Il santuario della dea Mefitis a Rossano di Vaglio

June 12, 2018 | Author: Olivier de Cazanove | Category: Documents


Comments



Description

48

Il santuario della dea Mefitis a Rossano di Vaglio di Olivier de Cazanove*

Dopo la metà del IV sec. a.C., un grande santuario dedicato alla dea italica Mefitis sorse nei pressi dell’insediamento antico di Serra di Vaglio, nel cuore della Lucania interna. Di questo luogo di culto conosciamo solo un lungo altare nel mezzo di un piazzale lastricato, circondato da portici restaurati più volte, e ancora nel periodo tardo repubblicano, mentre la frequentazione si protrasse fino all’età di Caligola. Ma non è detto che il santuario sia limitato all’altare a cortile. Più a monte, fino alla chiesetta della Madonna di Rossano, dove erano murate le iscrizioni trovate prima dell’inizio degli scavi, sono state trovate strutture di vario tipo, apprestamenti idraulici e quello che i primi resoconti interpretarono come “tracce di fattorie ellenistico-romane e bizantine”. La vastità del demanio della dea e il suo carattere prevalentemente naturale potrebbero essere indicati dal toponimo “Lucos” (bosco sacro) che si riscontra sulla Tavola di Peutinger, famosa copia medioevale di una carta antica. Lucos è una stazione a dodici miglia da Potentia (quasi 18 chilometri, distanza che corrisponde perfettamente a quella tra Potenza e la Madonna di Rossano) su un itinerario che porta a Venusia, ma non dalla strada più diretta (che sarebbe la via Herculia tardo antica), bensì da una strada una volta e mezzo più lunga che raggiunge Venosa da oriente. Mefitis è una divinità ben attestata nell’Italia meridionale, tra le popolazioni di lingua osca, in Lucania, Irpinia, forse

1. Rossano di Vaglio, planimetria dell’altare a cortile (O. de Cazanove)

Sannio e Campania, fino al confine con Lazio. La dea è anche presente a Roma, dove aveva un tempio e un bosco sacro (lucus). C’è anche qualche testimonianza isolata nell’Italia settentrionale, a Cremona e Lodi, ma queste si spiegano facilmente con il fenomeno della colonizzazione. Rimane il fatto incontestabile che l’epicentro del culto va circoscritto in un’area piuttosto ristretta, tra le attuali province di Avellino e Potenza. Il santuario di Mefitis sicuramente più famoso nell’evo antico era quello di Ansanto in Irpinia (presso l’odierna Rocca San Felice) che Varrone, Cicerone, e soprattutto Virgilio nell’Eneide, descrivono come una delle bocche dell’inferno. Fama ampiamente meritata dagli impressionanti fenomeni naturali che, ancora oggi, contraddistinguono il sito: il lago dei soffioni sprigiona grosse bolle di anidride carbonica che si addensa a valle, nel cosiddetto “vado mortale”, uccidendo gli animali che vanno ad abbeverarsi nel torrente. L’altro grande santuario di Mefitis, quello di Rossano di Vaglio in Lucania, non presenta assolutamente queste caratteristiche così peculiari. Le fonti letterarie antiche non lo menzionano mai. La sua fama è moderna, dovuta ai fortunati scavi diretti da Dinu Adamesteanu che, a partire dal 1969, hanno riportato alla luce, oltre all’altare a cortile, una eccezionale messe di epigrafi, 59 a tutt’oggi, di cui più di quaranta iscrizioni in lingua osca, e più di dieci in latino, le più recenti. Questo corpus consistente è stato studiato e pubblicato da Michel Lejeune, linguista e epigrafista di fama internazionale, fino a 1990. Dieci di queste iscrizioni menzionano esplicitamente Mefitis, due altre sono dediche a numi “mefitani”, cioè associati a Mefitis. C’è difatti una pluralità di divinità presenti nel santuario, Giove, Marte, Venere, com’è da aspettarsi in

49

2. L’altare di Rossano di Vaglio (O. de Cazanove)

un santuario politeistico. Mefitis stessa aveva più epiclesi (epiteti divini), di interpretazione discussa: Mefitis Utiana, Mefitis Kaporoinna, Mefitis Aravina. La penultima iscrizione rinvenuta nel santuario, nel 1999, lungo una via che portava a un accesso secondario al cortile porticato, è stata pubblicata da Paolo Poccetti. Si tratta di una dedica privata a Ercole, fatta da un tale Luvc(e)ties Ven(e)lenis nel corso del II sec. a.C. avanzato. L’iscrizione costituisce una ulteriore testimonianza della ricchezza del pantheon locale e insieme della vitalità delle pratiche votive qualche decennio prima della guerra sociale. La dedica era incisa su una base conformata a mo’ di altare, ma che doveva reggere una statua a grandezza naturale – verosimilmente di Ercole. Le prime iscrizioni, prevalentemente su blocchi di arenaria, sono state trovate riadoperate nei muri appartenenti alle ultime fasi di vita dell’altare a cortile, mentre quelle più recenti, e particolarmente quelle a pertinenza pubblica, che menzionano magistrati e un senato, giacevano sul lastricato del piazzale, come la doppia dedica, a Giove e alla “domina giovia” (forse Mefitis stessa), fatta dal questore Lovkis Nanonis con previo decreto del senato locale, che rivestiva basi gemelle davanti al portico IV a sud ovest. All’altra estremità del portico, nell’angolo sud del cortile, un’altra lastra di calcare duro, anch’essa databile al II sec. a.C., era la fronte di un piedistallo per “statue bronzee dei re”, segono aiznio rego come recita il testo osco. Talvolta

3. Tabula Peutingeriana, particolare dell’itinerario da Potenza a Venosa con la stazione Lucos (da cazanove, MEFRA 2008)

4. Il santuario di Mefitis a Ansanto in Irpinia (O. de Cazanove)

5. Rossano di Vaglio, dedica a Ercole (da PocceTTi, MEFRA 2001)

50

lastre iscritte sono state reimpiegate due volte, una prima volta come elementi architettonici, una seconda volta nelle fondazioni, ormai invisibili. Questi e altri elementi sono di grande aiuto per ricostruire la cronologia relativa del complesso e datare le diverse fasi di ristrutturazione. Il santuario nasce dunque nella seconda metà del IV secolo, in forme già monumentali: la presenza di uno o più edifici (forse già portici) è indiziata da una serie d’antefisse a testa femminile con krobylos (una specie di chignon). Le offerte ritrovate durante gli scavi sono numerose: armi di bronzo e ferro, gioielli d’oro, argento e bronzo, busti e statuette di terracotta, monete, bruciaprofumi (thymiateria), abbondante ceramica a vernice nera, comune e miniaturistica, mentre la ceramica a figure rosse e quella sovradipinta (la cosiddetta “ceramica di Gnazia”) sono appena attestate, il che costituisce un’ulteriore prova dell’emergere relativamente tardo del santuario. Verso il 200 a.C., dopo la guerra annibalica, l’altare a cortile lastricato acquisisce la sua fisionomia quasi definitiva, proprio nel momento in cui venne costruito, a Civita di Tricarico, un tempio preceduto da un piccolo sagrato basolato (con il negativo dell’altare), che presenta similitudini, a scala ridotta, con quello di Rossano di Vaglio. Nel santuario di Mefitis, antefisse a testa di gorgone alata – che derivano chiaramente da una famosa scultura ellenistica, la medusa Rondanini, ormai datata tra la fine del III o nella prima metà del II sec. a.C. – potrebbero appartenere a questa fase. Copie scadenti dello stesso tipo hanno un corrispettivo, ancora una volta, a Tricarico, sull’acropoli. A Rossano di Vaglio, la frequentazione del II-I sec. a.C. è ben documentata, oltre naturalmente che dalle iscrizioni di cui si è detto, dalla ceramica a pasta grigia, dalla ceramica sigillata italica e dalle monete. Finalmente, le ultime modifiche architettoniche intervengono in età tardo repubblicana o augustea, quando un esponente di una famiglia di spicco, la gens Acerronia, fece restaurare il portico sud-ovest. Il visitatore che si avvicina oggi al monumento deve essere cosciente che quello che vede non è altro che il santuario di età romana, così come si presentava verso l’inizio della nostra era. L’accesso al piazzale si fa ora, da monte, con pochi gradini di legno che consentono di scendere fino al livello del lastricato. Nell’antichità, si può più verosimilmente supporre la sistemazione di una rampa basolata per fare accedere le vittime animali all’area sacrificale. L’ampio varco si apre in un muro di terrazza in blocchi di arenaria, in parte di reimpiego (ma anche largamente rimontato). Da ogni lato dell’ingresso si trovavano due fontane. Ne rimane una delle bocche, conformata a forma di maschera leonina. L’acqua veniva raccolta forse da vasche scomparse e, al suolo, da due cunette semicircolari collegate tra loro. Tale apprestamento era necessario per le abluzioni preliminari. Ma non solo. Era anche indispensabile lavare periodicamente lo spazio attorno all’altare per eliminare ogni traccia del sacrificio cruento e anche, più trivialmente, della sosta più o meno prolungata degli animali promessi alla morte e del loro nervosismo crescente. Per tale scopo, a Rossano di Vaglio, dalle cunette semicircolari parte un’altra cunetta che attraversa diagonalmente il cortile lastricato. Fa un gomito per evitare l’altare e sbocca in una fogna voltata che evacua le acque nel burrone vicino. Le cunette non erano coperte né potevano esserlo. Questa

6. Scoperta nel 1971 dell’iscrizione RV 28 che menziona le “statue bronzee dei re” (archivio Lejeune)

7. Antefisse a testa di gorgone alata, da Rossano di Vaglio e da Civita di Tricarico (da cazanove cds)

8. Rossano di Vaglio, il portico di Acerronius (O. de Cazanove)

sistemazione serviva a lavare a fondo il pavimento e fare in modo che il flusso trascinasse la sporcizia nella fogna. L’altare di arenaria è eccezionalmente lungo (27,25/27,50 m, cioè probabilmente 100 piedi oschi). Si tratta in realtà – il fatto merita di essere segnalato – dell’altare più lungo d’Italia e di Sicilia, più lungo di quelli di Agrigento e Selinunte, o ancora di quelli di Metaponto e Paestum, eccezione fatta per l’enorme altare di Ierone a Siracusa

51

9. Rossano di Vaglio, la cunetta di deflusso delle acque (O. de Cazanove)

che misurava un stadio, secondo Diodoro (e addirittura 195,85 m dalle misure fatte sul campo). Colpisce il fatto che il secondo posto dopo questo gigante non sia da ricercare in una città greca coloniale, ma in ambiente indigeno. Il cortile lastricato attorno all’altare, di circa 875 m2, era circondato da un vero e proprio scrigno architettonico: su due lati da portici, e a sud est dal muro continuo di una lunga galleria, sulla quale si aprivano ben sette ambienti (mentre quattro altri si trovano all’angolo sud). Entrambi i portici erano di ordine dorico, con colonne laterizie stuccate e capitelli di arenaria. Davanti a quello di Acerronius a sud-ovest, il più sfarzoso, in corrispondenza di ogni colonna si trovava un piedistallo di cui rimane la modanatura di base. Bisogna pertanto supporre la presenza di una serie di statue, onorifiche o divine. Molti sono i punti interrogativi che continua a suscitare questo complesso santuariale d’eccezione. Non dipende da

un singolo abitato fortificato, almeno dopo la scomparsa di Serra di Vaglio che viene solitamente fissata nel III secolo a.C. E allora a quale comunità sono da riferire le magistrature e il senato menzionati dalle iscrizioni rinvenute nel luogo di culto? In mezzo secolo di ricerche sono state avanzate varie proposte interpretative: un santuario federale dell’ethnos lucano; un santuario cantonale di uno dei popoli di quest’ethnos; un santuario dipendente da Serra prima e da Potenza poi (ma Potentia è città romana, mentre le istituzioni citate sono osche); un santuario che avrebbe amministrato il territorio non inglobato nella (presunta) colonia potentina; un santuario gestito da più abitati insieme (abbiamo visto, strada facendo, qualche punto di contatto con la vicina Civita di Tricarico, e ne esistono ancora altri). Una risposta univoca non è forse al momento possibile. Sarà il progresso degli studi sul santuario stesso, ma anche sull’articolazione territoriale dell’entroterra lucano, prima e dopo la conquista dell’egemonia da parte dei Romani, a farci comprendere meglio il ruolo del grande luogo di culto della dea Mefitis a Rossano di Vaglio. *Olivier de Cazanove Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne

Bibliografia essenziale

10. Rossano di Vaglio, una delle fontane a fianco dell’ingresso (O. de Cazanove)

M. lejeune, Méfitis d’après les dédicaces lucaniennes de Rossano di Vaglio, Louvain-la-Neuve 1990 d. adaMesteanu, h. dilthey, Macchia di Rossano. Il santuario della Mefitis. Rapporto preliminare, Galatina 1992 P. PoCCetti, [M.l. nava], “Il santuario lucano di Rossano di Vaglio. Una nuova dedica ad Ercole”, in MEFRA 113, 2001, 1, pp. 95-122 o. de Cazanove, “L’autel à cour de Rossano di Vaglio: une analyse de son usage”, dans v. GasParini (éd.), Vestigia. Miscellanea di studi storico-religiosi in onore di Filippo Coarelli nel suo 80° anniversario, Stuttgart 2016, pp. 223-238

Copyright © 2024 DOKUMEN.SITE Inc.