SAVERIO MARCHIGNOLIL’India filosofica. Un percorso tra temi e problemi del pensiero indiano I. Dalle origini alla fine del sec. VIII Eurocopy
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La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i film, i microfilm, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi. Indice Premessa Nota sulla trascrizione delle lingue indiane Introduzione generale 1. Scopi e limiti di questa trattazione 2. Partizione – Sguardo d’insieme Parte prima 1. Prologo 2. Chi erano i filosofi. Tradizione bråhma±ica e movimenti çrama±ici. Teorie del karman e della rinascita 3. Il Buddhismo e il Jainismo primitivi 4. La Bhagavadgîtå e lo yoga dell’azione 5. Teoria della disputa e medicina Parte seconda 1. Epistemologia e logica I: il Nyåya 2. Sviluppi nel Buddhismo. Någårjuna 3. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå 4. L'ontologia del (Nyåya-)Vaiçeßika 5. Epistemologia e logica II: Dignåga 6. Filosofia del linguaggio: Bhart®hari. Filosofia della parola rituale: la Mîmåµså 7. Il Kevalådvaita Vedånta di Çaºkara Esempi di testi filosofici indiani 1. Någårjuna: la dottrina delle due verità 2. Någårjuna: critica dei mezzi di conoscenza p. p. 5 7 p. 11 p. 15 p. 23 p. p. p. p. p. p. p. p. p. 28 32 41 46 53 58 63 70 75 p. 79 p. 86 p. 93 p. 95 p. p. 133 Riferimenti bibliografici p. 119 p. Piero Martinetti sul Såµkhya 3. Çaºkara e la «sovrapposizione» 6. 99 p. Simone Weil sul Såµkhya e sulla Bhagavadgîtå 4.3. razionalismo e “fondazione” ultima p. Jitendra Nath Mohanty sulla natura del pensiero filosofico indiano: empirismo. Karl Jaspers su Någarjuna 5. 127 p. I Vaiçeßikasûtra sulla cognizione dell’irrealtà 4. Çåntideva sul Nyåya Filosofi moderni sul pensiero indiano 1. p. 123 p. La relazione tra purußa e prak®ti nel Såµkhya 5. Hegel sulla coscienza yogica 2. 101 104 110 114 p. 130 p. 141 . Çåntarakßita sulla non esistenza di Dio 7. tra l’intero e le sue parti. di estetica. Con questo lavoro intendo proporre un breve percorso tra i temi e i problemi di natura inequivocabilmente filosofica che le varie correnti del pensiero indiano hanno trattato in modo acuto e originale. di ontologia e di teologia. . i filosofi indiani hanno affrontato con rigore e spregiudicatezza problemi importanti e delicati di filosofia del linguaggio. è ancora vero.. La piccola antologia di testi filosofici indiani in fondo al volume è intesa tra l’altro a fornire un’esemplificazione di questi dibattiti. che le filosofie indiane non hanno ancora occupato una posizione stabile nelle trattazioni della storia del pensiero filosofico. tra il soggetto conoscente e l’oggetto.Premessa Nonostante molti segnali sembrino andare in direzione opposta. tra il significante e il significato. Oltre ad interrogarsi sulla natura dell’azione e sulle sue eventuali conseguenze non percepibili. sono stati al centro di dibattiti appassionanti che hanno attraversato le epoche più diverse della storia indiana. ecc. di logica e di epistemologia. secondo uno stile di discussione tra “scuole” che costituisce di per sé un motivo di estremo interesse. I rapporti tra la causa e l’effetto. Ciò si deve al perdurare dei pregiudizi sulla natura del pensiero indiano che si sono formati nel corso del XIX secolo in base a una contrapposizione essenzialistica tra Occidente e Oriente (e tra Europa e India in particolare). soprattutto in Italia. Ho inteso così costruire un primo nucleo di un’antologia sulla ricezione filosofica del pensiero indiano: esso costituisce. che si misurano. sui periodi seguenti fino all’età contemporanea. . strutturati in modo analogo. voglio sperare. M.Allo scopo di testimoniare le possibilità che potrebbe offrire un confronto con il pensiero indiano ho poi raccolto alcuni testi di filosofi moderni. con alcuni dei temi filosofici trattati nel percorso da me proposto. si ferma al secolo VIII d. Sono in preparazione altri volumi. S. un elemento di originalità della presente trattazione.C. Bologna. che spero di poter arricchire di altri materiali in una successiva edizione. con prospettive molto diverse. europei o di formazione europea. marzo 2005. Questo primo volume. d. Nei composti si conserva l’accento delle singole parole. le consonanti dentali (t. Per l’accentazione si segue convenzionalmente la regola seguente (valida per il sanscrito classico): l’accento cade sulla penultima sillaba se questa è lunga (saµs˚åra). g. c è sempre palatale: cakra ("ruota") si legge dunque "ciakra". j è palatale. Occorre distinguere: le vocali brevi (a. ¿ è l’aspirata sorda. ± e º (nasali. ¥. c. gh. ∂. anche e e o sono sempre lunghe). le consonanti non aspirate (k. ® è un suono vocalico oscillante tra r e ri: K®ß±a si legge approssimativamente "Kriß±a" (in grafia anglicizzante. ñ corrisponde alla nasale palatale indicata in grafia italiana da "gn" (ñ spagnola). che si pronunciano aggiungendo una forte aspirazione sonora. Esso consente di avvicinarsi abbastanza facilmente alla pronuncia corretta dei termini indiani. h è un’aspirata sonora. µ indica una nasale generica. j. altrimenti retrocede fino alla prima sillaba lunga (br˚åhma±a). "Krishna"). û. . oltre alle sillabe che contengono una vocale lunga o un dittongo. rispettivamente retroflessa e gutturale) si possono pronunciare approssimativamente come la nostra n (poiché si assimilano naturalmente al contesto fonico). ∂h. p. ç è una sibilante palatale sorda vicina al suono indicato in grafia italiana da "sc" (seguito da i o da e): Çaºkara si legge approssimativamente "sciankara". ∂h). a patto di tenere presenti le seguenti avvertenze: g è sempre velare (come in “gola". come la j inglese. ma ottenuta retroflettendo la punta della lingua contro il palato. non "cakra" (in grafia italiana). i. non come in "giro"): gîtå («canto») si legge dunque "ghita". bh). ph. jh. th. Sono lunghe. ch. che si pronunciano retroflettendo la punta della lingua contro il palato. dh) dalle corrispondenti retroflesse (¥.Nota sulla traslitterazione delle lingue indiane Si è adottato il sistema di traslitterazione del sanscrito e del påli usato comunemente dagli indologi. ¥h. ¥h. î. di pronuncia simele alla ç. quelle che contengono una vocale lunga per posizione (seguita da due o più consonanti). non "gita" (in grafia italiana). ∂. u) dalle lunghe (å. ß è una retroflessa. b) dalle corrispondenti aspirate (kh. . Introduzione generale . . includere il pensiero indiano tra gli oggetti degni dell'attenzione storico-filosofica?. 1.1. ad alcun tentativo di risposta. nelle pagine che seguono. Un’esposizione sintetica dei principali temi filosofici affrontati dai pensatori dell'area indiana non può che cominciare con alcune avvertenze e precisazioni. sarebbe opportuno affrontare preliminarmente la discussione di problemi molto generali. tranne rare eccezioni. quasi fossero un . anzi necessario. al contrario. Va subito detto che la formulazione di questi interrogativi non prelude. perché oggi è invece divenuto possibile. di trattare il pensiero indiano?. Scopi e limiti di questa trattazione. quello di sottolineare uno dei limiti più evidenti della presente trattazione: la rinuncia inevitabile a discutere in modo esplicito tali importanti e legittime questioni. ad esempio. Suo unico scopo è. Per esempio: il termine «filosofia» è adeguato a designare le diverse dottrine che hanno preso forma sul suolo indiano. o si tratta di un addomesticamento fuorviante? Esistono barriere culturali insormontabili che rendono qualitativamente diversa la comprensione. In realtà. Tuttavia esse vanno sempre tenute presenti sullo sfondo. della «filosofia greca» rispetto a quella della «filosofia indiana»? Perché la storiografia filosofica dell'Ottocento e di gran parte del Novecento ha consapevolmente evitato. il topos secondo cui la speculazione indiana. sarebbe motivata da preoccupazioni soteriologiche e non dal «puro desiderio di conoscenza». 2. a differenza di quella greca. quelle espresse dalle scuole filosofiche greche.12 L’India filosofica invito alla cautela. né quello secondo cui il pensiero indiano tenderebbe inevitabilmente ad un approdo «mistico». per fare un esempio. in uno spazio ristretto. sviluppo. nel momento in cui ci si accosta alle filosofie dell'India.1 Né 1 Oltre alle ovvie difficoltà di sistemazione cronologica connesse con la mole della letteratura filosofica. le perduranti incertezze sulle datazioni . Non si troverà poi nelle pagine che seguono – in questo caso intenzionalmente . alle numerosissime posizioni teoriche che hanno trovato espressione nel corso degli oltre due millenni e mezzo di ininterrotto. ancorché disomogeneo.alcun tentativo di elencare in via preliminare le caratteristiche presunte o gli orientamenti generali del pensiero indiano: non si ripeterà qui. 3. ad esempio. che ha accolto in se stessa tendenze contrapposte e tra loro altrettanto divergenti quanto. Si cercherà invece di evidenziare l'estrema complessità e l'irriducibile varietà della tradizione filosofica indiana. La difficoltà principale che deve affrontare un'esposizione sintetica dei temi e dei problemi filosofici dell’India è proprio quella di rendere il più possibile giustizia. e contemporaneamente di evitare che i dettagli tecnici e storiografici prendano il sopravvento ed eclissino le questioni filosoficamente più rilevanti. Si è dunque scelto di non tentare affatto di redigere un compendio propriamente storico delle filosofie indiane. proprio di un atteggiamento puramente «teoretico». molti degli insegnamenti. bensì in secoli. Ma questi risultati vanno comunque sempre commisurati.Introduzione generale: 1. allorquando venivano superati da nuove e più comprensive formulazioni. anche nel caso delle opere che hanno portato avanzamenti reali nella conoscenza. Ciò costituisce per noi un ulteriore ostacolo sulla via della ricostruzione delle fasi più antiche delle varie scuole.C. particolarmente arduo da dissodare. anche se in misura minore. Inoltre. Tuttavia. In primo luogo. . storie della filosofia indiana non solo sono state scritte. le necessità della memorizzazione ponevano vincoli molto stretti alle modalità della trasmissione: nella fase più antica le opere di riferimento erano spesso costituite da raccolte di brevi frasi facilmente memorizzabili ma a volte assai criptiche e involute (i sûtra). che necessitavano di una spiegazione. per la storiografia filosofica. in un primo tempo solo orali. nonostante tutti gli impedimenti che si frappongono alla ricostruzione storica. delle opere fanno sì che il terreno indiano risulti. per il cosiddetto «periodo classico» (la parte centrale del primo millennio d. ma in alcuni casi hanno raggiunto ottimi risultati (si pensi a opere pur diversissime tra loro come quelle di Surendranath Dasgupta ed Erich Frauwallner). sia. cosicché in molti casi la genesi e le fasi più antiche delle filosofie delle "scuole" sono oggi quasi impossibili da ricostruire.) dobbiamo tener conto del fatto che la trasmissione delle conoscenze avveniva essenzialmente per via orale. tentare di giungere nemmeno lontanamente ad un inventario delle posizioni filosofiche. Scopo e limiti 13 d'altra parte si poteva. In secondo luogo. Ciò comportò almeno due conseguenze. finivano per essere omessi nella trasmissione orale tradizionale e pertanto venivano dimenticati: il risultato è che essi sono per noi definitivamente perduti. alle difficoltà e agli ostacoli insormontabili sopra esposti. Il fatto che in molti casi diversi commentari forniscano interpretazioni divergenti dei medesimi «aforismi» ci fa capire che molto presto i Sûtra perdettero univocità e perspicuità di significato. Si pensi che in molti casi le datazioni possono essere precisate solo con uno scarto temporale che va misurato non già in decenni. data la mole sterminata della letteratura. dettero poi origine ai commentari interpretativi che costituiscono una delle parti più cospicue della letteratura filosofica indiana. sia per la fase più antica (fino ai primi secoli dell’era volgare). Tali spiegazioni. comunque. pp. come l’epica. almeno per un certo periodo. scritte in varie lingue. . La letteratura di interesse filosofico dell'area indiana è immensa e comprende opere di natura molto diversa. 3 Per una efficace descrizione della forma dei testi filosofici indiani si veda Torella. Ciò ha voluto dire. Poiché una scelta si imponeva. ad esempio. dare maggiore rilievo alle fasi «classica» e «postclassica» del pensiero indiano. l'ardhamågadhî (lingua del canone jaina) e il tibetano (se si assume che il Tibet. Il pensiero indiano [2001]. si è preferito privilegiare le opere e le tradizioni di pensiero di natura più distintamente filosofica. vada compreso nell'area culturale indiana). che per un lungo periodo ebbe la funzione di lingua di cultura paragonabile a quella svolta dal greco in età ellenistica o dal latino in Europa fino all'età moderna. tralasciando o trascurando le correnti nelle quali altri interessi sono di fatto preponderanti. nelle 2 La lingua principale è certamente il sanscrito. Altre lingue importanti sono il påli (lingua del canone buddhista dei Theravåda). e di organizzare il materiale contemperando tra loro tre esigenze distinte: a) quella di individuare le caratteristiche fondamentali delle principali «scuole filosofiche» al di là dei complessi problemi posti dalla ricostruzione storiografica. il senso dello sviluppo nel tempo delle dottrine.2 Accanto ai testi base delle «scuole filosofiche» e ai loro numerosi commentari e subcommentari3 si collocano intere sezioni di opere appartenenti a generi completamente diversi.14 L’India filosofica Piuttosto si è cercato di selezionare – non senza una certa dose di arbitrarietà – alcune delle dottrine più rilevanti. b) quella di porre in evidenza i temi centrali che costituiscono l'oggetto delle fitte discussioni e polemiche tra le varie «scuole». la mitologia o la trattatistica poetico-letteraria. c) quella di non perdere di vista. 644-645. 4. . Scopo e limiti 15 quali la delimitazione del genere «filosofia» si pone in India in modo molto netto.Introduzione generale: 1. .I sec. il Jainismo e altri «movimenti spirituali».C. 2) il periodo «classico» (secoli II-VIII). segnatamente per quel che riguarda i confini tra il secondo e il terzo periodo. d.). tra i quali si suppone abbia avuto una certa importanza quello degli Åjîvika. forse di poco. mentre si gettano le . 4) i secoli XVI-XVIII (corrispondenti al periodo Moghul). Tale partizione è ovviamente in larga misura arbitraria.2. L'inizio della fase di formazione delle filosofie dell'area indiana va collegato con le trasformazioni culturali e sociali avvenute intorno alla metà del I millennio a. Nel frattempo all’interno della tradizione bråhma±ica fiorisce la speculazione di derivazione upanißadica. Nascono in questo periodo il Buddhismo. e Chåndogya Up.C. Precedono. 3) il periodo «post-classico» (secoli IX-XV).). 5) la fase della colonizzazione europea e la fase post-coloniale.C. 1. che testimoniano l'avvenuto distacco dalle preoccupazioni mitologico-ritualistiche tipiche della fase precedente. Partizione – Sguardo d’insieme. di formazione delle grandi correnti di pensiero (VIII secolo a. Seguiremo convenzionalmente una partizione di comodo del pensiero indiano in cinque grandi periodi: 1) la prima fase. questo periodo le più importanti delle Upanißad vediche (B®hadåra±yaka Up. come si diceva.1 Proprio dalla teoria della disputa ebbero origine l'epistemologia e la logica del Nyåya. tende esplicitamente a disporre gli argomenti in modo che una delle scuole presentate risulti comparativamente vincente. e spesso la loro esposizione. pur senza essere ricchissima. affini o concorrenti. sub-sub-commentari. dalla letteratura più propriamente filosofica (opere autonome o. Contrariamente a un'opinione assai diffusa. ecc. . anch’esso di origine molto antica. ha trovato in India espressioni di altissimo rilievo. a volte la registrazione. Il dualismo del Såµkhya-Yoga. trovò durante la prima metà del I 1 Ciò si evince non solo. più spesso. ma anche dalla tradizione dossografica che. commentari alle opere di base delle scuole. A partire almeno dal II secolo dell'era volgare i pensatori indiani sono infatti perfettamente consapevoli di essere degli specialisti e di rivolgersi con le loro opere ad altri specialisti che possiedono un linguaggio tecnico altamente settorializzato. dunque. lett: "visioni". Anche i dossografi infatti tendono a dare molta importanza alle differenze tra le varie scuole.Introduzione generale: 2. Gli esponenti delle varie «scuole» (spesso chiamate in sanscrito darçana. di continui dibattiti tra diverse posizioni in concorrenza tra loro. È questo il periodo di incubazione delle «scuole filosofiche» tipiche dell'epoca successiva.). sub-commentari. e molta parte del loro lavoro filosofico consiste in tentativi di confutare razionalmente le posizioni altrui. o "punti di vista") hanno ben presenti le posizioni di fondo delle altre scuole. le filosofie indiane non sono caratterizzate da un rapporto ferreo con la "tradizione". pur essendo in molti casi relativamente affidabile. della teoria politica e della teoria della disputa. Partizione – Sguardo d’insieme 17 basi della filosofia del linguaggio. che presto si trovarono associate alle più antiche dottrine ontologiche del Vaiçeßika. della quale non sarebbero che la sistemazione razionalizzata: sono invece anzitutto il risultato. con ogni probabilità. la tradizione speculativa di derivazione upanißadica che. attraverso Gau∂apåda. della scuola rappresentazionista degli Yogåcåra. Nella fase post-classica si nota una certa prevalenza delle preoccupazioni teologiche e mistiche. con la scuola di Dignåga e Dharmakîrti. dette origine all'Advaita Vedånta di Çaºkara (VIII sec. dove attecchisce la corrente tantrica (Vajrayåna). In India si assiste invece ad un affievolirsi della tradizione buddhista. una sistemazione pressoché definitiva. Particolare importanza ha. Decisivi furono gli sviluppi del buddhismo: alla speculazioni fortemente tecniche delle scuole dell’Abhidharma fece seguito la comparsa. anche se non viene mai meno la speculazione prettamente razionalistica. Altre scuole vedåntiche si contrappongono al Kevalådvaita-vedånta di Çaºkara. che giunge quasi a scomparire nel XIII secolo. Nel frattempo tende sempre più ad imporsi una sorta di sintesi di tutti i sistemi sotto l'egida del Vedånta. nel IV-V secolo.). con Gaºgeßa e la nascita del «nuovo Nyåya». della scuola någårjuniana della «vacuità» e. Fortemente influenzata da questi sviluppi buddhisti fu. Decisivi contributi da parte buddhista vennero anche nel campo della logica. Grande sviluppo hanno le tradizioni del tantrismo çivaita. mentre le antiche scuole esegetico-ritualistiche dettero origine alla Pûrva-Mîmåµså.C. nel II secolo.18 L’India filosofica millennio d. Intanto il buddhismo si espande soprattutto nell'area tibetana. . soprattutto nel Kashmir dove fioriscono importantissime scuole di estetica e dove operano le grandi personalità filosofiche di Utpaladeva e Abhinavagupta. nel sud. la tradizione viß±uita che culmina in Råmånuja. Importantissimi sviluppi si hanno poi nella logica. a Jaswant Lal Mehta). anche se si assiste a un certo irrigidimento della tradizione scolastica. Nel corso della fase coloniale spiccano i pensatori che tentano una “riforma” religiosa in senso universalistico dell’induismo. mentre il confronto con l’Europa diventa il tema dominante per molti filosofi (da Brajendranath Seal. Tra questi hanno notevole rilievo filosofico Rammohan Roy e Bankimchandra Chattopadhyay. . Tra i pensatori neo-induisti emerge nel XX secolo la figura di Sarvepalli Radhakrishnan. La caratteristica più evidente di questa fase fu il diffondersi di tendenze mistiche e bhaktiche che ebbero notevoli ripercussioni sulla filosofia.Introduzione generale: 2. Partizione – Sguardo d’insieme 19 Nei secoli XVI-XVIII non cessa l'attività di commento delle opere classiche. Importante il consolidarsi delle speculazioni logiche e filosoficolinguistiche. attivo all’inizio del secolo. . Parte prima . . A questo proposito alcuni dicono: "Al principio questo [universo] era soltanto Non essere (a-sat). ås-. uno. «O caro. 2. UTET.di esse («essere»). La traduzione. nell'India upanißadica. Come dal Non essere potrebbe essere sorto l'Essere? Essere soltanto questo [universo] era al principio. In a-sat la "a" prefissata ha funzione di negazione. senza secondo. La qualità dell'interrogativo in esse contenuto («Come dal Non essere potrebbe essere sorto l'Essere?») e l'uso di termini astratti come sat e asat2 attestano la presenza.1. Ma come. al principio questo [universo] era soltanto l'Essere (sat). è di Carlo Della Casa (Upanißad. 1-2. o caro. potrebbe essere così? soggiunse egli -. 2 Sat è il neutro del participio presente del verbo essere. qui e in seguito. . Torino 1976). uno. Di poi dal Non essere nacque l'essere". radice sanscrita parallela alla radice latina es. Prologo. 1. senza secondo». di un pensiero capace di formulare chiaramente 1 Chåndogya Upanißad VI.1 Con queste parole il maestro upanißadico Uddålaka Åru±i dà inizio al suo insegnamento al figlio Çvetaketu. senza secondo. unico. come l'alfa privativa del greco. o caro. 2. ossia le individua. Volendo riprodursi. Non sappiamo nulla circa la storicità del dialogo tra Uddålaka e il figlio. dà loro «nome e forma». Il tema è quello del rapporto tra l’Essere (il sat) e le creature. penetrando in ciascuna delle creature. non solo dell'area indiana. Possiamo ragionevolmente supporre che la redazione della Chåndogya Upanißad vada collocata prima della metà del I millennio a.e dal Vaiçeßika. Soluzioni caratteristiche e divergenti ne saranno date in particolare dalla "scuola" Såµkhya – che. che a sua volta «emette» l'acqua.. nel contesto della teoria della trasformazione continua della prak®ti ("natura"). Si tratta di problemi affrontati in seguito da quasi tutte le scuole filosofiche dell'area indiana. Uddålaka dunque . Alcuni studiosi la datano all'VIII secolo a. la quale poi «emette» il "cibo". Non è questo tuttavia l'aspetto che qui maggiormente interessa.intendendo convenzionalmente con questo nome un personaggio storico oppure chi gli ha dato voce .24 L’India filosofica problemi di natura filosofica e di assumere posizioni critiche rispetto alla tradizione. che sosterrà la dottrina opposta (a-satkårya-våda). Nell'uomo poi ciascuno dei tre principi si triplica: . il sat «emette» il tejas (“calore” e “luminosità”).va considerato tra i primi filosofi in senso assoluto. sosterrà la dottrina della preesistenza dell'effetto nella causa (satkårya-våda) .C. acqua e "cibo" sono i tre principi costitutivi grazie ai quali il «Sé vivente» del sat. Tejas. Vediamo come continua l'insegnamento di Uddålaka al figlio. infatti.C. Importa invece porre in evidenza come quella di Uddålaka sia una delle prime formulazioni a noi note di due problemi: quello dei rapporti tra essere e non-essere e quello della relazione tra essere e divenire. 3 Uddålaka è dunque sostenitore di una visione che potremmo definire naturalistica.Parte prima: 1. cioè allorquando. in queste ultime. ecc. 1-4. come vedremo. Finalmente dopo aver mangiato. Çvetaketu ritorna a ricordare i Veda. o caro. 3 Chåndogya Upanißad VI. al complesso psico-fisico verrà contrapposta una “coscienza” o. permettendogli solo di bere l'acqua sufficiente a mantenere vivo il respiro. . Prologo 25 «Il cibo mangiato si divide in tre parti: la parte più grossolana diventa escremento. la terza parte del cibo ingerito si è trasformata in pensiero. Per provare la sua teoria Uddålaka sottopone il figlio Çvetaketu ad una sorta di esperimento: lo fa digiunare per quindici giorni. la più sottile mente. costituita di tejas è la parola». Lo sperimentalismo che affiora nella storia ora narrata è un tratto che risulterà riconoscibile in molte posizioni filosofiche indiane.). Il sedicesimo giorno lo invita a recitare i Veda. La continuità tra la dimensione “corporea” e quella “mentale” non sarà affatto negata neppure dalle correnti più “antimaterialistiche”: semmai. e Çvetaketu si rende conto che la memoria non lo sorregge. una “coscienzialità pura” totalmente separata dall'elemento psichico e mentale. Il tejas assorbito si divide in tre parti: la parte più grossolana diventa l'osso [dello scheletro]. la più sottile parola. la più sottile respiro. 5. costituito di acqua è il respiro. L'acqua bevuta si divide in tre parti: la parte più grossolana diventa urina. secondo la teoria precedente. secondo la quale non vi è discontinuità tra i principi costitutivi “naturali” e le funzioni mentali («Costituita di cibo è la mente». la mediana carne. la mediana midollo. Costituita di cibo è la mente. la mediana sangue. 26 L’India filosofica 3. III. [questo åtman] presente in ogni cosa?". 20. Uno di essi mangia la dolce bacca.] Parlami veramente di quella che è l'essenza presente in ogni cosa.. la quale illumina tutto. ma non viene illuminata da nulla. «Due uccelli. Allora tacque Ußasta discendente di Cakra». g-Veda I. 2. 4.. non puoi conoscere chi è causa del conoscere. Questa immagine. guarda attentamente». 4. 164. esso non dipende da nulla. L’assoluto dunque non può essere oggetto del pensiero. «Allora Ußasta discendente di Cakra disse: "[. non puoi ascoltare chi è causa dell'ascolto. "Quale è. . Yajñavalkya. Secondo un’immagine che diverrà un topos della letteratura filosofica. senza mangiare. "Tu non puoi vedere chi è causa della vista. essa permette di vedere tutto il resto.5 Essa è volutamente enigmatica. l’assoluto è come una lampada. stretti amici. il g -Veda. Questo è il tuo åtman presente in ogni cosa. risale alla più antica testimonianza letteraria della cultura indiana.6 e 4 5 B®hadåranyaka Up. Al di fuori di esso non c'è che dolore". perché ciò che è pensato dipende dal pensante.4 In questo brano il maestro Yajñavalkya enuncia il principio definitorio dell’assoluto: da esso tutto dipende. l'altro. ossia del brahman visibile e direttamente percepito". non puoi pensare chi è causa del pensiero. così semplice e solenne ad un tempo. abbracciano lo stesso albero. ma nient’altro permette di vederla. "È il tuo åtman quello che è presente in ogni cosa". una tendenza del pensiero indiano che si sviluppò nella seconda metà del I millennio d. che costituiscono altrettante sfide all'interpretazione. . il “signore”. dalle Upanißad7 in poi. Çaºkara (VIII sec. d. 164) è posta accanto a una serie di oscure espressioni metaforiche. 7 Cfr. 6. agisce in vista dei frutti dell'azione. Una contrapposizione che sarà al centro della dottrina dell’azione della Bhagavadgîtå.) vi vide precisamente l'opposizione tra il sé individuale (jîva) che è affetto dall'esperienza del mondo e l'îçvara. di indovinelli. e quello del rinunciante che è pienamente soddisfatto della ben diversa "esperienza" del brahman. C. Çvetåçvatara Up. Mu±∂aka Up. valida sul piano relativo. 1. Ma l'immagine si potrebbe interpretare anche come la contrapposizione tra due atteggiamenti: quello del ritualista che.C. mosso dal desiderio.Parte prima: 1. IV. si perde tuttavia sul piano assoluto dell'identità tra il sé e il brahman (forse per questo i due sono «stretti amici»?). Vi si potrebbe vedere enunciata icasticamente la decisiva opposizione teorica tra “fruizione” (bhukti) e “liberazione” (mukti) che caratterizzerà tante correnti del pensieriero indiano e che viceversa sarà contestata dal tantrismo . Prologo 27 precisamente come enigma è stata accolta nel pensiero indiano. di enigmi appunto. l'eterno “testimone”: opposizione che. II. 6 Nell'inno in cui è contenuta (I. in particolare nei testi buddhisti. e significa «colui che si sforza. Chi erano i filosofi. Esso è costituito di due termini.2. si esercita». Teorie del karman e della rinascita 1. si affatica. bråhma±a e çrama±a. Occorre tuttavia aggiungere subito che nello sviluppo delle importanti teorie del linguaggio indiane ebbero un ruolo . Çrama±a è un derivato della radice çram-. Tradizione bråhma±ica e movimenti çrama±ici. il primo dei quali indica gli appartenenti alla classe sacerdotale dedita alla scrupolosa conservazione dell'eredità vedica. il secondo gli asceti itineranti o i monaci mendicanti che spesso assumevano le funzioni di maestri spirituali. è abbastanza comune imbattersi in un composto. Di qui l'analogia con il termine di derivazione greca “asceta”. çrama±a-bråhma±a. Nei testi più antichi. Movimenti çrama±ici per eccellenza furono il Buddhismo e il Jainismo. per esempio quella degli Åjîvika. Da parte bråhma±ica la tradizione speculativamente più rilevante fu quella di derivazione upanißadica. ma le fonti autorizzano a ritenere che dovettero avere una certa importanza anche numerose altre tendenze. che significa appunto “colui che si esercita”. che sembra voler abbracciare l'insieme di tutte le figure religiose e spirituali. come pure nelle iscrizioni. altri. In realtà non è possibile stabilire se il movimento çrama±ico debba essere pensato come un'evoluzione interna al vedismo o se piuttosto non si debbano immaginare due percorsi in origine distinti e indipendenti che siano giunti ad intersecarsi intorno alla metà del I milliennio a.Parte prima: 2. alle speculazioni mitologicoritualistiche delle parti più antiche dei Veda si affiancano o si sostituiscono nuove preoccupazioni e nuove tendenze dottrinali.C. nel contesto di mutamenti profondi della struttura sociale e politica (sviluppo di una civiltà urbana. nella tradizione intellettuale che dette origine alla corrente cosiddetta “materialista” dei Cårvåka o Lokåyata.). a partire dal periodo in cui questo incontro ebbe luogo. costituzione di veri e propri stati.1 È assai verosimile che l'incontro-scontro tra tradizioni bråhma±iche e movimenti çrama±a abbia caratterizzato la vita intellettuale dell'India settentrionale intorno alla metà del I millennio a. moltiplicazione delle professioni. oltre ai bråhma±a e ai movimenti çrama±a. ecc. allorquando. assunse valore pressoché assiomatico per quasi tutte le correnti del pensiero indiano una concezione estranea al vedismo più antico: la caratteristica credenza nella retribuzione delle azioni 1 È tuttavia possibile che anche la corrente materialista vada ricondotta a uno dei due gruppi fondamentali: alcuni ritengono che si sia sviluppata in ambienti bråhma±ici.. 2. più verosimilmente. dobbiamo riconoscere un terzo gruppo. Quello che si può dire è che. tipologicamente distinto. Forse poi. Chi erano i filosofi 29 decisivo le scuole esegetiche e la tradizione «tecnica» dei grammatici (che culminò nell’opera di På±ini).C. pensano che sia sorta in ambienti çrama±ici. . benché tutt'altro che certo. ecc. Viene così stabilito un nesso causale tra il passato e il presente (che è ricondotto alle azioni compiute nel passato) e tra il presente e il futuro (che sarà il risultato delle azioni presenti). Il patrimonio di credenze fin qui sommariamente tratteggiato costituisce un presupposto imprescindibile della 2 È opportuno evitare termini come “trasmigrazione” o “metempsicosi”. «opera». le quali sono il fondamento delle esperienze negative o positive che segnano la nostra esistenza. che il contributo decisivo all'imporsi di questa concezione provenga dagli ambienti çrama±ici. Karman è un derivato della radice sanscrita k®. cioè una ricompensa o una punizione. Comune alle tradizioni bråhma±iche e a quelle çrama±iche è l'idea che la serie senza inizio di nascite e rinascite regolate dal principio retributivo del karman (ciò che viene chiamato generalmente saµsåra) sia intrinsecamente dolorosa e insoddisfacente e che occorra cercare di interromperla. che implicano l'esistenza di un sostrato trasmigrante (l'“anima”): esistenza che è esplicitamente negata. Ed è probabile. dalla gran parte delle correnti buddhiste. ad esempio. La credenza nella rinascita2 consente di estendere il potere retributivo dell'azione anche alle vite future e di pensare la vita presente come retribuzione delle infinite vite che l'hanno preceduta.(«fare») e significa «azione». 3. mukti (“liberazione”) o nirvå±a (“spegnimento”. L'idea di base della teoria del karman è che ogni azione produce di per sé una retribuzione. .30 L’India filosofica (karman) e nella rinascita. “cessazione”). «atto» (in primis in senso rituale). Questa interruzione viene chiamata in vario modo: mokßa. . epistemologica ed etica. in che modo esso è conoscibile? Qual è la natura del rapporto causale che connette i vari momenti della serie saµsårica? Che cosa si può dire dello “stato” di chi abbia interrotto la serie saµsårica? In che modo si ottiene tale interruzione? Occorre forse interrompere la catena causale astenendosi totalmente dalle azioni? Oppure si deve controllare l'intenzione con cui si agisce? Oppure. Si legano ad esso questioni decisive di natura metafisica. ancora: la catena causale viene forse interrotta non già al livello “ontologico” tramite l'azione. C. anche meritoria. sulla base del rifiuto esplicito di fornire queste risposte. Che cos'è che permane nel passaggio da una vita all'altra? Se esiste questo sostrato permamente. tramite la conoscenza o il “riconoscimento” della condizione liberata? Infine: qual è la differenza tra il merito e il demerito nell'agire.Parte prima: 2. visto che ogni azione. bensì a un altro livello. produce comunque inevitabilmentne una conseguenza a livello karmico che ostacola il processo di liberazione? Le varie correnti bråhma±iche e çrama±iche della prima fase di sviluppo delle filosofie indiane si differenziano fondamentalmente a partire dalle risposte date a questi interrogativi. come vedremo. Chi erano i filosofi 31 speculazione bråhma±ica e çrama±ica della seconda metà del I millennio a. quello “gnoseologico”. o anche. ebbe origine e si sviluppò in India nel primo millennio a. il rifiuto metodico di prendere posizione sulle grandi questioni metafisiche e lo sviluppo di una «posizione mediana» . Il movimento buddhista.anche attraverso l'uso dello strumento logico-argomentativo del “tetralemma” (catußko¥i).3. La prima fase del pensiero buddhista. I punti filosoficamente più rilevanti dell'insegnamento del Buddha sono i seguenti: la diagnosi del carattere insostanziale. l'indicazione di una tecnica di meditazione in quattro stadi (le «quattro meditazioni»). l'esposizione della catena causale della «coproduzione condizionata». impermanente e insoddisfacente di tutte le cose. Il Buddhismo e il Jainismo primitivi I. 1. l'indicazione delle «quattro nobili verità» e dell'«ottuplice sentiero» (che contempla precetti etici).C. Buddhismo e Jainismo furono i movimenti çrama±ici più importanti. che si sarebbe diffuso in gran parte dell'Asia e che ormai da tempo ha raggiunto anche l'Europa e l'America fino a divenire un fenomeno planetario.cioè al di là degli estremi . Questi ultimi due . egli pone in evidenza l'impermanenza di tutte le cose. “perfetto”) e al nibbåna (påli.). ma si tratta di una nozione veramente complessa. ed addita a ciascun uomo. al di là dell’appartenenza castale (la cui importanza viene rifiutata). giacché molte altre datazioni decisive sia sotto il profilo della storia del pensiero che sotto quello della storia tout court. scr. come si vedrà. da essa.1 1 Sulla vita dell'uomo che sarebbe stato considerato lo «svegliato» per antonomasia (questo è il significato del termine buddha). The Dating of the Historical Buddha [1991]. scr. (le iscrizioni di Açoka della metà del III secolo documentano la già avvenuta espansione del dharma buddhista). Recentemente gli studiosi si sono orientati a considerare più plausibile una datazione più "bassa" rispetto a quella calcolata in un primo tempo (VI-V secolo). Intorno ai trentacinque avrebbe conseguito il «risveglio» (bodhi. la possibilità di liberarsi dal dolore/insoddisfazione (du¿kha) praticando la «via intermedia» che conduce alla condizione di arahant (påli. della stirpe degli Çåkya. Si sono fatte molte ipotesi sulle date della sua vita.Parte prima: 3. sia un personaggio storico. di pronunciarsi sulle grandi questioni metafisiche. pur rimanendo certo che egli sia vissuto prima del III secolo a. per così dire a cascata. uno dei primi a noi noti dell'India antica. È opinione comunemente condivisa dagli studiosi che Siddhårtha Gautama. Gli scritti canonici ci restituiscono l'immagine viva di un Buddha che rifiuta metodicamente. possediamo numerose testimonianze scritte. Il Buddha sarebbe vissuto circa ottanta anni. se è vero che in alcuni ambienti mahåyana si giungerà ad affermare. nirvå±a: “spegnimento”. arhat: “degno”. che però sono in gran parte di natura leggendaria. opponenendo silenzi significativi e istruttivi. Si veda Bechert (ed. dipendono. La sua vicenda personale sarebbe stata segnata da tre avvenimenti decisivi: l'abbandono . la non-differenza tra nirvå±a e saµsåra). abhisambodhi). “estinzione”. C. Buddhismo e Jainismo 33 elementi furono quasi certamente elaborati dai primi successori del Buddha storico. ma il problema rimane a tutt'oggi aperto. le quali non sono altro che «aggregati» destinati alla dissoluzione. La questione della datazione del Buddha è molto importante. della casa paterna. Questi sono suddivisi in tre grandi sezioni. della moglie e del figlio per seguire la vita ascetica. il risveglio. .34 L’India filosofica 2. Bhagavat («Beato») e Jina («Vittorioso»). È soprattutto dai testi contenuti nel canestro dei discorsi (Sutta-pi¥aka) che possiamo ricostruire l'insegnamento del Buddha storico. Le comunità di orientamento monastico cui il Buddha avrebbe dato vita provvidero a tramandare la memoria dei suoi insegnamenti.C. il Buddha avrebbe trascorso il resto della sua vita a guadagnare al proprio insegnamento (dharma) gli ex-maestri e gli excompagni di vita ascetica. nonché a diffonderlo presso numerosi nuovi adepti. l'abbandono della via della mortificazione e il distacco dagli insegnamenti dei vari maestri per seguire una «via mediana» anche nel cammino çrama±ico. Superata la tentazione di “entrare” immediatamente nello stato di cessazione del dolore (nirvå±a) senza comunicare agli altri esseri viventi la via del risveglio. In quello che si usa chiamare Discorso della messa in moto della ruota del dhamma. Da questo momento il Buddha. dette «canestri»: il canestro dei discorsi. quello delle regole disciplinari (vinaya) e quello della sistematica dottrinale (abhidharma). che già era noto come Çåkyamuni («Asceta degli Çåkya»). cioè la conquista autonoma e definitiva della verità circa la natura della sofferenza/insoddisfazione (du¿kha) e circa il modo per farla cessare. finché si giunse alla fissazione di veri e propri «canoni» (i più importanti sono quelli dei Theravådin e dei Sarvåstivådin). mentre nelle dottrine e nelle speculazioni contenute nell'ultimo possiamo riconoscere le origini della grande speculazione filosofica buddhista fiorita nel primo millennio d. e che costituisce tradizionalmente il resoconto del suo primo discorso dopo il risveglio . sarebbe stato chiamato anche Tathågata (forse: «Pervenuto alla verità»). 3.il Buddha si presenta essenzialmente come un terapeuta che nelle quattro «nobili verità» (påli ariyadella vita principesca. e infine indica il mezzo per ottenere la guarigione (il «nobile ottuplice sentiero»). 4. per attribuire realtà solo al sé anegoico (åtman). årya-satyåni) ha condensato la conoscenza acquisita nel risveglio. in sanscrito anåtman o nairåtmya) è una delle categorie più importanti e controverse del pensiero buddhista. poi ne individua la causa (la «sete»). l'indicazione di una via intermedia di autoperfezionamento che ha per meta il superamento del dolore (cioè del raggiungimento del nirvå±a / påli nibbåna). non uccidere) i comportamenti che sono alla base delle speculari e positive virtù buddhiste della «compassione» (karu±å) e della «benevolenza» (påli mettå / scr. a partire da quelle attestate nella letteratura canonica in lingua påli. Questo sé costituiva tra l'altro il sostegno. «membra») del nobile sentiero la «via della conoscenza» e le indicazioni etiche si intrecciano saldamente tra loro: particolarmente interessanti sono i contenuti della «retta intenzione» e della «retta azione». in cui vediamo configurati in forma di precetti al negativo (in particolare non nuocere. Nell'India del primo millennio a. la garanzia di continuità su cui basare il principio del susseguirsi delle rinascite (saµsåra). il dolore). Il «non-sé» (in påli anattå.C. Le dottrine buddhiste invece. identificato con la realtà assoluta (brahman). quindi prospetta la possibile cessazione di tale causa. in estrema sintesi.pur con qualche resistenza e tentennamento (su . rinunciano . Nelle otto parti (lett. egli definisce innanzitutto la malattia (la frustrazione. a negare sostanzialità al soggetto che dice «io» e «mio». non essere violenti. L'insegnamento del Buddha è dunque. Buddhismo e Jainismo 35 saccåni / scr.Parte prima: 3. maitrî). Seguendo il modello dell'esposizione medica. nelle Upanißad. la speculazione di matrice vedica era giunta. alcune delle più importanti scuole antiche si sono dichiarate per la sostanzialità dei dhammå. «tutti gli elementi sono privi di sé» (Dhammapåda. È bene tuttavia chiarire subito che sarebbe avventato concludere che il pensiero buddhista abbracci una metafisica del nulla. e gli studiosi in disaccordo tra loro) anche gli elementi nei quali viene analizzata la realtà esperienziale. Sulla storia di questa interpretazione e dell'apologetica religiosa e "occidentale" ottocentesca ad essa connessa si veda Droit. avventurandosi. The Elusive Buddhist Self [1999]. al limite estremo del percorso di disidentificazione già iniziato nelle Upanißad. «sabbe dhammå anattå». nella maggior parte dei casi. R. le 2 Si veda ad esempio. The Buddhist Nirvå±a and Its Western Interpreters. Su questa importante questione vale la pena di segnalare alcuni lavori per un approfondimento: per una analisi critica delle varie posizioni possibili si vedano Collins. uno strumento argomentativo antimetafisico. L'anattå sembra essere piuttosto. che nega non già la realtà. i dhammå. What would it be like to be selfless? [1996]. Tillemans. Si veda anche..36 L’India filosofica cui si appoggiano alcuni studiosi2 per combattere le interpretazioni radicali dell'anattå) a questa ipostatizzazione del sé: al contrario. sono privi di sostanzialità. What are B. Per alcune scuole poi (ma pure qui spesso l'interpretazione è aperta. Paris 1997. e Gómez. Pérez-Remón. ma neppure al sé anegoico. tra gli ultimi di una lunga serie. 3 Certamente non tutte le scuole buddhiste sostennero questa posizione: anzi.3 Secondo una formulazione caratteristica. doing when they deny the self? [1994]. si potrebbe dire. bensì le affermazioni su di essa. sulle interpretazioni del nirvå±a Welbon. di essere cioè un «culto del nulla». . Le culte du néant. G. R.. Chicago and London 1968. Self and Non-Self [1980]. 4 È questa la vecchia accusa rivolta al buddhismo.4 5. 279). esse affermano che non si può attribuire sostanzialità non solo all'io.P. vol. dopo la morte. 72): il brano riportato è tradotto in The Middle Length Sayings.] "il mondo non è eterno". bensì uno strumento di confutazione delle dottrine. "il Tathågata. La traduzione italiana è di chi scrive.. dopo la morte. Buddhismo e Jainismo 37 dottrine che si formulano a proposito della sua stabilità. «sabbe saºkhårå dukkhå»: «tutte le predisposizioni sono impermanenti». ai contorcimenti delle visioni. "il mondo è non finito". dopo la morte. by I. 6. nelle due espressioni che accompagnano il «sabbe dhammå anattå» citato prima. Horner. Il 5 Si trova in Majjhima-Nikåya I. oppure viceversa della sua nullità. II. e cioè: «sabbe saºkhårå aniccå». alla zuffa delle visioni. né è né non è". ritenendo che questo sia un pericolo.Parte prima: 3. "il mondo è finito". L'anattå sarebbe dunque non una dottrina. B. "il Tathågata. tutte indimostrabili. attenersi a una visione. dopo la morte. Si legga a questo proposito la spiegazione degli istruttivi silenzi del Buddha che si trova nel Discorso a Vacchagotta sul fuoco:5 «O Vaccha. ad esempio. non è". è".. questo.. "il principio vitale è una cosa e il corpo è un'altra". 277 e 278). e quindi andrebbero evitate.. . Vaccha. p. significa tendere a una visione speculativa. The Påli Text Society.] né al nibbåna. pensare che "il mondo è eterno". "il Tathågata. transl. è e non è". non mi accosto a queste visioni speculative». «tutte le predisposizioni sono dolore» (Dhammapåda. del suo permanere. o «visioni speculative» (di¥¥hi). Io.164. [. 483-489 (è il discorso n. Ciò è accompagnato da angoscia [. London 1957. alle giungle delle visioni. Quanto a ciò che è invece possibile dire. esso trova un compendio. o Vaccha. non darebbero indicazioni su come liberarsi dal dolore. "il Tathågata. "il principio vitale e il corpo sono la stessa cosa"... che. non conduce al distacco [.]. ai vincoli delle visioni. «nascita» (jåti) e «vecchiaia e morte» (jaråmara±a) sono il futuro. le «sei entrate» (ßa∂åyatana). per così dire. «nome-forma» (nåmarûpa. Sull'interpretazione del pratîtyasamutpåda si veda.e filosoficamente più rilevante insieme al «multilateralismo» epistemologico . benché minoritario. «sete» (t®ßnå). «appropriazione» (upadåna) e «esistenza» (bhava) sono gli otto anelli del presente. «contatto» (sparça). Il Jainismo. [1996]. di questo flusso è scandito dai vari anelli della catena (circolare) della «coproduzione condizionata» (pratîtyasamutpåda).. «coscienza» (vijñåna).è l'adesione radicale all'ideale dell'ahiµså: «Tutti gli arhat e i bhagavat del passato. tutti così dicono. del presente e del futuro. Abhidharma Buddhism to 150 A. ad es.38 L’India filosofica richiamo al dolore e all'impermanenza è evidentemente basato sull'esperienza diretta della realtà come continuo fluire e continuo perire. tradotto in italiano in Gnoli (a cura di). 43-47. pp. Potter et alii (eds. «sensazione» (vedanå). così spiegano: "non si deve 6 Uno dei testi più celebri sul pratîtyasamutpåda è il Çålistambasûtra.D. cioè l'individualità). .). 1. Essa descrive sinteticamente in dodici punti le relazioni causali e di interdipendenza che provocano la permanenza nel flusso saµsårico: «nescienza» (avidyå) e «latenze karmiche» (saµskåra) costituiscono il passato. nell'India contemporanea. così dichiarano. Il suo tratto fondamentale . così proclamano.6 II. Testi buddhisti [1983]. Il Jainismo è un “movimento spirituale” ancora vivo. Il ritmo. 7 La giustificazione dottrinale della «non-volontà di nuocere» (a-hiµså) è naturalmente connessa alla teoria del karman e della rinascita. sappiamo molto poco. che gli studiosi ritengono una personalità storica. immutabile. vol. avrebbe raggiunto a quarantatre anni la «conoscenza assoluta». che viva. dalla tr. proclamato dai sapienti che comprendono il mondo». caratterizzata dalla problematica dell'azione e dei legami che questa comporta. Buddhismo e Jainismo 39 uccidere. che nel Jainismo assume una forma particolarmente nitida. che senta". 22. 4. 2. sarebbe stato preceduto dal tîrthaµkara Pårçva. . cioè la conoscenza della via per sfuggire al saµsåra. Ne vediamo qui alcuni aspetti paradigmatici. né trattare con violenza. Della vita di Vardhamåna. ingl. «facitore di guado»). da Siddhårtha Gautama. 3. Nato prima del Buddha. La dottrina jaina costituisce un esempio molto chiaro di dottrina çramanica. 1). Oxford 1884. anch'egli sarebbe stato di famiglia nobile.8 e che svolse per il Jainismo un ruolo parzialmente analogo a quello ricoperto. 36). che esista. Considerato dalla tradizione jaina il ventiquattresimo tîrthaµkara (lett. per il Buddhismo. di H. né maltrattare. Jacobi. Jaina Sûtras. Abbracciata la vita dell'asceta itinerante. p. né scacciare alcuna creatura che respiri. che sarebbe stato chiamato Mahåvîra («grande eroe») e il Jina («vittorioso»). Si noti che in italiano a volte si preferisce la grafia «Giainismo». Ecco il puro. 8 I suoi seguaci vengono chiamati jaina (è il derivato di jina) da cui «Jainismo». perenne dharma. Essa viene riassunta in sette 7 Åcåråºga-sutta (I. part I = SBE.Parte prima: 3. né tormentare. La materia (pudgala) ha una struttura atomica. L'inanimato si suddivide in cinque sostanze (spazio. I jîva sono infiniti e immortali. in primis l'“astensione dal desiderio di nuocere” agli altri esseri (ahimßå). 4) il legame (bandha) 5) l'arresto del flusso (saµvara). «retta conoscenza». produce «afflusso» di particelle materiali verso il jîva. 6) l'eliminazione (nirjarå) e 7) la liberazione (mokßa). presupposti del movimento e della stasi. anche quelle moralmente approvate. esistono realmente. 2) l'inanimato (ajîva). La liberazione si raggiunge attraverso un processo di purificazione che si basa sui «tre gioielli» («retta visione». tra le quattordici tappe del cammino di purificazione deve necessariamente venirne prevista una (la settima) a partire dalla quale si ha effettiva «eliminazione» del leçya: è la kßapaka-çre±î. I precetti etici. costituiscono la condizione indispensabile per attenuare l'afflusso karmico ed incamminarsi sul cammino della liberazione. che fu effettivamente praticata). la «linea dell'asceta distruttore [del karman]». «retta condotta») ed è suddiviso in quattordici stadi. 3) l'afflusso o contaminazione (åsrava). L'azione in generale. sul quale si depositano facendogli assumere una «colorazione» (leçya). sia causa di «afflusso» karmico. ogni azione. tempo. materia). Al termine il jîva consegue la perfezione (siddhi) e rimane libero. cioè i jîva e l'ajîva. Il fatto che ogni azione. Le sostanze. . la cui esistenza sarà sempre oggetto di polemica da parte dei Jaina. 2) poiché tuttavia resta il problema della «colorazione» accumulata in precedenza.40 L’India filosofica argomenti di base: 1) le «anime» o «spiriti» (jîva). Non c'è un Dio creatore. ha due conseguenze decisive: 1) che il comportamento ideale sarebbe la rinuncia totale ad agire (e quindi la morte per fame. 4. La Bhagavadgîtå e lo yoga dell’azione. 1. «Perché agire?», «che cos'è l'azione?», «qual è il rapporto tra azione e conoscenza?», «chi è l'uomo saggio?», «qual è il rapporto tra l'uomo e la realtà suprema?». A questi interrogativi cerca di rispondere un poema celeberrimo, la Bhagavadgîtå, databile tra il II sec. a. C. e il II sec. d. C. 2. La tradizione speculativa bråhma±ica trovò espressione in opere di varia natura (trattati sul dharma, sulla lingua, sulla politica, ecc.) ma fu soprattutto nell'epica che vennero incorporati testi di natura spiccatamente filosofica. La Bhagavadgîtå è contenuta nel VI libro del Mahåbhårata, il vasto poema che, accanto al Råmåya±a, costituisce la grande epica dell'India antica. La vicenda principale narrata nel Mahåbhårata è quella dello scontro esiziale tra i Kaurava e i loro cugini, i cinque På±∂ava. Nelle sue diciotto «letture» la Bh.-g. presenta il dialogo tra Arjuna, il guerriero per eccellenza tra i På±∂ava, e K®ß±a, il suo auriga, nel corso del quale K®ß±a si rivela come volto personale della «realtà suprema» e impartisce ad Arjuna il suo insegnamento sul problema dell'agire. Arjuna infatti, vedendo nello schieramento avversario parenti e maestri, è 42 L’India filosofica preso dallo sconforto e pone angosciosamente l'interrogativo «perché combattere?» - domanda che nel corso del dialogo si amplierà sempre di più, fino a comprendere implicitamente o esplicitamente gli interrogativi ben più generali che abbiamo elencato all'inizio. 3. K®ß±a risponde indicando perlomeno tre vie, tre «discipline» (yoga): la disciplina della conoscenza (jñånayoga), la disciplina dell'azione rinunciante in ottemperanza al proprio dharma (karma-yoga), e la disciplina della devozione (bhakti-yoga). Nei numerosissimi commenti filosofici alla Bh.-g. che si sono susseguiti da quando essa venne considerata un testo a sé stante ed estremamente autorevole - cioè almeno da quando, al più tardi alla fine dell'ottavo secolo, il filosofo Çaºkara ne diede una celebre, assai unilaterale interpretazione - la discussione verte, fondamentalmente, sulle tre vie sopra elencate: c'è chi sostiene che una sola di esse debba essere considerata essenziale (per Çaºkara, ad esempio, lo jñåna-yoga), chi pensa che esse si implichino vicendevolmente (Yåmuna, XXI sec.), chi le dispone una di seguito all'altra in ordine ascendente (per Råmånuja, XI-XII sec, ad esempio, il karma-yoga è superiore allo jñåna-yoga, ma il gradino più alto è riservato al bhakti-yoga), chi le vede come vie distinte e parallele tra le quali ciascuno deve trovare la propria (o piuttosto quella che gli è stata assegnata dal fatto di nascere in una determinata condizione), ecc. 4. Ma se tutte e tre le vie trovano nella Bh.-g. una loro giustificazione (e forse una reciproca complementarità), è il karma-yoga ad affrontare più direttamente il problema dell'agire, offrendone un'analisi ed una soluzione Parte prima: 4. La Bhagavadgîtå e lo yoga dell’azione 43 particolarmente sottili. Il rifiuto di combattere di Arjuna si ricollega infatti alla più vasta disputa sulla rinuncia ad agire: l'azione infatti implica un «frutto» (phala), che costituisce un «legame», il quale, caricando il meccanismo retributivo del karman, è causa dell'aborrito perpetuarsi delle rinascite (saµsåra), in perenne, dolorosa vicenda. La "soluzione karmayogica" si fonda sull'assunto che il «legame» non sia intrinseco all'azione stessa, ma dipenda dall'"intenzione" di chi la compie: l'azione «lega» se chi agisce lo fa spinto dal desiderio e dall'attaccamento al «frutto dell'azione». Non essendo in realtà possibile non agire (per vari motivi, come di spiega nel terzo canto del poema), l'unico modo per liberarsi dal «legame delle azioni» è compiere l'azione rinunciando preventivamente al suo frutto: infatti, una volta abbandonato il frutto dell'azione, questa a priori diviene come si è detto glossando nelle lingue occidentali un'"azione disinteressata", un'"azione rinunciante", un'"azione senza desiderio", e una siffatta azione non lega, si esaurisce in se stessa, senza generare conseguenze. 5. Ma se il karma-yoga consente dunque all'azione di assurgere al rango di non-azione, esso pone tuttavia un problema delicatissimo: qual è, infatti, il movente che regge un'azione che parrebbe restare sospesa nel vuoto della mancanza di intenzionalità? La risposta karmayogica, apparentemente semplice, ma in realtà profonda e inquietante insieme, è che il criterio dell'agire consiste, per ciascuno, nella necessità di conformarsi allo sva-dharma, al «proprio dharma»,1 al dovere specifico del proprio ruolo, 1 Dharma è un concetto fondamentale della cultura indiana. Racchiude in sé significati diversi: dharma è al tempo stesso il «mantenersi» dell'ordine del mondo, la legge morale (o le leggi morali), a volte la ecc. ma certo esiste il problema di quale fosse in questi testi il significato di ahiµså. Sul concetto di dharma illuminante è il denso saggio di W. si presenta come una sorta di registrazione compendiaria. Anche per questa sua caratteristica la Bh.-. essendo egli un guerriero. il tema del riconoscimento . rimanda al "proprio posto nel mondo". fin dai primordi degli studi legge in senso giuridico. 10. in una forma letteraria spesso molto suggestiva e raffinata. ad esempio.2 6. il dovere. La Bh. il tema della fedeltà al proprio dharma.come strumento di liberazione (mokßa) dell'identità tra l'åtman (il «sé») e la realtà assoluta (brahman). normalmente inteso in senso castale. ad esempio Mahåbhårata XII. Halbfass intitolato Dharma in the Self-Understanding of Traditional Hinduism.cfr.-g. Il termine sva-dharma. è stata individuata. di alcuni dei principali problemi e temi che caratterizzano l'universo filosofico-religioso della tradizione bråhma±ica: il tema del distacco dal desiderio (kåma). interpreterà il dharma in senso universalistico e ne individuerà il nucleo essenziale nell'ahiµså (con il conforto di varie testimoninaze testuali . con la sua capacità di far convivere in un unico quadro posizioni tra loro (apparentemente?) contraddittorie. e il tentativo gandhiano di spiegare perché K®ß±a. . ecc. comparso come capitolo 17 del suo India and Europe [1988]. cioé «il proprio dharma». il tema dell'abbandono amoroso e totale alla divinità (bhakti).-g. 2 Vale la pena di notare qui che nell'ambito del cosiddetto “neoinduismo” tale risposta ha dato adito a interpretazioni divergenti. e numerosi sono stati i tentativi di svincolare il dharma dalla dimensione castale. 110. Gandhi. in nome della «non-violenza».44 L’India filosofica inteso sostanzialmente in senso castale: nel caso di Arjuna. pone non poche difficoltà). induca Arjuna a riprendere la guerra. e persino quella che in Europa si chiama «religione». il dharma gli impone di combattere.. The Universal Gîtå [1985]).Parte prima: 4. che diede il via a una interessante disputa a distanza sul pensiero indiano che coinvolse W. particolarmente importante nel contesto della «soluzione karmayogica»: non potendoci qui soffermare su una vicenda che tuttavia varrebbe davvero la pena di ripercorrere. La Bh. un testo «universale» (per utilizzare il termine adottato da Sharpe. negli ultimi due secoli.J. come il testo con cui confrontarsi per un primo avvicinamento al pensiero indiano. Assai spesso l'interesse dei lettori europei e americani si è concentrato sull'interpretazione del concetto di dharma. E. .. basterà dire che le interpretazioni variano dalla segnalazione di vaghe assonanze kantiane all'accettazione del dharma come norma perenne e universale. dalla totale adesione interiore al dharma inteso come «necessità amata» (S. von Humboldt e Hegel). ecc.-g.3 3 Molto importanti a questo proposito furono la versione inglese di Wilkins del 1785 e soprattutto quella latina di August Wilhelm Schlegel del 1823. è così divenuta. Weil) all'esaltazione di un esteriore e militaresco «dovere per il dovere» connesso a una «metafisica dell'azione» (ad esempio gli indologi Hauer e Formichi). La Bhagavadgîtå e lo yoga dell’azione 45 indologici in Europa. di C.2 Anche il canone buddhista. B®hadåranyaka Up. 6). riportano numerosissimi incontri. 1-2: «Janaka di Videha ebbe desiderio di sapere qual fosse il più dotto tra i brahmani.1 Le Upanißad attestano che a tali dispute pubbliche partecipavano. anche le donne. Poi disse [ai convenuti]: "Venerabili brahmani! Chi tra voi è il più dotto brahmano si porti via queste vacche"» (tr. Il maestro upanißadico Yåjñåvalkya era noto e temuto per la sua abilità nello sconfiggere gli avversari.5. Rinchiuse allora in un recinto mille vacche e alle corna di ciascuna erano attaccate mille monete[d'oro]. come pure quello jaina. III. l'abbiamo visto. Già nel periodo documentato dalle Upanißad più antiche la disputa filosofica e il dibattito pubblico rivestivano un’importanza eccezionale. . (III. Durante la fase più antica sembra comunque che non siano state elaborate regole per la conduzione del dibattito né che 1 Vedi ad es. Si deve pensare anche a veri e propri tornei dialettici organizzati presso le corti regali. discussioni e dispute memorabili tra maestri itineranti. Teoria della disputa e medicina 1. interlocutrice di Yåjñavalkya nella B®hadåranyaka Up. Della Casa). 2 Si veda il caso di Gårgî. al termine dei quali erano previsti premi consistenti per i vincitori. almeno in certi casi. Histoire du Bouddhisme Indien [1958]. pp. Breve storia del Buddhismo [1985]. sempre in ambito buddhista. discuterai come fanno i saggi. "Quando i re discutono. La logica formale. "Come discutono i saggi. Indian Buddhism [1970].Parte prima: 5. Così discutono i saggi". dal Milindapañha: «Il re disse: "Venerando Någasena. gran re.C. 543-6.): celebre è il dibattito tra un pudgalavådin e un theravådin sul modo di conoscere il pudgala (il sostrato trasmigrante esistente secondo i pudgalavådin e negato dai theravådin). "E come discutono i re?". Teoria della disputa e medicina 47 siano stati stabiliti criteri in base ai quali assegnare la vittoria. The Character of Logic [1998].4 Di un certo interesse storico è poi la distinzione tra. se invece vuoi discutere come fanno i re. "Gran re. 33-37. vuoi discutere con me?". nella discussione dei saggi si hanno lo svolgimento e la ricapitolazione. Una breve sintesi in traduzione italiana è quella di Conze. io discuterò con te. venerando Någasena?". per dir così.3 allorquando si trattò di stabilire per via argomentativa quale fosse l'eredità dottrinale del Buddha. essi approvano un argomento e puniscono chi non lo approva. . a. Così discutono i re"». “forza dell'argomentazione” e “argomentazione della forza” che ci viene proposta. allora no". pp. "Se tu. Il tema della disputa in generale divenne verosimilmente oggetto di riflessione in occasione delle contese tra le varie sette buddhiste. E i saggi non si irritano per questo. 4 Il brano è riportato e discusso in Matilal. Warder. il convincere e il concedere. Una testimonianza in tal senso è rappresentata dal Kathåvatthu (forse del II sec. si raggiungono accordi e disaccordi. 3 Per la storia del buddhismo indiano si possono consultare: Lamotte. oltreché in Bochenski. II [1972 (1956)]. 5 5 Leggiamo per esempio la seguente raccomandazione di Caraka ai medici: «Non lasciatevi coinvolgere in argomentazioni e controargomentazioni complesse. 111). 32 (citato in Larson. Ma quello che qui si vuole sottolineare è che l'ambito medico . anche pubblicamente. contribuendo a dare origine alla logica e alla epistemologia che diverranno dominanti nella filosofia indiana “classica”. Abbiamo inoltre visto come ad esempio il modello espositivo delle quattro nobili verità del Buddha sia quello medico. Grazie al vostro intelligente argomentare finirete per girare a vuoto. . Åyurveda and the Hindu philosophical systems [1993]. 2. le varie fasi del processo diagnostico e terapeutico. né d'altra parte permettetevi di fingere che la verità sia ovvia e facile da raggiungere se si aderisce ad una singola posizione filosofica (pakßasaµçraya). Una sorta di manuale di questo nuovo sapere è contenuto in uno dei più importanti trattati medici antichi.C.48 L’India filosofica Si verificò tuttavia un mutamento decisivo quando la riflessione sul dibattito sfociò in una vera e propria teoria della disputa e delle sue procedure. la Carakasaµhitå (I o II sec. p. Carakasaµhitå I.). 25.costituì con ogni probabilità un terreno ideale per la codificazione di un sapere e di uno stile di ragionamento che finì per oltrepassare la teoria della disputa. come uno che siede su un torchio che gira in tondo. le forze naturali.dove doveva essere sentita fortemente la necessità di discutere. Liberatevi dai pregiudizi semplicistici e cercate spassionatamente la verità». d. e di argomentarne la validità adducendo prove e dimostrazioni . La medicina (Åyurveda) in India come altrove contribuì notevolmente allo sviluppo di concezioni e dottrine riguardanti la fisiologia del complesso psico-fisico. le vie per superare il dolore. teoria che divenne essa stessa un sapere tecnico e codificato. Nachgelassene Werke I. variamente accettati come validi o 6 Carakasaµhitå III. enunciazione della prova (sthåpanå). logiche ed epistemologiche della filosofia indiana classica. vol.Parte prima: 5. 14 sgg.. Seguono un elenco delle qualità del buon disputatore. ragione/motivo (hetu)..nella quale si devono esporre apertamente le proprie ragioni.e la contesa. conclusione (nigamana). qualità (gu±a) movimento/azione (karman). esempio (d®ß¥ånta). enunciazione della controprova (pratisthåpanå). 378-88). 8. E. Si passa poi ai mezzi di conoscenza. facendo appello all'intelletto e alle conoscenze dell'altro senza temere la sconfitta . Si veda inoltre Matilal. Poi le categorie del Vaiçeßika: sostanza (dravya). Vediamone alcune: innanzitutto la disputa stessa (våda). parzialmente analoghe a quelle sviluppate dal Nyåya: tesi (pratijñå). Il brano è discusso lungamente già da Dasgupta (A History of Indian Philosophy. Seguono le parti del ragionamento dimostrativo. applicazione (upanaya). pp. 38-43 e soprattutto Frauwallner. Cambridge 1932. Teoria della disputa e medicina 49 Nel “manuale” contenuto nella Carakasaµhitå6 si distingue dapprima tra la discussione “amichevole» . pp. neutrale o sfavorevole. universalità/generalità (såmånya). . The Character of Logic in India cit. nonché indicazioni su quali atteggiamenti tenere a seconda che il pubblico sia favorevole. replica (uttara). particolarità (viçeßa). nella quale lo scopo da tenere presente è il vantaggio personale. II. consigli su come valutare l'avversario e su come individuarne e sfruttarne i punti deboli. Si tratta in realtà di una serie di termini tra i quali riconosciamo molte delle categorie ontologiche. enunciazione conclusiva (siddhånta). Quello che fin qui parrebbe solo un manuale di eristica passa infine a presentare una lista degli argomenti che chi vuole «sapere come agire nelle dispute» deve conoscere. Wien 1984. che viene infine ribadita nell'«enunciazione conclusiva» (siddhånta). «seconda posizione» o «risposta»). tradizione (aitihya). Dopo la fase di cui il testo discusso sopra costituisce un'importante testimonianza. La lista infine si conclude con una serie di termini tecnici del linguaggio eristico. 3. Le “scuole” dei più vari orientamenti si organizzarono intorno a postulati e tesi fondamentali che vennero difesi facendo riferimento a regole comuni di ragionamento. percezione sensibile (pratyakßa). La struttura stessa dell’esposizione nelle opere e nei commentari filosofici rivela la sua origine dalla disputa: su un dato argomento si espone dapprima una tesi avversa (pûrva-pakßa. «prima posizione». poi la si confuta dimostrando la propria tesi (uttara-pakßa. comparazione/analogia (aupamya). il pensiero indiano era ormai pronto a compiere il passaggio verso una sistematica filosofica dotata di tecniche e di procedure discorsive proprie. . inferenza (anumåna). anch'essi di notevole interesse.50 L’India filosofica respinti dalle “scuole»: parola autorevole (çabda). «obiezione»). Parte seconda . . Come si è visto. Contributi notevoli vennero anche dai Jaina e dai Mîmåµsaka. il probans (hetu). 1. 1. Epistemologia e logica I: il Nyåya. 3) risponde sostenendo che essi sono i quattro seguenti: percezione (pratyakßa). 1. «Il probans è la proposizione che asserisce "la causa dello stabilimento del probandum" (sådhya-sådhana) attraverso la somiglianza [del soggetto o pakßa] con l'esempio citato [udåhara±a]. 32)». All'interrogativo epistemologico «quali sono i “mezzi di conoscenza” (pramåna)?» il Nyåya (Nyåyasûtra I. l'esemplificazione (udåhara±a). Il tipo di problemi che. comparazione analogica (upamåna) e parola autorevole (çabda). similmente. il probans è la .1. con terminologia di derivazione greca. l'applicazione (upanaya) e l'asserzione conclusiva (nigamana)» (NS I. All'interrogativo logico «qual è la struttura dell'inferenza valida?» i Nyåyasûtra (d'ora innanzi NS) offrono la seguente risposta: «I componenti dell'inferenza (anumåna) sono: l'asserzione preliminare della tesi (pratijñå). le origini di questo tipo di dottrine vanno ricercate nella pratica e nella teoria della disputa. chiamiamo «logici» ed «epistemologici». nonché dai filosofi del linguaggio. inferenza (anumåna). furono in India affrontati soprattutto dalla scuola Nyåya e da alcune correnti buddhiste. 11) la controversia (jalpa). 15) la confutazione insussistente (jåti) e 16) i punti deboli dell'avversario (nigrahasthåna). 34-35). nel Nyåya.i NS si occupano dei seguenti argomenti: 3) il dubbio (saµçaya). 1. dell'elaborazione sistematica di qualche manuale di eristica. come vedremo. 7) i membri (avayava) dell'inferenza. 5) l'esempio (d®ß¥ånta). Come si vede. si tratta di una dottrina giunta ad un elevato grado di elaborazione tecnica. molte provengono dall'ambito della teoria della disputa. 6) la conclusione (siddhånta). 13) l'errore logico (hetvåbhåsa). il cui orizzonte è invece quello della “logica formale”. 4) l'intento (prayojana). Delle sedici “categorie” trattate dai NS. 9) la tesi (nir±aya). La presenza nei NS dei .54 L’India filosofica proposizione che asserisce "la causa dello stabilimento del probandum" attraverso la dissomiglianza (vaidharmya) [del soggetto con l'esempio contrario citato]» (NS I. 10) la disputa o obiezione (våda). 8) l'argomentazione (tarka). 14) l'inganno (chala). 12) il cavillo (vitå±∂a). È molto probabile che i NS attribuiti a Gautama (detto anche Akßapåda) costituiscano il risultato. sembra sorgere spontaneamente) con il sillogismo aristotelico. almeno per le parti più antiche. Abbiamo appositamente accostato l'elenco dei mezzi di conoscenza alla descrizione della struttura dell'inferenza per sottolineare fin dall'inizio la continuità. Sarebbe dunque fuorviante voler valutare lo schema inferenziale che costituisce il nucleo centrale della “logica” indiana classica sulla base di un confronto (che pure. tra l'epistemologia e la logica (ma il giudizio si può estendere a gran parte della logica posteriore). 2. infatti. giacché oltre che dei 1) pramå±a e dei 2) prameya – rispettivamente “mezzi di conoscenza» e “oggetti di conoscenza» . facoltà sensoriali e d'azione. Çrîdhara e soprattutto Udayana. 5) nigamana: «dunque il suono è non-eterno. frutto delle azioni. I NS furono commentati innanzitutto da Våtsyåyana (V sec. ossia la dimostrazione della non-eternità del suono (contro la tesi eternalista tipica della “scuola” denominata Mîmåµså). colpe. perché ha la caratteristica di esser prodotto».). corpo. sul tronco della tradizione logico-epistemologica della scuola Nyåya. Våcaspati Mîçra poi nel X secolo difese l'opera di Uddyotakara dagli attacchi dell'erede di Dignåga. Epistemologia e logica I: il Nyåya 55 prameya (“oggetti di conoscenza»: åtman. che ne prese le difese contro gli attacchi del logico buddhista Dignåga. In questo caso il probans è basato sulla similarità (del suono con la pentola). Torniamo ora alla struttura del processo inferenziale (anumåna). sofferenza e liberazione) attesta l'avvenuto innesto. di una tradizione metafisico-soteriologica. Per vederne da vicino il funzionamento riporteremo un esempio tipico. oggetti dei sensi. 4) upanaya: «similmente. Altri importanti filosofi della scuola furono Jayanta Bha¥¥a.).Parte seconda: 2. 3) udåhara±a: «gli oggetti come la pentola che hanno la caratteristica di esser prodotti sono non-eterni». 2) hetu: «perché ha la caratteristica di esser prodotto». . attività. manas. a sua volta commentato da Uddyotakara (VI-VII sec. Ecco il ragionamento a cinque membri: 1) pratijñå : «il suono è non-eterno». Dharmakîrti. 3. Bhåsarvajña. esistenza del trapassato. buddhi. il suono ha la caratteristica di essere prodotto». non si limita ad enunciare una regola di concomitanza astratta («dove c'è fumo c'è fuoco»). lungi dall’essere inessenziale. dunque è non-eterno»). si trova che sono eterni». perché ha la caratteristica di esser prodotto». il suono è prodotto. 5) nigamana: «dunque il suono è non-eterno. 1 Ma l'esempio più spesso citato di processo inferenziale è il seguente: 1) pratijñå : «sulla montagna c'è fuoco». ma associa sempre a questa regola un esempio. . 2) hetu: «perché ha la caratteristica di esser prodotto». Se lo si trasformasse in un sillogismo (ad es. Questo fatto. 4) «upanaya: c'è fumo sulla motagna». che ancorano l'inferenza alla “realtà” e mostrano che la regola da applicare non è “vuota”. 4) upanaya: «ma il suono non ha la caratteristica di essere non prodotto». 5) nigamana: «dunque sulla montagna c'è fuoco». che non hanno la caratteristica di esser prodotti. 2) hetu: «perchè c'è fumo». come il sé. si perderebbe l'esibizione dell'esempio. l'udåhara±a. : «tutto ciò che è prodotto è non-eterno. 3) udåhara±a: «dove c'è fumo c'è fuoco. come nella cucina». 3) udåhara±a: «gli oggetti. rivela la natura profonda della concezione indiana del processo inferenziale: esso combina in modo inseparabile deduzione e induzione. o del controesempio.56 L’India filosofica La seconda possibilità è che il probans sia basato sulla dissimilarità: 1) pratijñå : «il suono è non-eterno».1 Si sarà notato che il terzo passo. si incentrerà la ricchissima riflessione logica che coinvolgerà Nayåyika. . e sui problemi posti dalla sua “ambiguità”. Buddhisti e Jaina per oltre un millennio.Parte seconda: 2. Epistemologia e logica I: il Nyåya 57 Su questo schema inferenziale. al di là dell'India. Sviluppi nel Buddhismo. Comparative philosophy and the Philosophy of Scholarship[1990].abbia oltrepassato i confini dell'India e dell'espansione buddhista. 2 Su questo tema si veda Tuck.1 Le risonanze attualizzanti del suo pensiero costituiscono con ogni probabilità una componente non inessenziale delle continue controversie interpretative che il suo lascito filosofico suscita tra gli studiosi. anche europei e americani. La sua dottrina antidottrinaria della vacuità (çûnyatå) non solo ebbe un'influenza decisiva su gran parte delle correnti filosofiche buddhiste successive. ecc. estranei a quella tradizione. Någårjuna 1. Giappone. in Cina. Si può inoltre dire che il fascino intellettuale di una dottrina che sfocia nella negazione di se stessa – o meglio la comprende in sé . Tibet. che si sarebbe diffuso.2. Någårjuna fu una delle personalità filosofiche più forti dell'India antica.2 1 Si vedano ad esempio nella sezione “Filosofi moderni sul pensiero indiano” le pagine dedicate a Någårjuna da Karl Jaspers. ma più in generale costituì una delle strutture portanti del Buddhismo Mahåyåna. e non abbia mancato di esercitarsi su pensatori. . 3 d'ora in poi MK). oltre ad alcuni inni poetici. un'opera divulgativa dotata di notevole forza polemico-argomentativa (si veda la sezione antologica). vanno considerati Çåntarakßita e Kamalaçîla (VIII sec. pp. andrà segnalata soprattutto la Vigrahavyåvartanî (La sterminatrice degli errori. Någårjuna. Su di lui esiste una nutrita tradizione agiografica dalla quale poco si può trarre per ricostruire la sua biografia. (a cura di). Tra le altre opere di Någårjuna. La più importante tra le opere che si possono considerare autentiche è quella intitolata Madhyamaka-kårikå (Le stanze del cammino di mezzo. Sironi. Le stanze cit. Någårjuna riprende la nozione di vuoto (çûnya) dalla letteratura della «Perfezione della Gnosi» (prajñåpåramitå) e 3 Tradotte in italiano da Raniero Gnoli: Någårjuna. anche in Gnoli. Milano 1992. ma fortemente influenzati dalla logica di Dignåga e Dharmakîrti e dallo Yogåcåra. R.). si veda anche Någårjuna. Torino 1983.. visse a quanto pare nel II sec. autore del Bodhicaryåvatåra. . tra le quali anche alcune di carattere alchemico. 4 Anch'essa tradotta in italiano in Någårjuna. Någårjuna 59 2.Parte seconda: 2. a cura di A. Testi buddhisti in sanscrito. 3. C. Instancabile diffusore del Buddhismo Mahåyåna e del Madhyamaka fu poi Çantideva (VIII sec. autore dell'importante commento intitolato Prasannapadå. Le stanze del cammino di mezzo. Nel solco del Madhyamaka.). Essa fu difesa e commentata da vari esponenti della scuola. Bhavaviveka (V e VI sec. 139-56. Sviluppi nel Buddhismo.4 d'ora in poi VV). Torino 1961. Lo sterminio degli errori. che costituisce il testo-base del Madhyamaka.) e Candrakîrti (VII sec. d. Gli sono attribuite moltissime opere. tra i quali vanno ricordati Buddhapålita. Discepolo diretto di Någårjuna fu Åryadeva. nato nell'India meridionale.). è stabilita l’esistenza dei mezzi di conoscenza?» (VV 30-1). in polemica con la dogmatica dell'Abhidharma. Någårjuna 5 La polemica sullo svabhåva dei dharma si può leggere in VV 52 ss. sono «vuoti»:5 Någårjuna ripete cioè contro lo svabhåva l'antico argomento dell'anattå. in ultima analisi. Någarjuna attacca la dottrina secondo cui i dharma (gli elementi ultimi e istantanei della realtà) sarebbero dotati di «natura propria» (svabhåva). eccetera. 4. «Se io percepissi.60 L’India filosofica ne fa il cardine interpretativo della dottrina della «coproduzione condizionata»: «la coproduzione condizionata. questa e non altro noi chiamiamo la vacuità» (MK XXIV. inoltre. visto che nulla percepisco. condensato nella frase «tutti i dharma sono privi di sé». La critica çûnyavåda non si limita alla confutazione della «natura propria» (svabhåva) e dei pramå±a: in generale si appunta contro la fondatezza di ogni tesi positiva. In altre parole. l’ammetterei o la negherei. tu pensi che l’esistenza delle varie cose è stabilita dai mezzi di conoscenza. Ciò è chiarissimo nelle MK. da che cosa. ovviamente. 5. In particolare. qualcosa. la «vacuità» designa in primo luogo l'interdipendenza e l'impermanenza dei fenomeni. Ma. . Un secondo obiettivo polemico di Någårjuna è la teoria dei mezzi di conoscenza sostenuta dal Nyåya e in generale (pur con notevoli differenze) dalle «scuole» bråhma±iche. la mia posizione è inobiettabile». è la pretesa di stabilire attraverso i pramå±a la “realtà” degli oggetti conosciuti. «Se. dove una dopo l'altra tutte le varie posizioni filosofiche vengono confutate dimostrando che esse hanno inevitabilmente implicazioni assurde. 18). Anch'essi invece. Sotto accusa. dí un po’. mediante la percezione diretta. così il çûnyavåda è una «via mediana» (madhyamaka. manda in rovina l’uomo di corto vedere. Di conseguenza Någårjuna deve rispondere all'obiezione secondo cui anche le quattro nobili verità del Buddha sono «vuote» (si veda la sezione antologica). L'apparentemente paradossale negazione degli stessi dogmi buddhisti conduce ad una domanda radicale sulla natura del çûnyavåda: in che cosa consiste la differenza tra esso e il nichilismo (ucchedavåda)? La risposta di Någårjuna è la seguente: il çûnyavåda stesso deve essere preservato dal divenire una tesi (VV 29). si trasformerebe in una fonte di pericolo: «La vacuità. Bugault. G. Raggiungiamo così il punto più alto della dialettica någårjuniana. A tale critica radicale sono sottoposte anche le verità buddhiste. Paris 1994. 3) «né è né non-è». Si veda. 2) «né non-è». male intesa. in quanto passibili di essere assunte dogmaticamente. Come l'insegnamento del Buddha era stato una «via mediana» tra gli estremi del soddisfacimento e della mortificazione. «E per questo.6 Si tratta di dimostrare di ogni cosa che 1) «né è». pensando alla difficoltà che avrebbero avuto gli uomini di corto vedere a penetrarla» (MK 11-12). Se lo divenisse. Sviluppi nel Buddhismo.. così come il serpente male afferrato o una formula magica male applicata». da cui il nome della “scuola”) tra eternalismo 6 Già utilizzata nel Buddhismo primitivo (vedi il discorso a Vacchagotta). . 4) «né non-è né non non-è».Parte seconda: 2. anche per un interessante confronto con il rifiuto aristotelico di utilizzare questo schema tetralemmatico. Någårjuna 61 fa spesso un uso brillante della struttura argomentativa della catußko¥i. L'Inde pense-t-elle?. 6. la mente dell’Anacoreta si tirò addietro dall’insegnamento della legge. 62 L’India filosofica (çasvåtavåda) e nichilismo (ucchedavåda). ma nel senso che è oltre gli estremi. cioè li supera entrambi. . 7. deve essere abbandonata. Le quattro nobili verità possono certo essere dichiarate vuote dal punto di vista assoluto. Resta tuttavia il problema: che cosa si deve pensare del dharma buddhista? Occorre seguirlo? Come ci si deve comportare nella vita ordinaria? Nasce da questo tipo di interrogativi la dottrina della doppia verità: quella «assoluta» (paramårtha) e quella «relativa del mondo» (lokasaµv®ti). A questo secondo livello il dharma buddhista continua ad essere indispensabile. una volta condottici all'altra riva. dove «via mediana» va inteso non nel senso che sta in mezzo. ma non da quello relativo. pur nella consapevolezza che si tratta di una zattera che. 1. a tutto quanto è manifesto. ma la traduzione è fuorviante) è coscienzialità pura. Il purußa (normalmente si rende con «spirito». uno per ciascun individuo. Contrariamente a quello che ci si potrebbe attendere.alla pura coscienzialità del purußa. entrambi reali ed eterni. ma entrambe le dimensioni sono pensate come radicalmente opposte . e ciò . opposti tra loro: il purußa e la prak®ti. intendendo con ciò sia la realtà materiale che la realtà mentale e “psichica”. il purußa non è uno: esiste infatti eternamente una pluralità infinita di purußa. La prak®ti (normalmente si rende con «natura») è invece attività pura ma inconsapevole: è il principio che da immanifesto (avyakta) dà origine. Non solo infatti nel Såµkhya c'è continuità tra “corporeità” e “psichicità”. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå. non soggetta a modificazioni. per evoluzione/trasformazione (pari±åma). Il Såµkhya è una dottrina dualista che distingue due principi. ma la natura di questo contatto non è sufficientemente tematizzata. Il quale di conseguenza non è affatto una realtà “psichica”.in quanto prak®ti . assolutamente inattiva.3. È questo un punto da sottolineare. Ogni purußa è in contatto con la prak®ti. dell'immanifesto (a-vyakta) e del conoscitore (jña) [cioè il purußa]» (Såµkhyakårikå 2)..1 Alcune porzioni del Mahåbhårata (soprattutto la Bhagavadgîtå e il Mokßadharma)2 attestano come intorno all'inizio dell'era volgare il «proto-Såmkhya» avesse già sviluppato molte delle categorie che diverranno 3 caratteristiche del Såµkhya “classico”. diverso da essi. 2 Il Mokßadharma è una sezione del libro XII del Mahåbhårata. può essere considerata un precedente della dottrina della preesistenza dell'effetto nella causa. E. secondo cui l'Essere nasce necessariamente dall'Essere e avrebbe tre manifestazioni. non è quello rivelato dai Veda (cioè non è la pratica rituale e sacrificale). «Superiore [ai mezzi rivelati] è quel mezzo. Il Såµkhya è ritenuto uno dei darçana più antichi e conserva anche nel periodo “classico” molti tratti di arcaicità. si dice esplicitamente. In generale sul Såµkhya «pre-classico» e i suoi rapporti con il Såµkhya classico si possono vedere Johnston. anche nelle più antiche. Early . 3 Altre testimonianze del «proto-Såµkhya» si possono trovare nei trattati medici (soprattutto nella Carakasaµhitå) e nel XII canto del Buddhacarita di Açvaghoßa (si veda la tr. it. Una fase ulteriore e 1 La stessa dottrina di Uddålaka Åru±i (Chåndogya Up. Passi: Le gesta del Buddha. che proviene dalla conoscenza discriminativa (vijñåna) del manifesto (vyakta). Tracce significative di quello che viene chiamato «proto-Såµkhya» si trovano già nelle Upanißad. Milano 1979). Tale mezzo. di A. Scopo della dottrina è descrivere il «mezzo» per far cessare l'«oppressione dovuta al dolore» (Såµkhyakårikå 1). 2-5). Prologo). VI. fuoco (rosso).64 L’India filosofica costituisce ovviamente uno dei problemi teorici più rilevanti del Såµkhya. e delle concezioni della prak®ti e dei tre gu±a (vedi sopra.H. 2. acqua (bianco) e nutrimento (nero). Se. . R. S.C.) e Vijñånabhikßu (XVI sec. Infatti il processo creativo (sarga) è causato dall'«associazione» (saµyoga) o Såµkhya.) quello di gran lunga più importante è la Yuktidipikå.). Såµkhya: A Dualist Tradition in Indian Philosophy. (eds.). al Vedånta. London 1937. pp. Essa svolge lo stesso ruolo che in altri darçana svolgono i sûtra di base. la Såµkhyakårikå (350-450 d. e la Suvar±asaptati tradotta in cinese da Paramårtha sempre nel VI sec.Parte seconda: 3. G.. . 14-18. 3. Soprattutto con quest'ultimo il Såµkhya subisce un processo di assimilazione. . Larson. la prak®ti cesserebbe di essere attiva. R. 2) il ruolo della buddhi nella relazione tra purußa e prak®ti. costituisce una sintesi e al tempo stesso una rielaborazione delle dottrine precedenti. ci soffermeremo sui seguenti temi: 1) la teoria della preesistenza dell'effetto nella «causa materiale» (satkåryavåda). 5 Un elenco esaustivo e una articolazione in tendenze delle opere della tradizione Såµkhya si può trovare in Larson. G. Tra i commenti più tardi spiccano quelli di due grandi dotti: Våcaspati Miçra (X sec. per ipotesi assurda. o meglio di subordinazione.5 Nel seguito. Delhi 1979. Såµkhya cit.. G.Bhattacharya. Larson. S. L'elegante opera di ¡çvarak®ß±a. Classical Såµkhya. Princeton 1987. d'ora in poi SK). 4 Edita per la prima volta nel 1938.4 databile al VII sec. i purußa cessassero di esistere. dopo aver rapidamente tratteggiato la teoria dei gu±a e dei derivati della prak®ti. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå 65 più sistematica sarebbe rappresentata da uno o più testi ora perduti intolati Íaߥitantra. Tra i vari commenti antichi (noti sono soprattutto quello di Gau∂apåda del VI sec. (eds).Bhattacharya. afferrare. Nelle SK gli evoluti elementari della pråk®ti . il tranquillo. odore) e infine i cinque elementi grossi (“etere”. Aggiungendo il purußa e la prak®ti i principi enumerati sono dunque venticinque. ha un ruolo decisivo nel processo di “liberazione” del purußa. ecc. gusto. che. contatto. procreare). l'errore. odorare). acqua. . l'inerte. le cinque facoltà di senso (udire. il movimento di emergenza della prak®ti dallo stato immanifesto e primordiale (mûla-prak®ti. i cinque elementi sottili (suono. i tre gu±a. senza la presenza del purußa.i tattva . Al contrario.: «calcolo») tragga origine da questa e da altre «enumerazioni» analoghe.). aria. come si vedrà. muoversi. che. l'intelligibile. e il tamas (l'oscuro.66 L’India filosofica compresenza dei due principi.sono ventitre. resterebbero in una condizione di equilibrio inattivo. È probabile che la denominazione «Såµkhya» (lett. gustare.). vedere. prak®ti-radice) allo stato manifesto non comincia dagli elementi «grossi» per passare poi agli elementi «sottili» e così via. associazione che è come quella di uno zoppo (il purußa immoto) con un cieco (la prak®ti priva di coscienzialità). ecc. Contrariamente a quanto può far supporre la traduzione di prak®ti con «natura». il rajas (il rosso. Seguono il senso dell'io (ahaµkåra) e il sensorio comune (manas). lett. ecc. I gu±a sono il sattva (il bianco e luminoso. evacuare.6 L'attività della cieca prak®ti è dovuta al movimento incessante dei suoi tre costituenti fondamentali. l'eccitato e dinamico. forma. l'instabile.). toccare. 6 Vedi SK 21. le cinque facoltà d'azione (parlare. terra). il primo derivato è proprio l'elemento che sta assiologicamente all'apice della catena dei derivati: la buddhi (spesso il termine viene reso con «intelletto»). fuoco. La portata di questa osservazione può in realtà essere estesa fino a dire che il Såµkhya stesso costituisce una specie di “dottrina generale”.8 7 Su questo punto insiste Torella..sempre presente sullo sfondo degli altri sistemi filosofici. poiché (d) la produzione del[l'effetto] possibile è propria di ciò che può [produrlo]. perché esso costituisce una sorta di patrimonio o lessico comune delle dottrine indiane. pur senza discutere il dettaglio della loro derivazione. un presupposto . ma (e)non è essenzialmente diverso dalla sua causa (materiale). più precisamente.da accettare o da rifiutare polemicamente . il grano. 9). della produzione dell'effetto come «trasformazione» (vikåra) della causa materiale. «Poiché (a) non si dà produzione di ciò che non esiste (asat). . il Såµkhya conosce anche la nozione di «causa efficiente».7 4. dato che (a) non si può produrre ciò che non esiste già. poiché (b) si dà selezione del materiale. o in questo caso. 8 Contrariamente all'accusa portata dai pensatori del Nyåya. e poiché (e) l'effetto ha la stessa essenza della causa: [per questi motivi] l'effetto preesiste nella causa» (SK. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå 67 Si è voluto dare l'intero elenco dei venticinque tattva. poiché (c) non si dà originazione di qualcosa da qualsiasi altra. L'effetto è sì “reale”.Parte seconda: 3. e (c. (b) per produrre un vaso si deve ricorrere all'argilla. Såµkhya as såmånyaçåstra. 553-562. Così ¡çvarak®ß±a formula l'importante teoria della preesistenza dell'effetto nella sua causa (sat-kårya-våda). Tutto ciò che si produce preesiste allo stato latente nella sua causa materiale. R. d) dal chicco di riso non nasce qualcosa di diverso dal riso. Si tratta di una teoria della causalità che viene spesso descritta come teoria dell'identità dell'effetto e della causa. in «Asiatische Studien/Études Asiatiques» 53/3 (1999) pp. ad es. Albany1992. come dice con precisione la Yuktidipikå. siano create da Dio che ne è privo. di C. Non c'è dunque bisogno di postulare un Dio creatore (come invece avverrà in altri sistemi) o altre cause. il commento di Gau∂apåda alla strofa 61: «come è possibile che le creature. Il purußa è coscienzialità pura o. soprattutto. pp.10 5.9 Tutti i derivati sono preesistenti eternamente nella prak®ti.. On Being and What there is. . Pensa). più che dal desiderio di rendere conto del processo causale. Classical Vaiçeßika and the History of Indian Ontology. nel commento a SK 1. un derivato della 9 Su questo punto si veda Halbfass. così come alle varie correnti buddhiste (che sostengono discontinuismo e istantaneismo nel rapporto tra causa ed effetto) e allo scetticismo radicale dei Cårvåka (secondo i quali i rapporti tra quelli che percepiamo come «cause» ed «effetti» sono accidentali). W. 58 sgg. mentre la prak®ti non è dotata di coscienza (è acetana): come può dunque la buddhi. di attribuire alcuna causalità o attività al purußa.68 L’India filosofica Questa teoria “fortissima” della causalità apparenta il Såµkhya all'Advaita Vedånta (dove però l'effetto non è “reale”) e lo contrappone al Nyåya-Vaiçeßika (l'effetto è nuovo e diverso rispetto alla causa). 11 Ad es. o dall'anima [cioè il purußa] che ne è altrettanto priva? Onde la causalità appartiene alla stessa natura» (tr. né. la cui esistenza evita il regressus ad infinitum. La teoria della preesistenza dell’effetto nella causa è decisiva per riservare alla prak®ti (nella forma dei suoi tre gu±a) il ruolo di causa ultima (pradhåna) e unica del manifesto e delle sue trasformazioni.11 «potenza di coscienza» (cetanåçakti). da preoccupazioni ontologiche. le quali sono provviste degli elementi costitutivi. Da ciò si deduce che questa teoria è motivata. 10 Vedi ad es. ma nella buddhi. .12 Tale relazione ha un'importanza decisiva anche nel processo di “liberazione” . elaboreranno una teoria del «riflesso» (pratibimba) e del «mutuo riflesso» (anyonyapratibimba) per descrivere la relazione tra la buddhi e il purußa. lasciando il purußa nel suo definitivo isolamento. come può il purußa. ossia quando la buddhi conosce discriminativamente la differenza tra manifesto/immanifesto e conoscitore. essere capace di conoscenza discriminativa e di intelligenza? Viceversa. che è inattivo. attraverso varie fasi. che. la stessa dolorosa trasmigrazione del «corpo sottile» . Tutto ciò che avviene .è una danza che la prak®ti compie «a favore del purußa» (purußårtha).Parte seconda: 3. L'atto conclusivo di questa danza si ha quando la danzatrice «sa» di essere «vista». cioè quella di “raggiungere” lo stato di isolamento (kaivalya). il purußa come lo spettatore. Il purußa viene così generosamente sollevato anche dell'unica azione che sembrerebbe competergli. l'acquisizione del merito. La prak®ti attiva è immaginata come una danzatrice.le trasformazioni della prak®ti. Il Såµkhya della Såµkhyakårikå 69 prak®ti. accogliere le esperienze che la buddhi gli porge? Questo interrogativo non cesserà di tormentare i filosofi del Såµkhya. 12 Le due teorie saranno esposte rispettivamente da Våcaspati Miçra e Vijñånabhikßu.giacché questo avviene in virtù di un atto conoscitivo che si attua non nel purußa. Solo allora la prak®ti cessa la sua attività.come si può vedere nelle ultime strofe delle SK riportate nella sezione antologica . fuoco e aria) in atomi (a±u o paramå±u). eterni e invisibili. o «oggetti di parola». Che cosa è “reale”? Che cosa “c'è” veramente? Sono questi gli interrogativi che orientano la ricerca del darçana chiamato Vaiçeßika. 3) azione o movimento (karman). 1. L'atomismo è un tratto caratteristico. spesso si traduce con «categorie»): 1) sostanza (dravya). Si tratta di un sistema filosofico realista e pluralista. Il suo obiettivo è quello di identificare ed enumerare esaustivamente.4. 6) inerenza (samavåya). acqua. del Vaiçeßika. gli elementi della realtà non ulteriormente riducibili. Si noterà che gli ultimi tre padårtha sono eterogenei rispetto ai primi tre. L'ontologia del (Nyåya-)Vaiçeßika.1 1 Pertanto non è forse un caso che il nome con cui è noto l'autore del testo di base della scuola (i Vaiçeßika-sûtra). tramite l’analisi. 5) particolarità (viçeßa). Ad un primo livello di analisi il Vaiçeßika classifica ciò che esiste in termini di sei padårtha («significati». se pur non esclusivo. le qualità 17 (o più). “Il mangia-semi”) . 2) qualità (gu±a). 4) universalità (såmånya). A un secondo livello l'analisi scompone ulteriormente alcune delle sostanze (le prime quattro: terra. 5 (o più) i movimenti. e cioè «Ka±åda» (che si potrebbe tradurre come “Il mangia-particelle”. Le sostanze sono 9. 4 La categoria di a-bhåva viene aggiunta come settima e ultima categoria anche in un'opera del XII sec. la Saptapadårthî (Le sette categorie) di Çivåditya. per esempio. alla sua dottrina. Un importante commento all'opera di Praçastapåda è la Vyomavatî di Vyomaçiva. che la lista delle sei «categorie» risalga a Praçastapåda. 3 W. in quest'opera il numero delle categorie è elevato a dieci. Albany 1992.. Classical Vaiçeßia and the History of Indian Ontology. Halbfass propone di interpretare il termine come “universale per se”. Si può anzi dire che il “sistema” di Praçastapåda costituisca il punto di partenza per gli ulteriori sviluppi della scuola.). Oltre ai Vaiçeßika-sûtra (d'ora innanzi VS) la cui composizione risale ai primi secoli dell'era volgare.). solo le prime tre. che non è un commento ai sûtra. verosimilmente ironico. l'opera più autorevole della scuola è il Padårtha-dharma-saµgraha di Praçastapåda (V-VI sec. p. L'ontologia del (Nyåya-)Vaiçeßika 71 2.Parte seconda: 4.).2 Minore influenza ha avuto il Daçapadårtha-çåstra di Candramati (V sec. perduto nell'originale sanscrito e a noi noto attraverso una traduzione cinese. poiché nei VS le categorie erano originariamente. con ogni probabilità. . 2 Si può addirittura ipotizzare. Un altro nome per l'autore dei Vaiçeßika-sûtra è Ulûka. ma un'opera originale che si discosta in vari punti dall'opera di base (per esempio presenta 24 «qualità» rispetto alle 17 dei VS).4 Il più antico commento ai VS a noi giunto sembra essere quello di Candrånanda (secondo Halbfass forse del IX-X sec. 72). Come indica il titolo (Trattato delle dieci categorie). contenga un accenno.3 “potenzialità” e “non-potenzialità” (çakti e a-çakti) e non-essere (a-bhåva). grazie a quattro aggiunte di notevole interesse teorico: “universalità limitata” (såmånyaviçeßa). “esistenza” (On being and what there is. con il Nyåya. gli oggetti forniti dalla percezione sensoriale sono costituiti in ultima analisi da atomi. l'esistenza dell'intero è provata dal fatto che possiamo «tenerlo e spingerlo» (NS II. al di là di questa conseguenza paradossale. che sotto la spinta di una forza invisibile (ad®ß¥a) si aggregano dapprima in diadi e poi in triadi di diadi . in secondo luogo. al mero ammasso delle parti. 1. «se non si prova l'esistenza dell'intero. Rispetto. che negavano la realtà degli interi compositi o aggregati. il Vaiçeßika contribuisce con la sua sviluppatissima ontologia a completare l'epistemologia e la logica tipiche del Nyåya. Gli studiosi sono perciò propensi a parlare di un'unica scuola. Ora. cioè. Nelle pagine che seguono si cercherà di mettere in luce due degli aspetti più controversi della dottrina Vaiçeßika. 33). contrariamente all'eventuale . la teoria degli aggregati e la teoria della causalità. 1. il Nyåya-Vaiçeßika. perché [la sua esistenza] va provata» (NS II. 34).72 L’India filosofica Nel corso della seconda metà del I millennio il Vaiçeßika tende a fondersi. Il realismo atomista del Vaiçeßika doveva cercare di rispondere alla sfida portata dai buddhisti. l'intero è dotato di qualità ulteriori e distintive: il carro dei buddhisti può essere «tenuto» e «spinto» in avanti. il Vaiçeßika e il Nyåya affermano in generale che le totalità composte di parti costituiscono qualcosa di diverso e di nuovo rispetto alla semplice somma delle parti. ne consegue che non si dà apprensione di nessuna cosa» (NS II. che «c'è incertezza a proposito dell'intero (avayavin).e così via. 35). In altri termini. Essi ammettono. in un rapporto di complementarità. 3. Secondo il Vaiçeßika. 1. infatti.raggiungendo a questo punto la soglia della visibilità . tuttavia affermano che a questo dubbio si possono dare due risposte: in primo luogo. Infatti tale concezione implica che qualcosa che «non c'era» giunga all'esistenza: dunque il prodotto (in questo caso il tutto) non preesiste nella sua causa materiale (in questo caso le parti). ecc. e sostiene apertamente che l'effetto non è “reale” già nella causa. in quanto questi ultimi sono entrambi visibili. la realtà e la non-realtà non possono coesistere nell'effetto [prima della sua produzione]» (VS IX. Se infine si vuole attaccare la teoria atomica adducendo per analogia i casi della foresta composta di alberi e dell'esercito composto di guerrieri. 8. gli atomi sono [intrinsecamente] impercettibili» (NS II. L'ontologia del (Nyåya-)Vaiçeßika 73 mucchio dei suoi componenti (ruote. assi. Né esso può essere. 4. Essa è infatti in aperto contrasto con la teoria della preesistenza dell’effetto nella causa (satkåryavåda). sostenuta ad esempio dal Såµkhya.5 Questa dottrina è nota come a-satkåryavåda. 7) . come sostengono alcuni. perché «a differenza degli esempi proposti. e costituisce un importante tentativo di affrontare il problema del divenire. la risposta è che l'analogia non tiene. Dato poi che prima della sua produzione non si dà alcuna percezione dell'effetto (VS IX.). 8.se ne conclude che prima della sua produzione l'effetto è solo irreale. La teoria secondo cui l’«aggregato» (avayavin) è qualcosa di nuovo rispetto alla somma delle «parti» (avayava) pone tuttavia rilevanti problemi a livello ontologico. sia reale che non reale: «poiché il reale e l'irreale sono eterogeni. 1. 12). . Il (Nyåya-)Vaiçeßika non indietreggia di fronte a questa conseguenza. 36).Parte seconda: 4. cioè il rapporto tra atomi e intero è diverso da quello che intercorre tra elementi e insieme. alternativo 5 Si veda il brano riportato nella sezione antologica.percezione che ne attesterebbe la realtà . 6 Il divenire.74 L’India filosofica all'idea che il divenire sia solo una trasformazione (vikåra) di una sostanza che resta tuttavia eternamente identica a se stessa. è un giungere all’esistenza di qualcosa che prima non c’era. 57). On being cit. 6 Wilhelm Halbfss suggerisce per questa opposizione un modello tratto dalla riflessione linguistica indiana: la distinzione che Patañjali il grammatico fa tra vikåra (trasformazione) e ådeça (sostituzione) (Halbfass. p.. è passaggio dall’irreale al reale. . secondo il (Nyåya-)Vaiçeßika. Sono le costruzioni mentali e linguistiche infatti che. ecc. «Ci sono soltanto due mezzi di conoscenza (pramå±a). e cioè la percezione sensoriale (pratyakßå) e l'inferenza (anumåna). Nyåyamukha of Dignåga. G. Infatti la «parola autorevole» si fonda essa stessa sulla percezione di qualcuno. come la parola autorevole. . causano l'errore. Heidelberg 1930.). (ed. Per Dignåga la percezione sensoriale (pratyakßå) è un mezzo di conoscenza valido in quanto essa fornisce una conoscenza pura. si potrebbe dire. naturalmente. immediata. sono contenuti in questi due». Oggetto della percezione sensoriale è la «caratteristica propria» (sva-lakßana) del 1 Tucci. in "Materialien zur Kunde des Buddhismus" 15. 50. La conseguenza implicita di questa riduzione era. mentre l'«analogia» non è che un caso di inferenza.5. la polemica del buddhista Dignåga (V-VI sec. che la «rivelazione» non poteva essere invocata per fondare l'esistenza di enti soprasensibili. sovrapponendosi alla percezione e interferendo con essa. perché gli altri si riducono a quelli. l'analogia.1 Parte da qui. 1. e tr. libera da ogni costruzione mentale (kalpanå). Epistemologia e logica II: Dignåga. perché gli altri. p. ma solo due.) contro l'epistemologia del Nyåya (e in generale delle scuole bråhma±iche): i pramå±a indipendenti non sono quattro. 11-13. Dignåga sarebbe nato alla fine del V secolo vicino a Kañchi. coinvolgendo l'attività della mente.. Altri autori notevoli della scuola logica buddhista furono Dharmottara. Scrisse varie opere di epistemologia e di logica. Ogni atto percettivo è puntuale. nell'India meridionale. pp. insoddisfatto dell’insegnamento dei suoi maestri.che Dignåga chiama le due «forme del conoscere». Oltre al pratyakßa Dignåga accetta. Suo successore fu Dharmakîrti (autore del Pramå±avårttika). 3. per Dignåga. così come è puntuale la conoscenza che esso produce. corre continuamente il rischio di essere inficiata dalle costruzioni mentali. si sarebbe recato nell'India settentrionale per divenire discepolo di Vasubandhu. Berlin 1969. Stando alle notizie biografiche che ci sono giunte.2 2. Tuttavia a questa conoscenza si accompagna sempre. la percezione di sé in quanto percipiente: l'atto percettivo è così distinto in due momenti . E. da famiglia bråhma±ica. Il compito che Dignåga si assume è 2 Si veda Pramå±asamuccaya I. la conoscenza per eccellenza. un mezzo di conoscenza indiretto: l’inferenza (anumåna). che finì per oscurarne la fama. È questa. 393-4. . Die Philosophie des Buddhismus. per Dignåga. Altre opere importanti sono l'Hetucakra∂amaru e il Nyåyamukha. Naturalmente l'inferenza. come si è visto. Çåntarakßita e Kamalaçîla.76 L’India filosofica percepito. Il suo capolavoro è il Pramå±asamuccaya. in Frauwallner. Si sarebbe fatto monaco buddhista e.percezione immediata dell'oggetto e autocoscienza del percipiente . b) in qualche sapakßa. dice Dignåga. Il primo passo da lui compiuto consiste nel distinguere tra l'inferenza «per se stessi» e quella «per un altro». . G. allora il risultato dell'inferenza è certamente valido». ma 3) assolutamente assente in tutto ciò che è diverso da esso [vipakßa]. Lo stesso dicasi per i 3 Tucci. lo schema inferenziale «per se stessi» non è a cinque membri come quello classico del Nyåya. poiché è priva delle preoccupazioni comunicative proprie della seconda. Ebbene.. Quella di cui ci si deve occupare speculativamente è ovviamente la prima. Epistemologia e logica II: Dignåga 77 dunque quello di purificare il processo inferenziale da qualunque intromissione arbitraria. (ed. 44.3 È evidente che il punto decisivo di questo passo risiede nell'uso del termine «tutto»: la validità dell’inferenza poggia sulla verifica che il «segno caratteristico» definito sia presente in tutti i «membri della classe del soggetto» (sapakßa) e sia simultaneamente assente in tutto ciò che «non appartiene a quella classe» (vipakßa). visto che altri gli due sono ridondanti. c) in nessuno dei sapakßa. Nyåyamukha cit. enunciando la regola dei tre membri (trairûpya): «È evidente che questa è l'unica regola d'inferenza valida: se 1) la presenza di questo segno caratteristico [liºga] definito è stata constatata nel soggetto [pakßa]. p. ma è a tre membri: i primi tre. e se ricordiamo che 2) lo stesso segno caratteristico è certamente in tutto ciò che è simile al soggetto [sapakßa]. e tr. Dignåga compie un deciso passo in avanti verso la risoluzione dell'ambiguità (tra deduzione e induzione) intrinseca allo schema. Dopo aver così “ripulito” lo schema inferenziale da ciò che non è ad esso pertinente.). Dignåga continua poi passando in rassegna tutte le possibilità: in linea teorica un «segno caratteristico» può infatti essere presente a) in tutti i sapakßa.Parte seconda: 5. 4 Per i quali si vedano Matilal. . J. per la coppia sapakßa/vipakßa. nove possibilità. II (1956). tr. che costituiscono quella che Dignåga chiama la «ruota delle ragioni» (hetu-cakra). vyåpti) e che da parte jaina venne enunciato il criterio della «non-occorrenza altrove» (anyathånupapannatva). È impossibile discutere qui i passaggi successivi della storia della logica indiana. Torino 1972.4 Si ricorderà soltanto che ci furono tentativi di intendere in senso estensionale l'«invariabile concomitanza» tra i sapakßa e il liºga (teoria della «pervasione». Di queste nove combinazioni. Combinando in tutti modi possibili si ottengono. e cioè 1) quella in cui il segno caratteristico si trova in tutti i sapakßa e in nessun vipakßa. Albany (NY) 1998 e Bochenski. B.78 L’India filosofica vipakßa.. e 2) quella in cui il segno caratteristico si trova in qualche sapakßa e in nessun vipakßa. 4.K.. The Character of Logic in India.M. Dignåga mostra come solo due costituiscano la base dell'inferenza valida. La logica formale. vol. it. ). Ciò comportò il . data la necessità.). un'opera che presenta già una notevole problematica filosofica. Filosofia del linguaggio: Bhart®hari. a. che cercò di elevare la scienza grammaticale al rango di darçana. Da questo tipo di esigenze trasse origine il grandioso edificio grammaticale di På±ini (IV-III sec. a. Tra le scienze vediche sussidiarie (vedåºga) ben presto fiorirono l'etimologia e la grammatica (vyåkara±a).C. Bhart®hari 1. I.C. Il progressivo affermarsi della lingua sanscrita come lingua dotta delle classi dominanti rese poi indispensabile una codificazione del suo uso. nell'età della filosofia sistematica. Filosofia della parola rituale: la Mîmåµså. di preservare l'eredità del parola vedica. Bhart®hari (V sec d.6. che ebbe carattere al contempo normativo e descrittivo. Erede di questa tradizione fu. Ciò non può stupire. da parte bråhma±ica. che con l'Aߥådhyåyî fissò una volta per tutte le regole normative del sanscrito e fornì un esempio formidabile di che cosa sia la descrizione linguistica. La tradizione bråhma±ica fu sempre interessata al tema del linguaggio.). L'opera di På±ini fu commentata da Patañjali nel suo Mahåbhåßya (forse del I sec.C. 2. Come il Nyåya-Vaiçeßika aveva difeso le totalità composite dagli attacchi analitici dei buddhisti sostenendo che l’aggregato è ontologicamente superiore alla semplice somma delle sue parti. non lo è. nella sua mente la parola (o più precisamente. 14). ciò che è dotato di significato da ciò che invece. Di fatto. Per Bhart®hari. Ma che relazione può esserci tra lo spho¥a e la sequenza fonica? Quando il parlante intende comunicare un significato. così Bhart®hari postula con lo spho¥a un'entità ontologicamente superiore alla semplice sequenza dei fonemi. Le opere filosofiche principali di Bhart®hari sono il Våkyapadîya (La parola e la frase.80 L’India filosofica tentativo di dimostrare che «la grammatica è la porta che conduce alla liberazione» (Våkyapadîya 1. non solo si presenta come un tutto costituito di parti (il che come sappiamo ha implicazioni notevoli sul suo statuto ontologico). chiamata spho¥a (lett. come i fonemi. ma le sue parti (i fonemi) non soddisfano alla condizione essenziale di coesistere simultaneamente. infatti. Le parole esistono? La risposta a questo interrogativo non è affatto scontata nell'ambito dell'ontologia indiana. I grammatici cercarono di risolvere i problemi teorici che nascevano dalla debolezza ontologica della parola distinguendo. come già per Patañjali. il portatore del significato è un'entità “linguistica” diversa dall'insieme dei fonemi. «esplosione» [del significato]). come si vedrà. La parola. «sbocciamento». Lo spho¥a non ha parti e non è soggetto a mutamento temporale. nel linguaggio. quando pronunciamo una parola i fonemi si susseguono prendendo via via l'uno il posto dell'altro. la frase) è . d'ora innanzi VP) e il commento al Mahåbhåßya di Patañjali. Chi ne conosce il principio di funzionamento ottiene il brahman immortale» (VP 1. nel riflesso. al commento (v®tti). Questo significato. 131). a costituire il vero portatore unitario del significato. Il percorso inverso si compie dalla parte dell'ascoltatore. 49-52). per saperne di più. La “grammatica” si pone dunque come un percorso di liberazione. 44). esso stesso privo di parti. unitario e indivisibile. che è immobile. 3. lo spho¥a della frase. ha la natura della pratibhå. la cui attribuzione allo stesso . Infatti «la purificazione della parola è il mezzo per raggiungere il sé supremo. come uno yoga: il çabda-pûrva-yoga (lett. Il cammino previsto da questo yoga non è tuttavia delineato chiaramente nel VP. il «lampo intuitivo». Per illustrare come sia possibile il passaggio da un'unità immutabile e priva di parti ad una sequenza temporale di suoni Bhart®hari usa l'esempio del riflesso nell'acqua: se l'acqua è agitata dalle onde. e dobbiamo ricorrere.Parte seconda: 6. Un altro esempio è quello del pittore. Filosofia del linguaggio 81 presente come spho¥a (VP 1. sembra. Un'analisi analoga vale.: «yoga preceduto dalla parola»). che dipinge come un'unica cosa ciò che vede e percepisce nel tempo in momenti inevitabilmente successivi (VP 1. muoversi continuamente. Attraverso la mediazione di suoni non percepibili (dhvani). per il rapporto tra le parole e la frase (våkya): per Bhart®hari anzi è proprio il våkya-spho¥a. l'oggetto. Ma la filosofia del linguaggio di Bhart®hari non intende limitarsi a queste importanti considerazioni. ad un livello superiore di segmentazione. il parlante trasforma lo spho¥a immutabile e privo di parti in una sequenza di suoni «grossi» finalmente udibili (nåda). ad una forma di non-dualismo (advaita) che non presuppone l'irrealtà del cosmo. «dopo aver preso dimora nella parola che si trova oltre l'attività del respiro. Grammatica e liberazione. Siamo di fronte. dopo aver raggiunto la quiete in se stessi attraverso l'unità che risulta dall'eliminazione della sequenza.. Potter). Quindi. The Philosophy of the Grammarians.2 La Luce suprema è quella del Brahman. e in generale sullo yoga linguistico. al livello più basso. Si parte. dopo aver reciso i suoi legami ed averlo reso libero dai legami. 2 Commento a VP 1. dopo aver raggiunto la luce interiore. con Bhart®hari.R. Brescia 1984. 131. sincronia e cultura. K.82 L’India filosofica Bhart®hari è però incerta. all'inizio del VP. riportata in Coward. che . Princeton 1990. pp. (vol. ingl. descritto. 5 dell'Encyclopedia of Indian Philosophies curata da K. Saggi linguistici in onore di L. si unisce con la Luce suprema».G. egli [cioè chi ha seguito questo percorso]. dalla lingua come sonorità percepibile e sequenziale (vaikharî): la «purificazione della parola» a questo livello consiste nell'uso grammaticalmente corretto delle parole.Kunjunni Raja. Traduco seguendo la tr..secondo lo schema della causalità già riscontrato più volte . H. . pp.non è diverso da esso. dopo aver purificato il discorso e averlo acquietato nella mente. G. . Heilmann. in Diacronia. Appunti sullo yoga linguistico. 46-7.1 Qui il cammino yogico è descritto come una sorta di percorso a ritroso rispetto a quello che si compie nella manifestazione cosmica (vivarta). 91-114. 1 Sulla questione. si veda Franci. Questo Brahman-suono è il fondamento della totalità del reale. come il principio del suono (çabdatattva) che attraverso la sua potenza di tempo e di spazio si manifesta e si dispiega (vivartate) nella molteplicità e nella sequenzialità temporale. Per la Pûrva-Mîmåµså i Veda . 2. La caratteristica fondamentale del rito è di produrre qualcosa che prima non c'era (apûrva).3 I suoi scopi principali sono due: in primo luogo. e la insostituibilità per la liberazione delle loro «ingiunzioni». 1.la çruti. Gli stessi dèi ai quali sono indirizzati i sacrifici sono in realtà ininfluenti per quel che riguarda l'efficacia del sacrificio: questo infatti è efficace di per sé. Compiendo i riti eternamente prescritti (nitya-karman) si interviene sulla 3 I Bråhma±a sono testi ritualistici ed esegetici compresi nel corpus vedico. se i suoi effetti non sono percepibili. perciò. in secondo luogo. da ricercarsi forse nell'esegesi rituale che ritroviamo nei Bråhma±a. Filosofia del linguaggio 83 II. Vedremo come da questo presupposto discendano conseguenze importanti riguardanti la filosofia del linguaggio. e soprattutto. Essa ha certamente origini molto antiche. Filosofia della parola e del rito nella Pûrva-Mîmåµså.sono privi di autore e. I Mîmåµsaka non ammettono l'esistenza di un Dio creatore. eterni (nitya). che evidentemente comprometterebbe l'eternità dei Veda. difendere argomentativamente l'autorità dei Veda. «invisibili».: «Prima Indagine»). ciò non significa che siano inesistenti: sono invece ad®ß¥a. anch'essa estremamente feconda di speculazioni sul linguaggio: la scuola esegetica della Pûrva-Mîmåµså (lett. «ciò che è stato udito» . . Una via notevolmente diversa prese un'altra scuola bråhma±ica. stabilire i criteri di corretta interpretazione della parola vedica ai fini della sua attuazione nel rituale. automaticamente. dagli attacchi mossi anche dalle scuole bråhma±iche (come abbiamo visto per esempio nel caso del Såµkhya).Parte seconda: 6. Un'intera sezione del primo libro dei MS (I.autore dello Çlokavårttika . Le obiezioni degli avversari sono: che il suono (si intende: l'espressione linguistica) è prodotto. anche il linguaggio in cui è espresso deve essere eterno. che è impermanente. e si può così godere di rinascite migliori per poi giungere alla liberazione dell'åtman immortale.). come il sole che splende da ogni parte.) . Contro la teoria dello spho¥a. fu commentato dai due principali filosofi Mîmåµsaka: Kumårila (VII sec. Tuttavia le implicazioni di questo postulato andavano difese dalle obiezioni che venivano mosse dagli avversari. Questo. tuttavia.84 L’India filosofica catena causale del karman e delle rinascite. che una stessa parola può essere pronunciata simultaneamente in luoghi diversi. Ad esempio. A tali obiezioni si risponde che il suono è un'entità latente e non prodotta che si attualizza di volta in volta nell'espressione udibile e che. 4.e Prabhåkara (VII sec. 3. i Mîmåµsaka (in particolare Kumårila) . Il più antico commento a noi giunto è quello di Çabara (forse del IV-V sec. a sua volta. se il Veda è eterno. Il testo-base di questa scuola sono i Mîmåµsåsûtra (MS) di Jaimini (forse dell'inizio dell'era volgare). è ubiqua e può attualizzarsi ovunque. 6-23) è dedicata alla difesa dell'eternità del suono (çabda). in forte opposizione tra loro perfino su punti dottrinariamente essenziali. ecc. 1. Da loro presero origine due diverse tradizioni di Mîmåµsaka. che viene modificato da una sostanza materiale (quando si ha l'elisione o la assimilazione di fonemi contigui). Il postulato dell'eternità e autosufficienza del Veda fa di questa scuola un sistema metafisico impenetrabile alla critica.). e solo in un secondo tempo questi si combinano a formare il significato della frase (teoria dell'abhihitånvaya). Quanto alla referenzialità della parola: il referente della parola è l'åk®ti («forma»). da quelli delle parole che si trovano in relazione sintattica con essa (teoria dell'anvitåbhidhåna). il che non può essere contestato adducendo la loro imperfetta realizzazione sonora. Ciò che lega la parola al suo significato non è dunque la convezione. non l'individuo. Ma l'eternità del Veda implica anche che i significati siano eterni.Parte seconda: 6. Si segnala infine un'interessante differenza di posizioni tra i seguaci di Kumårila e quelli di Prabhåkara a proposito del rapporto tra il significato complessivo della frase e i significati delle singole parole che la compongono: i primi sostengono che le parole di una frase esprimono in primo luogo i significati che sono loro propri. e soprattutto che siano universali e non prodotti convenzionali (come ad esempio ritenevano i buddhisti). nel momento stesso in cui viene pronunciata. ma una potenza intrinseca (çakti). I secondi sostengono invece che il significato di ogni singola parola viene immediatamente modificato. . Filosofia del linguaggio 85 insistono sull'eternità della parola in quanto successione di fonemi (var±a). I fonemi stessi (non dunque i significanti come in Bhart®hari) sono eterni e ubiqui. Nelle pagine che seguono si cercherà di tratteggiare rapidamente alcune delle principali dottrine di .) e il bhedåbheda («non-differenza nella differenza») di Bhåskara.). dai Brahmasûtra e dalla Bhagavadgîtå. e si fonda sull'esegesi della parte dei Veda relativa al brahman (brahma-kå±∂a). come il «non-dualismo qualificato» di Råmånuja (XI-XII sec. oltre che dalle Upanißad.) al dualismo dello Dvaita Vedånta di Madhva (XIII-XIV sec. Per questo motivo la «seconda Mîmåµså» viene chiamata più comunemente Vedånta. Difficilmente tuttavia si potrebbe affermare che il Vedånta costituisca una scuola. Le diverse posizioni di fondo vanno dal non-dualismo assoluto dell'Advaita Vedånta (il cui rappresentante più noto è Çaºkara. nonostante tutti accettino la «triplice base» (prasthåna-traya) di testi autorevoli costituita. 1. Il Kevalådvaita Vedånta di Çaºkara. Le differenze tra i vari indirizzi che rivendicano il nome di Vedånta sono infatti enormi. la sezione più speculativa e finale dei Veda (Veda-anta. la «seconda Mîmåµså» (Uttara-Mîmåµså) ha invece come oggetto il brahman. «fine dei Veda»). passando per vari gradi intermedi. VIII sec. ovvero le Upanißad.7. Se la Pûrva-Mîmåµså assume come oggetto di indagine il rito fondandosi sull'esegesi della parte rituale (kriyåkå±∂a) dei Veda. dopo aver scelto la vita del rinunciante. . Sempre vincitore. 4. esso è 1) causa 1 Sulla vita di Çaºkara si veda Piantelli. Roma 1998. In conformità con l’insegnamento delle Upanißad. i commenti alle principali Upanißad e alla Bhagavadgîtå. un'opera autonoma intitolata Upadeçasåhasrî.1 Nonostante la datazione tradizionale lo collochi a cavallo tra l'VIII e il IX secolo. egli avrebbe girato l'India per dibattere pubblicamente contro avversari di ogni tipo. nonché. M. Il punto di partenza e di arrivo della dottrina di Çaºkara è il brahman.Parte seconda: 7. Dopo aver fondato importanti scuole a Ç®ºgeri (odierno Karnataka) e a Kañchi (odierno TamilNadu). avrebbe non di rado "convertito" i suoi avversari alle sue dottrine. Gli sono attribuite decine di opere. Dei racconti in gran parte leggendari che trattano della vita di Çaºkara si può ritenere qui quanto segue: Çaºkara fu un brahma±o dell'India meridionale. M. assoluto (kevala). si veda anche Piantelli. polemista acuto e finissimo. Fossano 1974. Çaºkara e il Kevalådvaitavåda . egli sarebbe morto all'età di trentadue anni.. 3. almeno in parte. sia buddhisti sia appartenenti alle scuole bråhma±iche. La critica recente tende a considerare autentici. egli si sarebbe recato a Benares per approfondire gli studi. eterno (nitya). Solo il brahman è reale: esso è non duale. nato probabilmente in Kerala. l'opinione oggi prevalente è che egli sia vissuto nel secolo VIII. privo di qualificazioni (nir-gu±a). Çaºkara e la rinascita del brahmanesimo. Il Kevalådvaita Vedånta di Çaºkara 87 Çaºkara. l'autore del più antico commento ai Brahmasûtra a noi giunto (e che rientra nel limite cronologico da noi convenzionalmente adottato per questo volume).. non soggetto a cambiamento. oltre al grande Commento ai Brahmasûtra. Il brahman non può non essere coscienzialità. 4 In questo l’Advaita Vedånta è in accordo con il Såµkhya. coscienzialità (cit). perché dipende dalla coscienza di cui diventa oggetto. Solo accostandosi a queste ultime due caratteristiche e alla loro articolazione si può comprendere la natura del brahman çaºkariano.2 Invece la caratteristica di essere precondizione dell’esperienza ci fa comprendere che il brahman non è la sostanzialità illimitata. essenzialmente e primariamente. nella sezione “Filosofi moderni sul pensiero indiano”. . in quanto non è occasionale. ma sussiste eternamente.88 L’India filosofica efficente e sostanziale del mondo. indipendente: secondo un argomento già noto al Såµkhya. mentre si oppone tanto alle filosofie buddhiste quanto al Nyåya e alla Mîmåµså. Essa è infatti radicalmente diversa dalla coscienza ordinaria (e per questo si è preferito usare il termine «coscienzialità»). E tuttavia si tratta di una coscienzialità davvero sui generis. che dopo di lui servirà a compendiare le caratteristiche (se così si possono chiamare) del brahman. è dunque coscienzialità pura. ciò che non è cosciente è necessariamente dipendente. perché solo la coscienzialità è autonoma.3 Questo aspetto a volte non viene sufficientemente sottolineato nei compendi dedicati al pensiero di Çaºkara. ci troveremmo a concepire il brahman come pura sostanzialità indeterminata. L’åtman-brahman. ma è anche 2) precondizione dell’esperienza. in quanto identico all’åtman. coscienzialità (cit) e beatitudine o gioa (ånanda). Se infatti ci fermassimo alla prima caratteristica. precondizione della coscienza ordinaria. in quanto assoluto e indipendente. 3 Anche se nelle opere di Çaºkara non compare mai la formula sintetica sac-cid-ånanda. è certo che Çaºkara concepì il brahman come essere (sat). al «sé».4 Mentre infatti la 2 Si vedano. ma è. le critiche di Hegel al concetto dell’assoluto quale viene espresso nella Bhagavadgîtå. e solo a causa dell'ignoranza (a-vidyå) noi operiamo l'erronea «sovrapposizione» dell'una sull'altra. 71. L’argomento è il seguente: è purtroppo connaturato all'uomo il «sovrapporre» sul soggetto (che è naturato di coscienzialità e la cui sfera è la nozione di “io”). si potrebbe dire. 5 6 Questo paragone si trova. Il Kevalådvaita Vedånta di Çaºkara 89 coscienza ordinaria dipende dal presentarsi di oggetti e dall’attività dei sensi. come è sbagliato. Ciò è sbagliato. la coscienzialità pura risplende indipendentemente dalla presenza di un oggetto. In realtà l'åtman non conosce. La coscienzialità pura. Le due sfere sono assolutamente distinte «come la luce e il buio».6 dove viene analizzato il concetto di «sovrapposizione» (adhyåsa). ad esempio. secondo l’argomento classico che una lampada non necessita di un’altra lampada per essere illuminata. Ci possiamo fare un’idea di questo tipo di coscienza pensando al sonno profondo senza sogni (sußupti). Siamo a questo punto in grado di apprezzare la celebre introduzione di Çaºkara al suo commento ai Brahmasûtra. 2. pura soggettività. inversamente. non è essa stessa oggetto di coscienza. in Upadeçasåhasrî I. al brahman non duale. Per questo motivo pensiamo di essere soggetti conoscenti. In quella condizione la continuità della coscienza non viene meno (infatti al risveglio siamo coscienti di non avere sognato). essa stessa non oggetto. Riportata più avanti nella sezione “Esempi di testi filosofici”. eppure la coscienza non è diretta verso alcun oggetto. la coscienzialità del brahman è. sovrapporre sull’oggetto il soggetto e gli attributi del soggetto. In questo modo le limitazioni dell'oggetto vengono attribuite al soggetto puro. non fruisce.Parte seconda: 7. agenti e fruitori (i cosiddetti jîva). inoltre.5 Priva di oggetto. l’oggetto (la cui sfera è la nozione di “non-io”) e gli attributi dell’oggetto. non agisce. . sul piano soggettivo. Ma questa trasformazione non è reale. È un trasformarsi illusorio che si produce per effetto. 5. Esiste dunque un abisso ontologico tra il brahman e il mondo fenomenico: quest'ultimo scompare allorquando si conosce la propria identità con il brahman isolato (kevala). al dharma e alle sue regole. . Uno di essi mangia la dolce bacca. Il rapporto tra la sfera di pura soggettività dell'åtmanbrahman e quella oggettiva non è.90 L’India filosofica Çankara interpreta così l'enigma dei due uccelli: «Due uccelli. guarda attentamente». abbracciano lo stesso albero. non duale (advaita). l'altro. stretti amici. nel senso che lo “produce” per trasformazione identica (vivarta). 7 Vedi Brahmasûtrabhåçya. 1. all'¡çvara (il Signore). e. dell'avidyå. senza mangiare. ovviamente. alla fruizione e all'azione. anche il Kevalådvaita Vedånta di Çañkara fa propria la dottrina della doppia verità. In certo qual modo il brahman è “causa” del mondo fenomenico. della måyå. e ad essa infinatemente superiore: tuttavia anche nel Kevalådvaita resta la necessità di conformarsi. sul piano “oggettivo”. L'indagine sul brahman (brahmajijñåså)7 è diversa dall'indagine sul dharma. commento al sûtra I. pur sul piano relativo. paritario. e accorda una sorta di realtà relativa al mondo fenomenico. al jîva. Come nel caso del Çûnyavådå di Någårjuna. Esempi di testi filosofici indiani . . non esistono i quattro santi frutti e. Non esistendo le quattro Sante Verità. Se tutto questo mondo è vuoto. Torino 1983. 4-5. Torino 1961. non esistendo né legge né comunità. . il bene e il male morali e tutto l’ordine pratico delle cose. 3. Le stanze del cammino di mezzo. Non esistendo questi quattro momenti. l’eliminazione. R. Non esistendo poi le quattro Sante Verità. la realizzazione meditativa e l’esperienza diretta non son più logicamente possibili. Testi buddhisti in sanscrito. come potrà esserci uno Svegliato? 5-6.Esempi di testi: 1. le quattro Sante Verità non esistono. (a cura di). la retta conoscenza. anche in Gnoli. 2. per rispondere alla critica di chi sostiene che è conseguenza del çûnyavåda che anche l’insegnamento del Buddha (a partire dalle “quattro Sante Verità”) sia vuoto. tradotte in italiano da Raniero Gnoli: Någårjuna. Così. In questo brano Någårjuna espone la dottrina dei due livelli di verità. La comunità non esiste. 1. e. Någårjuna: la dottrina delle due verità 93 1. per te. non esistono né residenti nei frutti né candidati. tu rifiuti l’esistenza reale dei frutti. Il brano è tratto dalle Madhyamaka-kårikå. non esistendo i frutti. affermando la vacuità. se questi otto personaggi non esistono. non esiste neppure la buona legge. non v’ha allora né apparizione né sparizione di nulla: in conseguenza. Någårjuna: la dottrina delle due verità. manda in rovina l’uomo di corto vedere. 10. male intesa. così come il serpente male afferrato o una formula magica male applicata. 8. La realtà assoluta non può essere insegnata. Coloro che non discernono la differenza tra queste due verità. 12. L’insegnamento della Legge da parte degli Svegliati si svolge in base a due verità: la verità relativa del mondo e la verità assoluta. né il senso della vacuità.94 L’India filosofica 7. . né la vacuità. senza prima appoggiarsi sull’ordine pratico delle cose: senza intendere la realtà assoluta. la mente dell’Anacoreta si tirò addietro dall’insegnamento della legge. E per questo. A ciò noi rispondiamo: tu non comprendi né il fine della vacuità. pensando alla difficoltà che avrebbero avuto gli uomini di corto vedere a penetrarla. 9. Per questo ti dai tanta briga. La vacuità. non discernono la realtà profonda insita nella dottrina degli Svegliati. 11. il nirvå±a non può essere raggiunto. Sironi. eccetera. inoltre. tu vieni meno alla tua tesi. non ho nessuna tesi. Io. qualcosa. 30. tu pensi che l’esistenza dei mezzi di conoscenza è stabilita senza altri mezzi di conoscenza. e quindi non mi si può imputare nessun controsenso. è stabilita l’esistenza dei mezzi di conoscenza? 32. Se.Esempi di testi: 2. La posizione çûnyavåda di Någårjuna non può risparmiare i pramå±a. senonché. non quella del mediano. cioè i mezzi che dovrebbero permettere di stabilire la validità delle conoscenze. Sironi (Någårjuna. visto che nulla percepisco. Lo sterminio degli errori. Se tu pensi che l’esistenza dei mezzi di conoscenza è stabilita da altri mezzi di conoscenza. stando così le cose. e. Se io percepissi. tu pensi che l’esistenza delle varie cose è stabilita dai mezzi di conoscenza. Milano 1992). mediante la percezione diretta. sei passibile dell’accusa di parzialità e devi addurre ragione di questa parzialità. non quella dell’ultimo. 33. l’ammetterei o la negherei. senza dubbio sarei vittima di questi controsensi. da che cosa. Se io avessi una qualche tesi. a cura di A. Il brano è tratto dalla Vigraha-vyåvartanî (La sterminatrice degli errori) nella traduzione italiana di A. 31. si cade evidentemente in un regresso all’infinito. dí un po’. . d’altro canto. Någårjuna: critica dei mezzi di conoscenza 95 2. Någårjuna: critica dei mezzi di conoscenza. Ma. 29. non si stabilisce l’esistenza del primo. Se. la mia posizione è inobiettabile. è insostenibile. La tua tesi che il fuoco. Il fuoco. così i mezzi di conoscenza provano l’esistenza di se stessi e delle altre cose. senz’essere percepito. così come le altre cose. La tenebra non sta nel fuoco né dove sta il fuoco.96 L’India filosofica 34. in contatto colla tenebra. Se. Se. 36. anche la tenebra. infatti. offuscherebbe se stessa e le altre cose. non entra. Quest’esempio (io ti rispondo) non quadra. Esso. logicamente. come tu dici. non illumina se stesso. 40. se il fuoco. come un vaso. E come può dunque dirsi che il fuoco illumina? La luce infatti è un’offesa ed eliminazione della tenebra. se stesso. tu pensi che il fuoco sopprime la tenebra. il fuoco che sta qui dovrebbe allora sopprimere la tenebra di tutti i mondi. 37. 41. 35. il fuoco illuminasse. d’altro lato. esso. infatti. non esiste prima all’oscuro. Oltre a ciò. 38. Ma (tu dirai) a quel modo che il fuoco illumina se stesso e le altre cose. se tu pensi che l’esistenza dei mezzi di conoscenza è provata di per se stessa. essa lo sarà allora indipendentemente dalle cose conoscibili. Ciò infatti la cui esistenza è provata di per se stesso. Il fuoco. non dipende da altro. come tu dici. illumina se stesso e le altre cose. anche senza entrare in contatto con essa. Oltre a ciò. allora. così come il fuoco. infatti. nascente. 39. illuminasse se stesso e le altre cose. nascente. . dovrebbe allora bruciare se stesso. Se. indipendentemente dalle cose conoscibili. 44. allora.che uno stabilirebbe l’esistenza di una cosa che è già di per se stessa stabilita. Se. 45. d’altro lato. stando così le cose. Ma (dirà alcuno) se si ammette che l’esistenza dei mezzi di conoscenza dipende da quella della realtà conoscibile.io rispondo . l’esistenza dei mezzi di conoscenza è provata di per se stessa. stabilita in dipendenza dalle cose conoscibili. a che pro. indipendentemente dai mezzi di conoscenza. 47. 46. tu pensi che l’esistenza dei mezzi di conoscenza è stabilita dipendentemente dalle cose conoscibili. questi tuoi sforzi per stabilire l’esistenza dei mezzi di conoscenza? Perché? Ma perché ciò cui essi servono è già stabilito di per se stesso. un’inversione dei mezzi di conoscenza e del conoscibile. a quale controsenso si va mai incontro? A questo . 43. infatti. Se l’esistenza dei mezzi di conoscenza è.Esempi di testi: 2. E se l’esistenza delle cose conoscibili è stabilita di per se stessa. di regola. l’esistenza delle cose conoscibili sarà allora stabilita di per se stessa. questi mezzi di conoscenza non saranno più allora per te mezzi di conoscenza di qualche cosa. tu pensi che l’esistenza delle cose conoscibili è stabilita mediante quella dei mezzi di conoscenza e quella dei mezzi di conoscenza mediante quella delle cose . Någårjuna: critica dei mezzi di conoscenza 97 42. Una cosa riconosciuta come esistente non dipende. per te. Se. si ha. indipendentemente dai mezzi di conoscenza. infine. da un’altra. il produttore? e chi è il prodotto? 51. né mediante altri mezzi di conoscenza.come. a loro volta. per te. L’esistenza dei mezzi di conoscenza non è stabilita né di per se stessa. Se infatti l’esistenza delle cose conoscibili è stabilita mediante i mezzi di conoscenza e questi sono. né in dipendenza delle cose conoscibili né senza causa. chi è. Qui chi è il figlio? e chi è il padre? E come. i mezzi di conoscenza potranno mai stabilire il conoscibile? 49. 48. E se l’esistenza dei mezzi di conoscenza è stabilita mediante le cose conoscibili e queste sono a loro volta stabilite mediante i mezzi di conoscenza.come. a sua volta. stabiliti mediante le cose conoscibili. 52. è allora più stabilita. dico. le cose conoscibili potranno mai stabilire i mezzi di conoscenza? 50. né l’esistenza degli uni né quella degli altri. dimmi tu. posseggono ambedue i caratteri di padre e di figlio? Ciò è infatti per noi argomento di dubbio. . Se il figlio è prodotto dal padre e se. . dico.98 L’India filosofica conoscibili. né reciprocamente tra di loro. . dimmi. il padre è prodotto dal figlio. I Vaiçeßikasûtra sulla cognizione dell’irrealtà 99 3. 244-6 (a cui si rimanda per un approfondimento). «non-mucca». dell'esistenza in 8. «Non c'è un vaso nella casa». I Vaiçeßikasûtra sulla cognizione dell'irrealtà In questo brano. Classical Vaiçeßika and the History of Indian Ontology. La cognizione «irreale» [sorge] perché non cè più la percezione di un'entità passata. pp. a-go. 9. 7. che l’effetto non può preesistere nella causa. Vaiçeßikasûtra IX. 11. «nondharma».Esempi di testi: 3. e a-dharma. 6-12 è stato tradotto in inglese da W. Perché. come in] a-gha¥a. c'è percezione riferimento a [ciò che era] inesistenza. 10. si dimostra. Albany 1992. tratto dai Vaiçeßikasûtra. Si traduce qui da quella versione. Non c'è differenza di significato [tra il soggetto e il predicato] ne[lla frase] «una non-entità [cioè ciò che non è mai presente] non esiste (abhûtaµ na asti)». 6. Halbfass in On being and what there is. Ciò nega la connessione di un vaso reale con la casa. a causa del ricordo di [questa] entità passata. parimenti. e perché c'è qualcosa che contraddice [la continuità della sua esistenza]. . «Non c'è un'altra [cioè una seconda] luna». Ciò esclude che la luna [abbia un] universale. Questo spiega [anche] [il prefisso negativo a-. «non-vaso». attraverso l’analisi delle cognizioni di “reale” e di “irreale”. la realtà e l'irrealtà non possono coesistere nell'effetto [prima che sia prodotto].100 L’India filosofica 12. . Poiché il reale e l'irreale sono eterogenei. si noterà la fine descrizione del problematico rapporto tra purußa e prak®ti. La relazione tra purußa e prak®ti nel Såµkhya 101 4. con qualche modifica. così la natura funziona in vista della liberazione del purußa. Le strofe del Såµkhya. liberazione). . e cessa la sua esibizione non appena si accorge di essere stata vista. a cominciare dalla mente fino agli elementi grossi specifici. L'immanifesto agisce per liberare il purußa non diversamente dalla gente comune che si adopera allo scopo di soddisfare il desiderio. La relazione tra purußa e prak®ti nel Såµkhya di ¡çvarak®ß±a (Såµkhyakårikå 56-69). rinascita. in fondo. che si esibisce come una danzatrice di fronte al purußa-spettatore. avviene dal lato della prak®ti. posto quasi alla conclusione delle Strofe del Såµkhya. ma come una semplice compresenza: tutto (legame. Torino 1960). che. Pensa (¡çvarak®ß±a. 57. La traduzione è di C. lasciando così il purußa nel suo isolamento (kaivalya). 59. 56. A quel modo che il latte insenziente funziona in vista della crescita del vitello. In questo brano di grande potenza immaginativa. avviene per la liberazione di ogni singolo purußa. non viene pensato come un'unione. cioè a vantaggio di un altro. così la prak®ti cessa la sua attività dopo essersi manifestata al purußa. 58.Esempi di testi: 4. Sicché questo sforzo in quanto vien fatto dalla prak®ti. Come la danzatrice smette di danzare dopo essersi mostrata al pubblico. nasce una conoscenza la quale. 61. Non è altro che la prak®ti. 66. non sussiste movente alla creazione. . vede la prak®ti che ha cessato di essere produttiva e che risulta svincolata dalle sette forme per aver finalmente compiuto lo scopo del purußa. è totale: questa conoscenza. con innumerevoli mezzi. La prak®ti lega se stessa da se medesima per via di sette forme.102 L’India filosofica 60. risulta unica e pura. uno. non si porge più allo sguardo del purußa. con i suoi molti stadi. In virtù di ciò il purußa. che se ne sta raccolto in se stesso al proprio posto come uno spettatore. 64. grazie all'esercizio sui principii. a mio vedere. per mezzo poi di un'unica forma si libera. Così. 62. Il purußa. è più sensibile della prak®ti. La prak®ti. non dandosi errore. compiendo così il fine del purußa. Nulla. compie l'utile del purußa che è sprovvisto dei gu±a e non la ricambia in nulla. una. Perciò nessun purußa è legato o liberato né trasmigra. la prak®ti. questo non sono io». cessa la sua attività. senza alcun beneficio per sé. 65. la quale. ad esser legata o liberata o a trasmigrare. non appena è conscia di essere stata vista. è indifferente come uno spettatore di teatro. che è generosa e provvista dei gu±a. Malgrado il contatto esistente tra i due. quando sa di essere stata vista. atteso che (uno si dice): «Io non sono. nulla è mio. 63. la virtù e le altre forme divengono improduttive. La relazione tra purußa e prak®ti nel Såµkhya 103 67. 69. così come accade col movimento della ruota. Ottenuta la perfetta conoscenza. è stata rettamente esposta dal sommo veggente. il purußa perviene all'isolamento assoluto e definitivo. Questa segreta conoscenza intesa a compiere il fine del purußa e nella quale sono considerate nascita. cessato l'attività. durata e dissoluzione degli esseri.Esempi di testi: 4. Avvenuta la separazione del corpo e avendo la prak®ti. 68. . poiché il suo fine è compiuto. tuttavia per effetto degli impulsi carmici il corpo permane ancora. Çaºkara e la «sovrapposizione» (adhyåsa) Questo brano costituisce l'introduzione al Brahmasûtrabhaçya. Ne consegue che è sbagliato sovrapporre (adhyåsa) sul soggetto. e gli attributi dell’oggetto. le cui rispettive sfere sono i concetti di “io” e di “tu”. E viceversa è sbagliato sovrapporre sull’oggetto il soggetto e gli attributi del soggetto. mettendo insieme il reale e l’irreale. Alcuni in verità definiscono il termine “sovrapposizione” come la sovrapposizione su una cosa degli attributi di un’altra cosa. Vi si enuncia compiutamente la teoria della «sovrapposizione». è di chi scrive. non possano essere identificati. e così.il non distinguere i due campi e i loro rispettivi attributi.e la causa di ciò risiede nell’errata conoscenza . Ma che cosa dobbiamo intendere con il termine «sovrapposizione» [adhyåsa]? L’affiorare alla coscienza. vol. Che soggetto e oggetto. Ciononostante è da sempre connaturato all’uomo . fare uso di espressioni quali «Quello sono io» o «Quello è mio». With the Commentary of Çaºkaråcårya. che è naturato di coscienzialità e la cui sfera è la nozione di “io”. Thibaut (in Vedånta-Sûtras. Oxford 1904 = SBE vol. e che sono tra loro opposti come la luce e il buio. l'opera principale di Çaºkara. 34). Altri la definiscono come l’errore fondato sulla non apprensione della differenza tra . Né possono essere identificati i loro rispettivi attributi. l’oggetto. benché essi siano assolutamente distinti: e il sovrapporre invece a ciascuno la natura caratteristica e gli attributi dell’altro. I. è una questione che non richiede prova. in forma di ricordo. La traduzione italiana.104 L’India filosofica 5. la cui sfera è la nozione di “non-io”. compiuta sulla traduzione inglese di G. di qualcosa osservato in precedenza in qualche altro luogo. guardando il cielo.1 Ma come è possibile che sul Sé interiore. non è mai un oggetto. benché unica. il colore blu. D'altra parte non è neppure una regola senza eccezione quella secondo cui gli oggetti possono essere sovrapposti solo su altri oggetti che siano di fronte a noi. Con ciò concorda anche la concezione popolare che si esprime in frasi tipo «la madreperla appare come argento» o «la luna. La risposta è che esso non è un non-oggetto in senso assoluto. che non è oggetto di percezione sensibile. Altri ancora la definiscono come l’attribuzione fittizia di caratteristiche contrarie alla natura della cosa sulla quale avviene la sovrapposizione. Infatti esso è l'oggetto della nozione di Io.2 1 Çaºkara si riferisce a due tipici esempi di errore percettivo: la madreperla scambiata per argento e la luna vista come duplice da chi ha un difetto di vista (una malattia chiamata timira). e tu hai detto prima che il Sé interiore. 2 Cioè. infatti gli uomini privi di discernimento sovrappongono all'etere. Tutte queste definizioni concordano su un punto: che la sovrapposizione è il presentarsi apparente degli attributi di una cosa su di un’altra cosa.sia blu.che non è percettibile . . che non è esso stesso un oggetto. cioè in contatto con i nostri organi di senso. Çaºkara e la «sovrapposizione» 105 ciò che è sovrapposto e ciò su cui avviene la sovrapposizione. appare come fosse doppia». che è completamente slegato dall'idea del Tu (il Non-io). pensano che l'etere (åkåça) . vengano sovrapposti degli oggetti e i loro attributi? Giacché ciascuno sovrappone un oggetto solo su oggetti che gli stiano di fronte (ossia in contatto con i suoi organi di senso).Esempi di testi: 5. e l'esistenza del Sé interiore è conosciuta in ragione del suo presentarsi immediatamente all'intuizione. tra mezzi di conoscenza. Né. Ma [si domanderà]. è il presupposto su cui si basano tutte le distinzioni pratiche . i dotti la considerano Nescienza (a-vidyå). il Sé . e le scritture avere come oggetto ciò che dipende dalla Nescienza? La risposta è che i mezzi di conoscenza non possono operare se non c'è una personalità conoscente. i mezzi di conoscenza non possono operare [come si è detto sopra]. La mutua sovrapposizione di Sé e Non-sé. e che l'esistenza di quest'ultima dipende dall'erronea concezione che il corpo. l'inferenza.. i sensi ecc.che per sua natura è libero da ogni contatto .può diventare un agente conoscente. [né il Sé né il Non-sé] sono affetti da qualità negative o positive dovute alla loro mutua sovrapposizione. o della liberazione finale. oggetti di conoscenza [e soggetti conoscenti]. nonché tutte le scritture.sia quelle della vita ordinaria sia quelle indicate dai Veda . E se non c'è un agente conoscente. Pertanto la percezione sensibile e gli altri mezzi di . in assenza di ciò. D'altra parte nessuno agisce per mezzo di un corpo sul quale non sia sovrapposta la natura del Sé. La sovrapposizione quale è stata ora definita. che trattino di ingiunzioni o di proibizioni [di azioni meritorie o non meritorie]. che viene chiamata Nescienza.106 L’India filosofica Ne consegue che l'assunto secondo cui il Non-sé viene sovrapposto al Sé interiore non è irragionevole. Essendoci tale conoscenza. Infatti senza l'impiego dei sensi la percezione sensibile e gli altri mezzi di conoscenza non possono operare. come possono i mezzi di conoscenza come la percezione sensoriale. mentre chiamano conoscenza (vidyå) l'accertamento della vera natura del Sé per mezzo della discriminazione di ciò che è sovrapposto al Sé. ecc. E senza una base [ossia il corpo] i sensi non possono agire. siano identici al Sé della persona conoscente o gli appartengano. fintantoché. anche gli uomini . della vera natura del Sé in quanto libero da tutti i bisogni . cioè. a quel tipo di attività che è fondata sul Veda [sacrifici e simili]. è noto che il modo di procedere degli animali si basa sulla non-distinzione [tra Sé e Non-sé]. se una vacca vede che un uomo le si avvicina con il bastone alzato.per quanto distinti da intelligenza superiore . di nuovo. Riguardo poi. Allo stesso modo gli uomini . Per esempio. tra l'uomo e gli animali.che pure possiedono un'intelligenza superiore . sotto questo profilo. derivabile dai testi vedåntici [cioè le Upanißad]. ne concludiamo che. mentre si avvicina a un uomo che le porga dell'erba fresca. pensa che questi la voglia battere. quando sono toccati nell'udito o in altri sensi da un suono o altra qualità sensibile.procedono in relazione alla percezione sensibile ecc. è certamente vero che l'uomo di riflessione che sia qualificato a compierla non lo fa senza sapere che il Sé ha relazione con un altro mondo. [Il fatto che l'attività cognitiva umana abbia come presupposto la sovrapposizione sopra descritta] segue anche dalla non-differenza. visto che presentano le stesse apparenze. Çaºkara e la «sovrapposizione» 107 conoscenza e i testi vedici hanno per oggetto ciò che dipende dalla Nescienza. avanzano o indietreggiano a seconda che l'idea prodotta dalla sensazione sia rassicurante o impaurente. Gli animali. E tuttavia la sua qualificazione non dipende dalla conoscenza. nello stesso modo degli animali. mentre si avvicinano fiduciosamente a persone che mostrino atteggiamenti e comportamenti opposti.fuggono via allorché vedono avvicinarsi altri uomini forti e dall'aspetto feroce che gridano e impugnano spade. perciò fugge. Ora.Esempi di testi: 5. Vediamo così che uomini e animali seguono il medesimo modo di procedere in rapporto ai mezzi e agli oggetti di conoscenza. dura la mutua sovrapposizione di Sé e Non-sé. poi di vanapråߥha e di saµnyåsin. e così via. i suoi figli ecc. sono sani e integri o l'opposto. o orbo.e la sovrapposizione senza fine. ad esempio. o l'opposto. Attributi dell'organo interno allorquando si considera soggetto al desiderio. stadio di vita. di compiere certe azioni e goderne i frutti] inutile e persino contraddittoria. a quella di g®hastha. che «un bråhma±a deve compiere i sacrifici» sono operativi solo se supponiamo che sul Sé siano sovrapposte condizioni particolari come casta. è il testimone di tutte le modificazioni dell'organo interno. che è il testimone di tutto. Sono sovrapposti al Sé [. che.108 L’India filosofica ed innalzato sopra le distinzioni tra le classi dei bråhma±a e degli kßatriya e così via. E prima che questa conoscenza del Sé sia sorta. ecc. Infatti i testi che dicono. o cieco». Infatti questa conoscenza è. o sordo. Quindi ciò che produce la nozione di Io [cioè l'organo interno] è sovrapposto al Sé interiore. rispetto alla pretesa [dei sacrificatori. [. cioè ad avere per oggetto ciò che dipende dalla Nescienza. e viceversa il Sé interiore. che appare nella forma di concezione erronea.. ai sensi e così via.. secondo la regola che prevede il passaggio dalla condizione di brahmåcårin. in realtà. al dubbio. alla determinazione e così via. In tal modo procede questo cominciamento naturale . . i testi vedici continuano nella loro operazione..] attributi degli organi di senso allorquando egli pensa «sono muto.] Sono sovrapposti al Sé attributi extrapersonali allorquando un uomo si considera sano e integro.. fintantoché sua moglie. all'intenzione. è sovrapposto all'organo interno.3 circostanze esteriori. e trascendente l'esistenza trasmigrante. è la causa del fatto che le anime 3 Cioè uno dei quattro åçrama. Çaºkara e la «sovrapposizione» 109 individuali appaiono come agenti e fruitore [dei risultati delle loro azioni]. e ciò lo può osservare chiunque.Esempi di testi: 5. . e di raggiungere così la conoscenza dell'assoluta unità del Sé. Lo studio dei testi del Vedånta comincia dunque con l'idea di liberarsi di quell'erronea nozione che è la causa di ogni male. 110 L’India filosofica 6. Çåntarakßita sulla non esistenza di Dio. Nel brano che segue (Tattvasaµgraha 72 ss.) troviamo un'interessante applicazione dello schema inferenziale, da parte del filosofo buddhista Çåntarakßita (sec. VIII), per discutere il problema dell'esistenza di Dio. La traduzione italiana è tratta, con qualche modifica, da Tucci, G., Storia della filosofia indiana, Bari 1957, pp. 326 ss. Voi [assertori dell'esistenza di Dio] non soltanto desiderate provare che [il mondo è] stato preceduto da un Ente intelligente, ma altresì che esiste un'entità detta Dio la quale è eterna, una, sostrato dell'intelligenza eterna e onnisciente, causa dell'Universo. Voi desiderate provare che Egli è anteriore al mondo. Esso è l'oggetto della presente discussione. L'esistenza di siffatta entità non può essere provata perché nel vostro ragionamento manca la invariabile concomitanza in quanto esso è privo del probandum; [il mondo ha un fattore intelligente, esempio omologo: come l'orcio; esempio differente: non come l'atomo]; infatti in ogni esempio omologo "come l'orcio" e altre cose simili farebbe difetto l'analogia (il vasaio non potrebbe avere gli attributi di Dio); pertanto non potrebbe provarsi la concomitanza invariabile del probans con un probandum di codesta natura. E davvero in nessun esempio [che possa addursi di un prodotto] si trova questa concomitanza fra il probans e il carattere del probandum quale è da voi asserito [...]. [...] Tutto ciò che non ha nascita non può essere causa di nulla, come un fiore di loto cresciuto nell'aria [che si porta ad esempio di cose inesistenti]; e noi sappiamo che Dio non Esempi di testi: 6. Çåntarakßita sulla non esistenza di Dio 111 ha nascita; perciò il vostro argomento è contrario alla premessa universale (vyapåka). Questo nostro ragionamento prova altresì l'incongruenza della tesi avversaria; perciò non si può obiettare contro di esso che il probans non ha locus standi (åçrayåsiddha). Per quale ragione l'Autore dice che diversamente tutte le cose nascerebbero contemporaneamente? Ma perché se la causa avesse una capacità mai ostruita [da forze contrarie] - come si conviene a Dio - tutte le cose dovrebbero nascere nel medesimo tempo, sarebbero cioè simultanee. Questo ragionamento logico rende insufficiente la tesi dell'avversario; oppure si può intendere come semplice dichiarazione del senso di ciò che è stato detto. La prova dell'incongruenza nella posizione dell'avversario può così formularsi: quando una causa è completa, l'effetto ne consegue naturalmente; così accade nei riguardi del germoglio il quale si manifesta quando la sua causa sia completa, il complesso degli elementi causali essendo arrivato al suo estremo limite di maturazione. Ora, secondo voi, il mondo, che è prodotto da Dio, ha una causa completa e perciò dovrebbe nascere simultaneamente. Voi potete opporre che Dio non è la sola causa del mondo, ma egli lo crea, avuto riguardo a cause concomitanti come il merito, il demerito, gli atomi, ecc. in quanto che egli è soltanto la causa efficiente; per la qual cosa quando queste altre cause, merito, ecc. difettano, la causa non è intera. Ma questa interpretazione è errata. Infatti se qualche ausilio fosse dato dalle cause concomitanti, allora Dio sarebbe dipendente da codeste cause concomitanti; tuttavia, essendo egli eterno, e nessuna superiorità potendogli derivare da una sua dipendenza da altri, le cause concomitanti, non possono porgergli nessun ausilio. Allora come mai egli potrebbe 112 L’India filosofica dipendere da siffatte cause concomitanti che non gli sono di nessun ausilio? Per di più tutte codeste cause concomitanti, per il fatto che ripetono la loro origine da Dio, dovrebbero essere continuamente confluenti in lui: perciò la ragione da noi addotta non è non provata. E non è neppure inconcludente, perché allora ne deriverebbe l'assenza della condizione (dianzi detta) che debba esservi completezza di tutte le cause. Se questa completezza della causa non si manifesta vi sarebbe perpetua non nascita di chicchessia in quanto ugualmente mancherebbe quella completezza della causa. Uddyotakara (cioè le scuole logiche) obietta: «Sebbene la causa che si chiama Dio sia intera, ed eterna e presente in tutte le cose, tuttavia la nascita delle cose non è simultanea, perché Dio agisce con l'intelligenza. Se la nascita delle cose fosse dovuta alla semplice essenza divina, senza che quella nascita fosse prodotta dalla sua intelligenza, allora la confutazione che voi fate sarebbe applicabile al nostro ragionamento; ma siccome egli agisce con l'intelligenza, siffatto errore non può rimproverarsi a noi, in quanto Dio di sua propria volontà si volge alla creazione dei prodotti che intende creare. E pertanto la nostra ragione non è inconcludente». Ma cotesto argomento è improprio: l'attività e l'inattività delle cose non dipende dalla presenza o dall'assenza della volontà della causa, quasi che fosse possibile dire che, essendo sempre prossima la causa chiamata Dio con la sua efficienza mai impedita, quella attività o inattività rispettivamente si determinano dopo la presenza e il difetto della volontà di Lui. Infatti l'essere o non essere delle cose segue la presenza o l'assenza della efficienza inerente nella causa; onde avviene che sebbene un agente abbia la volontà di fare alcunché, quando difetti in lui l'efficienza nulla potrà egli produrre; ma il frutto deriva che ha l'efficienza di crearlo. Allora se codesta causa che voi chiamate Dio sempre possiede un'efficienza mai impedita. . dalla sua volontà che non servirebbe proprio a nulla? Esse dovrebbero infatti venire alla luce simultaneamente come quando egli crea una quale che sia cosa. Queste cose dunque solo se nascessero simultaneamente potrebbero mostrare la perfetta causalità di lui. come Dio dovrebbe sempre esistere. l'errore in cui cadete è il medesimo. come mai le cose non nascerebbero simultaneamente? Infatti. che non ha bisogno dell'ausilio di nessun'altra cosa. perché la esistenza di quella coincidendo con la essenza di Dio. anche la sua intelligenza sarebbe sempre presente. non può dipendere da nessun'altra cosa per la quale egli dovrebbe dipendere dalla propria volontà. così come Dio. Inoltre non vi può essere volontà all'infuori dell'intelligenza. ma voi affermate che l'intelligenza di Dio è eternamente identica. Allora. anche senza che la causa possegga la volontà di generarlo. E Dio. per venire alla esistenza. perché mai le cose dovrebbero dipendere. Se poi voi sostenete che la sua intelligenza non è eterna. Çåntarakßita sulla non esistenza di Dio 113 dalla causa come il seme ecc. come gli accade nel momento stesso in cui produce un effetto.Esempi di testi: 6. sebbene Dio sia un attore intelligente. allora. Noi siamo d'accordo su questo punto. Ma allora (ti rispondo) qual è l'effetto prodotto da questa unione colla coscienza? Le qualità di “io” potrebbero essere altrettanto bene attribuite allo spazio. appena privato di coscienza. Çåntideva sul Nyåya. 69-78. Çåntideva (VIII sec. quando ha detto che l'autore dell'atto è anche colui che lo degusta. eccetera”. superflua. d'altro lato. 72. perché il tuo io è privo di attività. che cioè. La discussione è. 73. 69. dunque. a chi toccherà il frutto?”. anch'esso incosciente e inattivo. come una stoffa.114 L’India filosofica 7. senza l'io! Se infatti chi ha compiuto l'atto perisce. Se. . sarebbe distrutto. Se però (io osservo) esso è cosciente per virtù della sua unione colla coscienza. tu repugni alla tua stessa tesi. tu pensi che l'atto e la degustazione del frutto suppongono l'attività dell'io. Lo Svegliato. pp.) fu un importante esponente del buddhismo madhyamaka. 70. “Ma la relazione fra l'atto e il frutto è impossibile. Questa (io ti rispondo) non è affatto una cosa evidente. “L'io (dicono alcuni) non è incosciente per incoscienza naturale. l'atto e il frutto hanno un supporto differente. “L'io (tu forse dirai) è immutabile”. Gnoli (a cura di). “L'autore dell'atto ne degusta il frutto”. In questo brano egli confuta alcune dottrine del Nyåya. Il brano è tratto da R. Dal Bodhicaryåvatåra IX. 71. ha di fatto attribuito al continuum fenomenico un'unità fittizia. Torino 1983. 515-16. Testi buddhisti in sanscrito. (rispondo) e lo sforzo procede unicamente dall'illusione. bisogna allora coltivare l'idea dell'inesistenza dell'io. 78. in effetto. L'io non può essere né il pensiero passato né il pensiero futuro. non vi sarà neppure l'io. Il tronco del banano. “Ma se le creature non esistono su che si esercita allora la compassione?”. perché essi adesso non esistono. Ma l'illusione dell'io. Le creature (ti rispondo) sono immaginate come esistenti per virtù di un'illusione che noi adottiamo in vista del fine che vogliamo raggiungere. e visto che esso non può essere eliminato altrimenti. . Nessuno. se le creature non esistono. si rivela per una pura irrealtà. Çåntideva sul Nyåya 115 74. alimenta il sentimento del'io. decomposto nelle sue parti. Parimenti l'io esaminato criticamente. avendo come frutto l'acquietamento del dolore. causa di dolore. 76. 75. non esiste più come tale. Ma. chi può avere un fine da raggiungere?”. questa illusione del fine non è proibita.Esempi di testi: 7. 77 “Ma. L'io sarà dunque il pensiero presente? Ma allora. al contrario. appena sparito questo pensiero. . Filosofi moderni sul pensiero indiano . . Hegel sulla coscienza yogica. che è lo scopo supremo [della dottrina dello Yoga espressa nella Bhagavadgîtå]. Per parlare ora del grado della perfezione. Giacché dove c’è sapere di 1 Über die unter dem Namen Bhagavad-Gîtå bekannte Episode des Mahåbhårata. In termini moderni la determinatezza di questo stato va chiamata assoluta immediatezza del sapere. Questa perfezione si determina come un perdurante stato d'astrazione. Per un commento si rimanda a S. La Bhagavad-gîtå come testo canonico dell'azione: appunti in margine ad alcune interpretazioni europee. Marchignoli. . e con ciò non è più coscienza . 375-388. e non sa nulla .neppure una compiuta autocoscienza. Fu questa la sua più significativa presa di posizione sul pensiero indiano. l’analisi del contenuto della forma di pensiero propria del meditante. 51-63 e 1441-1492. a tutti i bisogni e a tutte le rappresentazioni di cose esterne.il puro vuoto di sé in se stesso. che avrebbe come contenuto lo spirito e in tale misura sarebbe ancora coscienza. 161 sgg. Pinna in Hegel. in “Annali di storia dell'esegesi” 15/2 (1998). al di là delle inesattezze dovute alle ancora scarse conoscenze del tempo. in «Jahrbücher für wissenschaftliche Kritik» (1827). che ha rinunciato a tutte le sensazioni. I. Notevole è in particolar modo. pp. Il giudizio di Hegel sulla Bhagavadgîtå restò sempre molto negativo. von W. consideriamola innanzitutto nella sua forma soggettiva. pp. Napoli 1990.una perenne solitudine dell’autocoscienza. von Humboldt (Berlin 1826). Due scritti Berlinesi.1. La traduzione italiana del brano è di G. pp. Nel 1827 Hegel pubblicò una lunga recensione1 ad un importante saggio di Wilhelm von Humboldt sulla Bhagavadgîtå. un intuire che non intuisce nulla. quell'astrazione di cui si è trattato in tutto quanto precede . II. e il contenuto è un oggetto solo mediante il fatto che è saputo. Il soggetto conoscente è conoscitore del contenuto solo mediante questo contenuto. la vetta dell’approfondimento meditativo [Vertiefung] che abbiamo considerato.. di un contenuto. nella sensazione. se non è il sentire dell’animale. Questa unità con Brahma dona anche la liberazione dalla metempsicosi. il dissolversi in Brahma. ed è tanto più interessante considerare tale rapporto da cui. l’intuire. . nell’intuizione o come si vuole.. l’intuire dell’uomo. Ma la coscienza ha un contenuto solo in quanto questo è per essa un oggetto. in Krishna. tanto maggiore è la difficoltà di comprendere che rapporto esso intrattenga con questo approfondimento meditativo. di notarle e di conoscerle.]. cioè dell’essere dotato di coscienza. Per quanto ciò che è il Brahm sia facilmente comprensibile e ben noto.] che viene promessa ai pii e ai credenti quasi ad ogni pagina del nostro poema . Sono determinazioni semplici e meramente analitiche. Ora questa concentrazione astratta è la beatitudine [.attraverso il penetrare nella divinità ovvero letteralmente. Giacché il sentire. nella loro inconsapevolezza e ignoranza. che è per lui un oggetto.120 L’India filosofica qualcosa. Quest’unità con Brahma conduce da sola al punto finale.. il trasformarsi in Brahma [. innanzitutto. che è il punto più alto all’interno della religione indiana: il concetto di Brahm. deriva il concetto stesso di Brahm o che piuttosto si identifica con tale concetto. è il sentire. là c’è anche al tempo stesso mediazione. come risulterà.. ma coloro che oggigiorno parlano tanto di sapere immediato sono addirittura incapaci. abbiamo sempre l’idea che venga pensato qualcosa. L’espressione “approfondimento meditativo” [Vertiefung] e le altre espressioni designano l’aspetto situazionale. Quel fare astrazione da ogni determinatezza. della molteplicità empirica dall’universalità. Hegel 121 Se consideriamo più da vicino quali siano l’aspetto affermativo e l’affermativa determinatezza dello spirito. è il pensiero al di fuori di ogni situazione.Filosofi sul pensiero indiano: 1. che essi sono cioè per noi un oggetto interno. devozione. non la cosa stessa. che è identico al nirvå±a dei buddhisti. ecc. che si siano sollevati fino alla coscienza dell’altezza del pensiero. del volere. Ma il tratto specifico è costituito dal fatto che dall’immane astrazione di questo lato estremo non si sono spinti fino alla conciliazione del particolare. del desiderio. Bisogna ritenere sublime che gli indiani si siano sollevati fino a questa separazione del sensibile dal non sensibile. Il loro spirito è soltanto il debole oscillare dall’uno all’altro ed infine la sventura di conoscere la beatitudine solo come annientamento della personalità. . anche del pensiero più puro e astratto. essa è la stessa astratta identità con sé. cui quello sprofondarsi in se stessi e quell’isolarsi della coscienza appartengono. Se. della rappresentazione. vediamo che si tratta del pensiero. dal pensiero. ecc. cioè pensiero. come intuizione assolutamente pura. esteriore ed interiore. fosse stata usata la designazione della cosa. Se si considera l’intuizione nella medesima assenza di determinazione. della sensazione. Neppure la pura e semplice intuizione intuisce qualcosa. sino al concreto.. che nell’atto di pensare abbiamo dei pensieri. in luogo di espressioni come approfondimento mediatativo. ciò si opporrebbe al fatto che quando si tratta del pensiero. da ogni contenuto della sensazione e dello spirito nel loro affermativo e specifico esserci. senza alcun moto interiore o esteriore. rappresenta quel pensiero che si è elevato alla vuota astrazione e si mantiene in questo stato con uno sforzo violento. e designandolo con il termine pensiero. come si è mostrato. cioè indistinta . che è assolutamente comune al nostro modo di vedere le cose.questo pensiero puramente astratto è necessariamente determinato come Brahma stesso: un elemento soggettivo che è identico a ciò che viene detto oggettivo. l’identità semplice. la sua determinatezza specifica è quella pura universalità. . Tale approfondimento meditativo di fatto. è privo di oggetto. Lo yogi che sta seduto. la direzione che a lui conduce e l’unione con lui.122 L’India filosofica così che non la si può neanche chiamare intuizione del nulla. e guarda fisso la punta del suo naso. ciò implica certamente che esso ha un oggetto che si sforza di raggiungere.e però una relazione immediata. lo si avvicinerebbe troppo a noi. Ma l’intuizione implica essenzialmente l’elemento concreto. perché essa è priva di oggetto. Ma questo stato è per noi del tutto estraneo e remoto. che non è presente nel contenuto in quanto tale. nella sua determinazione. e l’atto di sforzarsi e dirigersi a lui afferiscono soltanto alla coscienza che non l’ha ancora raggiunto. vale a dire che. Se tuttavia ricordiamo quelle espressioni secondo cui quest’approfondimento meditativo cerca Brahma e costituisce la via. così che questa opposizione scompare e diviene un’enunciazione esteriore. se il pensiero è vero solo nella misura in cui è concreto. Ora. in quanto questo pensiero privo di oggetto è nel contempo rappresentato come essenzialmente in relazione con Brahma . come essa increato ed onnipresente. Marazzi). Franci. R. ma come l’indistinto psicologico primitivo e supremo nel cui seno giace allo stato latente la totalità della nostra esistenza soggettiva empirica. Napoli 1984. Essa non deve cioè essere considerata come alcunché di esterno e di materiale. I (a cura di A. E con lo stesso criterio deve perciò essere interpretato il concetto della Natura. Lattes. importante filosofo italiano. 465485. in La conoscenza dell’Asia e dell’Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX. Torino 1896. come quel principio misterioso ed oscuro che esiste da tutta l’eternità accanto all’anima. non sono da intendersi come due principi cosmici. la buddhi e il purußa. Dalle considerazioni precedenti mi sembra quindi risulti con sufficiente chiarezza che l’Intelligenza e la Personalità1 dalle quali il Sankhya fa derivare il mondo. Martinetti 123 2. La sua essenza è costituita di piacere. 62-65. esordì come scrittore di filosofia con un libro sul Såµkhya. ma a differenza di essa attivo e non spirituale ossia incapace di elevarsi per sé alla vita cosciente. che egli interpretò in chiave idealistica. extraindividuali. dolore ed indifferenza perché sono questi i tre modi 1 Martinetti così intende. rispettivamente. pp. . alla luce dell’anima. Il brano è tratto da P. vol. Piero Martinetti sul Såµkhya. ma semplicemente come due principi interiori ai quali l’astrazione psicologica riconduce ogni manifestazione così soggettiva come oggettiva dell’esistenza empirica.Filosofi sul pensiero indiano: 2. Piero Martinetti e “Il Sistema Sankhya”. Piero Martinetti. Martinetti. e che per effetto dell’ignoranza diventa. Studio sulla filosofia indiana. Per un commento si veda G. pp. Il Sistema Sankhya. l’essere individuale empirico. Il sattva è la sensazione piacevole in astratto: quindi comprende ciò che è fonte di gioia. secondo il mio avviso. Il tamas per ultimo è la sensazione indifferente in astratto: quindi ciò che non si manifesta a noi né come piacere né come dolore.] Queste tre categorie costituiscono secondo il Sankhya l’essenza delle cose. nella cui serena obbiettività par che il Sankhya veda. Il rajas è la sensazione dolorosa in astratto: quindi specialmente l’agire. devesi attribuire alle teorie cosmologiche del Sankhya. perché il mondo non è concepito da esso che per rapporto all’individuo il quale lo crea e ne fruisce. come ci è conservata nel Buddhismo. la bontà. il voler esistere. come il sonno. e tanto gli organi della soggettività e gli oggetti (dai quali come da fondamentali dati della rappresentazione o d’un’induzione semplicissima il Sankhya muove). Tale è il senso che. l’impotenza intellettuale ed in genere tutto ciò che è assenza d’ogni attività dolorosa ma anche d’ogni elevazione e perfezione. quanto la Personalità e l’Intelligenza. La teoria della sostanzialità permanente delle cose e della gradazione delle cause materiali secondo la loro maggiore o minor distinzione alterarono poi la fisionomia primitiva di questa serie dialettica.124 L’India filosofica più generali dell’esistenza empirica stessa ossia della nostra vita cosciente. ed inoltre ciò che avvicina al bene supremo come la quiete e l’atto del conoscere.. una serie di astrazioni procedente dalla ricerca della concatenazione delle cause soggettive del dolore individuale. furono intesi . come Schopenhauer. [.. l’attività d’ogni specie che ci avvolge in un’infinità di dolori. la luce. la bellezza. l’armonia. ed in questa forma solamente essa ha un senso ed una connessione razionale. Nella sua forma originaria la serie delle cause materiali non dovette essere altro che. il contrapposto della cieca e dolorosa volontà di esistere che si estrinseca specialmente nel secondo dei costituenti. l’io. poiché la spiritualità appartiene all’Anima sola. l’essere empirico individuale nel cui seno sorge il mondo. essa è piuttosto semplicemente un principio attivo ed inconscio come l’Inconscio di Hartmann o la Volontà si Schopenhauer. come un’indistinta miscela di piacere. u. dolore ed indifferenza destinata a diventare. Non è quindi esatto dire che la Natura del Sankhya sia alcunché di materiale. la Natura. . s. 187) essa differisce in questo solo punto essenziale: che la Volontà obbiettivandosi produce dal proprio seno anche la coscienza (in s. Né si potrebbe opporre (come il Garbe oppone alla denominazione di idealistico data dal St. ma come un’evoluzione di sostanze. Martinetti 125 non come una serie ascendente di cause soggettive della schiavitù.Filosofi sul pensiero indiano: 2. fu posta l’indistinzione assoluta. E dalla Volontà di Schopenhauer (con cui lo Schopenhauer stesso rettamente l’identifica v. Ma in nessun modo perciò e la Personalità e l’Intelligenza e la Natura vennero ad essere intesi come esseri cosmici esteriori. ed a capo di tutta la serie. il soggetto vero e proprio della 2 Cioè Vijñånabikßu. II. come causa materiale prima.). la Natura ed il resto sono alcunché di esteso e di materiale. Hilaire al Sankhya). Par. e la sua definizione esclude la natura e gli altri principi sovrasensibili: né l’essere i medesimi estesi implica materialità. perché anche l’anima viene considerata come estesa. autore del commento alla Såµkhyakårikå intitolato Såµkhyapravacanabhåßya. che. Come si è veduto Vijnana2 caratterizza assai bene ciò che si intende nel concetto indiano per materiale (che significa “percepibile sensibilmente”). evolvendosi. Par. materiali: e la Natura stessa non venne altrimenti pensata che come la coscienza empirica stessa nella sua assoluta indeterminatezza. s. .) le perviene da un principio superiore la cui essenza non è altro che pura spiritualità. laddove la Natura è per sua essenza inconscia e la coscienza (in s. cioè dall’Anima.126 L’India filosofica conoscenza. Filosofi sul pensiero indiano: 3. Weil 127 3. Simone Weil sul Såµkhya e sulla Bhagavadgîtå I questa pagina tratta dai Quaderni di Simone Weil emerge un'originale lettura e una importante applicazione attualizzante delle categorie del Såµkhya e delle dottrine espresse nella Bhagavadgîtå. Simone Weil, che ci ha lasciato anche interessanti interpretazioni delle principali Upanißad, fu attratta dalla Bhagavadgîtå soprattutto per la sua trattazione del problema dell'azione. Gli appunti risalgono al settembre-ottobre 1941. Per un commento si rimanda a S. Marchignoli, S.Weil a colloquio con i testi indù: il desiderio, l'åtman e il dharma, in AA. VV., Politeia e sapienza, a cura di Adriano Marchetti, Bologna 1993, pp. 47-65. Il brano è tratto da S. Weil, Quaderni, ed. it. a cura di G. Gaeta, vol. I, Milano 1982, pp. 333-335. Che nessuna attività - lavoro fisico o studio - divenga un ostacolo a vedere l'åtman in ogni cosa. Che ogni attività abbia al centro dei momenti di arresto. Vi è tamas nella buddhi. È la fatica che degrada e limita l'attenzione superiore. Il sattva è ovunque nella prak®ti. Non c'è una soglia. L'obbedienza è la virtù suprema. Amare la necessità. La necessità e il dharma sono una cosa sola. Il dharma è la necessità amata. La necessità è, rispetto all'individuo, ciò che vi è di più basso - costrizione, forza, “una dura necessità” - la necessità universale libera da essa. Considerare il dharma non come dovere, ma come necessità, è elevarsi al di sopra. Lasciare libero gioco alle proprie facoltà di azione e di sofferenza. Parallelismo tra Arjuna e il Cristo. Combatterà perché non può arrestare questa guerra e perché, se essa ha luogo, non può non prendervi parte. (Essa è già cominciata). Fare solamente ciò che non si può non fare. 128 L’India filosofica Azione non-agente. Egli non vorrebbe combattere e si perde nella sua emozione di pietà. Ma se si chiede chiaramente: “mi è consentito non combattere?”, non può a questo punto, in questa situazione, rispondere di sì. La non-violenza è buona solo se è efficace. In questi termini si pone la questione rivolta a Gandhi dal giovane a proposito di sua sorella. La risposta dovrebbe essere: usa la forza, a meno che tu non sia in grado di difenderla, con altrettanta probabilità di successo, senza violenza. A meno che tu possegga un'irradiazione la cui energia (cioè l'efficacia possibile, nel senso più materiale) sia uguale a quella contenuta nei tuoi muscoli. Alcuni hanno avuto questo potere. San Francesco. Sforzarsi di diventare tale da poter essere non-violento. Ciò dipende anche dall'avversario. sforzarsi di sostituire sempre più, nel mondo, la non-violenza efficace alla violenza. Niente di ciò che è inefficace ha valore. La seduzione della forza è bassa.1 È una difficoltà terribile. Arjuna è nel torto perché si lascia sommergere dalla pietà invece di pesare chiaramente il problema: posso non combattere? Ha dimenticato la sua bilancia. Ogni uomo deve imitare Zeus e fare uso della sua bilancia d'oro. La bilancia del dharma. Non credere di poter uccidere - né di poter salvare, beninteso. Non credere di avere un potere. La prak®ti con i suoi gu±a fa tutto - anche il bene - anche il male - il male e il bene, tutto. L'uomo non ha alcuna potenza, e tuttavia ha una responsabilità. L'avvenire corrisponde alla responsabilità, il passato all'impotenza. E tutto ciò che deve ancora venire sarà passato. Se K®ß±a fosse intervenuto a illuminare Arjuna, Arjuna si sarebbe battuto ugualmente, ma male. Il corpo è una 1 Le ultime due frasi sono unite da una graffa. Filosofi sul pensiero indiano: 3. Weil 129 bilancia per i moventi, una bilancia perpetua, perpetuamente mobile. Ciò che si chiama io, me - è solo un movente. Ma è soprannaturale che per un istante la bilancia si arresti e sia sospesa. Dopo l'arresto, le STESSE FORZE agiscono su di essa, ma è più giusta. Deve esservi un ritmo ottimale - una durata e una frequenza ottimali negli arresti. Anche quest'arresto implica necessariamente dispendio di energia ma energia essenzialmente differente. Come avviene che qualcosa si arresti? Nella materia inerte, un corpo mobile si arresta per degradazione dell'energia meccanica in energia termica. Nell'uomo, apparentemente, trasformazione dell'energia in senso inverso. Perché negli scambi e modifiche dei tessuti organici, soprattutto nervosi, non vi sarebbe una forma di energia che stia al movimento e all'irradiamento come il movimento e l'irradiamento stanno al calore? Il mistero comunque resta lo stesso. Si tratta dei gu±a della prak®ti. Vi è qualcosa nel mondo con cui il soprannaturale ha un rapporto, un legame speciale. Che cosa? Quale legame? La trad. specialmente quando si tratta del problema riguardante la realtà del mondo esterno. Notevolissima è la comprensione della dialettica della vacuità e la comprensione dei suoi effetti sulla coscienza. cui appartenne Någårjuna). positivismo e nichilismo proprie del pensiero occidentale. A tutte queste sette è comune la volontà buddhistica di redenzione. c'è solo la certezza che la coscienza ottiene da se stessa. la scienza del dolore e dell'inessenzialità della realtà mondana. In questo quadro schematico dei vari punti di vista “riguardo alla teoria della conoscenza”. I grandi filosofi. Ma questi concetti non sono che residui razionali del contenuto . italiana è di F. Il mondo esterno è veramente reale e si può immediatamente conoscere con la percezione (come pensano i Sarvastivådin). Milano 1973. Jaspers su Någårjuna. la riflessione sulla conoscibilità del reale ha fatto sorgere una molteplicità di opinioni. pp. Jaspers. Nel suo I grandi filosofi (1957) Karl Jaspers dedica un capitolo al Buddha e uno (quello finale) a Någårjuna. esso non è percepito dai sensi. reale è solo il mondo interiore. I Çûnyavådin sono una setta tra le tante. Costa in K. razionalismo ed empirismo. 1237-39. Entro questa dottrina comune.130 L’India filosofica 4. ma la sua esistenza può essere desunta dalle percezioni (come pensano i Sautråntika). nella vera realtà non vale alcuna distinzione tra soggetto e oggetto (così gli Yogåcåra). non vale alcuna distinzione reale tra l'essere soggettivo e quello oggettivo (così i Çûnyavådin. si possono ritrovare le distinzioni schematiche di idealismo e razionalismo. né il mondo esterno né quello interno sono conoscibili come un essere reale per sé stante. nel ritorno alla dissoluzione del pensiero. la via della salvezza sta nella scomposizione del sapere stesso. di ogni soggetto conoscibile e di ogni concezione possibile. udire. Ciò che si è verificato mediante questo dispiegamento si risolve. comunicare.Filosofi sul pensiero indiano: 4. la distruzione del pensato ad opera del pensare stesso che ha prodotto la caduta. Nonostante ogni intellezione ottenibile nel proprio pensiero mediante l'autosuperamento del pensiero. per opera di un pensiero migliore. La vacuità di ogni realtà dell'esserci diventa ora l'essere positivo di ciò da cui derivano sventura e dolore per la caduta nel divenire del mondo e verso cui si compie il ritorno. Ogni pensare e ogni pensato appartengono a questa caduta. significa piuttosto adesione. Il senso del vero pensiero sta nel rovesciamento di ogni dispiegamento di pensiero nel mero non pensare. La dolorosa elaborazione compiuta dalla coscienza della vacuità nel dispiegamento del mondo è allora ricondotta all'origine. Questo si verifica in ultimo nella penetrazione intuitiva della falsità di ogni segno indicativo e quindi di ogni linguaggio. La possibilità di una simile traduzione dottrinaria dipende dalla misura in cui un sapere determinato viene usato come mezzo di salvezza. Ma poiché ogni sapere. Se la mera datità della parola come segno e la sua mancanza di senso verace è intuitiva fino in fondo. a meno che non si realizzi di fatto seriamente il silenzio assoluto e non abbia fine ogni parlare. Ciò che questo contenuto ha di essenziale si rivela come un punto di vista che non si può adeguatamente comunicare in una dottrina espressa in parole. l'indicazione della via della salvezza. Pertanto la posizione di . Ma nel mondo restano ancora la dottrina. Jaspers 131 filosoficamente vissuto nell'India. in quanto costituito da contenuti positivimente enunciabili. allora si dissolve e questa è la liberazione. resta perciò presente una posizione. il linguaggio. 132 L’India filosofica Någårjuna. Il saggio invece l'abbandona alla corrente che si lascia dietro di sé. simile all'illusione prodotta da un mago. Chi volesse allora continuare a insegnare la dottrina. Se questo veicolo ci porta da una sponda all'altra diviene del tutto inutile. Chi è giunto alla saggezza vede a fondo tutto questo e perciò diventa padrone di tutte le idee senza esser soggetto a nessuna di esse. La dottrina è utile per farci sempre sottrarre a ogni realtà. È questo processo del sorgere condizionato che produce un mondo in cui presumiamo di avere sicura dimora mentre il nostro dolore non ha via di scampo. ritorna ad essere una rigida formula della vacuità. cioè la dottrina del “sorgere condizionato”. insieme a questa dottrina. Egli sta sospeso su tutte le idee determinate mentre si muove tra esse e mette in sospensione tutto se stesso con il suo esserci. . La dottrina di Någårjuna del “sorgere condizionato” dice che ogni cosa è condizionata perché è e non è allo stesso tempo. approdato all'altra riva. sarebbe tanto stolto come chi. La condizione di ogni cosa sta in ciò per cui c'è un mondo come questo. sta cioè in me e nel mio pensiero. Il mondo intero del sorgere condizionato. Ottenuta la salvazione l'inganno svanisce nel fondo e si apre ciò di cui è impossibile parlare. s'infrange nel suo stesso venire enunciato e questa è la salvazione. La dottrina è come un barca che ci porta al di là del fiume dell'esserci. Il mondo dei dharma e l'io stesso sono dentro il processo di condizionamento. volesse inoltrarsi nel nuovo territorio portando la barca sulle spalle. così connessa con la corrente illusoria dell'esserci mondano. non per farci impiantare in essa. pur con qualche perdita di significato. in una sorta di bilancio critico. ma mancano le . l'empirismo ha. essere tradotto con pratyakßa (“percezione”). Buddhi può essere tradotta con “intelletto“. passato. (la tr. Jitendra Nath Mohanty sulla natura del pensiero filosofico indiano: empirismo. Oxford 1992. I capitoli precedenti hanno senz'altro chiarito che nel pensiero indiano esiste un forte filone empirista. grande studioso della fenomenologia husserliana. Di fatto. anche se le posizioni filosofiche non sono mai state classificate in termini di empirismo e razionalismo (o simili). prerogative più forti di quelle del razionalismo. che apre a prospettive comparatistiche. da parte degli yogin. presente e futuro). e dalla notevole mancanza di pensiero modale (“mondi possibili”. è di chi scrive). razionalismo e “fondazione” ultima. Jitendra Nath Mohanty. nella tradizione filosofica indiana.Filosofi sul pensiero indiano: 5. Ciò è attestato dal primato della percezione. sulla natura del razionalismo e dell’empirismo indiani. il termine “ragione” non possiede sinonimi sanscriti. “necessità”. è uno dei maggiori storici e interpreti viventi della filosofia indiana. 227 ss. it. di tutto il tempo.). egli si interroga.N. Tuttavia. a-laukika. alcune delle rovinose conseguenze dell'empirismo vengono evitate estendendo l'ambito della “percezione” fino a includere l'apprensione intuitiva degli universali e delle relazioni (e in alcuni casi persino la percezione straordinaria. In questo brano. Mohanty. Mentre il termine “esperienza” può. Reason and Tradition in Indian Thought. Mohanty 133 5. ecc. Il brano è tratto da J. dall'importanza dell'“esemplificazione” (d®ß¥ånta) nella teoria del sillogismo. pp. per estensione. questi tre elementi restano disgiunti. Il vikalpa è dunque una particolare unione di parola. vennero a significare la costruzione mentale. I termini decisivi sono kalpanå e vikalpa . Tra i vikalpa vengono inclusi non solo i concetti d'invenzione. come «mere costruzioni verbali» . “genere”. . Il commento di Vyåsa spiega: il vikalpa non è né un pramå±a né appartiene alla categoria delle cognizioni false. pensiero e cosa.che significano entrambi “immaginazione”.intese come categorie . è «senza alcun oggetto reale». Gli Yogasûtra (I. intellettuale o concettuale. 52. Si può poi dire che l'Advaita Vedånta consideri tutti gli oggetti. E tuttavia c'è un aspetto della “ragione” che la filosofia occidentale moderna riconosce specialmente a partire da Kant. benché alla mente ordinaria appaia reale. che attribuisce “nome”. Il vikalpa dello Yoga diventa la kalpanå dei buddhisti. e anche nel caso delle a-pramå.134 L’India filosofica principali implicazioni epistemologiche e metafisiche connesse al termine “ragione”. Benché il vikalpa non abbia un oggetto reale. il Buddhismo e il Vedånta. è un «costrutto mentale» (buddhinirmå±a) ed è «generato dalla cognizione verbale». 9) definiscono il vikalpa come ciò che «è generato dalla cognizione verbale ma non ha un oggetto reale» (çabdajñånånupåtî vastuçûnyo). e così tutte le differenze tra essi e all'interno di essi.all'essere istantaneo. L'idea di “costruzione” è presente in un filone che attraversa lo Yoga. che. “sostanza” ecc. La ragione “costruisce” e “costituisce” il mondo che conosce. esso è utile grazie alla potenza della cognizione verbale. Nel discorso filosofico. stando al commento a Yogasûtra III. ma anche concetti come quello di “tempo”. nel caso dei pramå±a. alla “natura propria” (sva-lakßana) che è afferrata dalla percezione (pura). Se di qualcosa si dice che è un a priori nel senso che è una condizione non empirica della possibilità dell'esperienza. Se ora delimitiamo l'idea di un a priori a ciascuno dei sistemi. sarei indotto a pensare che la teoria dei pramå±a e la lista dei prameya proprie a ciascun sistema siano una struttura a priori che il sistema si limita ad elaborare e a difendere contro i critici. dovute ad un'ignoranza metafisica che non ha inizio. È non-empirica perché l'ignoranza .sia nel Buddhismo che nel Vedånta non ha origine: è an-ådi.Filosofi sul pensiero indiano: 5. Mentre quindi l'avidyå funziona da a priori in quei sistemi. la tendenza a concettualizzare. piuttosto. Sono gli usuali pramå±a: . senza inizio. a costruire e a differenziare è trasportata dalle “nascite” precedenti a quella presente. non ha senso chiedere «quando hai cominciato ad ignorare la tal cosa?». si può dire che in una vasta parte del pensiero indiano l'avidyå o ignoranza sia precisamente un a priori. e. false apparenze rese presenti (mithyå). dall'altro. Ed è senza inizio perché. e 2) quelle che essa costruisce e pertanto fa “essere” sono. da un lato. essa è tuttavia diversa dall'a priori di molta parte del pensiero occidentale nella misura in cui 1) è eliminata o meglio distrutta dalla conoscenza metafisica della natura delle cose. ecc. Mohanty 135 (våc-årambha±a-måtra). “qualità”. […] I filosofi d'altronde non riconoscono alcuna modalità particolare di conoscenza riflessiva che sia implicata in quella speciale attività che è il pensiero filosofico: i mezzi cognitivi utilizzati dal filosofo sono gli stessi che utilizzano anche lo scienziato e l'uomo comune nella vita quotidiana. sicché in linea di principio non è appresa (quella che si apprende è la capacità di utilizzare specifici concetti empirici.). non le categorie superiori quali quelle di “sostanza”. Qual è.e a se stessa. riflettendo all'interno del suo io. come ho già fatto in varie occasioni. vorrei comparare l'ideale dei filosofi indiani a quello di Husserl. Questa tesi radicale della “fenomenologia trascendentale” non ha mai fatto capolino nel mondo del pensiero indiano. o alcuni altri che possono essere riconosciuti dal sistema. dunque. è come se la messa a nudo della razionalità delle nostre credenze e delle nostre cognizioni. far giungere a chiarezza intuitiva questo radicamento. la coscienza testimonia di quest'atto . il fondamento ultimo dei darçana? Uno degli scopi che la filosofia in Occidente si è proposta è quello di fornire un fondamento sicuro ad ogni esperienza umana . tutte le credenze scientifiche e quotidiane sono radicate nelle strutture della coscienza in un modo tale che il filosofo può. Ma un pensatore moderno che ha perseguito senza tregua questo scopo fondamentista è Husserl e.136 L’India filosofica percezione. è una coscienza testimoniante e/o fondante. La filosofia indiana condivide con Husserl l'idea che ogni prova. la coscienza fondazionale. che tutte le formazioni mondane. e pertanto il fondamento ultimo di ogni affermazione. Proseguendo su questa strada. Ma Husserl perseguiva un fine estremamente radicale . delle regole morali e delle creazioni artistiche. estetica . contro un limite assoluto. e non una soggettività costitutiva universale. Come ho già avuto modo di sottolineare. in linea di principio. morale.il fine della razionalità: che cioè si possa mostrare. Questo tradizionale fondamentismo è divenuto a poco a poco sospetto. I pramå±a le affermano. e ha finito per essere abbandonato da molti pensatori contemporanei.cognitiva. inferenza e çabda. sia coscienza. nel pensiero indiano. per il pensiero indiano. si scontrasse. nel pensiero indiano dipende dalla nostra risposta a questa domanda. Mohanty 137 di affermazione. . e non può essere. Qual è dunque la fonte della loro autorità? Il concetto di razionalità che opera . ma l'autorità giudicante dei pramå±a non è. rintracciata nella loro origine nella struttura di quella coscienza.benché non tematizzato .Filosofi sul pensiero indiano: 5. . Riferimenti bibliografici . . . pp. II [1972 (1956)] = Bochenski. La logica formale. G. it. La logica formale. – Tracy. H.). II (1956). Princeton 1990. S. tr. Les Philosophies de l'Inde. A History of Indian Philosophy.N. Breve storia del Buddhismo. Bochenski. Paris 1970 (tr. Coward. What are B. Paris 1990.). The Dating of the Historical Buddha [1991] = Bechert. Milano 1983). S. E. . Milano 1985.. it. 59-86. Potter). Bugault. E. doing when they deny the self? [1994] = Collins. Albany (NY) 1994. 5 dell'Encyclopedia of Indian Philosophies curata da K.M.. The Philosophy of the Grammarians. Religion and practical reason: New essays in the comparative philosophy of religions. 5 voll. (ed. J. .G. J. K.. 543-6. Dasgupta. Breve storia del Buddhismo [1985] = Conze. 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