre riguardano il modo di disciplinare la mente fino alla sua dissoluzione nell'esperienza estatica. Essi definiscono anche alcuni concetti esoterici, comuni a tutte le tradizioni del pensiero indiano, come il Karma. Anche se, a volte, Patanjali è chiamato "il padre dello Yoga", il suo lavoro è in realtà un sommario di tradizioni orali di Yoga pre esistenti, un disomogeneo insieme di pratiche che rivelano un indistinto e contraddittorio sfondo teorico. Comunque la sua importanza è fuori discussione: egli chiarì ciò che gli altri avevano insegnato; quanto era troppo astratto, lui lo rese pratico! Era un pensatore geniale, non solo un compilatore di precetti. Si apprezza molto il suo equilibrio tra il teismo e l'ateismo. Non troviamo i minimo suggerimento di adorare idoli, divinità, guru, o libri sacri allo stesso tempo non troviamo alcuna dottrina atea. Sappiamo che lo "Yoga" oltre ad essere un rigido sistema di pratica della meditazione implica la devozione alla Intelligenza Eterna ovvero il Sé. Patanjali afferma l’importanza di dirigere l’aspirazione del cuore verso Om. Questo è molto ispirante per un kriyaban, purtroppo gli ultimi passi del Kriya non seguono lo schema delle spiegazioni di Patanjali. Yoni Mudra Il potenziale di questa tecnica include, a tutti gli effetti, la realizzazione finale del sentiero Kriya. Il Kutastha - tra le sopracciglia - è il luogo dove l'anima individuale ebbe la sua origine: l'Ego ingannevole ha bisogno di essere dissolto proprio là. Il nucleo della tecnica consiste nel portare tutta l'energia nel centro del Kutastha ed impedire la sua dispersione chiudendo le aperture della testa – il respiro è acquietato nella regione che va dalla gola al Kutastha. Se uno stato di profondo rilassamento è stabilito nel corpo, tale pratica riesce ad originare uno stato estatico molto intenso che si diffonde in tutto l’essere. Per quanto riguarda la realizzazione pratica, ci sono lievi differenze fra le scuole: alcune danno una più grande importanza alla visione della Luce e meno al dissolvimento del respiro e della mente. Tra le prime, ci sono quelle che insegnano, mantenendo più o meno la stessa posizione delle dita, a concentrarsi su ciascun Chakra e a percepire i loro diversi colori. Una soddisfacente osservazione, trovata nella letteratura tradizionale sullo Yoga, è che questa tecnica deriva il suo nome "Yoni", che significa "utero", dal fatto che come il bambino nell'utero, colui che pratica non ha contatto col mondo esterno, e perciò, la coscienza non è esteriorizzata. 214 Verticale [routine] Quando pensiamo alla pratica del Kriya, immaginiamo il classico schema orizzontale che consiste in una pratica giornaliera dello stesso insieme di tecniche, senza cambiare né il loro ordine di pratica, né il numero delle loro ripetizioni. Una routine verticale è una caratteristica particolare del Kriya di Lahiri Mahasaya. Essa consiste, una volta alla settimana, per un certo numero di settimane (20 - 24 36 …), nel mettere da parte la routine solita e nell’utilizzare una sola tecnica, il cui numero di ripetizioni è gradualmente aumentato fino a raggiungere un determinato numero che la tradizione ha tramandato come ottimale. Questa è la pratica più remunerativa del Kriya perché conduce a una grande padronanza (impensabile da ottenere con altri schemi) delle tecniche oggetto di tale procedura ed ha un positivo effetto sulla personalità, liberandola da molti ostacoli interiori. Analogo a questa procedura è il progetto di completare un certo numero (solitamente un multiplo di 12, come 1728 o 20736) di ripetizioni di una tecnica particolare, impiegando naturalmente un numero specifico di giorni. 215