La Peste Protagonista nella Letteratura (Anna Rosa d'Ascoli)

March 17, 2018 | Author: Annarosa58 | Category: Black Death, Evil, Lucretius, Giovanni Boccaccio, The Decameron


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La pesteprotagonista in Letteratura http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3c/1roch.jpg 1 Indice 0. fonti........................................................................................................................................................2 1. etimologia parola peste..........................................................................................................................3 2. modi di dire legati alla peste..................................................................................................................3 3. presentazione di testi letterari legati alla peste......................................................................................4 5. la peste in Boccaccio e in Manzoni......................................................................................................10 0. fonti 1. etimologia parola peste www.etimo.it 2. modi di dire legati alla peste www.dizionari.corriere.it 3. presentazione di testi letterari legati alla peste www.marcopolovr.it 4. La peste nera del 1348 - Teorie sulla peste nel tardo medioevo www.ilpalio.org 5. la peste in Boccaccio e in Manzoni www.gpeano.org 2 o riferito a ideologie osteggiate dalla maggioranza. quali lo spirito polemico. dire peste e corna • Fig. crudele. modi di dire legati alla peste 1.dal lat. Deriv. etimologia parola peste péste.: riferito a una persona. da cui Pestilenziale. essere insopportabile per varie ragioni. Calamità. • Altro sign. la cattiveria e simili. fig.1. Riferito a un bambino. 2. Dizionario dei MODI DI DIRE dalla A alla Z (www.: parlare malissimo di qualcuno. la litigiosità. Malattia assai contagiosa e mortifera per estens.it) 3 .: essere molto dannoso dal punto di vista sociale o morale. Altri lo connette a PÈRDERE. Danno. onde Pestilènsa Pestilènssia. Fetore ha per comparativo pèior peggiore e per superlativo pèssimus – pessimo cattivo. detto in genere di fenomeni negativi di vasta portata come ad esempio la diffusione della droga. Pestilente. ne sottolinea l’irrequietezza o la bizzosità. essere una peste • Fig. Pestem – devastare.uccidere.. 2. Pestifero.corriere.dizionari. org/wiki/File:Thucydides_Manuscript.wikipedia.jpg 2. anche della peste di Atene. A parer suo la peste sarebbe arrivata alle porte della città contagiandola.Tucidide e la peste di Atene Possiamo definire Tucidide come primo autore che descrive la peste nelle sue opere. presentazione di testi letterari legati alla peste 1. grazie ad un tentativo di spiegazione scientifica della malattia. costringendo le persone a rinchiudersi in essa.3. portata dai profughi egiziani. La descrizione dell’epidemia ateniese è totalmente diversa dalle altre. 3. il poeta latino Lucrezio parlò. fra tutti gli argomenti. https://it. escludendo il coinvolgimento delle divinità. Lucrezio Nell’ultimo libro del “De rerum natura”. Virgilio e la peste nel Norico: Virgilio narra del doloroso aspetto della piaga e si sofferma sulle atroci sofferenze degli 4 . parlando della morbosa epidemia sviluppatasi ad Atene. 4. Anche Petrarca si è inserito nella rosa degli scrittori che hanno descritto le terribili pestilenze. come la peste. Artaud nell’opera afferma che: “il teatro.uomini e sul mistero della morte ingiusta.marcopolovr. nella quale vengono descritti i primi casi di peste del 1665. Artaud Teorico del teatro viene ricordato per aver pubblicato “ Il teatro e il suo doppio ”. in un romanzo che egli intitola “La Peste”. il racconto parla di alcuni giovani che cercano di sfuggire alla peste. la colpa non è della peste o del teatro. A questi non possiamo non aggiungere Calvino “Il cavaliere inesistente”. scioglie conflitti. e “”Esattezze” da “Lezioni americane” (www. Boccaccio Boccaccio. ma non ci riescono perché ad una festa mascherata compare la maschera della morte rossa che ucciderà poi uno dei ragazzi.it) 5 . cioè non viene considerata una vera e propria malattia. 8. ma come un’entità psichica(non provocata da un virus).“ Re peste” 7. 6. 5. Albert Camus affronta il problema dell’impossibilità di trovare senso e giustificazione all’esistenza umana e al dolore che essa contiene. Poe In chiave simbolica anche ne La maschera della morte rossa” è trattato il tema dell’epidemia. nel quale è data un’interpretazione originale e positiva della peste. Poe si cimenta poi in un racconto più comico. racconta come la peste cancelli i freni morali e abbatta ogni ordine sociale e civile. sprigiona forze. ma della vita”. nel Decameron. libera possibilità. tra i contemporanei. e se queste possibilità e forze sono nere. Defoe Nella letteratura inglese esiste una famosa opera chiamata “ La peste a Londra”. l’autore parla dello spaventoso evento che ha sconvolto Milano e il ducato. Manzoni Ne “I Promessi Sposi”. scritta da Defoe. si ritenevano. sulla base della teoria umoralpatologica. che nella convinzione dei medici dell’antichità e del Medioevo rappresentava il vero processo della peste. medico umbro che essendosi impegnato troppo nella cura dei malati di peste. risucchiate dal mare e dalla terraferma nell’aria. così diceva la teoria. sulla causa ed evoluzione delle malattie. Il 20 marzo del 1345 esalazioni insalubri. Allo stesso modo l’aria al di sopra delle acque stagnanti e degli acquitrini era sospettata di favorire la diffusione dei miasmi. Secondo Gentile da Foligno operare una terapia efficace significava “irrobustimento de lo cuore e de li altri organi principali e ne lo stesso tempo lotta contro la putrescenza velenosa impedendone lo sviluppo ne li soggetti malati e lo insorgere ne li soggetti sani”.Teorie sulla peste nel tardo medioevo Il livello di conoscenza dei medici e degli eruditi del XIV secolo circa la causa. Facile a dirsi. flemma. Le teorie del XIV secolo sulla peste culminarono nel “Paradigma del soffio pestifero” di Gentile da Foligno. come Ippocrate. addirittura la fonte “classica” di pericolo. Per questa ragione i medici sentivano il polso dei pazienti col viso rivolto all’indietro. sta a indicare il pericolo di putrefazione degli organi interni. Questa era l’opinione dei medici. in particolar modo il respiro di coloro che già avevano contratto il morbo perché. Nei luoghi climaticamente sfavorevoli e anche nelle stanze dei malati si accendevano costantemente fuochi. vapori velenosi si raccolgono intorno al cuore e ai polmoni. La peste nera del 1348 . viene inspirato dall’uomo. In questo almeno. Se una prevalenza della bile nera (melaina cholé). i medici dell’epoca capirono subito le proporzioni del disastro. attraverso l’aria espirata. un’eccedenza di sangue. Un clima afoso e umido. cosicché non dovessero ammorbare l’aria respirata dai familiari e da coloro che prestavano loro le proprie cure. a ragione. Il viso e le mani venivano disinfettati con acqua e aceto. subirono un riscaldamento e furono poi nuovamente gettate sulla terra come “venti corrotti” ( aer corruptus). Unico dato certo era la contagiosità della peste. può anche contagiare familiari. ma non da ultimo sulla base dell’esperienza stessa. gli stessi malati venivano sistemati su di un soppalco. Siccome era noto che nelle stanze l’aria calda (e dunque anche l’aria che si sospettava fosse contaminata) sale verso l’alto. interlocutori e vicini. fredda e secca. potevano infettare stomaco e intestino. Nello stesso modo dell’aria. predispone alla melancolia (da qui l’origine della parola). fu vittima egli stesso del contagio e morì a Perugia nel giugno del 1348. Nella loro lotta contro la peste nera i dottori del tardo Medioevo si affidavano alle autorità del mondo antico. Se un tale soffio pestifero. I disturbi alla salute significavano dunque una cattiva mescolanza ( discrasìa) dei quattro umori. sangue. cosicché il fumo della legna che bruciava purificasse l’aria. gli effetti e la terapia della peste era quanto mai avvilente. essere estremamente infettive. Si pensava che questa putrefazione entrasse nell’organismo attraverso l’aria o il cibo. secondo Gentile. coi mezzi a disposizione del tempo. venivano considerati particolarmente pericolosi. vi si addensano diventando una “massa velenosa”.4. cui si attribuiva un’azione “pesticida”. La corruzione dell’aria veniva spiegata con le esalazioni (miasmi) la cui origine e composizione non era però certa. che infetta questi organi e. bile gialla e bile nera. Con interventi di flebotomia essi cercavano inoltre di ridurre la quantità del sangue presumibilmente nocivo e con prolungati clisteri di eliminare dall’organismo i gas prodotti dalla putrefazione o i resti marci del cibo. furono. Anche la teoria del soffio pestifero di Gentile riflette in ultima 6 . umore caldo-umido. così come i temuti venti del sud. un po’ più difficile a farsi. come ad esempio del pesce andato a male. Soltanto il vento freddo proveniente da nord e mai il vento afoso e umido meridionale doveva arrivare nelle stanze dei malati. Galeno e alcuni altri autori della tarda antichità che. Erano temute anche le esalazioni. alcuni cibi facili alla putrefazione. seguivano la corrente umoralpatologica. Il consiglio impartito negli studi sulla peste era chiaro: la fuga dalle zone colpite dalla peste era nell’antichità. la reazione assolutamente più sensata. favorissero le malattie. Va ulteriormente sottolineato: i medici del tardo Medioevo non conoscevano né la causa.C. Nel caso dei Regimi si trattava di disposizioni dietetiche rivolte sia ai medici sia ai profani. Lo sforzo fisico e i rapporti sessuali dovevano essere evitati per non forzare l’inspirazione di miasmi pericolosi. rappresentavano al tempo della peste nera ancora l’eccezione. Ma questi approcci di pensiero empirico. Effettivamente il 25 gennaio del 1348 si ebbe in Friuli un terribile terremoto. così come la famosa triaca.analisi soltanto tesi già sostenute nella medicina del mondo antico. Le finestre potevano essere aperte soltanto verso il nord e l’aria respirata. carne di serpente. Siegmund Albich (1347-1427). delle opere cioè attribuite in seguito a Ippocrate e databili in un arco di tempo che va dall’VIII secolo a. oppiati. estratti di vipera. Ma già nel 1348. Tommaso del Garbo. Nel XIV secolo non esisteva né la possibilità di identificare l’agente patogeno della peste. perché le carogne di animali fossero allontanate e i malati venissero isolati. la gioia e l’allegria si poteva ottenere “che lo spirito e il corpo lottassero con maggior vigore contro la malattia della peste” . come ancora nel XIV secolo. I comportamenti “edonistici” descritti dal Boccaccio nel Decamerone e da altri autori acquistano. come ad esempio nelle maschere di protezione contro la peste utilizzate dai medici. Il ritiro nella villa di campagna. per arginare l’epidemia. Molti cronisti videro in questo terremoto dirette connessioni con la peste che alcuni mesi più tardi investì queste regioni. Ancora nel 1580 il professore di medicina padovano Mercuriale sottolineava che attraverso la musica. l’immaginarla e il parlarne sono senza dubbio causa nell’uomo dell’insorgere della malattia stessa”. era stato riconosciuto già dagli autori del Corpus Hippocraticum. quel miscuglio di sostanze inerti. Sacerdoti e notai non dovevano mai avvicinarsi ai moribondi nell’aria soffocante della camera in cui si trovava il malato. l’ottimismo. opinione questa che in un certo senso si trovava in contrasto con la dottrina. per effetto del riposo. Una dieta studiata per far fronte alla peste sembrava assolutamente sensata per tener lontano dall’organismo sostanze in grado di indurre la putrefazione. né la conoscenza teorica per discostarsi dalla medicina classica del tempo. famoso medico bolognese. consigliava di tenere sempre aperte le finestre delle stanze dei malati perché l’aria fresca nuocerebbe alla peste. scherzare e festeggiare in compagnia” contribuiva a equilibrare i temperamenti. Tommaso del Garbo fu autore di un Consiglio contro la peste. era stato ampiamente confermato. Che in occasione di terremoti si liberasse dal ventre della terra aria pestilenziale. “Ridere. Sempre a Venezia si introdussero una specie di obbligo di denuncia (anche se una quarantena vera e propria è documentata solo nel 1374 a Reggio Emilia o nel 1377 a Ragusa). contrapposto all’autorità inattaccabile degli autori antichi e arabi. un nuovo genere letterario che nacque in Europa nel 1348 e presentava strette affinità con i Regimi contro la peste. Che le condizioni climatiche. un senso positivo. rafforzava le capacità di resistenza. come ad esempio l’aria afosa e umida. furono presi provvedimenti che suscitano la nostra ammirazione. Nel 1348 si osservò anche che i conciatori contraevano la malattia più raramente dei fornai e ciò era da attribuirsi effettivamente al potere disinfettante delle sostanze che venivano utilizzate nella concia. le carogne di animali e i cadaveri umani che in tempo di guerra non venivano subito sepolti possono corrompere l’aria. polvere di rospo che veniva celebrato come una panacea. tenute davanti al naso rappresentavano il rimedio profilattico più sicuro. sullo sfondo dei contemporanei trattati sulla peste. Le autorità veneziane stabilirono per esempio regole perché nel più breve tempo possibile si provvedesse a sepolture di massa. medico personale di re Venceslao di Boemia e professore all’Università di Praga. Sostanze dall’odore penetrante. Secondo Galeno anche le fontane e le acque stagnanti. dove ci si dedicava alla musica e al gioco. Per proteggersi dal 7 . le cui scosse furono avvertite e causarono distruzione persino in Germania e in Italia centrale. nel suo “Regime contro la peste” esorta “a non parlare e a non pensare alla peste perché anche solo la paura dell’epidemia. né il modo in cui la peste si diffondeva. doveva essere purificata con essenze. frutta dolce. allo stesso modo di Galeno. così come il salasso e l’isolamento 8 . sottolineava che le misure profilattiche dovevano essere adeguate sia alla stagione sia alla posizione geografica. la fuga tempestiva rappresentava ancora il miglior rimedio profilattico. Ogni cibo doveva essere imbevuto nel vino. Chi non aveva la possibilità di fuga doveva affumicare con regolarità la casa e la zona circostante ad essa e combattere i miasmi della propria abitazione con rose. Anche per il Dondi. esperto di astrologia. Ancora nel Settecento i medici usavano questo metodo. Se invece il soffio pestifero veniva dagli strati superiori dell’aria bisognava comportarsi nel modo opposto. che alla fin fine ottenne più successi come costruttore di orologi che come medico della peste (!!!). secondo la sua esperienza. Un anonimo padovano (gli scritti sulla peste comparvero dapprima quasi esclusivamente in Italia!). L’aggiunta di balsamo. in assoluto il più vecchio che ci sia pervenuto. L’abluzione del viso e delle mani con acqua di rose e aceto era considerata ovvia. Audace appare il consiglio di lasciar levare alte le fiamme nei locali dell’abitazione. non ci si doveva mai esporre al sole. Egli raccomanda il salasso persino sulla testa del malato in modo da ridurre il sangue infetto dell’organismo. mescolati a sostanze stimolanti come melissa e zucchero di “ottima qualità”. conservati in acqua fresca. Come sostanze odorose dovevano essere impiegate la canfora nel caso di pasti caldi e la salaginella nel caso di pasti freddi. cosicché il malato non fosse costretto a bisbigliare ma potesse al contrario parlare ad alta voce e non fosse dunque necessario per il confessore avvicinarsi a lui.contagio. inoltre. doveva invece essere evitata. olivo o mirto. facilmente deperibili. incenso o legno di sandalo alla fiamma ne rafforzava l’azione disinfettante. Tutti i cibi dovevano essere aromatizzati con sostanze dai profumi molto forti. Poiché il soffio pestifero (come in seguito ad un terremoto) veniva da fenditure della terra o da laghetti con acqua stagnante. Dondi raccomandava di esporsi al mattino presto al fumo di un fuoco beneodorante. il visitatore doveva lavarsi le mani e la bocca con aceto e vino. medico personale del vescovo di Milano. Durante il giorno. perché aumentava il volume d’aria (miasmatica) inalata. Per stimolare la circolazione dovevano essere praticati solo massaggi leggeri Il già citato Consilium di Gentile da Foligno. Le donne e ancor più “ogni rapporto disonorevole” andavano evitati e in genere tutto ciò che provocava il temuto “surriscaldamento” dell’organismo. nel suo Consilium databile intorno al 1360. possedeva un’azione disinfettante. la triaca. capra. vitello. né stabilirsi in località calde e neppure in quelle umide e bisognava tenersi lontano dai bagni. Erano considerati altresì efficaci cibi dolci. subito dopo aver visitato i pazienti. Vino e birra venivano espressamente consigliati. mentre il pesce pericoloso. La dose minima per chi seguiva una profilassi a base di triaca era rappresentata dall’assunzione giornaliera di una quantità di questa sostanza pari alla dimensione di una nocciola. Una volta lasciata la stanza di un malato. fagiano e pollo era ritenuta sicura. Foschie e nebbie dovevano essere evitate così come il vento del sud. non si doveva dormire. come ad esempio le pere. A partire da Gentile. ottenuto per esempio bruciando legna di quercia. Che dopo i terremoti si verificassero epidemie pestilenziali era anche dovuto alla rottura più totale della separazione tra uomini e ratti. La carne di montone castrato. I cibi acidi erano considerati l’alimento ottimale ( “Non vi è alcun dubbio che tutto ciò che è stato reso acido contrasta la putrefazione”). i luoghi situati al piano terra dovevano essere evitati. sembrava importante che i medicamenti venissero assunti nel momento giusto e che le necessarie misure fossero adottate per tempo: se la minaccia della peste arrivava in primavera era consigliabile fuggire per sottrarsi alla calura estiva ricca di miasmi. Il movimento fisico era sostanzialmente considerato dannoso. era indirizzato ai medici di Genova. oltre ai chiodi di garofano il cui profumo. All’autore. Appare pragmatico il seguente consiglio impartito ai sacerdoti che dovevano raccogliere la confessione dei moribondi: tutti dovevano uscire dalla stanza. si trovano suggerimenti dietetici e terapeutici. frassino. Nel Consiglio contro la peste di Giovanni Dondi. consigliava pane intinto nel vino e le famose panacee quali la triaca e il mitridato. viole e “tutto ciò che abbia un buon profumo” . pernice. anche se appare evidente come i confini di questa separazione fossero allora molto labili. dei malati rappresentarono le basi della terapia contro la peste. avevano suggerito l’opportunità di isolare coloro che erano affetti da malattie sconosciute.ilpalio. Più efficace era invece un’altra misura: già prima della peste nera numerose epidemie. meno pericolose rispetto alla peste. da molti messe in discussione. Del resto nella sua cronaca sulla peste di Firenze anche il Boccaccio confermava che l’epidemia rappresentò per quei medici che non si servivano di metodi comuni e per i ciarlatani un momento particolarmente favorevole. soltanto il consiglio di fuggire era sensato. Non sarebbe tuttavia corretto ignorare che la patologia umorale. ma le relative raccomandazioni (senza dubbio basate su esperienze dell’epidemia molto generali e vecchie di secoli) non avrebbero mai potuto fermare un’epidemia di peste scatenatasi in spazi circoscritti e men che meno avrebbero potuto arrestare la peste polmonare. I medici si preoccuparono disperatamente di fornire la prova delle loro conoscenze professionali. (www. Esaminando in modo critico le misure profilattiche e terapeutiche suggerite. I Consigli e i Regimi contro la peste rappresentarono i manuali della “prima ora” e dopo il 1348 furono diligentemente copiati in tutta Europa. Certamente le pulci (allo stesso modo di molti altri insetti) rifuggivano effettivamente da determinate sostanze odorose così come dal calore del fuoco. Che questa cautela fosse sensata anche nel caso della peste lo si notò già dopo pochi giorni. In un’epoca in cui non si conosceva ancora nulla di microscopi e di antibiotici il sapere non poteva spingersi oltre. Naturalmente si decantavano anche i metodi non comuni….org) 9 . pur in tutte le sue deficienze pratiche. rappresentava in sé un sistema di pensiero logico che sembrava spiegare facilmente cause e sintomi di molte malattie. Boccaccio: Paolo Diacono (720-799 d. che ha scatenato la loro collera. rimaneva carica di uva 10 . ci si rende conto. Gli uomini subiscono l’ira degli dei. individui privilegiati. il rapimento di Elena. nessun fischio di pastore. La scienza. se esistono. passata la stagione. finchè venne Asclepiade di Prusa. nessun pericolo di animale contro il gregge. però. si apre con la grandiosa immagine della peste che colpisce il campo greco. originariamente. storico longobardo che insegnò alla corte di Carlo Magno. cioè nella dieta…. testo base della letteratura occidentale. essa si occupava soltanto delle ferite. afferma Celso. che impedivano il libero moto degli atomi. nessun danno ai volatili domestici. quindi metaforico. re di Sparta. la peste in Boccaccio e in Manzoni INTRODUZIONE Da sempre le grandi epidemie hanno fatto riflettere l’uomo. come tutto ciò che inspiegabilmente colpisce l’uomo in quei secoli lontani. Il grano. intesa in senso moderno. moglie di Menelao. Col passare del tempo però. Le grandi epidemie furono di nuovo interpretate come punizioni divine e si cercò di arrestarle ricorrendo a processioni e cerimonie di espiazione. la vigna.). ma nello stesso paesaggio: Si poteva osservare come la natura era stata riportata all’antico silenzio: nessuna voce in campagna. che venivano curate ferro et medicamentis. L’ interconnessione tra l’umano e il divino è stretta e il mondo umano trova una sua giustificazione in quello ultraterreno e viceversa. che. senza foglie. dapprima da un punto di vista religioso. in quanto tutte le altre malattie erano considerate di derivazione divina. Gli dei. Le cose non cambiarono. anche se ignote. sottolineando. non solo tra gli uomini. Nel Proemio del suo trattato egli ripercorre la storia della medicina sottolineando il fatto che. giusti vendicatori di un’offesa subita da parte dei Troiani. non hanno un’indole vendicativa e molti mali hanno cause naturali. Per rendersene conto è sufficiente ripercorrere le pagine della letteratura. Gli dei. almeno tra gli intellettuali. a loro volta. nella sua Historia Longobardorum. sta muovendo i primi passi e ci lascia testimonianza di ciò Celso. e individuare il modo di placarla. aspettava intatto la falce del mietitore. La cura di queste ultime consisteva nel ricreare l’equilibrio iniziale. C. il senso di desolazione e di morte diffusosi. devono subire una tale punizione? Perché di punizione si tratta. La riconciliazione dipende dall’uomo. che forse le cose non stanno veramente così. subiscono le offese degli uomini. in grado di decifrare i segni. sono suscettibili e capricciosi e non è facile risalire al motivo. contemporaneo di Lucrezio ( morì a Roma nel 40 a.5. Il fanatismo religioso medievale determinò una battuta d’arresto nel campo della ricerca scientifica. l’ Iliade di Omero. e di indicare i rimedi da adottare per ritornare in armonia con loro: tale è Calcante per gli Achei. di cui ogni corpo era composto. poi scientifico. Dal benessere fisico generale dipendeva la possibilità di contrarre o meno malattie. autore vissuto nel primo secolo dopo Cristo. di cui ci è pervenuto il De medicina. Perché ciò avviene ? Perché gli Achei. circa). che deve “indovinare” la causa del risentimento divino. descrive la peste che colpì l’Italia negli ultimi anni dell’impero di Giustiniano (527-565 d. ad iniziare da quella greca.). con i quali gli dei comunicano. significativamente. C. C. Per questo esistono gli “indovini”. Il primo testo pervenutoci. Egli ( come Lucrezio ) era un atomista e riteneva che ogni malattia nascesse dalla presenza di ostacoli. però. ma la peste” morale”. una mezzana via. invece. tra questi due di sopra detti. assai e uomini e donne abbandonarono la loro città. sì. la vita come espiazione. Tra il 1348 e il 1749. le proprie case…quasi l’ira di Dio a punire le iniquità degli uomini con quella pestilenza non dove fossero procedesse. non si vedeva nessun assassino e tuttavia gli occhi erano stracolmi della visione di cadaveri. né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte e in processioni ordinate. risultano essere alcuni accenni. che sembrano voler sollecitare il lettore ad una lettura anche metaforica dei fatti: la peste materiale non conosce rimedi. portando nelle mani chi fiori. Alla descrizione quasi scientifica dei bubboni e delle macchie della peste fa seguito l’osservazione delle reazioni popolari e del venir meno di ogni forma di solidarietà e di civile convivenza. ” Giusta ira di Dio” dunque. assistiamo alla presenza di contagi più violenti e più distanziati nel tempo. affermavano il bere assai e il godere e l’andar cantando in torno e sollazzando e il sodisfare d’ ogni cosa l’appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male… Molti altri servavano. chi erbe odorifere e chi diverse maniere di spezierie. Secondo alcuni critici il passo dell’autore longobardo costituì. alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata. li quali avvisavano che il viver moderatamente e il guardarsi da ogni superfluità avesse molto a così fatto accidente resistere… Altri . in contraria opinion tratti. un modello per Boccaccio. quelle al naso ponendosi spesso. eco del fanatismo religioso di un Medioevo che sta per concludersi e che è stato ricostruito al meglio dalle immagini del film di Ingmar Bergman Il settimo sigillo: l’Apocalisse come testo guida. quelle d’innumerabile quantità de’ viventi avendo private. la peste ed ogni male come prova della presenza divina. Singolari. non insiste più di tanto e cerca di cogliere il più obiettivamente possibile il diverso comportamento umano: E erano alcuni . Lo schema letterario. non curando d’alcuna cosa se non di sé. il corpo come strumento di mortificazione. a dimostrare. con ciò fosse cosa che l’aere tutto paresse dal puzzo de’ morti corpi e delle infermità e delle medicine compreso e puzzolente… Alcuni erano di più crudel sentimento… dicendo niuna altra medicina essere contro alle pestilenze migliore né così buona come il fuggir loro davanti: e da questo argomento mossi. estimando essere ottima cosa il cerebro con cotali odori confortare. incominciata in Asia alcuni anni prima (1346). mediamente ogni due anni fino al 1528 e poi ogni quattro fino al 1550. inoltre. non stringendosi nelle vivande quanto i primi né nel bere e nell’altre dissoluzioni allargandosi quanto i secondi. L’Introduzione al Decameron si apre con un’indicazione particolare: Boccaccio parlerà della mortifera pestilenza. fu portata in Sicilia da navi provenienti dalla Siria e dilagò in Italia. in altre guise a Dio fatte dalle divote persone. Anche nella disperazione l’uomo deve ricordare di essere uomo. Nel corso del 1400 Napoli è colpita da nove attacchi epidemici con intervalli più ravvicinati nella seconda metà del secolo (1478-1481-1493-1495-1497) mentre Milano è colpita diciotto volte durante il secolo XVI. che ne consegue e che può avere nel tempo effetti ben più devastanti. ma solamente a coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor città si trovassero… . con ogni probabilità. ma a sofficienza secondo gli appetiti le cose usavano e senza rinchiudersi andavano a torno. raggiungendo Firenze nell’aprile del 1348: E in quella non valendo alcuno senno né umano provvedimento. culminanti nei due episodi del 1630 e del 1665. e in miracolosa maniera. la quale. Fra il 1349 e il 1537 il contagio si diffonde in Italia in aree diverse più o meno ogni due anni. Quest’ultimo ci offre un dettagliato resoconto della peste che. Boccaccio. per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali. abbiamo testimonianza di focolai di peste presenti in Europa in modo ricorrente ma non paragonabili per diffusione alle epidemie sopra citate. senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi. per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da oficiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazione della sanità. quasi nel principio della primavera dell’anno predetto orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti.nonostante l’avvicinarsi dell’inverno… Non restava alcuna traccia dei passanti. si ripete simile a se stesso ma con maggior ampiezza e ricchezza di particolari. periodo in cui la peste scomparirà definitivamente dall’Europa occidentale. cioè. si 11 . verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata… . mantenere la propria integrità e rettitudine. Dopo circa un secolo da quest’ultima data. Nel 1600. Di tali notizie e di altri documenti si servì A. spargevano questi veleni e infettavano la popolazione. Manzoni In letteratura troviamo abbondantemente documentata la peste del 1630 nelle pagine de I Promessi Sposi e della Storia della colonna infame di A. E’ possibile così ripercorrere anche cronologicamente gli avvenimenti. Si aggiunse poi il fatto che penetrò profondamente negli animi di molti l’opinione che ciò accadesse per opera di alcuni Principi. il De pestilentia. secondo l’opinione pubblica. E poiché codeste opinioni risultano abbastanza plausibili tra il volgo e sono accolte con animi creduli. alcuni dei quali. facilmente sono portato a crederlo. Manzoni per offrire al lettore un quadro completo e realistico della peste di Milano nei cap. di amministratori. i fanatismi sviluppatisi in quel momento terribile. delle reazioni del popolo e delle autorità civili ed ecclesiastiche. In esso. L’autore non tralascia di sottolineare i pubblici interventi: assunzione di addetti ai lazzaretti. e i corpi putrefatti di costoro emanavano tali fetori. Il trattatello prosegue con una rassegna di casi prodigiosi e con l’analisi della condizione di Milano nel periodo di maggior diffusione del contagio. che compariranno anche nelle opere manzoniane. sfidavano il male. Nel De pestilentia l’autore dedica un capitolo all’origine della peste secondo le capacità umane di previsione. per poter realizzare i loro progetti. non mettendo in dubbio che la peste sia anche un’arma dell’ira divina… in base a prove naturali e a quanto affermano pure i sacri Dottori . fonte segreta del Manzoni stesso. e morivano lietamente per non tormentarsi ancora pascolando nei prati e addentando le erbe . che gli abitanti delle case vicine erano costretti a uscire e a portarli via. dispone le bullette per chiuder 12 . Mancò quindi la determinazione nel contrastare la diffusione del male al suo primo insorgere. Non si vedevano persone in giro se non becchini e ladri che. le dicerie. inoltre. in seguito a sinistre notizie. XXXI e XXXII de I Promessi Sposi. in cui la popolazione della città fu ridotta di circa tre quarti. Carri carichi di cadaveri percorrevano le strade e camminando a caso … molti cadaveri cadevano. Tra il volgo si diffuse. ma di far conoscere insieme. di banditori. Conseguenza di ciò fu lo sfinimento non solo del corpo ma anche dell’animo per cui tale male non era tenuto in alcun conto da persone che desideravano per lo più la morte. di scavatori di fosse. di guardie e di sorveglianti dei carri. infatti sia i tossici sia le pozioni magiche sono in grado di annientare la vita e nota è la natura della peste . dalla disposizione delle cose e dalla condizione umana: in primo luogo la carestia sorta precedentemente a causa della sterilità della terra e aggravata da atti gravi a dirsi commessi dalla eccessiva libertà militare e dalle bande . per quanto si può in ristretto … un tratto di storia patria più famoso che conosciuto. Con esplicito riferimento alle fonti. cioè tra luglio e agosto. E aggiunge: Ma un altro fatto ancor più ammirevole e straordinario fu osservato. Borromeo conclude: Che tutto ciò sia potuto accadere. 20 ottobre 1629 30 ottobre 1629 relazione del protofisico Settala al tribunale di sanità il tribunale. confessarono tra le torture di essere stati stipendiati da un grande Principe per quel servizio e quel compito di ungere. che cioè in mezzo a una folla così vasta di morenti né in città né entro i lazzaretti un solo individuo decedette senza i sacramenti della Chiesa. Emergono così le figure degli untori. l’autore non manca di registrare anche le superstizioni. Manzoni e in un breve trattato del cardinale Federico Borromeo. In essi egli dice espressamente che il suo fine non è soltanto di rappresentar lo stato delle cose nel quale sono venuti a trovarsi i personaggi. per avidità di denaro. la diceria che gli untori mescolassero agli unguenti anche accordi pattuiti coi Demoni. i quali. E F. invece di combattere la peste gli animi furono distolti a indagare chi mai fosse stato il macchinatore e l’artefice di una frode così grave . indaga anche quelle cause della peste che derivano dalla natura. di addetti alle pompe funebri.registrerà un’ultima epidemia di peste nel 1749 a Messina e a Reggio Calabria. saccheggiando le case dei morti. e che gli stessi unguenti risultassero composti di veleni oltre al veleno vero e proprio della peste. Ci troviamo cioè di fronte ad una ricostruzione obbiettiva e completa del diffondersi dell’epidemia nel milanese. con un salto così subitaneo. con lettere patenti. senza sospettare o senza curare il pericolo d’un gran concorso. sulle suppellettili e sui vestiti che.il cardinale rifiuta 11 maggio 1630 … la processione uscì. davanti a loro. in tali circostanze 23 novembre 1629 fu stesa quella grida per le bullette. si videro le porte delle case e le muraglie. PAOLO DIACONO: HISTORIA LONGOBARDORUM. per lunghissimi tratti. esamina gli atti del processo. Se superava questo periodo. ebbero da questo commissione di presentarsi al governatore. 21 maggio 1630 grida contro gli ignoti che hanno scatenato il panico 22 maggio 1630 vengono inviati due decurioni al governatore per esporgli la situazione e qualche tempo dopo. II. a loro perenne infamia.fuori della Città le persone provenienti da’ paesi dove il contagio s’era manifestato 14 novembre 1629 i delegati. data la quantità di dati e di testimonianze in suo possesso. Non si vedeva altro che lutti e lacrime. dato ragguaglio. tenuto a Milano nel 1630. Appena si spargeva la notizia ( di un caso di peste ). sulle porte. La città già agitata ne fu sottosopra. in ogni parte della città. a un tal eccesso. Improvvisamente comparvero alcuni indizi sulle case. nel colmo della peste. presidente di quel luogo il padre Felice. con primaria e piena autorità 17 maggio 1630 esplode la prima furia popolare contro gli untori dopo che da alcuni era parso di vedere … persone in duomo andare ungendo un assito … 18 maggio 1630 In ogni parte della città. gli è parso che la storia potesse esser materia d’un nuovo lavoro: la Storia della colonna infame. in ogni classe. Mentre prima le ville e gli accampamenti erano 13 . lasciandovi solo i cani. la gente fuggiva per evitare la morte e abbandonava le case deserte. in cui ordinava pubbliche feste. dichiarò. la sua autorità a Ferrer maggio 1630 i decurioni decidono di chiedere al cardinale arcivescovo. e d’esporgli lo stato delle cose. intrise di non so che sudiceria. contro presunti untori. fu posta una colonna con i nomi dei “colpevoli”. per la nascita del principe. 4 In questo periodo in Liguria si sviluppò una terribile peste. dal duomo 12 giugno 1630 … le morti crebbero. primogenito del re Filippo IV. giallognola. le loro case abbattute e. che si facesse una processione solenne. o in altri posti molto delicati. e riportarono: … i pensieri della guerra esser più pressanti … 18 novembre 1629 emanò il governatore una grida. nella processione medesima 4 luglio 1630 … la mortalità giornaliera oltrepassava i cinquecento luglio – agosto 1630 periodo culminante dell’epidemia Manzoni conclude il suo excursus dicendo che. Le pecore erano abbandonate a se stesse. cui immediatamente seguivano altissime febbri con grande arsura al punto che il malato in tre giorni moriva. V’andarono. portando per la città il corpo di San Carlo . relativi alla vicenda degli untori. che non ci fu chi non ne vedesse la causa. si notavano in misura sempre maggiore. aveva molte possibilità di sopravvivenza. a voce e di nuovo in iscritto. ghiandole piccole come noci o datteri. sull’alba. sulle rovine di queste. senza pastori. sparsavi come con delle spugne … . E’ evidente in essa la condanna della malafede dei magistrati che si resero responsabili di fatti iniqui: gli imputati furono torturati. risoluta il 30 d’ottobre 29 novembre 1629 pubblicazione della grida per le bullette 22 ottobre o 22 novembre o 29 novembre 1629 un soldato porta il contagio in Milano primi mesi del 1630 la peste andò covando e serpendo lentamente 30 marzo 1630 i cappuccini assumono l’organizzazione del lazzaretto e il presidente della Sanità … convocati i serventi e gl’impiegati d’ogni grado. se fosse stato possibile nascondere. Verso la fine dell’anno cominciarono ad apparire nell’inguine delle persone. biancastra. o l’occasione. Quest’opera. pubblicata in appendice all’edizione definitiva dei Promessi Sposi nel 1842. il governatore trasferì. al tribunale. si sarebbe potuto vedere il giorno seguente tutti questi luoghi completamente abbandonati e deserti. E questi terribili eventi si verificarono a Roma e in Italia fino ai confini degli Alamanni e dei Bavari. ma 14 . Se qualcuno. le quali i volgari nominavan gavoccioli. voleva seppellire qualche parente. appena che io ardissi di crederlo. così erano queste a ciascuno a cui venieno.pieni di soldati. nessun fischio di pastore. e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti. e se moriva mentre faceva i funerali. anzi quasi tutti infra l’terzo giorno dalla apparizione de’ sopraddetti segni. altre come uno uovo. ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator trasportare. e da questo appresso s’incominciò la patisse. chi più tosto e chi meno. alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata. nessun danno ai volatili domestici. oltre al numero degli scienziati. la vigna. per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da oficiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion della sanità. oltre ad ogni altra italica nobilissima. Non restava alcuna traccia dei passanti. E più avanti ancora ebbe di male: chè non solamente il parlare e l’usare con gl’ infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte. ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femmine parimente o nell’inguinaia o sotto le ditella certe enfiature. era il numero divenuto grandissimo) non conoscesse da che si movesse e. DECAMERON: INTRODUZIONE ALLA I GIORNATA … qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide. Si poteva osservare come la natura era stata riportata all’antico silenzio: nessuna voce in campagna. per lo comunicare insieme. le quali o per le braccia o per le cosce. E dalle due parti predette del corpo infra brieve spazio di tempo cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire. e in miracolosa maniera. quantunque da fededegna persona udito l’avessi. morivano. delle quali alcune crescevano come una comunal mela. non solamente pochi ne guarivano. nessun pericolo di animale contro il gregge. debito argomento non vi prendesse. quando nella egregia città di Fiorenza. a dimostrare. restava egli stesso insepolto. d’altra parte i genitori abbandonavano i figli febbricitanti senza alcuna pietà. nessuno gli tributava il mesto rito. non altrimenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto vi sono avvicinate. né virtù di medicina alcuna pareva valesse o facesse profitto: anzi. pervenne la mortifera pestilenza. A cura delle quali infermità né consiglio di medico. la quale o per operazione de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali. aspettava intatto la falce del mietitore. Dico che di tanta efficacia fu la qualità della pestilenzia narrata nello appiccarsi da uno all’ altro. quasi nel principio della primavera dell’anno predetto orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti. La tromba dei belligeranti risuonava di notte e di giorno e si sentiva da molte persone come un mormorio di un esercito. I pascoli venivano adattati a cimiteri e le abitazioni erano diventate tane di animali. se dagli occhi di molti e da’ miei non fosse stato veduto. non che di scriverlo. E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagl’infermi di quella. o che la ignoranza de’ medicanti (de’ quali. rimaneva carica di uva nonostante l’avvicinarsi dell’inverno. s’avventava a’ sani. Maravigliosa cosa è a udire quello che io debbo dire: il che. a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. e i più senza alcuna febbre o altro accidente. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte. E non come in Oriente aveva fatto. Il grano. quelle d’innumerabile quantità di viventi avendo private. mosso da compassione. e alcune più e alcune meno. passata la stagione. non si vedeva nessun assassino e tuttavia gli occhi erano stracolmi della visione di cadaveri. senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai. né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte e in processioni ordinate e in altre guise a Dio fatte dalle divote persone. verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. o che la natura del malore nol Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera Incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto. senza foglie. così di femine come d’uomini. senza ristare. d’un luogo in uno altro continuandosi. per conseguente. dove a chiunque usciva sangue del naso era manifesto segno d’inevitabile morte. I figli fuggivano lasciando insepolti i cadaveri dei genitori. E in quella non valendo alcuno senno né umano provvedimento. che non solamente l’uomo all’uomo. e. li padri e le madri i figliuoli. e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano. come che per avventura più fosse sicuro. ma quello intra brevissimo spazio uccidesse. Altri. come il fuggire loro davanti: e da questo argomento mossi.questo. le sue cose messe in abbandono: di che le più delle case erano divenute comuni. e con tutto questo proponimento bestiale sempre gl’infermi fuggivano a lor potere. Ed erano alcuni. Di che gli occhi miei. sì come sé. pure che ad esse s’avvenisse. prima molto col grifo e poi co’ denti presigli e scossiglisi alle guance. e quegli. così divine come umane. quasi abbandonati per tutto langiueno. avendo essi stessi. E in tanta afflizione e miseria della nostra città era la reverenda autorità delle leggi. quando sani erano. da ogni altro separati viveano. come se veleno avesser preso. Molti altri servavano. o morto di tale infermità. E come che questi così variamente oppinati non morissero tutti. dicendo niun’ altra medicina essere contro alle pestilenze migliore né così buona. i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose. dopo alcuno avvolgimento. il giorno e la notte ora a quella taverna ora a quell’altra andando. e così l’usava lo straniere. con ciò fosse cosa che l’ aere tutto paresse dal puzzo de’ morti corpi e delle infermità e delle medicine compreso e puzzolente. non solamente della infermità il contaminasse. essemplo dato a coloro che sani rimanevano. con suoni e con quelli piaceri che aver potevano si dimoravano. essendo gli stracci d’un povero uomo da tale infermità morto gittati nella via pubblica e abbattendosi ad essi due porci. che maggior cosa è e quasi non credibile. non stringendosi nelle vivande quanto i primi. infermandone di ciascuna molti e in ogni luogo. o quasi avvisando niuna persona in quella dover rimanere e la sua ultima ora esser venuta. ma a sofficienza secondo gli appetiti le cose usavano. tra questi due di sopra detti. Alcuni erano di più crudel sentimento. in piccola ora appresso. in quelle case ricogliendosi e rinchiudendosi dove niuno infermo fosse e da viver meglio. non per ciò tutti campavano: anzi. Dalle quali cose e da assai altre a queste simiglianti o maggiori nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli che rimanevano vivi. e senza rinchiudersi andavano attorno portando nelle mani chi fiori. per ciò che ciascun. quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri ed esecutori di quelle. e così facendo. niuno altro sussidio rimase che o la carità degli amici ( e di questi fur pochi ). e quasi niuno vicino avesse dell’ altro cura. tocca da un altro animale fuori della spezie dell’uomo. ma solamente a coloro opprimere. era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne. e spesse volte la donna il suo marito. quasi l’ira di Dio a punire le iniquità degli uomini con quella pestilenza non dove fossero procedesse. né nel bere e nell’ altre dissoluzioni allargandosi quanto i secondi. così fatta esperienza. aveva. non curando d’alcuna cosa se non di sé. bevendo senza modo e senza misura. come l’avrebbe il proprio signore usate. sì come poco davanti è detto. che. chi erbe odorifere e chi diverse maniere di spezierie. e la sorella il fratello. si credeva ciascuno a se medesimo salute acquistare. in contraria oppinion tratti. quasi non più viver dovesse. delicatissimi cibi e ottimi vini temperatissimamente usando e ogni lussuria fuggendo. e cercarono l’altui o almeno il lor contado. e tutti quasi ad un fine tiravano assai crudele. o 15 . E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse. che infermavano. assai volte visibilmente fece. Per la qual cosa a coloro. una mezzana via. o volere di fuori. li quali. secondo il loro costume. affermavano il bere assai e il godere e l’andar cantando attorno e sollazzando e il soddisfare d’ogni cosa allo appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi essere medicina certissima a tanto male: e così come il dicevano. alcuna novella sentire. cioè che la cosa dell’uomo infermo stato. assai e uomini e donne abbandonarono la propria città. e molto più ciò per l’ altrui case facendo. li quali dentro alle mura della lor città si trovassero. che l’un fratello l’ altro abbandonava. estimando essere ottima cosa il cerebro con cotali odori confortare. li quali avvisavano che il vivere moderatamente e il guardarsi da ogni superfluità dovesse molto a così fatto accidente resistere: e fatta lor brigata. amenduni sopra gli mal tirati stracci morti caddero in terra. di morte e d’infermi. senza lasciarsi parlare ad alcuno. ciò era di schifare e di fuggire gl’infermi e le lor cose. il mettevano in opera a lor potere. E ciò potevan fare di leggiere. e maschi e femine. sì come gli altri uomini. erano tutti o morti o infermi o sì di famigli rimasi stremi. quasi loro non fossero. le proprie case. commossa intendesse. e il zio il nipote. solamente che cose vi sentissero che loro venissero a grado o in piacere. un dì. che è molto più. de’ quali era la moltitudine inestimabile. presero tra l’ altre volte. che uficio alcuno non potean fare: per la qual cosa era a ciascuno licito quanto a grado gli era d’adoperare. quelle al naso ponendosi spesso. di visitare e di servire schifavano. in quelle che ne guarirono. di dietro a quella. ed egli sopra gli omeri de’ suoi pari. in gran parte posposta la donnesca pietà. Le quali cose. Della minuta gente. prima col puzzo de’ lor corpi corrotti. e. sottentravano alla bara. era tanta nella città la moltitudine di quelli che di dì e di notte morieno. che le donne parenti e vicine nella casa del morto si ragunavano. e altre nuove in loro luogo ne sopravvennero. o giovane o altro. e per la forza della pestilenza. cagione. la quale questi servigi prezzolata faceva. n’avrebbe potuti vedere senza numero chi fosse attorno andato. per la salute di loro avevano ottimamente appresa. nel tempo che succedette. servieno. dietro a quattro o sei chierici con poco lume e tal fiata senza alcuno: li quali con l’aiuto de’ detti becchini. gli due o tre fratelli. li quali non gli orrevoli e cari cittadini sopra gli omeri portavano. n’ aveano sei o otto. da’ parenti e dagli amici. senza faticarsi in troppo lungo uficio o solenne. solo che la necessità della sua infermità il richiedesse: il che. e quivi con quelle che più gli appartenevano piangevano. Né erano per ciò questi da alcuna lagrima o lume o compagnia onorati. e i più di tali servigi non usati. la quale usanza le donne. né avvenne pure una volta. da’ portatori portate. Era usanza. E infinite volte avvenne che. tra per lo difetto degli opportuni servigi li quali gl’infermi aver non poteano. anzi in luogo di quelle s’ usavano per lo più risa e motti e festeggiar compagnevole. in qualunque sepoltura trovavano più tosto il mettevano. 16 . o il padre e il figliuolo. Per ciò che. e d’altra parte dinanzi alla casa del morto co’ suoi prossimi si ragunavano i suoi vicini e altri cittadini assai. e secondo la qualità del morto vi veniva il chericato. se stati fossero atati. o così fattamente ne contenieno.l’avarizia de’ serventi. non curava d’ avere a’ suoi servigi uomo. campati sarieno: di che. il più da speranza o da povertà ritenuti nelle lor case. e forse in gran parte della mezzana. ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la moglie e ‘l marito. e per se medesimi e con l’aiuto di alcuni portatori. a migliaia per giorno infermavano. nelle lor vicinanze standosi. i corpi de’ quali fosser più che da un diece o dodici de’ suoi vicini alla chiesa accompagnati. che ora si curerebbe di capre […]. e quegli davanti agli loro usci ponevano. andando due preti con una croce per alcuno. quando averne potevano. dove. né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente. quasi senza alcuna redenzione tutti morivano. E assai n’erano che nella strada pubblica o di dì o di notte finivano. infermando. con funeral pompa di cera e di canti. ma assai n’erano di quelli che di questa vita senza testimonio trapassavano. poi che a montar cominciò la ferocità della pistolenza. che chiamar si facevan becchini. quasi di necessità. Ed erano radi coloro. traevano delle lor case li corpi de’ già passati. alla chiesa da lui prima eletta anzi la morte n’era portato. si misero tre o quattro bare. e avere scarsità di serventi. spezialmente. sé molte volte col guadagno perdevano. sì come ancor oggi veggiamo usare. Per che. non solamente senza avere molte donne da torno morivan le genti. che non altramente si curava degli uomini che morivano. ma alla più vicina le più volte il portavano. anzi era la cosa pervenuta a tanto. facevano a’ vicini sentire sé esser morti: e di questi e degli altri che per tutto morivano. dove un morto credevano avere i preti a seppellire. e non essendo né serviti né atati d’alcuna cosa. da grossi salari e sconvenevoli tratti. che altramenti. li quali. e molti. non che a riguardarlo. tutto pieno. mossi non meno da tema che la corruzione de’ morti non gli offendesse che da carità la quale avessero a’ trapassati. quantunque per tutto ciò molti non fossero divenuti: e quelli cotanti erano uomini e femine di grosso ingegno. fu forse di minore onestà. ancora che nelle case finissero. che uno stupore era ad udir dire. o in tutto o in maggior parte quasi cessarono. E da questo essere abbandonati gl’infermi da’ vicini. la mattina. e quindi fatto venir bare ( e tali furono che per difetto di quelle sopra alcuna tavola ne ponieno ). e servendo in tal servigio. discorse un uso quasi davanti mai non udito: che niuna quantunque leggiadra o bella o gentil donna fosse. qual che egli si fosse. e tal fiata più. ma una maniera di beccamorti sopravvenuti di minuta gente. e pochissimi erano coloro a’ quali i pietosi pianti e l’amare lagrime de’ suoi congiunti fossero concedute. li quali quasi di niuna altra cosa servieno che di porgere alcune cose dagl’infermi addomandate e di riguardare quando morieno. E oltre a questo ne seguio la morte di molti che per avventura. e a lui senza alcuna vergogna ogni parte del suo corpo aprire non altrimenti che ad una femina avrebbe fatto. era il ragguardamento di molto maggior miseria pieno: per ciò che essi. Essi. Era il più da’ vicini una medesima maniera servata. non a quella chiesa che esso aveva anzi la morte disposto. e quella con frettolosi passi. cose assai contrarie a’ primi costumi de’ cittadini nacquero tra coloro li quali rimanean vivi. per gli campi. Infatti anche Omero nel riferire le cause della peste dispiegò la forza della sua intelligenza e della sua saggezza laddove. che raramente la peste contagiava un soldato. Inoltre. essi raramente abitano ammassati dentro una casa. le pecore. quante amplissime eredità. e i cani medesimi fedelissimi agli uomini. Ippocrate o Esculapio avrieno giudicati sanissimi. quasi come razionali. non senza meraviglia di molti. di signori e di donne. dico che così inimico tempo correndo per quella. Che la peste sia anche un’arma dell’ira divina non solo è noto in base a prove naturali. i porci. quante belle donne. nel quale. quante belle case. senza alcuna fatica di medico o aiuto di servidore. anzi l’accidente mortifero. Per la qual cosa essi così nelli loro costumi come i cittadini divenuti lascivi. la mattina desinarono co’ loro parenti. Che più si può dire. di dì e di notte indifferentemente. fuori delle proprie case cacciati. e subito 17 . tra le altre si potrebbe indicare questa: che i corpi dei soldati irrobustiti nelle fatiche e resi sempre più forti risentono meno delle durezze del Cielo. di niuna lor cosa o faccenda curavano. infino al menomo fante. lasciando stare il contado e alla città ritornando. ma lo affermano pure i sacri Dottori. che simili erano nella lor piccolezza alla città. che poi la sera vegnente appresso nell’ altro mondo cenarono con li loro passati! FEDERICO BORROMEO: DE PESTILENTIA L’ORIGINE DELLA PESTE SECONDO LE CAPACITA’ UMANE DI PREVISIONE Questo fenomeno morboso e questa gravissima strage possono aver avuto varie cause. anzi tutti. per addietro di famiglie pieni. ma pochi di loro nel frattempo perirono di questo morbo e quasi la peste non toccò le truppe germaniche causa prima del contagio. i polli. ma pur segate. non d’aiutare i futuri frutti delle bestie e delle terre e delle loro passate fatiche. ma Galieno. Inoltre il nostro esercito di stanza nelle regioni ai piedi dei monti riceve quotidianamente rifornimento e annona da questa città e provincia. senza alcuno correggimento di pastore. come meglio piaceva loro se n’andavano. si tornavano satolli. se oltre ai misteri del giudizio divino volessimo cercare alcune cause per cui in limiti naturali accade che la peste quasi risparmi i soldati. dove ancora le biade abbandonate erano. non come uomini ma quasi come bestie morieno. se non che tanta e tal fu la crudeltà del Cielo. non si saria estimato tanti avervene dentro avuti. cantò che Apollo aveva scagliate molte frecce. rimaser vòti! O quante memorabili schiatte. gli asini. Del resto. mescolando realtà e favole. quanti nobili abituri. per le vie e per li loro colti e per le case. non che raccolte. Per che addivenne i buoi. così mercante e barbiere morirono insieme. forse. quanti leggiadri giovani. compagni e amici. tra per la forza della pestifera infermità e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati ne’ lor bisogni per la paura ch’ aveano i sani. quante famose ricchezze si videro senza successor debito rimanere! Quanti valorosi uomini. che in fra ‘ marzo e il prossimo luglio vegnente. il che potrebbe costituire la prova che la peste è un’arma divina. ma di consumare quegli che si trovavano presenti si sforzavano con ogni ingegno. non per ciò meno d’alcuna cosa risparmiò il circustante contado. e forse in parte quella degli uomini. O quanti gran palagi. lo stesso che due giorni prima di spegnersi disse di non aver nessuna paura. Inoltre è stato notato. che esamineremo ordinatamente. oltre a cento milia creature umane si crede per certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati di vita tolti? che. alimentandosi per lo più tra i campi. E molti. senza essere. Eppure furono dei soldati a introdurre tale male. quasi quel giorno nel quale si vedevano esser venuti la morte aspettassero. Morì per tale contagio un mercante straricco. e io ho chiaramente sentito un comandante dell’esercito germanico il quale affermava che non trovavano contro la peste nessun rimedio più efficace che il trasferire in altre sedi quella parte dell’esercito che già era stata infettata. eccetto che da parte del proprio barbiere: licenzia perciò il barbiere e ne prende a servizio un altro e lo mantiene in casa tra tutti gli altri servi: costui era malato di peste. le capre. cambiano spesso i luoghi.E acciò che dietro a ogni particularità le nostre passate miserie per la città avvenute più ricercando non vada. che colpisce in profondità e occultamente quanto è destinato. poi che pasciuti erano bene il giorno. per le sparte ville e per gli campi i lavoratori miseri e poveri e le loro famiglie. la notte alle lor case. li quali non che altri. E tale era l’immagine del morbo. lasciando star le castella. eppure esso rimane immune. Poiché la peste aveva colpito corpi e animi così estenuati. i magistrati e persino la morte. i pii alberghi e i ricoveri erano pieni di poveri: e non se ne potevano accogliere né accettare di più. dopo essersi alzato a fatica da uno strame e da alcune coperte. ma anche il modo e il genere di morte. Ormai gli ospizi. gli sarebbero mancate le forze per rialzarsi. Gli stessi perirono poi quasi tutti di peste. anzi con generosa larghezza molti donavano sussidi. mentre sarebbe stato meglio che si ponesse ogni cura nel respingere e scacciare la peste. appoggiato perciò in qualche modo a un muro. per così dire. E questi furono casi visti in grandissimo numero. quella barbarie incrudeliva secondo il suo costume e non potrei dire facilmente di chi in particolare sia stata tale colpa. divenne tanto grande la folla che tutti non potevano essere nutriti e mantenuti in nessun modo. e giungevano talmente avviliti sia dalle offese dei soldati. e morivano lietamente per non tormentarsi ancora pascolando nei prati e addentando le erbe. in modo che chiunque possa da ciò dedurre quanti fatti simili e anche più atroci siano potuti accadere nelle campagne. agì con spirito di bontà e volle conoscere la causa del suo dolore. in quanto le forze erano state distrutte. i quali. penetrò profondamente negli animi l’opinione che ciò accadesse per opera di alcuni Principi. per poter realizzare i loro progetti. non riuscivano a mangiare e a digerire i bocconi che venivano dati loro come cibo. quando poi furono giunti in città. Aveva ben presente con quanta fatica si fosse prima levato e non voleva lasciare quello strame che costituiva la sua ricchezza e il suo letto. Comunque. piombò addosso improvvisamente una tale piena di acqua che sembrava che a stento qualcuno potesse mettersi in salvo. e una porzione di crusca per loro era simile a un cibo squisitissimo. e resi quasi esangui. dove evidentemente vi era maggiore licenza e meno possibilità di organizzare i soccorsi. Io mi limiterò a riferire quanto accadde a Milano. incapace di starsene in piedi. dissolta quasi ogni disciplina. Inoltre dalla eccessiva libertà militare e dalle bande furono commessi atti gravi a dirsi. tra la carestia e la peste intercorse lo spazio di un anno e appena terminata quella successe questa. il filo e la trama della malattia stessa. tale male non era tenuto in alcun conto da persone che desideravano per lo più la morte.dopo in altre ancora. E poiché queste opinioni risultano abbastanza plausibili tra il volgo e sono accolte con animi creduli. Dirà qualcuno: dunque non vi era a Milano alcun pensiero di mantenere gli indigenti? C’era senz’altro. Trovandosi una gran folla distribuita nei terreni del lazzaretto. ma poiché affluivano in città da ogni dove turbe di affamati. così come anche nel cambiamento di luoghi e tempi si rompe il corso delle congiure e ne vengono dissipati i piani. poiché. Urlava costui per il fatto che volendo andarsene e portare con sé le coperte. Infatti egli diceva che grazie a quel mutamento venivano spezzati e dissolti. 3 Poiché tanto si diffondeva e aumentava la peste. quasi che la consunzione sopravvenendo dopo la carestia trovasse i corpi degli uomini indeboliti. ed anche perché gli animi erano costernati e afflitti e pressoché ridotti alla disperazione. Più o meno. nella cui mano e nel cui potere sono non solo la vita e la morte degli uomini. quando andò delusa la speranza dell’anno e furono negate le messi. gli animi furono distolti a indagare chi mai fosse stato il 18 . eppure non risulta che uno solo fra tante migliaia sia perito in tale occasione. e da questa schiacciati e oppressi i poveri disprezzavano i poteri. Per il resto erano stati a tal punto indeboliti e consunti sia dalla violenza dei soldati che strappavano loro il pane di bocca sia. come ho detto. si può senza dubbio affermare che la carestia che precedette il morbo in gran parte fu causa della peste stessa. consumato dalla fame e dalla malattia. temeva che non appena si fosse chinato. o di vita. Molti di loro dicevano che era meglio morire una volta per tutte piuttosto che soffrire a lungo ed essere lentamente consumati. di per sé tale fatto fu di grave danno alla situazione generale. Questo egli raccontò in tali termini a un giovane che. che non riuscivano più a resistere. provando pietà per un caso del genere. Nell’anno 1629 sulla pubblica via fu visto un giovane di aspetto e portamento nobile. dalla disposizione delle cose e dalla condizione umana. […] La carestia era precedentemente sorta a causa della sterilità della terra. da tutte le altre disgrazie che. Infatti. sia dalla sterilità della terra. spargevano questi veleni e infettavano la popolazione. per quanto attiene a quelle cause della peste che derivano dalla natura. In città peraltro ci fu sì e no uno che si potesse dire fosse stato consumato dalla sola carestia. S’eran nutriti di cortecce d’alberi. poiché appunto così voleva Dio. compiuta una scelta di artigiani. I loro animi erano occupati dal sospetto che fosse stata organizzata una congiura per impadronirsi della città e trasferirne il potere. dall’altra lo stesso tempo che si sarebbe dovuto dedicare ai rimedi lo persero cercando in qualche modo di scoprire chi fossero mai gli untori di unguenti. Ma dacché sempre più intensamente aveva cominciato a serpeggiare e ad aumentare il male. ma anche quelli che avesse indicato anche un minimo sospetto di tale male. i Capi e i Rettori della città. Questi in seguito. dopo che il male aveva cominciato a serpeggiare e a diffondersi più ampiamente. si ebbe un vivace contrasto tra i Magistrati e vi erano molti i quali insistevano che questa non era peste. perirono tutti gli uomini più eminenti e più forti. Tre furono le colpe o gli errori di coloro che amministravano lo Stato in questa vicenda. se si fosse sparsa la voce che a Milano c’era la peste. conservati salvi e incolumi. Ma forse il Demonio si fece beffe avverso le apparenze e furono permesse alcune cose del genere di cui tratteremo in seguito. Riferisce Tucidide che a causa di quella feroce e terribile peste di Atene. In tal modo grazie a noi. per quanto il problema fosse già stato affrontato in discussioni e riunioni. Avrebbero dovuto far costruire ricoveri prima che giungesse la necessità stessa e l’occasione di servirsi dei ricoveri. Ciò che si sarebbe dovuto procurare fin dall’inizio o evitare. si originarono un grave sospetto e gravi terrori che esistessero degli uomini perduti che ungevano e avvelenavano tutti i luoghi e i corpi stessi. Sopra tale questione sono state fatte 19 . quale era stato press’a poco il loro numero. non vollero né procurarlo né evitarlo. affinché non scomparissero i prodotti commerciali come di fatto accadde. li mandammo fuori città. sarebbero tornati in città e sarebbe stato leggero il danno in tale campo se fossero morti i giovani garzoni e gli aiutanti di infimo conto delle officine. Del resto non si sarebbe dovuto agire altrimenti. LE ARTI DI SPARGERE LA PESTE E L’ORIGINE DI TALI ARTI Ma non appena il contagio aveva incominciato a infierire in città. ma non indico che cosa io ritengo debba essere affermato come vero e che cosa come falso. dei veneficii e della peste stessa sia partita da una delle seguenti tre cause. Infatti da una parte non adottarono rimedi per tempo contro il male.macchinatore e l’artefice di una frode così grave. Ma a me appunto sembra più probabile che non ci siano stati Principi complici di questa colpa e che non siano derivati dalle loro decisioni questi venefici degli unguenti. quando i giudici indagando e interrogando cercavano di sapere quale mai dei Principi fosse quello. Ma. Avrebbero dovuto inviare fuori città non solo quelli che la peste avesse già infettato completamente. che egli stesso descrive. cosa che io ho sempre ritenuta completamente priva di fondamento. […] Si era sparsa la voce che alcuni imputati tra le torture avessero confessato di essere stati stipendiati da un grande Principe per quel servizio e quel compito di ungere. Io ritengo che l’origine degli unguenti. E non sarebbe stato un impegno di così grande spesa mantenere trecento operai. ma qualche altro genere di male. non si poté cavarlo fuori. essendo ovviamente facile la sostituzione di tale gente e facile il ritorno agli antichi opifici. La peste di per sé appunto poté aver origine dall’incredulità del popolo e dalla preoccupazione di conservare gabelle e dazi che avrebbero inevitabilmente interrotto i pubblici emolumenti. e tale ritardo fece sì che la peste di un uomo solo ne contaminasse dieci e che dieci ne contaminassero cento. Tuttavia. purché non fossero tenuti occupati da cura d’anime o da impegni del genere. Entro certi limiti io cerco di sapere che esito abbia avuto tale inchiesta. diffondendo in tal modo la peste. tuttavia discussioni e riunioni furono prive di esito. avrebbero dovuto mandare i Maestri di ogni attività e tutti i migliori nel proprio ramo in luoghi salubri e mantenerli ivi a spese pubbliche finché ci fosse stata la peste in città. Noi nei primi tempi della peste avevamo esaminato quali in tutto il clero fossero i sacerdoti più validi e migliori e. E. furono salvati. e ad inganni di questo tipo sono particolarmente esposti gli ingegni di coloro che sono detti alchimisti e che cercano tesori e amano praticare attività del genere. e individua anche la causa di tale fatto. affinché non scomparisse la classe intera degli artigiani. eccetto ripeto i curatori d’anime che coraggiosamente consacrarono la loro vita alla difesa del gregge e morirono nell’adempimento del loro dovere. C’erano stati anche alcuni popolani increduli e ostinati a tal punto che chiamavano col nome di martiri coloro che venivano puniti ingiustamente. Questo fu un periodo di circa due mesi. ma venivano anche criticati assai severamente nei discorsi di persone più sagge. dove si visita il tempio della martire Anastasia e una croce lì posta in un bivio. perirono. un’altra affermò di essere stata assassina di quattromila. battenti di porte cittadine e angoli e là dove non potevano arrivare cercavano di far giungere il veleno per mezzo di una pertica o di un mantice. [¼] Benché questa sia la situazione. 7 LO STATO E L’ASPETTO DELLA CITTA’ AL TEMPO DELLA PESTE Ora comincerò a descrivere brevemente quali fossero lo stato e l’aspetto della città allorquando infuriava al suo culmine la peste. cosicché la voce popolare e la fama inventarono molti fatti sopra una faccenda di tal genere. cioè dall’inizio di luglio alla fine di agosto. gli abitanti delle case furono costretti a trasferirsi altrove non potendo sopportare tale fetore. così questi untori credettero a molte menzogne. Del resto sempre il falso si mescola al vero. E senza dubbio i mucchi di cadaveri e il disgustosissimo fetore nutrivano ed alimentavano il contagio. si studiarono di infettare di marcia coloro ai quali venivano porti i libelli. Ci furono alcuni che cospargevano di polvere avvelenata la terra o i corpi degli uomini. E poiché non erano state preparate le buche per accogliere i cadaveri e non bastavano i 20 . e in tal modo contaminavano la gente semplice e bisognosa. ma penetrava anche nelle parti più interne della città e poco mancò che fossero contaminate l’aria stessa e la porzione di Cielo diffusa sopra la città. Anzitutto circolava la diffusa convinzione che per portare la peste e la morte bastasse toccare appena con tale unguento l’abito a qualcuno. Avendo una signora ordinato di distribuire ai poveri delle porzioni di riso cotto. Addirittura in quel quartiere che si chiamava Porta Nuova. Altri. benché tanto le inchieste eseguite quanto i supplizi dei colpevoli. certo alcune di queste arti ingannevoli le ammettiamo. quasi cercando una scusa alla propria negligenza. oppure i frutti e tutte le altre merci che mettevano in vendita per le varie necessità della vita. Peraltro costoro non solo furono pochi. Una donnetta affermò che erano caduti di sua propria mano tremila uomini. tanto l’atrocità della peste stessa quanto la maggior parte degli altri fatti non permettano di dubitare che ci sia stato inganno umano e veneficio. Ciò appunto accadeva per una certa abitudine degli uomini a trasferire le proprie colpe su cause esterne e. ci furono alcuni che negavano integralmente frode e veneficio. benché fossero state scavate fosse enormi e buche profonde per accogliere cadaveri. sia di coloro che ungevano sia di coloro che erano unti con questo veleno. Dicevano peraltro che questi unguenti erano composti e confezionati in molti luoghi e che le vie dell’inganno erano state parecchie. da esse giungeva l’influsso nocivo della puzza non solo alle case vicine. Altri distribuivano dolci e biscotti unti e infettati di veleno. E fu scoperto chi ungeva con la medesima marcia le vasche dell’acqua benedetta. Parimenti unsero paglie e spighe affinché le contadine assoldate per mietere le messi durante il lavoro contraessero la peste. Ci furono alcuni che. e che fossero stati portati via da questo veleno molti che invece era stata la peste stessa a distruggere. usci di case. il servo incaricato del compito infettava di unguento il cibo e fu colto in tale delitto. come se potessero essi stessi restare immuni dal male e inattaccabili dalla peste e insieme potessero farsi assassini di chiunque volessero. dicevano non di essersi appestati per un contatto o rapporto imprudente.molte affermazioni e supposizioni e ci furono alcuni che ritenevano la faccenda essere completamente falsa e inventata. Unsero anche delle monete e le diedero ai poveri fingendo di fare carità. a seconda di come era risultato loro opportuno. Come a maghi e avvelenatori i demoni fanno molte promesse ma non le mantengono. Unsero pareti. ungendo i libelli di supplica. attraendo con la dolcezza di tale esca un bambino e qualche bambina. altre invece riteniamo siano state completamente inventate. che cioè è accertato come moltissimi. Infatti. Ciò è facilmente confutato proprio da questo fatto. dividendo piccoli bocconi unti. andavano in giro per le campagne. ma che era stato teso loro un inganno per mezzo di veleni. ed esso è meritatamente annoverato tra i nostri edifici degni di ammirazione. Entro quei recinti gregoriani morivano cinquecento ogni giorno e ciò per molto tempo. che la peste risparmiò per qualche tempo quelli migliori. turbavano gli animi e li riempivano di terrore. Io avevo raccomandato ai preti di usare una tonaca più corta o anche una sopravveste di lino di colore nero. sia per la marcia delle ulcere. ma venivano trasportati con le gambe e le braccia penzolanti. Talora furono visti trenta carri in fila ininterrotta pesantemente carichi di cadaveri quanto dei cavalli aggiogati insieme potevano tirare. avendo la necessità di recarci in ogni località. [¼] Dapprima campanelli e vesti di colore rosso servirono come segni distintivi per costoro. i corpi giacevano putrefatti lungo le vie. si erano abituati a trattare con tanta familiarità la morte e i cadaveri che si sedevano su di essi e. e quasi non era possibile muovere il passo o appoggiare i piedi senza che in ogni momento fossero toccate membra di morti. 21 . per il fatto che questo indumento era più sicuro in tale occasione e la lana raccoglie più facilmente e più tenacemente la peste. Persino le teste pendevano se per caso qualche corpo era di statura un po’ più grande del normale. Molti mentre procedevano verso il lazzaretto o altri ricoveri preparati fuori della città e vi andavano con le proprie gambe. e li gettavano sui carri. essendosi ormai putrefatta e dissolta l’articolazione. Tali recinti. Spesso accadde che. I carri talvolta erano gravati da tanto peso che i giumenti aggiogati non bastavano ed era necessario cercare altri animali e porli sotto. col quale. non vi era più alcun battente di finestre e usci: tutte quante erano abbandonate al saccheggio per becchini e ladri. E il vicinato della Chiesa cattedrale aveva approntato un carro di inusuale grandezza. Quei corpi inoltre. cosa che potrebbe sembrare quasi incredibile a dirsi. fatto andare e tornare piuttosto frequentemente. E intanto i becchini. cadevano avendo affrettato la morte e si aggiungevano ai cadaveri già sparsi a terra. e anzitutto si stava in guardia dalle pareti stesse a causa degli unguenti avvelenati che era possibile scorgere qua e là. poi infierendo sempre più la malattia li tralasciarono e non erano più individuati da alcun segnale. si sarebbe potuta svuotare qualunque altra città. così come sono portate tutte le altre merci. nei primi giorni erano stati certo un opportuno rifugio per accogliere la moltitudine e liberare le case. Portavano via i cadaveri dalle case dopo esserseli caricati sulle spalle come una bisaccia o un sacco. Serviva a mantenere la salute il fatto che. un braccio che un becchino per caso afferrava.carri per trasportarli. non mettevamo il piede a caso dappertutto. subito al ritorno cambiasse le scarpe e la veste. [¼] Gravissimo pericolo di contrarre la peste era nello stesso camminare. sia per la nudità delle membra. e a uno dei nostri familiari poiché si era avvicinato troppo a un muro cadde sulla testa molta polvere avvelenata. Ma ce ne furono anche alcuni che sopravvissero e si scoprì che tutti i peggiori e i più delinquenti furono subito estinti. I becchini prendendoli e ponendoli sui carri non potevano coprirli né velarli né comporli a causa del gran numero. sia per il fango e la melma dovuti alle continue piogge. [¼] Ai primi paurosi sospetti di peste avevano creduto i Magistrati e i maggiorenti della città che potesse bastare ad accogliere la moltitudine il lazzaretto che fecero costruire fuori delle mura della città anticamente i Duchi di Milano. dal momento che ci si presentavano davanti pagliericci sui quali si trovavano alcuni morti o le stesse bende per i bubboni e i carbonchi gettate giù dalle finestre. Già si vedevano aperte le case. si staccava dal busto. e allora abbracciato l’osceno peso essi lo affidavano al carro. ovvero mura del lazzaretto. Peraltro quando ormai tanta era la gente portata lì che erano disposti in dieci per ogni camera ed era necessario sistemare dei letti all’aperto in tutti i portici. Tale razza d’uomini scacciati a prezzo fuori dalle sue aspre montagne correva a la morte per avidità di guadagno. Ma in breve quegli stessi edifici si trovarono pieni zeppi e fu necessario far costruire altrove dei ricoveri. mentre qualche morto veniva tolto da un letto. Noi pure a causa del nostro compito. bevevano in continuità. come ciascuno usciva di casa. stando seduti. si credette che la soluzione stessa avesse alimentato più intensamente la peste. da persone di servizio. e per la destrezza nell’eluderli. di mali violenti. per ora e finché qualchedun altro non faccia meglio. ed è noto parimenti che non si fermò qui. c’era entrata davvero. […] il Tadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi ce la portò il primo. e ne’ primi mesi del susseguente 1630. ma sincera e continuata. cominciarono ad ammalarsi. quello che già c’era stato disseminato da costoro. d’ordine della Sanità. di quel disastro. e di più quello che c’entrava di nuovo. e di dar così. in cui era stato allo spedale. fu portato allo spedale. se ne mettesse conto. ora in quel quartiere. di disporli nell’ordine reale della loro successione. un Carlo Colonna sonator di liuto. Poco dopo. dopo poco tempo. ora in questo. nel borgo di porta orientale. dove un bubbone che gli si scoprì sotto un’ascella. nel resto non sono ben d’accordo. C’era soltanto alcuni a cui non riuscissero nuovi: que’ pochi che potessero ricordarsi della peste che. Il tribunale della sanità fece segregare e sequestrare in casa la di lui famiglia. […] Solamente abbiam tentato di distinguere e di verificare i fatti più generali e più importanti. noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali di quella calamità. dove fu chiamata. condotti al lazzeretto. fu il padrone della casa dove quello aveva alloggiato. la peste di San Carlo. e altre circostanze della persona e del caso. e per quanto si può da noi. […] L’uno e l’altro storico dicono che fu un soldato italiano al servizio di Spagna. entrò questo fante sventurato e portator di sventura. Sia come si sia. Allora tutti i pigionali di quella casa furono. aveva desolata pure una buona parte d’Italia. dal riscontro d’altre date che ci paiono. appena arrivato. per l’imperfezion degli editti. Il dubbio che in quel luogo s’era avuto. Due serventi che l’avevano avuto in cura. anzi in Milano quasi esclusivamente. neppur sul nome. in questo e in quel paese. per buone e per cattive ragioni.ALESSANDRO MANZONI I PROMESSI SPOSI Cap. che dovette essere ai primi di quel mese. una notizia succinta. alle ricerche e al fuoco prescritto dal tribunale. XXXI La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese. per la trascuranza nell’eseguirli. alcuni morirono. e le cautele usate in conseguenza. ed è tuttora. per dir la verità. soltanto di rappresentar lo stato delle cose nel quale verranno a trovarsi i nostri personaggi. Di quando in quando. da’ loro panni. e. a morire. furon bruciati. con un gran fagotto di vesti comprate o rubate a soldati alemanni. ma invase e spopolò buona parte d’Italia. come a un di presso accade sempre e per tutto. Per tutta adunque la striscia di territorio percorsa dall’esercito. come è noto. strani. […]Differiscono anche nel giorno della sua entrata in Milano … del resto. qualcheduno sulla strada. con segni sconosciuti alla più parte de’ viventi. s’intende. E in questo racconto. s’era trovato qualche cadavere nelle case. tutt’e tre di peste. Condotti dal filo della nostra storia. Ma il soldato ne aveva lasciato di fuori un seminìo che non tardò a germogliare. il quarto giorno morì. persone. per quanto lo comporti la ragione e la natura d’essi. prima della pubblicazione della grida sulle bullette. andò covando e serpendo lentamente. come abbiam detto. si ammalò. e in ispecie il milanese. vicino ai cappuccini. si potrebbe anche provare o quasi provare. per quanto si può in ristretto. da’ loro mobili trafugati da parenti. famiglie. i suoi vestiti e il letto. ma di far conoscere insieme. cinquantatrè anni avanti. più esatte. Il primo a cui s’attaccò. un tratto di storia patria più famoso che conosciuto. il nostro fine non è. risulta che fu . mise chi lo curava in sospetto di ciò ch’era infatti. ma certo il lettore ce ne dispensa. caddero anch’essi ammalati in pochi giorni. della natura del male. tutto il restante dell’anno. nel milanese. d’osservare la loro efficienza reciproca. e un buon frate che l’aveva assistito. fin da principio. fecero sì che il contagio non si propagasse di più. dove la più parte s’ammalarono. chè della città quasi esclusivamente trattano le memorie del tempo. andò a fermarsi in una casa di suoi parenti. da pigionali. di manifesto contagio. a qualcheduno s’attaccava. qualcheduno ne moriva: e la radezza stessa de’ 22 . Nella città. Molti medici ancora. poi in ogni quartiere della città. I medici opposti all’opinion del contagio. penetrantissimo. e. così è facile argomentare quanta dovesse essere contro di esso l’ira e la mormorazione del pubblico. non volendo ora confessare ciò che avevan deriso. il tribunale ordinava di bruciar robe. per qualificare ogni caso di peste che fossero chiamati a curare. persuasi. com’eran tutti. abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire: e. la processione fosse un’ occasion troppo comoda al delitto: se non ce n’era. Siccome però. di vedere. si corrompevano i becchini e i loro soprintendenti. sempre più amareggiati dalla presenza de’ mali. la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro. prima nel borgo di porta orientale. « della Nobiltà. Gli dispiaceva quella fiducia in un mezzo arbitrario. a farsi frequenti le malattie. anche in questo caso. quando gli animi son preoccupati. Poi. se pur c’era di questi untori. la fiducia si cambiasse in iscandolo. porte d’edifizi pubblici. per molte ragioni. S’era visto di nuovo. Il terrore della contumacia e del lazzeretto aguzzava tutti gl’ingegni: non si denunziavan gli ammalati. Temeva di più. il radunarsi tanta gente non poteva che spander sempre più il contagio: pericolo ben più reale . non vera peste. falsi attestati. che di riconoscerli da una causa. e avevan pronti nomi di malattie comuni. quando pur pervenivano alla Sanità. con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi. violente. che. non peste proprio. Poi. il sentire faceva l’effetto del vedere. delli Mercanti et della plebe. le morti. contro cui possa far le sue vendette. i decurioni ne avevano presa un’altra: di chiedere al cardinale arcivescovo. e tutti gli accidenti più oscuri e disordinati del 23 . o questa volta era parso di vedere. […] ma sul finire del mese di marzo. assolutamente no. di palpitazioni. senza alcun indizio antecedente di malattia. ma in un certo senso. vale a dire peste sì. istantaneo. peste senza dubbio. Finalmente. riusciva ancora a non lasciar credere ciò che più importava di credere. più generale e più furioso di prima. con danari. confermava sempre più il pubblico in quella stupida e micidiale fiducia che non ci fosse peste. Un veleno squisito. anzi trufferia di parole. irritati dall’insistenza del pericolo. Gli animi. facendo eco alla voce del popolo (era. XXXII […] Insieme con quella risoluzione. mandava famiglie al lazzeretto. a ogni scoperta che gli riuscisse fare. eran parole più che bastanti a spiegar la violenza. Gli avvisi di questi accidenti. le piace più d’attribuire i mali a una perversità umana. […] In principio dunque. unte muraglie. deridevan gli augùri sinistri. » dice il Tadino. Il buon prelato rifiutò. e che pur faceva gran danno. e temeva che.Ché il sospetto sopito dell’ unzioni s’era intanto ridestato. usci di case. se l’effetto non avesse corrisposto. che fossero vessazioni senza motivo. con qualunque segno fosse comparso. martelli. e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea. morti per lo più celeri. divenuta troppo comune e troppo palese per andarne senza. un uomo d’ingegno. metteva in sequestro case. febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. come accade più che mai. con accidenti strani di spasimi. gli avvertimenti minacciosi de’ pochi. non peste. che si facesse una processione solenne. figurando di riconoscere la verità. non di rado repentine. portando per la città il corpo di san Carlo. ci pervenivano tardi per lo più e incerti. cominciarono. di febbri pestilenti: miserabile transazione. per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. con qualunque sintomo. l’idea del venefizio e del malefizio. a questo stesso proposito. trovarono quello di febbri maligne. perché. di letargo. né ci fosse stata neppure un momento. Le nuove di tali scoperte volavan di bocca in bocca. con quelle insegne funeste di lividi e di bubboni. ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. come pure temeva. deputati da esso a visitare i cadaveri. che il male s’attaccava per mezzo del contatto. come osservò acutamente. e dovendo pur dare un nome generico alla nuova malattia. s’ebbero. […] cap.casi allontanava il sospetto della verità. e senza costrutto. di delirio. da subalterni del tribunale stesso. voce di Dio?). et bisognaua trattar bene li 24 . di complice. nell’incertezza di quanto potesse durare il bisogno. ne furon decretati due altri. ogni atto poteva dar gelosia. a mille dugento. Il nome. mesti et lacerati dalla Soldatesca senza regola. « per le diligenze fatte ». arrivò. e non potè ottener nulla. Vi s’aggiunsero poi le malìe. come trovo in un’altra lettera de’ conservatori della sanità al governatore. Bisognava ogni giorno sostituire. Si fecero a quest’effetto costruire in fretta capanne di legno e di paglia nello spazio interno del lazzeretto. si trovò la popolazion di Milano ridotta a poco più di sessantaquattro mila anime. Bisognava tener fornito il lazzeretto di medici. « compatire ancora alli Decurioni della Città. tremendo. atteso che aggiutto alcuno. E non bastando. di vitto. apparitori. che si ritirassero. I mezzi. per ostinato. sotto gli ordini immediati del tribunale della sanità. Secondo il Ripamonti. giacchè. al dir di quasi tutti. oltre quelli di cui non si potè tener conto. secondo il calcolo più comune. che sia parola tedesca. di rospi. per esempio. dopo la peste. dalle strade. era stato un tentativo sbagliato di venefici ancor novizi: ora l’arte era perfezionata. per le quali ogni effetto diveniva possibile. dal lazzeretto. Gaspare Bugatti ( in una descrizion della peste antecedente ). chi avesse negata l’esistenza di una trama. con più ragione. pur troppo riconosciute. quel veleno. solenne. ma. addosso ai quali era rimasto il peso di provvedere alle pubbliche necessità. li quali si trouauano afflitti. non si provvedeva in nessuna maniera. « Si doueua non di meno ». se ne piantò un nuovo. è probabile che gli accordi non fossero che di mese in mese. non solo. si scioglieva ogni difficoltà. Né sarebbe assurdo il crederlo una troncatura del vocabolo monathlic ( mensuale ). anche in parole. i cadaveri. Si diceva composto. Più innanzi. la certezza furore. di medicine. Altri dicon più o meno. et rispetto alcuno. bruciare. e le volontà più accanite nell’infernale proposito. rimasero in tronco. Ormai chi avesse sostenuto ancora ch’era stata una burla. passava per cieco. se ne doveva scoprire. cinto da un semplice assito. le persone. diminuivano di mano in mano che il bisogno cresceva.morbo. arrivò fino a sedici mila. E la gelosia diveniva facilmente certezza. era di sole dugento mila: de’ morti. e delle più pietose. e a più di tremila cinquecento. e nel colmo. come delle più urgenti. né provisione si poteua hauere dal Gouernatore. mille cinquecento. I commissari regolavano gli uni e gli altri. bisognava trovare e preparar nuovo alloggio per gli ammalati che sopraggiungevano ogni giorno. Il quale anche afferma che. Moriva. dice il Tadino. vuole il Ripamonti che venga dal greco monos. se non che si trouaua tempo di guerra. che qualcosa si facesse per loro. come molto meno nell’infelice Ducato. […] … in poco tempo . s’arrivò a quest’eccesso d’impotenza e di disperazione. E non solo l’esecuzione rimaneva sempre addietro de’ progetti e degli ordini. la mortalità giornaliera oltrepassava i cinquecento. col suono d’ un campanello. d’untore: il vocabolo fu ben presto comune. e sotterrarli. L’impiego speciale degli apparitori era di precedere i carri. si provvedeva scarsamente. e che prima passava le dugento cinquanta mila. di serpenti. dal latino monere. Con una tal persuasione che ci fossero untori. a molte necessità. ogni obiezione perdeva la forza. I primi erano addetti ai servizi più penosi e pericolosi della pestilenza: levar dalle case. commissari. di riparare a ciò che c’era di riparabile in un tal disastro. tutto di capanne. Il 4 di luglio. ma insieme dubita. condurli sui carri alle fosse. per esser quegli uomini arrolati la più parte nella Svizzera e ne’ Grigioni. purgare la roba infetta e sospetta. ai quali eran morte le madri di peste: la Sanità propose che s’istituisse un ricovero per questi e per le partorienti bisognose. avvertendo. di tutti gli attrezzi d’infermeria. per mancanza di mezzi d’ogni genere. di tutto ciò che selvagge e stravolte fantasie sapessero trovar di sozzo e d’atroce. ma ancor più a caso. il coraggio. d’abbandono una gran quantità di bambini. che a molte. non ci fu quasi più casa che non fosse toccata: in poco tempo la popolazione del lazzeretto … montò da duemila a dodici mila: più tardi. Si pensi ora in che angustie dovessero trovarsi i decurioni. di peggio. di chirurghi. ogni giorno aumentare serventi pubblici di varie specie: monatti. di bava e di materia d’ appestati. se vogliam credere al Tadino. dice che ne risultava cento quaranta mila da’ registri civici. se ne capiva il perché. portare o guidare al lazzeretto gl’infermi. Se gli effetti non s’eran veduti subito dopo quella prima unzione. e capace di contener quattromila persone. se pur non cadeva in sospetto d’uomo interessato a stornar dal vero l’attenzion del pubblico. e governarli. ci si mise anche mano. quasi infallibilmente: tutti gli occhi stavano all’erta. i passeggieri. Altre volte. e fece effetto. il lazzeretto rimase senza medici. fino a un certo tempo. minacciando di strascinarli al lazzeretto.Soldati » Tanto importava il prender Casale! Tanto par bella la lode del vincere. Si disse ( e tra la leggerezza degli uni e la malvagità degli altri. sgombra la città di cadaveri. come abbiam detto. i magistrati. ai quali fece scavar tre grandissime fosse. ma. come. languenti e moribondi qualche volta loro medesimi. da nemici nelle case. in capo a otto. senza parlar de’ rubamenti. […] Così. spinti dalla pietà. la sua promessa si trovò adempita. quelle mani infette e scellerate. per disperato. di quelli che andavan via. e. e con persone del tribunale. ogni giorno. e. e d’ordinario ben più generale. Una volta. è ugualmente malsicuro il credere e il non credere ). dopo avere invano cercato braccia per il tristo lavoro. mettevano a prezzo i loro servizi. nella strage e nella fuga di molti a cui toccava di soprintendere e di provvedere. non solo al bisogno presente. che ogni naturale ribrezzo. i temporali. ch’era stata scavata vicino al lazzeretto. nel rilasciamento d’ogni forza pubblica. il numero di quelli che morivano. andò fuor della città. e. assegnati posti. Né si vede come sarebbe andata a finire. se ne potè avere. crescendo. parte con quella dell’abito e delle sue parole. sani sempre di corpo. insepolti i nuovi cadaveri. che i 25 . parte con l’autorità del tribunale. si disse. una sublimazione di virtù. I birboni che la peste risparmiava e non atterriva. e più d’una volta. Ai lazzeretti. a segno di temere che s’avesse a morire anche di fame. Fu spesso lì lì per mancare affatto di viveri. ce ne furono alcuni. non solo in quello. e il padre Michele s’ impegnò a dargli. sopra questi e quelli eran delegati in ogni quartiere. dati per superiori de’ commissari. dategli dal presidente. indipendentemente dalla cagione. Più di sessanta parrochi. in capo a quattro giorni. Un tal ordine di cose camminò. sui sani. ricusando di portar via i cadaveri già putrefatti. si fecero. ma. fu negli ecclesiastici. E questo pure fu segnalato. Che anzi l’uso della forza pubblica stessa venne a trovarsi in gran parte nelle mani de’ peggiori tra loro. con offerte di grosse paghe e d’onori. se non si riscattavano. aperte fosse sufficienti. mentre non si sapeva più dove batter la testa per trovare il bisognevole. ma a quello che si potesse preveder di peggio nell’avvenire. ce n’era. e l’afferma anche il Tadino. si vede sempre un aumento. sempre si videro mescolati. figliuoli. mogli. spedì poi al lazzeretto monatti a raccogliere i morti. ma unica fossa. moriron di contagio: gli otto noni all’incirca. ci furono degli animi sempre desti alla carità. trovarono nella confusion comune. a fatica e non subito. Dove spiccò una più generale e più pronta e costante fedeltà ai doveri difficili della circostanza. di perversità. ce ne furono degli altri in cui la carità nacque al cessare di ogni allegrezza terrena. All’impiego di monatti e d’apparitori non s’adattavano generalmente che uomini sui quali l’attrattiva delle rapine e della licenza potesse più che il terror del contagio. all’indifferenza per gli altri. mariti. a meno di tanti scudi. le mettevano. venner coloro a non aver quasi più nessuno che li tenesse a freno. Erano a costoro prescritte strettissime regole. parenti. il giorno prefisso. in mezzo allo stordimento generale. arbitri d’ogni cosa. e saldi di coraggio al loro posto: ci furono pure altri che. della città solamente. non manca mai insieme un aumento. con l’autorità di provveder sommariamente a ogni occorrenza di buon governo. nella città. assunsero e sostennero virtuosamente le cure a cui non eran chiamati per impiego. non mancò mai la loro assistenza: dove si pativa. per inaspettato dono di misericordia privata: chè. ma molto men del bisogno. Il presidente della Sanità ricorse. i monatti principalmente. se non veniva un soccorso straordinario. ne raccolse circa dugento. prestavano ogni servizio che richiedessero le circostanze. una nuova occasione di attività. magistrati e nobili. a que’ due bravi frati che soprintendevano al lazzeretto. co’ moribondi. tanto che. che ogni giorno eran di più. di quelli che perdevan la testa. vennero a tempo abbondanti sussidi. ma in ogni parte della città. confusi co’ languenti. s’eran ridotti a dire di non saper più che partito prendere. Entravano da padroni. e una nuova sicurezza d’impunità a un tempo. ai soccorsi spirituali aggiungevano. in cerca di contadini. ne’ pubblici infortuni e nelle lunghe perturbazioni di quel qual si sia ordine consueto. e come trattavano gl’infelici ridotti dalla peste a passar per tali mani. pur troppo. nata dal continuo temer per sé. con le lacrime agli occhi. dallo scopo per cui si combatta! Così pure. trovandosi colma di cadaveri un’ampia. Con un frate compagno. per quanto potessero. e rimanendo. o non venivano riscattati con denari. intimate severissime pene. lui che in quel Carlo Colonna. finisce a esprimersi in tutte le maniere. e dà occasion d’ osservare quanto una serie ordinata e ragionevole d’idee possa esser scompigliata da un’altra serie d’idee. degl’imputati. per dir così. si credette che ci fosse una non so quale voluttà diabolica in quell’ungere. alteravan tutte le ragioni della fiducia reciproca. si sognò. o abitate soltanto da qualche languente. anzi una volta enunciato espressamente. anzi quasi tutti. entravan ladri. per distintivo e per avviso del loro avvicinarsi. che ci si getti a traverso. e tre gattoni sopra. « che di questi unguenti se ne componesse in vari luoghi. è il vedere i medici. e questo sentimento c’è accennato spesso. l’ignoranza. E più delle parole. e pensato a mettervi riparo. che non mettendovi riparo. da qualche moribondo. tenuta d’occhio. per dir così. dico i medici che fin da principio avevan creduta la peste. In alcune. un’attrattiva che dominasse la volontà. ed è difficile che tutti o moltissimi credano a lungo che una cosa strana si faccia.monatti e apparitori lasciassero cadere apposta dai carri robe infette. un regno. il desiderio di scusarsi d’aver così tardi riconosciuto il contagio. andando avanti.» 26 . a tentar tutte le uscite. una notte. Due illustri e benemeriti scrittori hanno affermato che il cardinal Federigo dubitasse del fatto dell’unzioni. che qualche cosa ci fosse di vero. la stranezza della trama turbavan tutti i giudizi. Così nel lungo e tristo periodo de’ processi per stregoneria. credibile d’ognuno. il secondo che morì di peste in Milano. senza che venga alcuno il quale creda di farla. vederlo poi. se avesse voluto unger le case del contorno. altre inventate. e che molte fossero l’arti di metterlo in opera: delle quali alcune ci paion vere. ma siccome eran molti. fingendosi monatti. da questi effetti medesimi cavare argomento certo dell’unzioni venefiche e malefiche. « che sino al far del giorno vi dimororno». aveva notato il delirio come un accidente della malattia. […] Ma ciò che reca maggior maraviglia. era rimasto un lupo sotto il letto. non sempre estorte. dice a un di presso. ne sarebbe infettato tutto il paese. quelli se n’erano andati. aperte e vote d’abitanti. S’è visto. e atta a dar miglior ragione della persuasion generale e dell’ affermazioni di molti scrittori. il quale l’aveva pronosticata. e s’attaccava col contatto. il quale aveva detto e predicato che l’ era peste. a scorrer per tutti i gradi della persuasione. a man salva. almeno da quel che ne dice il Ripamonti. […] La vastità immaginata. I vaneggiamenti degl’infermi che accusavan sé stessi di ciò che avevan temuto dagli altri. com’era prescritto a quelli. Se fosse stato uno solo che connettesse così. così è storia dello spirito umano. Nella biblioteca ambrosiana si conserva un’operetta scritta di sua mano intorno a quella peste. a esibirgli la guarigione e danari. e rendevano ogni cosa. dovevan far colpo le dimostrazioni. Noi vorremmo poter dare a quell’inclita e amabile memoria una lode ancor più intera. ma siamo in vece costretti di notar di nuovo in lui un esempio della forza d’un’opinione comune anche sulle menti più nobili. gli eran venute persone in camera. e in una buona parte del mondo. dico in ispecie il Tadino. come da principio. che molto ci fosse d’esagerato. quel Tadino era qui uno degli uomini più riputati del suo tempo. come in tant’altre cose. Del resto. come. quando un’opinione regna per lungo tempo. si dovrebbe dire che aveva una testa curiosa. e rappresentare il buon prelato. la paura. Altri sciagurati. a saccheggiare: altre venivan sorprese. Da principio. al suo rifiuto. vederlo poi addurre in prova dell’unzioni e della congiura diabolica. e in loro vece. e come. « Era opinion comune ». se accadeva che appestati in delirio andasser facendo di quegli atti che s’eran figurati che dovessero fare gli untori: cosa insieme molto probabile. invase da birri che facevan lo stesso. nel suo progresso. parevano rivelazioni. divenuta per essi un’entrata. in questo. un fatto di questa sorte: che due testimoni deponevano d’aver sentito raccontare da un loro amico infermo. s’introducevan nelle case a farne di tutte le sorte. superiore alla più parte de’ suoi contemporanei. le confessioni. per propagare e mantenere la pestilenza. una festa. ma insieme. non serviron poco a promovere e a mantener l’opinione che regnava intorno ad essa: chè. o piuttosto non ci sarebbe ragion di parlarne. veramente stesse in dubbio: ritenne poi sempre che in quell’opinione avesse gran parte la credulità. e anche cose peggiori. portando un campanello attaccato a un piede. si credeva soltanto che quei supposti untori fosser mossi dall’ambizione e dalla cupidigia. vista entrare. per lo più atrocissimi. così è fors’anche il più osservabile. pure. del 1536. dove molti infelici. del 1526.[…] I processi che ne vennero in conseguenza. in Ginevra. o con unguenti. almeno. poi ancora del 1574. e di nuovo. Chè. o con malìe. poi del 1545. c’è più campo di farci sopra osservazione. del 1530. in Torino. del 1599. non erano certamente i primi d’un tal genere: e non si può neppur considerarli come una rarità nella storia della giurisprudenza. o. come rei d’aver propagata la peste. E quantunque uno scrittore lodato poco sopra se ne sia occupato. in Padova. in quel medesim’ anno 1630. […] 27 . essendosi lui proposto. o certo di più immediata importanza. e accennar solo qualcosa de’ tempi più vicini a quello di cui trattiamo. dove qualcheduno. per tacere dell’antichità. o con tutto ciò insieme. per esserne rimasti documenti più circostanziati e più autentici. c’è parso che la storia potesse esser materia d’un nuovo lavoro. per un assunto di maggiore. Ma l’affare delle così dette unzioni di Milano. in Casal Monferrato. come fu il più celebre. non tanto di farne propriamente la storia. furono processati e condannati a supplizi. quanto di cavarne sussidio di ragioni. in Palermo. del 1555. con polveri.
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