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March 29, 2018 | Author: api-3707561 | Category: Cinematography, Romani People, Truth, Thought, Italy


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3 2006note di cultura meridiana Nomadi nel folklore profughi nella realtà I Rom e i Sinti italiani, non riconosciuti come minoranze etnico-linguistiche nazionali, non beneficiano, il più delle volte, dei diritti che questa condizione prevede. POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN A. P. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004) ART. 1 COMMA 1, DCB MT MAGGIO / GIUGNO 2006 • € 0,70 L’INTERVISTA Pino Scaccia, un nomade del giornalismo CINEMA Matera e Basilicata: non più solo location ALTRIMONDI Vivere in un campo rifugiati il mese prossimo ci vediamo da te? Società, cinema, libri, musica, politica, curiosità direttamente a casa tua. Abbonati a Liberalia per non perdere l’appuntamento con la cultura e l’informazione. L’abbonamento annuale a Liberalia costa solo 5 euro! Compila il tagliando qui sotto e spediscilo, insieme alla copia del versamento di 5 euro effettuato sul ccp n. 67084368, intestato a Liberalia - Piazza del Sedile, n. 29 75100 Matera - Campagna abbonamento. NOME ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................ COGNOME ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ AZIENDA .................................................................................................................................................................................................................................................................................................... INDIRIZZO ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ CITTÀ .................................................................................................................................................................................. PROVINCIA .............................. CAP ............................................ ETÀ .......................................... PROFESSIONE ............................................................................................................................................................................................................................... TITOLO DI STUDIO ........................................................................................................................................................................................................................................................................... HOBBY ......................................................................................................................................................................................................................................................................................................... MAIL .............................................................................................................................................................................................................................................................................................................. URL .................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. Consenso ai sensi del DL 196/03 (“e successive modifiche” nota aggiunta il 14/02/2005). Ai sensi del DL 196/03 “e successive modifiche” nota aggiunta il 14/02/2005), presto il mio consenso a che i dati da me forniti siano trasferiti verso società controllate o che intrattengano rapporti con Liberalia necessari per l’espletamento delle proprie attività e la fornitura dei propri servizi. Sono consapevole che in mancanza del mio consenso la procedura di abbonamento non potrà essere espletata. ACCETTO NON ACCETTO IN QUESTO NUMERO UN TEMA PIÙ LIBRI 04 “Nomadi” nel folklore profughi nella realtà Rita Filippo L’INTERVISTA 6 Pino Scaccia, un nomade del giornalismo Katya Madio SCAFFALE 9 Il fiore rosso Barbara Carmignola SCAFFALE 12 Duri a Marsiglia Nunzio Festa UN TEMA PIÙ LIBRI LIBER 13 Il pensiero nomade Maurizio Canosa LE IDEE e vita di relazione Barbara Carmignola 16 Equilibrio ambientale LUOGHI MERIDIANI 17 Lo spirito meridiano del marketing Carlo Magni CINEMA 20 Matera e Basilicata: Serena Vigoriti non più solo location 22 CINEMA Vai e vivrai Serena Vigoriti 23 MUSICA Caparezza: Habemus Capa Luigi Catalani, Pietro Sacco 24 VERSI Dupin, divenire alla luce Nunzio Festa 25 ALTRIMONDI Vivere in un campo rifugiati Caterina Falomo 28 APPUNTI Quaderni dal traffico W/Cody Sì, è un’Italia spaccata in due. Ma non è quella emersa dal risultato delle recenti elezioni politiche. È piuttosto quella ancora rappresentata da una contrapposizione sociale ed economica che nessun Paese dell’occidente ha all’interno del suo territorio in maniera così netta e palese. Fra il Nord ricco e produttivo e il Sud che fa fatica ad allinearsi. Il prodotto interno lordo, la dotazione di infrastrutture, il tasso di occupazione e di sviluppo, l’accesso al credito, il mercato di prodotti culturali, tutto parla contro una crescita che stenta a venire al di qua del Lazio e dell’Abruzzo, ormai staccatosi. Nonostante anni di progettazione (ordinaria o straordinaria che sia), di Casse per il Mezzogiorno, di Ministeri o dipartimenti, di grandi progetti o autostrade che “stanno per essere ultimate”, al di là di tutto e di tutti (schieramenti politici o classi dirigenti locali, nessuno escluso), il Sud Italia resta anni luce lontano dalla ricchezza del resto del Paese. E per questo torna a crescere un nuovo nomadismo interno all’Italia. La fuga dei cervelli e delle braccia dal Sud verso il Nord. Tanti giovani, dopo anni di studio e faticosi tentativi di ricerca di un lavoro congruo con le giuste ambizioni, lasciano la propria terra. Speranze, opportunità, amicizie, desideri, amarezze, tutto gioca a favore di una partenza, di un distacco, forse accompagnato dal sogno di un futuro ritorno e forse no. E che un effetto immediato lo producono: l’impoverimento di chi è abbandonato e l’arricchimento di chi ospita. Considerazioni metabolizzate da tempo, ma che riemergono con forza quando si sfogliano le pagine di un libro di fotografie sui Ragazzi di Locri che qualche settimana fa un noto giornale ha regalato. Mi sono chiesto: serviva un libro così? Sì, forse serviva. Perché quei giovani hanno bisogno di risposte vere dalle istituzioni. Per impedire che quelle marce di protesta per un delitto prendano le forme di un cammino di desolato abbandono. EDITORIALE ET ALIA Vittorio Sammarco LIBER UN TEMA PIÙ LIBRI “Nomadi” nel folklore, profughi nella realtà Denominati zingari e nomadi, in maniera spesso dispregiativa, sono ancora oggetto di discriminazione, emarginazione e isolamento. In Italia le molteplici comunità Rom e Sinti non sono riconosciute come minoranze etnico-linguistiche nazionali e pertanto non beneficiano dei diritti che questa condizione prevede. Per questo motivo, i Rom e i Sinti italiani vedono in molti casi negato il diritto alla residenza, il diritto al lavoro, alla sanità, alla scuola. In questa situazione drammatica, i Rom provenienti dai paesi europei (Bosnia, Confederazione Jugoslava, Croazia, Romania, Slovenia, Polonia, Ungheria) subiscono sistemi discriminatori ed emarginanti. Scappano dai loro Paesi d’origine per i conflitti etnici e le guerre civili, e l’Italia nega loro i più elementari diritti. Ghettizzati nei “campi nomadi” delle città italiane, e non solo, i Rom europei vivono situazioni inumane senza acqua, luce, servizi igienici. Sono costretti a mendicare per strada, per far fronte alle necessità giornaliere. Intanto l’odio razziale cresce, contro popoli che storicamente non hanno mai affrontato una guerra, che piangono in silenzio il loro olocausto dimenticato. La paura della diversità, il sempre crescente stimolo delle frustrazioni politico-sociali “interne” alimenta il mostro del pregiudizio: un circolo vizioso di causa-effetto impastato di diffidenza, paura, disperazione e disprezzo. Pochi Le immagini in questa pagina e a fronte sono tratte dal sito internet www.provincia.mantova.it/sociale/osservatorio/sintierom/storia.htm affrontano il problema con capacità critiche, senza affondare nel buonismo o nella crudeltà della discriminazione: “Quante sono le menti umane capaci di resistere alla lenta, feroce, incessante, impercettibile forza di penetrazione dei luoghi comuni?” diceva Primo Levi ne La tregua. L’integrazione: tormentata, ma possibile. Le famiglie Rom oggi sono obbligate al nomadismo forzato, soggette al mutare del clima e degli equilibri politici locali. Sono in balia di atteggiamenti allarmistico-propagandistici e perfino di interessi imprenditoriali che gravitano sulle aree occupate, oppresse dall’ignavia delle istituzioni. Sono abbandonate al loro destino da anni, commiserate, contestate, spesso apertamente perseguitate, costrette ad adottare, come tante altre volte nella propria storia secolare, strategie autonome di sopravvivenza. RITA FILIPPO 4 culturali, consulenti scolastici culturalmente preparati, che avviano e mantengono la comunicazione allievo/insegnante. Molti Rom sono nati e cresciuti in Italia: bambini uguali ad altri bambini, ma privati dei più elementari diritti alla salute e all’istruzione; madri senza assistenza sanitaria; giovani costretti a lavorare in nero, sottoposti al peggior caporalato; “anziani” la cui aspettativa di vita media non supera i 50 anni. L’ambiente in cui vivono è causa di forte disagio sociale, emarginazione, devianza, microcriminalità e di ricorso a “espedienti” per affrontare lo sbaraglio della vita quotidiana. Grazie ad alcune istituzioni, come Opera Nomadi, stanno faticosamente nascendo iniziative concrete di inserimento, nel totale rispetto delle diversità. Si cominciano a rivalutare e a sostenere le abilità artigianali, manuali, artistiche dei popoli Rom; si comincia un’integrazione mirata dei bambini nelle scuole. I Rom residenti in Italia hanno i livelli più bassi di istruzione rispetto al resto d’Europa. La colpa è dell’indifferenza e della chiusura mostrata negli anni dal ministero dell’istruzione, e di secoli di negazione della cultura Rom. La scuola viene spesso percepita come nemica, e l’obbligo scolastico come un’aggressione e un dovere di omologazione, non come diritto umano. Negli ultimi anni, tre ragazze Rom, una di Cosenza, una di Campobasso e una di Udine, hanno però raggiunto la laurea. Oggi hanno tutte e tre un impiego per ora precario, ma hanno avviato un lavoro di pressione nelle istituzioni molto importante. Nascono anche le figure dei mediatori Taoma e il mondo di Giunglaparola: una favola per chi non ha voce A questo proposito, avvalendomi del prezioso aiuto di Nadia Marino, una bravissima coordinatrice di Opera Nomadi in Campania, sono venuta a conoscenza di un libro: Taoma e il mondo di Giunglaparola, di Carola Flauto, presentato a Roma lo scorso 15 marzo. Il libro è una favola interculturale per combattere la xenofobia, e si propone di dare voce ai Rom/ Sinti, il popolo dei bambini senza parola. La prefazione è di Beppe Grillo, le schede a cura di Marco Nieli di Opera Nomadi di Napoli. La casa editrice è Albatros edizioni, che ha stampato in carta ecologica da riciclo. L’iniziativa è inserita nel progetto “Biblioteche Romanì”. I proventi del libro costituiranno un fondo di recupero (La chiave magica) per i ragazzi Rom che frequentano le Scuole Medie. C’è un popolo di bambini senza-parola in mezzo a noi… Li vediamo chiedere l’elemosina, offrire rose o accendini, lavare vetri, ma non riusciamo a capire realmente chi sono, da dove vengono, che tipo di vita facevano prima e fanno adesso, che vita vorrebbero fare. Oltre a essere muti, spesso sono anche invisibili. Nessuno li vede realmente o li ascolta, nessuno cerca di capire ciò che loro si sforzano di farfugliare tra i denti. Nessuno li guarda negli occhi. ● Ringrazio Marco Nieli e Nadia Marino di Opera Nomadi per le informazioni e la disponibilità. 5 LIBER L’INTERVISTA Pino Scaccia, un nomade del giornalismo L’intervista che segue è stata realizzata grazie alla partecipazione e al consenso del giornalista Pino Scaccia al quale vanno tutti i nostri ringraziamenti per la disponibilità accordataci. Attraverso una serie di domande abbiamo cercato di conoscerlo meglio, di comprendere la sua visione della vita e il relazionarsi con essa, soffermandoci sulla necessità, oggi, di recuperare una dimensione umana del tempo, della cultura, della comunità e della vita. Raccontaci brevemente il tuo percorso professionale. Primissime esperienze in un piccolo giornale sportivo, poi un quotidiano allora importante di Roma, “Momento sera”, varie collaborazioni, quindi il salto ad Ancona. Praticante a “Corriere Adriatico” e poi alla Rai nel 1979 con la nascita della terza rete. Otto anni dopo al Tg1. Quasi subito inviato, fino ad oggi. Cosa hai conquistato e cosa perso a causa del tuo lavoro? Ho sicuramente perso molto della famiglia. Ho conquistato grandi privilegi, vivendo letteralmente la storia. Non c’è un evento, in Italia e nel mondo, degli ultimi vent’anni che non ho seguito direttamente, sul posto. Fare il giornalista è stato sempre il tuo sogno? Se non avessi avuto questa opportunità quale pensi sarebbe stato il tuo lavoro? Cosa ti sarebbe piaciuto fare? Da piccolo sognavo due cose: viaggiare KATYA MADIO e scrivere. Sono riuscito a fare entrambe contemporaneamente. E mi pagano addirittura. Altro che sogno. Ci sono figure particolari, magari conosciute nel corso degli anni, alle quali ti senti maggiormente legato e riconoscente? Per quale motivo? Di maestri ne ho avuti tanti. Sono grato a quelli che mi hanno introdotto nell’ambiente e poi a tutti quelli da cui ho imparato. Sono davvero molti. Il profondo sconvolgimento dovuto all’inserimento, sempre più massiccio delle nuove tecnologie ha secondo te, cambiato il modo di fare informazione e quali, secondo te, sono gli aspetti della comunicazione che rivestono oggi maggiore interesse? Sta cambiando tutto. Prima c’erano solo i giornali. Poi anche la televisione. Adesso ci sono giornali, televisione e internet. Ogni strumento non 6 esclude l’altro, è un grande gioco dove spesso ci si morde la coda. Certamente il modo di fare informazione cambia, è velocissimo adesso, forse troppo, a discapito dell’approfondimento. Un detto dice: “Libera informazione in libero Stato”. Alla luce, anche, dell’articolo 21 della Costituzione che definisce la libertà d’espressione, pensi che un giornalista sia veramente libero di fare informazione senza condizionamenti e controlli di alcun genere? Impossibile una libertà assoluta. E poi non facciamo confusione. L’articolo 21 non c’entra niente con la professione di informare. Ogni cittadino è libero di esprimere il suo pensiero. Un giornalista deve avere senso di responsabilità. Specie con i nuovi strumenti i rischi di confusione aumentano. La propria libertà non deve mai soffocare la libertà altrui. “Se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno, non diremo mai la verità”: questa è la tua frase per eccellenza. Quanto costa dire la Verità? È sempre possibile dirla? Intanto è possibile dirla quando si conosce. Anche qui cerchiamo di chiarire. Un conto è la verità, un conto sono i fatti. Faccio un esempio: il fatto è che le Torri Gemelle sono crollate. E la verità qual è? Sicuramente, quando la si conosce, è molto scomodo dire la verità. Come molti personaggi famosi anche tu possiedi, un diario on-line condiviso da milioni di utenti nonchè un sito internet. Pensi che l’utilizzo di simili strumenti, implichi un controllo sulla circolazione delle notizie solo da parte delle èlite maggiormente alfabetizzate dal punto di vista informatico o ritieni che internet, essendo una rete mondiale, contribuisca allo sviluppo di un dialogo, addirittura planetario? Internet sta facendo passi da gigante. Non è più una nicchia. In Gran Bretagna già ha superato la televisione come fonte di informazione. Ma la Rete, è vero, rappresenta soprattutto un grande strumento di dialogo, sì planetario. Si stabiliscono rapporti con mondi prima irraggiungibili. Quali sono invece i possibili rischi legati a questo nuovo modo di fare informazione? Li ho detti prima. Il rischio è che la Rete è così grande e senza controllo che può rappresentare uno strumento pericoloso. Su Internet c’è di tutto, anche il peggio. Capisco che è in gioco la grande forza di Internet che è la libertà, però qualche controllo ci vorrebbe. Hai scritto recentemente “La torre di Babele. Storie(e paure) di un reporter di guerra”: qual è la tua paura più grande? Quale invece la tua gioia maggiore? Molte paure. Certamente la più grande quando in Iraq mi hanno sparato con quattro kalashnikov, li ho visti in faccia, volevano uccidermi. Ancora non so come l’ho scampata. La gioia più grande forse la liberazione del piccolo Farouk. Quando una persona come te ha visto la morte dinanzi agli occhi più volte, cosa apprezza maggiormente della vita? I valori veri. Ma non solo perché hai visto la tua morte, soprattutto perché hai visto la morte degli altri e le sofferenze, soprattutto. Quando vedi gente morire di fame capisci che i nostri problemi spesso sono stupidaggini. Tra i libri da te realizzati a quale sei maggiormente affezionato e perché? Ne ho scritti quattro. Sono affezionato al primo e non solo perché era il primo. Perché attraverso Armir ho scoperto anche di persona storie affascinanti di gente che dopo cinquant’anni cercava ancora il proprio caro. ●●● 7 LIBER L’INTERVISTA ●●● Hai detto in una intervista che l’arte ti dà emozione: quale opera è in grado di attrarti completamente, fino a perderti? Fin da ragazzo, amo Caravaggio. Incredibile: mi sento soggiogato. Il sociologo Franco Cassano invita a restituire al Sud l’antica dignità di ‘soggetto del pensiero’ e interrompere una lunga sequenza in cui è stato pensato da altri e l’annosa consuetudine di considerare il Paesi del mondo divisi tra sviluppati e in via di sviluppo, soggiace alla considerazione che spesso i secondi debbano diventare come i primi. Egli sostiene: “Cantare con la voce degli altri è una falsità. Bisogna cantare con la propria e soprattutto rivendicare alcuni elementi che appartengono al Sud”; guardando ciò che accade nel Sud del mondo e considerando la costante minaccia del terrorismo islamico, non pensi che a volte la presunzione occidentale di misurare tutto con il proprio metro di giudizio realizzi un approccio sbagliato nei confronti di quei Paesi, così lontani da noi, esportando un modello di democrazia che, forse, dovrebbe essere solo confrontato e non imposto? Assolutamente d’accordo. Basta andare in Africa per capirlo. Ho visto in Kenya i guerrieri masai abbandonare la terra arida per andare a morire ai margini della città e ho capito che abbiamo fatto molti e gravi errori. Non solo siamo presuntuosi, siamo anche cattivi. Pensiamo di aiutarli regalando pozzi e invece andiamo a prendere quel poco che hanno, inventando nuovi mercati. Bisogna al limite insegnare a costruire pozzi. Il nostro giornale “Liberalia” si ispira al pensiero di Cassano e alle sue considerazioni circa il pensiero meridiano che concerne, anche, l’allontamento dal fondamentalismo della modernità. Egli suggerisce, infatti, di riscoprire la dimensione alternativa alla velocità occidentale: quella della lentezza. Tu che da sempre, per motivi di lavoro, non sei legato mai a un posto fisso, che usi tecnologie veloci, che sei sempre in lotta per la sopravvivenza che significato dai al tema della lentezza? Magari, sarebbe un sogno. Il tempo è il nostro incubo, specie per un cronista televisivo. Ma siamo schiavi del tempo, dimenticando che è solo una convenzione, in realtà il tempo non esiste. Per tornare all’Africa, basta leggere Kapuscinski. Se chiedi a un africano, che so, quando c’è la riunione? ti risponde: quando ci siamo tutti. Un giorno in Sudan si buca la gomma alla nostra auto. L’autista scende. E io istintivamente gli chiedo: quando torni? Lui mi brucia: quando ho trovato la gomma. Quando Pino Scaccia è solo, lontano dai fragori delle bombe, dal caos cittadino, magari immerso nel buio della notte, a cosa pensa? Penso ai fragori delle bombe. È una battuta, voglio dire che penso a tutto quello che ho dentro. Perché tutto ti resta dentro, mica te ne puoi liberare. E io neppure lo voglio. Sei mai stato in Basilicata? Se sì cosa ti ha lasciato questa terra? Non molto, cioè di sfuggita. Ricordo una terra selvaggia. Mi piace. Mi piacciono i posti selvaggi, sono veri. Liberalia ti ringrazia moltissimo per la sua disponibilità. Un’ultima battuta per lasciare i nostri lettori: cosa vorresti dire loro? “Visto che ho un’età in cui posso anche guardare indietro, voglio ricordare che ogni giorno ci sono mille motivi per reagire. Con gli anni diventano cento, poi cinquanta, poi dieci. Arriva un punto in cui i motivi restano tre, quelli fondamentali. Guai a rinunciare a quelli”. ● 8 SCAFFALE LIBER Il fiore rosso L’amore che seminiamo nel mondo sopravvive alla nostra esistenza superando la nostra memoria. La fede in Dio, l’Amore più grande e totalizzante che ci possa essere, non si sottrae a questa verità, la sublima anzi con la forza imperante del suo bisogno di concretizzarsi in testimonianza. Ripensando a Don Luigi di Liegro, parroco “della nuova Roma”, la Roma degli immigrati, dei poveri e degli emarginati, o a Don Tonino Bello che, vescovo di Molfetta, non disdegnava di dormire in auto per lasciare il palazzo vescovile alle folle di sfrattati e senzatetto che ospitava, ci accorgiamo in fondo che l’uomo, inerme anche nell’occidente benestante dove sembrerebbe invincibile protagonista della propria favola di benessere e agiatezza, ha comunque bisogno di rapportarsi al prossimo e al divino. L’urgenza di Dio si dà dovunque, a casa nostra, come nell’India della carismatica Madre Teresa, instancabile “matita di Dio” consumatasi nella cura dei più deboli, o nell’Africa di Joseph-Albert Malula che ha lottato per la crescita della chiesa congolese e si è battuto contro il colonialismo per la dignità della persona. Martin Luther King, in America, col suo sogno di pace e di fraternità tra le genti, col suo credo di uguaglianza tra bianchi e neri, non è poi così distante dalla giovane rappresentante della Rosa Bianca, Sophie Scholl, o dall’austriaco Franz Jaegerstaetter, fermi oppositori dell’ideologia nazista volta a imporre la legge del potere e del più forte. Il cammino della memoria, intrapreso dall’autore, punta a dare voce alle silenziose rivoluzioni di chi si è rifiutato di sottomettersi “a un mondo così ben definito e così ben costruito che sembra un mondo normale” (per riprendere le parole di Emmanuel Mounier riportate dallo stesso Giuntella). Si delineano così, tra le pagine del libro, umanissimi tasselli del disegno divino della testimonianza cristiana calata nell’oggi e nel “tempo”. ● Paolo Giuntella, Il fiore rosso, Ed. Paoline, Milano 2006, pp. 244, euro 12. BARBARA CARMIGNOLA Nel Libro della giungla di Kipling, il piccolo Mowgli, il cucciolo d’uomo, riesce a vincere l’arrogante e poderosa tigre Shere Khan con il “fiore rosso”, un tizzone ardente che gli fa scudo e lo mette in salvo. Paolo Giuntella (giornalista RAI), ispirandosi a quest’episodio, intitola così, significativamente Il fiore rosso il suo ultimo libro, braciere di storie di ardenti testimoni dell’amore e della fede in Cristo, tedoforo della convinzione che sia il compito della testimonianza a perpetuare la fiamma della fede, rifugio, sostegno e vera forza dell’uomo. Ripercorrendo con la memoria volti, più o meno noti, dediti a testimoniare il credo cristiano a sacrificio della propria stessa esistenza, Giuntella condivide con il lettore incontri, fatti, dialoghi e accadimenti che hanno inciso sulla sua vita e sulla sua formazione, in una carrellata di personaggi che ha conosciuto direttamente o che ha adottato quali ideali punti di riferimento. Sulle strade del mondo, dalla città di Roma all’oriente asiatico, dalle terre d’Africa a quelle latino-americane, l’autore dipana il suo filo d’Arianna che ci permette di seguire il cammino della fede attraverso le storie di chi ha lottato per veicolarla. 9 Aspettando il Lucania Buskers Festival Incontro con Francesco Rienzi, direttore artistico del Lucania Buskers Festival Ciao Francesco, siete già in trepidazione per l’avvio della IV edizione del Lucania Buskers Festival? Ebbene si! Siamo ripartiti con i preparativi di questa nuova edizione già nell’Ottobre 2005; ad oggi, abbiamo ricevuto circa 450 candidature di compagnie italiane e straniere delle quali stiamo facendo un’accurata selezione. Il festival sarà riproposto nella sua formula itinerante e durerà circa una settimana, dal 9 al 14 Agosto 2006. Saremo a Grumento Nova, Stigliano e Matera con l’obiettivo di unire artisti e spettatori nella comune condivisione dello spettacolo e della strada. Aspettatevi un edizione veramente ricca di novità. Quali saranno le novità di quest’anno? In termini di programmazione artistica proporremo un cartellone sempre più di carattere internazionale, composto sia da compagnie affermate che da giovani emergenti, ai quali daremo ampio spazio. Gli spettacoli delle compagnie emergenti quest’anno potranno essere votati dal pubblico. Dal punto di vista organizzativo 10 abbiamo intenzione di attrezzare piccole isole ecologiche da collocare in ogni città ospitante il festival, al fine di promuovere la cultura del riciclo e del rispetto ambientale ai nostri visitatori. Sempre in quest’ottica abbiamo deciso di stampare tutto il materiale promozionale su carta riciclata. Inoltre, ospiteremo un campo di lavoro internazionale organizzato in collaborazione con il Network YAP (Youth Action for Peace). Dodici volontari provenienti da tutto il mondo si aggiungeranno ai nostri già numerosi collaboratori locali nell’ambito dell’organizzazione della nuova edizione 2006. Il vostro asso nella manica di questa nuova attesissima edizione? Gli assi si scoprono al momento giusto! Per il momento posso dire solamente che le compagnie saranno più di venti e che tutti gli spettacoli in programmazione saranno contrassegnati da validità ed originalità dei contenuti messi in scena e dei relativi progetti artistici. Inoltre, porteremo sicuramente un grande spettacolo-evento in ogni città ospitante il festival, con un gran finale previsto per la tappa di Matera. In qualità di direttore artistico puoi spiegarci qual è il segreto del successo di questo Festival? Un Festival che riesce a incantare e ad appassionare “grandi e piccini”? Chiedeteci tutto ma non di svelare segreti! Scherzi a parte, penso che il segreto del successo del Lucania Buskers stia nella sua stessa natura, ovvero quella di festival di arte di strada. L’arte di strada diverte, coinvolge, aggrega e consente di svolgere un’azione a favore della democratizzazione della cultura, in quanto rompe le nicchie e va incontro ad un pubblico eterogeneo e quindi potenzialmente enorme. Per sua definizione, lo spettacolo di strada investe uno spazio collettivo, aperto a tutti, e permette liberamente di avere uno sguardo nuovo e differente sugli spazi urbani. ● 11 LIBER SCAFFALE Duri a Marsiglia Riappare Duri a Marsiglia. Nel magna delle stampe e delle ristampe, s’intende. Dopo 31 anni dalla prima pubblicazione e 21 dalla morte del suo autore. Per fortuna, ogni tanto, anche qualche grande casa editrice si lascia andare ad atti gentili. E, quindi, bentornato Duri. Come dicono pure De Lorenzis e Bernardi, in altra sede. Non aveva paura, Fusco, a parlare di fasci e malviventi. Lo faceva con uno squisito, sottile garbo. Lo faceva con dita abili e movimenti felpati. Con un rigore elevato a livello d’ideologia e idee elevate a rigore assoluto. Sta ben lontana da certi volumi, quest’opera. Anch’essi, a volte, gettati nella mischia dalla Einaudi. E ritorna Charles Fiori, indomabile lettore dei Fleurs Du Mal. Si riaffacciano all’orizzonte delle pagine i quasi mitologici eroi banditi. Maestri di strada, anche, e figli di puttana di tutte le risme. Giungono da una città ora tanto diversa da quel 1932. Liberata da certi De Grulle e da una tipologia di criminalità, dalla feccia d’un periodo storico che nuotava nel mare delle risse e delle bische clandestine, nelle rappresaglie tra gangster e bande rivali. Il vento del cambiamento avrà, probabilmente, inarrestabilmente messo a tacere quell’emozionante cattivo argot e sbriciolato un modo d’essere Romanticismo. Il personaggio chiave del perfetto romanzo, quel Fiori italiano - fuggiasco per forza di cose, è figura da amare. Una di quelle invenzioni letterarie che a ogni movimento ti fanno stare in apprensione per la sua sorte. Come il Bandini di Fante ecc. ecc. ecc. Lui, Gian Carlo Fusco non era politicamente corretto. Questo libro conferma che è possibile dire fare scrivere vivere senza peli sulla lingua. È autobiografia o no? S’è da sempre interrogata la critica. Chi se ne ‘mporta, viene da rispondere. Oppure è noir o non lo è nonostante le scene? All’unisono Tommaso De Lorenzis e Luigi Bernardi urlano la propria risposta negativa. Affermando inequivocabilmente i loro pensieri, dall’intero della pubblicazione einaudiana. Ma la collana nella quale è inserita opera lo è, è noir. Di nuovo: chi se ne importa. ● NUNZIO FESTA Gian Carlo Fusco, Duri a Marsiglia, Einaudi Stile Libero, 2005. Introduzione di Tommaso De Lorenzis, con una nota Giovanni Arpino e postfazione di Luigi Bernardi; pag. 192, 10.00 euro. 12 UN TEMA PIÙ LIBRI LIBER Il pensiero nomade C’è un percorso della modernità che si colloca all’opposto della tradizionale interpretazione della “radice” occidentale – molto in voga in questi mesi - che fa del monoteismo religioso e culturale l’humus fondante della nostra identità giudaico-cristiana: è quello dell’erranza, dello sradicamento, del progetto nomade. “Il nomadismo – ha scritto una volta Emmanuel Lévinas - non è un approccio dello stato sedentario. È un rapporto irriducibile con la terra: un soggiorno senza luogo”. Non a caso citiamo Lévinas, filosofo ebreo che ha scontato sulla sua pelle la drammatica esperienza “concetrazionaria” dei lager nazisti. Siamo figli della cultura giudaica, è vero, ma troppo spesso ci si dimentica che all’origine di questa cultura non c’è la sicurezza di un punto archimedico. Non c’è un territorio, né tantomeno uno stato, ma un viaggio senza ritorno, il divenire costitutivamente aperto, lo spaesamento di una moltitudine in marcia. Il pensiero nomade si comprende a partire dalla sua origine: il cammino verso Canaan e la diaspora millenaria. Mosè, il vero nomade che diede un senso di libertà al suo popolo, spronandolo al movimento, non ha mai raggiunto la terra promessa, eppure ne ha sentito irresistibilmente il richiamo e il sentore. È questo ciò che conta. È questo che lo ha spinto in avanti in una ricerca senza fine. Che é quella di ogni essere umano. Se la natura avesse voluto creare l’uomo animale stanziale, lo avrebbe piantato nella terra nuda come un albero. Il pensiero nomade, dice qualcuno, incoraggia l’indifferentismo etico e un certo relativismo portatore di superficialità. Non siamo d’accordo. Esso ama, insieme alla superficie, la profondità di una decisione radicale. Ma tale radicalità non si protrae all’infinito nel cuore della terra, come un cardine eterno e inamovibile. Il pensiero nomade non inorridisce di fronte agli spostamenti progressivi della morale e del gusto, ●●● MAURIZIO CANOSA 13 LIBER UN TEMA PIÙ LIBRI Cincinnato, le promesse che il nomadismo del pensiero può mantenere sono impraticabili se hanno la pretesa dell’assoluto. Ma hanno la verità della carne-del-mondo se dentro fanno spazio al cuore e al sangue necessari. Sono il frutto di un inizio che si pone un termine, un fine, come ogni promessa, pienamente umana, che si rispetti. Ed è un inizio che sarà destinato a ripetersi, perché se è vero che ogni partenza è un principio, ogni principio è un cominciamento di senso, una nascita nuova, una nuova “azione”. Un’altra grande pensatrice di cultura ebraica come Hanna Arendt, lo ha detto chiaro. “Il cominciamento inerente alla nascita può farsi riconoscere nel mondo solo perché il nuovo venuto possiede la capacità di dar luogo a qualcosa di nuovo, cioè di agire” (H. Arendt, Vita activa, Bompiani, 1994, p. 8). Questo perché “agire, nel senso più generale, significa prendere un’iniziativa, iniziare (come indica la parola greca archein, ‘incominciare, ‘condurre’ e anche ‘governare’), mettere in movimento qualcosa (che è il significato originale del latino agere)” (Arendt, p.128-129). Non c’é nomadismo senza un perenne inizio, nascita, azione. Solo temporaneamente, il nomade risiede tra i confini di una enclave. Coltivando patrie provvisorie, arricchendole del suo lavoro e traendone da esse gli umori, vive sotto una tenda errante, in faccia al vento e al sole. Talvolta si nutre di frutti poveri rubati a forza dalle secchezze di una landa inospitale. Deve dunque “agire”, spostarsi di continuo, per trovare in qualche altr⁄ove le cose che cerca. E così vive e si moltiplica in conoscenza. ●●● ma ciò non significa che abbia deciso di vivere perennemente ai margini di una scelta. Al contrario. Il nomade sceglie, progetta e costruisce cantieri mobili. Su porzioni minime di terra realizza edifici di valori al tempo stesso teneri come asfodeli e ostinati come ginestre. La sua azione ricorda quella del romano Cincinnato, che accetta il suo ruolo di condottiero in battaglia quando il pericolo cresce e il gioco si fa duro, e quando la guerra é vinta, lo scopo é raggiunto, torna nei perimetri angusti di un pezzo di terra domestico. Per poi ripartire per una nuova chiamata alle armi, rifiutando sempre gli onori del titolo che hanno il sapore stantio del marchio incancellabile. Nulla é per sempre. Come quelle di Hanna Arendt (1906-1975) 14 Una conoscenza che spesso assume i contorni della caduta, della ferita e del dramma che si fa esperienza. Il tempo degli uomini è diviso in periodi immensi, ma la conoscenza si unisce sempre alla vita se non addomestica la contraddizione, l’oscurità, il dolore, il “travaglio del negativo”. L’evento, in questo senso, é sempre dietro l’angolo, come movimento d’eccedenza che può distruggere le nostre sicurezze. Il principio presuppone il rischio del fallimento del progetto, della promessa. Ma é un rischio che bisogna correre, per crescere. Solo in questo modo lo scandalo del “volto d’altri”, di cui parla Levinas, si rivela come efficace contravveleno al riflusso fanatico delle monoculture. D’altra parte, se la conoscenza è suscettibile di progresso, come pensava Popper, non può poggiare su terreni solidi, ma su palafitte. L’unica regola certa è che non c’é regola certa, perché ogni teoria attende di essere smentita dalla realtà. Tutto ciò è il contrario della radice che sostiene. L’archein fa dell’azione una nuova direzione di marcia, l’origine di un solco che desidera durare finché può. Poi può essere abbandonato al suo deserto. La cultura della differenza e dell’alterità, che fonda il pensiero nomade, ha origini recentissime nella storia dell’uomo. Il pensiero unico, invece, matrice della violenza totalitaria, è una malattia che certo non ha avuto secoli di incubazione per svilupparsi. È germinato subito, all’alba delle civiltà. Ma é senza dubbio contronatura, se é vero che la natura é, per essenza, infinita diversità biologica. La curvatura narcisistica della Ragione, in quanto tale, tende dunque ad omolgare nel diktat il vitale caleidoscopio delle “ragioni” e delle esistenze. Il nomadismo del pensiero emerge allora quando si dà il via alla distruzione del Sancta Santorum, all’abbattimento dell’idolo sul piedistallo. Con ciò, é necessario tenere ogni pretesa di eternità e di certezza a debita distanza. Perché “da lontano - ci consiglia il Nietzsche della Gaia scienza - tutte le cose perdono grandezza e peso”. Significa con questo fare giustizia di ogni tensione di verità? Non esattamente. Piuttosto, potremmo dire che la verità coincide proprio con l’uomo che vive, ex-iste, emerge cioé come animale plastico dall’indistinto dell’essere per farsi carne, ossa e pensiero. “Lo sradicamento in questo senso è verità. Una verità necessaria che scardina la consolazione che i simulacri sono chiamati ad elargire. Riconoscere nello sradicamento la condizione reale dell’essere produce una serie di movimenti successivi che determinano altrettante aperture: in questo modo la verità si fa progetto, dispone all’erranza” (T. Villani, Verità e divenire – attualità e necessità del nomadismo, in Geofilosofia, di G. Deleure, F. Guattari ed altri, 1993, p. 41). Quanto futur/o scorge il nomade liberando avanti lo sguardo. Cambiando punto di vista, allargando orizzonti, sviluppa il gusto della distinzione: una raffinata capacità di discernere, non per volontà di dominio, ma per cogliere il meglio dalla differenza delle cose. Il che significa avere non solo una terra, ma la Terra intera da conquistare. Così, parafrasando ancora Nietzsche, si potrebbe dire che bisognerebbe di volta in volta congedarsi da una terra (una patria provvisoria) come Ulisse da Nausicaa, benedicendola piuttosto che innamorati di essa. ● 15 LIBER LE IDEE Equilibrio ambientale e vita di relazione i crucci di una contemporaneità alienante Non sarà presuntuoso affermare che il nostro stile di vita può cambiare il mondo, quello quotidiano, che sperimentiamo tutti i giorni, e quello che non conosciamo perché lontano o di là da venire. Potremmo cominciare proprio da casa nostra... È questo il consiglio di Gianluca Soldi, specializzato in bio-architettura, che nel suo ultimo libro Spazio e vita (Effatà Ed. 2006, pp. 123, euro 11) ci offre una chiave di lettura innovativa per guardare da una diversa prospettiva la nostra esistenza cominciando proprio dalle nostre abitazioni: la casa come spazio di relazione in cui la coppia cresce e si espande costituendo nella famiglia la prima cellula della società. Ogni casa dovrà dunque essere pensata per chi vi abita, innanzitutto scegliendola in base ad alcuni parametri socio-ambientali ed in seguito comunicando attraverso i colori più giusti la personalità del proprietario nonché organizzando gli interni come specchio della vita della famiglia. Altrettanto necessario sarà impiegare nella costruzione della propria abitazione dei materiali naturali, al tempo stesso sani ed ecologici. Dal quotidiano di una coppia all’esistenza della collettività. Iniziare a rispettare determinati parametri ambientali sin dall’uscio delle nostre dimore è uno, forse il primo, dei tanti “passi di semplicità”, che siamo chiamati a compiere oggi che, come rilevato da Alex Zanotelli nella prefazione del libro E dunque che fare? curato dal Collettivo Matuta (Ed. Paoline 2006, pp. 170, euro 11), “ci troviamo di fronte a un mondo squinternato, che permette al 20% della popolazione globale - il mondo ricco - di papparsi l’82% delle risorse, lasciando a cinque miliardi di uomini le briciole”. Siamo dunque invitati a un cambiamento per non condannare l’intera umanità all’autodistruzione. Ben venga un’alimentazione sana, ecologica ed etica. Un no tassativo alle bevande industriali, compresa l’acqua, inutili, dispendiose e dannose per la salute. Anche la moda è sotto accusa, laddove incentiva a dismettere in fretta abiti ancora nuovi, così come da evitare è il consumismo farmaceutico. Siamo tutti invitati a contribuire alla nostra stessa sopravvivenza… Leggere per riflettere… ● BARBARA CARMIGNOLA LUOGHI MERIDIANI ET ALIA Lo spirito meridiano del marketing Il pensiero meridiano indica una nuova via al marketing. L’attenzione ai legami con la terra, alla centralità dell’individuo rispetto agli obiettivi commerciali delle aziende, a una forma più umana della promozione di prodotti di vario genere sono soluzioni possibili che creano valore non solo per gli operatori del commercio ma anche e soprattutto per i consumatori. Il marketing mediterraneo, la nuova frontiera del marketing, si discosta dal suo parente prossimo anglosassone per i valori intrinseci che esso rappresenta, ossia l’apertura alle diversità, la cura dei legami e dei contatti tra azienda e cliente, il rispetto di tutte le opinioni, positive o negative che siano, e il senso di appartenenza alla zona di origine che viene trasmesso così alle comunità,virtuali e non, createsi attorno ai prodotti che un’azienda promuove, facendole divenire gruppi uniti da una passione unica: il prodotto e il messaggio di cui esso si fa veicolo. Negli ultimi anni il marketing tradizionale è divenuto troppo aggressivo e competitivo e i nuovi strumenti di comunicazione che ruotano attorno a internet sono stati presi d’assalto da grandi e piccole aziende che hanno riversato sul web una marea di informazioni il più delle volte spiazzanti per il navigatore della rete e potenziale cliente. È per questa serie incrociata di valori e benefits che proprio oltre oceano, a New York, è stato presentato in anteprima mondiale, nella sede della Regione Campania a Manhattan, il I° forum internazionale sul “Marketing Mediterraneo”, che si è svolto a Ravello, sulla costiera amalfitana, dall’8 al 10 maggio. L’evento ha visto la partecipazione di managers e marketers provenienti da tutto il mondo e rappresentanti del marketing non convenzionale tra cui Bernard Cova, docente di marketing presso l’Istituto EuroMed di Marsiglia e autore del libro Il Marketing Tribale: legame, comunità, autenticità come valori del Marketing Mediterraneo, Antonella Carù, docente di marketing all’Università Bocconi di Milano, il clan di www.ninjamarketing. it (osservatorio italiano sul marketing non convenzionale e creativo) e i rappresentanti dell’Art Director Club statunitense. La scelta di New York come sede di presentazione del forum non è stata casuale, visto che la Grande Mela è considerata la capitale mondiale del marketing e dell’advertising e i valori della mediterraneità quali il senso di appartenenza ●●● CARLO MAGNI 17 ET ALIA LUOGHI MERIDIANI ●●● a una comunità e lo stimolo quotidiano alla creatività legata alle risorse del territorio hanno colpito positivamente gli operatori di marketing degli USA. Ciò che favorisce un discreto successo a questo nuovo modo di pensare, vedere e attuare una disciplina come il marketing è proprio quel superamento degli attuali valori economici di individualismo e razionalità che basano il loro successo sulla competitività aggressiva degli operatori commerciali. Andando oltre, si può scorgere in questo nuovo modo di creare economie una riconquista da parte delle persone di quei valori alternativi che fungono da motore emozionale dei desideri di acquisto e di riconoscimento. Il bombardamento di campagne pubblcitarie sui muri delle nostre città, sugli schermi di cinema e televisione, sui monitor dei nostri computers e tra un po’ anche sui nostri cellulari rende problematico lo studio di una strategia di marketing volta a conquistare le emozioni dei consumatori visto che proprio loro, un tempo trattati come agnelli da sacrificare alla Dea Pubblicità, oggi sono più coscienti delle loro scelte e del valore a esse attribuito da parte delle aziende. Un buon claim o un visual forte e provocatorio non sono più sufficienti al lancio di un prodotto proprio per la crescita culturale e la domanda sempre più esigente da parte del consumatore. È quindi indispensabile favorire il ritorno delle emozioni di cui il prodotto e l’azienda promotrice devono farsi testimonials, puntando sul potenziale cliente e rendendolo partecipe di un valore condiviso in comune. L’azienda deve accompagnare il consumatore nel suo mondo, presentare il prodotto lasciandogli la libertà di esprimere le sue gioie e le sue preoccupazioni. Gli strumenti per praticare questo tipo di marketing emozionale sono tanti e soprattutto il web ci offre una vasta gamma di scelta. In un’epoca in cui le persone collaborano per organizzare sul web le informazioni attraverso le parole chiave (folksonomia), il marketing mediterraneo può diventare quell’aggregatore sociale utile ad aziende e consumatori per una miglior comprensione della domanda e dell’offerta nella giungla delle possibilità di scelta. ● 18 Liberalia Point e Official Crossing Zone Matera * Informagiovani • Via Ridola, 22 * Mediateca Provinciale di Matera • Piazza Vittorio Veneto * Paoli Food • Piazza del Sedile, 39 * Fidas - Donatori Sangue Basilicata • Piazza del Sedile, 10 * Bottega del mondo • Piazza San Francesco Liberalia Point Matera * Università degli studi della Basilicata • Via Lazzazzera - Via S. Rocco, 1 * Libreria dell’Arco • Via Ridola, 37 * Libreria Di Giulio • Via Dante, 61 * Libreria Mondadori • Via del Corso, 12 Liberalia Point Roma * Libreria Ave • Via della Concialiazione, 1 * Libreria Libetta • Via Giuseppe Libetta, 41 [email protected] • www.liberalia.it note di cultura meridiana ET ALIA CINEMA Matera e Basilicata: non più solo location Organizzato per la prima volta nel 1984 a Poitiers, in Francia, il Festival Internazionale dei Circoli del Cinema ha scelto Matera per la sua ottava edizione, in programma dal 12 al 17 giugno prossimo. Registi, sceneggiatori, attori e critici di ogni parte del mondo metteranno a confronto, in modo costruttivo, culture cinematografiche e associazionistiche assai diverse. La Federazione Italiana dei Circoli del Cinema (FICC), costituita nel 1947, è la prima nata tra le associazioni nazionali di cultura cinematografica riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per il Cinema. I primi circoli la costituirono come organismo di coordinamento per la salvaguardia del patrimonio culturale cinematografico, per la libera circolazione e la conoscenza critica della produzione filmica e per il sostegno del cinema italiano in particolare. In essa confluirono molti critici, autori e lavoratori desiderosi di soddisfare l’esigenza di informazione e discussione avvertita in quegli anni da gran parte del pubblico italiano, sull’onda dell’entusiasmo suscitato dal cinema neorealista. Insieme all’International Federation of Film Societies (IFFS), presente in 45 Paesi, la FICC organizza ogni anno il Festival Internazionale dei Circoli del Cinema, in occasione del quale le varie Federazioni nazionali propongono le proprie selezioni di film. Quest’anno la scelta di Matera, e quindi della Basilicata, quale nuova sede del Festival, mette in luce l’importanza che la città ha SERENA VIGORITI assunto negli ultimi anni a livello internazionale e, allo stesso tempo, quella “voglia di cinema” che si è sviluppata in tutta la regione attorno a tale settore. Come ci racconta Paolo Minuto, Presidente della FICC, “la Basilicata è senza dubbio una location ideale per numerosi film, ma anche un luogo culturale adatto a ospitare rassegne, eventi e incontri volti ad animare un dibattito sul cinema che acquista sempre maggiore rilevanza, coinvolgendo un crescente numero di appassionati”. “La meridionalità, intesa come approccio alla socialità presente in 20 tutte le parti del mondo”, spiega Minuto, “caratterizza le scelte operate dalla FICC e dalla IFFS in ogni campo e pretende di dare visibilità a un Sud creativo e internazionalista. La Basilicata rappresenta una regione simbolo di un’Italia efficiente e produttiva anche nel campo della cultura, intesa non in senso statico e contemplativo, ma vivo e al tempo stesso critico e fantasioso”. L’edizione 2006 del festival prevede alcune importanti novità all’interno delle sezioni e nuovi progetti per il cinema etnografico e sui diritti umani, nonché una nuova sezione dedicata al documentario. La manifestazione si concluderà con il Congresso Mondiale dei Cine Club, presieduto da Gianni Amelio, presidente della IFFS. Sarà, questa, un’occasione per discutere dei temi dell’associazionismo a livello mondiale e delle problematiche legate alla distribuzione cinematografica, al digitale e all’impegno culturale in un periodo di grandi cambiamenti sociali e tecnologici. Le Sezioni e i Premi del Festival Sezione Ragazzi: selezione internazionale di film realizzati dai ragazzi e per i ragazzi, curata dall’esperto tedesco Bernt Lindner. Quest’anno sarà presentata anche una selezione del Festival per Ragazzi di Chatila in Libano. Sezione Sebastiano Di Marco: selezione di giovani autori italiani di documentari. La Sezione “Di Marco” è nata dalla riflessione del Circolo del Cinema “Cesare Zavattini” su quell’idea di Sud definita da Franco Cassano “pensiero meridiano” (F. Cassano, Il pensiero meridiano, Bari - 1996). Quell’atteggiamento mentale che ci permette di ri-pensare e ri-guardare il Sud nel duplice senso di avere riguardo dei luoghi e dei pensieri che su quei luoghi si sono intrecciati. Sezione Cineclub New Network: al suo esordio, presenta una selezione di film documentari in digitale di giovani autori di tutti i continenti e il loro sguardo insolito sulla realtà dei loro Paesi. Sezione Etnomedia: dedicata al cinema applicato all’etnografia e all’antropologia visuale. In questa sezione sarà anche presentata una selezione di film provenienti da regioni impegnate nella salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale, con particolare attenzione ai siti patrimonio dell’UNESCO. Sezione Human Rights: selezione di film sui diritti Umani, curata dall’associazione Humanity. I film premiati in tale sezione saranno distribuiti in tutte le università italiane e scuole medie superiori a fine educativo. Tale sezione identifica quel percorso che la Federazione Italiana e Internazionale dei Circoli del Cinema persegue da anni nella formazione di strategie di condivisione e cittadinanza attiva, per una comprensione interculturale capace di far dialogare democraticamente e consapevolmente persone e popoli sui diritti e sui doveri della società. Premio “Don Quijote”: selezione dei film premiati dalle giurie internazionali composte dai rappresentanti della IFFS, presenti in prestigiosi festival nel mondo. Da quest’anno la sezione sarà ancora più competitiva con i voti di ogni delegazione, assicurando così ai vincitori un premio consistente dal punto di vista del sostegno distributivo. Inoltre, in collaborazione con l’Università di Messina e l’Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria, sarà ricordato il quattrocentesimo anniversario della prima pubblicazione del “Don Quijote”. Verranno assegnati premi speciali, come il Don Quijote alla carriera, assegnato dalle Federazioni dell’IFFS a un regista che si è particolarmente distinto per l’impegno associazionistico, oltre che per quello cinematografico-autoriale. ● 21 ET ALIA CINEMA Vai e vivrai “Ho incontrato un ebreo etiope a un Festival del Cinema a Los Angeles. Mi ha raccontato la sua epopea e quella del suo popolo: il viaggio a piedi fino al Sudan dove gli ebrei rischiavano di morire, la vita nei campi profughi, l’emigrazione in Israele”: è questa la storia del viaggio verso Gerusalemme dei Falasha, gli ebrei etiopi di pelle nera discendenti del re Salomone e della regina di Saba. Radu Mihaileanu, regista del celebre Train de vie, racconta in Vai e vivrai (Va, vis et deviens) la carestia che nel 1984 costrinse i Falasha, insieme ad altre centinaia di migliaia di africani, ad abbandonare la propria terra nella cosiddetta “Operazione Mosè”. Grazie al duplice intervento di Israele e degli Stati Uniti, i Falasha oppressi dal regime filosovietico di Menghistu e costretti a patire fame e miseria, furono ricondotti in Terra Santa come legittimi discendenti del popolo di Israele. Vai e vivrai è la storia di un campo profughi, di una madre falasha stretta nel dolore per la perdita di un figlio. Vai e vivrai è la storia di una madre cristiana che stringe fra le braccia il suo bambino che non potrà avere un futuro se non lontano da lei, fingendosi ebreo. Vai e vivrai è la storia di una menzogna, quella in cui Shlomo sembra costruirsi un’esistenza che mai si appaga, che vaga nella ricerca continua di una propria identità. Vai e vivrai è la storia di una madre adottiva: Shlomo, come orfano, diviene ancora figlio in una famiglia sefardita francese, benestante e di sinistra, che vive a Tel Aviv. Vai e vivrai è la storia di un bambino che deve SERENA VIGORITI diventare grande sotto il peso della menzogna (Shlomo non è orfano e non è ebreo). Vai e vivrai è la storia di un legame negato che torna in quell’abbraccio lontano, ogni notte raccontato alla luna. Vai e vivrai è la storia di una difficile integrazione: “Quando i profughi etiopi arrivarono in Israele tanta parte della popolazione li accolse con grande entusiasmo, mentre molti rabbini integralisti si scagliarono contro, giudicandoli non «abbastanza ebrei», soprattutto per il colore della pelle”. Vai e vivrai: dal viaggio verso la sopravvivenza, al viaggio verso la riconciliazione con la vita, a sé. Il cinema mi ha regalato la grande emozione della bicicletta di Elliot dipinta su una grande luna piena, questa storia mi ha raccontato un grido“ di rivolta e di felicità”. Questo film è la versione etiope di E.T. in cui un bambino cerca sempre di tornare a casa (Radu Mihaileanu). ● 22 MUSICA ET ALIA Caparezza: Habemus Capa Per uscire fuori dal tunnel di un successo sorprendente e travolgente, Michele Salvemini non ha scelto mezze misure: ha deciso di morire e resuscitare, almeno artisticamente. Solo così poteva scrollarsi di dosso una fama inaspettata e forse in parte fastidiosa, perché, come sempre accade in questi casi, si porta appresso fans superficiali, ascoltatori prevenuti e trasforma innocui ritornelli in ossessionanti mantra televisivi. Quindi ecco, come dichiarato dal suo autore, un disco postumo di un cantante ancora in vita, in cui lo spirito di Caparezza viaggia alla ricerca del corpo perduto e s’incarna in svariati e curiosi personaggi. L’album si apre con la cerimonia funebre (Annunciatemi al pubblico) e si chiude col ritrovamento del Caparezza (Habemus Capa). Nel mezzo un mucchio di idee, parole e suoni non banali. Sorprendono gli arrangiamenti orchestrali, con tanto di archi incalzanti e cori pomposi, di Torna catalessi, un invito esplicito a rallentare i ritmi quotidiani. Strafottenti i toni e le rime che caratterizzano Gli insetti del podere, un divertente stralcio di entomologia hip-hop, sostenuta da inaspettati riff pesanti, quasi hardrock, simili a quelli della potentissima Dalla parte del toro (che dal vivo farà vibrare il palco), dove si alternano a fiati e ritmi spagnoleggianti. Il silenzio dei colpevoli si infiamma addirittura in un assalto sonoro alla Rage Against The Machine, con voci filtrate per niente LUIGI CATALANI PIETRO SACCO rassicuranti e un testo rabbiosamente fuori dai denti. D’altro canto si confermano il talento del nostro nel costruire acrobazie linguistiche quasi iperboliche, come nella Ninna Nanna di Mazzarò, e la sua capacità di mischiare ironia e denuncia sociale, come ne La mia parte intollerante, “trovo molto interessante la mia parte intollerante che mi rende rivoltante tutta questa bella gente” e nell’Inno verdano (ci sarebbe da ridere se non fosse tragicamente reale). Evocano atmosfere alla Tim Burton gli spiriti maligni in The Auditels Family, una sorta di Famiglia Addams del tubo catodico, detentrice del potere del telecomando. Ancora la televisione, o meglio la sua scarsissima affidabilità informativa, è al centro della successiva Ti Giri. Si fa ancora in tempo ad entrare nella dancehall selvaggia del dot com, condotta da brokers spregiudicati, anche questi facilmente riconoscibili (Titoli). Anche laddove il disco sembra perdere per strada un po’ di verve, ci si imbatte in assalti verbali di tutto rispetto come Felici ma trimoni, spietata cronaca matrimoniale. Consigliatissimo agli amanti del genere, un po’ meno ai fans dell’ultima ora. E forse è il miglior complimento. ● 23 ET ALIA VERSI Dupin, divenire alla luce Dupin? Chi è costui? Una sua potente e tagliente raccolta, recuperata dall’oblio d’una bancarella bolognese, Divenire della luce (Garzanti, 1986) m’è stata utile. Non la lascerò più. NUNZIO FESTA La Goccia “Questa notte non finisce mai / d’essere scavata, o colmata / messa a nudo // dallo sperone la paglia / della bertuccia agonia //// scavare dello sguardo ucciso / che scarta il malocchio // vuoto e giacimento / gola / aperta viticcio il grido / che scioglie i nodi impregna / il mio bastone di verde cieco // fintanto che il sangue / scritto versato / al di fuori // continui / a colare nel profondo”. Jacques Dupin, occorre ricordare, nacque a Privas nel ’27. Partecipò alla rivista Empedocle, diretta da due grandi figure quali Camus (intellettuale meridiano per eccellenza) e René Char, e poi collaborò con Chaiers d’Art di Zervos; fra le altre cose. Jacques Dupin è stato, inoltre, apprezzato saggista e le sue raccolte di poesie, in Francia, sono state pubblicate dalla prestigiosa Gallimard. L’indimenticabile Bigongiari è autore dell’introduzione all’opera, anche. Il primo componimento, parte della sezione Il crescere della notte “apre” con di ritorno fra voi / quanto devo custodire / è visibile nel suo turbinare? / / Fra voi, e non servendo a nulla / che al disordine, / alle sementi… Andando avanti, si legge aperta quasi senza parole / come da una scossa, in qualche muro, / una breccia, non finestra / / per mantenere a lunghezza di braccio / la contrada di notte / dove la strada si perde, / allo stremo delle forze una parola nuda. Se i cocci del muro meglio d’acqua morta / riflettono le stelle, come si respira da una chiusa brillante e toccante, allora vuol dire che la connessione fisica fra poeta e mondo è turbatamente inossidabile. Il carattere estremamente originale di questo fare poesia irrompe senza devastazioni in interstizi alti e svettanti di Divenire della luce, quando, ad esempio “l’uragano procrea” e “ un lampo unisce // notte nella notte”. Non c’è paura di testimoniare, mai. Molto del luogo è vissuto dal “non luogo”. Il corpo del poeta, e certamente la sua voce, che “s’adergono” costantemente. Quasi che l’alzarsi per ammettere sia altro fattore portante della poetica complessiva. “Da nessuno luogo e dal Giappone”, è una parte del testo che snocciola il linguaggio dell’erotismo, senza cadere nelle trappole del luogo (ancora una volta) comune. Poesie che meritano d’essere assorbite interamente, e con lentezza meridiana. Appunto. Di questo poeta in pochissimi “si ricordano”. Purtroppo. Ma la sua arte necessita approfondimento reale. ● 24 ALTRIMONDI ET ALIA Vivere in un campo rifugiati In occasione dell’evento speciale, “Un Campo Rifugiati in Città” – mostra itinerante sulle popolazioni in situazioni precarie – abbiamo chiesto a un nostro volontario, Giovanni, di raccontarci che cosa ha provato, che cosa ha visto e cosa significa vivere in un Campo Rifugiati. Giovanni lavora da tre anni con MSF; attualmente segue il tour del Campo Rifugiati, per spiegare e informare circa le condizioni di vita e il dramma umano di popolazioni costrette a lasciare tutto. Assistere e proteggere è lo scopo dei Campi Rifugiati. Rifugiati… sfollati…. Soprattutto persone che hanno perduto tutto, tranne la speranza di continuare a vivere, di continuare ad essere delle persone con delle idee, dei progetti, dei sogni. Una situazione dove le persone – decine, centinaia, migliaia, decine di migliaia di uomini, donne, adulti, vecchi e bambini – vivono in una situazione di persecuzione, per la loro razza, la loro religione, la loro opinione politica, la loro appartenenza a un gruppo sociale…e tutte queste persone, una dopo l’altra, senza più alcuna sicurezza, senza più dei punti di riferimento materiali o morali, a parte loro stessi e le loro famiglie, sono in viaggio, con un biglietto a volte di sola andata per destinazione sconosciuta, in terza classe. ●●● CATERINA FALOMO Immagini della mostra itinerante “Un campo profughi in città”, qui a Bologna, nelle pagine seguenti a Verona (Archivio MSF) 25 ET ALIA ALTRIMONDI ●●● Questo viaggio termina, momentaneamente in un campo, che poi diventa un grande campo, che poi diventa enorme, che poi diventa più grande di alcune città, non poi così piccole. In questi campi si articola l’attività di Medici Senza Frontiere, per garantire le cure mediche e non solo alle persone protagoniste di questo viaggio. E qui i protagonisti sono veri, con sorrisi veri, lacrime vere, sofferenze vere, gioie vere. Quando arrivano al campo, magari non sono i primi, vedono già tanta altra gente, allora devono cercare un riparo, un posto dove sdraiarsi, senza paura, un posto dove sedersi, senza timore, un posto dove fermarsi, senza angoscia. Qui comincia una nuova vita, fatta di tende, di abitazioni improvvisate, con piccoli oggetti di uso comune che giorno dopo giorno vengono ricostruiti, una nuova vita fatta di lunghe code per ritirare la propria quantità di cibo per cucinare vicino alla nuova abitazione, per riavere la famiglia intorno a un fuoco, a un braciere…, per riavere una famiglia, con un uomo in meno, una donna in meno, un bambino in meno, per ricominciare, per ricreare una famiglia, per capire che non bisogna mai cedere, anche se non è facile, anche se sarebbe più facile, anche se a volte pensiamo di riuscire a dare tutto. Qui comincia una nuova vita, con latrine dove recarsi, costruite in modo tale da garantire l’igiene e allo stesso tempo un po’ di intimità, con strutture e prodotti dallo strano nome, con “dispensari”…, il TFC, ovvero il centro terapeutico nutrizionale, il BP5, il biscotto proteico, il MUAC…, che noi utilizziamo quotidianamente, e che a volte possono apparire agli occhi di chi non li ha mai visti come apparirebbe un marziano. Una nuova vita…, in un campo rifugiati, è una parola molto forte. Persone obbligate a lasciare tutto, persone che perdono parte della loro famiglia, persone perseguitate…, chissà come vorrebbero tanto la loro vecchia vita, prima che tutto cominciasse, addormentarsi e svegliarsi di nuovo a casa, nella loro casa, con i loro bambini, con tutti i loro bambini, i loro genitori, 26 entrambi i loro genitori, i loro fratelli, i loro giochi, le loro abitudini…, e poi come sarebbe dura risvegliarsi, capire che è stato solo un sogno. Non più giocare o camminare per strade e vicoli di una nuova “città”…, ma per vie e stradine di una vecchia città… Noi volontari di Medici Senza Frontiere facciamo il possibile per ridare la dignità e alleviare le sofferenze, per creare un ambiente dove le persone, i personaggi di questo viaggio, che ha trovato una destinazione, ma non una durata, si trovino a loro maggior agio. E se a volte o se sempre si riuscisse ad evitare che decine, centinaia, migliaia, decine di migliaia di uomini, donne, adulti, vecchi e bambini si venissero a trovare in una situazione di persecuzione, per la loro razza, la loro religione, la loro opinione politica, la loro appartenenza a un gruppo sociale…, e che tutte queste persone una dopo l’altra, senza più alcuna sicurezza, senza più dei punti di riferimento materiali o morali, a parte loro stessi e le loro famiglie, non fossero più perseguitate e quindi obbligate a cominciare un viaggio, con un biglietto a volte di sola andata per una lontana destinazione, con data di ritorno ignota? Se ci addormentassimo…anche questo sarebbe un sogno. Ah… parlavo di marziani prima, a volte sento dei commenti sui rifugiati, come se tutti conoscessero i rifugiati e i loro perché, per fortuna noi conosciamo i marziani e i loro per come...”. ● il tuo aiuto può fare la differenza! sostieni medici senza frontiere. conto corrente postale n. 87486007 intestato a medici senza frontiere onlus, roma www.msf.it Giò 27 ET ALIA APPUNTI Quaderni dal traffico In apparenza oltraggioso nei confronti di Gramsci che i quaderni li scriveva dal carcere, il titolo vuole riconoscere al “traffico” la dimensione di “topos”, di scenario amerdidiano ove si consuma la parabola dell’esistere banale, in moto fra oscure provenienze e ignote destinazioni. Tanto teatro d’avanguardia ha ambientato drammi umani e tragedie collettive nella sala d’aspetto di una stazione, in un ascensore, dietro una porta chiusa, in una sovietica lunga coda di pedoni, sul terrazzo di un grattacielo in fiamme dove si sono raccolti personaggi diversissimi, denudati dalle identità consuete e gettati a esistere – geworfenheit – in una dimensione esistenziale le cui regole non scritte si apprendono sul campo. Il traffico automotociclistico nelle città ammorbate di benzene è tutto questo. “Nel traffico io circolo, assaporando la passività del trovarmi in un mondo che io non ho fatto e la cui legge non è la mia” - direbbe Kierkegaard. E il traffico si trasmuta e diviene scena e scenario, campo di battaglia e battaglia esso stesso, ambiente e agente al tempo stesso. Mi trovo a bordo del mio (…) e mi immergo nel mondo, nella sua ambiguità (Gaber) e osservo osservato, combatto, difendo il terreno conquistato e soffro e vengo osteggiato e assediato e combattuto. Non c’è fine alla battaglia: il tamponamento, l’incidente sono parte della scena, così come le targhe alterne o il ferragosto in città sono solo l’assenza temporanea dell’immanente, la sospensiva dell’eterno crogiuolo dell’esistere che il traffico rappresenta, proprio nella misura in cui W/CODY 28 il traffico offre al “trafficante” lo scenario ideale per rappresentarsi, “imagosui” calata sulla scena a confrontarsi nella scena. La madre che nella ancheggiante panda austera, effigiata in coda dal triangolino dissuasivo “baby a bordo”, mi precede nella coda, evoca senza rimandi la mansuetudine del caso e alla mansuetudine riconduce il suo perdonabile procedere a scatti, a tre all’ora, il suo mettere la freccia a destra per svoltare a sinistra e tuttavia per questo suo apparire, teneri pensieri evoca in chi, malgrado spinto da urgenze proprie, rinuncia al sollecito e indulge in tolleranze. Ma ecco che l’indole verace si appalesa, la madre pilotante strofina il grugno al pupo nel seggiolino accanto con gesto lesto e, rapida, apre il finestrino e lancia nella res-publica lo straccio sporco a dare marchio di sé, del proprio esistere al mondo degli altri, al mondo di tutti, al mondo non suo che quindi non merita riguardi. A casa propria ha le pattine, spolvera ossessiva le bomboniere della cresima della nipote della cognata, a casa propria è madre premurosa e solerte pulitrice di deiezioni e caccole nonché magistra e stigma di malaugurati altrui lanci dei rifiuti in vas-impropria. Nel traffico si trasfigura e lei medesima, la ”Madre”, la sua spazzatura la lancia nel mondo separato dal suo cerchio ristretto di proprietà e identità, la lancia nel mondo degli altri a oltraggio e monito per chi non le appartiene e per chi nullo può o deve per frenare i suoi impulsi o le sue necessità. Non deve dar conto a nessuno: ha la patente, ha la macchina, ha il bambino, circola e fa quello che le pare. Nessun vigile mai la multerebbe, e se lo facesse ella ne resterebbe straniata, vittima convinta e designata d’arcana iniqua persecuzione. La strada è di tutti. ● 29 5 x mille (idee meridiane) Su tutti i modelli per la dichiarazione dei redditi (Modello Unico, 730, CUD ecc.) compare un riquadro appositamente creato per la destinazione del 5 per mille. Nel riquadro sono presentate quattro aree di destinazione del 5 per mille. Scegli quella dedicata al “Sostegno del volontariato”. È sufficiente la tua firma e il numero del Codice fiscale della Associazione Liberalia Onlus (93036800774) e la quota della tua imposta sul reddito sarà devoluta ai progetti di Liberalia! mmarco Vittorio Sa 74 930368007 LIBERALIA È UN PERIODICO DI “NOTE DI CULTURA MERIDIANA” DOVE MERIDIANO VA INTESO COME CATEGORIA DELLO SPIRITO, DELL’ANIMA. DUNQUE UNA RIVISTA “MERIDIANA” NEL SENSO DI UNA ISPIRAZIONE E DI UN PROFONDO LEGAME AI PRINCIPI E AI VALORI DELLA SOLIDARIETÀ, DELLA QUALITÀ DEL TEMPO E DEL GUSTO, DELL’APPROFONDIMENTO, DELLA CURIOSITÀ E DEL CONFRONTO. LIBERALIA È ANCHE ON LINE! Direzione e Redazione c/o Altrimedia srl Via S. 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