Il ready made di Marcel Duchamp: teoria dell’indifferenza visiva Filippo Toppi 1 Pittura e ready made Marcel Duchamp scelse i suoi primi ready made negli anni dieci del Novecento: si tratta, come è noto, di oggetti qualsiasi, comuni utensili prelevati dal loro contesto, inseriti in uno spazio artistico – un museo, un’esposizione – e considerati a quel punto come autentiche opere d’arte. I più celebri tra questi oggetti sono senz’altro la ruota di bicicletta fissata su uno sgabello (Rue de bicyclette, 1913), lo scolabottiglie (Égouttoir, 1915), l’orinatoio capovolto e posato su di un piedistallo (Fountain, 1917). Il ready made si presenta, dunque, come un gesto fortemente dissacrante, avvicinabile almeno in parte agli intenti iconoclasti del movimento dadaista, al quale Duchamp fu vicino per diversi anni; al tempo stesso, tuttavia, può essere inteso al di là dell’evidente valenza provocatoria e considerato come una forma d’arte che, in qualche modo, solleva alcune domande fondamentali riguardanti i meccanismi che stanno alla base dell’evento estetico. Il filosofo Thierry De Duve parla, a proposito dei ready made, di «opere paradigmatiche», in grado di mettere in luce alcune problematiche cruciali legate allo statuto stesso dell’arte e dell’artista nell’epoca contemporanea1 . Se oggetti come Fountain o come il celebre L.H.O.O.Q.2 si caratterizzano soprattutto per la loro natura “irriverente”3 , per 1 Cfr. T. De Duve, Résonances du ready made, Chambon, Nîmes 1989, p. 7. Si tratta di una riproduzione della Gioconda di Leonardo a cui Duchamp ha aggiunto a matita baffi e barba. L’acronimo L.H.O.O.Q. (che è titolo dell’opera e appare anche scritto su di essa) letto in francese suona: «elle a chaud au cul». 3 Nonostante ciò, di fatto, sono proprio Fountain e L.H.O.O.Q. i ready made che hanno destato più scalpore e sono diventati più famosi, perché proprio la loro “semplicità” li ha resi un affronto plateale e sconcertante ai principi dell’arte tradizionale. 2 c 2002 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera/) Copyright Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti ai Ministeri della Pubblica Istruzione e dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica per scopi istituzionali, non a fine di lucro. 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Ciò che emerge da un’analisi dei testi di Duchamp – un’analisi che risulta piuttosto difficoltosa, poiché il materiale è estremamente eterogeneo e lo stile inafferrabile, spesso ironico, a volte contraddittorio – è che il ready made nasce in qualche modo da una riflessione riguardante la pittura d’avanguardia: Duchamp era infatti pittore, con uno stile vicino al cubismo, e nel 1913, a soli 27 anni, aveva deciso di abbandonare la pittura intesa tradizionalmente per iniziare a sperimentare nuove forme espressive. Tuttavia, già nei suoi ultimi dipinti compaiono i segni di una ricerca che verrà poi sviluppata in forme molto differenti. Un esempio significativo è dato dal celebre Nudo che scende le scale n˚ 2, realizzato con uno stile molto personale che pare attingere soprattutto da Cubismo e Futurismo4 e nel quale il titolo (Nu descendant un escalier n˚ 2) svolge un ruolo nuovo e importante; esso infatti compare scritto direttamente sulla tela, è situato all’interno del dipinto, ne è parte integrante e per nulla a scopo formale, come accade nel caso di un collage o di un calligramma5 , anzi s’impone proprio per la sua valenza concettuale: Picasso usa il titolo [ma jolie] come un calligramma: cancellarlo modificherebbe tutto lo spazio plastico del quadro. Togliere il titolo del Nudo lascerebbe intatta la composizione. La sua presenza non è nell’enunciato pittorico, ma nell’atto di enunciazione, atto nominalista che aggiunge al soggetto dipinto un colore invisibile.6 Occorre notare a questo punto come i titoli dei dipinti, nel loro utilizzo tradizionale, ma anche e soprattutto in opere cubiste, rimandino generalmente a un qualcosa che sta al di fuori del quadro – Ma jolie di Picasso, ad esempio, il cui soggetto, seppur poco riconoscibile nel dipinto, è reso esplicito dal titolo – e come invece Nudo che scende le scale non costruisca una relazione tra immagine rappresentata e referente “esterno”, ma rimandi piuttosto al quadro stesso: «Nudo che scende le scale rimanda anche al soggetto stesso del dipinto di cui il titolo è il nome, posto in basso alla tela come un’etichetta»7 . Il numero 2 apposto al titolo rende ancora più evidente questa situazione, mostrando in maniera palese l’allusione a un altro “nudo che scende le scale”, in una specie di gioco di specchi lontano da ogni riferimento al mondo “reale”. Oltre a poter essere inteso come una specie di segnale di mancanza di originalità – comportando la perdita di quell’aura 4 Anche se Duchamp ha sempre negato qualsiasi influenza futurista, dichiarando di essersi ispirato direttamente agli studi, in ambito fotografico, di Etienne-Jules Marey e Eadweard Muybridge. 5 La tecnica del calligramma pare sia stata inventata da Apollinaire e ripresa subito dai cubisti per le loro sperimentazioni, soprattutto da Picasso e da Braque. 6 «Picasso emploie le titre [ma jolie] à la manière d’un calligramme: l’effacer modifierait tout l’espace plastique du tableau. Retirer le titre du Nu laisserait la composition intacte. Son intervention n’est pas dans l’énoncé pictural, mais dans l’acte d’énonciation, acte nominaliste qui ajoute au sujet peint une couleur invisible» (cfr. T. De Duve, Nominalisme pictural, Éditions de Minuit, Paris 1984, p. 208, tr. it. nostra). 7 «Nu descendant un escalier renvoie aussi au sujet du tableau lui-même dont le titre est le nom, apposé au bas de la toile comme une étiquette» (ibid., tr. it. nostra). 2 fino a ottenere un’assenza di distinzione tra generico. vi è questo accenno: «Una specie di Nominalismo pittorico (controllare)»10 . non era affatto innocuo. Diventa 8 Id. è indipendente dall’interpretazione»12 . specifico. Cfr. it. In tutte le note di Duchamp. sia quelle pubblicate quando egli era ancora in vita sia quelle postume. Esistono dunque. si parla soltanto due volte esplicitamente di nominalismo.. 11 «Nominalisme (littéral) = Plus de distinction: générique. tanto che «l’insieme di diverse parole senza significato condotte al nominalismo letterale. numerico. proprio mentre il Cubismo era alla ricerca di un nuovo e più efficace metodo per rappresentare – analizzare: è il periodo del Cubismo analitico – la realtà.. e come ebbe a dire Duchamp stesso a Katharine Kuh. si legge: Nominalismo (letterale) = nessuna distinzione: • generica • specifica • numerica. Nominalisme pictural. probabilmente anch’essa scritta intorno al 1914. nostra). Mentre in una nota pubblicata postuma. Id. questo “colore verbale”. Ciò che è plastico per natura. tr. nostra).ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura di unicità che era caratteristica essenziale di ogni dipinto –. l’idea di “nominalismo” è fondamentale e a essa possono ricondursi tutte le numerose note di Duchamp sul linguaggio. come dimostra in maniera approfondita De Duve nel suo testo intitolato Nominalisme pictural. nostra). finché di esse non rimane che una pura presenza plastica. due tipi di nominalismo. quel n˚ 2 certamente richiedeva al fruitore la possibilità d’immaginare un significato del tutto interno al mondo della pittura. p... tr. Il nominalismo letterale è un tentativo di “svuotamento” del significato concettuale del linguaggio. cit. In una nota della Boîte blanche. réduits au nominalisme littéral. quel «nominalismo pittorico» che è alla base dell’abbandono della pittura da parte di Duchamp e della successiva ideazione del ready made9 . numérique» (ibid. Il titolo in questione.11 Nonostante ciò. dunque. est indépendant de l’interprétation» (ibid. spécifique. it. 185. In questa occasione si mostra forse per la prima volta quel «dipingere con le parole». nuova e così difficile da accettare.. La sua caratteristica. era di condurre l’attenzione dell’osservatore al di là del tradizionale confronto tra immagine e oggetto a essa corrispondente. 9 3 . it. cit. 10 «Une sorte de Nominalisme pictural (Contrôler)» (ibid. 187. 24. databile circa nel 1914.. può anche abbandonare la tela e i colori purché non venga a mancare mai questa “denominazione”. Résonances du ready made.. La pittura esiste solo se qualcuno la chiama pittura. p. p. Il procedimento di nominalismo pittorico muove invece nella direzione opposta. trad. 207-208. pp. diventa nient’altro che un nome. ciò che è visivo. dimostrava già l’interesse a prediligere «l’uso delle parole come un modo d’aggiungere un colore al dipinto»8 . Le parole vengono desemantizzate. secondo Duchamp. 12 «L’ensemble de plusieurs mots sans significations. Mi interessava molto di più introdurvi di nuovo delle idee..ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura quindi possibile dipingere con le parole. 15 Ibid. Volevo far sì che la pittura servisse ai miei scopi e volevo allontanarmi dal suo lato fisico [. intervistato da Sweeney”. anche se in realtà esistono alcuni casi precedenti. addirittura piccoli oggetti diventano nuovi materiali a disposizione del pittore. stoffe. it. il primo ready made. nella presa di coscienza che in una disciplina artistica nessun elemento può essere pacificamente considerato necessario e imprescindibile. Un altro interessante punto di contatto tra pittura d’avanguardia e ready made si può osservare prendendo in considerazione la tecnica del collage. C. 16 È questa l’idea di De Duve ma non di Greenberg. Per prima cosa. Billingsley. ideata in ambito cubista in quegli stessi anni dieci del Novecento.5. Torino 1974. Il titolo [Nu descendant un escalier n˚ 2] era molto importante per me. 133. la separazione dei colori in atto nel Puntinismo e nel Divisionismo. . citato in T. all’inizio degli anni Sessanta. tr. a partire dalla metà dell’Ottocento. it. In genere. anche. Greenberg. Bompiani. a Parigi: con il collage pezzi di giornali. pp. il primo collage viene considerato Natura morta con sedia impagliata di Picasso (1912). Baruchello. in A. 14 Cfr. cit. l’abbandono della prospettiva – ad esempio con Gauguin –. La sposa messa a nudo in Marcel Duchamp. secondo cui la pittura. . Gough-Cooper e J.13 Date queste premesse. l’abbandono della figurazione da parte degli astrattisti. Benvenuti. L’arte si dovrebbe volgere in questa direzione: verso un’espressione intellettuale e non verso un’espressione animale. Milano 1993.p. Duchamp. s.1960). p. Effemeridi su e intorno a Marcel Duchamp e Rrose Sélavy. alla ricerca di una sempre maggiore essenzialità formale: l’abbandono del chiaroscuro da parte di Manet. anche J. il non-finito impressionista. di E. di dimostrare come tra Duchamp. T. fino a giungere all’astrattismo geometrico estremo di Maleviˇc e Mondrian – da notare che Quadrato nero su fondo bianco di Maleviˇc è del 1913. Résonance du ready made. Sono stufo dell’espressione «bête comme un peintre». cit. a favore di un procedimento nuovo e più concettuale: Volevo allontanarmi dagli aspetti fisici della pittura.. “Introduzione” di F. Nominalisme pictural. 13 M. “M. aveva imboccato un percorso segnato da «abbandoni progressivi»15 . ben si capisce come il ready made possa essere messo in relazione in maniera diretta con il mondo della pittura d’avanguardia. movimento riduzionista14 . Cfr. 22-23. di P. l’anno in cui Duchamp scelse Rue de bicyclette. tr. A questo punto si potrebbe pensare al ready made come a un passo successivo del percorso riduzionista della pittura16 verso una soluzione di ancora maggiore essenzialità rispetto all’astrattismo geometrico: un sorprendente “abbandono” della tela e dei colori. 228). p. Schwartz. e considerare pittura ciò che apparentemente non potrebbe mai esserlo. Maleviˇc e Mondrian possano stabilirsi forti e importanti analogie (cfr. Caumont. (13. occorre pensare a quello che il critico americano Clement Greenberg aveva definito.D. ]. che esclude completamente il ready made dalla storia della pittura. De Duve. Einaudi. proprio partendo da Greenberg. 4 . De Duve. De Duve invece cerca. Con l’idea di nominalismo pittorico Duchamp introduce insomma il desiderio di cercare qualcosa che vada al di là della tecnica pittorica tradizionale. Dal collage cubista nasce l’idea del papier collé. Da questo punto di vista. George Grosz. a disposizione dell’artista per la creazione delle sue opere. L’opera venne distrutta da un bombardamento. . artisti come Raoul Hausmann. it. L’arte del ventesimo secolo. fra i tanti. una rete metallica. ]. durante la Seconda guerra Mondiale. consolidandosi come uno dei mezzi possibili. a Duchamp il dipinto non interessa più e l’attenzione si concentra unicamente su questi oggetti. tr. Fu utilizzata attivamente dagli artisti futuristi – a cominciare dal Manifesto interventista di Carrà del 1914 – e successivamente nell’area del Dadaismo e.20 17 Cfr. Ibid. in Russia. p. dello spago o dell’ovatta sono elementi che hanno il medesimo valore del colore.. la disposizione e la deformazione dei materiali. finto legno. 19 Merz è una parola che Schwitters disse di aver scelto completamente a caso e che utilizzò molto spesso come “radice” per i titoli delle sue opere. E tutti rompono con l’idea di rappresentazione: nello spazio dell’opera essi sono quello che sono. Riout. “La pittura Merz”. un enorme assemblaggio di materiali di scarto che aveva invaso letteralmente lo studio e l’abitazione dell’artista. Tra gli artisti più importanti che sperimentarono questa soluzione occupa un posto privilegiato Kurt Schwitters – attivo a Berlino negli anni Venti – con le sue sculture Merz19 . All’interno del Dadaismo berlinese. tra l’altro. per principio. del pennello e della tavolozza. L’utilizzo del collage ebbe. La ruota di un’auto per bambini. La differenza con il ready made è tuttavia netta: se nel collage e nel papier collé cubista oggetti “nuovi” entrano a far parte dell’opera pittorica. anche se non salta agli occhi. I Papier collé più peculiari del Cubismo sono tutti composti di stampe: carta da parati. 116. Come ad esempio per il famoso grande accumulo chiamato Merzbau. spartiti musicali. del Suprematismo. Schwitters. Arecco. Riout. rottami o immondizia. anche scarti. nel quale gli elementi presi dalla “realtà” vengono inseriti rispettando la loro funzione e l’oggetto scelto nella composizione pittorica rappresenta esattamente se stesso: La differenza con «Natura morta con sedia impagliata». cit. l’equiparazione sul piano tecnico di ciascuno di questi materiali. John Harrtfield sperimentarono proficuamente le tecniche del collage fotografico e del fotomontaggio.. ma di tutti i materiali visibili per l’occhio e di tutti gli strumenti utilizzabili. Torino 2002. . 160. La pittura Merz si serve dunque non soltanto del colore e della tela. ottenute con ogni tipo di oggetto. D. vengono inglobati nel dipinto. una decisiva espansione nel secondo decennio del Novecento. giornali. p. è comunque sostanziale [. in D. infine. op. importa poco che in origine i materiali siano stati concepiti per altri scopi o meno. Un’esperienza vicina al ready made fu senz’altro anche quella dell’assemblaggio per accumulo. L’artista crea mediante la scelta. 20 K. di S. Einaudi.18 La tecnica del collage ebbe grande diffusione all’interno dei vari movimenti d’avanguardia. 115.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura seppur isolati e poco conosciuti17 . 18 5 . p. Ogni materiale è ormai utilizzabile per creare un’opera d’arte: In sostanza la parola Merz designa l’assemblaggio a fini artistici di tutti i materiali immaginabili e. La prima di queste riguarda il senso stesso della scelta del ready made. p. si differenzia in maniera evidente dagli “accumuli” di Schwitters. 49.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Il ready made. ma per sempre. è che la scelta di questi ready made non mi fu mai dettata da un qualche diletto estetico. pubblicata con il titolo À propos des ready made21 . Jouffroy: Bisognava arrivare a scegliere un oggetto. Flammarion. e dall’altro la ricerca che si potrebbe definire “materica”. È dunque difficile scegliere un oggetto che non vi interessi assolutamente e non soltanto il giorno in cui lo scegliete. da quella che viene definita «indifferenza visiva» (indifférence visuelle): Un punto che voglio stabilire molto chiaramente. assortie au même moment à une absence totale de bon ou mauvais goût. Ce choix était fondé sur une réaction d’indifférence visuelle. Paris 1975. mentre le sculture Merz sono caotiche. nel 1961. Questa differenza segna anche due fondamentali tendenze dell’arte contemporanea: da un lato il percorso che si potrebbe definire “concettuale”. Una di queste occasioni è durante una conversazione con A. e che vede in Duchamp il punto di riferimento storico più importante. se si vuole.. tuttavia. 2 Indifferenza visiva Il testo più importante di Duchamp a commento dei suoi ready made è una breve esposizione che ebbe modo di fare in occasione di un colloquio organizzato da William C. in cui vengono presentate in successione alcune riflessioni fondamentali. nostra). soprattutto per il fatto che quasi tutti gli oggetti scelti da Duchamp sono utensili di uso comune. di esporre un concetto assolutamente fondamentale. e 21 Cfr.22 Duchamp si preoccupa dunque. . M. unita allo stesso tempo a un’assenza totale di buono o cattivo gusto. incentrata appunto sullo studio e sulla sperimentazione dei materali utilizzati per la composizione dell’opera. secondo un diletto estetico di nessun tipo. pp. tr. per prima cosa. al contrario. forse il più radicale – e di conseguenza il più difficile da accettare – messo in gioco dalla forma d’arte del ready made: concetto su cui tornerà spesso per sottolinearne l’importanza. 191-192. vistose. Sanouillet. . bisognava anche che il mio gusto personale fosse completamente ridotto a zero. In più. . en fait une anesthésie complète» (ibid. di fatto un’anestesia completa. con l’idea di non essere impressionati da questo oggetto. Duchamp du signe. Seitz al Museum of Modern Art di New York. «Il est un point que je veux établir très clairement. guidata non da gusto estetico ma. c’est que le choix de ces ready-mades ne me fut jamais dicté par quelque délectation esthétique. . Questa scelta era fondata su una reazione di indifferenza visiva. 22 6 . con un gusto decisamente accentuato per l’ostentazione della fisicità della materia e delle varie combinazioni di oggetti insoliti. senza nessuna “qualità” particolare. it. oggetti insomma indifferenti. trad. carino. C’est donc difficile de choisir un objet qui ne vous intéresse absolument pas et pas seulement le jour où vous le choisissez. Detto questo. Pare dunque opportuno dar credito alle affermazioni di Duchamp. Duchamp.O. 7 . Duchamp. agréable à regarder. p. Siracusa 1992. Cfr.23 Duchamp è molto chiaro. !»24 . citato in A. Occorre precisare. si vous voulez. it. è possibile distinguere i ready made in due tipologie: pensando da una parte alla scelta di oggetti. l’orinatoio: opere che hanno un retroterra fortemente dadaista25 –. oggetti scelti quando Duchamp non aveva ancora strutturato la sua teoria di ready made. La destituzione filosofica dell’arte. anche perché esse. occorre mettere in luce alcuni aspetti su cui soffermarsi maggiormente. per lo meno nei punti “chiave”. 25 L. anzi perdere quasi ogni interesse. Une révolution du regard. 227. . selon une délectation esthétique d’aucun ordre.. “aggressiva” dello scolabottiglie –. e dall’altra alla scelta di oggetti del tutto banali. In seguito a queste premesse. sul quale Duchamp punta per ottenere l’effetto desiderato – la Gioconda di Leonardo. appare come un’eccezione. che se per Ruota di Bicicletta (1913) e Scolabottiglie (1915). ed è per questo che appare estremamente difficile accettare una lettura del ready made volta a interpretarne le caratteristiche formali. Paris 1964. in cui la componente dissacratoria è posta nettamente in primo piano.H. M. il cavatappi. viene definito dallo stesso Duchamp come una combinazione tra un ready made e un gesto dadaista iconoclasta («une combinaison ready-made/dadaïsme iconoclaste»). Tema Celeste Edizioni. ou laid» (M. Danto. volutamente fuorvianti. . sempre tenendo conto che non è per nulla chiaro se le affermazioni di Duchamp a proposito dei suoi ready made siano del tutto serie oppure in qualche modo ironiche. nostra). 30. si può forse ancora parlare di una componente estetizzante -la forma armoniosa della ruota. joli. per i ready made successivi il principio d’indifferenza visiva si applica in maniera più coerente e Fountain (1917). che devono invece evidentemente passare in secondo piano. comuni come lo scolabottiglie. Gallimard.O. se raffrontato a un ready made come Fountain: «è come se si prendesse il verbo più sporco di tutto il linguaggio quale esempio per insegnare la coniugazione. pp. et qui n’ait jamais aucune chance de devenir beau. S’aprono cioè le porte al regno del n’importe quoi. mostrano una struttura teorica piuttosto solida. i quali si fanno espressione coerente del principio d’indifferenza visiva. Arthur Danto vede nella teoria dell’indifferenza visiva un procedimento ingannevole.Q. citato in M. con i raggi concentrici che girano. come lo definisce Thierry De Duve: Con Casseurs de pierres Courbet faceva entrare qualunque cosa [n’importe quoi] nella scena pittorica e Botte d’asperges di Manet parve come la messa 23 «Il fallait arriver à choisir un objet. De plus. Ad esempio. tuttavia. 24 A. o la forma “spinosa”. 110-111.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura che non abbia mai nessuna possibilità di diventare bello. Innanzitutto si può notare come. op. il portacappelli. neutri. o immagini. oppure brutto. p. Sanouillet. avec l’idée de ne pas être impressionné par cet objet. Jouffroy. che hanno un significato forte. potenzialmente. mais pour toujours. gradevole da guardare. cit. con la strategia del ready made ogni cosa possa diventare arte e l’arte possa a sua volta essere costituita da «qualsiasi cosa». il fallait aussi que mon goût personnel soit complètement réduit a zéro. scegliendo di prendere per buona la teoria dell’indifferenza visiva. Nel Dictionnaire abrégé du Surréalisme del 1938 si può leggere la definizione che del ready made diede André Breton. A una domanda molto chiara posta da Philippe Collin. deve reagire allo stesso modo: addirittura non dovrebbe quasi guardarla.1967). Éditions de Minuit. stampato a Parigi da André Breton nel 1924. Au nom de l’art. probabilmente in stretto accordo con lo stesso Duchamp: «oggetto usuale promosso alla dignità di oggetto artistico dalla semplice scelta dell’artista»29 . anzi paradossalmente viene guidato da un desiderio opposto. A. et bien connue. tr.. da qualunque cosa rappresentata a qualunque cosa tout court.26 La prima caratteristica che occorre tener presente affrontando il ready made è perciò questo suo essere n’importe quoi. 27 Cfr. Mazzocut-Mis (a cura di). op. Caumont. 29 A. la storia che va da Casseurs de pierres al ready made è breve e molto conosciuta: da Courbet a Duchamp. (21. teorizzata in ambito surrealista sulle basi di un continuo e proficuo confronto con la psicanalisi di Freud – e naturalmente con le precedenti intuizioni del Dadaismo: Tristan Tzara sosteneva ad esempio che alcuni ritagli di giornali mescolati e posti gli uni accanto agli altri «possono rendere ogni uomo uno scrittore infinitamente originale e di squisita sensibilità»31 . 30 M. l’oggetto-opera d’arte viene scelto non perché “interessante”. cit. p. si prende nozione della sua presenza tramite gli occhi. Breton. L’idea della contemplazione scompare del tutto. di fronte all’opera. Storia dell’estetica. it. Cusl. qui vas des Casseur de pierres au ready made. di sacralizzazione della banalità28 . De Duve. citato in J. Duchamp. Zecchi e E. Percorso antologico-critico. p. nostra).ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura in gioco di qualunque cosa in pittura. op. s. Dopo tutto. Nel manifesto del Surrealismo. ma allo stesso tempo oggetto d’arte: questa su proprietà di trasfigurazione del banale27 . M.p. Franzini. dimostrando concretamente. 31 S.6. Questo tipo di procedimento può richiamare la teoria dell’automatismo psichico. definito come una sorta di «anestesia completa». Sta semplicemente lì. 107. 53. du n’importe quoi représenté au n’importe quoi tout court» (T. prendiamo nota del fatto che è un portabottiglie. cit. 28 Cfr. Paris 1989. La Transfiguration du banal. p. 30 Secondo quanto dichiara lo stesso Duchamp. come sia possibile creare oggetti d’arte senza alcun’abilità tecnica e prendendosi gioco completamente del “buon gusto”.. Paris 1989. . Duchamp rispose in modo altrettanto limpido e inappellabile: C OLLIN – Come si dovrebbe guardare il ready made? D UCHAMP – In fondo non dovrebbe essere guardato. 281. 8 . 691. Après tout. con il loro successo. o che si tratta di un portabottiglie che ha cambiato destinazione. Seuil. de Courbet à Duchamp. citato in A. Il Mulino. Le tensioni filosofiche espresse dal ready made di Duchamp s’impongono dunque come una messa in discussione di alcuni importanti luoghi comuni della tradizione artistica. Schwartz. Semplicemente. Pour une archéologie de la modernité. si legge: 26 «Avec les Casseurs de pierres Courbet faisait entrer n’importe quoi sur la scène picturale et la Botte d’asperges de Manet sonna l’entrée en scène du n’importe quoi en peinture. p. Bologna 1995. . e l’osservatore. Danto. Ma non lo si contempla come un quadro. l’histoire est courte. Milano 2001. Une philosophie de l’art. Tatto e passione. Gough-Cooper e J. al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale. affermare “alla tal ora farò questo”. citato in M. sia in qualsiasi altro modo. Studi sul surrealismo. Officina edizioni. 68. n. 49. la dimensione aleatoria non viene abbracciata completamente. Multhipla edizioni. it. È come se Duchamp si sforzasse di trovare un compromesso tra ragione. ma a una determinata ora. Roma 1977. soltanto un ready made fu scelto secondo questa legge di «orologismo»34 : C ABANNE – Lei paragonò il ready made a una specie di appuntamento. tale data. Sanouillet. – Il ready made potrà in seguito essere cercato (senza alcun indugio). un pettine di metallo scelto nel 1916 e inscritto con data e ora. inconscio e casualità: l’unico modo forse per poter scegliere oggetti veramente puri. cit. L’important alors est donc cet horologisme. una volta. d’inscrivere un ready made. cet instantané. minute. comme un discours prononcé à l’occasion de n’importe qui mais à telle heure. Cabanne. Soltanto l’attimo dell’appuntamento è fissato.33 La casualità. sul ready made come informazioni. minuto. È una specie di appuntamento. in assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione. il funzionamento reale del pensiero. – Inscrivere naturalmente questa data. p. telle minute). – Inscrire naturellement cette date.m. sia verbalmente. Aussi le côté exemplaire du ready made» (M. del resto. Duchamp cerca piuttosto di ricondurli a una serie di regole prestabilite: Precisare i ready made Progettando per un momento a venire (tale giorno. dopo lo scioglimento del Dadaismo. p. 33 9 . nostra). lontani da ogni gusto. Comunque sia. ma la scelta dell’oggetto appare libera. tale minuto). telle date. come un discorso pronunciato in un’occasione qualsiasi. – Le ready made pourra ensuite être cherché (avec tous délais). sia per iscritto.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura S URREALISMO. D UCHAMP – Sì. una certa affinità con l’«anestesia completa» immaginata da Duchamp.35 32 AA. tr. non è guidata da un principio di «automatismo psichico».. 35 P. questa istantanea. L’importante allora è dunque questo orologismo. in questa definizione di Surrealismo.. A quel tempo ero preoccupato dall’idea di fare la tal cosa in anticipo.32 Vi è certamente. Duchamp fu sempre vicino. En projetant pour un moment à venir (tel jour. sur le ready-made comme renseignements. heure. op. Dettato del pensiero. d’inscrire un ready made. D’altra parte sarebbe stato molto imbarazzante per me. I ready made non devono essere interpretati come oggetti scelti per evidenziare le potenzialità dell’inconscio. ora. Ma non l’ho mai fatto. se non altro nel tentativo di porsi al di là di ogni “preoccupazione estetica”. Ingegnere del tempo perduto. Duchamp. «Préciser les ready made. 145. né si fa mai accenno alla dimensione onirica tanto importante per i surrealisti. Ecco il lato fondamentale del ready made. Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere. Milano 1979. al movimento surrealista: tuttavia la scelta dei suoi oggetti non è istintiva.VV. p. C’est une sorte de rendez-vous. 34 Si tratta di Peigne. Nel 1959. Caumont. allora i ready made possono essere interpretati come una sorta di ironia. s. ma su Duchamp fece poco effetto. Il procedimento consiste appunto nell’esporre un utensile qualsiasi. come i fruitori si pongano di fronte alle opere esposte in un museo con un determinato imprescindibile orizzonte di aspettative. . Egli non cedette mai all’illusione di un’arte assoluta. anzi. con il quale solitamente si ha un rapporto di percezione e di utilizzo ben consolidato. 189). si ha da un lato la sensazione di essere in qualche modo “truffati” e dall’altro si è colti dall’impressione di avere a che fare con oggetti dotati di un significato misterioso. «è quella dell’indifferenza: meta-ironia»37 . possiamo tentare di definire l’arte? Ci abbiamo provato e in ogni secolo spunta una nuova definizione di arte. innegabilmente di primo piano. . invece di fare. perché l’arte prima di tutto deve essere definita. ]. 37 M. spiega Duchamp.p. arte significa fare.1959. in maniera molto violenta. Duchamp.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Naturalmente vi è un atteggiamento ironico e provocatorio nel concepire una legge fatta apposta per non essere seguita. 38 Di fronte alla «meta-ironia» di un ready made occorre a questo punto domandarsi perché e in che modo possa avvenire la percezione di un oggetto comune come opera d’arte: un oggetto che si fa portavoce di una nuova paradossale sensibilità artistica basata sul qualsiasi cosa. (1. D’accordo. ma che al tempo stesso trova in qualche modo posto in un museo e nei libri di storia dell’arte. fare a mano.6. di fronte a un ready made. Nominalisme pictural. 38 Ibid. come si sa. anzi demistificò questo atteggiamento con un’ironia tagliente. come sia più influente la convenzione – il luogo dove il pubblico si aspetta di “trovare l’arte” – dell’oggetto artistico stesso: dimostra. ma spazza via tutto il gergo tecnico. o un tentativo di mostrare la futilità del cercare una definizione per l’arte. Quindi se accettiamo l’idea che non tentare di definire l’arte è un concetto legittimo. . De Duve. tra le quali quelle fondamentali di Maurizio Calvesi e di 36 Il tentativo di creare un linguaggio universale fu un punto cruciale della ricerca artistica delle avanguardie storiche. fare con le mani. del tutto simile a quello della formulazione di una lingua universale applicabile una sola volta36 ..1. quindi è una forma di rifiuto della possibilità di dare una definizione all’arte [. 10 . Non si sa se prenderlo come un’opera d’arte. cit. Non l’ho nemmeno fatta io. cit. op. Ha un valore concettuale se si vuole. «La mia ironia». T. Gough-Cooper e J. ... di fatto. citato in J. Voglio dire che non ne esiste una che sia essenziale e che vada bene per tutti i secoli.1953). forse esoterico – e da qui nascono probabilmente tutte le interpretazioni alchemiche. lo prendo già fatto. Un posto. immaginando una lingua universale adatta a essere utilizzata una sola volta (cfr. È un prodotto fatto con le mani dell’uomo e io. ed è qui che entra in campo l’ironia. . perché eccola qui la cosa che io definisco come arte. . rispose: È una questione molto difficile. anche se prodotto industrialmente. Il successo dei ready made rivela. in un luogo dove per tradizione si trovano oggetti che si differenziano nettamente da quelli della vita di tutti i giorni: per questo. Ma non è fatto a mano. a George Heard Hamilton che gli chiese di parlare dei ready made e di spiegare in che modo poterli concepire come opere d’arte. 19. p. creando un varco nello spazio reale. naturalmente. È interessante a questo proposito il gioco che immagina De Duve. 40 11 . 42 P. Roma 1975. occorre ora domandarsi quali sono gli elementi che impongono un’attesa. permette allo sguardo di cogliere la scena dipinta – pone l’accento sul fatto che proprio qui. ma un nulla comunque che ha la possibilità di venire soppesato in modo particolare. mentre un monocromo bianco in un museo ha un suo preciso significato estetico. La cornice. Rivista online: http://www. di fronte a noi. Firenze 1970. è divenuto accessibile uno spazio figurativo e pone insieme davanti ai nostri occhi l’apertura dello spazio reale che lo racchiude. poiché la predisposizione percettiva dell’osservatore è densa di aspettative. Résonances du ready made. Egli sostiene. Officina edizioni. mentre i ready made sono ancora oggi difficili da affrontare. appaiono in qualche modo opere paradossali. Lo scolabottiglie di Duchamp. in qualche modo.. 41 E. dove “trovare” l’arte.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Arturo Schwartz39 . p. ad esempio. si ha l’impressione che la sua pittura sia stata in un certo senso “digerita” pienamente. 24. Non deve catturare l’attenzione. cit. non desta più nessun sospetto. Senz’altro il museo è il “luogo” dell’arte moderna per eccellenza.it/sf/leparole. Cambiando prospettiva. Il Fiorino. Duchamp invisibile. dove al limite può anche non esserci nulla. Nel museo.htm. n. ha precisamente questo scopo: La cornice – questo diaframma che. dubbiosi. T. all’interno del «perimetro sacro»41 dello stesso museo. 55-57). Calvesi. De Duve. 2000.42 La cornice. in Le parole della filosofia. infatti. Nonostante sia passato quasi un secolo dalla loro prima apparizione. cit. parlando del ready made intitolato In advance of the broken arm. 3. op. e il pubblico dovrebbe essere ormai ben preparato. Eppure. come non ne desta l’opera di Kandinskij. una predisposizione percettiva di tipo estetico. Se i ready made esistono solo quando chi li guarda sa di vedere un’opera d’arte – uno scolabottiglie in un luogo qualunque non è che uno scolabottiglie qualunque40 –. da sempre vengono utilizzati alcuni “segnali” per circoscrivere ulteriormente il luogo dell’opera d’arte. così come le pareti delle basiliche lo erano per l’arte medievale. lo sguardo può scivolare su di essa e raggiungere il suo interno. potremmo parlare di opere paradigmatiche di un certo modo di fare arte tipico del Novecento. Migliorini. La parete bianca di una stanza non può che passare inosservata. in qualche modo l’ha resa particolare: essa è diventata «la pala da neve di De Duve» (cfr. i ready made trasmettono ancora inevitabilmente quella sensazione d’incomprensibile incongruenza.apl. Cfr. che parlando della sua comunissima pala da neve per paragonarla a quella “artistica” di Duchamp. Schwartz. L’arte delle avanguardie storiche è ormai unanimemente considerata come un fondamentale passaggio della nostra cultura: eppure. sconcertati da un netto sfasamento della comune “soddisfazione” dell’attesa percettiva. pp. 39 Cfr. l’incontro con un oggetto comune diventa qualcosa di eccezionale: gli spettatori si avvicinano cautamente. A. “La forma della cornice e le sue funzioni”. che si prova continuamente nello svelare e smascherare le dinamiche più profonde del processo di percezione artistica. M. pensando ad esempio a Picasso. Spinicci. indica al pubblico dove guardare. sarebbe stato quasi impossibile identificarli. un posacenere ready made da un posacenere in cui spegnere la sigaretta? L’orinatoio scelto da Duchamp. se il ruolo della cornice in epoca moderna è consolidato da una lunga tradizione. ad esempio –..ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Con le avanguardie storiche. 46 A. marginale e costitutivo. del collezionare e dell’esporre»43 . Fondazione Prada). se i dipinti di Mondrian non hanno cornice. a questo punto. al limite creando volutamente una confusione dei ruoli45 . appare posato sopra un piedistallo. ornamento e complemento. Ma come distinguere. che andò subito perduto. Se per altri oggetti ready made l’identificazione può essere meno immediata – il posacenere di cui sopra. tanto da lasciare il segno anche quando non c’è – infatti. essi hanno comunque la forma del quadro tradizionale e appaiono delimitati da quella che potremmo definire una “cornice invisibile” –. l’artista. 19-40. in Materiali di estetica. dopo il ready made il riconoscimento dell’arte dalla “non arte” molto spesso non è affatto pacifico. p. art. all’interno del quale il n’importe quoi diventa opera d’arte: è perciò una componente essenziale per la riuscita della forma espressiva del ready made. Questi segnali possono essere di ogni tipo – etichette. Somaini.10-15. riconoscerli come “opere d’arte”. Somaini. 5. informazioni presenti nei cataloghi. nella fotografia di Alfred Stieglitz44 . all’interno del museo. oltre che un semplice oggetto con determinate caratteristiche. nella recente “personale” di Tom Friedman a Milano (25. del delimitare. il pubblico ha comunque sempre a disposizione delle informazioni. una particolare disposizione delle opere nello spazio – e hanno lo stesso significato della cornice: con l’importante differenza che. 12 .46 43 A. senza una vera e propria mappa fornita all’ingresso. n. scattata nel 1917. Milano 2001. L’artista può anzi permettersi di giocare proprio su questa incertezza. «reinterpretazione moderna di una storia secolare del raccogliere. 45 Ad esempio. La cornice marca i confini dello spazio artistico. erano “nascosti” e.02. in cui numerosi ready made. ciò che è arte da ciò che non lo è. che pone lo spettatore in atteggiamento estetico. 20.12. come si addice a una scultura: ma anche senza piedistallo esso apparirebbe un oggetto che evidentemente non è lì per caso: qualcuno. dei segnali che rendono possibile il riconoscimento dell’opera d’arte. e dunque gli oggetti che incontriamo tra le sue pareti devono essere considerati opere d’arte. è dunque più propriamente un atto di delimitazione: Atto di delimitazione che è al tempo stesso chiusura verso l’esterno e apertura alla fruizione: questioni che riguardano la natura del limite e della soglia intorno a cui ruota la relazione estetica. In un certo senso. alcuni molto piccoli. “La cornice e il problema dei margini della rappresentazione”. la cornice comincia a scomparire – ad esempio con le opere di Mondrian – e vengono sperimentate nuove e sempre più fantasiose modalità di esposizione. è l’unica testimonianza dell’esistenza dell’originale Fountain. Essa. Cuem. pp. e luoghi filosofici in cui si incontra l’ambiguità delle distinzioni fra dentro e fuori. lo ha voluto esporre come opera d’arte. cit. è ora il perimetro stesso del museo o della galleria a fare da cornice: è il museo. 44 Tale fotografia. L’arte cioè ha le sue proprie leggi che sono indipendenti sia dalla volontà espressiva del singolo artista sia dai grandi nodi della storia. il che pone l’obbligo di tracciare una legge della loro variazione. imponendosi come opere d’arte. sugli uomini e sulla loro libertà anziché sul loro prodotto artistico.A. 34. con una propria storia e proprie leggi. da sempre ambito di accesi dibattiti estetici. come Heinrich Wölfflin. Secondo Baltrušaitis il mondo delle forme è un vero e proprio regno. Duchamp.48 Un mondo dell’arte in cui agli artisti non spetta che scegliere le forme a disposizione e utilizzarle. un mondo in cui. sono proprio gli oggetti qualunque di Duchamp. cit. infatti. M. per lo meno. in A. diventano d’improvviso secondarie o. 23). si tratta di riportare il fenomeno al tipo e di esaminare. Milano 1999. che prima era dato per scontato. Il ready made rivela dunque la fondamentale presenza della cornice: l’attenzione viene bruscamente spostata dall’oggetto d’arte al suo contesto. criticando fortemente gli artisti «retinici»47 . che sta a indicare un tipo di arte «puramente visiva» e non concettuale (cfr. La visione della storia dell’arte di Duchamp si trova così ad avere dei punti di contatto molto interessanti con quella sviluppata da alcuni filosofi a lui contemporanei. p. Le qualità formali dell’opera d’arte visiva. Schwartz. capovolgendo.. come in alcuni casi di pittura monocromatica o nella scelta indifferente di un ready made. p. come per Focillon e Baltrušaitis. Mazzocut-Mis. si può dire che gli artisti si emanciparono lentamente dalla schiavitù delle forme. a puntare l’attenzione sugli individui. quasi le forme si impongono all’artista. Mazzocut-Mis all’Università degli Studi di Milano. nell’A. a “costringere” a una nuova analisi dei meccanismi messi in gioco nell’esperienza estetica. come essi mutino col fluire dell’asse storico. fino a liberarsi definitivamente del “lato visivo”. Ma se la sua teoria applicata all’arte tradizionale – in particolar modo per il Medioevo – convince appieno. poi. op. essa avrebbe parecchie difficoltà a confrontarsi con il mondo dell’arte contemporanea49 . M. 2000-2001. in che modo i tipi si succedano. forse un po’ ingenuamente – ma è un’ingenuità ap47 È un termine duchampiano. non sono più l’unico luogo d’interesse. 13 . Henri Focillon e in seguito Jurgis Baltrušaitis. Le avanguardie artistiche d’inizio Novecento. per cercare di liberarsi dai vincoli che la tradizione imponeva agli artisti. attuarono la loro rivoluzione andando proprio a ripensare le forme dell’arte. Duchamp può così permettersi di giocare con questa sua “scoperta”. dunque. 49 Questi argomenti sono stati trattati durante il Seminario di Estetica tenuto dalla Prof. a costringere l’osservatore a soffermarsi a esaminare il ruolo della cornice. che avevano immaginato una “vita delle forme” del tutto autonoma dal singolo artista: Per Wölfflin. schiavi delle forme a loro imposte dalla prassi pittorica costituita. riducendolo quasi a zero. Duchamp è spinto. soprattutto nell’interpretazione di Baltrušaitis. Deformazioni fantastiche: introduzione all’estetica di Jurgis Baltrušaitis. grazie alla sua volontà di annullare qualsiasi valore formale dell’opera. che possono anche essere studiate e analizzate.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Storicamente. 48 M. Mimesis. Nel periodo delle avanguardie. Di qui l’opera dipinta si distingue dalla porta di granaio o dalla carrozzeria. epoca dopo epoca. uniquement. . perché per esso e da esso la forma si costruisce e dura. Può accadere ch’esso dissimuli il suo lavoro. solida. s. come apparente è la banalità del ready made. artistica –. Vita delle Forme. che si ricopra.51 50 M. Se si è “Pop” oggi si è qualcuno. materia. in nessun modo disgiunta. e tuttavia è ancora definizione della forma. l’arte non “brulica”.1. come disse Whistler. cit. Duchamp. Ed è permanenza. 51 14 . . quasi s’impongono all’artista. (15. nuda e liscia. In altre parole. ma porta in sé le tracce indistruttibili (anche se occulte) d’una calda vita. Castelnuovo. ma. il tocco è ciò che dà quel qualcosa in più che l’arte possiede rispetto agli oggetti comuni. ma noi dobbiamo e possiamo sempre riconoscerlo sotto la continuità più compatta. senza dubbio. al luogo geometrico della loro attività. Focillon e Baltrušaitis: D UCHAMP – l’arte non esiste. l’analisi di Wölfflin.. è proprio come i giornali che ogni giorno escono con le notizie. con una giustapposizione minuziosa o con una fusione. un’ingenuità assolutamente voluta. Gough-Cooper e J. la scuola non ha nessuna importanza. Focillon parla del tocco nel suo saggio del 1943. quando cerca di dare. giungendo a conclusioni molto interessanti: Smettiamo di considerare isolatamente forma. che si rapprenda. Focillon. ma esse. e che fa sentire d’un colpo solo l’energia dell’accordo – il tocco. se si può dire.p. esso sembra distruggersi da sé. Prenderemo in prestito dalla lingua dei pittori il termine che meglio lo designa. Einaudi. Quand’esso è dappertutto uguale e quasi invisibile. un tono non dipendono unicamente dalle proprietà e dai rapporti degli elementi che li compongono. Se le forme hanno “vita propria” e non sono gli uomini a poterle scegliere liberamente. 63-64. Allora l’opera d’arte riconquista la sua preziosa qualità di vita: essa è senza dubbio una somma.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura parente. ben legata in tutte le sue parti. Il tocco è il vero contatto tra l’inerzia e l’azione. una “mano” unita. di pochi uomini con una personalità così forte da imporre la propria opera.1963). tr. è la sola cosa che conti. Bettini. Ci sembra ch’esso si possa estendere alle arti grafiche e anche alla scultura. it. Torino 2002. cioè “toccati”. S EITZ – Una vera storia dell’arte è una storia di singoli individui? D UCHAMP – Sì. ai manufatti di utilizzo quotidiano. Vie des formes (Vita delle forme). liberatoria. pp. Esso è attimo – quello in cui l’utensile desta la forma nella materia. ma anche dal modo come sono posti. Già lo dicemmo: un valore. Ma questo non vuol dire che si sarà un grande artista domani. op. non una serie di note vibranti. “Prefazione”di E. stile dopo stile. Caumont. esistono solo gli artisti. come quello dei minatori innanzi il XV secolo. Si tratta solo di pochi nomi. utensile e mano e mettiamoci al punto d’incontro.50 3 Territori più verbali Nell’estetica di Henri Focillon è il tocco (la touche) dell’artista a determinare la qualità dell’opera. di S. citato in J. Detto altrimenti. H. . tale necessità è mediata – in realtà nel Novecento si tratta di un fenomeno sempre più diffuso: basti pensare. 124. Cette phrase. una specie di potere occulto. Il secondo punto esposto in À propos des ready made mette in luce questa caratteristica: Una caratteristica importante: la breve frase che all’occasione inscrivevo sul ready made. Inscrivere un ready made non comporta un confronto manuale con la materia e il tocco diventa quasi invisibile: a volte basta una breve frase. oppure facendovi camminare sopra un gallo con le zampe intrise di colore: in questi casi tuttavia.54 52 Cfr. ma non può abbandonare l’idea di manualità: il tocco deve essere comunque necessariamente della mano. p. La mano di Duchamp non è guidata da un desiderio di plasmare nella materia l’“armonia”. perché la mano appare «guidata da una forza interiore. il “bello”. Per Duchamp.. invece. il “tocco” si libera completamente dall’idea di capacità manuale. Per esempio «Hokusai cercò di dipingere senza servirsi delle mani». come nei dipinti di Hokusai. ibid. una capacità misteriosa e difficilmente definibile. sente – come del resto Duchamp – indispensabile ormai individuare il luogo esatto. per esempio. il punto di passaggio dall’oggetto comune all’opera d’arte. Questa frase. Ibid. 123. diventando un procedimento molto più concettuale. occorre osservare che il tocco può essere dato con un procedimento che apparentemente non implica da parte dell’artista l’uso della mano. A volte una piccola modifica dell’oggetto. sia l’idea di una particolare “dote” di plasmare la materia. che si identifica pienamente con la caratterizzazione da parte dell’artista di un ready made (inscrizione). au lieu de décrire l’objet comme l’aurait fait un titre. p. alle celebri Anthropométries di Yves Kleyn. anziché descrivere l’oggetto come avrebbe fatto un titolo. 54 «Une caractéristique importante: la courte phrase qu’à l’occasion j’inscrivais sur le ready made. Focillon rifiuta dunque sia l’idea di un “saper fare” accademico – anzi. ben consapevole della situazione dell’arte dopo le avanguardie. in una necessità di incarnare le loro “visioni” nella materia52 . pennelli viventi. anche se in casi eccezionali. In più. come quegli artisti dediti allo spiritismo che disegnano alla rovescia». non toccano nulla ma guidano tutto»53 . il dipinto dalla pittura di una porta di granaio o di una carrozzeria. non c’è cosa peggiore dell’accademismo e della mano che segue rigidamente regole imposte –.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Il tocco è dunque ciò che distingue l’opera d’arte dall’oggetto comune. Sente in altre parole l’esigenza di trovare qualcosa che possa ancora distinguere con sicurezza l’opera d’arte dall’oggetto qualsiasi: ed è per questo che elabora la nozione di tocco dell’artista. buttando il colore puro sulla tela. Focillon. bensì dalla volontà di liberarsi da questa schiavitù della forma: perciò il suo tocco consiste spesso solo in qualcosa di scritto. était destinée à emporter l’esprit 53 15 . anche solo una firma. di verbale. «le mani sono presenti senza apparire. era destinata a condurre lo spirito dello spettatore verso altri territori più verbali. anche se non direttamente. superfici dipinte con l’aiuto di modelle che egli considerava come pinceaux vivants. Gough-Cooper e J. sullo sfondo. op. . Aggiungiamo un colore in più. per poterne cogliere l’unica cosa che interessa: il significato “verbale”. nel senso figurativo del termine.55 Ancora una volta è evidenziata la derivazione del ready made dalla pittura ed è per questo che si può parlare di nominalismo pittorico: la pittura. L’inscrizione può senz’altro avvenire anche non direttamente sul supporto del ready made. Se Duchamp dipinge con le parole. Caumont. ma altrove. deve essere soltanto “sfiorato” con lo sguardo. anziché l’opera stessa. op. 16 .06. e non è un semplice titolo – Duchamp lo dice esplicitamente: è uno dei suoi “tocchi”. Il linguaggio appare sostituirsi definitivamente ai colori e ai pennelli e diventare materia privilegiata per il “dipinto”: Spesso ho messo dei titoli così. a questo punto. . La parte visiva è ridotta al suo “grado zero”. spinto forse da un’esigenza simile. È un colore verbale. a ciò che viene fatto si aggiunge una dimensione fornita dalle parole. secondo Duchamp. rimane sempre presente. nulla ci vieta di pensare che anche i suoi appunti.. cit. a una percezione indifferente. citato in M. cit. deve quasi svanire. che ha come supporto.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura L’oggetto è. E non soltanto le parole dell’audu spectateur ver d’autres régions plus verbales» (M. citato in J. tr. Se Leonardo da Vinci sosteneva che la pittura doveva essere pura cosa mentale. dei colori verbali. che sono come una tavolozza con i colori. alla vista. indifferentemente opera d’arte o manufatto comune. senza destare alcun interesse. Duchamp. . Dunque. Sanouillet. un posto nel campo delle arti visive. pensando che i ready made trovano. p. L’oggetto. nostra). ... concettuale e dunque invisibile. come punto di riferimento. Fountain è una parola che in qualche modo rimanda all’orinatoio scelto da Duchamp. it. L’intento è quello di sminuire l’importanza delle qualità formali dell’opera e allo stesso tempo mettere in ridicolo il concetto di tecnica accademica. s. perché aggiunge del colore.1967). nel ready made. ogni sua frase sia un colore da aggiungere alla sua “opera” completa. se non altro come luogo di origine. Sono le parole a fare il dipinto: di nuovo evidenziato il piano linguistico della strategia del ready made. dalla sua presenza fisica: e questa peculiarità è estremamente disorientante. queste frasi assumono una funzione principale. come si è visto. la pagina di un catalogo o di una rivista o ancora di un libro di storia dell’arte. i ruoli anzi si ritrovano invertiti: invece di aggiungere un colore al dipinto. pur non comparendo su di esso. Le parole scritte sopra ai ready made non sono altro. i suoi commenti. 34. porsi come sfondo. Le brevi frasi che a volte compaiono sui ready made s’integrano all’idea d’indifferenza visiva. ma assumono ora una rilevanza maggiore. passando dalla pittura al ready made realizzava almeno in parte questo antico sogno.p. all’epoca del Nudo che scende le scale. necessaria per poter subito scavalcare l’oggetto e raggiungere una dimensione diversa. che un’applicazione di quel nominalismo pittorico già in atto. 55 Id. (21. il suo passare da una realtà all’altra non dipende minimamente dalla sua forma. in fondo. quattrocento anni dopo Duchamp. nel momento in cui il lato visivo scivola in secondo piano. (14.. dipinto con le parole. Sanouillet. sceglierà da solo i problemi. se l’artista utilizza con arte la tecnica del disegno e della distribuzione dei colori. 4 Arte concettuale Tra i ready made di Marcel Duchamp. 61 Cfr. il suo lato pregnante è quello del colore materico. che dichiarò «definitivamente incompleto». acquista più se ne parla sempre nuovi colori e significati “verbali”. in un’ampolla ready made60 . 57. conservata. Poiché è intitolata Ready made malheureux potrebbe essere considerata un regalo ambiguo per un uomo felice: mâle heureux. A. Riout. Essa non ha alcun valore. distruggendole definitivamente. durante una cena. mostrando quindi di avere un buon tocco. In seguito. dunque. o al limite “indicata”. distrutto dagli agenti atmosferici59 . l’oggetto scelto. s. che si hanno quando l’opera viene solo teorizzata. 283. Duchamp firmò alcuni sigari e li diede da fumare agli ospiti. L’oggetto scelto appare. aggiungono in un certo senso dei colori verbali. appunto. è indifferente: il valore subentra eventualmente in un secondo tempo. un tentativo di annullamento del supporto materiale: ciò appare chiaro considerando il Ready made malheureux (1919). Suzanne riceve istruzioni per legare con della corda un libro di geometria al balcone del suo appartamento. seppure invisibile. come evidenzia De Duve. Nel ready made invece il colore vero e proprio è scomparso: i colori verbali sono la caratteristica più importante. quello distribuito dall’artista sulla tela con i suoi pennelli. Se alla tela vergine si sostituisce il ready made. Il vento.4. cit.p. oppure ancora l’aria di Parigi. oppure nel caso del ready made-performance in cui. 247. Suzanne si baserà su una foto fatta all’inizio del processo di disfacimento e dipingerà una tela intitolata Le ready-made malheureux de Marcel». citato in D.. Caumont... nel 1923. p. cit. cit. p. «le opere d’arte non ci giungono mai nell’innocente nudità di un’evidenza senza parole»58 : eppure la sostanza del dipinto. Schwartz. Un altro esempio molto significativo riguarda i cosiddetti ready made latenti61 . facendo così in modo che l’opera venisse “consumata” in pochi minuti. Per questo i ready made si possono considerare opere definitivamente incomplete57 . simile a una tela vergine per la pittura tradizionale. probabilmente. A un certo punto il pittore dichiara conclusa l’opera: sta ora al suo pubblico guardarla e valutarla. come nel caso in cui Duchamp decise di far 56 Cfr. 58 T. 55 cc Air de Paris.. un libro di geometria lasciato volutamente a consumarsi fuori da una finestra fino a svanire. citato in M. De Duve. op. soffiando attraverso il libro. il Grande Vetro. parlando dell’opera. 60 Si tratta del celebre ready made del 1919 chiamato. al numero 22 di Rue de la Condamine. ve ne sono alcuni per i quali la teoria dell’indifferenza visiva si attua in maniera esplicita nel senso di una dissoluzione. 57 17 . op. Anche a un dipinto tradizionale gli spettatori.1919): «Da Buenos Aires Marcel manda alla sorella e al marito una ricetta per il regalo di nozze. op. Gough-Cooper e J.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura tore. cit. volterà le pagine e le straccerà piano piano. 59 Cfr. perché sono anche gli osservatori a fare il dipinto (ce sont les regardeurs qui font les tableaux)56 . dopo essere stato inscritto dal suo autore. perché. p. J. È un’espressione di Duchamp. op. Id. del puro concetto. con quella che definirà egli stesso come “pratica” del pointing (indicare). cioè. 67 Esempi significativi sono. Consumazione dell’arte (1961) di Piero Manzoni. tuttavia. una sorta di happening nel quale l’artista aveva premuto la sua impronta su una serie di uova sode che il pubblico doveva mangiare (è chiaro in questo caso il riferimento ai sigari di Duchamp). che non coincide affatto con un azzeramento dei significati. 274. Cfr. 65 La mostra in realtà si intitolava Le vide. questo desiderio di raggiungere i termini ultimi del “riduzionismo” e portare così l’opera d’arte a rinnegare il supporto materiale. 69. Come Duchamp nel 1913 aveva deciso di non dipingere più. G. Poli. La caratteristica sorprendente è che su tale partitura non compare nemmeno una nota. allo scopo di permettere un impiego indiscriminato di qualunque materiale sonoro. Questa tensione verso il “vuoto”.. Milano 1993. in cui compare su un pannello bianco soltanto la scritta Silence (bianca. p. Roma 1995. arte concettuale. soltanto la dicitura «tacet»63 : il brano. che ben presto si rivela pieno dei rumori provenienti dalla sala dove si esegue il brano. Roma 1993. p. proponendo quella che egli stesso definì una «smaterializzazione del quadro»66 . dall’ambiente. “Alle radici delle seconde avanguardie”. Castelvecchi. Zanchetti..64 Nel 1958. giungendo spesso a soluzioni sorprendenti. ma come liberazione del campo dagli ultimi pregiudizi armonici. soprattutto a partire dalla metà del Novecento. al limite della non-visibilità.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura diventare opera d’arte il Woolworth Building di New York62 : caso estremo di nominalismo pittorico in cui all’artista spetta solo il compito di scegliere l’oggetto (ri-nominarlo). Archivio di Nuova Scrittura. p. Étude pour une fin du monde (1961) di Jean Tinguely. un grande macchinario progettato per autodistruggersi. non ha suoni. p. Nel 1952 John Cage. che ha una partitura divisa in tre movimenti la cui somma dà esattamente 4 minuti e 33 secondi. Laterza. saggio sulle estetiche contemporanee. ad esempio. di un silenzio apparente. per sgombrare completamente il campo e aprire la strada a nuove possibilità espressive e a nuove sperimentazioni. senza più vincoli di alcun tipo: Il silenzio è inteso non come negazione del linguaggio musicale. infatti. arte povera. F. che dipingere di bianco le pareti dello spazio espositivo. Silence (1966) di George Brecht. daranno un nuovo importante respiro alla teoria dell’indifferenza visiva. Il sublime è ora. M. si pongono storicamente come un’importante eredità per numerosi artisti che. p. dal “mondo”. 36. presenta il suo celebre brano 40 3300 . amico e in qualche modo allievo di Duchamp. Carboni. Si tratta. 64 Ibid. 43). Minimalismo. Cage cerca di liberarsi definitivamente di ogni tradizione musicale precedente. è composto di solo silenzio. l’eccentrico artista francese Yves Klein riuscì a organizzare in una galleria parigina una mostra che passò alla storia come la prima «esposizione del vuoto»65 : non fece altro. 63 Cfr. A partire dagli anni Sessanta gli episodi di questo tipo si moltiplicano in maniera sorprendente67 : verso un’assenza completa di forme o suoni. 38. 66 Ibid. si tratta anzi di un “vuoto” carico di 62 Questo tipo di azione sarà ripresa negli anni Sessanta dall’artista concettuale Roger Cutforth. 18 . La spécialisation de la sensibilité à l’état de matière première en sa sensibilité picturale stabilisée e fu presentata il 28 aprile 1958 nella galleria Iris Clert di Parigi (cfr. un’opera soltanto “immaginata” e “comunicata telepaticamente” durante l’inaugurazione della mostra. un rischio che viene evidenziato fin dalle prime righe della Teoria Estetica di Adorno (1970): «È ormai ovvio che niente più di ciò che concerne l’arte è ovvio né all’arte stessa né nel suo rapporto col tutto. cit. di D. De Duve. ritirandosi dal mondo dell’arte per dedicarsi interamente. degli assemblaggi. 72 Cfr. Genova 1987. Il “silenzio” appare l’espressione estrema di questo timore: è lo spazio vuoto che può essere riempito in infiniti modi.. p. Fu proprio Joseph Kosuth a utilizzare per primo il nome «arte concettuale» per il tipo di ricerca che stava sperimentando. Torino 1977. come parte integrante dell’opera stessa. cit. naturalmente. ovvio non è più nemmeno il suo diritto all’esistenza»69 . 70 Con questo non si vuol dire. distinguersi da qualsiasi fenomeno non artistico. l’arte si trova improvvisamente libera dagli ultimi vincoli che erano sopravvissuti alle avanguardie: essa si trova a essere. tr. tr. di fatto. Teoria Estetica. «tutto ciò che è possibile chiamare arte» – il ceci est de l’art. Testo & Immagini. op. Il silenzio. 297. Kosuth. sono numerosi gli artisti che tendono invece a “svuotare” il più possibile. al gioco degli scacchi: mentre proprio dal silenzio ha inizio il percorso creativo dell’arte concettuale70 . Guercio. Ad esempio. alla liberazione completa dal vincolo della forma. l’atto di nominazione di cui parla più volte Thierry De Duve68 – e ad avere confini praticamente illimitati. 19 . pieno di vita e di rumori casuali. di E. e della distinzione tra il suo silenzio. in una ricerca di essenzialità che tende idealmente alla “purezza assoluta”. Si potrebbe parlare di una sorta di horror vacui a rovescio. di G. p. conversazioni con Daniel Charles. it. Costa & Nolan. o quasi. 71 D. De Angelis. Bertotti. Telepathic Piece (1969) di Robert Barry. 161). Nel silenzio si era rifugiato lo stesso Duchamp. e quello di Kosuth.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura significati concettuali e che idealmente può segnare il punto d’arrivo e di fusione delle ricerche artistiche elaborate nel periodo delle avanguardie storiche. Il testo più importante di Kosuth è indubbiamente L’arte dopo la filosofia72 . Il rischio insito nella grande libertà d’azione ottenuta dall’arte grazie al processo d’avanguardia è che essa non possa più. nasconde tuttavia anche profonde differenze. Torino 1999. Come è noto. Cage. troppo cerebrale e vincolante (cfr. che è un buco scavato e poi riempito in Central Park. 68 Cfr. I primi lavori di Joseph Kosuth sono infatti caratterizzati significativamente da un intervento da parte dell’artista quasi impercettibile: in particolare. J. in certa parte dell’arte medioevale la raffigurazione appare realizzata in modo che sia riempito il più possibile lo spazio a disposizione all’interno dalla cornice: nell’epoca contemporanea. Adorno. Einaudi. l’assenza completa di azione davanti alla disorientante possibilità di qualsiasi azione. semplicemente. dell’astrattismo. Vicino al vetro. (1965)»71 . 3. it.W. seppur in grado di rappresentare un “luogo d’incontro” tra diverse discipline. Dopo il successo del ready made. tr. Per gli uccelli. apparso per la prima volta sulla rivista in bassorilievo). che l’arte concettuale sia una specie di sintesi di tutte le esperienze artistiche precedenti. it. T. L’arte dopo la filosofia. J. è posta un’etichetta con scritto: «Lastra qualsiasi di cinque piedi appoggiata a un muro qualsiasi. una delle sue prime opere importanti consiste in una comune lastra di vetro semplicemente appoggiata a una parete. a partire dalla metà dell’Ottocento. Résonaces du ready made. è interessante notare il modo in cui John Cage parla dell’arte concettuale. Placid Civic Monument (1967) di Claes Oldenburg. 69 T. p. Riout. alle generazioni di artisti degli anni Sessanta. Résonances du ready made. 74 20 . di una vera e propria apologia del ready made. mentre esprimeva cose nuove. attraverso il Surrealismo. non può aver cambiato la natura dell’arte.74 Si tratta. da Gillo Dorfles in questi termini: 73 Ibid. I due dubbi di De Duve sono in stretta relazione. Con il Ready-made l’arte spostava il proprio obiettivo dalla forma del linguaggio a quanto veniva detto. In altre parole: “il linguaggio” dell’arte restava lo stesso. con un apparentemente inspiegabile vuoto tra l’apparizione dei ready made. Kosuth passa poi subito a parlare del ready made di Marcel Duchamp. naturalmente. di cui il ready made può essere considerato un’espressione limite.. Thierry De Duve si sofferma tuttavia su queste affermazioni e ne rimane fortemente stupito. Trova poi particolarmente strano che. ma le loro opere sono timide e ambigue in confronto con quelle di Duchamp). seppur geniale. di un singolo artista: ma il movimento delle avanguardie storiche. nella sua interpretazione. Tutta l’arte (dopo Duchamp) è concettuale (in natura) perché l’arte esiste solo concettualmente. Il Ready-made mutò la natura dell’arte da una questione morfologica a una questione di funzione. il mondo dell’arte abbia dovuto aspettare misteriosamente cinquant’anni per scoprire la rivoluzione di Duchamp. Anzitutto sostiene che Kosuth «si rende ridicolo» attribuendo al ready made la forza di aver cambiato da solo la natura dell’arte75 . fino al Cubismo. 24-25. sostenendo che tale distinzione è del tutto dogmatica – si parla di «giustificazione morfologica» dell’arte come di un irrazionale e accademico «concetto a priori»73 .ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Studio International a Londra. negli anni Dieci. Questo mutamento – dall’“apparenza” alla “concezione” – segnò l’inizio dell’arte moderna e l’inizio dell’arte concettuale. pp. Non stupisce dunque il vuoto di cinquant’anni. nel 1999. ha contribuito innegabilmente a destabilizzare in maniera definitiva il sistema tradizionale delle Belle Arti. Il ready made. fin dalle prime battute. (Si può certamente rilevare una tendenza verso questa autoidentificazione dell’arte che inizia con Manet e Cézanne. 75 Cfr. L’evento che rese concepibile la possibilità di “parlare un’altra lingua” e tuttavia fare un’arte che avesse un senso fu il primo semplice Ready-made di Duchamp. emerge la volontà di schierarsi contro la divisione dell’arte in varie discipline. Possiamo infatti attribuire a Marcel Duchamp il merito di aver dato all’arte la sua identità. p. con i suoi molti ed eterogenei risvolti.. cit. 250. T. essendo sostanzialmente un’idea. evidentemente. che ha potuto consegnare la sua eredità. Ibid. in un brano molto interessante: Il problema della funzione dell’arte venne sollevato per la prima volta da Marcel Duchamp.. ostacolato tra l’altro dal periodo buio delle Guerre Mondiali. perché in realtà non è mai esistito: si è trattato di un percorso molto lento. Il dubbio se poter considerare l’arte concettuale come un effettivo e decisivo punto di svolta è espresso. De Duve. e l’arte concettuale degli anni Sessanta. 24. nel 1969: nel quale. p. sicché la critica non può che naufragare insieme con essi. ai Concerti Fluxus.ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Forse in un futuro non troppo lontano. o tra pop e op. 131. Dorfles. sgretolarsi in innumerevoli episodi inconciliabili fra loro – e a un certo punto anche difficilmente classificabili. così ricco di nuovi materiali e nuove idee. lo storico dell’arte farà una distinzione netta. a Marcel Duchamp: anzi. p. appropriandosi di ogni mezzo. operando in una dimensione di ormai consolidata apertura alla commistione tra forme e stili diversi. Milano 2000. al cinema underground. questo “campo comune”. si pone dunque sempre più necessario l’utilizzo di categorie estetiche e di letture “trasversali”. invece. dovettero confrontarsi e approfondire le varie questioni filosofiche messe in gioco proprio dal ready made –. ponendo lo spartiacque tra le due categorie artistiche attorno alla metà degli anni Sessanta. lo stesso storico si riferirà al concettualismo degli anni Sessanta-Settanta come a uno dei tanti episodi “contro-artistici”. Feltrinelli. dovrà necessariamente scontrarsi con il fatto che le varie discipline ormai esistono solo come ricordo di una superata classificazione: l’arte contemporanea ha infatti conquistato la consapevolezza di poter lavorare in ogni direzione. e più o meno nichilistici.76 Non sembra possibile. 76 G. ignorare il fatto che gli artisti concettuali si trovarono a lavorare in una dimensione molto vicina a quella di certe avanguardie storiche – e anche. Ignorando questa continuità. Ultime tendenze dell’arte di oggi. Se lo storico d’arte considererà il movimento concettuale come un episodio eccentrico rispetto all’andamento “tradizionale” della pittura o di qualsiasi altra disciplina. 21 . tuttavia. mentre più o meno “tradizionali” correnti pittoriche e plastiche. in molti casi. O forse. non già tra arte figurativa e arte astratta. mostrando un’evidente continuità teoretica. continueranno e avranno continuato a svolgersi attorno a lui. che tendano a mettere in luce e svelare i nodi teorici piuttosto che cercare sempre più capillari classificazioni dei vari “sotto-movimenti” artistici. il rischio è di vedere sempre più il mondo dell’arte contemporanea. naturalmente. In una situazione di questo tipo la categorizzazione tradizionale non riesce più a rendere conto di un panorama artistico troppo vasto ed eterogeneo. ma tra arte pre-concettuale e post-concettuale. da assimilare al Dadà.
Report "Il Ready Made Di Marcel Duchamp - Teoria Dell'Indifferenza Visiva"