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May 20, 2018 | Author: dindanay | Category: Sicilian Mafia, Democracy, Italy, Sentence (Law), Organized Crime


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Rita Di GiovacchinoIl libro nero della prima repubblica Le terre Interventi 59 I edizione: ottobre 2003 2003 Fazi Editore srl Via Isonzo 42, Roma Tutti i diritti riservati Grafica di copertina: Maurizio Ceccato ISBN: 88-8112-407-6 www.fazieditore.it Fazi Editore prefazione di Massimo Brutti con un'intervista a Giovanni Pellegrino indice Prefazione Prologo Il processo Andreotti Parte Prima i terribili anni settanta Parte seconda Il delitto Moro Parte terza L'Agenzia del Crimine Epilogo Il tramonto della Prima Repubblica Appendice Cronologia essenziale Nota. Prefazione Questo è un libro scritto per ricordare e per far ricordare. Esso ricostruisce i momenti più oscuri e tragici della storia italiana dal dopoguerra a oggi. Ripropone ai lettori un passato che è ancora lontano dall'essere decifrato e compreso. Rita Di Giovacchino ha seguito per anni, da giornalista, le vicende legate ai tentativi di eversione e ai delitti politici, dal processo per piazza Fontana alle bombe contro Bologna, dalla lunga scia di enigmi irrisolti attorno al sequestro e all'omicidio di Aldo Moro fino all'assassinio del giornalista Mino Pecorelli, dai crimini del terrorismo rosso e nero ai collegamenti fra terroristi e apparati dello Stato, dai grandi delitti di mafia alle stragi eseguite dai corleonesi nel biennio 1992-93. Ciascuno di questi episodi coincide con un momento della sua vita professionale e porta con sé, nella memoria, un carico di informazioni da non dimenticare, di ipotesi e di retroscena: è la stessa materia prima sulla quale hanno lavorato, almeno durante tre decenni, molti giornalisti italiani (quelli che si occupavano delle "trame"), tenendo alta l'attenzione pubblica e combattendo contro il silenzio. Dunque una testimonianza non neutra. Il ricordo dei morti visti da vicino, i dibattimenti penali che si svolgevano in giro per l'Italia, e tra gli altri i processi più difficili e finora meno raccontati, quelli nei confronti di Giulio Andreotti, che Di Giovacchino puntualmente ricostruisce; e poi l'attesa negli anni, gli articoli dettati in fretta pochi minuti prima della chiusura del giornale, il terrorista che telefona in redazione e cerca un contatto e vuole raccontare, chissà a quale scopo, la sua versione dei fatti... Una realtà aspra si agita dietro queste pagine. È difficile da sistemare in un racconto compiuto e si esprime attraverso interrogativi drammatici, che non riguardano soltanto l'autrice, il suo lavoro di cronista, ma che in realtà ci appartengono e pesano sulla nostra storia collettiva. Più volte, la vita pubblica nel nostro paese è stata condizionata, inquinata dalla violenza politica, dal terrorismo, dagli interessi e dalle strategie di associazioni segrete e di potenti gruppi criminali. Si può dire che il rischio per la democrazia è stato più forte nei momenti di crisi e di transizione, quando da parte di organizzazioni e soggetti diversi si è fatto ricorso alla violenza e al delitto politico come strumenti per l'affermazione di poteri eversivi. Intendo questa espressione ("poteri eversivi") nel senso più ampio possibile. Le Brigate Rosse, quando ricercavano la via di una trattativa con il governo e le istituzioni, ambivano in realtà a costituirsi come un potere, capace di ricattare lo Stato, di togliere efficacia alle leggi. Tentarono una contrattazione con lo Stato nella complessa vicenda che seguì il rapimento di Aldo Moro, ma non vi riuscirono (ottennero qualcosa di più tre anni dopo, con i sequestri dell'esponente democristiano Cirillo e del magistrato D'Urso). Nonostante tutto furono sconfitte: alla fine la potenza conquistata non riuscì a produrre consenso e non resse alla durezza dello scontro. Analogamente, anche se su un versante opposto e con altri strumenti, la loggia massonica P2 null'altro voleva essere se non un potere; voleva interferire nell'amministrazione pubblica e voleva anch'essa contrattare la realizzazione dei propri interessi con i poteri legali, imponendo decisioni, favorendo carriere, costruendo gerarchie e fortune politiche, sulla base di parole d'ordine vagamente liberiste e atlantiche. La stessa cosa volevano fare gli esponenti politici che erano alleati con la mafia. Volevano negoziare favori e profitti. Anche da questa alleanza nasceva un potere, nel cuore dell'establishment e in antitesi rispetto allo Stato di diritto. Erano tutte minacce reciprocamente irriducibili l'una all'altra, ma convergenti. Accanto alla politica democratica, c'è stata in Italia un'altra politica: un insieme composito di iniziative volte a incidere sulla vita del paese, che si sono mosse al di fuori della Costituzione e delle leggi, anzi in contrasto con esse. La tendenza all'illegalismo, assai pronunziata nell'ambito delle classi dirigenti italiane, è stata un elemento centrale di debolezza della Repubblica, per lungo tempo, fino a dare luogo ai fenomeni di degenerazione del potere negli anni Ottanta e alla tempesta di Tangentopoli. Quando dai livelli più elevati del sistema politico si accredita l'idea che la legalità sia negoziabile e che i soggetti più forti (politici o sociali) possano farne a meno e calpestarla coi propri comportamenti, è evidente che diventa molto più difficile difendere l'integrità della democrazia dalle manovre occulte e dalle aggressioni. In questo contesto, per decenni, la violenza è stata sottovalutata, assecondata e perfino sostenuta da una parte degli apparati di sicurezza, mentre il ceto di governo non vedeva o fingeva di non vedere. E ciò spiega alcune umilianti sconfitte dello Stato. Su tutti gli episodi di eversione e sulle ferite della democrazia, sulla storia di quello che è stato definito da Giuseppe De Lutiis «il lato oscuro del potere», sulle ragioni e le complicità dei delitti, possediamo oggi Prefazione molti documenti, un cumulo sconvolgente di notizie, ma poche certezze definitive. La ricerca della verità, perseguita dai magistrati, dal giornalismo d'inchiesta, dalle commissioni parlamentari, è stata ed è sempre di più un cammino impervio. Certo, molti elementi di prova circa le illegalità e l'inquinamento dello Stato sono emersi; e, trattandosi di comportamenti illeciti sotto il profilo penale, si sono avviati numerosi processi. Ma questi si sono accavallati l'uno sull'altro, con esiti contraddittori. Perciò le responsabilità per i fatti eversivi e per i rapporti tra politica e mafia, che pure si ricavano da tante carte e conoscenze ormai note, non hanno ancora in gran parte dei casi il suggello della verità processuale. Spesso, gli avvenimenti più inquietanti sono stati coperti e sovrastati da una coltre di incertezza e di indifferenza: perciò appaiono nella memoria collettiva come una specie di nebulosa, lontana nel tempo, che molti si illudono di poter mettere tra parentesi e di dimenticare. Non si giunge a conclusioni esaurienti e sicure in questo libro. Piuttosto, esso mette in fila una lunga serie di domande e mi sembra pervaso da un sentimento di ansia. Per il tempo trascorso inutilmente, per le tante cose scritte e cadute nell'oblio. È come se l'autrice fosse convinta di dover compiere un'impresa contro corrente, sempre più ardua per trovare un senso nelle vicende che sta narrando. Perciò corre di pagina in pagina dietro le possibili spiegazioni, con il dubbio serpeggiante che non vi sia più risposta ai mille quesiti, che la verità sia irrimediabilmente perduta, tra gli accertamenti giudiziari interminabili e il disinteresse. Alla base di tutto c'è una serie di fatti: non teorie, non giudizi politici, ma fatti concreti. I morti del 12 dicembre 1969 e poi Brescia, l'Italicus, il 2 agosto 1980, la lotta armata delle BR, degli altri gruppi di terrorismo rosso, e il ruolo dei neofascisti nella eversione; e la mafia che fin dalla strage del 23 dicembre 1984 sceglie la via del terrorismo, per allentare la stretta dello Stato e premere sui propri alleati, sui mediatori. Sono, come leggiamo all'inizio del libro, «pagine della nostra vita in cui si contano decine di morti che non possono essere dimenticati». Naturalmente, i fatti sono oggetto di interpretazione e Di Giovacchino sembra attratta in più punti dalla teoria di uno sviluppo lineare delle strategie eversive, dall'immagine di un meccanismo unico, come se una piena continuità e una coerenza di azione fossero sempre rintracciabili nel «lato oscuro del potere». Le relazioni sono a mio avviso più complesse, con strategie spesso del tutto indipendenti luna dall'altra. Ma non si può dire che non vi siano state somiglianze, interessi comuni, punti di incontro. E in primo luogo una identica vocazione di diversi gruppi eversivi e criminali a trattare con le istituzioni, a insinuarsi in esse. È utile tornare a discutere di questo passato, cercare di svelarne il senso e le ragioni? Io credo di sì, se vogliamo evitare che esso ritorni. Mi vengono in mente a questo proposito i numerosi libri scritti negli Stati Uniti, soprattutto da giornalisti, sui misteri dell'omicidio di John Kennedy. Anche là, come nelle pagine che l'autrice dedica all'omicidio di Aldo Moro, era molto forte l'ansia di smascherare le menzogne, di trovare un perché oltre il lutto. Quei reportage, quei volumi hanno contribuito - sondando tutti i documenti disponibili e avanzando congetture, senza acquietarsi alla demistificazione delle versioni ufficiali e sono stati elementi costitutivi della cultura democratica americana. Del resto, senza la curiosità e la unilateralità dei giornalisti indipendenti non vi sarebbe stato neanche lo scandalo del Watergate e con esso l'indignazione diffusa, che ha portato alla condanna morale e politica di Nixon. Nel nostro paese, questo genere di letteratura è sempre più raro; e invece un nuovo giornalismo d'inchiesta, non messo ai margini ma incoraggiato dai grandi organi di stampa e capace di riflettere sui misfatti italiani, sarebbe un buon segno di vitalità democratica. Le pagine che seguono contengono una galleria degli orrori della Prima Repubblica. Non pretendono di tracciare una storia complessiva, non puntano a una illusoria oggettività del racconto, ma puntigliosamente ricordano che gli orrori ci sono stati e che hanno generato effetti sul senso comune, sulla politica, sui cambiamenti che grazie alla violenza e agli intrighi sono stati impediti o frenati. Ciò non significa che la Prima Repubblica si identifichi con gli orrori; al contrario, la democrazia italiana, pur con tutte le sue anomalie derivanti dalla guerra fredda, ha resistito bene. I grandi partiti hanno isolato il terrorismo, hanno impedito che producesse consenso e questa è stata la loro ultima impresa di portata nazionale e storica. Inoltre, alla fine degli anni Ottanta, hanno ritrovato la via di una resistenza attiva contro la mafia. E tuttavia gli orrori hanno ugualmente lasciato il segno, hanno messo radici, che non sono state ancora scoperte fino in fondo e strappate. Nessun paese dell'Europa occidentale ha conosciuto, nei decenni passati, la stessa eversione strisciante, la stessa pratica della violenza come mezzo di condizionamento delle istituzioni e contemporaneamente la stessa stabilità nel sistema di governo. Le strategie antidemocratiche in Francia con l'OAS, o in Grecia con i colonnelli, avevano come finalità il rovesciamento del sistema, l'annientamento del pluralismo politico e delle libertà. In Francia le forze della destra estrema sono state duramente sconfitte da De Gaulle. In Grecia i militari traditori, in nome dell'anticomunismo, hanno realizzato un colpo di Stato e a lungo, finché non sono stati scacciati, hanno avuto in mano il paese. In Italia invece non c'è stata una vera e temibile strategia insurrezionale o golpista, che abbia seriamente perseguito un rovesciamento del potere politico dominante. L'uso della violenza è servito a minacciare e ricattare i governanti o alcuni di essi, non a sostituirli. Lo stesso terrorismo rosso aspirava a creare condizioni di guerra civile, ma intanto nel breve periodo andava alla ricerca di un riconoscimento da parte dello Stato, per trattare, per allargare gli spazi di illegalità. La via prescelta è stata duplice. Da una parte, è stata usata la leva della corruzione: di quanti miliardi c'è bisognosi domandava Licio Gelli -per controllare un partito di governo o un grande giornale? Il progetto eversivo della P2 ruotava in larga misura attorno a questo problema contabile. Dall'altra parte, c'è stato lo stillicidio della violenza terroristica, prima nera e poi rossa. L'autrice ricorda la puntuale previsione del capo del SID Vito Miceli, nel 1974: «Ora non sentirete più parlare del terrorismo nero e partiranno gli altri, i rossi». Era soltanto una supposizione o piuttosto il disvelamento di un gioco tragico in corso, per cui una parte degli apparati dello Stato fomentava il disordine invece di fermarlo? Giulio Andreotti è un personaggio chiave di questo libro. Egli è stato imputato in due processi penali, che toccano momenti cruciali della vita pubblica italiana e che qui vengono raccontati dall'inizio fino a oggi. Nel primo l'accusa è per associazione a delinquere di tipo mafioso, riguarda fondamentalmente i rapporti con Lima e con i settori inquinati della DC siciliana, e punta a dimostrare che vi sia stato tra Andreotti e il vertice di Cosa nostra un collegamento stabile. Nel secondo processo si tratta di omicidio: il leader democristiano è accusato di essere stato il mandante dell'assassinio di Mino Pecorelli. Figura tragica quella del giornalista ucciso nel 1979: uomo legato ai servizi, detentorc di segreti che scottavano, relativi alle Brigate Rosse, all'affare Moro, alle tangenti di Stato, al sistema di potere andreottiano, era in possesso di una miriade di carte compromettenti, usate con spregiudicatezza. Ripercorrendo le spericolate manovre di Pecorelli, Rita Di Giovacchino mette a fuoco alcuni tratti salienti della illegalità interna alle istituzioni negli anni Settanta. E anche qui, anche nella vicenda Pecorelli, ritornano negli accertamenti giudiziari le tracce del rapporto tra politica e mafia. L'autrice analizza le sentenze di appello che rappresentano finora il punto di arrivo dei due processi: mafia e omicidio. La prima, al termine del processo di Palermo, riconosce che in epoca anteriore al 1980 l'ex presidente del Consiglio ha intrattenuto rapporti stretti e durevoli con l'organizzazione mafiosa Cosa Nostra, interrompendoli soltanto dopo l'omicidio di Piersanti Mattarella; ma per quegli anni ormai lontani il reato è prescritto. L'altra sentenza, pronunziata a Perugia, è una condanna per omicidio, che ha sollevato perplessità e dubbi: Andreotti sarebbe il mandante del delitto Pecorelli, ma coloro che erano imputati di averlo commesso sono stati assolti e gli esecutori non si conoscono. E inutile osservare che questa situazione non è del tutto insolita e più di una volta si ritrova nei processi per reati di mafia, ove viene provata la decisione dell'omicidio assunta dal vertice dell'organizzazione, senza che siano individuati i sicari. L'incertezza sulla dinamica degli eventi comunque resta e poiché riguarda un imputato eccellente toglie credibilità alla condanna. In realtà, la pesantezza degli accertamenti giudiziari, non solo nel caso della condanna di Perugia, ma in una certa misura anche in quello del proscioglimento per prescrizione a Palermo, è stata presa come spunto non per riflettere sugli avvenimenti che nel giudizio sono stati ricostruiti né sul rapporto politica-mafia, ma piuttosto per ribadire e diffondere nell'opinione pubblica, con una martellante campagna mediatica, il cliché della giustizia impazzita o politicizzata, caro all'attuale maggioranza di governo. L'autrice rifiuta invece questo schema liquidatorio e mette al centro le domande ancora brucianti che nascono dagli elementi di prova, dai fatti emersi nei processi, dalle deposizioni di collaboratori di giustizia ritenuti attendibili. C'è stato un negoziato politico diretto o mediato tra Andreotti e i capi di Cosa Nostra, e se c'è stato, quali erano i terreni del compromesso? Quali le responsabilità politiche, al di là dei profili penali? C'è stata soltanto inerzia di fronte al potere della mafia oppure anche una convergenza attiva? I capitoli dedicati ad Andreotti vanno al di là del tema mafia e ruotano intorno ai momenti cruciali di crisi e di debolezza della democrazia. Tra questi, in primo piano, la vicenda del rapimento di Aldo Moro è la più emblematica. Da allora è passato un quarto di secolo. In quei giorni non crollò la Repubblica, ma certo fu evidente la sua fragilità. Non riusciamo a dimenticare né a considerare frutto di irrilevanti coincidenze la lunga serie di misteri e di contraddizioni che quei fatti evocano ancora. Non possiamo cancellare le prove di impotenza degli apparati, la confusione e le manovre all'interno del sistema politico, le responsabilità di chi non seppe prevenire né fermare l'azione brigatista. Quanti fantasmi ancora ruotano intorno agli eventi della primavera 1978. Vorremmo congedarci da essi, ma non è possibile: sono troppi gli aspetti che rimangono nell'ombra, tra il non detto e la menzogna. Nel raccontare quella sconfitta della democrazia italiana, Rita Di Giovacchino insiste molto sulla testimonianza dello stesso Moro, consegnata nel suo Memoriale. Era un testo che egli aveva scritto per rispondere ai brigatisti e che noi conosciamo soltanto in parte. Non so se vi fosse in lui l'intenzione di redigere un testo per il futuro, capace di andare al di là del terribile confronto con le BR. Penso comunque che si trattasse di un'analisi lucida e drammatica delle condizioni di un fallimento. La politica di Prefazione intesa tra le grandi forze popolari che si erano contrapposte per decenni nel nostro paese era stata pensata dal leader democristiano come una via non facile ma obbligata verso le riforme e verso un graduale superamento del blocco del sistema politico italiano. Il compromesso tra DC e PCI, come era avvenuto con la "grande coalizione" in Germania, poteva aprire la via a una normalizzazione e a un sistema politico dell'alternanza. Ma lo spettro del comunismo, sia pure all'italiana, coalizzava e moltiplicava i pericoli e le inimicizie. Il disegno di Moro non era soltanto ambizioso. Aveva anche in sé un forte volontarismo destinato a cadere e a infrangersi, perché troppo aggressivo era il sistema di poteri che lo contrastava. Ebbene, questo complesso di resistenze, di ostacoli, di minacce alla democrazia che venivano anzitutto dall'interno dello Stato, dalle debolezze e dalle connivenze della politica, è il vero oggetto del Memoriale. E il rischio che viene qui messo in luce è la congiura di forze interne e internazionali contro una normalizzazione democratica, che avrebbe dovuto essere condotta (come Moro progettava giolittianamente) d'intesa con la sinistra e con il movimento sindacale unitario. Per quel che possiamo oggi vedere, Moro si era sottratto, usando la sola arma della scrittura, al dominio pieno e incontrastato che i carcerieri volevano esercitare nei suoi confronti. Aveva espresso il proprio punto di vista, senza infingimenti, sulla crisi drammatica del paese, di cui la sua esperienza personale era la prova decisiva. È questo l'aspetto che l'autrice sottolinea. Certo, il paese non fu allora sopraffatto; non venne il disordine, né la guerra civile a cui mirava il terrorismo; e per attraverso una serie di esempi concreti. Vi è anche una rete di interessi. C'era folla davanti al palazzo della Prefettura: gente che tirava monetine e gridava "mariuolo" alla volta di un povero assessore travolto dalla tangentopoli vesuviana. Non furono calpestate e sovvertite in modo devastante le leggi comuni.senza che le regole e i principi della Costituzione venissero meno. in tutte le sue svariate forme. Ora. la tendenza all'illegalismo nell'ambito delle istituzioni non spiega da sola fenomeni eterogenei come la strategia della tensione. Il presidente della DC era consapevole di questo andamento delle cose. «Ed è proprio». che egli segnala con nettezza. Ma certo essa è stata una delle condizioni della eversione e l'ha aiutata a crescere. Il suo progetto è battuto. durante gli anni che stiamo vivendo. Perciò le sue parole pesano come macigni. la minaccia non viene soltanto dai brigatisti. È possibile . ma soprattutto da quel sistema. le deviazioni dei servizi segreti. o almeno ciò non apparve (il potere illegale della P2 agiva nell'ombra).il libro formula molte considerazioni e ipotesi su questo punto . che sarebbe venuta pienamente alla luce quindici anni dopo». rigo dopo rigo. una consuetudine di corruzione e di sostegni occulti ai gruppi eversivi. Massimo Brutti settembre 2003 Nota dell'autore Il 20 marzo del 1993 ero a Napoli. D'altra parte. Ma il valore della testimonianza è già davanti ai nostri occhi: è come se Moro drammaticamente dimostrasse. Non so se davvero i due momenti siano così vicini e simili. L'antitesi e gli ostacoli al suo disegno politico non sono soltanto negli intrighi degli uomini di governo che egli accusa a chiare lettere o nelle pressioni della destra americana. Erano giorni di ordinario caos. quell'illegalismo è ancora presente nelle classi dirigenti e nel costume italiano. è un elemento di congiunzione tra Prima e Seconda Repubblica. non c'era amministratore . quando arrivò la notizia che il Senato aveva concesso l'autorizzazione a procedere nei confronti di Giulio Andreotti e Antonio Gava. Ma sia pure nella permanenza delle forme democratiche. che con quello Stato. con quel sistema politico per lui non c'è più spazio. l'Italia fu ugualmente messa in ginocchio e l'inquinamento dello Stato favorì l'assassinio di Moro. Anzi. i mandati di cattura fioccavano di qua e di là. e che fa blocco contro di lui.che vi fossero nel Memoriale anche notizie più compromettenti sulla corruzione interna al sistema di governo e sulle deviazioni dei servizi segreti. è ben lontano dall'essere estirpato e vive una nuova. scrive Di Giovacchino «la diagnosi impietosa che Moro fa in quelle pagine dell'involuzione politica del paese e dell'assenza di ogni tensione etica e politica.le BR fu l'inizio del tramonto. a fornire un'istantanea anticipata della degenerazione del sistema italiano. le trattative con la mafia e lo sviluppo dei terrorismi. rigogliosa esistenza. che ha confermato i rapporti tra Andreotti e i cugini Ignazio e Nino Salvo. non smentisce anzi rafforza la tesi della Corte d'Assise d'Appello di Perugia che lo ha condannato. mi sembrava di essere arrivata. dunque. la cui principale responsabilità ricade sul più volte presidente del Consiglio. mentre nel buio dei loro ricordi si accendeva all'improvviso una luce di speranza: «Tu te ne sei occupata a suo tempo. pirandelliana come la terra che l'ha generata. straordinaria vicenda. Erano passati esattamente quattordici anni da quella sera in via Tacito. Dieci anni non sono bastati per mettere la parola fine a questa intricatissima vicenda: almeno per Perugia. il senatore è stato condannato a ventiquattro anni per l'omicidio di Pecorelli. me ne ero occupata. presunti intermediari del delitto Pecorelli. Di tutti gli scheletri che nell'immaginario collettivo affollavano il ripostiglio del Presidente. al capolinea della storia d'Italia. mi chiedevano afflitti i miei capi. a Palermo è stato per metà assolto e per metà prescritto dall'accusa di essere associato alla mafia. A creare maggiore confusione non era tanto l'accusa di partecipazione ad associazione mafiosa. dopo l'ultima. quando sotto una fitta pioggerella primaverile avevo trascorso qualche ora davanti al cadavere crivellato di colpi del mio sfortunato collega. a cercare di capire come e perché fosse finito così. l'incolpazione di Andreotti provocò autentico sgomento. quello di Pecorelli rischiava di diventare il più ingombrante. di protezioni politiche ad altissimo livello. E l'aver avvalorato la credibilità del pentito Francesco Marino Mannoia. passi per Gava che non era in odore di santità. Una sentenza. quanto quella di omicidio. «Ma chi è 'sto Mino Pecorelli?». pronto a trasferirsi da un momento all'altro a Rebibbia o a San Vittore o a Poggioreale. stava per rivelare sconvolgenti verità sul delitto Moro. Vediamo com'è andata a finire: a Perugia. riverso nella sua vecchia Citroen verde bottiglia.pubblico o manager privato che non dormisse con la ventiquattrore accanto al letto. anche in quest'ultimo verdetto. E quel giorno del '93 mentre mi aggiravo in piazza del Plebiscito a Napoli e mi chiedevo chi fosse l'ignoto manovratore che aveva all'improvviso deciso di aprire l'armadio. in una stanza dell'hotel Le Palme a Palermo. il 20 marzo 1979. che si è conclusa proprio in questi giorni nelle aule giudiziarie. almeno fino all'inizio degli anni Ottanta. Luci e ombre. a scrivere l'ultima pagina di questa incredibile. Questa è l'amara . perché il giornalista. Dieci anni dopo eccomi qui. Sì. deve ancora intervenire la Cassazione. quest'ultima. che Sciascia avrebbe definito un "capolavoro". che in quei tempi non si negava a nessuno. no?». In ogni caso il processo di Palermo sembra aver confermato l'ipotesi primaria: Cosa Nostra ha goduto. Ma. nel momento in cui fu ucciso. insieme a quella folla rumorosa e vociante che tirava monetine. controversa sentenza della Corte d'Appello di Palermo. Anche perché è una storia appassionante. il "giornalista che sapeva troppo". quello di Mino Pecorelli. Una storia che s'intreccia con il delitto Moro. spesso contraddittorie. una vicenda che ci ha coinvolto nei dubbi. Con il risultato che sono ormai pochi gli italiani che riescono a districarsi nel labirinto delle accuse mosse ad Andreotti. criminologi. che difende soprattutto i potenti. Insomma si è fatto il processo alla Storia. Ma forse una storia del genere non poteva accadere in nessun altro paese. Decine di film. La nostra "anomalia" sta nell'operazione di delegittimazione della magistratura che ha accompagnato questo processo. insomma avrebbe prodotto più di un bestseller. vengono improvvisamente investiti da una valanga di notizie. centinaia di libri. incolpando una sola persona. gravida di intrighi e di misteri. sostiene che in realtà non si è trattato del processo a un singolo uomo politico. Noi. intere procure. Insomma. nonostante i suoi ottantaquattro anni. Anzi. sette volte presidente del Consiglio e per venticinque ministro di tutti i governi della Repubblica. con le stragi d'Italia e con tanti omicidi che assomigliano tutti al primo. una storia come quella di Andreotti. e quando. dalle garanzie del sistema giudiziario e degli uomini chiamati a rappresentarlo. invece. I fatti nel processo Andreotti sono stati l'unica . politologi. i pool antimafia e antiterrorismo: fino ad aggredire il ruolo della pubblica accusa. Invece niente. non ha investito questo o quel magistrato. senatore a vita. niente: zitti. come tutti gli altri processi politici di questi anni. è un protagonista attivo. Ma in altri paesi l'argine è costituito dallo stato di diritto. un leader attorno al quale continuano a coagularsi manovre e progetti che influiscono sugli equilibri di governo. in occasione delle sentenze che finora si sono succedute. ma intere strutture giudiziarie. ne ricavano la sensazione che l'innocenza o la colpevolezza del senatore sia come la frutta: cambia con le stagioni. avrebbe mobilitato storici. Un'operazione pericolosa. silenzio: non è strano? Eppure Andreotti non è affatto scomparso dalla scena politica. Pensate che cosa sarebbe successo negli Stati Uniti se Kennedy o Bush fossero stati imputati di fatti tanto strabilianti. ma a una moltitudine di uomini politici. In qualunque altro paese del mondo. anche fare semplice informazione rischia di dare credito alla versione di "una magistratura impazzita". per disinnescare la mina della condanna. gli anni della guerra fredda e gli "anni di piombo". Fa parte dell'"anomalia" italiana e il silenzio nasconde l'imbarazzo. che attraversa gli anni della ricostruzione.un grande pezzo del nostro passato. In questa logica. Qualcun altro. perché in nome di un sospetto garantismo.verità che emerge dal "processo del secolo". Il mio criterio sarà quello di raccontare i fatti. Non perché lo scandalo sia una nostra prerogativa: la componente "criminale" è parte organica di ogni sistema di potere. dal 1947 al 1993. dalla certezza dei codici. Meglio tacere. nelle certezze e nelle passioni politiche. anche se non è ancora del tutto comprensibile. a partire dalla strage di piazza Fontana o dal delitto Moro. dare un significato allo spargimento di sangue. e attorno a questo mistero si era creata molta attesa. nel mentire ai giudici. di trovarci dentro una "verità" confezionata. Noi cercheremo di scoprire a chi si riferiva. che non potranno essere svelati se non con l'aiuto. rimarrà deluso. ma pagine della nostra vita in cui si contano decine di morti che non possono essere dimenticati. ma ancora vicinissime nelle emozioni che continuano a suscitare. cerca di accattivarli. come può accadere in un periodo di guerra. non sono stati inutili: tra molte tribolazioni. Cosa ci si aspettasse da lui è difficile dirlo: personalmente. Speravo che con il processo fosse finalmente venuto il momento di sapere qualcosa che ci aiutasse a capire vicende di cui Andreotti è uno dei pochi a sapere. Una forte esigenza di verità. Sono una certezza gli omicidi. degli archivi di Stato. negli anni della guerra fredda. un domani. ma altri complotti purtroppo non possono essere esclusi. Questo processo offre la possibilità di ricostruirli all'interno di un unico psicodramma collettivo e di comprenderne la trama delle connessioni. una ragion di Stato che travalicasse le sue personali responsabilità. leggendo questo libro. come quella di piazza Fontana o di via Fani. qualcun altro ha insinuato che dietro la sua compostezza si nascondesse soltanto l'astuzia di chi. compiuti in Italia negli ultimi trent'anni. ma i due ad Andreotti. Più volte Andreotti ha fatto ricorso in questi anni alla teoria dell'ignoto suggeritore". gli attentati sanguinari. ma chi speri. non si può escludere però una correlazione tra l'uccisione dei due magistrati e l'incriminazione del sette volte presidente del Consiglio. Non credo ai complotti giudiziari.certezza. Diceva Kafka che un processo è luogo di errore e non di giustizia. Qualcuno ha detto che Andreotti si è comportato da "imputato modello". ha accompagnato questo processo. al di là della contraddittoria soluzione finale. quelle di Capaci e via D'Amelio. forse soltanto . il processo Calvi. un conflitto combattuto dietro le linee. il processo alla P2. non appagata. il processo alla DC. dove giacciono fascicoli ancora coperti dal segreto. che nel corso del processo si è però rivelata vana. Ci sono stragi lontane. sono più prossime. come diceva Buscetta. qualche risposta ai nostri interrogativi l'hanno data. indicare una finalità superiore. il processo Moro. Non è tutta la verità. Perché di guerra si è trattato. speravo in un maggiore contributo alla verità. Qualcosa che potesse riscattare. Forse per questo l'impianto accusatorio si è via via dilatato fino a comprendere altre decine di azioni giudiziarie. perché il mistero di chi e cosa sia stato realmente Andreotti nella storia d'Italia è legato alla soluzione di altri misteri. Il processo sugli omicidi politici della mafia. le stragi. Non sono macchinose ricostruzioni di menti contorte. Altre. se è vero che le morti di Falcone e Borsellino non possono essere spiegate soltanto con la necessità di "screditare" Andreotti. Singer Chi potrebbe rispondere alla terribile ostinazione del crimine se non l'ostinazione della testimonianza? Albert Camus Prologo Il processo Andreotti Assolto. A Elisa.G. con il silenzioso protagonista dei nostri ultimi cinquant'anni. R. che in questi mesi mi è stato vicino pungolandomi ogni qual volta rischiavo il naufragio nella marea di fatti e documenti che costituiscono la materia prima di questa fatica. e me ne scuso in anticipo. mentre il paese affrontava nuove emergenze e le udienze diventavano sonnacchiose e prive di interesse. due gradi di giudizio. condannato. il "processo del secolo" è stato spaccato in due: metà a Palermo e metà a Perugia. non soltanto per lo straordinario lavoro da loro svolto all'interno delle commissioni parlamentari d'inchiesta. i giudici. quattro sentenze. Isaac B. rogatorie hanno finora scoraggiato chiunque dal tentare di ricostruire il processo Andreotti. E uno specialissimo grazie anche a Vincenzo Ostuni. eccezioni. rimango l'unica responsabile di ogni errore o omissione. prescritto Non è una storia semplice da raccontare. atti di nullità. ma è il frutto di ricerche durate trent'anni.D. A complicare le cose. Stefano. che ci impedirà però di seppellire. ricordare la Storia è pericoloso: «La Storia è scritta col sangue. ma come dice Shimon Peres in Persona non grata di Oliver Stone.un frammento. un pezzo di storia italiana. ricorsi. Ringraziamenti Ho scritto questo libro in pochi mesi. Valentina e a tutti i giovani che hanno voglia di conoscere il passato Essi sostenevano che Dio e Satana devono infine ricongiungersi poiché sono in realtà la stessa cosa. A nessuno è stato possibile essere sempre presente . Con le udienze che si accavallavano. ma per il prezioso contributo di informazioni e consigli alla stesura di questo libro. Naturalmente. In fondo tutto ciò che impariamo è come dimenticare». Due processi.Ringrazio dunque tutti coloro che in questo tempo mi hanno aiutato nel tentativo di comprendere: i parlamentari. Marco. su e giù per l'Italia. Un ringraziamento particolare va ai senatori Massimo Brutti e Giovanni Pellegrino. i pubblici ministeri e gli avvocati che nelle commissioni d'inchiesta e nelle aule di tribunale hanno contribuito a demolire false certezze e versioni di comodo. Emiliano. con i giornali impazziti che non sapevano se aprire con l'attentato di Israele o il rinvio a giudizio di Andreotti per omicidio. come ai vecchi tempi. pochi giorni dopo. La prima a Perugia. in ginocchio. con la p maiuscola. per meglio confonderci le idee. anche quest'ultima assoluzione è spaccata in due: il reato è stato prescritto fino al 1980. attraverso un'unica fottuta presa multipla. ha perfino abbracciato uno di loro. D'inverno e d'estate lo abbiamo visto entrare nelle aule giudiziarie. il 9 ottobre dello stesso anno. Un colpo doppio che ci aveva fatto tirare un bel sospiro di sollievo: il sette volte presidente del Consiglio non era colluso con la mafia. Ero a Perugia quella terribile sera del novembre '95. perché il verdetto dei giudici non era stato netto. lì ho avuto la conferma che se Andreotti ha mai conosciuto una vera passione. a Palazzo San Macuto. niente da fare: entrambe le sentenze sono state appellate.ma. Invece. Una sola volta l'ho visto sorridere. quando a Tel Aviv fu ucciso Yitzhak Rabin. stesi in terra. Ricordo che abbiamo scritto i nostri articoli in quella maledetta aula bunker. anno dopo anno abbiamo assistito alla sua impercettibile trasformazione: sotto i nostri occhi. All'improvviso è diventato un uomo vero. o meglio ancora non era a tal punto mafioso da ordinare ai boss un omicidio. Lui non conosce né il caldo. quando era necessario. noi giornalisti c'eravamo. da quel 20 marzo '93. che fa rientrare dalla finestra quell'assoluzione «per insufficienza di prove» che il nuovo codice di procedura penale ha cacciato dalla porta. di autentico sorriso: ed è stato quando a Palermo ha trovato ad aspettarlo alcuni vecchi iscritti alla DC. questa è stata la Politica. e il giudice preliminare attorno a mezzanotte ha chiesto il rinvio a giudizio per Andreotti e Vitalone. con i suoi passi felpati e il solito vestito grigio. I primi giudici non se l'erano sentita di affermare «che il . lo scirocco a Palermo e la neve in Umbria. l'uomo più potente d'Italia è diventato a poco a poco quel simpatico vecchietto che si aggirava per i tribunali nel nuovo perfetto ruolo di "imputato modello". quando fu richiesta l'autorizzazione a procedere. nell'ottobre '92. Mi trovavo a Roma. Non ha mai saltato un pasto o tradito un'emozione. Anzi. L'assoluzione veniva applicata in base al famigerato articolo 530. anzi di essere a tal punto mafioso da rivolgersi a Cosa Nostra per togliersi dai piedi un giornalista che «lo disturbava politicamente». quando Tommaso Buscetta è stato ascoltato dall'Antimafia e ha accusato il senatore Andreotti di essere "colluso". C'era il sole e c'era l'ombra. In primo grado il senatore era stato invece assolto due volte. né il freddo. davanti ai nostri computer collegati. dove i giudici non avevano ritenuto sufficienti le prove addotte per il delitto Pecorelli. è durato dieci anni e un mese e si è concluso con una condanna a Perugia e con un'assoluzione a Palermo. il 24 settembre 1999. da quel momento in poi Andreotti è stato assolto. in carne e ossa. comma 2. la seconda a Palermo. Il senatore no. Il processo. noi sudavamo e battevamo i denti. fatto non sussiste» ovvero che c'era la prova certa che Andreotti non aveva mai fatto favori ai boss chiedendo in cambio a sua volta un favore. Così il 17 novembre 2002 la Corte d'Assise di Perugia ha potuto condannarlo per il reato più grave: proprio l'uccisione del giornalista. E il 2 maggio 2003 la Corte d'Appello di Palermo ha emesso il suo ambiguo verdetto. Dunque Andreotti è stato assolto, condannato e prescritto. Un bel pasticcio, un groviglio che non ha risolto il nodo primario, perché questa vicenda avrebbe dovuto chiudersi con la certezza che il senatore fosse innocente; e non "impunibile" o non sufficientemente responsabile. Dieci anni di processo invece non sono stati sufficienti a escludere la sua innocenza o la sua colpevolezza. Il mistero resta intatto. Così riprende quota il partito di quanti sostenevano che questo processo fosse in realtà inutile, perché la responsabilità politica di Andreotti era già stata accertata. Uno strano crinale quello che separa la responsabilità politica da quella penale per un uomo di governo! Ma la vicenda non si chiude qui: ci sarà ancora la decisione della Suprema Corte sul verdetto di Perugia e forse nuovi ricorsi per quello di Palermo. Prima che il processo del secolo imbocchi la strada che già conosciamo, quella del processo infinito che prosegue indisturbato tra ricorsi e controricorsi, nuovi processi e nuovi giudizi, forse vale la pena di mettere un punto. Offro questa ricostruzione per quello che vale: non è un frutto avvelenato, ma la testimonianza di una cronista su fatti realmente accaduti. Un popolo senza memoria non ha futuro: non so più chi disse queste parole, ma è proprio quello che ci sta accadendo. Perugia, 17 novembre 2002: la condanna Il 17 novembre è giorno di malaugurio. Non c'era da stupirsi se, sotto la pioggia battente, l'aula bunker del carcere di Capanne fosse silenziosa e deserta. Del resto il processo a Giulio Andreotti da tempo non faceva più audience. Due volte assolto, ormai il senatore era di nuovo sulla cresta dell'onda: in vetta agli indici di gradimento nazionale, aveva riconquistato la sua aura di "innocenza". La sentenza d'appello, attesa quella domenica, era appena una formalità, imputabile allo zelo dei giovani magistrati della Procura umbra che non avevano rinunciato al ricorso, una decisione a suo tempo criticata. Perché quella di Andreotti, dopo la prima doppia assoluzione, era ormai da considerarsi una storia chiusa. Contrariati dalla pioggia e dall'ora tarda, a Capanne c'erano soltanto i fedelissimi del Processo: uno sparuto gruppo di avvocati e giornalisti che in quell'aula sperduta nella campagna umbra avevano trascorso sette, otto anni della loro vita. Il carcere di Capanne è un cubo di cemento, protetto da reti e metaldetector, che spunta come un fungo lungo la strada che taglia le colline tra Perugia e Città della Pieve. Il bunker è sul lato sinistro, l'avevano costruito una decina di anni prima per i banditi sardi, ma da allora gli unici ospiti importanti sono stati Giulio Andreotti e il fedele Claudio Vita-Ione, che lo ha seguito nei giorni della gloria e in quelli del diluvio. Neppure i loro coimputati si sono mai presi la briga di arrivare fin qui. E poi per fare cosa, discutere di un giornalista ammazzato, più noto in morte che in vita, tale Mino Pecorelli? Quel 17 novembre perfino Andreotti, così assiduo frequentatore delle aule giudiziarie, aveva deciso di attendere a casa il verdetto. L'altro famoso accusato, Gaetano Badalamenti, don Tano da Cinisi associato a Cosa Nostra, dimenticato da tempo immemorabile dietro i cancelli del carcere di Fairton a Miami, forse neppure lo sapeva. Anche gli altri imputati erano assenti, anche Vitalone, anche quei tre "banditazzi" che una mente contorta aveva associato al Presidente: chi in carcere come Pippo Calò e Angelino La Barbera detto "il Biondo", e chi per i fatti propri come Massimo Carminati, cieco da un occhio per via di una sparatoria con la polizia. Insomma,una bella congrega, figuriamoci se lo condannavano. Non c'era neppure da pensarci. Finalmente, alle diciotto e venti, è suonata la campanella. Il presidente della Corte d'Assise d'Appello di Perugia, Lino Gabriele Verrina, uomo alto e dall'aspetto austero, è finalmente apparso con i suoi capelli bianchi e la faccia rassicurante del giudice da telefilm americano, di qualche tribunale del Texas o dell'Ohio, si è aggiustato gli occhialini sul naso, si è schiarito la voce e senza alcuna enfasi ha letto il dispositivo: Visti i capi d'imputazione agli articoli 428 del codice penale e seguenti, considerate le aggravanti della premeditazione e le attenuanti [...] questa Corte condanna Andreotti Giulio e Gaetano Badalamenti a ventiquattro anni di carcere come mandanti dell'omicidio di Mino Pecorelli. Assolve gli altri imputati Giuseppe Calò e Claudio Vitalone, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati. La sentenza sarà depositata entro novanta giorni. In nome del popolo italiano. Il numero ventiquattro per qualche secondo è rimbalzato magicamente da un angolo all'altro dell'aula: «Ventiquattro, ha detto ventiquattro...». Lo sguardo smarrito dei giornalisti si è incrociato con il grido di sconforto dell'avvocato Giulia Bongiorno, strenua sostenitrice del senatore, che improvvisamente si è accasciata sulla sedia. La scena per un interminabile secondo si è immobilizzata, nessuno aveva il coraggio neppure di respirare. «Sentenza sconcertante», è stato il primo e unico commento del professor Coppi, difensore di Andreotti. Il presidente Verrina, il giudice a latere Maurizio Muscato, senza che più nessuno si occupasse di loro, seguiti a ruota dai corresponsabili dell'infausta sentenza sono usciti dall'aula. Erano quattro impiegate, un funzionario della Provincia e un pittore ceramista, con la barba bianca come Frate Indovino che proprio in quella triste giornata moriva a qualche chilometro di distanza. Da quel momento, tolte le fasce tricolori, i sei cittadini tornavano alla loro vita di sempre. Giustizia era fatta nell'aula di Capanne. Possiamo immaginare la scena: seduto vicino al telefono, nella sua poltrona sotto la finestra da dove oltre il fiume di macchine s'intravede la cupola di San Pietro, Andreotti ha atteso a lungo che suonasse il telefono. Al primo squillo ha sollevato la cornetta: «Presidente, purtroppo... sono ventiquattro anni». L'avvocato Franco Coppi era emozionato, quasi balbettava, non riusciva a trovare le parole. È seguito un silenzio interminabile, interrotto dal senatore che con voce metallica ha sussurrato: «Faremo ricorso, non te la prendere». Poi è rimasto immobile, nella penombra, in quella stanza improvvisamente affollata dai fantasmi del passato. Nella Roma assonnata e domenicale, la notizia si è sparsa come un lampo e la sua casa all'angolo tra corso Vittorio e il Lungotevere, dove il "mandante" abita da sempre, si è affollata di amici e giornalisti. Chi lo ha visto in quelle ore dice che era provato, addirittura emozionato, lo sguardo smarrito di fronte all'enormità dell'evento. Ma è stato soltanto un attimo. Poi è tornato in sé, ha di nuovo calzato la maschera che conosciamo: lo sguardo imperscrutabile, il sorriso enigmatico e le memorabili orecchie appuntite. Una maschera senza emozioni, ferma nel tempo. Andreotti era di nuovo Andreotti: ha ripreso in pugno la situazione, ha rilasciato dichiarazioni e interviste e perfino dettato un comunicato alle agenzie in cui con l'immancabile lucidità ha preso le distanze da chi, nel difenderlo, si era scagliato contro i magistrati: «Ho sempre avuto fiducia nella giustizia e continuo ad averne, anche se mi è difficile accettare una tale assurdità». Solo la moglie Livia, compagna di vita e madre dei suoi quattro figli, ha ceduto all'emozione: «Chi conosce Giulio lo sa, non è vero niente. Giulio non ha fatto niente, ma il coltello dalla parte del manico ce l'hanno loro. E non mi chiedete chi sono loro perché ancora non lo so». Già, chi sono loro? A Giulio la teoria del Complotto non è mai piaciuta: in questi dieci anni vi ha fatto ricorso con parsimonia. Qualche frase gettata qua e là, comprensibile soltanto a pochi. Sa che è un terreno minato, così l'ipotesi è rimasta un groviglio di allusioni e dicerie: americani, CIA, asse franco-tedesco, sinistra giudiziaria... Per qualche tempo ha accennato a "un ignoto suggeritore": una tesi difensiva che sembrò collocarsi a mezzo guado tra la pista internazionale e quella interna. Tra l'ipotesi della "destabilizzazione" pilotata a distanza, magari da oltreoceano, da un invisibile nemico che aveva deciso di destabilizzare la classe politica italiana, ormai troppo autonoma e poco controllabile, e quella di casa nostra, manovrata da chi affacciandosi nell'agone politico voleva distruggere il vecchio in nome del nuovo. Con il passare degli anni il "complotto" è diventato un "complottino", ordito da magistrati e pentiti, di cui non si capisce né il fine né l'utilità, se non forse agevolare l'ascesa al governo della sinistra, finalmente possibile ora che non c'è più il pericolo "comunista". Ma posto di fronte a domande precise, Andreotti ha sempre preferito glissare. Del resto tra le massime evangeliche quella che preferisce è: «Quando a Gesù fu chiesto di dire la Verità, lui non rispose». Una capacità che anche i più accaniti avversari gli hanno sempre riconosciuta consiste - o forse sarebbe meglio dire consisteva - nel saper demotivare le accuse che gli venivano rivolte, anche quelle più gravi, minimizzandole con un sorrisetto sarcastico, come se non valesse neppure la pena di rispondere. E infatti lui non ha mai risposto, men che meno ai giudici. Una strategia che ha adottato, con discreto successo, anche nella nuova veste di imputato. Del resto di una cosa sono convinti gli italiani: che Andreotti sia furbo, di una furbizia suprema, "ontologica". Un elemento non di disistima, ma di consenso, perché la gran parte di noi aspira a essere furba: e agli occhi di tutti Andreotti rappresenta, nell'eletta schiera dei "vincenti", un Superman della politica in grado di sconfiggere ogni maleficio e ogni avversità. E così, per molti, il mistero della sua caduta resta davvero inaccettabile. Palermo, 2 maggio 2003: l'assoluzione (con prescrizione) Cinque mesi e dieci giorni dopo. Eccoci di nuovo riuniti nell'aula della prima sezione della Corte d'Appello di Palermo, noi della "compagnia di giro" che in questi anni ha fedelmente seguito Andreotti nelle aule giudiziarie. Alle diciotto eravamo in attesa della quarta e (forse) ultima sentenza. In primo grado era stato assolto, ma poi nel frattempo c'era stata quella condanna a ventiquattro anni che aveva ribaltato la situazione. Il presidente Salvatore Scaduti, detto Totò il rosso (ma soltanto a causa del colore dei capelli, peraltro ormai incanutiti), in mattinata aveva annunciato una camera di consiglio breve, e alla difesa era sembrato un buon auspicio. Ma poi questo magistrato, dai modi spicci, schietto e austero al tempo stesso, aveva esordito con la lettura di un messaggio irrituale da parte del presidente di una Corte di Giustizia: In questo doloroso e sanguinante momento di contrasto tra potere politico e giudiziario voi avete dato al paese, durante lo svolgimento del processo, un esempio di serena e auspicabile dialettica processuale. Per capire le parole del giudice Scaduti bisogna ricordare che appena quarantotto ore prima era stata emessa a Milano la condanna del parlamentare di Forza Italia Cesare Previti, il quale aveva reagito dando libero sfogo alla sua rabbia con parole durissime nei confronti della magistratura milanese. Ma questo non era sufficiente a rassicurare gli avvocati del senatore, soprattutto Giulia Bongiorno, una ragazza di trentasette anni, ex campione di basket, detta "scricciolo" che, dopo il verdetto di Perugia, era ancor più magra e agitata. «Cosa fa, mi condanna ancor prima di cominciare?», ha detto confidando la sua ansia ai giornalisti. In realtà lo strano intervento del Presidente era suonato a tutti come un monito ad accettare una sentenza non del tutto favorevole. Nel pomeriggio la tensione si tagliava con il coltello nell'immenso corridoio al primo piano di quello che un tempo veniva chiamato Palazzo dei Veleni: veleni fabbricati da menti più o meno raffinate contro Giovanni Falcone e il suo pool antimafia, colpevole di aver rotto le regole "di rispetto" tra magistratura e boss. Tempi lontani. Signori, entra la Corte. Ancora, di nuovo, per la quarta volta noi siamo qui con i taccuini in mano. «Considerati gli articoli 416 e 416 bis, in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiara prescritto il reato commesso fino alla primavera 1980, conferma nel resto la sentenza». Appena un attimo di silenzio, poi l'urlo dell'avvocato Bongiorno fende l'aria. Ha già in mano il telefonino: «Assolto, assolto, assolto!», il suo grido rimbalza fino a Roma, fino allo studio del senatore, in diretta con l'aula di Palermo. È stata lei, giovane avvocato, a guidare, in un balletto di grida appassionate, la prima interpretazione del dispositivo che in verità, in quel momento, era assai ermetico per la maggior parte dei presenti. li Presidente è stato assolto, capito, non è più imputato... dopo dieci anni. E non venitemi a dire che si tratta di due processi, perché questo è un processo unico, perché a Perugia non capiscono niente del dialetto siciliano. Questi giudici, i nostri giudici, sono abituati a distinguere i pentiti dai tarocchi: loro sì, loro capiscono quali sono i pentiti veri e quelli falsi. È finita, finita... Ma la dirompente euforia di Giulia non è bastata a cancellare l'espressione interdetta del famoso avvocato Franco Coppi e quella, apertamente preoccupata, del penalista di Palermo, Gioacchino Sbacchi. Il primo commento a denti stretti è stato di Coppi: «È un'assoluzione, i giudici hanno voluto precisare che il reato 416 di associazione a delinquere è nel frattempo caduto in prescrizione... A noi comunque basta il risultato». Qualcuno comincia a fare i conti, dieci anni più cinque, nei casi in cui vengono contestate le aggravanti: dunque il reato 416 doveva essere già prescritto nel '95. Forse il giudice Francesco Ingargiola, nella sentenza di primo grado, non se n'era accorto? Qualcun altro riflette: «Ma il reato 416 bis, quello di associazione per delinquere di stampo mafioso, è entrato in vigore nel 1982, e non nella "primavera 1980": i giudici hanno sbagliato la data?». Nell'aula gli interrogativi si sono moltiplicati con il passare dei minuti, l'entusiasmo della Bongiorno non ha trovato eco nelle parole del più anziano avvocato Sbacchi: «Vedremo le motivazioni: potrebbe anche essere il caso di fare ricorso». A guastare del tutto la festa è stato il procuratore generale aggiunto, Daniela Giglio, che dopo aver inutilmente tentato, insieme alla collega Anna Maria Leone, di sfuggire all'assalto dei cronisti, ha offerto la seguente interpretazione del dispositivo: Il processo non è finito. Certo bisognerà attendere le motivazioni, ma questa è un'assoluzione a metà. Noi ritenevamo che il rapporto tra Andreotti e la mafia andasse letto nel suo sviluppo temporale come fatto unico. Per i giudici d'Appello la torta va invece tagliata a pezzetti. Per un pezzo, tino alla primavera '80, il reato è stato compiuto ma va prescritto. E dunque il giudizio della Cotte combacia con la posizione dell'accusa, ribaltando la sentenza di primo grado. Per l'imputato è senz'altro una sentenza peggiorativa, alla quale potrebbe proporre ricorso. Proprio come aveva detto l'avvocato Sbacchi. Ma perché fino alla primavera 1980? Cosa era accaduto quell'anno? Il PG Daniela Giglio, che ha l'aspetto rassicurante della madre di famiglia, ha proferito parole in realtà poco rassicuranti: Nella primavera '80 Andreotti, secondo l'accusa, cioè noi, si è incontrato per la seconda volta con il boss Stefano Bontate: ne ha parlato il pentito Francesco Marino Mannoia. Se i giudici hanno applicato la prescrizione vuoi dire che hanno creduto al pentito. A mio parere hanno ritenuto provato il legame tra il senatore e la vecchia mafia, l'ala moderata di Cosa Nostra, e non con i corleonesi che da quel momento sono subentrati al vertice dell'organizzazione: è l'unica interpretazione possibile, perché con il nuovo codice c'è l'obbligo di esplicitare l'assoluzione anche per i reati prescritti. Al groviglio di numeri, date e codici che il dispositivo della sentenza di secondo grado propone, l'accusa ha dunque risposto introducendo il dubbio sull'assoluzione dell'«imputato di mafia» Giulio Andreotti. A differenza dei giudici di primo grado, la Corte d'Appello del Tribunale di Palermo ha voluto distinguere fra i due reati di cui era accusato il senatore (distinti non perché si trattasse di una diversa tipologia di reato, ma perché fino all'82 non esisteva il reato di «associazione mafiosa»). Per il reato dell'articolo 416 («associazione a delinquere»), in vigore fino a quell'anno, Andreotti non è stato assolto, ma prescritto, e cioè non si deve procedere a una condanna nei suoi confronti soltanto perché le accuse sono decadute a causa del lungo tempo trascorso. Per i fatti successivi è stato bensì assolto in base al famigerato comma 2, perché le prove sono «contraddittorie o insufficienti», e non con la cosiddetta formula piena, che viene utilizzata quando «il fatto non sussiste». L'interrogativo più consistente di quelle prime ore è stato il seguente: quale conto dovranno tenere i supremi giudici di Cassazione di fronte a questa ambigua sentenza, quando si troveranno a valutare la responsabilità di Andreotti, condannato a ventiquattro anni per l'omicidio di Mino Pecorelli?Per il pubblico ministero Roberto Scarpinato la sentenza di secondo grado "ben si incastra" con la sentenza di condanna perugina: Quel participio passato, ancorato alla primavera dell'80, significa che la Corte ha creduto ai collaboratori storici, da Buscetta a Mannoia. A quella data risale l'incontro raccontato da quest'ultimo pentito, che sarebbe avvenuto in una villa alla periferia di Palermo tra Andreotti e il boss, pochi mesi dopo l'omicidio di Piersanti Mattarella, un democristiano che voleva moralizzare la politica siciliana. Mannoia, fedelissimo di Bontate, dice di avervi assistito e descrive minuziosamente i dettagli: luogo, circostanze, contenuti. Parla di incontro burrascoso. Nello stesso periodo rientrano i rapporti con Michele Sindona, riciclatore del denaro sporco di Bontate, con il quale Andreotti si sarebbe incontrato negli USA mentre era latitante. Anche i primi giudici hanno riconosciuto provato questo incontro. L'articolo 129 del codice di procedura penale stabilisce che non si può dichiarare la prescrizione se risulta evidente che il fatto non sussiste o l'imputato non l'ha commesso. Se avessero ritenuto di avere la prova della sua innocenza avrebbero dovuto assolverlo, oltretutto la Corte arretra il «reato commesso» alla primavera '80, due anni prima dell'entrata in vigore della nuova norma, il 416 bis, e questo dimostra, a mio parere, che la Corte non ha sospeso il giudizio ma è entrata nel merito delle accuse. Solo valutando i fatti nella loro concretezza storica si può stabilire che il reato è cessato prima della data contestata. Strana sentenza: Andreotti è stato dichiarato in parte assolto e in parte non punibile, ma fra quelli che hanno manifestato maggiore soddisfazione ci sono proprio i magistrati che lo hanno accusato. Anche l'ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli ha tenuto a precisare: Non è una sentenza strana, è strano un paese in cui bisogna difendersi anche dalle sentenze che ti danno ragione. Non c'è mai stato nessun disegno, nessun teorema, nessun complotto contro Andreotti. C'erano dei fatti, gravi, da accertare, e la magistratura di Palermo ha fatto il suo dovere fino in fondo. Fino all'80 non abbiamo una sentenza di assoluzione, ma di prescrizione del reato commesso. Una sentenza polivalente, all'italiana. Pietro Grasso, il procuratore di Palermo, che è venuto dopo Caselli e si è tenuto fuori dal processo Andreotti (non ha firmato il ricorso in appello), ha tentato di sdrammatizzare questa controversa decisione: L'unica cosa certa è che neppure il processo di secondo grado ha consentito di arrivare a una sentenza di assoluzione piena. È stato dannoso caricare di significati politici i processi nei confronti di chi ha rappresentato le istituzioni e il mondo della politica. Per noi Andreotti è un imputato, cioè un uomo sospettato di aver commesso alcuni reati. Sono sbagliate le reazioni di chi pretende di estendere la salvifica mancanza di prove certe su Andreotti fino a sostenere che il legame mafia-politica è indimostrabile. La prescrizione per Andreotti sta a dire soltanto che la magistratura è arrivata fuori tempo massimo. I tempi sono scaduti e le valutazioni finali non possono essere più affidate al rito giudiziario. È necessario un giudizio politico. Oppure tutto sarà consegnato alla storia. Il "mandante" del delitto Pecorelli, pochi minuti dopo la sentenza, ancora stordito dalle grida di Giulia Bongiorno, ha aperto la porta del suo studio ai giornalisti. Lui in persona, con il solito vestito grigio, si è offerto generosamente in pasto alla curiosità e ai trabocchetti dei cronisti. No, non è che .». questi processi mi stanno allungando la vita. «Non mi è piaciuto che il procuratore abbia scritto un libro per polemizzare con la mia assoluzione di primo grado mentre era pendente l'appello. «prescrizione». Con il sorprendente risultato che Andreotti.. io vi dico che mi faccio i fatti miei». a Tor di Valle. «E andata bene». I tempi sono difficili: «Ma il tempo alla fine è galantuomo. inimmaginabili dal senso comune e completamente estranei alla storia del nostro paese. ma i magistrati giudicanti non si sono lasciati influenzare». E non la somma dei sospetti. nonostante ventiquattro anni ancora pendenti di fronte ai giudici di Cassazione. delle polemiche e delle inchieste giudiziarie che da sempre lo rincorrono.tutti i magistrati di Palermo siano dei criminali.. I pentiti? «Qualche volta ci hanno aiutato. che lo raffigura circondato da un'aureola. ma perfino dall'ombra del più veniale peccatuccio che abbia mai offuscato la sua carriera politica. Fatto è che nelle ore successive alle sentenze. compassato e soddisfatto. ingobbito e stupefatto. ha commentato con lo stesso sguardo fiero che ha qualche volta. Un po' di veleno contro Caselli non se lo è potuto risparmiare. che avrebbe costretto ogni altra società a interrogarsi sulla . è vero. Il ricorso all'iper in realtà per tutto il processo ha costantemente sdrammatizzato un evento che avrebbe segnato la storia di qualsiasi paese. Non saprei dire quale sia stata in questi anni la carta segreta di Andreotti. Non ha dubbi: è come se avesse già letto le motivazioni. oltre che alla personalità del condannato. Ad Andreotti è sempre piaciuto puntare sui cavalli vincenti. ma forse è meglio questa faccenda chiuderla qui». e neppure l'onorevole Previti è un criminale: «Ognuno reagisce come ritiene. ma al mio processo ne ho visti alcuni che erano falsi come l'oro di Napoli». come nella vignetta pubblicata dopo la sentenza choc di Perugia. Davanti alle telecamere Andreotti è apparso come sempre astuto e prudente. appare mondato non soltanto dalle accuse più gravi. di domenica. Strategia della beatificazione La conseguenza di tale sentimento collettivo si è tradotta nella trasfigurazione di Andreotti. non c'è quella trasmissione che si chiama I fatti vostri? Ecco. Poi sulle dita ha fatto qualche calcolo: «Ecco. non sono d'accordo. quando vince un cavallo su cui ha puntato. nei commenti che ha fatto a caldo non viene mai citata.. quasi che gli eventi trattati dal processo fossero frutto di un progetto folle e aberrante. Quella parola. ha preferito di gran lunga l'altra: assoluzione. Soltanto nell'accomiatarsi ha confidato ai giornalisti una preoccupazione: «Speriamo che la Procura Generale di Palermo non ricorra in Cassazione. di assoluzione o di condanna che fossero. Certo. perseguitato e martire. Ora. non so se riuscirei ad arrivare a ottantotto anni». non fatemi dire cose che non penso. mentre si solleva verso il cielo. tutti si sono profusi in manifestazioni di solidarietà ed entusiasmo. se camminasse più velocemente. ed esclama: «Ventiquattro anni! Ma che mi credete eterno?». Pomicino. di preghiere e fideiussioni. riuniti in un convegno che ha sancito la rinascita dello "scudo crociato" sotto la sigla UDC. per il timore delle conseguenze che questa sentenza potrebbe avere sulla sorte di tutti gli altri imputati di rango. lo hanno addirittura osannato. che hanno seguito irriverenti il corso di alcune pagine del processo. in certezza dell'innocenza del senatore. al clientelismo e alla corruzione. che è ormai una gag inevitabile in ogni spettacolo di varietà. L'incredulità dell'opinione pubblica sulle responsabilità "omicidiarie" di Andreotti ha contagiato ogni altra vicenda giudiziaria. al malaffare. E dopo l'assoluzione-prescrizione di maggio. La vicinanza tra Andreotti e San Pietro non è mai stata soltanto logistica. politica e affaristica. di cui molti di loro sono stati chiamati a rispondere. Giulio». Le prime ad arrivare. La beatificazione di Andreotti è stata in realtà il modo più rapido per archiviare la condanna.propria integrità etica. Nel pronunciare queste parole. Monsignor Angelini ha paragonato la sua odissea al calvario di Cristo. il cardinale Silvestrini gli ha restituito l'onore del passato: «E un uomo che ha fatto cose importantissime per il suo paese». il primo a cavalcare la tigre dello sdegno sia stato il premier. dimentichi di antichi dissapori e battaglie. ha tuonato mezz'ora dopo la condanna. sono state le manifestazioni di solidarietà del Vaticano. raccontato dal pentito Balduccio di Maggio. pochi giorni dopo la sentenza. Mannino. la sera del 17 novembre 2002. Silvio Berlusconi: «Andreotti è vittima di una giustizia penale che ha abbandonato ogni scrupolo formale e nega in radice il diritto della persona al giusto processo». sugli uomini che l'hanno governata. per ricondurla sul terreno ormai standard della "giustizia impazzita". L'ultimo Presidente teme che si ripeta la storia del primo: cerca di non essere affondato sul fronte giudiziario mentre si accinge a disegnare la sua futura ascesa al Quirinale. ma ideale e fattiva. Invece il giorno dopo la condanna è stato ricco di commenti surreali ma soprattutto di barzellette. che con Andreotti difendono un pezzo della propria storia. Gaspari. interna e internazionale. oltre che sul suo sistema giudiziario. Non si serve Dio solo con le Ave Maria. nel segno di una rottura sempre più profonda tra giustizia e politica. sulle regole di controllo che si è data. la solidarietà si è trasformata in tripudio. Una strategia necessaria. di altari e di banche. lo hanno accolto al grido interminabile di «Giulio. del tutto incuranti della condanna a ventiquattro anni ancora in atto e dell'assoluzione per insufficienza di prove . Gli ex DO. Il popolo dei plurinquisiti. Il loro maggior timore è che l'immagine della DC possa venire ancora associata alla mafia. Non deve stupire che. i vari Gava. come quel bacio tra Andreotti e Totò Riina. il Cavaliere pensava soprattutto a se stesso: non si rivolgeva ai magistrati di Perugia ma a tutte le procure. i tribunali e le corti d'appello che lo stavano giudicando. dopo la condanna di Perugia. perché ha conseguenze politiche: ogni qualvolta il centro tenta di ricostituirsi accade qualcosa che cerca di impedirlo». per l'innocenza dei giudici perugini. secondo alcuni. Ma a maggio ha dichiarato trionfante: «Non si potrà associare alla DC il legame con la criminalità organizzata». venti o trent'anni fa. Un motivo procedurale che ha consentito al "processo del secolo" di svolgersi a briglia sciolta. in quest'aula sperduta nelle campagne umbre. Il presidente del Consiglio si è avvalso della facoltà di non rispondere: come ex indagato lo ha potuto fare. Andreotti non avrebbe commesso un simile errore. Una giusta cautela che è però divenuta regola costante. Nino Giuffrè. .nonché del riconoscimento da parte dei giudici della sussistenza di rapporti con i boss fino alla primavera '80. a novembre si era avventurato nel tentativo di dare una lettura politica della sentenza di Perugia: «Dico che quella nei confronti di Andreotti è una sentenza politica. più giovane leader campano. Un comportamento che esprime una più navigata capacità politica. avrebbe risposto senza nulla dire. ha reciso. i giudici palermitani che processano Marcello Dell'Utri si sono recati a Palazzo Chigi per chiedere ragione a Berlusconi delle origini delle sue fortune. La sentenza di colpevolezza è stata possibile. ed è uguale a quella di dieci. La condanna di Perugia certamente è stata un duro colpo per i sostenitori a oltranza dell'assurdità dell'accusa. trasformando la "precauzione del segreto" in "patologia del segreto". La mafia raccontata da Buscetta. sintomo di una degenerazione del sistema democratico. come ha sempre fatto. ma forse anche una diversa concezione dei rapporti tra poteri dello Stato. che all'epoca dei fatti svolgeva la sua attività nel distretto di Roma. all'inizio degli anni Novanta. All'indomani della sentenza di Perugia. Con Andreotti a Perugia era stato chiamato a rispondere dell'uccisione di Pecorelli anche il giudice Vitalone. sarebbe sgusciato tra le domande più insidiose. Il processo ad Andreotti non è stato il processo a un uomo del passato. dove sotto l'occhio allibito di magistrati abituati a discutere di rapine in tabaccheria sono stati rivangati agghiaccianti segreti di Stato. Qualcuno si chiederà come mai proprio il sette volte presidente sia finito nella tagliola della Corte d'Assise di un tribunale di provincia. In queste forti e contraddittorie reazioni a ogni decisione che riguarda Andreotti vanno cercati i molti legami fra il passato e il presente. Clemente Mastella. con la sua capacità di inquinamento della vita politica. Una continuità che neppure il traumatico ricambio della classe politica. Le reazioni di cui dicevamo nascondono una profonda sfiducia nei confronti della magistratura e la convinzione ancora più forte che la politica debba ignorare la palude della "storia segreta" e dei ricatti che ne conseguono. è la stessa che descrive l'ultimo pentito. L'atto di accusa Buscetta. conferma la sentenza. Una vittoria postuma. dopo il processo Andreotti. Don Masino amava gli abiti eleganti.per la loro lontananza da quei centri di potere che hanno sempre impedito l'accertamento della verità. ma senza poterlo smentire fino in fondo. ma per un "movente" politico: i boss non avevano alcun interesse a uccidere il giornalista se non quello di fare un favore all'allora presidente del Consiglio. E i "teoremi" di Don Masino sono usciti vincenti in ogni processo. secondo altri. autorevole. soprattutto i blazer blu. Per i suoi molteplici rapporti con uomini dell'intelligence. e noi vaglieremo tutte le piste alternative. Forse non è un caso che negli ultimi tempi. lei finirebbe in manicomio e io nella sezione psichiatrica di qualche penitenziario». Pecorelli. Il pentito era appena arrivato a Palermo dopo l'arresto a San Paolo del Brasile. riflessivo. aveva già subito l'uccisione di due figli e aveva tentato il suicidio. anche nel processo Andreotti che era certamente il più difficile. strettamente collegato alla vicenda Moro. il Maxiprocesso e l'ira dei boss All'inizio di tutta la storia c'è lui. I poliziotti scoprirono che era un uomo misurato. La cosa più importante è che il processo ad Andreotti è riuscito a dimostrare che si è trattato di un delitto di Stato. Decise di collaborare con la giustizia perché voleva vendicarsi e non aveva altro modo che questo. direttore di «OP». che nell'84 andò a prenderlo all'aeroporto di Ciampino prima di condurlo a Palermo da Giovanni Falcone. «Un uomo pieno di dignità». Buscetta. Vedremo più avanti come i giudici di Palermo non gli abbiano risparmiato critiche. come fosse ancora lì a potersi difendere e contrattaccare. Ma odiava gli orologi costosi e tutti gli inequivocabili segni di . prima di ogni apparizione in aula curava con molta attenzione il suo aspetto. distruggendo la sua carriera. secondo l'accusa nel 79 stava per pubblicare ampi stralci del Memoriale Moro che avrebbero dimostrato la collusione di Andreotti con ambienti mafiosi e servizi segreti deviati. lo definì Gianni De Gennaro. si siano fatti significativi passi avanti nell'accertamento della verità sul più grave delitto politico compiuto in Italia. l'attuale capo della Polizia. In realtà resta una storia unica: il reato di mafia e quello di omicidio non sono fatti a sé stanti. perché il pentito di mafia è ormai morto da quasi tre anni. l'altro nell'aula bunker di Capanne. come avevamo sempre pensato. è stata la loro impreparazione a giudicare vicende processuali tanto complesse. Era stato Buscetta nell'84 a mettere in guardia il giudice Falcone: «Non posso raccontare quello che io so perché ci prenderebbero per pazzi. Per questo Pecorelli è stato ucciso da uomini di Cosa Nostra. Certamente è stato un danno che la storia di Andreotti sia stata spezzata in due: un pezzo a Palermo. benché l'odio che tuttora suscita in alcuni ambienti è tale che qualcuno non se ne ricorda e gli rivolge insulti e giudizi sprezzanti. Pecorelli era in realtà in possesso anche di altri documenti segretissimi. sia a Palermo che a Perugia. reso possibile soltanto grazie alle accuse di Buscetta. Anche i giudici che hanno assolto Andreotti. però possiamo far arrestare un sacco di gente». poi condannati all'ergastolo e tuttora in carcere. Giovanni Falcone rimase conquistato dalla sua serietà. per molti mesi parlarono soltanto di mafia: insieme riuscirono a far arrestare più di quattrocento boss. La scelta che ne seguì fu quella di perseguire soltanto il "braccio armato": i trafficanti di droga. Negli anni Ottanta aveva lasciato in sospeso un "capitolo" delle sue confessioni rifiutando di parlare dei rapporti tra mafia e politica. i boss sanguinari. nel '92. disse di lui un esperto dell'FBI. Buscetta abbia deciso di andare fino in fondo: è tornato in Italia e ha raccontato quello che non aveva avuto il coraggio di dire al suo "amico" giudice. Preferiva sfoggiare belle donne. E così è stato. Masino si disse convinto che l'omicidio del luogotenente di Andreotti in Sicilia facesse parte dello stesso oscuro piano che stava travolgendo gli equilibri su cui si reggevano gli antichi patti tra le cosche e il potere politico. non hanno messo in dubbio la veridicità delle sue . pochi mesi dopo le stragi in cui erano morti Falcone e Borsellino il pentito tornò in Italia con il dichiarato intento di rendere giustizia ai magistrati uccisi dalla mafia. Così Andreotti è finito sotto processo e dieci anni dopo è stato condannato. diceva ai suoi compagni di ventura. senza altri debiti da scontare con la giustizia italiana. L'uccisione di Salvo Lima.ricchezza che i boss amano sfoggiare: «Butta quel Rolex. Il Maxiprocesso fu il primo processo alla mafia. aveva preceduto di due mesi la bomba di Capaci. i killer. luogotenente di Andreotti e capo della corrente politica più potente della DC siciliana. Scrivono i giudici di Perugia nella sentenza di condanna che l'«insuperabile valenza probatoria di Buscetta» ha consentito di accertare la verità confermata nel corso del processo da prove e «testimoni attendibili». Non deve perciò stupire che otto anni dopo. i tempi non sono maturi. Al suo arrivò annunciò: «Credo che sia venuto il momento di dire tutto quello che so. quando Falcone è saltato in aria sull'autostrada a Capaci. alla fine dell'estate del 1992. Il giudice gli aveva dato ascolto quando Masino aveva proposto: «Per parlare di politica. le regole dell'omertà che fino a quel momento avevano impedito di penetrare i segreti dell'organizzazione mafiosa. non macchine potenti. ce l'hanno tutti i commessi viaggiatori». lo Stato italiano sta dimostrando di avere coraggio». che era anche il primo boss ad aver rotto il patto del silenzio. Era cominciata una fase di destabilizzazione che gli consentiva di alzare finalmente il velo sui retroscena di cui era a conoscenza: sapeva che stavolta gli avrebbero creduto. Aveva carisma: se non fosse stato un boss avrebbe potuto fare il generale o il grande manager. Ormai libero cittadino residente negli USA. esplose all'indomani della sentenza definitiva in Cassazione.a raccontare che Riina. gli faceva pervenire «le sue richieste per tutte le questioni che i boss ritenevano potessero essere risolte a Roma». Non per l'arresto di persone che in un modo o nell'altro potevano far riferimento a lui: come altri scandali anche questo gli era scivolato addosso. Erano questioni giudiziarie. aveva preso le distanze da Cosa Nostra per ricostruirsi una verginità politica . non aveva garantito nulla. Un favore che l'allora presidente del Consiglio aveva chiesto ai Salvo perché il giornalista minacciava la pubblicazione di documenti relativi al caso Moro che potevano distruggere la sua carriera e destabilizzare il sistema di potere.di questo almeno erano convinti i boss. I cugini avevano girato la richiesta ai capi militari di Cosa Nostra. di cui era allora presidente Luciano Violante: fu in quell'occasione che a microfoni spenti.». come l'ha sempre chiamato: ha centellinato le rivelazioni. i guai di Andreotti sono cominciati proprio in quel momento.che in circostanze diverse. Andreotti. '"o Curto" all'indomani della maxisentenza si aggirava come un leone in gabbia dicendo: «È cusì che starno camminati. ma usando un'identica. si lamentava Totò Riina nel gennaio '92. Passo dopo passo. visto che aspirava a divenire capo dello Stato. Anzi. Buscetta aveva consentito a Falcone di istruire il Maxiprocesso senza parlare dei rapporti tra mafia e politica. Stefano Bontate e Tano Badalamenti. «andavano aggiustati». Buscetta raccontò di essere stato molto amico di Salvo Lima e confermò che la corrente andreottiana aveva l'appoggio e i voti di Cosa Nostra. c'era stato un segnale: il sostituto procuratore generale della . per usare una sua espressione. Il problema vero era che la mafia non aveva mandato giù tutti quegli ergastoli. a un'ultima domanda. In una prima fase ha parlato di un'«entità». fece per la prima volta il nome del senatore. Un termine che ribadì alla Commissione Parlamentare sulla Mafia. Buscetta sosteneva cose gravissime: Andreotti era il referente romano di Cosa Nostra che. covata per anni sotto le ceneri. alla fine ha rivelato che anche l'uccisione del giornalista Pecorelli era stata voluta da Andreotti. Se va stabilita una data. Anni dopo. «E pure quel cornuto di Lima ci ha fatto le scarpe». le hanno semmai considerate insufficienti per una condanna. è stato il nuovo pentito Nino Giuffrè. il 9 agosto '91. Don Masino è stato cauto nell'accusare "il Presidente". è andato per gradi. Nell'estate precedente. attraverso i cugini Nino e Ignazio Salvo. Ma l'inchiesta penale coinvolse anche il livello superiore dell'organizzazione criminale: con l'arresto dei cugini Salvo e di Ciancimino erano stati sfiorati i piani alti di Cosa Nostra. in prevalenza.affermazioni. L'ira di Cosa Nostra. gli avrebbero confidato: «'U ficimu nuatri Pecorelli». inequivocabile espressione in dialetto. braccio destro di Bernardo Provenzano.. i potenti esattori siciliani di Salemi. il garante. processi che approdavano in Cassazione e che. fu assassinato vicino a Reggio Calabria dove.. organizzate e compiute soltanto da Cosa Nostra. i pentiti di mafia non hanno saputo dare indicazioni precise. Furono ancora più severi di quanto sarebbe stato lui. aveva stretto rapporti in carcere. c'è un piano unico per l'uccisione di Lima e le stragi. E così è stato: il 31 gennaio 1992 la Suprema Corte. mai fino in fondo affrontato dal processo di Palermo. quello del PM Scopelliti. ordinato dal capo di Cosa Nostra all'insaputa del vertice ufficiale della "Commissione". ma da una mente "intelligente" che andava preordinando quel piano di destabilizzazione politica che sarebbe culminato nelle stragi e nell'incriminazione di Andreotti. L'uccisione di Scopelliti doveva impedire che il Maxiprocesso finisse nelle mani di presidenti "garantisti". I magistrati ritengono che quelle stragi non possano essere state ideate. ad esempio. era tornato per le vacanze. cioè dai boss della 'ndrangheta con cui Totò Riina. in un clima di grande emozione per l'uccisione del procuratore generale. lui calabrese. «La dottoressa Boccassini si guardi intorno e scoprirà delle belle cose». Forse fu un omicidio "personale". Il ragionamento di Masino era più o meno questo: non era soltanto Cosa Nostra a voler impedire la nomina di Andreotti a capo dello Stato. cosa realmente stava succedendo in Italia a partire dall'uccisione di Lima: «Vedo altre cose. da tempo ha aperto un fascicolo che riguarda l'ipotesi di possibili mandanti esterni alla mafia. Forse era stato gestito dai "bulgari". colpito da . La rappresaglia mafiosa è stata esemplare nella sua escalation. per innescare la miccia che avrebbe inevitabilmente provocato l'esplosione. E Buscetta è stato tra i pochi a capire. Ma non basta la rabbia per le condanne a spiegare le stragi di Palermo. Se c'è stato un complotto contro Andreotti. che stava istruendo il ricorso per il Maxiprocesso. Antonino Scopelliti.Cassazione. bisogna analizzare questo nodo irrisolto. Il 12 marzo 1992. ha accolto le richieste di un pool di alti magistrati che avevano sostituito il collega ucciso. Dal cancello di una villa stava uscendo un uomo con un'aureola di capelli bianchi. dietro queste cose. Ma qualcuno avanza un dubbio: il delitto del procuratore generale potrebbe non essere stato ordinato dalla mafia. con la rapidità di chi conosce uomini e retroscena. Ma di più non ha saputo o voluto dire. Da Lima alle stragi: non solo mafia Le accuse di Buscetta sono all'origine del processo. negli anni Settanta.. La Procura di Caltanissetta. in una mattinata di sole sbucò dal nulla una moto con due sicari a volto coperto. qualcosa di molto più importante della risposta giudiziaria». Era un segnale: Cosa Nostra non avrebbe tollerato lo schiaffo di una condanna definitiva. da trent'anni deus ex machina di tutte le alchimie elettorali e politiche di Palermo: Lima cadde a terra in una manciata di secondi. che indaga su Capaci e via d'Amelio. a Mondello. anche loro convinti che l'omicidio del PG fosse oscuramente legato al Maxiprocesso. la protostoria. Fu un delitto per molti aspetti anomalo. . Se l'omicidio Scopelliti aveva avviato un piano che doveva innescare la rivolta di Cosa Nostra. tornò a dire: «Su Lima ci sono sempre state dicerie.». Il 25 settembre. per portare allo scoperto nel modo più traumatico la "rottura" dei patti tra Andreotti e le cosche. Certo non prevedeva che lui stesso sarebbe rimasto sepolto dalle macerie. Pochi giorni prima della strage di Capaci incontrai in un ristorante di Palermo il suo caposcorta. Pallido come un cencio. Andreotti lanciò un segnale: «Chi vuole colpire me. ma il senatore rimase ancora una volta impassibile: «Non so perché vada ignorata la positiva notizia che sono stati arrestati i responsabili dell'omicidio per dare spazio a illazioni e dicerie». dice che può succedere di tutto. La bufera si stava addensando sulla sua testa. sembra che Falcone. nel mese di aprile..numerosi colpi sparati a distanza ravvicinata. un bel ragazzo di trentadue anni. pieno di vita. Peggio ancora. sia volato negli USA per incontrarsi in una località segreta con Buscetta. che da un momento . che un terremoto senza precedenti era alle porte. questo era perfettamente riuscito. adorno di bracciali e di tatuaggi. Antonio Montinaro. Nino era morto ormai da un paio d'amai: Ignazio era l'ultimo anello del patto tradito.. a cadere sotto il piombo di una calibro 38 fu Ignazio Salvo. il 23 maggio. Giovanni Falcone saltò in aria a Capaci. allora direttore degli Affari Penali del ministero della Giustizia. di cui Andreotti sosteneva di non aver mai avuto notizia. uno dei poliziotti della Mobile di cui il giudice si fidava ciecamente. di fronte alla bara del suo capocorrente in Sicilia. i pentiti parlando di Lima svelarono anche il suo ruolo di contatto tra la mafia e il referente romano. Il giudice era rimasto profondamente turbato dalla morte di Lima e intuiva. anche se non aveva chiavi di lettura sufficienti per comprendere i dettagli. quando le indagini portarono ad arrestare quattro presunti sicari. Cinquanta giorni dopo. Il volto di Montinaro si rabbuiò: «E preoccupato. di cui non si è mai avuta conferma ufficiale. È una voce a lungo circolata. che con lui aveva istruito il Maxiprocesso. ma io non ho mai avuto alcuna conferma dei suoi rapporti con la mafia.. Il 19 luglio Paolo Borsellino. Il problema era che proprio le indagini sull'omicidio Lima avevano portato alla luce quelle "prove" sulla mafiosità del capocorrente siciliano. C'era davvero stato quell'incontro segreto tra Falcone e Don Masino? Mi rispose con un sorriso malizioso: «E chi lo sa?! Non è che ci racconta tutto. Anzi. Allora gli chiesi cosa pensava il giudice dell'omicidio Lima. devo dire che era tra i più inflessibili nel sostenere provvedimenti rigorosi». venne disintegrato da un'autobomba esplosa in via D'Amelio sotto l'abitazione della madre. nella sua villa vicino a Palermo. lo faccia direttamente». investito da una terrificante esplosione che squarciò il tratto d'autostrada che congiunge Palermo all'aeroporto di Punta Raisi. cioè lui. Poi nel corso dei mesi successivi ritrovò l'abituale fermezza e a ottobre. Tra l'uccisione di Lima e le stragi. ha precisato l'avvocato americano. non poteva restarsene in disparte. che mimava la possibile esplosione. dei rapporti tra il Presidente e la mafia. Ma è stato l'incontro con Yattorney che ha indotto la difesa di Andreotti ad avanzare dubbi sul fatto che il ritorno di Buscetta potesse essere stato pilotato. ritengo che il pentito non fosse uomo da sottrarsi all'appuntamento fissato dal destino: era stato lui l'artefice di quel dramma. Cosa si siano detti Falcone e Buscetta. in un'aula di giustizia del carcere di Padova. spiegò. che senza questa testimonianza sarebbe sfumato nella leggenda. Anche l'agente dell'i-'BI Antony Petrucci ha raccontato in aula. accompagnato da un sibilo. mentre si accingeva a fare per la prima volta il nome di Andreotti. lo Spedai Altorney amico di Falcone che. All'origine c'era la rottura del "patto" con Andreotti. Dopo le stragi fu incaricato dalla Procura Distrettuale di Manhattan di collaborare alle indagini sui gravissimi attentati compiuti in Italia dalla mafia. dopo un periodo trascorso presso l'ambasciata USA a Roma. Me lo ha detto l'ultima volta che è sceso a Palermo». negli USA. aggiungendo che Masino. forse poteva dargli una mano a capire quello che stava succedendo. Ma è probabile che Don Masino gli abbia finalmente confidato quello che non aveva avuto il coraggio di dirgli nell'84. «Buscetta pensava che l'omicidio Lima e le stragi facessero parte di un unico piano». per guidare la sua 127. Toccava a lui scrivere l'ultimo capitolo. Buscetta chiese che venisse tolto il paravento che lo proteggeva dai fotografi. come se la cosa non lo riguardasse. dove il Tribunale di Palermo si era trasferito per motivi di sicurezza. E fece un gesto con la mano. per rispetto a lui e a ciò che rappresentava. come spesso faceva a ogni ritorno a casa. quando i magistrati si recarono negli USA per interrogarlo. con maggiori particolari rispetto a Martin. Anche Martin pensò a Buscetta: lo conosceva dai tempi del processo Pizza Connection. C'è un testimone importante però: Richard Martin. non lo sapremo mai: tutti e due sono morti. Montinaro il 23 maggio era alla guida dell'auto in cui Falcone aveva deciso di non salire. Al di là di ogni possibile scenario "segreto". ha spiegato Yattorney ai giudici di Palermo il 17 luglio del '96. Il corteo era composto da tre vetture. quello che il pentito gli aveva confidato in data non sospetta. Le accuse che stava per rivolgere ad Andreotti. il caposcorta era in testa: è stato il primo a essere investito dall'esplosione. Un paio di anni dopo. potevano essere fatte soltanto a viso aperto. La sua tesi consisteva nell'idea che l'omicidio era stato compiuto per danneggiare l'immagine di . se davvero si sono incontrati. gliene aveva già parlato nell'85: «Ma fu solo un accenno».all'altro anche noi possiamo saltare in aria. era tornato in quei mesi a New York. Un accenno sufficiente a convalidare quel colloquio avvenuto tanti anni prima tra Buscetta e Falcone. per quell'errore di una frazione di secondo compiuta dai killer. così come ora non è una mia sconfitta se lo hanno assolto [. i processi sono visti come una persecuzione [.. ma il suo "difetto" non gli aveva impedito di diventare amico di uomini potenti.]. a volte arrivano in momenti diversi rispetto alla testimonianza. accennò al "piano" di Cosa Nostra: «Fui incaricato da Totò Riina di uccidere Ignazio Salvo. Anche Giovanni Brusca. da morto significava denigrare la corrente andreottiana e cioè Andreotti». io ho solo detto quello che mi hanno raccontato. poi una persona leale. ucciderlo rendeva pubblico quel legame. Buscetta aveva commentato l'assoluzione di Andreotti: Non è stata una mia sconfitta. La mia non è stata una disputa con lui.]. E l'obiettivo. il killer che a Capaci aveva premuto il pulsante facendo deflagrare mezza tonnellata di esplosivo. Bisogna fare una premessa. gli rimproveravano di aver avuto troppe mogli e troppi figli.. dal '93 a oggi ho sempre ripetuto la stessa cosa senza neppure cambiare una virgola. Una frase difficile da spiegare a chi non è in grado di capire immediatamente il linguaggio mafioso e il contesto storico-politico cui Masino si riferisce. tutto il resto è la descrizione di un contesto all'interno del quale quelle accuse trovano una collocazione. per distruggere la sua carriera politica. I boss in quegli anni erano moralisti. nell'84 ho preso un impegno con lo Stato e l'ho mantenuto. ha perfino chiamato Kissinger a testimoniare. e di avere .. Andreotti ha recuperato un suo spazio e un suo ruolo politico. se Andreotti fosse stato condannato non sarebbe una mia vittoria. Io sono stato prima un «teste guidato». In cuor mio sono tranquillo. mi disse. ho sempre rispettato la giustizia e i suoi tempi.Andreotti: «Lima era il lato democratico-cristiano a Palermo. come hanno raccontato tutti i pentiti. era impedire che Andreotti divenisse presidente della Repubblica.. [Il processo] è diventato una questione di cui c'è perfino imbarazzo a parlare. I processi sono lunghi. A me questo non fa né caldo né freddo [. come Lima e i cugini Salvo. «con Lima e le stragi l'obiettivo era stato raggiunto».. L'intreccio Pecorella Dalla Chiesa La prima volta che Buscetta raccontò dell'omicidio Pecorelli era il 26 novembre 1992. Masino era un soldato semplice. Oggi leggo che sono uno «che ha fatto tanti guai». Nella sua ultima intervista. Adesso se n'è dimenticato.]. E di pari passo è mutato anche l'atteggiamento del senatore nei miei confronti.. All'inizio lui si è lamentato di accuse che venivano da oltreoceano. Io vorrei essere ricordato come una persona per bene. nel momento stesso in cui veniva spezzato. ha parlato di un complotto americano. non aveva fatto carriera dentro Cosa Nostra per un fatto che può sembrare strano: gli piacevano troppo le donne. Il più grave atto d'accusa nei confronti di Andreotti è riassunto in tre o quattro paginette di verbali. E come se avesse detto: tutti sapevano che Lima era un canale tra la mafia e Andreotti. Ora il clima è cambiato. ma non c'era fretta». Il "Principe" di Villa Grazia e il "Vaccaro" di Cinisi. uomini che in quegli anni rappresentavano le due anime di Cosa Nostra. Per questo era in grado di dialogare alla pari con i capi di Cosa Nostra e veniva messo a parte di segreti gravi e importanti.l'uomo di mondo e il viddano. spiegò Buscetta. la traduzione la farete voi: «'U ficimu nuatri. la Cosa Nostra. Pecorelli il giornalista. Il PM Cardella cerca di saperne di più: CARDELLA: Noi chi. CARDELLA: Ma dopo che lei aveva equivocato con questo Pecorella. Quel «noi» si riferiva chiaramente a un omicidio personale dei due. non la "Commissione". CARDELLA: Di quali documenti si trattava glielo disse? BUSCETTA: Secondo lui erano documenti segreti che . E in sintesi Buscetta ha detto: Una prima. essenziale: «Pecorelli e Dalla Chiesa sono cose che s'intrecciano». Due anni dopo. Erano stati discorsi occasionali. Bisogna capire il linguaggio. Bontate non è uomo che viene a Roma a sparare a Pecorelli. Mi disse Bontate: «Anche l'omicidio Pecorelli l'abbiamo fatto noi perché ce l'hanno chiesto i Salvo». E anche lui mi spiegò che l'omicidio Pecorelli era "cosa nostra"». Una tesi che il giudice Verrina ha fatto propria. non deliberato dalla "Commissione". Del giornalista ucciso a Roma gli avevano parlato in circostanze diverse sia Stefano Bontate che Gaetano Badalamenti. avvenuti a distanza di un paio di anni. Badalamenti cosa disse? BUSCETTA: Si mise a ridere e mi disse. lo può dire ad altre cinquemila persone. Badalamenti mi disse che quell'omicidio c'interessava ad Andreotti e l'abbiamo fatto noi tramite la richiesta dei cugini Salvo».volta mi raccontò di questo fatto nel 1980 a Palermo Stefano Bontate. anche se non ricopriva alcun incarico di rilievo nell'organizzazione. un picciotto assassinato insieme al figlio di Inzerillo. che aveva documenti scottanti che voleva pubblicare. il fatto del giornalista che voleva arrecare dei disturbi al Presidente. cioè Badalamenti e Stefano Bontate. Nino e Ignazio. Buscetta si trovava a Rio de Janeiro in compagnia di Badalamenti quando la televisione diede la notizia dell'uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: «Badalamenti mi disse: lo hanno fatto per fare un favore ad Andreotti.. i Salvo ce l'hanno chiesto perché disturbava politicamente». io e Stefano». ma non poteva trattarsi di menzogne. Durante una conversazione a Fondo Magliocco il discorso cadde sui cugini Salvo. Ma lui si mise a ridere: «Che hai capito.rapporti anche con boss italoamericani:insomma le sue quotazioni erano di molto superiori al ruolo gerarchico. In un primo momento avevo pensato che parlasse di Pecorella. Posso citare la parola che mi fu detta. Le regole rigide di Cosa Nostra impediscono che un uomo d'onore menta a un altro uomo d'onore. ci scusi? BUSCETTA: Io.. E aveva aggiunto: «Il giornalista stava appurando porcherie politiche. segreti che anche Dalla Chiesa conosceva. il 3 settembre 1982. Nell'aula bunker di Padova esordì con una frase breve. bisogna trovare un contatto e fare in modo che sia rivendicato dai terroristi». ma deve apparire un omicidio fatto dalle Brigate Rosse. BUSCETTA: Ma c'era una grande confusione. nel famoso incontro con Bontate del 1980. Il boss di Cosa Nostra fornì una risposta generica: «Sembra che Dalla Chiesa voglia fare un colpo. non sapendo quali potessero essere gli sviluppi di tale fatto. di bobine non so. Fu l'unica spiegazione che Don Masino riuscì a ottenere. anche nel destino che la sorte gli ha riservato.il giornalista. Masino non si dilungava mai in dettagli. pur essendo tutti convinti della loro esistenza. ben 1520 pagine. il discorso dopo la rivelazione su Pecorelli si estese anche a Dalla Chiesa. uno dei brigatisti che faceva parte del Comitato esecutivo delle BR durante il sequestro Moro. detenuto nello stesso carcere. i discorsi si accavallavano. ma non era in grado di ricordare con esattezza in quale occasione. con una sola aggiunta: «Non era un delitto che interessava Cosa Nostra». ma volevano saperne di più: Buscetta non era stato in grado di soddisfare la loro richiesta. Il generale fu ucciso a Palermo il 3 settembre 1982. Racconta ancora Buscetta che nel 79.. documenti certo. Quando uscì dal carcere. so di documenti con certezza. Ma la sua morte era stata decisa già tre anni prima.». Le bobine del sequestro Moro.... ed è quello che lo ha sempre salvato dalle contestazioni della difesa. COPPI: Erano documenti o bobine. Il discorso quella sera a Rio de Janeiro si estese: «Tano mi rivelò anche che Calò era dentro fino al collo nel delitto Calvi». Don Masino riuscì a parlarne con Lauro Azzolini. Azzolini rifiutò la proposta: «Noi rivendichiamo gli omicidi soltanto quando almeno uno di noi vi partecipa». mentre si trovava nel carcere di Cuneo. Era lui che dettava le regole della sua attendibilità. che poteva darli o li aveva dati a Pecorelli. Le Brigate Rosse erano interessate all'uccisione del generale. credibili. Cardella: In quale circostanza si parlò del generale Dalla Chiesa? BUSCETTA: Il generale Dalla Chiesa era quello che aveva i documenti segreti. . mettersi a capo dello Stato italiano. e cioè Andreotti. Bontate e Badalamenti non mi possono aver mentito quando mi hanno fatto il nome dei Salvo e sono convinto che i Salvo non si sarebbero mai permessi di commettere un omicidio del genere senza informare l'interessato. Pecorelli e Dalla Chiesa sono «cose che si intrecciano». Stefano Bontate gli aveva fatto arrivare questa richiesta: «Bisogna uccidere il generale. le bobine secondo Badalamenti. Le motivazioni: Perugia Il movente del delitto Pecorelli La motivazione della sentenza di Perugia è un "mattone" di 367 pagine..riguardavano Moro. come questa: Tra uomini d'onore c'è l'obbligo di dire la verità. Un mattoncino se paragonata a quella di Palermo. Forse Buscetta ne aveva sentito parlare. ma erano regole logiche. non sono mai state trovate. Aw.. tale da dover essere annullata dalla Cassazione e chiudere in modo pirandelliano l'Andreotti-story. imprecisa e confusa per i giudici di Palermo. nel clima di quegli anni e nelle vicissitudini siciliane del protagonista. possa essere discussa. secondo i giudici da credito alla tesi che siano stati veramente Bontate e Badalamenti a organizzare l'omicidio Pecorelli. cioè volutamente erronea.dopo un'esplicita richiesta dei cugini Salvo. La legge non è una scienza esatta e non c'è nulla di più imperscrutabile del «libero convincimento di un giudice». soprattutto in un processo indiziario come questo. E così una "catena probatoria" si conclude da un fatto probatorio a un altro. derivi da un intreccio di eventi all'interno dei quali è compito del giudice trovare la verità. Quello che il giudice deve valutare è la prova non l'ipotesi. al pari di altre sentenze su vicende come questa molto complicate. senza averla mai letta. fatta per conto di un "interesse" manifestato da Andreotti.Alcuni analisti l'hanno stroncata. L'oggetto di maggior contrasto è proprio l'attendibilità di Buscetta. fino al definitivo tema di prova. Dopo averla letta con attenzione penso che la sentenza di Perugia. «ondivaga e contraddittoria» per gli avvocati della difesa. ma non demolita. o se l'accusa abbia un suo qualche fondamento nei tragici eventi che costellano il delitto Moro. sulla base di pochi flash d'agenzia. a mettere in discussione l'operato di Falcone. per «mancanza e manifesta illogicità della motivazione» e per «inosservanza di norme processuali». Ma non è forse la probabilità dell'ipotesi dipendente dalla forza della prova? lifactum probans può essere definito. «fatto probatorio». invece. la «cui valenza è insormontabile» per i giudici di Perugia. ad avviso di questa Corte. Qualche commentatore ha perfino ipotizzato che possa trattarsi di una sentenza "suicida". Noi cercheremo di districarci nelle complicate argomentazioni delle parti per capire se davvero c'è stato un "complotto giudiziario" nei confronti di Andreotti. per molti magistrati. Dal momento che non esistono testimoni (e difficilmente . cioè un evento che ha un valore di prova per il faclum probandum che può essere considerato il "tema della prova". cioè un fatto da cui discende una conseguenza giuridica a norma di legge. Tutto questo fa parte della dialettica processuale. Ma delegittimare Buscetta equivale. dimostrata dal contributo dato dal pentito in tutti i processi contro la mafia. la tentazione cui non è riuscita a sottrarsi la difesa di Andreotti. anche criticata. L'attendibilità di Buscetta. La tesi dei giudici perugini è che la colpevolezza di Andreotti. come sembra sostenere il senatore dopo la condanna. Ed è stata questa. non potendo essere dimostrata a distanza di tanto tempo e per la particolare personalità dell'imputato da una "prova" certa. che deve costituire un «fatto giuridico». che in un ricorso di 431 pagine stronca senza pietà la decisione della Corte d'Assise d'Appello di Perugia chiedendone la nullità «per erronea valutazione della legge penale». La conferma indiretta è che fatti successivi alla morte di Pecorelli hanno confermato la validità delle sue "premonizioni": tra queste c'è la previsione che Dalla Chiesa sarebbe stato ucciso. da mettere a repentaglio non soltanto la carriera di Andreotti. quindi è possibile sia che si trattasse di scritti provenienti da Aldo Moro. Almeno non in questo caso. «non risulta che la copia manoscritta emersa nel '90 abbia in realtà devastato la carriera di Andreotti». Il primo dei facta probantia esibiti dalla Corte è che . La parola dei pentiti da sola non basta. spiega la Corte. E a pagina 293 concludono che «nulla si sa del contenuto dei documenti consegnati da Dalla Chiesa a Pecorelli». perché si tenta di eludere la questione che ci sono scritti di Moro mai ritrovati. non è importante . Ma poi incredibilmente affermano che «il contenuto degli stessi è rimasto ignoto. il Memoriale di Aldo Moro era tale. in tutto o in parte. nel ricorso in Cassazione dichiarano illogica questa ricostruzione: Il movente del delitto consisterebbe nella preoccupazione del senatore che il giornalista potesse pubblicare documenti relativi al sequestro e all'assassinio di Aldo Moro. sostiene la difesa. dal momento che la richiesta certamente c'è stata e "non può non esserci stata". al punto che il PCI avrebbe potuto trarne vantaggio e realizzare il temuto "sorpasso" elettorale nei confronti della DC. Quest'ultima affermazione è in realtà contraddetta da molte testimonianze sulla sparizione di un dossier dalla tipografia la sera del delitto.sapere quale forma questa abbia assunto (non escludendo "almeno" il tacito consenso). afferma la Corte. non lascia segni del suo DNA sul luogo del delitto. Anche Pecorelli è stato ucciso dalla mafia.potrebbero esserci) della richiesta nsi YaAVà da Andreotti ai Salvo. Nel caso si sia trattato del Memoriale. né che intendesse pubblicarli. l'insormontabile" attendibilità di Masino Un mandante non usa la pistola. né in che modo . trattandosi di un delitto di altissimo livello che nessuno si sarebbe arrogato di compiere senza il consenso dell'interessato.se lo avesse fatto . documenti che avrebbero potuto avere effetti devastanti sulla sua carriera.sostiene la Corte . sia che si trattasse di atti provenienti da fonte diversa ma comunque attinenti al caso Moro». perché la mafia non aveva alcun interesse a ucciderlo. ipotizzano gli avvocati. ma i difficili equilibri politici di quel periodo. «da documenti di cui non si sa nulla. né può essere intercettato telefonicamente mentre impartisce l'ordine di uccidere. Qual è questo movente? La minaccia che il giornalista pubblicasse. Giulia Bongiorno e Franco Coppi. come poi è realmente avvenuto. non è neppure certo che il giornalista ne fosse in possesso.avrebbero potuto "devastare" la carriera di Andreotti». Il movente sarebbe costituito da un oggetto ignoto. eppure la Corte d'Assise d'Appello di Perugia ritiene di aver trovato prove certe che inchiodano Andreotti al ruolo di "mandante politico" dell'omicidio Pecorelli. non sapeva neppure chi fosse. Gli avvocati di Andreotti. ma per un "movente" politico. Un capitolo controverso. considerati gli stretti rapporti di amicizia che intercorrevano tra Buscetta e i Salvo.. essendo di Buscetta. venuto evidentemente a conoscenza del programma omicida. Non può essere accettabile l'ipotesi che due esponenti mafiosi di tale rilevanza abbiano mentito.]. equivalgono a verità».. anzi lo sia sempre stato. afferma la Corte d'Appello. visto che i giudici di primo grado per poter assolvere Andreotti sono dovuti ricorrere a un escamotage. ovvero sostenere che fossero stati Bontate e Badalamenti a mentire a don Masino rivelando l'«interesse di Andreotti alla morte di Pecorelli». ma non ne avevano tratto le debite conseguenze.. . Motivano i giudici. mandando in frantumi l'emblema dell'omertà. Una decina di pagine vengono poi dedicate al "consenso tacito" che avrebbe dovuto essere oggetto di prova. anzi avevano molti motivi per dire la verità: I primi giudici hanno riconosciuto che Buscetta aveva detto la verità. Se non ci fosse stato Buscetta tutti i mafiosi sarebbero ancora in libertà.. Sbagliano.Buscetta sia attendibile. Anche in questo processo Buscetta lancia un forassimo allarme. un periodo di poco successivo al colloquio su Pecorelli.. avrebbe dovuto impedirlo: non avendolo fatto diviene responsabile a titolo di consenso tacito». Non esiste alcuna plausibile ragione per non prendere nella debita considerazione le sue dichiarazioni a meno che non ci si rassegni all'idea che in Italia mafia. Egli ha consentito di potare l'albero mafioso dei suoi rami più compromessi. e che invece viene dato per scontato: «Non essendo più Andreotti l'ideatore del progetto criminoso e l'istigatore dell'altrui condotta esecutiva. che Bontate rischiava di essere facilmente sbugiardato. che gli aveva addirittura messo a disposizione il proprio aereo per andare a prendere la moglie: Bontate si sarebbe ben guardato dal fare "pettegolezzi" di tale gravita. malaffare. Non è ipotizzabile la violazione di tale obbligo per mero desiderio di vantare un'amicizia in un complesso di situazioni e rapporti che avrebbe reso la menzogna inutile. Masino era ospite in casa di Ignazio Salvo. sine una ratione.]. dannosa e pericolosa. perché Bontate e Badalamenti non possono aver mentito. confessando un delitto commesso da altri [. avendo affermato sic et sem-pliciter che si può dubitare che a Buscetta sia stato riferito il vero [.. Nel Natale del 1980. Uno dei passaggi forti della sentenza è il richiamo ai valori che sottende il riconoscimento dell'attendibilità di Buscetta: Molti sono gli omicidi sui quali il «superpentito di mafia» ha fatto piena luce. ma per la Corte le congetture.] la violazione dell'obbligo di dire la verità è sanzionata in Cosa Nostra con la morte. Il credito "senza riscontro" che viene attribuito a Buscetta è proprio quello che gli avvocati contestano con maggior vigore: «Lo stesso Buscetta ha detto che si trattava di sue congetture l'idea che l'omicidio potesse essere stato chiesto da Andreotti. molti i provvedimenti restrittivi che ne sono derivati [. inoltre. costume politico sono destinati a restare una costante. Proprio mentre riflettevo su questa storia del "tacito consenso". proprio come nel lontano '82 il boss di Cinisi aveva rivelato a Masino.. l'Italia in tasca si vuole mettere.. Riguarda la testimonianza di Angelo Siino. La conversazione riguardava il sistema degli appalti.. ma. molto significativa per capire la valenza del linguaggio mafioso.». bisogna tener conto del linguaggio. Per i giudici. Ma è anche vero che nei processi di mafia. da un testimone assolutamente attendibile.I motivi addotti dalla difesa sono tutt'altro che trascurabili: del resto sono gli stessi per i quali Andreotti è stato assolto in primo grado. in cui Badalamenti gli rivelò una circostanza. Racconta Siino di aver assistito a un colloquio tra Salvo Lima e Ignazio Salvo. per poter supplire alle difficoltà poste da un'organizzazione protetta dal vincolo dell'omertà.. E ce n'è anche un terzo: la conferma che il giornalista e il generale fossero davvero a caccia del Memoriale è stata portata nel corso del processo. Dice Siino che un brivido gli percorse la schiena: «Ma è pazzo. ma che hanno retto al vaglio del Maxiprocesso e di tutti gli altri processi a carico di mafiosi. gli sta dicendo che lo devono ammazzare. Nel corso del dibattimento Buscetta ha più volte affermato: «Per capire queste cose. Non potremo mai sapere come siano andati i fatti. i comportamenti criminali degli imputati mafiosi vengono letti e interpretati anche in considerazione delle regole interne della medesima organizzazione: "regole" che è stato proprio Buscetta a descrivere e che sono all'origine di quei "teoremi". e che vent'anni di indagini hanno sempre escluso un movente privato o "minimo". avevano stabilito un "contatto" informativo attorno ai documenti Moro. mi è capitato di rileggere alcuni atti del processo di Capaci. ovvero dal .». Lamentele che non potevano restare senza conseguenze: se si voleva che il giornalista non fosse ucciso. la catena di comando attraverso la quale è stato trasmesso Il libro mero della Prima Repubblica non poteva lasciare dubbi sul significato da attribuire alle lamentele "espresse" nei confronti del giornalista ai cugini Salvo. com'è stato ucciso anche Dalla Chiesa. se il mandato di uccidere c'è stato. nel '94. all'epoca da tutti ignorata.». motivi che un tempo si configuravano come insufficienza di prove. e che soltanto nel corso di questo processo è stata accertata come vera: Dalla Chiesa e Pecorelli si frequentavano. Fatto sta che Pecorelli è stato ucciso. contestati da tutti gli imputati. sostengono i giudici.. questo doveva essere esplicitato. ma soltanto messo nell'impossibilità di pubblicare i documenti di cui era venuto in possesso. in cui il primo inveiva contro Falcone dicendo: «Quel cane rognoso si futtia la testa. una delle prove che Buscetta sia stato sincero sta proprio nel colloquio svoltosi in Brasile. o da Andreotti o da chi lo rappresentava. dove si trova un esempio che spiega meglio la motivazione dei giudici di Perugia. È questo il secondo factum probans.. uno stretto collaboratore di Dalla Chiesa. il 19 e il 22 settembre 1978. Mentre nell'articolo "Filo rosso" egli parla di un manoscritto con grafia appartenente ad Aldo Moro di centocinquanta pagine. Carenini era un deputato DC amico sia di Dalla Chiesa che di Pecorelli. Ma per i giudici di Perugia c'è anche una prova "indiretta". legata sentimentalmente a Mino. "Questo è vero e questo è falso". Una sera Mino tornò tardi in redazione. tra la fine del '78 e l'inizio del 79. Nella lettera. Quelli tra il generale e il giornalista erano appuntamenti segreti e Franca Mangiavacca. mentre la prossimità fra la data della pubblicazione della notizia. È appena il caso di sottolineare che questa Corte annette importanza alla conoscenza da parte di Pecorelli almeno del particolare che si trattava di un manoscritto e non di un dattiloscritto. in cui Pecorelli. La certezza di questi incontri si è avuta quando la segretaria di «OP». di cui parleremo diffusamente più avanti. Nella motivazione si afferma: In ordine al Memoriale Moro e al suo contenuto Pecorelli ha dato prova di conoscerlo. piuttosto stremato. la cui importanza se provata era di eccezionale rilevanza. Franca Mangiavacca. Soltanto nel 1990 fu recuperata dietro un pannello del covo di via Montenevoso la fotocopia del manoscritto. ben prima che il governo ne autorizzasse la pubblicazione confutandolo in un articolo. Scrivono i giudici: Le affermazioni trovano conferma nelle annotazioni delle agende di Carmine Pecorelli da cui si evince che il nome di Dalla Chiesa è riportato più volte e precisamente il 21 agosto 1978. Pecorelli sosteneva che Dalla Chiesa avesse . le confidò di aver visto Dalla Chiesa e sbottò: «Non ho mica capito quello che vuole da me!». pubblicata da «OP» il 17 ottobre 78. La segretaria ha spiegato che un cognome tra parentesi per Mino stava a significare che si trattava di una persona che fungeva da contatto.maresciallo Angelo Incandela. recuperò un'agenda nella quale per ben due volte. e la data del primo incontro è più di una coincidenza. cioè da Dalla Chiesa. desunta dal contenuto di alcuni articoli di «OP». Forse era stato il primo incontro. laddove quello che invece viene trovato e pubblicato dal ministero dell'Interno è un dattiloscritto di quarantotto pagine. in periodi molto vicini agli incontri con il generale. era tra i pochissimi a esserne informata. Tali circostanze confermano che Pecorelli e Dalla Chiesa si erano conosciuti e che la conoscenza è almeno databile al 4 ottobre 1978. c'era scritto "Dalla Chiesa (Carenini)". Occhio alla data: in quei giorni Dalla Chiesa aveva già individuato il covo BR di via Montenevoso e sapeva che all'interno i brigatisti vi avevano trasferito le carte Moro. e nota come "Amen" il cui riferimento al generale Dalla Chiesa è fin troppo evidente. E i giudici citano anche la falsa lettera al Direttore. mostrava di essere entrato in possesso di informazioni che poteva aver avuto soltanto da lui. il 4 ottobre 1978. chiuso da vent'anni nella cella di un carcere americano. ma si era perduto tempo e non si era alla fine ottenuto il rilascio dello statista perché qualcuno «aveva alzato il prezzo». Ma anche Buscetta aveva messo in dubbio il ruolo attribuito dall'accusa a Calò e ad Angelino il Biondo. i giudici di Perugia sembrano addirittura peccare di "eccesso di garantismo". se non attraverso quei canali di natura mafiosa che egli stesso confida a Buscetta. Angelino La Barbera e Massimo Carminati. è stato l'ironico commento di Andreotti. se Bontate avesse affidato a lui il . lasciando aperto il varco sulle possibili pedine utilizzate. Stupefacente appare in particolare l'assoluzione di Massimo Carminati. L'assoluzione di Calò. ha in effetti "dimezzato" l'ipotesi accusatoria: da un lato c'è un mandante e un movente. Il ragionamento di Masino era più o meno questo: La Barbera appartiene alla famiglia degli Inzerillo. un padrino detronizzato. dall'altra intermediari ed esecutori. dicono. La domanda che si pongono i giudici è questa: come poteva il boss di Cinisi nell'82 sapere che Dalla Chiesa e Pecorelli «stavano appurando porcherie politiche legate al sequestro Moro». gli avvocati della difesa. quando tale circostanza non era mai emersa da alcuna indagine sviluppata attorno all'uccisione del giornalista? La risposta dei giudici è che Badalamenti non poteva saperlo. l'aveva riferito a Cossiga. Nei delitti di mafia accade spesso che siano condannati i mandanti e assolti gli esecutori.scoperto la prigione dove Moro si trovava ancora vivo. e la Corte ne ha tenuto conto. presso il ministero della Sanità. La Barbera e Carminati taglia fuori dallo scenario dell'omicidio la Banda della Magliana che era stato fin dall'inizio lo "sfondo" dell'omicidio Pecorelli. E naturalmente anche su questo capitolo danno battaglia. L'assoluzione di Claudio Vitalone e di Pippo Calò. Nell'assoluzione dei quattro imputati.65 e i proiettili Gevelot che hanno ucciso Pecorelli. che restano ignoti. troppi ripensamenti nelle testimonianze dei pentiti della Banda della Magliana. nel ricorso. che in effetti si limita a indicare i motivi che avrebbero determinato "l'interesse" di Andreotti all'eliminazione di Mino Pecorelli. oltre che dei presunti killer. In vent'anni di indagini era stato questo l'unico elemento di continuità tra la vecchia e la nuova inchiesta. appena saputo di essere stato condannato come «mandante» in compagnia di Tano Badalamenti. I sostenitori dell'innocenza di Andreotti si sono appigliati a questa "anomalia" della sentenza. Un verdetto a metà «Sono rimasto soltanto io e un signore che vive nel New Jersey». che si conoscono. Troppe contraddizioni. da cui certamente sono usciti la pistola 7. ma non si può negare che la decisione dei giudici abbia aperto una grave ipoteca sulla credibilità dell'intero impianto accusatorio. gestore del deposito di armi trovato in via Liszt. mostrando il massimo scrupolo nel vagliare il tema della prova a loro carico. Dopo aver letto sui giornali quanto aveva riferito Buscetta. poteva contare a Roma sull'appoggio del boss Angelo Cosentino. Politicamente moderato. alla fine del '92. telefonate anonime. ha forse un solo debole e lo ha confessato nell'unica intervista rilasciata dopo la sentenza: «Ho un'enorme stima del giudice Falcone. coinvolgendo la "Commissione" di Cosa Nostra in un delitto che doveva invece restare riservato.] i pentiti e i testimoni non vanno creduti sulla parola». Il firmatario di questa esplosiva sentenza. in effetti.compito di uccidere Pecorelli avrebbe dovuto chiedere il consenso al capofamiglia. ho cresciuto i miei figli nel culto della memoria dei magistrati uccisi dalla mafia». farai la fine di Falcone». Ne ho ricevuti anche quando ero pretore e mi occupavo di processi delicati contro i "potenti" della zona.. Dopo la sentenza ha ricevuto minacce. per la delicatezza del "favore" chiesto dai Salvo. fino all'inizio degli anni Ottanta. anzi: fino a quando la tegola del processo Andreotti non si è abbattuta su di lui. Più avanti precisa: «Le parole di un testimone non costituiscono prova quando appaiono inverosimili. Bontate. Risulta però che Cosentino fosse in stretti rapporti sia con Calò che con la Banda della Magliana. o del possibile protagonista del "complotto" giudiziario che. Ha perfino scritto un libello in cui critica l'uso dei pentiti. Incandela si presentò per raccontare un episodio cui aveva assistito personalmente. edizioni UTET) nel quale scrive: «Nel pur comprensibile anelito alla verità ci si illude di aver trovato nel pentitismo e nella mutuai corroboration la chiave d'oro dell'accertamento probatorio». dopo la condanna. non è un pasdaran.. maresciallo Incandela Il supertestimone cui accennavamo. Un vero e proprio saggio. anche se questo per i giudici di Perugia non è stato sufficiente a dimostrare la colpevolezza dei coimputati di Andreotti. In ogni caso si tratta di un personaggio molto contiguo alla malavita romana. è stato scagionato. il giudice Gabriele Lino Verrina. anche da Totò Cancemi. contraddittorie e vaghe [. era considerato un moderato. qualcuno ha detto: «Verrina. da parte sua. l'uomo della "prova che inchioda". oltre che da Buscetta... Una piccola aggiunta. Calò. ma che non disponesse di killer suoi. 252 pagine Valutazione probatoria e chiamata di correo. Verrina è quanto di più lontano ci sia dall'idea del magistrato "di sinistra". . l'unico pentito che in un periodo successivo all'esecuzione del delitto dice di aver saputo di questa storia: «Una volta andai a trovare Calò a Roma e lui mi accennò al fatto del giornalista Pecorelli affermando che era intervenuta la "decina" di Stefano Bontate. ma oggi come allora sono tranquillo». Insomma. non risulta impegnato in alcuna corrente della magistratura. Ma il giudice non vi ha dato troppo peso: «Non è la prima volta che debbo fare i conti con messaggi di morte. che nel 79 svolgeva attività di polizia penitenziaria nel carcere di Cuneo.». Andreotti ha preso a temere. affiliato alla sua famiglia di Santa Maria del Gesù. è il maresciallo Angelo Incandela. L'incontro notturno risaliva ai primi di gennaio. Sull'identificazione di Pecorelli. forse 1. mentre Pecorelli era alto almeno una decina di centimetri di più». dove sostavano i parenti dei detenuti in attesa della perquisizione prima di essere ammessi ai colloqui. o addirittura agli inizi di febbraio. specificandomi che le finestre del corridoio erano prive di reti. ci siamo incontrati di notte in una stradina di campagna. a collaborare con la giustizia. precisò che i documenti dovevano essere passati attraverso una piccola finestra che affacciava sul parlatorio. Incandela era dunque un uomo della "rete" Dalla Chiesa e non uno qualunque: era stato proprio lui a convincere Patrizio Peci.70-1. Va detto però che gran parte del colloquio si svolse in macchina. Lui aveva sempre mantenuto contatti con la rete di uomini creata quando era responsabile della sicurezza nelle carceri e io ero uno di questi. Ma era il giornalista a saperne di più. A distanza di tempo ritiene di averle consegnate al generale non prima della fine del mese. sostiene che il maresciallo possa essersi sbagliato. non ne conosceva ancora bene i locali e impiegò parecchio tempo a trovare il plico. ho riconosciuto la foto quando fu ucciso poco tempo dopo. perché l'uomo che descrive «è più basso di lui. e che quindi Incandela non potè vedere Pecorelli in piedi se non per pochi minuti. nel ricorso. un mese dopo il suo trasferimento a Cuneo. Come sempre. in circostanze di massima riservatezza: nessuno doveva vederli insieme. nonostante l'assillo cui lo sottoponeva Dalla Chiesa. Incandela si dice certo: il maresciallo ha perfino raccontato che il giornalista in quell'occasione portava occhiali da vista chiari. bombardandolo di telefonate quando già era stato trasferito alla caserma Pastrengo di Milano. Nel gennaio 79 mi telefonò dicendomi che aveva bisogno di vedermi con urgenza. su cui il generale riponeva la massima stima. Ma vediamo come Incandela ha ricostruito di fronte ai giudici di Perugia l'incontro con Dalla Chiesa e Pecorelli: Lo sconosciuto [Pecorelli] mi disse che gli scritti riguardanti il caso Moro erano entrati nel carcere attraverso le finestre del corridoio dell'ufficio per i permessi di colloqui. quando si trattava di incontri riservati. Lo sconosciuto mi fornì una particolareggiata descrizione dei luoghi.Sono arrivato a Cuneo nello stesso periodo in cui Dalla Chiesa aveva riottenuto l'incarico antiterrorismo [fine 78]. con la montatura dorata. sicché era agevole consegnare . Dalla Chiesa mi disse che si trattava di un amico e aggiunse: «Guarda che nel carcere sono entrati documenti sul caso Moro». Così racconta il maresciallo: C'era anche Pecorelli. Ma la difesa. Il maresciallo era appena arrivato nel carcere di Cuneo. Non deve destare sorpresa quell'incontro notturno. il primo brigatista rosso pentito. in una strada di campagna.72. non ho dubbi che si trattasse di lui. e la sorella Rosita ha confermato che il fratello ne aveva effettivamente un paio di quel tipo. Dunque il maresciallo era un fedelissimo. raccomandandomi. da ambienti della Magliana.]. Del resto avevo già notato che l'uomo non aveva nei confronti del Generale l'atteggiamento tipico dei militari subordinati [. poi. rispose che non aveva annotato il numero o l'indirizzo in questione. Del resto era stato lui a consentire il ritrovamento..attraverso le stesse oggetti a detenuti che circolavano senza alcuna sorveglianza nel cortile. Giulio Andreotti.. Ebbi modo così di vedere con chiarezza il volto dell'ignoto interlocutore. E lo stesso Incandela. e in quel periodo Dalla Chiesa si trovava proprio nel capoluogo lombardo. di non aprire assolutamente l'involucro [. perché sia la sentenza di appello di Perugia che quella di Palermo lamentano di non essere riuscite a individuare la tipologia del documento Moro cui fa riferimento Buscetta. Compresi allora che non si trattava di un militare dell'Arma e che probabilmente si trattava di un giornalista. convocatomi presso la stazione di Cuneo.. il giorno dell'omicidio. se le avessi trovate. in seguito. il Generale non mi presentò l'uomo che si trovava con noi dentro la macchina.]. L'uomo parlava con un accento romano. una cosa che non aveva detto davanti a Pecorelli: mi disse che dovevo scoprire se nel carcere c'erano altre carte nelle quali si parlava dell'On. I giudici di Perugia. come vedremo. Pecorelli pubblica l'articolo "Vergogna buffoni". Certo io rimasi impressionato dal fatto che conosceva circostanze a me ignote [. I collaboratori di «OP» hanno confermato che Pecorelli. aggiungendo che forse aveva quel numero o quell'indirizzo «in redazione». non ricordo bene.1. danno molta importanza alla relazione temporale tra gli incontri di Mino con il generale e gli articoli pubblicati dal giornalista. grazie a una soffiata che gli sarebbe arrivata. che allude all'esistenza di altre carte oltre al Memoriale. di qualcuno.. aggiunse che attraverso quelle finestre erano entrate anche delle armi e della droga. dove . aspettava con impazienza una busta che doveva arrivare da Milano.. A un certo punto il Generale. Non ho mai saputo come costui fosse a conoscenza dell'esatta ubicazione dei luoghi e di quello che mi raccontava. Aggiunse. riconobbi senza ombra di dubbio in quelle foto la persona che quella sera aveva accompagnato il Generale.]. A questo punto il Generale mi incaricò di trovare a tutti i costi quelle carte. Tre giorni dopo il Generale. vedendo le foto della vittima pubblicate sui giornali. Lo sconosciuto proseguì specificandomi che gli scritti riguardanti il sequestro Moro erano entrati nel carcere avvolti con un nastro adesivo da imballaggio. come si vede. I giudici ritengono che tra Dalla Chiesa e Pecorelli ci sia stata. L'uomo dopo aver consultato l'agendina. accendendo la luce. Particolare importante. Quando fu assassinato il giornalista Mino Pecorelli. come sappiamo. mi ribadì che «dovevo assolutamente trovare quelle carte del sequestro Moro». Nel numero di «OP» datato 16. una sorta di trattativa sul documento che il giornalista intendeva pubblicare. gli chiese il numero o l'indirizzo..1979. Ma ha detto la verità? Il maresciallo ha raccontato di averne parlato con alcuni colleghi e superiori nel corso degli anni. Poi sono stato lasciato completamente solo». Angelo Zaccagnino. Per i PM è sufficiente a sgombrare il campo da possibili interferenze tra le due deposizioni. una conferma ante quam della veridicità dei fatti. Per i giudici d'appello di Perugia. anche se la sua testimonianza è stata raccolta dopo Buscetta. aveva giocato al rialzo.. a un dato momento. nella drammatica decisione di Andreotti ci sarebbe stata anche una forte componente politica. Una preoccupazione. scrivono i giudici nella motivazione. Buscetta. alle trattative miranti a ottenere la liberazione dello statista che non erano andate in porto perché qualcuno. grazie alla scissione verificatasi all'interno dell'ivisl e alla nascita della Democrazia Nazionale. pretendendo una partita che non poteva essere accettata. In definitiva tutte le testimonianze finiscono per confermare quella di Buscetta. e quanto lui afferma di aver saputo nell'82 da Badalamenti. E una conferma della sua versione la Procura alla fine è riuscito a scovarla: l'ex direttore del carcere di Cuneo.preannunciava una rivisitazione del caso Moro e faceva riferimento. quelle pagine drammatiche che lo statista appena un anno prima aveva scritto nel "Carcere del Popolo". che s'intrecciava al danno che avrebbe personalmente subito dalle accuse che Moro gli aveva rivolto. quando Dalla Chiesa era vivo godevo di qualche protezione. le mie figlie erano guardate. quella di Andreotti. dei suoi incontri con il generale e del ritrovamento del Memoriale? Il maresciallo ha dato una risposta molto semplice: «Avevo paura. Il contesto In ogni delitto c'è un movente. 1'"interesse" che si nasconde dietro il più arcaico atto di difesa nei confronti di una minaccia esterna. Il movente è ciò che determina il delitto. visto che è l'unico sopravvissuto di questa micidiale partita a scacchi attorno ai verbali delle Brigate Rosse. per un certo periodo ho avuto anche una scorta. Anche in questo caso l'incontro tra il generale Dalla Chiesa e la pubblicazione dell'articolo è tale che è veramente difficile pensare a una coincidenza. interrogato dai PM di Perugia.. per la portata destabilizzante che avrebbe avuto la pubblicazione di ampi stralci del Memoriale Moro. neppure dopo la morte di Dalla Chiesa. Ma un dubbio c'è: perché Incandela non aveva mai parlato. Scrivono i giudici: A quanto ha raccontato lo stesso Andreotti agli inizi del 79. come se si trattasse di fantapolitica. rispondendo alle BR nel corso del "processo" alle trentennali responsabilità della DC. Dunque aveva già parlato di questa vicenda prima di. sicché le BR avevano ucciso Moro. per onorare l'impegno . un anno prima del ritorno in Italia di Buscetta. ha raccontato che Incandela gli parlò dell'incontro con Dalla Chiesa e Pecorelli nel '91. pur avendo avuto la possibilità di ottenere la fiducia. Non si può dar torto a Incandela. che aveva consentito lo sdoganamento di un certo numero di voti. in difficoltà per una storia di falsi quadri De Chirico. il generale Donato Lo Prete e il giudice Carlo Adriano Testi. e cioè che l'incontro fosse stato sollecitato dal sottosegretario Franco Evangelisti. senza che si realizzasse il temuto sorpasso del PCI sulla DC. elargiti dalla SIR di Rovelli a partiti politici. all'epoca stretto collaboratore di Andreotti. Sulla nota vicenda della cena alla "Famiglia Piemunteisa". quando Pecorelli si incontrò con Vitalone. al momento della votazione aveva fatto allontanare un paio di senatori democristiani in «modo da far andare sotto il governo». questi era un giornalista ben introdotto negli ambienti più diversi sì da avere la possibilità di venire a conoscenza di documenti riservati e notizie scottanti. anzi i comunisti persero venticinque seggi: Il momento era delicato. Sostengono i giudici che la trattativa economica svoltasi durante la cena tra l'entourage andreottiano e il giornalista riguardava invece la vicenda degli "Assegni del Presidente". E nel fare ciò non aveva riguardo né per gli amici né per i potenti. dato per ammesso che la trattativa sia stata voluta da Andreotti e che ciò fosse avvenuto per evitare la pubblicazione degli "Assegni del Presidente". la Corte sostiene che i testimoni abbiano smentito la tesi della difesa. su cui Pecorelli aveva già date» qualche anticipazione in un articolo. ma al suo stesso partito e comportare uno spostamento di parte dell'elettorato verso il PCI. perché il suo unico interesse era che la notizia avesse la massima diffusione.. di attingere alle sue fonti.assunto con il PO. Elezioni che qualche mese dopo in effetti avvennero. avvenuta ai primi di marzo. né per chi lo sovvenzionava. Il movente acquista dunque una credibilità particolarmente rilevante.. si sia ritenuto di blandirlo attraverso sovvenzioni di cui Pecorelli aveva sicuramente bisogno e che potevano servire a ritardare se non impedire la pubblicazione delle . Questo non comportava l'automatico scioglimento delle Camere ma è certo che i suoi sforzi andavano in direzione delle elezioni anticipate. non vi sarebbe stato alcun motivo per volere la morte di Pecorelli.]. La tesi non può essere condivisa: come hanno anche evidenziato i primi giudici. ma la caratteristica di Pecorelli era che una volta venuto in possesso di importanti notizie egli le pubblicava e consentiva anche ai colleghi. la pubblicazione delle notizie in possesso di Pecorelli avrebbe potuto causare un danno non solo alla persona di Andreotti. che lavoravano ad altri giornali. nel capitolo sesto della sentenza. nell'ambito dello scandalo Italcasse: La difesa di Andreotti ha sostenuto che. ovvero quei fondi neri. prima di decidere l'eliminazione del giornalista o durante il tempo necessario a organizzare l'agguato mortale. il cui silenzio ormai era stato ottenuto [. essendo ben possibile che. Né appare valido l'altro argomento difensivo che elecla una via. non daturrecursus ad alleram. sicché l'aver concorso economicamente Pecorelli non avrebbe consentito ad Andreotti di dormire sonni tranquilli. ma soprattutto. Per questo era necessario che la persona approvasse preventivamente l'operazione. non è pensabile che abbiano realizzato il loro intento criminoso senza consultarsi con il diretto interessato prima di darvi corso. piuttosto che ottenerne la gratitudine. che pure lo hanno assolto dal reato di associazione mafiosa. ammettono i giudici. della cui pericolosità potrebbero essere venuti a conoscenza per un tramite diverso da Andreotti. è che «non vi sono testi o collaboratori di giustizia che abbiano dichiarato che simile richiesta vi fu». che ha sempre cercato di non esporsi direttamente. ma tale da indurre l'interlocutore a comprendere quale fosse il suo desiderio. contrattando sul proprio rientro in Italia). riafferma la sentenza di Perugia. Vediamo come la motivano i giudici di Perugia: Quand'anche si voglia ipotizzare che i Salvo possano aver deciso autonomamente di uccidere Pecorelli. dalla quale ci si attendeva di essere alla prima occasione ricambiati. se ne sarebbe avuta la riprovazione. Ma di questo parleremo diffusamente più avanti. stando all'accusa di Buscetta. Risponde la difesa: «Siamo arrivati all'assurdo che la prudenza sia considerata elemento di prova». i giudici di Palermo. perché «Andreotti è persona estremamente prudente. hanno liquidato la faccenda asserendo che l'imputato mentiva: ben otto bugie. che nel '96 aveva affermato: «La deduzione nasce dalla praticità della vita: non si può andare a fare un omicidio a Roma senza avvisare la parte».Ma l'assenza di ogni riscontro obiettivo e il fatto che tutti i protagonisti siano morti.notizie relative al sequestro Moro. Andreotti ha costantemente negato. E l'elemento più debole della versione di Buscetta. Interessante è vedere come il processo ad Andreotti abbia consentito di rivalutare la figura di Mino Pecorelli. La difesa. Ma difficilmente potrebbero esserci testimoni. Non solo perché si trattava pur sempre di sopprimere un uomo. si trattava di «fare un favore» di non poco conto a un'altra persona. nell'arco dei dieci anni del processo. chiede la nullità della sentenza proprio a partire da questa assunzione. Nella sentenza di primo grado. pone l'intera ricostruzione nel limbo delle ipotesi. di aver mai conosciuto Nino e Ignazio Salvo. in caso contrario. secondo il presidente della Seconda . come abbiamo accennato. più volte descritto come un volgare ricattatore. cioè all'ipotesi di un mandato" non manifestamente espresso da Andreotti. a esclusione di Tano Badalamenti (che più volte interrogato negli USA ha mantenuto un atteggiamento ambiguo. Ancora una perfetta sintonia con Buscetta. delle trentaquattro che gli sono state contestate. Andreotti avrebbe rivolto ai Salvo la richiesta. E arriviamo per questa strada al controverso capitolo del "consenso tacito". tanto che in casi molto meno gravi dell'omicidio ha fatto ricorso a intermediari per fare conoscere i suoi desiderati]». sono l'ultimo e (forse) definitivo verdetto sui rapporti tra Andreotti e la mafia.Sezione del Tribunale di Palermo Francesco Ingargiola. per giunta. pesantissime per il sette volte presidente del Consiglio. sia stato non un avversario politico. che lo ha convocato ventitré volte. dove i principi . Fino all'ultima strage e all'ultimo complotto. riguardano proprio i rapporti personali tra il senatore e i due esattori siciliani. Il caso Andreotti. contesto. qualunque sia l'opinione di ciascuno rispetto alle vicende appena illustrate. Andreotti ha realmente intrattenuto rapporti con i boss almeno fino all'inizio degli anni Ottanta. Reali al punto che ogni evento non poteva che essere concepito se non in termini di una trama o di un complotto. un paese dove non avevano più corso le idee.venivano quotidianamente irrisi. scrivono i giudici. che negli anni Settanta erano considerati i maggiori sostenitori della corrente andreottiana in Sicilia. stragi.ancora proclamati e conclamati . ma che si configura come «una vera e propria partecipazione all'associazione mafiosa. proprio lui. Un paese immaginario dove reali sono però stati omicidi. ripeto. per distinguere verità e menzogna. nella cui rete è rimasto impigliato. lo scrittore agrigentino Leonardo Sciascia scriveva: A un certo punto la storia cominciò a muoversi in un paese del tutto immaginario. imprevedibilmente. sta nel fatto che a mettere in crisi l'uomo più potente della Prima Repubblica. in grado di preservare soltanto se stesso. attraverso continui rivolgimenti e assestamenti. faide politiche. di scavare fino in fondo. In uno dei suoi libri più famosi. dove soltanto il potere per il potere contava. questo dottor Jekyll della politica italiana. Un paese immaginario. apprezzabilmente protrattasi nel tempo». rappresenta l'assoluta singolarità di un pezzo di storia italiana. il più abile difensore di se stesso. dove le ideologie si riducevano in politica nel giuoco delle parti che il potere si assegnava. dopo morto. e neppure il Tribunale dei ministri. depositate il 27 luglio 2003. dietro cui s'intuiva l'ombra di un potere supremo e sconosciuto. Il crinale che separa i comportamenti di Andreotti. Parole nette e chiare. Un comportamento che non fu «solo moralmente scorretto». Le motivazioni: Palermo Il dottor Jekyll e Mister Hyde Le motivazioni della sentenza d'appello di Palermo. o segno di «una vicinanza irrilevante» ad ambienti mafiosi. il politico più accorto e sottile della DC. La cosa straordinaria. in questo breve resoconto del processo a Giulio Andreotti. ma il pentito di mafia Tommaso Buscetta. e in una fase in cui il "pentitismo" non sembra godere di particolare credito. è . Andreotti. Ebbene sì. dei tanti che ha avuto. e se vogliamo davvero comprenderla dobbiamo avere il coraggio di setacciare. Una storia unica diventata materia di processo. appena mitigate dal fatto che i giudici gli hanno riconosciuto di aver in seguito preso coscienza della pericolosità criminale del fenomeno mafioso e di averlo combattuto. E invece di innescare una qualche riflessione sulle conseguenze che tale comportamento può aver avuto sulla nostra storia più recente. Affermazioni che forse stupiranno anche i lettori più attenti che in questi anni si sono sentiti ripetere. Se per il presidente della Corte d'Assise di Perugia. da Nino Giuffré a Pino Lipari. Andreotti coltivò «un'autentica. frutto di una gestione pilotata dei pentiti. e non un altro mortale cittadino. per i giudici d'appello di Palermo. Gabriele Lino Verrina. ovvero Stefano Bontate e Tano Badalamenti: perché questi sono realmente avvenuti. attraverso la lettura offerta dalle motivazioni della Corte d'Appello di Palermo. fino a mettere a repentaglio la sua vita. giusta o sbagliata che sia. sia pure limitatamente a un determinato arco temporale. è assolutamente certo che Mino Pecorelli sia stato ucciso dalla mafia nell"'interesse" dell'allora presidente del Consiglio. sia a Perugia che a Palermo. avvenuta il 6 gennaio 1980. aver ipotizzato incontri "ravvicinati" con i boss di quella che viene definita l'ala moderata di Cosa Nostra. la sentenza è stata sostanzialmente ignorata. in realtà l'unica certezza è che Andreotti non è stato affatto assolto. a ogni decisione giudiziaria sul senatore. E non è pura follia. l'assoluzione dei primi giudici riconoscendo che tra Andreotti e la mafia c'è stato un patto che travalicava i confini della Sicilia. resterà agli atti questo inappellato giudizio. diventa. che consentirà ad Andreotti di intraprendere la strada del suo riscatto morale e politico. se non volutamente stravolta. Nel momento in cui scriviamo alla decisione della Suprema Corte mancano ancora un paio di mesi. le dure parole dei giudici hanno sortito il . che le accuse dei pubblici ministeri si erano rivelate infondate o farneticanti. Ma poiché tutto ciò chiama in causa Andreotti. e gli avvocati non hanno ancora deciso se ricorrere o no anche nei confronti del verdetto di Palermo. L'uccisione del presidente della Regione Siciliana. per gli strani motivi che vedremo. Vedremo perché.l'omicidio di Piersanti Mattarella. A conclusione del processo di merito. almeno negli anni Settanta. quella dei suoi familiari e dei più stretti collaboratori. non deve stupire che la monumentale ricostruzione fatta dai giudici di appello (sei volumi divisi in quattro parti e 45 capitoli per complessive 1520 pagine). o frutto di persecuzione giudiziaria. la dolorosa presa d'atto della vera natura criminale della mafia. La sentenza di secondo grado ha però ribaltato. per quella strategia del silenzio o della disinformazione che abbiamo già visto in azione ad ogni verdetto. proprio come hanno raccontato i pentiti storici di Cosa Nostra e confermato i più recenti collaboratori di giustizia. stabile e amichevole disponibilità» verso i mafiosi e per un lungo periodo ha anche «concretamente agito per agevolare il sodalizio criminale». non abbia minimamente scalfito l'immagine e la popolarità di cui tuttora gode il sette volte presidente. Anzi in quest'occasione. Quand'anche la Cassazione cancellasse la condanna per omicidio. Dentro c'è un Andreotti-Jekyll che è un po' diavolo. Su quest'ultimo punto la difesa del senatore ha manifestato il massimo dell'ottimismo. anche se si procede nella lettura come sotto una doccia scozzese: dopo il getto d'acqua calda viene quello gelido. quello di associazione per delinquere. come molti. Ma a rendere . al punto da indurre al sospetto che il linguaggio a volte schizofrenico dell'estensore nasconda un qualche recondito obiettivo. scrivono i giudici. depositate alla fine di luglio 2003. Che le motivazioni della sentenza d'appello di Palermo. fino al caso Moro e al delitto Pecorelli. che hanno visto riconosciuto nella sostanza l'atto di accusa. aveva letto quel dispositivo con il quale la Corte. pagina dopo pagina. spaccava in due la sentenza di primo grado trasformando l'assoluzione in prescrizione per il primo dei reati contestati ad Andreotti. convinta che la sentenza di Palermo apra la strada all'annullamento della condanna dei giudici perugini. come Salomone. possa essere annullata con rinvio degli atti a Roma.singolarissimo effetto di non essere particolarmente dispiaciute né al senatore né ai suoi sostenitori. Il presidente Scaduti non si è sottratto a quest'onere. la seconda non ha scontentato la difesa. Anch'io. perché Andreotti si sarebbe sì incontrato con i boss e sarebbe stato intimo amico dei Salvo. i più importanti capitoli del processo: dal rapporto con i cugini Salvo. il 2 maggio. Una scelta coraggiosa che consentirebbe di non vanificare i risultati di una lunga inchiesta che. partendo dall'omicidio del "giornalista che sapeva troppo". ritengo che la Cassazione finirà per annullare i 24 anni di pena inflitti ad Andreotti: l'unica remota alternativa è che la sentenza "imperfetta" dei giudici di Perugia. motivando la sua tesi in centinaia di pagine nelle quali vengono ricostruiti. La questione era capire con quali argomentazioni i secondi giudici fossero entrati nel merito delle accuse. La "fortuna" di questo verdetto. ma soltanto fino alla primavera 1980. cosa da lui sempre strenuamente negata. è che sembra fatto apposta per accontentare tutti. debole nella definizione del mandato omicidiario. sotto una luce del tutto nuova. I pareri sono stati discordi: c'è chi ha giudicato questa sentenza "buonista" fino all'ingenuità e chi "raffinatissima" e densa di trappole. reato del quale risponderà alla Storia. Anche se ciò non lo mette in salvo dall'essere accusato di mafiosità fino all'80. poi un Andreotti-Hyde che è quasi un santo. ha di fatto riaperto le indagini sul delitto Moro alla luce di nuove importanti acquisizioni. sarebbero state portatrici di grandi novità era stato chiaro fin da quando il giudice Scaduti. al momento in verità poco chiaro. Se la prima parte della sentenza ha soddisfatto i PM.valido fino al 1982. che dopo l'assoluzione del giudice Vitalone potrebbe a buon diritto tornare ad essere la legittima titolare dell'inchiesta sull'omicidio Pecorelli. visto che la giustizia terrena è arrivata un po' in ritardo. bensì una pericolosa organizzazione criminale che non esitava a ricorrere all'omicidio colpendo anche le istituzioni e gli uomini al suo servizio. dopo il "tradimento" del Maxiprocesso. a ben leggere nelle carte. era in effetti poco conciliabile perfino con gli interessi più occulti della politica. proprio nel periodo in cui Andreotti avrebbe intensamente frequentato i cugini Salvo e si sarebbe incontrato a Roma con Badalamenti. dopo un burrascoso colloquio con il Principe di Cosa Nostra.in piena guerra di . molti anni prima: nella primavera del 1980. magistrati e uomini politici. usciti vittoriosi come vedremo dalla guerra di mafia.avrebbe finalmente aperto gli occhi e capito che la mafia non era una benemerita associazione folcloristica.di cui neppure il più fiero avversario ha mai messo in dubbio fiuto. cioè Bontate. non si può negare che abbia una qualche credibilità storica: il corso impresso dai corleonesi a Cosa Nostra. quando Cosa Nostra cominciò ad uccidere poliziotti. Detto questo. c'è la tarda età dell'unico.che verteva sull'uccisione di Piersanti Mattarella. ho qualche dubbio che sul giudizio della Suprema Corte possano influire le contraddittorie valutazioni dei giudici palermitani. eccellentissimo imputato. a partire dalla mattanza che a cavallo degli anni Ottanta ha raggiunto i mille morti. cui il presidente però resiste. Convinca o no questa tesi. In qualche occasione s'intravede l'ombra del ricatto o di latenti minacce da parte dell'ala più sanguinaria dell'organizzazione. Forse è avvenuto il contrario: la condanna di Perugia potrebbe aver indotto alla revisione della sentenza di Palermo. e da quel momento avviò un graduale distacco che impedirà ai corleonesi di Totò Riina. che inevitabilmente condurrebbe quello ad Andreotti sulla nota strada del "processo infinito". il politico finissimo . Non bisogna dimenticare che Pecorelli è stato ucciso nel '79. coltivando quegli "ottimi rapporti" con l'ala moderata di Cosa Nostra cui viene addebitato l'omicidio del giornalista. Andreotti lo avrebbe scoperto tra la fine del 79 e l'inizio dell'80. Ma molti. cui andava il merito di tenere a bada la malavita e garantire vittorie elettorali. il senatore non si sarebbe riuscito a liberare tanto facilmente del gravame che i precedenti rapporti con uomini di Cosa Nostra comportavano.lo riferisce Giovanni Brusca . di usufruire di quei favori politici di cui aveva goduto la precedente gestione di Cosa Nostra.improbabile una decisione del genere. La «specialissima» credibilità di Mannoia e la rottura dei patti La rottura tra Andreotti e i boss non sarebbe avvenuta nel marzo '92 con l'uccisione di Salvo Lima. intelligenza e acutezza . anche se questo non basta a dimostrarne la "fattualità". E l'esistenza del patto tra Andreotti e la mafia che rende «plausibile» agli occhi dei giudici palermitani il movente del delitto Pecorelli. e con coraggio. versione Buscetta. Solo in quel momento l'uomo più potente d'Italia. Nell'81 . Dunque da quel momento in poi Andreotti ha mutato atteggiamento anche se. cui Mozzarella avrebbe voluto sottrarsi perché pazzamente innamorato di un'altra donna. che fino a quel momento aveva risparmiato le donne. perché è stata proprio . pochi mesi dopo l'inizio della sua collaborazione. Quest'amore contrastato fu una delle prime cose che Mannoia raccontò a Falcone: il boss era disperato. gestisce e controlla i pentiti di mafia. Il patrimonio di conoscenze cui può attingere Mannoia gli deriva dall'essere stato negli anni Settanta autista e guardiaspalle di Stefano Bontate. convinto di non rivedere più la sua donna.mafia Andreotti fa pervenire ai boss un messaggio nel quale li avverte che potrebbe essere costretto a varare leggi speciali se la mattanza non fosse immediatamente finita. Ma a leggere quest'ultima sentenza. Il pentito appartiene a una generazione di boss più giovani di Masino.è scritto nella sentenza . La temuta vendetta arrivò puntuale. l'idillio con Cosa Nostra si era consumato e al suo posto era subentrata una forte reciproca diffidenza. fu pagato con una strage: in un agguato gli uccisero la madre. Matrimonio d'interesse a quanto sembra. Rita. oltre che dall'essersi imparentato con un'importante famiglia di Cosa Nostra dopo il matrimonio con Rosa. La sua collaborazione era stata ritenuta eccezionale sotto il profilo militare: con il suo aiuto alla fine degli anni Ottanta erano stati identificati e catturati centinaia di boss. Un segnale dell'imbarbarimento di Cosa Nostra. come Buscetta. benché non avesse alcun interesse e alcuna voglia di lasciare il suo rifugio americano dove era riuscito a ricostruirsi. Cose di Cosa Nostra: «Siamo abituati a considerare i mafiosi come uomini che non hanno una vita privata e invece ne ho conosciuti tanti che sono tormentati dalle questioni di cuore e da storie di donne». ma come lui fa parte dei collaboratori di giustizia che hanno trovato accoglienza negli USA e che godono della protezione garantita dal Marshals Service. nel novembre 1989. Il doppio tradimento del pentito. In ogni caso. ha accettato di tornare in Italia. Ma Francesco Marino Mannoia non si lasciò intimidire e dopo l'omicidio di Falcone. un'esistenza tranquilla. detto Mozzarella. temeva la vendetta di Vernengo che mal aveva tollerato che la figlia fosse stata tradita e abbandonata. Una di quelle storie che portò il giudice a raccontare nel suo libro di memorie. alla mafia e alla famiglia. se qualche rapporto con i boss fu inevitabile . la zia e la sorella. che lo ha poi seguito nella decisione di rompere con la mafia e nella fuga all'estero. fra le altre cose. al fianco della sua Rita.deve essere considerato «strumentale e fittizio» e non frutto di autentica intesa. la figlia più amata del boss Pietro Vernengo. di cui la Corte d'Appello di Palermo ha apprezzato la «specialissima» credibilità. il merito di aver convinto i secondi giudici va senz'altro a Francesco Marino Mannoia. la struttura che oltreoceano. Da quel momento in poi. sembra che il contributo sia stato ancor più rilevante. Se l'arbitro incontrastato del processo di Perugia è stato il pentito Tommaso Buscetta. deciso dal gotha mafioso. già madre di due suoi figli. Dunque.. questi sono i nostri metodi. In particolare mette conto rimarcare come nessuna fonte prima del pentito Mannoia avesse parlato di rapporti diretti fra il sen. L'importanza di Marino Mannoia. nel secondo sarebbe volontariamente «sceso» in Sicilia per affrontare Bontate e rimproverarlo per quanto era successo. Questa l'arrogante risposta alle lagnanze di Andreotti. era di aver assistito a due incontri tra Pallora presidente del Consiglio e il boss Stefano Bontate. cui abbiamo già accennato. dopo la morte del Padrino avvenuta nell'aprile 1981. se non vi stanno bene fatevi votare al Nord che sono tutti comunisti.la sua ricostruzione ad aver influenzato il verdetto di parziale condanna della Corte d'Appello di Palermo. sono intervenute quando gli elementi della indagine a carico del senatore Andreotti non avevano ancora acquisito sviluppo e notorietà. Marino Mannoia non denuncia affatto intenti persecutori nei confronti dell'imputato. «erratamente convinto». come teste del processo Andreotti. cosicché le stesse appaiono frutto del sincero e notevole sforzo di superare la atavica remora a parlare di rapporti tra Cosa Nostra e personaggi politici. che la sua autorevolezza e il suo peso sarebbero stati tenuti in considerazione dal boss. solo successivamente assunti. non ha esitato a mettere in dubbio che tali rapporti fossero proseguiti. Ecco come il pentito spiega le successive difficoltà: In . Il primo sarebbe avvenuto nell'estate del 79. pur palesando una diretta conoscenza dei rapporti tra Andreotti con la fazione che faceva capo a Bontate. così almeno scrivono i giudici. Meno precisa la prima testimonianza. Noi vi leviamo tutti i voti della Sicilia e anche quelli della Calabria».. più dettagliata la seconda: ma è stato Mannoia ad accendere i riflettori sul significato dirompente che assunse l'omicidio del presidente della Regione nei precari equilibri interni alla DC siciliana stretta tra politica e mafia. oggettivamente suscettibile di esporre il propalante e gli stessi inquirenti [. Quello che è più piaciuto della testimonianza del pentito è che Mannoia.].. Ma perché Mannoia è così altamente credibile al punto da mettere in ombra perfino Buscetta? Scrivono i giudici: Va sottolineato che le dichiarazioni di Marino Mannoia.. anche con i corleonesi. Una reazione che deve averlo fatto riflettere sulla pericolosità di certe relazioni. Andreotti e i cugini Salvo [. a Palermo nella primavera '80. posto che egli non ha affatto accreditato la tesi di accusa che trova la sua sintesi nella imputazione di associazione mafiosa successiva al 1982.]. Il Principe reagì invece duramente: «A Palermo comandiamo noi. a differenza di altri collaboratori. prima e dopo l'omicidio Mattarella. Nel primo incontro Andreotti sarebbe intervenuto per ricomporre il dissidio di cui rischiava di fare le spese Mattarella. nella tenuta di caccia "la Scia" vicino Catania e l'altro. che è stato il cavallo di battaglia di Masino nelle sue accuse al Presidente. come anche la strage in cui è morto il giudice Falcone. L'ipotesi che l'omicidio di Lima. Tanto è vero che fu deciso di dare una dimostrazione ad Andreotti. avvenuto nell'84. quando i rapporti tra Andreotti e Cosa Nostra dovevano essersi già abbondantemente logorati. databile nei primi anni Ottanta e divenuta definitiva dopo l'arresto. «Neppure il mio di voto si presero»..oltre che delle logiche mafiose. che anticipa di qualche mese la prima pesante condanna dei boss al Maxiprocesso. hanno creduto o no ai teoremi di Buscetta? La difesa ha . Lo hanno confermato gli ultimi pentiti. Il potere di contrattazione sull'esito del Maxiprocesso da parte di Toto riina. Ma i giudici di Palermo. a difesa di Masino. Anche per questo i giudici d'appello non hanno creduto al famoso incontro al bacio. Ma certamente in quell'occasione. che non ha mai parlato di fatti avvenuti dopo la sua uscita da Cosa Nostra.per tutti gli uomini d'onore . ritenuto troppo a sinistra negli ambienti di Cosa Nostra. Riina e i suoi cercavano anche la fiducia di Andreotti. Furono in molti. Tutto questo in realtà accade molti anni dopo.di far votare in tutta la Sicilia il PSI e in particolare Martelli e un candidato di Partinico che mi pare si chiamasse Filippo Fiorino [. nell'87. Ho sentito che non si sono trovati bene con lui. facendo pervenire (anche all'Ucciardone) l'ordine . almeno stando alla lettura dei giudici palermitani. soltanto il frutto di una convinzione che scaturiva dalla profonda conoscenza che Buscetta ha mostrato di avere dei pregressi rapporti tra Andreotti e i suoi amici Bontate e Badalamenti. in particolare il PSI. nella casa di Ignazio Salvo in via Libertà. Va detto. Giuffré e Lipari. Invece a Mozzarella non risultano pressioni di Andreotti sul giudice di Cassazione Corrado Carnevale (di recente definitivamente assolto dall'accusa di concorso esterno) e neppure che ci siano stati impegni da lui presi nel corso del Maxiprocesso. fu perciò assai inconsistente. nel segreto dell'urna.questo contesto [dopo la guerra di mafia dei primissimi anni Ottanta] successivo alla morte di Bontate. Sappiamo come per il Boss dei Due Mondi l'intero patto tra Andreotti e Cosa Nostra verteva sui favori che l'influente uomo politico poteva garantire a Roma e tra questi c'erano naturalmente le assoluzioni ottenute a piene mani dai boss in Cassazione. il senatore deve aver avuto la conferma che la mafia in fin dei conti non aveva alcuna possibilità di spostare consistenti pacchetti di voti dalla DC a un altro partito. nel senso che Andreotti non è risultato disponibile come era tempo prima. come sappiamo.. ha detto quest'ultimo. soprattutto dopo le elezioni.]. trovino una logica motivazione nelle pesanti condanne subite dai boss al Maxi era. in definitiva. Quel confusionario di Buscetta Il colpo più duro inflitto a Buscetta da Mannoia riguarda il capitolo dell'«aggiustamento giudiziario». a disattendere l'ordine dei capimafia. . Un capitolo chiave dell'intero processo anche per via delle foto che lo ritraevano al fianco di Nino. è però comprensibile: ammettere il rapporto con i Salvo avrebbe di fatto convalidato l'assunto iniziale dell'impianto accusatorio. spigolando tra le carte.Quella frase. che intercorrevano tra Andreotti e i Salvo. pur appartenendo al rango inferiore di Cosa Nostra. avendo visto con i suoi occhi che erano stati proprio loro ad accompagnarlo con l'auto blindata all'appuntamento con Bontate.accolto con grande euforia quei giudizi della Corte d'Appello che tendono a "smitizzare" la figura del pentito. tanto da trascorrere in casa di quest'ultimo le vacanze di Natale nel 1980. Oppure si dice che il collaboratore «aveva cognizioni soltanto approssimative e lacunose. personali.«'u ficimo nuatri Pecorelli. che mostra di reggere sui punti cardine. quando ha affermato di non sapere chi fosse l'anfitrione che all'hotel Zagarella aveva organizzato un sontuoso banchetto in suo onore. Non potendo negare i rapporti con Lima. fino a rasentare l'assurdo. Ebbene Buscetta. In qualche passaggio ad esempio si afferma che alcune dichiarazioni di Buscetta in merito al processo Rimi e all'omicidio Pecorelli «sono oscillanti. vaghe e confuse». In realtà questi giudizi non intaccano l'impianto accusatorio di Masino. che per i giudici di Palermo rappresentano la chiave del suo ingresso nel gotha mafioso dei Bontate e dei Badalamenti. il più anziano dei due cugini. ha supplito alla lacuna perché è stato in grado di riferire dei rapporti diretti. come dicono i giudici. non poteva che riportare chiacchiere. per quanto debole. Vedremo più avanti. sottolineando le debolezze e le imperfezioni della sua testimonianza. perché ce l'hanno chiesto i Salvo» . soprattutto per quanto riguarda l'omicidio Pecorelli. Ma. come quest'incastro tra le due testimonianze si ripeta anche nell'intera ricostruzione della vicenda Pecorelli. aveva una conoscenza "interna" delle relazioni politiche di Cosa Nostra. La scelta della difesa. sappiamo che l'illustre imputato ha impostato tutta la sua linea di difesa asserendo di non aver mai neppure incontrato i Salvo. pronunciata da Badalamenti a Rio de Janeiro . che è stato grande amico di Lima e anche di Nino Salvo. ovvero dai supposti rapporti di amicizia che Andreotti aveva con Lima e i Salvo. Le contraddizioni avvalorano la credibilità dei pentiti e i giudici d'appello ribadiscono il concetto più volte sostenuto dalla Suprema Corte: quando un collaboratore è pilotato non sbaglia le date. colmate di volta in volta alla rinfusa da contraddittorie informazioni probabilmente desunte anche da frammentarie informazioni attinte dai mass media». Partiamo dall'inizio. Mannoia.è il punto di partenza di tutte le successive disgrazie del senatore. incastrandosi perfettamente con le più attendibili dichiarazioni di Mannoia. Buscetta. Anche Mannoia ha fatto qualche pasticcio. Ci sono in effetti dei passaggi che possono trarre in inganno. Relazioni alle quali. ciò «costituisce un fatto del tutto specifico e marginale» che non mette in discussione l'affidabilità del racconto su episodi di cui il pentito è stato testimone. Mannoia si è certamente sbagliato. pentito molto avversato dalla pubblica accusa. non poteva sminuire agli occhi del presidente il proprio ruolo di capo e in uno scatto di orgoglio mafioso aveva difeso la scelta. o tal Francesco Corniglia: per il resto la Corte costantemente ribadisce l'attendibilità non soltanto dei pentiti storici di Cosa Nostra . In realtà le critiche riguardano soltanto pentiti minori. come Enzo ed Emanuele Brusca. Sappiamo ormai come la dura reazione del boss abbia fatto capire all'allora presidente del Consiglio quanto fosse pericoloso intrattenere relazioni con la mafia. aveva raccontato che Bontate si era mostrato infuriato per l'omicidio del presidente della Regione. Nino Giuffré e perfino Pino Lipari. Mammoliti . quasi a mitigare la gravita delle loro affermazioni. Cianamino. Ed è proprio sulla base di quello che hanno raccontato in aula i collaboratori di giustizia che i giudici si sono convinti dell'innocenza di Andreotti nel periodo successivo all'80 e del fatto che i suoi rapporti con Cosa Nostra fossero entrati in crisi dopo lo storico incontro con Bontate. però. ma fanno parte di quella strategia del "bilanciamento" cui spesso fanno ricorso questi giudici. altri uomini politici in quel periodo erano soggiaciuti. non li era andati a cercare. In una prima fase. Ed è proprio la gamma di giudizi che la Corte d'Appello esprime sull"'Andreotti due". Quanto al fatto che abbia erroneamente indicato Francesco Davi come possibile killer di Mattarella. Mannoia. a partire dallo stesso Mattarella. ma questo per i giudici rivela soltanto la scarsa conoscenza da parte del pentito delle vicende politiche. i delitti politici e la corrente andreottiana Il secondo incontro tra il Principe di Cosa Nostra e Andreotti sarebbe avvenuto in una villetta nel pieno centro di Palermo.arriva in aula più preparato: la confusione avvalora la genuinità della collaborazione di Buscetta. la maggior parte delle accuse nei confronti di Andreotti. e non mette in dubbio la sua attendibilità. o alla speranza in qualche beneficio. pur non avendo condiviso la decisione di uccidere Mattarella (un delitto voluto dai corleonesi).ma anche di quelli più recenti come Giovanni Brusca. poco distante da via Pitrè. abbiano screditato tutti i pentiti addebitando alla volontà di protagonismo. quando ha collocato Mattarella all'interno della corrente andreottiana. ovvero l'Andreotti redento. Allora perché nel confronto con Andreotti aveva sostenuto la linea dura? L'interpretazione dei giudici è che non c'è contraddizione: il Principe. quella che maggiormente stupisce perché appaiono frutto non di . ad esempio. dicono i giudici. Mannoia a parte. Ma non sembrano tener conto del fatto che quest'ultimo era siciliano: i mafiosi ce li aveva in casa. Una lettura "interessata" di questa sentenza tende a sostenere che i giudici d'appello. cioè tra Andreotti e Mattarella. il quale contrariamente a Mattarella era uomo vicinissimo a Lima. si afferma che entrambi avevano fatto l'errore di sottovalutare il fenomeno mafioso e soltanto dopo fatti cruenti erano approdati alla convinzione che bisognasse prendere le distanze dalla mafia: Comunque si opini sulla configurabilità del reato. A partire dal colloquio intercorso tra Andreotti e il Principe di Cosa Nostra di cui non si sa molto: Mannoia non vi ha assistito.. quando Andreotti avrebbe invitato alla calma e diffidato Bontate dal proseguire con azioni di violenza nei confronti dei politici siciliani. duro chiarimento rimasto infruttuoso per l'arroganza del Bontate [. a tutto voler concedere alle ragioni dell'accusa. Il pentito è stato ancor meno eloquente sul contenuto del precedente incontro dell'estate '79. eventuali . che i giudici scrivono proprio con la "S" maiuscola. Ma i giudici non si soffermano su queste riflessioni e caricano l'innnervosimento di Andreotti di significati morali che debordano dal giudizio di merito e sembrano avere il puro scopo di salvare. sono state semplicemente strumentali e fittizie. Citiamo: L'omicidio Mattarella segnò il drammatico fallimento di mettere sotto controllo l'azione dei suoi interlocutori. quello nella tenuta della «Scia». successive a tale periodo.]. l'immagine dell'uomo politico di fronte alla Storia. Un'affermazione che può essere letta come un monito a non accettare la condanna per l'omicidio Pecorelli. è rimasto in giardino insieme ad altri guardiaspalle. comunque non assistite dalla effettiva volontà di interagire con i mafiosi anche a tutela degli interessi della organizzazione criminale: anzi in termini oggettivi è emerso un sempre più incisivo impegno antimafia condotto dall'imputato nella sede sua propria della attività politica. traendo da ciò la certezza che Andreotti non possa in alcun modo essere considerato «un sanguinario». Risulta evidente che. considerate le ripercussioni che gravi fatti di sangue all'interno della DC siciliana avrebbero potuto avere su di lui. Una preoccupazione del tutto comprensibile.fatti specifici ma di semplici deduzioni. progressivo e autentico . dal punto di vista politico prima ancora che umanitario.non compiutamente dimostrate . mentre era alla guida della macchina in compagnia del boss. il senatore Andreotti risponde in ogni caso di fronte alla Storia.manifestazioni di disponibilità personale del senatore Andreotti. Anche perché all'epoca del primo incontro era già stato ucciso Michele Reina (marzo '79). dopo la scelta sanguinaria di costoro. promuovendo un definitivo. I giudici fanno proprie le deduzioni del pentito sul fatto che lo scopo dei viaggi in Sicilia dell'allora presidente del Consiglio fosse quello di scongiurare il delitto Mattarella. per quanto possibile. E in un ardito confronto tra il comportamento dell'imputato e quello della vittima. Così come la Storia gli dovrà riconoscere il successivo. ormai considerato il Capocorrente.. tutto quello che è stato in grado di riferire lo ha appreso durante il viaggio di ritorno. Ciancimino aveva cattivi rapporti con Lima ed era anche mal sopportato dall'ala moderata di Cosa Nostra. I giudici d'appello sembrano voler ignorare questi sospetti e dedicano un intero capitolo alla ricostruzione dell'iter politico di Ciancimino. ma di un piano strategico ad ampio respiro. come altri delitti politico-mafiosi di quel periodo. muovevano infatti dal duro scontro tra le vittime e Ciancimino. con il quale si sarebbe incontrato soltanto in quattro occasioni.impegno nella lotta contro la mafia. siano maturati all'interno della corrente andreottiana come velenoso frutto della lotta fratricida tra l'ala moderata di Cosa Nostra e i corleonesi. che avevano la loro rappresentanza politica in Lima e Ciancimino. al termine del quale si deduce che il «sindaco nelle mani dei corleonesi». come lo definì Buscetta. al quale entrambi avevano negato favori e richieste legate ad appalti che interessavano imprenditori vicini ai corleonesi. Il contesto descritto è di poco precedente alla primavera '80: siamo alla vigilia della guerra di mafia. Per . la incolumità di suoi amici e perfino messo a repentaglio quella sua e dei suoi familiari e che ha seguito un percorso di riscatto che può definirsi non unico. Una vera e propria faida all'interno della roccaforte andreottiana. le cui sorti solo in qualche breve periodo si sono intrecciate con quelle della corrente andreottiana. Si ricordi la già riportata pagina di appello nella quale efficacemente si tratteggia la parabola dell'eroico presidente Mattarella e il passaggio graduale dalla sottovalutazione del fenomeno mafioso alla lotta aperta allo stesso. così almeno era stata considerata fino a questa sentenza. condotto perfino a dispetto delle rispettabili tesi giuridiche di personaggi di sicura e indiscutibile fede antimafia e se si volesse condividere la ricostruzione prospettata dall'accusa . Tale lettura sgombra il campo dal più grave dei sospetti e cioè che l'omicidio Mattarella. proprio a causa del suo legame con i corleonesi. visto che «potevano arrivare tranquillamente a Roma grazie ai Salvo». a capo di un suo gruppo politico. in particolare da Bontate. Forse una delle cose che ha più rasserenato Andreotti è che i giudici di Palermo non ritengono che egli abbia mai intrattenuto rapporti diretti e privilegiati con l'ex sindaco di Palermo.la mafia non aveva alcun bisogno. In verità l'unico a morire è stato molti anni dopo Salvo Lima e sappiamo come non si sia trattato di una vendetta "spicciola".impegno che in definitiva ha compromesso.diceva . I maggiori sospetti sul movente degli omicidi politici di Palermo. ma in veste di battitore libero. come poteva essere prevedibile.anche con notevole maestria diplomatica . Anzi. almeno quelli di Reina e Mattarella. tra il 1976 e il 1983. Vito Ciancimino. che aveva una pessima opinione di questo piccolo e arrogante assessore: lo considerava un «piantagrane» del quale . quando i corleonesi alzano il tiro e decidono di colpire i politici che contrastano i loro interessi. era sì un esponente di rilievo della DC siciliana. A tal fine prendono anche in esame la testimonianza del boss Frank Di Carlo che. favore attribuito all'interessamento di Andreotti).presente all'incontro. secondo il quale neppure Riina voleva sentire più parlare di Ciancimino. L'unico sostenitore di Don Vito era rimasto Provenzano: «Ma tutti lo sfottevano per questa passione che gli era rimasta per l'ex assessore».Anche se nelle motivazioni gli rimproverano di averlo fatto "dialogando" con i mafiosi. visto che consentiva ai boss di metterlo a parte di tali gravissime decisioni «certi di non subire alcuna conseguenza». non potendosi più fidare di Lima. avrebbe utilizzato Ciancimino come tramite per arrivare ad Andreotti. aveva insistito: «Nino Salvo può rivolgersi direttamente ad Andreotti che ha dato modo di farci vedere che era a disposizione in qualche cosa che l'avevamo disturbato». Totò Riina. dove sembrano dare apertamente ragione alle tesi della pubblica accusa. Quale sia stato il ruolo di Ciancimino nella vicenda Mattarella non viene approfondito. più o meno a metà degli anni Ottanta. al di là delle temporanee convergenze. omettendo di denunciarli». A smentirlo è stato anche Lipari. La trattativa Moro nello "scambio di favori" Non fu soltanto un accordo elettorale quello intercorso tra Andreotti e i boss. raccontò che Nino Salvo aveva duramente contrastato Ciancimino affermando che l'assessore era una palla al piede. poiché era «interessato a mantenere buone relazioni con essi. al processo d'appello della Procura di Novara (sul trasferimento di Leoluca Bagarella e altri mafiosi siciliani dal carcere di Pianosa a quello di Novara. sia negli ambienti politici che in quelli mafiosi. La scarsa considerazione in cui era tenuto l'ex assessore. Uno di questi riguarda i vantaggi in termini di . mal visto in politica e senza elettorato. pur essendo a conoscenza dei loro piani. Bontate. L'economo dei corleonesi arriva ad ipotizzare: «Quando Provenzano decise che bisognava abbandonare la DC per appoggiare i socialisti molti di noi hanno ritenuto che questa alzata di ingegno fosse di Ciancimino». il quale era secondo i giudici «certamente e fieramente contrario all'omicidio e il cui intervento nella vicenda ha avuto l'unico scopo di tutelare l'incolumità di Mattarella». i giudici d'appello manifestano severità sui punti cardine dell'inchiesta. Ai giudici interessa soprattutto dimostrare la sua distanza dalla corrente andreottiana. mentre non hanno creduto a Giuffré quando ha raccontato che. Nonostante il tono apparentemente bonario e comprensivo di alcuni passaggi.non perdere il controllo dell'organizzazione Bontate è costretto ad avallare i loro piani di morte fino a mettere in crisi il rapporto con Andreotti. Da questa e altre testimonianze i giudici ricavano la conferma delle buone relazioni di Andreotti con i cugini Salvo e l'ala moderata di Cosa Nostra. fa dunque escludere secondo i giudici che egli possa aver sostituito negli anni '80 quel ruolo di cerniera tra Cosa Nostra e Andreotti che era stato di Lima e dei cugini Salvo. in taluni peculiari casi.dal Buscetta che peraltro. Non era stato lui a introdurre il capitolo dei "grandi favori" fatti dai boss ad Andreotti? A raccontare dell'incarico affidatogli da Bontate per tentare di salvare Moro? A ben vedere la sentenza d'appello fa suo il quadro delineato da Masino. nell'ambito di successive dichiarazioni non ha mancato di rivelare.. caduta l'ipotesi dell'aggiustamento giudiziario.] potrebbe includersi il tentativo di interessare la mafia attraverso il Bontate al salvataggio dell'on. a soluzioni difficilmente raggiungibili seguendo canali ortodossi.potere politico che Andreotti avrebbe ricavato dalle sue relazioni mafiose. Eccolo lì: il solito svagato Buscetta ha colpito ancora.]. talora anche cruenti.dell'imputato o di amici del medesimo [. stando alla lettura che ne da la Corte d'Appello.in termini espliciti ancorché in via deduttiva . non celerebbero aleatorie finalità superiori ma interessi del tutto personali: Andreotti usufruiva del solerte attivarsi dei mafiosi per soddisfare. lascia intravedere ai giudici soltanto concessioni di piccolo conto. relazioni certamente propiziate dagli intimi rapporti già intrattenuti con Lima. qualche approssimazione. anche se i giudici ne danno una lettura buonista affidando all'iniziativa di Andreotti l'esclusivo . L'interesse di Andreotti a intrattenere buone relazioni con i boss andava ben più in là.. ovvero per arrivare. In questo quadro [.di per sé non sempre di contenuto illecito . Quella frase.] hanno certamente determinato il generico appoggio elettorale alla corrente andreottiana per altro non esclusivo e non esattamente riconducibile ad una esplicita negoziazione e. ricorrendo ai loro metodi.. come gli è accaduto.. visto che. i boss dai rapporti con i politici potevano al massimo aspirare a risolvere piccole questioni di carattere quotidiano come la concessione di licenze edilizie o l'elezione di candidati a loro più vicini. appare più interessante considerare la spinta determinata dalla possibilità di utilizzare la struttura mafiosa per interventi che potrebbero definirsi extra ordinem. possibili esigenze .anche se lo definisce un po' imprecisetto. attribuita da Di Carlo a Bontate. non riferibile precisamente alla persona dell'imputato. Il caso Moro entra dunque a pieno titolo nel verdetto di Palermo. con cui il capomafia sembra dichiararsi soddisfatto che Andreotti si fosse mostrato disponibile «per qualcosa che l'avevamo disturbato». Moro. Le amichevoli relazioni con Bontate e Badalamenti [. La tesi è che dal patto con la mafia in definitiva a guadagnarci di più sia stato proprio Andreotti. I rapporti di scambio tra lui e l'ala moderata di Cosa Nostra. che viene prospettato . qualche incoerenza e qualche imprecisione... comunque. Ed è questo uno dei passaggi più delicati della sentenza d'appello. perché conduce al terreno minato della trattativa tra mafia e terrorismo durante il sequestro del Presidente DC. Vediamo: Nel tentativo di spiegare la propensione dell'imputato a intrattenere personali e amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra. Ma la testimonianza di Buscetta regge sul punto cardine: Andreotti si era rivolto ai Salvo per ottenere l'interessamento di Bontate alla liberazione di Moro. Una deduzione che. Proprio quelle carte cui Pecorelli e Dalla Chiesa davano la caccia nel carcere di Cuneo. collegandoli all'intreccio Pecorelli-Dalla Chiesa. e dal fatto che. Vedremo come Buscetta e altri pentiti. asserendo che la «defatigante» [sic] ricerca attorno ai contenuti segreti delle due versioni. anche se (e questo comprensibilmente fa molto piacere alla difesa del senatore) sottolinea le contraddizioni e le imperfezioni della testimonianza di Masino. perché mina la credibilità del movente omicidiario indicato da Buscetta. anche su . In ogni caso. ma il recupero dei suoi scritti. nasce dal fatto che il maresciallo Incandela afferma di non conoscere il contenuto di quel centinaio di pagine che nel gennaio '79 fece recapitare al generale. Dalla Chiesa gli chiese di procacciargli altri documenti su Andreotti. I giudici di Palermo sembrano sottovalutare il capitolo del Memoriale. lo stesso «credibilissimo» Mannoia. i giudici di Perugia accreditano l'ipotesi che a partire dal 10 aprile 1978 l'obiettivo prioritario della trattativa segreta non fosse la salvezza di Moro. E appare chiaro come Dalla Chiesa abbia continuato a cercare gli originali del Memoriale. sviluppatasi con perizie e controperizie sia da parte dell'accusa che della difesa. quella del '79 e quella del '90. non smentisce ma rafforza l'impianto del processo di Perugia. mala e Brigate Rosse. Ma la cosa più interessante è che questa sentenza conferma il diretto intervento di Cosa Nostra nel sequestro del presidente della DC. naturalmente. Ma la complessa vicenda della sparizione di alcuni scritti di Moro non si esaurisce. che anzi questa non interessava più una parte della DC. si è in definitiva «dimostrata inutile» perché Dalla Chiesa e Pecorelli non erano in realtà riusciti a trovare il documento. Il racconto di Masino. o dei Memoriali. e cioè del Memoriale. qualche mese dopo l'assassinio del leader DC. anche in seguito. il fatto che la Corte d'Appello di Palermo riconosca come realmente avvenuta l'apertura di una trattativa tra mafia. con il fortuito ritrovamento delle carte in via Montenevoso. da enfasi a questo passaggio della sentenza. La difesa. Non si può ignorare il significato dirompente che le affermazioni dei giudici palermitani rischiano di assumere se sommate all'interpretazione che la Corte d'Assise d'Appello di Perugia da degli stessi fatti. e che diventano nel processo Pecorelli il "movente politico" dell'omicidio del giornalista intenzionato a pubblicare il documento. In una diversa ricostruzione.obiettivo di salvare la vita di Aldo Moro. alludono invece al fatto che da un certo momento in poi non fosse più in gioco la salvezza dell'ostaggio. un intervento attribuito a una specifica richiesta di Andreotti. come vedremo a fondo. Vedremo più avanti come l'ombra della mafia affiori nella gestione degli ultimi giorni della prigionia. come abbiamo già visto. Il verdetto di Palermo apre dunque un nuovo scenario nel delitto Pecorelli: se appare poco credibile che Vitalone o Evangelisti possano essersi fatti avanti per chiedere l'eliminazione del giornalista senza informare il Presidente. La verità processuale resta dunque quella indicata da Masino: il giornalista romano è stato ucciso dalla mafia per fare un favore ad Andreotti. Sono nostre considerazioni: la Corte d'Appello non si inoltra su questo scivoloso terreno. Pecorelli è stato soppresso per ordine dei capimafia Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti. nell'esercizio della sua attività di giornalista. Quand'anche la condanna a 24 anni fosse annullata. Lima o lo stesso Vitalone». Pecorelli. il presidente Scaduti gli offre però una via d'uscita secondaria: «Ad attivarsi potrebbe essere stato qualche "solerte sodale" dei molti che frequentavano i cugini Salvo. riconosce la "plausibilità" del movente ma si dice certa dell'innocenza di . gli uomini del suo partito. si potrebbe però ancora arguire che il mandato omicidiario sia stato frutto di "un equivoco". se la soluzione del presidente Verrina è che Andreotti non poteva non sapere. avrebbe manifestato dubbi sull'iniziativa tesa a salvare la vita all'ostaggio delle BR: E rivolgendosi a Bontate lo avrebbe avvertito: «Stefano.].. come Evangelisti. maturato nell'entourage andreottiano.questo capitolo. ma che per questo fu accusato di essere il mandante di un omicidio commesso dai boss. I romani. a non volere che sia liberato». ma non l'hai capito che sono loro. Il giudizio è riassunto in quattro righe: Mino Pecorelli. unico sopravvissuto di quell'ala moderata di Cosa Nostra. Per quanto riguarda le responsabilità penali del senatore. come Andreotti"ignari" della pericolosità criminale dei loro interlocutori. cui viene attribuita la responsabilità dell'omicidio. si sarebbero attivati rivolgendosi a Bontate e Badalamenti. durante la quale Pippo Calò.. convinti di aver ricevuto l'ordine di uccidere. a causa del differente linguaggio usato dai suoi sodali. su sollecitazione dei Salvo per favorire Andreotti. s'incastra con quello di Mannoia che riferisce di una tempestosa riunione dei capi di Cosa Nostra svoltasi una quindicina di giorni dopo il rapimento del presidente DC. la Storia con la "S" maiuscola sarà costretta ad ammettere non soltanto che Andreotti aveva intrattenuto rapporti con la mafia. dava o poteva dare fastidio ad Andreotti [. consente ai giudici di Palermo di riconoscere l'«astratta plausibilità» del movente del delitto Pecorelli. non avrebbero valutato le terribili conseguenze che potevano avere le loro lagnanze su Pecorelli. legati al caso Moro. I cugini siciliani. che poteva essere «danneggiato politicamente» da documenti riguardanti il caso Moro che il direttore di «OP» intendeva pubblicare. un movente «plausibile» La ricostruzione di questi retroscena. ma soprattutto di non mettere in dubbio la fondatezza della condanna di Perugia nei confronti di Badalamenti. sceso da Roma. la sentenza si . Certo è che la decisione di non ricorrere in Cassazione ha collocato le reazioni e i commenti in un limbo iperreale. «È una motivazione molto articolata». a torto o a ragione. Ai confini della realtà Resta da comprendere perché mai Andreotti abbia. Forse vai la pena di farla illustrare anche dal diretto protagonista. i giudici non vanno oltre una historia minor. essendo la Storia qualcosa di diverso e di più complesso di quanto possa essere scritto nelle motivazioni di una sentenza». ha risposto con una delle sue solite battute al vetriolo. Probabilmente per questo il collegio di difesa subito dopo la sentenza non è sembrato invogliato a fare ricorso: «Forse non vale la pena proporre impugnazioni contro una sentenza che comunque riconosce l'impegno del senatore nell'interesse del paese e demanda il giudizio alla Storia». ha commentato saggiamente l'avvocato Giulia Bongiorno. in forma del tutto inusitata ha dettato all'ANSA una nota che suona come una sorta di "interpretazione autentica": Rimango sinceramente incredulo e amareggiato nel leggere taluni commenti dai quali si desume che nessuno abbia minimamente letto le motivazioni [. deciso di accettare giudizi così devastanti per la sua immagine di statista e uomo politico e abbia accolto con tanta filosofia la parziale condanna di Palermo che reca tali pesanti implicazioni. e visto che non sono stato condannato. Ai giornalisti l'ha spiegata così: «C'è qualche giudizio pesante. cioè dal giudice Totò Scaduti. dove si spazia da un imbarazzato silenzio a disinvolti commenti sull'impossibilità di non interagire con la mafia.] altrimenti non si comprenderebbe come si possa affermare che la sentenza ha "sbugiardato" le accuse di mafiosità e le connivenze mafiose tra Cosa Nostra (fino alla primavera 1980) e il senatore Andreotti.. non a livello locale.Andreotti laddove afferma. amen».. In un processo a me interessano i risultati finali.Accuse di mafiosità e connivenze che. Il libro nero della Prima La lettura del verdetto è stata come si vede molto controversa. che egli «mai sarebbe ricorso all'omicidio per eliminare avversari politici». nella vicenda Mattarella. questi risultati mi sembrano buoni». e con un uomo che ha ricoperto i più alti incarichi di governo. in questa motivazione ci sono anche aspetti positivi e dopo dieci anni che sto dietro alle mie vicende giudiziarie ho imparato che bisogna leggere tutte le carte. E il giudizio che darà la Storia? «Quanto alla Storia. fino alla parossistica rivalutazione dell'"Andreotti due" aggiustando qua e là il significato storico di una sentenza che ha comunque per la prima volta affermato l'esistenza di un rapporto tra mafia e politica. ma soltanto nelle 13 cartelle finali. che irritato da tante speculazioni sulla "sua" sentenza. Un giudizio storico che il professor Coppi accoglie con sollievo: «Sono crociano e secondo un autorevole insegnamento del filosofo. mentre sembrava meno provato il capitolo sul "mandato" omicidiario.. ovvero in che . riassumiamo i punti che ci appaiono più rilevanti per capire il significato di una sentenza che darà agli storici molto da fare. Non è credibile che Andreotti abbia potuto chiedere ai Salvo "il favore" di uccidere Pecorelli. firmata dal PM Giovanni Salvi.]. Dunque: Andreotti era in rapporti di tale confidenza da poter chiedere ai Salvo favori di rilievo come quello di un intervento della mafia nella vicenda Moro. ma perché la vicenda Mattarella dimostra come il senatore fosse uomo contrario a ricorrere alla violenza per eliminare i suoi avversari. [. Non hanno senso le critiche] secondo cui «fino ad un certo punto sono credibili le motivazioni dei pentiti e da una certa data in poi non lo sono più» [.movente che riconduceva in un modo o nell'altro ad Andreotti -.. Essa ha fatto riferimento ad una miriade di collaboratori che hanno riferito con riguardo a periodi temporalmente diversi e che sono stati ora creduti e ora disattesi nel più rigoroso rispetto delle regole processuali.]... nella quale la Procura di Roma sosteneva che esistevano elementi abbastanza certi per individuare un "movente" nell'omicidio Pecorelli . La Corte non ha mai parlato dello stesso collaborante come credibile fino ad una certa data e non dopo. Nessuna contraddizione esiste nella motivazione della sentenza. Andreotti ha effettivamente incontrato i cugini Salvo e Tano Badalamenti a Roma.. non già perché Buscetta non collega la richiesta all'incontro romano («il progetto poteva non essere ancora maturato»).. È credibile che Andreotti si sia rivolto al boss dicendogli: «Di uomini come lei ce ne vorrebbero ad ogni angolo della strada». Non è accoglibile la tesi della "non credibilità" su questo punto del la testimonianza di Buscetta per "l'assurdità" di un incontro nel pieno centro di Roma tra l'allora presidente del Consiglio e un boss mafioso: Badalamenti non era così facilmente riconoscibile . e cioè a quella richiesta di rinvio a giudizio al Senato. L'affermazione dimostrerebbe come il senatore non avesse all'epoca consapevolezza della pericolosità criminale degli uomini di Cosa Nostra. come abbiamo detto. La via d'uscita da quest'ingarbugliato capitolo i giudici di Palermo.. ad attivarsi per difendere l'immagine del presidente del Consiglio. quindici giorni prima dell'omicidio Pecorelli.e poi si trattava di un incontro riservato. La sentenza di Palermo sembra ritornare al punto d'inizio.. nel suo studio. Nel tentativo di fare chiarezza. la trovano ipotizzando che possa essere stato qualche «solerte sodale». come abbiamo detto.è data carico di dimostrare puntualmente nel rispetto delle risultanze processuali e nella scrupolosa osservanza delle regole imposte dall'articolo 192 del Codice di Procedura Penale [.dicono i giudici .e] «si è voluto dare un colpo al cerchio e uno alla botte» [. proprio il 9 maggio 1978. se non si è stati assolti. al delitto Moro. di Buscetta. che la mafia tutto poteva fare «ma non dichiarare guerra allo Stato». e lo ripeteva spesso. depositario di molti misteri italiani: dallo sbarco alleato nel '43 alla nascita della Gladio siciliana. senza essere certi di fare un favore. Tano Badalamenti. giorno in cui Moro fu ucciso dalle Brigate Rosse. basta almeno non essere stati condannati. al golpe Borghese. fatto trovare cadavere sui binari della ferrovia. amen. Il boss è l'ultimo padrino di Cosa Nostra ancora in vita. Tano. a dicembre. trattandosi poi di Andreotti. I giudici di Perugia hanno creduto a Buscetta laddove afferma: «Non si va ad uccidere a Roma una persona che non si ha interesse di uccidere.quel «signore che vive nel New Jersey». lo ritroviamo a Rio de Janeiro la sera in cui fu ucciso Dalla Chiesa. dei Salvo. Era un rappresentante della famiglia "contadina" di Cosa Nostra. gli aveva dichiarato guerra dai microfoni di una radio libera. alla fine. abituata a gestire i suoi traffici nel rispetto delle istituzioni. negli anni della contestazione studentesca approdata anche a Cinisi. ideata da Tano Seduto. quello che conta sono i risultati. "Tano seduto" è l'irriverente. se Andreotti volesse salvarsi da giudizio della Storia. Quanto alla Storia. Una macabra messinscena. Ma i soci di Badalamenti non erano soltanto mafiosi: erano coinvolti negli affari di Alicante anche . che ora nel carcere del New Jersey sta scontando la pena anche per questo lontano delitto. Non si uccide nel dubbio che la persona. imbottito di tritolo per simulare un fallito attentato. Ma il senatore è un pragmatico: per lui. in Spagna. Nell'81 era "scappato" dopo aver perso la guerra con i corleonesi: all'interno di questo processo. come sappiamo. alla luce di quanto afferma la sentenza di Palermo. la Criminalpol individuò cospicue tracce dei suoi traffici ad Alicante. caustico soprannome che gli aveva affibbiato il giovane Giuseppe Impastato che. il 3 settembre 1982. Ma appena due mesi dopo. Per questo. dove la polizia italiana era convinta che si fosse rifugiato un buon numero di "scappati" dopo la guerra di mafia. il coimputato L'unico coimputato di Andreotti al processo di Perugia.modo e da parte di chi questa richiesta potesse essere giunta alla mafia. non è personaggio che possa passare sotto silenzio nella ricostruzione di questo processo. Ma era anche amico. che peraltro si fa per essere ricambiati. convinto. possa non essere d'accordo o magari subirne danno». di Bontate. Una storia che ha ispirato il bellissimo film I cento passi di Marco Tullio Giordana: film ispirato dalla vicenda giudiziaria sulla morte di questo ragazzo. insomma dell'Onorata Società palermitana. dovrebbe ottenere l'annullamento di entrambe le sentenze. Badalamenti era un esponente della vecchia mafia. Una valutazione che non è illogica o folle. Un incontro motivato dal desiderio di Badalamenti di ringraziare personalmente Andreotti per 1'" aggiustamento" di un processo a carico del cognato Filippo Rimi e del figlio di questi.piduisti e uomini politici. non avendo egli mai dato sentore di voler collaborare con la giustizia. ma che da un'idea delle relazioni di cui godeva il boss di Cinisi anche durante il periodo della latitanza e nonostante i nemici di Cosa Nostra gli stessero dando la caccia. e riguarda la battaglia tra accusa e difesa. mentre ero in carcere all'Ucciardone». alcune vicende chiamavano direttamente in causa anche il segretario di quel partito. cioè appena un mese prima dell'omicidio Pecorelli. Ma Masino in quel periodo era latitante. ricorda la difesa di Andreotti: sarebbe stato arrestato soltanto l'anno successivo. piduista. Quando le "carte" arrivarono al Viminale si capì subito che si trattava di un dossier scottante e qualcuno si adoperò per evitare che arrivasse ai giudici: a Falcone fu inviata soltanto una relazione molto omissiva. per la sua qualità di imputato nello stesso processo. Badalamenti lo avrebbe rivelato a Buscetta la stessa sera in cui gli aveva confidato il suo ruolo nel delitto. Il processo Rimi L'incontro tra Andreotti. La decisione adottata dai magistrati fu salomonica: andarono a interrogarlo negli USA.Il senatore sembrava interessato a quanto poteva dire il vecchio Padrino. ministro della Repubblica. Uno scandalo che coinvolgeva una rete di società finanziarie e imprenditrice che verrà alla luce soltanto dieci anni dopo grazie a Mani Pulite. Uno dei soci di Badalamenti era Roberto Termini. questa di Alicante. oltre che di un lussuoso complesso alberghiero e di alcuni residence su quel tratto di scogliera spagnola. Vincenzo. Una storia vecchia. Ma prima di parlare di questi viaggi. sul rientro di Badalamenti in Italia perché testimoniasse sui suoi rapporti con Andreotti. alla presenza di Nino Salvo. Franco Nico-lazzi. Negli incartamenti furono trovate prove di investimenti fatti da costoro nella costruzione dell'aeroporto di Linate. Quanto . In ogni caso tutti si aspettavano qualche "sorpresa" dai viaggi americani. durante l'istruttoria e poi all'interno del processo. figliastro dell'allora vicesegretario del PSDI Roberto Massaro. La storia che a noi interessa è però un'altra. dobbiamo affrontare un altro capitolo importante delle accuse rivolte ad Andreotti da Buscetta. ovvero la sera dell'omicidio Dalla Chiesa. I ricordi di Buscetta sull'episodio sono in realtà piuttosto confusi: «Del fatto che i Rimi stessero aspettando la sentenza assolutoria dalla Cassazione avevo saputo dallo stesso cognato di Badalamenti. Badalamenti e Nino Salvo sarebbe avvenuto nel febbraio 79. soprattutto sperava che potesse venirgli in soccorso smentendo le "bugie" di Buscetta. nel suo ufficio. il quale affermò di essere a conoscenza di un incontro avvenuto tra il senatore e Badalamenti a Roma. nel 71. Le sorprese in effetti non sono mancate e furono anzi drammatiche. La peggiore certamente riguarda il suicidio del maresciallo Antonino Lombardo. qualche sorpresa l'hanno data. nel pieno centro di Roma e forse alla presenza degli uomini della scorta». nei giardini profumati di zagara della caserma Bonsignore. ovvero la pianificazione del delitto. «Tanto prudente da ricevere in pieno giorno due capimafia nel suo studio. Il problema è che molte sentenze della Cassazione affermano che la confusione di date. molto citato nel processo perché nel corso della conversazione Andreotti. Un film nel film. il maresciallo Lombardo si sparò un colpo di pistola alla tempia.alla definitiva assoluzione dei due boss. da vero mafioso: «Forse voleva dire che di uomini come me ce ne voleva uno impiccato a ogni angolo di strada». Lombardo aveva in tasca banconote per cinque milioni e una lettera di addio alla moglie e ai figli. nella notte di sabato 19 marzo 1995. . Questa: Mi sono ucciso per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e dei miei figli che sono tutta la mia vita. che se fosse "imbeccata" si rivelerebbe più precisa. negando che sia mai avvenuto. Gli avvocati di Andreotti affermano che di questo episodio. Rossella perdonatemi. chiedendosi come sia potuto accadere. rivolgendosi a Badalamenti. E aggiunge: «Non è un caso che nella motivazione la Corte d'Appello non faccia cenno a quest'episodio. come si diceva. una storia che meriterebbe da sola un libro a parte. nel corso degli anni. suicidio del maresciallo Lombardo I viaggi americani dei giudici. Sollevano poi un punto interessante. condotta da Ennio Remondino. durante una memorabile intervista al TGr. gravida degli odori e dei segreti dell'isola. A Palermo. Buscetta ha dato tre versioni diverse. ma in modo subdolo. Giù-seppe. dopo una concitata discussione con i suoi superiori prima di salire sull'auto. «Forse perché Andreotti era prudente». ironizza l'avvocato Giulia Bongiorno. anzi dimostrano l'autenticità della testimonianza. che la conversazione riguardasse il processo Rimi e non un altro argomento ben più importante. o altre imprecisioni nella testimonianza dei pentiti. non invalidano la loro credibilità. nell'imminenza dell'omicidio Pecorelli. soprattutto per fatti lontani nel tempo. pochi giorni prima del supposto incontro. Restano comunque validi i dubbi manifestati dalla difesa. questa arrivò soltanto il 13 febbraio 1979. gli avrebbe detto: «Di uomini come lei ce ne vorrebbe uno a ogni angolo di strada». Fina. il boss di Cinisi una sua versione l'ha data. Non ho nulla da rimproverarmi perché sono stato fedele all'Arma e malgrado sia arrivato a questo punto rifarei quello che ho fatto. forse perché dimostra che Buscetta ha mentito. Fabio. inizialmente tanto importante. La verità è che questo è un processo di latta». Quanto all'incontro con il senatore. ». LIBRO NERO DELLA PRIMA REPUBBLICA in Sicilia tra boss e carabinieri. Salvatore Palazzolo. aveva duramente attaccato il maresciallo Lombardo. a lui la trasmissione televisiva non interessava: «La mia delegittimazione sta nei viaggi americani. Ricordatevi che il giorno più bello della mia vita da carabiniere è stato il 15. ma svolto a fini istituzionali.. questa poteva venire soltanto dal maresciallo maggiore. i suoi viaggi in America avevano questo scopo.Vi amo immensamente. dove bisognava camminare nel fango. legato a . durante un interrogatorio aveva assicurato che era «un avvicinabile». mio padre. come da sempre ci sono Il. dove Badalamenti si trovava agli arresti da circa dieci anni.01. da tre mesi incaricato di accompagnare la delegazione dei magistrati italiani nel carcere di Fairton. Vittorio Mele. Un motivo che andava ben al di là del processo Andreotti. Forse anche quello di smentire le accuse contro il senatore. divenuto collaboratore di giustizia. Il maresciallo aveva realmente collaborato alla cattura di Totò Riina e nel momento in cui si è ucciso il suo obiettivo era arrestare Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella. Dietro il suo ruolo ufficiale.. affidata al maresciallo Lombardo. il maresciallo maggiore era chiamato a svolgere un compito delicatissimo di intelligence. nel New Jersey. Qualche giorno prima. Era uno dei pochi che aveva il coraggio di attraversare i confini posti dai due schieramenti che si fronteggiavano sul suo territorio: le famiglie devote a Badalamenti e quelle legate a Riina. durante la trasmissione Tempo Reale di Michele Santoro. In questa caccia gli stavano dando una mano i fedelissimi di Badalamenti.1993. ma non se ne è mai avuta conferma. Anche un uomo d'onore del luogo. della Rete di Leoluca Orlando. il sindaco di Cinisi. Se esisteva qualche speranza di ottenere informazioni da Tano. I magistrati non presero alcuna iniziativa: sapevano che il maresciallo combatteva la sua guerra "in territorio nemico". accusandolo di collusione con i boss della zona. il cui obiettivo era convincere Badalamenti a rientrare in Italia perché contribuisse alla cattura dei corleonesi. arresto cui ho dato un grosso contributo che può essere confermato o smentito dai maggiori che sanno. giorno dell'arresto di Totò Riina. li dovevo restituire al servizio amministrativo del Comando generale per una delle due missioni in America e concludo dicendo che la chiave della mia delegittimazione sta nei viaggi americani. Saluto anche gli amici fidati (pochi). un rebus per tutti coloro che ignoravano quale fosse la missione particolare e segretissima. Una lettera chiarissima per il vertice dell'Arma. le mie sorelle e i superiori gerarchici con cui ho lavorato e con loro ho rischiato la vita unitamente a pochissimi colleghi. Tra lui e Badalamenti c'erano rapporti antichi. I cinque milioni che si trovano nella tasca posteriore dei pantaloni. E nella sua lettera non c'è traccia delle polemiche roventi di quei giorni su Tempo Reale. Un lavoro "sporco". fuori dalla sua fabbrica di specchi. Era di nuovo guerra di mafia: diciotto morti in tredici giorni e sullo sfondo i viaggi americani del maresciallo maggiore Antonino Lombardo. Lo avevano esposto per far fallire l'operazione. era stato ucciso Domingo Buscetta. e poi Tano avrebbe fatto quello che doveva in un modo o nell'altro. Un mese prima a Corleone era stato giustiziato Giusto Giammona. «Nell'Arma ci sono cani che portano fuori le ossa». preferiva risolvere lui la questione.Badalamenti da vincoli misteriosi che affondavano nel passato. il nipote di Masino. Due mesi prima di spararsi alla tempia. tra chi lo sospettava di tramare contro il processo Andreotti e chi conosceva il vero motivo della sua missione. in quella situazione. Qualcuno aveva parlato. o ammazzargli i figli. Lombardo faceva parte di Gladio? Chissà. Ma di cosa parlavano. Cadevano uno dopo l'altro gli uomini legati alla vecchia mafia: due giorni prima era stato massacrato di colpi Marco Grado. lui che ci guadagnava? Certamente Tano sperava di ottenere la libertà provvisoria. e Badalamenti che cosa avrebbe dovuto dire? Attaccarlo o difenderlo? E in cambio di cosa. Lombardo non aveva dubbi. A guidare la faida era Leoluca Bagarella. un altro "infame" come Buscetta. per le strade erano tornate a fischiare le pallottole. in via delle Alpi. Francesco Brugnano. come lor signori preferivano. Era stato lui a contattare il boss quando fu il momento di organizzare il golpe Borghese: lo fece su incarico del colonnello Giuseppe Russo. ma allora se dovevano ammazzarlo. era un segnale che qualcuno gli stava mandando. certo è che Tano Seduto si fidava soltanto di lui. Di questi viaggi mi è rimasto nel cassetto un rapporto del 18 dicembre 1994. Forse era disposto a testimoniare. qual era la trattativa segreta in atto tra il maresciallo e il boss? Badalamenti voleva tornare in Italia e il processo Andreotti era un'ottima occasione per tirarsi fuori da quel carcere americano. Poi era sparito il cane. poche settimane dopo erano stati crivellati di colpi la sorella Giovanna e il marito Francesco Saporito. nipote del socio di Badalamenti e di quel "cornuto" di Totuccio Contorno. di sicuro lo ammazzavano. ha detto il colonnello Mario Mori. ma se tornava a Cinisi. E poi c'era stata la trasmissione in TV. Lombardo aveva avuto il primo segnale che quei viaggi in America erano pericolosi: a cento metri da casa sua era stato trovato "incaprettato" un confidente. E Lombardo l'aveva sempre saputo: era stretto tra una tenaglia. Bisognava "ripulire le strade" dai nemici. che in Sicilia vuoi dire: stai attento che ti ammazziamo i figli. all'epoca comandante del ROS. ma i tempi erano cambiati. Verbali e pallottole Quel colpo di pistola esploso dentro la caserma Bonsignore era riecheggiato in una Palermo già bagnata di sangue. Un . Quello stesso pomeriggio. fare presto. Traspare dalla lettera che il maresciallo era sicuro che qualcuno lo avesse tradito. il 18 marzo 1995. firmato dal maresciallo al suo ritorno da una missione negli USA con i magistrati Fausto Cardella e Gioacchino Natoli. ha apprezzato solo il giudice Falcone. perché quel giorno Badalamenti era nervoso. forse perché non era particolarmente significativo. che era quello che più premeva a entrambi. Alle dieci e trenta circa alla presenza dei sopracitati agenti dell'FBI e dell'avvocato Truman. L'interrogatorio è allegato al rapporto. In dialetto siciliano ribadiva di ritenerci persone serie ma di sentire "l'acido nello stomaco" a causa di un approccio non riservato e da parte di una sola Autorità così come preannunciato. per un primo colloquio con il maresciallo Lombardo.viaggio fallimentare. il Badalamenti è stato condotto in una stanza adibita a colloqui. ma convalidate dal successivo comportamento del boss di Cinisi. ma non ne ho copia. ha riferito di aver ricevuto la visita del procuratore Tinebra che si è di mostrato gentilissimo ma "politicizzato".riportato più avanti nel rapporto che così prosegue: «A mia espressa domanda rispondeva di accettare in futuro altri incontri e di essere pronto a sostenere confronti con chiunque. si è dichiarato innocente nell'ambito della Pizza Connection per cui sta ingiustamente scontando una lunga pena detentiva. Contrariamente alle aspettative.. senza però toccare argomenti che potessero tradire il formale inserimento in Cosa Nostra. rappresentante del governo USA. ha ripetuto alcuni concetti. a seguito delle previste procedure. come riteniamo. Era evidentemente infastidito dalla presenza del PM Natoli. . colloquio di cui Lombardo da la seguente sintesi: Badalamenti ha lamentato di non essere mai stato interrogato "seriamente" dai magistrati palermitani che si limitavano ad aride contestazioni rifiutando qualsiasi contraddicono. così come promesso nell'incontro avvenuto a Memphis. e forse anche Bagarella.». Il motivo lo spiega Lombardo: Alle nove e trenta del giorno 13 ci siamo recati nel carcere di Fairton (New Jersey) ove. già espressi agli scriventi nel precedente in contro. voleva sapere se Lombardo avesse preso contatto con le persone che gli aveva indicato nel precedente incontro al fine di catturare Brusca. al colloquio hanno presenziato gli agenti Sebastiano e Nigro. Sono nostre congetture. Prima dell'ufficiale avvio dell'interrogatorio. abbiamo dato inizio alla missione che nella giornata si è sviluppata come a seguito. di un atteggiamento di "controllo". In tale circostanza il Badalamenti diceva al sottufficiale di non sentirsi in tali condizioni disposto ad avviare una discussione ampia e costruttiva. iniziava l'interrogatorio. sollevando peraltro l'eccezione della presenza di un magistrato di Palermo significativo. Ma prima della verbalizzazione Tano aveva parlato liberamente con i magistrati. perché lo sapeva ostile ad ogni trattativa con lui. Malgrado ciò si diceva disponibile a sottoporsi all'interrogatorio. sottolineando di aver ricevuto in merito precise disposizioni da Washington. Inoltre. Appare evidente che don Tano contava sul colloquio riservato con il maresciallo per valutare se la sua eventuale deposizione a favore di Andreotti non potesse pregiudicare l'estradizione in Italia: questa era la sua condizione.. e lì tra molti convenevoli lanciò la proposta del suo illustre cliente. ma poneva in maniera non equivoca la condizione del suo rientro in Italia e la sua scarcerazione «perché innocente».. Parte Prima i terribili anni settanta Mino Pecorelli fu ucciso il 20 marzo del 1979. «Però un silenzio a volte può essere più importante di mille parole». con la nascita e il propagarsi di organizzazioni armate che. lui sarebbe tornato in Italia e al processo Andreotti non lo avrebbe smentito. Tre mesi dopo il maresciallo Lombardo uscirà definitivamente di scena sparandosi alla tempia. dove era entrato in contatto con ambienti dei servizi segreti. Il progetto di Tano era miseramente fallito e lui è ancora lì. Tano tentò una nuova carta. Un periodo drammatico. andò a trovare Luigi Ligotti. Se Masino fosse stato disposto a ritrattare le accuse contro Badalamenti al processo Pizza Connection. l'avvocato di Buscetta. ventitré morti e un'ottantina di feriti. il boss sarà arrestato due anni dopo. Tra il 78 e il 79 ci furono tremila attentati. godevano di qualche consenso all'interno dei movimenti giovanili. assicurò l'avvocato Schoenbach. bombe. sparatorie. Insomma. L'operazione che doveva portare alla cattura di Brusca fallì.ha negato di aver mai trafficato in droga. Ligotti. aperto esattamente un anno prima dalla strage di via Fani e dal rapimento del presidente DC Aldo Moro. Persa la sua battaglia per poter tornare in Italia. Intelligenza che stride con l'assurdità di molte sue rivelazioni. al culmine di un periodo tra i più cruenti della Prima Repubblica. Un . Nell'inverno del '96 il suo avvocato americano Schoenbach venne a Roma. nel carcere di Fairton. però. ha ribadito che sarebbe stato più sereno in Italia. Ha invece condannato l'immoralità dello stesso perché ha cambiato moglie. non lo avrebbe mai fatto. aveva avviato la registrazione del colloquio e la bobina fu consegnata agli agenti della DIA. non intendeva dichiararsi pentito. Badalamenti lasciava intendere di non condividere le affermazioni di Buscetta. Al terrorismo nero si era aggiunto quello rosso. No. esaltandone la grande intelligenza. che avrebbe respinto l'accusa di essere coinvolto nell'omicidio Pecorelli. Pecorelli era un giornalista "anomalo". prudentemente. conclusosi dopo cinquantacinque giorni con l'uccisione dell'ostaggio per mano delle Brigate Rosse. ha condannato il comportamento di Buscetta. Questa fase chiudeva un cupo decennio di golpe. come le BR. attentati sui treni. che aveva cominciato la sua carriera negli anni Sessanta in circoli di destra e riviste oltranziste. a chiedersi quando e come ha sbagliato.. buttassimo lì all'improvviso queste due sigle ormai inflazionate. non può essersi limitata ai seicento "pensionati" della guerra fredda i cui nomi furono per la prima volta rivelati da Andreotti nel '90 nella relazione alla Commissione Gualtieri sulle Stragi. come la p2 e Gladio. nella storia che stiamo per raccontare. La parabola "professionale" di Mino si concluse con l'incontro con Dalla Chiesa. strani riti massonici. La P2 non è stata quella lobby affaristica descritta dai magistrati romani a conclusione dell'inchiesta giudiziaria. P2 e Gladio sono nomi che evocano vicende folcloristiche: generali in gonnella. che aveva impresso uno straordinario impulso alla modernizzazione del paese. anzi fermargli la mano. poi si era dimesso. legati dalla comune appartenenza alla p2 di Licio Gelli. doppi giuramenti. che in realtà impugnava solo una penna? Una penna che era diventata più pericolosa di una P38. che aveva esordito con il movimento del '68. e in Italia denominata Gladio. nota come Stay Behind in tutti i paesi NATO.1400 atti di violenza. Cosa sapeva Mino Pecorelli? Perché bisognava tappargli la bocca. oltre mille feriti e 467 morti . che aveva contrastato il riemergere di nostalgie fasciste. cercheremo di ricostruire la storia dei "terribili anni Settanta". Il motivo per cui ho ritenuto necessario raccontarli è la difficoltà di capire questa vicenda se non si comincia dall'inizio. che con le sue cifre di guerra . Qualcuno potrebbe eccepire che alcuni di questi fatti appaiono estranei al processo Andreotti.giornalista "che sapeva troppo". fortemente avverso al gruppo che faceva capo ad Andreotti e decisamente al fianco del "partito della trattativa" durante il sequestro Moro. considerato il confessore dei generali bruciati nelle trame di quegli anni. rischieremmo di provocare soltanto una grande confusione. Su «OP» pubblicò quattro lettere scritte dal presidente DC e secretate dal ministero degli Interni. che si era opposta alla strategia della tensione. pur coltivando un rapporto intenso e controverso con il Venerabile. fosse finita in quel tritacarne di plumbee messinscena politiche che aprivano la strada al sequestro Moro? Tutto questo è possibile comprenderlo solo se procediamo passo dopo passo. Se.fanno dell'Italia un caso unico tra i paesi occidentali cosiddetti avanzati. In queste pagine. Come la struttura militare segreta. ma in modo autonomo. sezionando la nascita di fenomeni che tuttora sono poco conosciuti o fraintesi. Anche Mino era stato per un breve periodo iscritto alla Superloggia. Il sospetto che esista un legame tra le due organizzazioni segrete e che questo intreccio di poteri occulti abbia avuto una . ovvero il Venerabile Licio? E com'è stato possibile che una generazione generosa. Che cosa ha messo a rischio la vita di Dalla Chiesa? Quali segreti il generale ha portato per sempre con sé? Quali erano i rapporti del "giornalista che sapeva troppo" con l'uomo dei dossier. attraverso le campagne di «OP» e le indagini seguite all'omicidio Pecorelli. Era uomo di destra. connessione con la strategia della tensione, i falliti golpe, i delitti e le trame dei mille misteri italiani è forte quasi come una certezza. Anche se non si è mai riusciti ad andare al di là del sospetto per l'impossibilità delle indagini parlamentari e giudiziarie di travalicare il limite di quella che la Commissione Anselmi sulla P2 definì la «Piramide Superiore». Dietro l'immaginifica metafora qualcuno ha creduto di poter individuare proprio Andreotti. Personalmente ho qualche dubbio sul fatto che potesse essere lui il garante della P2, per la sua estraneità alla massoneria, data per certa anche dalla sentenza dei giudici di appello di Palermo. Ma è possibile che il sette volte presidente, che è stato ministro della Difesa ripetutamente fin dai primi anni Sessanta, possa aver svolto un ruolo di tramite tra l'apparato militare clandestino, la NATO e la CIA, considerato che da un certo momento in poi tutti i capi dei servizi segreti e le alte gerarchie militari risultarono affiliate alla superloggia. Sarebbe stato proprio Gelli, alla fine degli anni Sessanta, a "battezzare sulla spada" almeno quattrocento ufficiali. Quando nel '90 i nomi dei gladiatori furono dati in pasto all'opinione pubblica - una vicenda che vedremo meglio alla fine di questo libro - nella confusione che ne seguì furono alcuni di loro a gridare che le vere strutture deviate erano altre e facevano capo proprio a lui, Andreotti, il quale avrebbe approfittato della sua lunga permanenza al ministero della Difesa per organizzare il nucleo più occulto del superservizio. Soltanto di recente questa segretissima struttura sembra aver trovato un nome: si chiamerebbe Anello e la Procura di Roma sta conducendo indagini molto riservate sulle sue possibili deviazioni. Rimane tuttavia estremamente difficile capire che ruolo l'Anello abbia avuto in vicende come il sequestro Moro o il rapimento dell'assessore napoletano Cirillo, la fuga di Kappler e altri misteri. Ma anche su questo torneremo. In ogni caso tutti i nostri apparati di sicurezza fino all'81-82, dopo lo scioglimento della P2, sembrano rispondere più a poteri sovranazionali come la NATO e la CIA che al governo e al parlamento italiano, di cui evidentemente i nostri alleati non si fidavano per la presenza di troppi "comunisti" eletti dal popolo. Per questo avevano affidato la difesa del patto atlantico a uomini disposti ad agire al di fuori delle regole democratiche. In ogni caso non si può comprendere cosa è accaduto in via Fani e durante il sequestro Moro se non ricostruiamo, anno dopo anno, almeno a partire dal 1964, ovvero dal mancato golpe De Lorenzo, le attività dei cosiddetti "servizi segreti deviati", che probabilmente non erano affatto deviati ma svolgevano il loro ruolo di garanti degli equilibri mondiali sanciti dal patto di Yalta, dove necessario anche attraverso forme di guerra "non ortodossa". Anche il capitolo sui rapporti tra Andreotti e Sindona è stato molto importante nel processo di Palermo. I giudici di primo grado, nella sentenza firmata dal presidente Ingargiola, riconoscono come realmente avvenuto, nel 76, l'incontro segreto negli USA tra l'allora presidente del Consiglio e il bancarottiere latitante. Di Gelli invece non si è parlato molto nell'aula di Palermo, e ancor meno a Perugia: l'ipotesi che fosse stato il capo della P2 a ordinare l'uccisione di Mino del resto era stata archiviata a conclusione della prima indagine svolta dal PM Sica. Ma l'interesse di questo personaggio va al di là del suo possibile ruolo nell'omicidio del giornalista. Gelli era impegnato in prima persona nel salvataggio di Sindona, ed è stata l'FBi ad accusarlo di aver gestito il suo viaggio a Palermo nell'estate 79. Negli ultimi giorni di vita, Pecorelli era impegnato in un'importante operazione di appoggio al banchiere latitante: stava per pubblicare quella famosa "Lista dei 500" (ovvero i nomi dei "clienti" che avevano utilizzato la sua banca per operazioni illecite) e sembrava tornato, dopo un periodo di contrasti, in pieno accordo con il Venerabile, con il quale avrebbe dovuto incontrarsi il 21 marzo, e cioè il giorno dopo il suo omicidio. In quegli anni Andreotti è stato di volta in volta indicato come il vero capo della P2 o come il vero manovratore delle "deviazioni" dei servizi segreti. La prima ipotesi va esclusa, la seconda è più suggestiva, anche se, come vedremo, ci sono passaggi in questa dannata storia in cui lui stesso non appare che una pedina. I suoi rapporti con la Superloggia e con i generali che era stato proprio lui a mettere a capo dei nuovi apparati di sicurezza varati con la riforma del '77 sono rimasti avvolti nell'ombra. Una cosa sembra certa: era uomo molto informato, e questo gli ha consentito di giocare una partita politica spregiudicata che lo ha messo al riparo, per lungo tempo, dai colpi dei suoi nemici. Fin quando... fin quando qualcuno non ha deciso che era venuto il momento di liberarsi anche di lui. Come e perché, è quello che cercheremo di scoprire. Morte di un giornalista Roma, 20 marzo 1979 Mino era al settimo cielo, rimuginava sulla tiratura dell'edizione straordinaria. Diecimila copie, ventimila, anche trentamila: abbastanza per pagare tutti gli arretrati. Era soddisfatto: immaginò la faccia del suo avvocato, poi l'espressione ottusa del "Quinto Evangelista" (così aveva ribattezzato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) e rise di cuore. Anche il povero colonnello, chissà in quale stato di agitazione era! Negli ultimi tempi, in attesa delle carte, aveva assunto toni da incappucciato: «Non telefonarmi, ti ho detto, non telefonarmi...», gridava al telefono. Ma aveva mantenuto la parola, il malloppo era in tipografia, a lui non restava che scrivere l'editoriale. Aprì la finestra, piovigginava, l'aria della sera era ancora fredda, ma c'era già quell'odore di terra umida e profumata che a marzo annuncia la primavera. «Proprio adesso che avevamo quasi raggiunto l'accordo su trecento milioni annuì di pubblicità», pensava con un po' di rammarico: l'accordo sarebbe sicuramente saltato. Ma non poteva tirarsi indietro proprio lui, era l'occasione che aveva sempre aspettato; si mise alla macchina da scrivere, qualcuno in quel momento bussò alla porta ed entrò nella stanza. «Meglio a casa stanotte, la notizia non deve trapelare!», decise di colpo. Prima di uscire, di fronte allo specchio si aggiustò il nodo della cravatta. Gli occhiali da vista deformavano leggermente i tratti del volto: aveva il naso un po' gobbo e le labbra piegate all'ingiù in segno di costante disprezzo verso il resto del mondo, ma a cinquant'anni era ancora un bell'uomo. Se Franca, la segretaria-amante, non fosse dovuta tornare a casa quella sera dai bambini, sarebbero potuti andare a cena insieme, per festeggiare. Pazienza, non sarebbe mancata occasione. Solo all'avvocato Gianfranco Rosini, quel pomeriggio aveva manifestato i suoi timori: «Ho paura che stavolta vogliano incastrarmi», gli aveva confidato. «Ho per le mani un fatto enorme, pericoloso, ma ormai non posso rifiutarmi». «Quando la smetti?», gli aveva chiesto l'avvocato. «Dopo questo numero, mi arricchisco o mi ammazzano». Ma era scoppiato a ridere: in realtà non aveva mai creduto che avessero il coraggio di ucciderlo. L'omicidio di via Tacito Lo uccisero due ore dopo. Era sceso in compagnia di Franca e di un paio di collaboratori. Sul portone gli ultimi saluti, le solite raccomandazioni. «Ti aspetto a cena?», aveva chiesto a Paolo Patrizi, il redattore di «OP» che abitava a Terni e qualche volta si fermava a dormire da lui, nella stanza dei ragazzi (Stefano e Andrea, all'epoca di ventidue e quattordici anni). «No, ho un appuntamento, ti raggiungo dopo», era stato l'accordo. Mino si era stretto il bavero del soprabito e si era avviato da solo verso via Orazio, dove nel pomeriggio aveva parcheggiato la sua Citroen, color verde bottiglia, targata Roma 08195. La macchina era proprio di fronte all'Ufficio del Registro: aveva appena fatto marcia indietro, quando quell'uomo con l'impermeabile bianco si era avvicinato, lui aveva abbassato il finestrino, forse aveva bisogno di un'informazione, ma l'altro aveva aperto la portiera e l'aveva fulminato con una raffica di pallottole. La prima, quella mortale, lo aveva raggiunto in bocca. È così che la mafia uccide chi parla troppo. Un segnale inequivocabile: ma nessuno pensò a un delitto di mafia. In quel periodo si parlava soltanto di terrorismo e Brigate Rosse, e quell'omicidio andava buttato nel mucchio. Il cadavere fu trovato alle venti e quarantacinque,in via Orazio, quasi all'angolo con via Tacito, riverso nell'auto, la portiera spalancata, la testa crivellata dai proiettili. Dalla bocca usciva un filo di sangue nero e raggrumato che si perdeva nel colletto della camicia. Nessun testimone, ma sull'identità della vittima non ci furono dubbi. Era Mino Pecorelli: nel portafoglio fu trovato il tesserino professionale, nell'auto un fascio di giornali e numerose copie di «OP-Osservatorio Politico», cinquantasei pagine in carta patinata, foto a colori, neppure un rigo di pubblicità. Il brigadiere si appoggiò sul cofano dell'auto per stilare il verbale: «Addì 20 marzo 1979...». Al medico legale bastò un'occhiata, i colpi erano stati quattro in rapida successione: uno in bocca, uno alla testa, due al torace. La morte era sopraggiunta istantanea. Negli ultimi giorni Mino era preoccupato. Attendeva con ansia da Milano un documento importantissimo, spiegarono ai magistrati i redattori del settimanale. Nessuno di loro sapeva di cosa si trattasse, il direttore non metteva nessuno a parte dei suoi segreti fin quando non erano in pagina. Qualche tempo prima aveva accennato a un contatto con le Brigate Rosse, poi non ne aveva più parlato. Era stato a novembre, dopo aver scritto "Vergogna buffoni", che Patrizi gli aveva chiesto come faceva a sapere tutte quelle cose. E lui se l'era cavata con una battuta: «Ho qualche amico nelle Brigate!». Sempre meglio che rivelare i suoi incontri con Dalla Chiesa! Dieci giorni prima, raccontò Franca Mangiavacca, c'era stata una certa tensione per una telefonata di minacce giunta in redazione. «Farai una brutta fine, stronzo», l'aveva apostrofato un uomo che parlava con un forte accento romanesco. Mino aveva minimizzato, a cose del genere aveva fatto il callo. Raccontò ancora la donna che una settimana prima aveva notato un ragazzo con giubbotto, i capelli lunghi sul collo, non troppo alto, e aveva avuto l'impressione di essere seguita. Lo aveva detto a Mino, che come al solito aveva alzato le spalle. In fondo a via Orazio c'era una fila di palazzi color ruggine, con le luci spente. Un solo bar era aperto a quell'ora, all'angolo con via Plinio; all'interno, il barista e un paio di avventori. La luce fioca dei lampioni rendeva la strada poco illuminata; la pioggia ovattava i rumori. Nessuno aveva sentito nulla, solo Franca mentre si allontanava aveva adocchiato un giovane con l'impermeabile bianco che attraversava la strada. Ma quando ripassò, del killer non c'era più alcuna traccia. Si disse poi che era salito su una moto dove ad attenderlo c'era un complice: ma era soltanto una logica deduzione. Il primo ad arrivare sulla scena del delitto fu il PM Domenico Sica, onnipresente in tutte le inchieste "scottanti". C'erano anche il collega Eugenio Mauro, il capitano dei Carabinieri Paolo Tomaselli e il perito della Scientifica Antonio Ugolini. Nel giro di mezz'ora, mentre la notizia si diffondeva nella città, in quel tratto di strada, ormai illuminato a giorno dai riflettori della Scientifica, arrivarono tutti gli sbirri della capitale. Erano lì per constatare di persona che quel bastardo fosse davvero morto, gli giravano intorno, lo guardavano con cinica soddisfazione. Nessuna pietà verso quell'uomo a faccia in giù nella sua vecchia Citroen, con la borsa aperta e i fogli pieni di appunti sparpagliati sui sedili schizzati di sangue. Due carabinieri in borghese ridacchiavano tra loro, lanciandosi sguardi allusivi: nel marzo '81 ho ritrovato i loro nomi nell'elenco della lista P2. La pista imboccata da Sica due anni dopo portò in effetti a Gelli e al noto intreccio fra massoneria, servizi segreti, terrorismo nero e Banda della Magliana. Una sorta di pista parallela, rispetto a quella indicata tanti anni dopo da Buscetta; molti dei protagonisti erano infatti gli stessi. Ma nessuno aveva osato in quegli anni fare il nome di Andreotti, e nessuno avrebbe mai immaginato che alla fine, a rimanere incastrato nei tranelli tesi da Mino, sarebbe stato proprio lui. «OP», storia di un muckracher A ripensarci ora può sembrare una premonizione, ma la pubblicità della rivistina, intonata al clima di quegli anni, suonava più o meno così: «OP, una raffica di notizie», con tanto di fori di proiettili sul logo della testata. Appena un paio di mesi prima, quel giornalista sempre elegante, con una perenne smorfia di sarcasmo sul volto, aveva pubblicato un trafiletto che nel consueto linguaggio allusivo diceva: «I nostri lettori e coloro che ci stimano saprebbero riconoscere immediatamente la mano che ha armato anche chi vorrà torcerci un solo capello». In realtà ci sono voluti quattordici anni prima che si arrivasse a imboccare la pista cui Mino probabilmente alludeva. Anche se l'ombra di Belzebù (tra '2, Guardia di Finanza e petrolieri) aleggiava nell'immediatezza del delitto, erano in pochi ad avvedersene.Soltanto Sereno Freato, uomo di fiducia di Aldo Moro, in seguito a un'interrogazione parlamentare sullo scandalo Petroli, mandò questo strano messaggio: «L'entourage Moro non aveva alcun rapporto d'affari con la Farnesina o con Palazzo Chigi e non era in alcun modo interessato all'omicidio Pecorelli». Era come se avesse detto: «Mica lo abbiamo ammazzato "noi" Pecorelli, rivolgetevi a chi è stato più volte ministro degli Esteri e capo del Governo». Infatti aggiunse: «Indagate sull'omicidio Pecorelli e troverete i mandanti del delitto Moro». L'«Osservatorio Politico», ribattezzato nell'ambiente «Ora paga», era qualcosa di più di un foglio scandalistico, considerato che le "veline" provenivano da uomini dei servizi segreti che, dopo essere stati "fottuti", sembravano perseguire l'unico obiettivo di intorbidare la lotta politica attraverso il ricatto. Non si può negare che l'obiettivo preso di mira da «OP» fosse stato negli ultimi anni costantemente Giulio Andreotti. E ad alimentare le campagne di stampa erano proprio quei generali che il Presidente aveva di volta in volta silurato. Questo tipo di operazioni pubblicistiche e un certo linguaggio allusivo tipico della cosiddetta "stampa gialla" avevano alimentato attorno a Mino leggende e sospetti. In molti si chiedevano se quel giornalista, coraggioso e arrogante, fosse davvero un giornalista o piuttosto una spia, un avventuriero o un volgare ricattatore. Pecorelli ha dovuto morire per poter essere rivalutato; se fosse nato negli USA sarebbe stato tranquillamente incluso nella grande tradizione americana dei muckrachers, apprezzata schiatta di giornalisti che non esitano a spalare nel fango per smascherare gli affari sporchi della politica. Ma da noi è un genere di scarso successo. I suoi scoop, un po' criptici, avevano un pregio raro per quel genere di pubblicazioni: l'assoluta attendibilità della notizia. «Spiccavano, come diamanti purissimi in un letamaio di insinuazioni, notizie esatte e documentate fino alla virgola», scrisse in morte «l'Espresso». Era uno strano personaggio Mino, in cui si sommavano tante contraddizioni dell'epoca: uomo di destra ma non fascista, descritto da chi l'ha conosciuto come un provinciale di buona educazione, superbo e sprezzante del pericolo. Il generale Maletti, capo del SID, che aveva finito dopo tante aspre liti per essergli amico, all'indomani della sua tragica morte disse di lui: «Aveva una baldanza nell'attaccare persone che solo lui riteneva di poter attaccare, e questo gli piaceva moltissimo. In quel suo gioco si divertiva immensamente». Nato a Sessano del Molise il 14 giugno 1928, Mino ad appena sedici anni era diventato partigiano e aveva combattuto nell'armata del generale polacco Anders. Anche in amore era appassionato e insofferente. Ha avuto due figli da donne diverse: dal primo matrimonio era nato Stefano, che oggi vive in Sudafrica; dal secondo Andrea. «Ogni volta che conosco una donna, in senso biblico, finisco per sentire la necessità di costruire con lei un nuovo nido, di mettere su famiglia», confidava agli amici. Perfino quei suoi terribili, fortissimi mal di testa, sono divenuti oggetto di indagine. In una biografia, Renzo Trionferà scriveva: «Era forse all'ordine delle sue emicranie il dover custodire nella mente tanti segreti d'amore, di imbrogli, di veline scottanti, di conti da pagare, di processi da subire...». Anche Andreotti soffriva di mal di testa e nell'ultimo periodo ci fu un cortese carteggio tra i due in cui si scambiavano ricette e consigli. Troviamo agli atti una sorprendente letterina, in cui Pecorelli ringrazia il Presidente, e conclude con questo sibillino messaggio: Sono fidente che il futuro possa accomunarci oltre che nella sofferenza cefalgica anche nella difesa dei grandi ideali della giustizia e della democrazia attraverso un rapporto che, sorto così singolarmente da "supposte", sia sincero, duraturo e reciprocamente fiducioso. Quando il killer dall'impermeabile bianco gli sparò, erano passati pochi giorni dalla famosa cena alla "Famija Piemunteisa", avvenuta alla fine di febbraio. Nonostante le molteplici smentite di Vitalone e degli altri partecipanti al convivio, sembra proprio che il principale argomento di conversazione, tra Pecorelli e l'entourage andreottiano, riguardasse l'infuocata campagna che «OP» stava conducendo attorno allo scandalo Italcasse. Così la Procura di Perugia, nel ricorso alla Corte d'Assise d'Appello, descrive il clima della serata: «Durante la cena, Pecorelli saggia le reazioni degli interlocutori "andreottiani" alle sue anticipazioni sulla sua prossima offensiva al Presidente e ai suoi assegni, provocando in Vitalone agitazione e timore...». Ma nonostante gli incontri con i suoi fedelissimi, nonostante le telefonate e lo scambio di "letterine", Andreotti non sembrò propenso, all'indomani del delitto, a rendere pubblici i suoi rapporti con la vittima. Mandò un telegramma alla famiglia, ma in Transatlantico conversando con i giornalisti, che si affollarono intorno a lui per saggiarne le reazioni, fece addirittura finta di non sapere chi fosse l'ucciso. E a chi gli chiedeva se conoscesse o no il giornalista, rispose in modo vago: «Sì, ho sentito della morte di questo Pecorella o Pecorelli, non ricordo come si chiama...». Forse anche lui, come Buscetta, lo aveva confuso con il "picciotto" assassinato assieme al figlio del boss Inzerillo. La guerra di Mino La sera in cui Pecorelli fu ucciso, in tipografia era già pronta l'ultima copertina di «OP»: vi compariva a tutto campo la foto del presidente del Consiglio, con un titolo a caratteri cubitali: "Gli assegni del Presidente". La copertina fu ritrovata, le pagine interne mai: forse contenevano i nomi di chi aveva incassato gli assegni, come aveva anticipato Mino nelle settimane precedenti. Due anni prima «OP» aveva pubblicato l'elenco completo, con tanto di codici bancari, di una macroscopica storia di tangenti di circa due miliardi. Tangenti incassate dalla corrente andreottiana in cambio di finanziamenti agevolati e contributi a fondo perduto che dall'Italcasse finivano alla SIR di Nino Rovelli. Una tangentopoli ante litteram con sottofondo mafioso, considerato che del pacchetto facevano parte anche due assegni di venti milioni che nel 77, appena due anni prima, erano stati versati a Ciancimino perché desse la scalata alla DC siciliana a colpi di tessere. A partire dalla faccenda Italcasse, Andreotti era diventato il bersaglio fisso delle campagne di «OP». Dallo scandalo dei fascicoli SIFAR, a quello dei Petroli, dalla strage di piazza Fontana agli attacchi all'Ufficio D Affari Riservati, da Sindona al delitto Moro. Non deve stupire che Mino si fosse appassionato tanto alla vicenda del Memoriale, che in realtà appassionava tutti i giornalisti. Ma lui aveva forse un motivo in più: il'accuse di Aldo Moro contro Andreotti nobilitava le sue campagne contro il Presidente, e i "segreti" che lo statista aveva rivelato, a partire dall'esistenza di quel "partito antiguerriglia" dietro cui si celava Gladio, confermavano i suoi scoop più spericolati. Per capire quel periodo è bene non procedere per capitoli separati. Se l'inchiesta sul delitto Pecorelli ha un pregio, è proprio quello di unificare al suo interno vari spezzoni del sistema di potere vigente in quegli anni, come fossero linee convergenti all'interno della medesima trama. A conclusione della prima inchiesta sull'uccisione di Mino, archiviata a Roma nel '91, prima delle stragi di Palermo e del ritorno di Buscetta, il PM Giovanni Salvi scrisse che «obiettivo di Pecorelli nei mesi precedenti la morte era essenzialmente Licio Gelli e la struttura di potere che intorno a questi si era coagulata; anche filoni apparentemente alternativi mostrano punti di contatto che tenderemo a evidenziare». L'attenzione sul Venerabile, da parte del PM Sica, era stata provocata da un paio di articoletti di cui parleremo, comparsi su «OP» nei primi tre mesi del 79, in cui Pecorelli rivelava, documenti alla mano, che durante la Resistenza il futuro capo della P2 colludeva con i comunisti e faceva il doppio gioco. Ma non è detto che quello fosse un "attacco": anzi, come vedremo, molti elementi hanno poi indotto a ritenere che potesse trattarsi di una campagna concordata tra Gelli e il redattore di «OP». Andreotti, in verità, non saltava un numero. Mino era sempre informatissimo delle malefatte del Divo Giulio, come lo aveva ribattezzato. Forse perché molti suoi scoop li otteneva offrendo la spalla ai generali perdenti, più inclini alla confidenza. Raccontò Romolo Cardellini, il caporedattore di «OP», che fino al 75 era Vito Miceli (allora capo del SlD) a inviare quotidianamente le sue velenose noticine contro Gianadelio Maletti (allora capo dell'Ufficio D), con il quale solo successivamente, dopo il suo arresto, Mino stringerà amicizia. Questi generali per un motivo o per l'altro ce l'avevano con Andreotti, si sentivano usati e buttati via come un'amante tradita. E la loro rabbia trovava sfogo nei trafiletti di Mino, in cui i cenni sprezzanti rivolti al senatore abbondavano: lo chiamava Padrino, Don e Biscione. Va riconosciuto che Pecorelli riuscì ad anticipare filoni investigativi, come i finanziamenti CIA alla DC, in una maniera che dimostra come il giornalista fosse ben informato e scrivesse la verità. Furono i suoi scoop e le sue campagne a provocare le dimissioni anticipate del presidente della Repubblica, Giovanni Leone, e perfino giornalisti di fama come Camilla Cederna attingevano al suo inesauribile serbatoio di informazioni "riservate". Soltanto molti anni dopo si è scoperto che quasi certamente si trattava di una campagna orchestrata da Gelli: il Venerabile aveva sottoposto all'attenzione del capo dello Stato il suo Piano R, la prima bozza del Piano di Rinascita Nazionale. Ma Leone aveva fatto orecchie da mercante e la P2 non glielo aveva perdonato. In ogni caso Licio, gran custode di scheletri nell'armadio, era per Mino una buona fonte, forse la migliore. Non aveva soldi Pecorelli, era proprietario soltanto del suo appartamento sulla Camilluccia, frutto di un'eredità familiare. Scrivono i giudici di primo grado: «Era un giornalista molto curioso e capace, ma nell'estorcere informazioni, non nell'estorcere denaro. Con i pregi e i difetti insiti nella natura umana è stato un giornalista appassionato, antagonista alla sinistra, ma non per questo indulgente alla sua parte». Un giornalista molto speciale, soprattutto per l'odio che era riuscito a suscitare. Ma anche un uomo solo. La sorella Rosita, che non si è mai arresa e ha sempre difeso la memoria del fratello, così ricorda il loro ultimo incontro: Un mese prima di essere ucciso, mi pregò di andare a casa sua. Era distrutto: mi disse che non aveva più una famiglia, che faceva tutto da solo, che il mal di testa lo torturava. Piangeva come un bambino. A me sembrò anche molto spaventato. Gli ultimi incontri Gli ultimi giorni di Mino furono particolarmente intensi, addirittura frenetici. Il 21 marzo, se fosse stato ancora vivo, avrebbe dovuto incontrarsi con Licio Gelli. La sera prima di essere ucciso aveva invece cenato con il capitano Antonio La Bruna, uno degli agenti meno segreti del SID, amico per la pelle e, a quanto risulta dalla famosa agenda, gli aveva perfino regalato una cravatta. Nell'ultimo periodo Pecorelli aveva intensificato contatti, incontri, telefonate. La sua agenda del 79, che attraversa gli ultimi tre mesi di vita, era talmente fitta di scadenze da assomigliare a quella di un ministro. A partire dai primi di gennaio si era incontrato più volte con Vita-Ione, con l'ex capo dell'Ufficio Affari Riservati Federico d'Amato, e poi nell'ordine con Giampaolo Cresci, Emo Danesi, Giovanni De Matteo, Flaminio Piccoli, Giancarlo Elia Valori, Giuseppe Trisolini, ancora Vitalone, Franco Evangelisti, Pietro Musumeci, Ugo Niutta, Antonio Varisco, Egidio Carenini, Tommaso Addario, Franco Picchiotti, Angelo Cosentino (consigliere del presidente Leone, che aveva versato una ventina di milioni a Pecorelli per attutire la campagna contro il Quirinale, ma inutilmente). Il nome del PM Luciano Infelisi ricorre cinque volte. I contatti telefonici con Evangelisti sono frequentissimi. Per chi non avesse presenti i nomi sopracitati, diremo che si trattava di personaggi di primissimo piano della politica, della magistratura e dei servizi segreti, quasi tutti iscritti alla P2. Tre giorni prima di morire incontrò Trisolini, detto Nik, braccio destro del generale della Guardia di Finanza Raffaele Lo Giudice. L'argomento non poteva non riguardare lo scandalo Petroli, o perlomeno quello che diventerà lo scandalo Petroli, visto che soltanto un anno e mezzo dopo la morte di Mino, il 9 maggio 1980, il coordinamento interno della Guardia di Finanza inviò un rapporto alla Procura col quale si chiedeva l'apertura di un'indagine sul possibile legame tra lo scandalo che aveva travolto il vertice della Finanza e l'omicidio del direttore di «OP». Il fascicolo Mi.Fo.Biali fu una delle tre piste imboccate da Sica subito dopo il delitto. Ma lo scandalo Petroli non era in quel momento in cima ai pensieri di Pecorelli, impegnato su ben altri fronti. Ai primi di gennaio era con Dalla Chiesa nel carcere di Cuneo, a caccia del Memoriale di Aldo Moro. Alla fine di febbraio lo troviamo a cena insieme a Vitalone alla "Famija Piemontesa", ma pur avendo ricevuto offerte vantaggiose, come una sessantina di milioni in contanti e l'allettante contratto pubblicitario da trecento milioni all'anno con una società milanese a cui accennavamo, non sembrava disposto a rinunciare al suo scoop sugli "Assegni del Presidente" e neppure, come sembra, alla pubblicazione del Memoriale Moro. La mattina del 20 marzo, il giorno in cui fu ucciso, si era incontrato a Palazzo di Giustizia con il PM Infelisi e gli aveva annunciato "notizie esplosive"sul rapimento del figlio di Giuseppe Arcaini, il presidente dell'italcasse (questa fu la seconda pista seguita da Sica). Ma intanto frugava nel passato di Gelli (la terza pista). A difesa di Andreotti va detto che ognuna di queste campagne, condotte da «OP» negli ultimi mesi, avrebbe spiegato più di un omicidio, anche se purtroppo due o tre in un modo o nell'altro riconducevano a lui. L'unica certezza che emerse dalle indagini fu che qualcuno, quasi alla stessa ora del delitto, si presentò in tipografia e a nome del direttore si fece consegnare un incartamento che era stato portato nel pomeriggio dal cognato di Mino, Umberto Limongelli, il quale interrogato disse di non sapere cosa conteneva la busta. Possibile che Pecorelli fosse stato tanto leggero da non procedere a una duplicazione delle carte che attendeva, se erano davvero così segrete ed esplosive? Tutto quello che avvenne nelle ore successive, ancora a distanza di anni, si presenta all'insegna della confusione. Sica e i carabinieri rimasero tutta la notte nella redazione, riempirono numerosi scatoloni con tutte le carte trovate in via Tacito, poi sigillarono l'ufficio. Fu rimproverato al magistrato romano il ritardo con cui si era proceduto alla verbalizzazione del materiale sequestrato. Anni dopo, quelle scatole finirono negli archivi della Commissione P2, nello stesso identico disordine denunciato all'origine: c'erano mescolati insieme documenti riservati, fascicoli segretissimi, agende, block-notes fitti di appunti personali, bozze di articoli non ancora compiuti. Le scatole più segrete della Repubblica sono ancora lì, in piazza di san Macuto, a disposizione di chiunque voglia ricostruire questa tragica storia. Ed è pescando tra i documenti di queste scatole che ho cercato di districare il groviglio dei moventi e dei possibili mandanti cui abbiamo fatto cenno nelle ultime pagine e dove ho scoperto che il nome di Andreotti ricorre fin dall'inizio delle indagini in almeno due delle tre piste poi abbandonate. Tre piste per un delitto La vita privata di Mino Pecorelli, nonostante la movimentata situazione sentimentale e qualche incertezza economica, non presentava zone d'ombra. Nessun movente privato: questa fu subito l'ipotesi della Procura di Roma. Le indagini sull'omicidio puntarono subito sull'attività professionale della vittima, noto corsaro dell'informazione scandalistica, cercando il possibile movente tra le notizie che il giornalista aveva già pubblicato, ma soprattutto fra quelle che aveva in mente di pubblicare. Il PM Domenico Sica, titolare dell'inchiesta, individuò tre filoni ispirati alle campagne di stampa che Pecorelli aveva avviato nei mesi precedenti la morte, ognuno dei quali pescava informazioni da documenti "riservatissimi". Le tre piste riguardavano lo scandalo dei petroli, la vicenda Italcasse e per ultimo la rivelazione fatta a gennaio su «OP», appena due mesi prima dell'omicidio, di un attestato di benemerenza del Comitato di Liberazione Nazionale di Pistoia nei confronti di Lido Gelli, dietro il quale s'intuiva il "tradimento" del Venerabile nei confronti di una sessantina di fascisti poi fucilati dai partigiani. Un'azione che, secondo il PM, non giovava alla reputazione "anticomunista" del capo della P2. Alla fine fu proprio questa la pista che prevalse, nell'81, dopo l'esplosione dello scandalo degli iscritti alla Superloggia e la fuga all'estero di Gelli.Sica trascurò il caso Moro, non diede peso alle "minacciose" anticipazioni annunciate negli ultimi numeri di «OP», tantomeno indagò sui possibili incontri tra Pecorelli e Dalla Chiesa di cui c'era già qualche traccia nelle agende del giornalista. Il Venerabile fu indagato per una decina di anni come mandante del delitto, in compagnia dei due presunti esecutori: i neofascisti romani Massimo Carminati e Giusva Fioravanti. L'inchiesta galleggiò su tutti i possibili misteri d'Italia, fino all'archiviazione nel '91 con un «non luogo a procedere» nei confronti dei tre indagati. Nel '93, dopo le rivelazioni di Buscetta, quando il procuratore capo di Roma Vittorio Mele inviò al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Giulio Andreotti, per una sorta di contrappasso l'inchiesta imboccò sì - finalmente - la pista Moro, ma dalle carte scomparve ogni possibile connessione con il ruolo che Gelli e la P2 potrebbero aver avuto perlomeno nella gestione delle indagini sul sequestro del presidente DC. Un legame che appare evidente per l'appartenenza alla Superloggia di tutti gli uomini chiamati a indagare su via Fani e l'uccisione dello statista: dai capi dei servizi segreti agli alti funzionari della Polizia di Stato, ai responsabili dei nuclei antiterrorismo, erano in tutto cinquantatré gli appartenenti agli apparati della sicurezza e dell'ordine pubblico ai quali furono in seguito addebitati inefficienza e omissioni e altre "stranezze" per la gestione dell'indagine. Lo stesso Gelli, stando alle molte "voci" pervenute alla Commissione Moro, avrebbe partecipato alle riunioni del comitato di crisi al Viminale con il falso nome di Luciani: notizia che non è mai stato possibile accertare. Non mancano elementi di raccordo tra le due inchieste: uno è rappresentato da Massimo Carminati, presunto esecutore del delitto Pecorelli, indicato come l'armiere della Banda della Magliana sia dai giudici romani sia da quelli di Perugia. Che la 7,65 utilizzata per uccidere Pecorelli provenisse dagli scantinati del ministero della Sanità, in via Liszt, dov'era nascosto il deposito di armi cui attingevano malavita e terroristi neri, è l'unica certezza di un'inchiesta che si è protratta per vent'anni. È perciò difficile comprendere come i magistrati di Roma, Palermo e Perugia, che pure sono stati accusati in questi anni di aver voluto ricostruire la storia d'Italia in un solo processo, non abbiano sentito l'esigenza di approfondire i rapporti, sempre rimasti nell'ombra, tra il Venerabile e Andreotti. Un vuoto che rischia di azzerare non soltanto la possibile "verità" sull'omicidio Pecorelli, ma anche tutti gli sforzi compiuti per ricostruire il contesto storico in cui il delitto è maturato: non deve stupire che la sentenza ne sia uscita dimezzata. Senza alterare la ricostruzione processuale, crediamo dunque utile alla comprensione dei fatti riproporre tutti i capitoli della Pecorelli-story: anche quello, peraltro appassionante, del Venerabile Licio. Lo scandalo Petroli Quella dei Petroli fu una pista battuta a lungo da Sica, ma in realtà lo scoop di Pecorelli era andato a vuoto. Le rivelazioni erano state accolte in silenzio dagli interessati e la magistratura aveva atteso due anni per aprire un'inchiesta su quello che si presentò come il più grosso scandalo degli anni Settanta, che portò in carcere l'intero vertice delle Fiamme Gialle e dimostrò, con venti anni di anticipo, il sistema di corruzione vigente nel finanziamento dei partiti e delle correnti politiche. In sintesi, era successo questo: sotto lo sguardo vigile dei finanzieri, venivano importate in Italia ingenti quantità di petrolio dalla Libia (si è parlato di un sesto del fabbisogno nazionale) la cui vendita arricchiva gli stessi vertici della Guardia di Finanza, che ripartivano gli utili tra i loro protettori. Mino ne aveva cominciato a parlare su «OP» nel 77; al momento della morte aveva quasi interamente pubblicato il dossier del SID, ma non c'erano state reazioni significative a quelle clamorose notizie. Questo da la misura non soltanto del clima politico stagnante di quegli anni, ma anche delle barriere che la Procura di Roma opponeva nei confronti di ogni possibile notitia criminis con risvolti politici. Il dossier dei servizi, denominato Mi.Fo.Biali risaliva agli anni 74-75. Partiamo dalla sigla: Mi come Miceli, il capo del servizio segreto che avrebbe coperto il traffico di petrolio; Fo come Mario Foligni, fondatore del Nuovo Partito Popolare nato con l'intento di contrastare la DC che «considerava corrotta» e che nella vicenda avrebbe svolto il ruolo di intermediario con personalità libiche e maltesi; Biali come anagramma di Libia. All'indagine del SID si era affiancata anche la Guardia di Finanza, con intercettazioni telefoniche e ambientali illegali perché, dimenticavamo di dire, la magistratura non fu mai informata dell'indagine del servizio segreto. Citiamo dalla sentenza di Perugia: «L'autorizzazione a indagare su Foligni era stata data, secondo il generale Maletti, dal ministro della Difesa che era all'epoca Andreotti». Pecorelli aveva pubblicato ampi stralci del dossier sostenendo che dall'indagine emergevano episodi di corruzione ed esportazione illegale di valuta degli alti gradi della Guardia di Finanza (in particolare del comandante del Corpo generale Raffaele Giudice, della moglie, del suo segretario particolare Giuseppe Trisolini e del vicecomandante Donato Lo Prete) e un traffico di petrolio con la Libia cui erano interessati Foligni, il fratello del premier di Malta, Don Mintoff, petrolieri italiani, alti prelati e lo stesso Giudice. Questo pressappoco 1'"inghippo", come lo descriveva Pecorelli: La benzina usciva da un deposito SIP (un punto franco di dogana in cui viene stivato il carburante in attesa di essere acquistato da grossisti con la sua bolla di accompagno). Su c'era scritto che era destinato a X e invece finiva a Y. Una mano amica dell'unì-' chiudeva abbastanza gli occhi: i doganieri vedendosi riportare la bolletta potevano non saperne niente. Unici a parte dell'inghippo erano i camionisti delle autobotti [...] le società che abbiamo chiamato X erano società fantasma con sede in mezzo ai canneti o in prati verdi. Quanto alle società definite Y, interrogate dalla magistratura sul mancato pagamento dell'imposta di fabbricazione, hanno dichiarato di non dover nulla per aver acquistato la benzina da un'altra società... La vicenda coinvolse pesantemente Licio Gelli e Umberto Ortolani, braccio destro del Venerabile, ambienti finanziari italiani e anche Sereno Freato, che tirato in ballo reagì con la sibillina battuta: «Indagate sull'omicidio Pecorelli e scoprirete i mandanti dell'omicidio Moro». Nei guai finì invece, ancora una volta, il generale Maletti sospettato di essere stato lui a passare il malloppo all'amico giornalista con lo scopo di un'ennesima atroce vendetta nei confronti dell'odiato Miceli. Il capo dell'Ufficio D fu anche accusato di aver insabbiato lo scandalo, visto che non aveva trasmesso gli atti alla magistratura. «Ho consegnato il dossier al mio successore, non sta a me valutare l'uso che ha fatto dell'indagine», fu la debole autodifesa. Andreotti (all'epoca ministro della Difesa) per questa vicenda finì di fronte al Tribunale dei ministri: ne uscì indenne e senza aver proferito parola. A distanza di tanti anni, non si comprende cosa possa averlo spinto a sollecitare un'indagine che ha finito per danneggiare i comandanti della Guardia di Finanza, come Giudice e Lo Prete, considerati vicini al suo entourage. L'unica ipotesi è che potesse essere interessato ad avere informazioni su Foligni e il suo partito, e forse a causa di ciò non abbia poi informato la magistratura. Ma si intravede anche una schermaglia, un conflitto, un'improvvisa ostilità con Gelli difficilmente comprensibile dall'esterno: per questo sarebbe stato auspicabile un approfondimento giudiziario sui rapporti tra il senatore e il Venerabile. Scrivono i giudici di Perugia: Andreotti aveva interesse a che il dossier Mi.Fo.Biali rimanesse segreto, visto che «nella sua qualità di ministro della Difesa aveva utilizzato lo spionaggio politico [ai danni di Foligni] utilizzando mezzi illegali»; ma vi erano interessati anche i generali della Guardia di Finanza, «che dalla pubblicazione degli articoli vedevano compromessa la loro posizione». In realtà Pecorelli fu ucciso non per quello che aveva già scritto, ma per ciò che era in procinto di scrivere: aveva già pubblicato l'intero dossier nel marzo '79, sotto il titolo "Petrolio e manette", una telenovela in quattro puntate, che era caduta nel più assoluto silenzio. Mino era un battitore solitario, abituato alle sconfitte; lo scandalo Petroli esplose con due anni di ritardo, e forse soltanto grazie alla sua morte, tanto forte era l'impermeabilità del sistema di potere in quegli anni. Nel '93, nella richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del senatore, il PM Salvi scrive: «Nulla fino a quel momento era trapelato al di fuori del sid e del suo referente politico Giulio Andreotti». L'Italcasse «Il coinvolgimento di Andreotti era già nelle carte che Sica aveva a disposizione nel 79», tuonò il relatore di minoranza alla Commissione P2, Massimo Teodori. Ma l'ex deputato radicale non si riferiva ai Petroli, bensì all'Italcasse, la seconda delle tre piste individuate dal PM romano. Lo scandalo Italcasse riuniva una serie di vicende che avevano quale comune denominatore l'ingerenza dei partiti (ma soprattutto della DC e al suo interno della corrente andreottiana) nella gestione dell'Istituto centrale delle Casse di Risparmio italiane, noto come Italcasse. La banca, che finanziava opere pubbliche, era in quel periodo oggetto di numerose inchieste amministrative e giudiziarie per l'elargizione di "fondi neri" (operazioni illecite di finanziamento ai partiti attraverso operazioni contabili "in nero") e di "fondi bianchi" (la concessione anomala di crediti a imprese collegate al mondo politico che ne otteneva in cambio cospicue tangenti). Una vicenda molto complessa, per i riflessi sia politici sia giudiziari, che a noi interessa soltanto per quanto riguarda la nostra inchiesta. Al centro dello scandalo c'erano le situazioni debitorie della SlR di Rovelli e della società Caltagirone, che nei confronti dell'Italcasse avevano totalizzato debiti per centinaia di miliardi. Quando il direttore generale dell'Italcasse, Giuseppe Arcami, fu costretto alle dimissioni, le società rischiarono la bancarotta e Andreotti fu accusato di essere indebitamente intervenuto, in qualità di presidente del Consiglio, nelle operazioni di salvataggio. Nei giorni successivi al delitto, ci furono alcune rivendicazioni anonime che avevano tutta l'aria di sollecitare l'attenzione degli inquirenti sull'Italcasse, come possibile movente dell'omicidio Pecorelli. Arrivò in Procura anche un volantino, siglato da un sedicente Partito Armato Europeo, nel quale si affermava che l'omicidio era stato «organizzato dalle forze monetarie anglofile legate alla Banca d'Italia». Pecorelli vi veniva descritto come un ricattatore professionista, «un taxi usato dai vari servizi segreti per operazioni di ricatto». Il messaggio dell'Anonimo sembra piuttosto equivoco: in realtà Pecorelli aveva costantemente seguito la vicenda, con articoli a cadenza settimanale, attingendo oltre che a sue fonti personali anche alla relazione ispettiva della Banca d'Italia che portò alle dimissioni di Arcaini, firmata dal capo della vigilanza Mario Sarcinelli, dando massimo risalto al contenuto della stessa (fondi neri e contabilità occulta). Non era la Banca d'Italia il bersaglio di Mino; anche se era molto interessato agli sviluppi dell'Italcasse. All'indomani del delitto, il PM Luciano Infelisi, amico del giornalista, si catapultò dal procuratore capo di Roma Achille Gallucci affermando che poche ore prima di essere ucciso Pecorelli era andato come vedremo più avanti. è appena cominciata. in presenza del giudice Carlo Adriano Testi e del vicecomandante della Guardia di Finanza. il presidente DC esprimeva durissime critiche ad Andreotti. Pecorelli lo difese. E anche l'avvocato Franco De Cataldo. sostenendo che la magistratura aveva centrato l'attenzione soltanto sul conto di sei miliardi a lui intestato. Mino era tornato sull'argomento con nuove rivelazioni: «È una bomba. a lei questi assegni chi glieli ha dati?». quando Arcaini era stato costretto alle dimissioni. ai primi dell'anno verrà fuori chi ha preso gli assegni». durante la quale Pecorelli e Vitalone. un anno e mezzo prima della morte. Così era scritto nella versione del 78. tralasciando altre operazioni e altre responsabilità. Lo scandalo fu uno degli argomenti trattati da Moro nel Memoriale: «L'Italcasse è il grande elemosiniere della DC».a trovarlo nel suo ufficio per dirgli che aveva avuto notizie esplosive sul rapimento del figlio di Arcaini. Il 16 dicembre 1978 Arcaini fuggì all'estero. Gli "Assegni del Presidente" La campagna di stampa orchestrata da Pecorelli sugli "Assegni del Presidente" certamente non era gradita ad Andreotti. Nel 78 lo scandalo era ancora sui giornali e le pesanti affermazioni di Moro avrebbero gravemente danneggiato Andreotti. radicale. interrogato da Sica confermò: «Sì. Proprio alla fine di quell'anno. Il giornalista sapeva benissimo che provenivano dal petroliere Nino Rovelli. il direttore dell'Italcasse. mi aveva chiesto informazioni sull'istruttoria». Ma nel manoscritto ritrovato nel '90. l'Italcasse non è finita. In quei giorni «OP» pubblicava un primo elenco di assegni per l'ammontare di due miliardi e rivolgeva ad Andreotti questa domanda: «Presidente. La SIR era in una situazione di totale deficit e aveva contratto un debito inestinguibile con l'Italcasse di duecentodiciotto miliardi. questo passaggio porta il segno della manipolazione. era a caccia di notizie sull'Italcasse. Qualche mese prima su «OP» era apparsa la notizia che il direttore generale era stato liquidato «con centinaia e centinaia di milioni dal consiglio di amministrazione». discussero del servizio che «OP» era in procinto di pubblicare con tanto di foto . dove morì di infarto tre mesi dopo. difensore del giornalista nei processi di querela. secondo il professor Francesco Maria Biscione (autore di uno studio comparato delle varie versioni degli scritti di Moro). né al suo entourage: abbiamo visto come l'argomento sia stato oggetto della famosa cena al ristorante la "Famija Piemunteisa". soltanto allora si seppe che contro di lui era stato emesso un avviso di reato per peculato. E muoveva ad Arcaini il rimprovero di aver creato «un cordone di società finanziarie e immobiliari rette da uomini che in un modo o nell'altro ne condizionano l'attività». Domanda retorica. presidente del colosso chimico SIR Rumianca e gran finanziatore della corrente andreottiana (se n'è recentemente tornato a parlare a proposito del processo IMI-SIR). Le anticipazioni di Mino risalivano all'ottobre '77. gli amici di Andreotti sapevano benissimo che avrebbe finito per scrivere tutto quello che sapeva: la cena e l'offerta in denaro erano soltanto un tentativo di tenerlo buono e prendere tempo. me lo ha suggerito. Al canzonettista. ciò basterebbe a sgombrare il campo da ogni ipotesi omicidiaria. I giudici. da Nino Rovelli. Gli articoli sugli "Assegni del Presidente" avevano però esasperato i rapporti tra il giornalista e il clan andreottiano. erano stati girati direttamente da Andreotti per organizzare serate musicali durante una campagna elettorale. l'ex patron del Cantagiro. è stato anche accusato di tentativo di corruzione del teste he mani della mafia Il direttore di «OP» era l'unico in quegli anni a fare guerra aperta al Presidente. Pecorelli non era affidabile. Il pacchetto ammontava a centosettanta milioni di lire. era andata a trovarlo per fargli capire che non doveva fare il nome di Andreotti: «Non è che me lo abbia detto apertamente. Io dissi: «Un personaggio ambiguo questo Andreotti». E lui se n'è andato». risposi. sto approntando un fascicolo documentatissimo che svelerà chi è veramente Andreotti e quali e quanti siano i suoi crimini». poco prima dell'interrogatorio. ma l'imminente pubblicazione di ampi stralci del Memoriale. Franca Mangiavacca nel '93 si è ricordata che Mino aveva avuto alcune fotocopie di quegli assegni da Ezio Radaelli. a firma di Paolo Graldi. a mettere definitivamente nei guai il senatore. cifra ingentissima per quegli anni. Convocato dai magistrati nel maggio '93. afferma la Corte. Anche perché Pecorelli aveva effettivamente le prove delle tangenti pagate brevi manu ad Andreotti. come sappiamo. Povero senatore. rivela: Mino mi aveva confidato che per circa due anni era stato una specie di segretario personale di Andreotti. l'avvocato Gianfranco Rosini. scopritore di talenti come Rita Pavone e Teddy Reno. E poi non è l'Italcasse il movente del delitto. E lui rispose: «Uno dei grandi criminali della storia. Radaelli ha confermato di aver dato le fotocopie a Mino e ha perfino detto di essere stato oggetto di pressioni da parte di una persona vicina al senatore che. il patron. nelle indagini sull'omicidio . rabberciando alla fine un accordo economico su un contratto pubblicitario da trecento milioni. In un'intervista pubblicata nel giugno '93 dal «Corriere della Sera». attaccare Andreotti era diventata per lui una missione. Capitoli che in un modo o nell'altro riconducevano a quel "patto con la mafia" di cui lo accusano oggi i magistrati di Palermo. ammesso che questa trattativa sia avvenuta. ricordo che me li diede Andreotti. non hanno ritenuto che nel corso di quell'incontro sia stato trovato alcun accordo solido e definitivo con il giornalista e hanno respinto la tesi dei difensori del senatore secondo cui. E la mafia compare per la prima volta. Ricorda quegli assegni di Rovelli che le diede Wagner? No. che era andato a trovarlo poche ore prima che fosse ucciso.di Andreotti in copertina. più una trentina in contanti per la tipografia. sotto forma di assegni di piccolo taglio. Ed è stato proprio lui. Sotto il titolo "Caro Paul. della cui copia Mino era entrato in possesso (questo lo scoop!). Mino raccontava di uno strano rapimento avvenuto la sera del 19 marzo '77. il santo di Arcaini. I due malviventi. aveva raccolto tutte le carte recuperate nella redazione di «OP». il figlio del direttore generale dell'Italcasse. pistola alla mano.Tra gli allegati alla relazione della Commissione P2. proprio a margine dello scandalo Italcasse. anche questi depositati in Svizzera».. La spiegazione di questo ingarbugliato affare l'ho trovata negli "scatoloni" di Sica. nella seconda dichiarava di essere il vero responsabile di un incidente costato la vita a due operai per il quale fu assolto «da magistrati giudicanti ai quali fu molto riconoscente». quando il figlio di Arcaini era stato affrontato da due uomini incappucciati sotto la sua casa di Milano: Erano circa le due di notte e Rino Arcaini. E così conclude: Fatti sottoscrivere ad Arcaini i tre capi d'imputazione (per estorcere la confessione non occorrono meno di tre ore). Di che poteva trattarsi? Se non gli avessero sparato. dove alla fine quei documenti . nella terza scriveva di aver effettuato insieme ad altri soci numerosi viaggi in America e di aver condotto in quel paese transazioni di affari «a seguito delle quali ha lucrato utili per l'importo di trentacinque miliardi. subito dopo l'omicidio. quello dove il magistrato la notte del 20 marzo. parcheggiata l'auto stava per rientrare nella sua abitazione quando gli si pararono davanti. San Giuseppe. come disse a Infelisi. avrebbero ordinato a Rino Arcaini di salire in casa e sotto la minaccia delle pistole lo avrebbero obbligato a scrivere tre diverse lettere a questo misterioso Paul. Ma il primo "colpo" lo aveva già messo a segno. quindi gli somministrano un potente narcotico. Di qui in avanti la meccanica del sequestro (che di sequestro si tratta) segue sviluppi che non hanno precedenti nella storia del crimine. A Milano è l'alba del 19 marzo.Pecorelli.. La mattina del 20 marzo. aspettano che cominci a dormire e se ne escono indisturbati dalla Comune. bozze di articoli. probabilmente avremmo letto la seconda puntata dell'articolo pubblicato sul numero 5 di «OP». spiega Pecorelli. i due incappucciati gli raccomandano di informare il padre dell'accaduto perché provveda a procurarsi dieci miliardi di spiccioli. e di aver depositato il ricavato in una banca svizzera». La storia era in effetti "scoppiettante". fotocopie e documenti riservatissimi. block-notes.. due individui con il viso coperto da passamontagna di lana. appunti. firmato Arcaini". era andato da Infelisi per dirgli che aveva tra le mani "materiale esplosivo" sul figlio di Arcaini: informazioni dirompenti sulla scandalo della Pubblica Banca. era in edicola quando il killer dall'impermeabile bianco ha aperto il fuoco in via Tacito. poche ore prima di essere assassinato. e nelle quali egli si autodenunciava di altrettanti gravi episodi destinati a restare sotto silenzio. Nella prima riconosceva di aver venduto «a una società francese il 49 per cento della Francis.. Un tale chiamato Aldo Moro. La Flaminia Nuova.. In una parola. della Flaminia Nuova più avanti. per conto di chi aveva condotto il pesante ricatto nei confronti del presidente dell'Italcasse? Lo scenario che s'intravede dietro il rapimento falso-vero è il solito e via via che ci inoltriamo in questa fantastica storia dobbiamo farci l'abitudine: mafia. venduto a Salvatore pistola e armi. usufruivano di crediti illegittimi. Torneremo a parlare di Florent. vero nome Frei Aloisio Paul. ma facevano anche parte di quel reticolo di società finanziarie e imprenditrici legate alla Banda della Magliana. via via che ci avvicineremo all'intreccio più oscuro che si cela dietro l'omicidio Pecorelli e capiremo fino in fondo il pericoloso significato di quell'appunto che Mino scrisse pochi giorni prima di morire. la DC. la Banda della Magliana. assieme alla fotocopia della lettera al misterioso Paul. Mov.. la SOFINT e altre società del finanziere Florent Ley Ravello erano clienti dell'Italcasse. malavita romana e gangster marsigliesi. terrorismo nero. Chi era Paul Aloisio Frei? Che ruolo ha giocato nel sequestro del figlio di Arcaini.]. trovato a san Macuto. ma presidente del Consiglio nazionale del suo partito. trafficanti d'armi. c'erano anche le riflessioni che Mino andava facendo mentre si avviava a passi veloci verso la morte: Andreotti è un capo quasi assoluto cui tutto per la Ragion di Stato è concesso [. C'era un altro Presidente che non aveva la macchina blindata. . che alla fine degli anni Settanta poteva essere già considerata il braccio armato dei poteri forti. Fronte rivoluzionario». già prima che questi venisse esaltato ai fasti dell'Italcasse era consigliere della Flaminia Nuova e reale dominus. amico e socio di Addario [condirettore generale dell'Italcasse]. Si tratta del finanziere italo-svizzero Florent Ravello Ley. al tomo XXIII c'è una fotocopia della lettera indirizzata al fantomatico Paul e un'informativa che rende possibile ricostruirne l'identità: «Frey Paul Roberto.erano approdati. l'intreccio di denaro pubblico e privato attraverso un sistema di riciclaggio che aveva i suoi terminali nelle banche svizzere. omicidio Benz Ottimar.. che vale a gettare parecchia luce sull'oscura e torbida vicenda. anche se il giudice Verrina non è riuscito a trovare prove sufficienti per "incastrare" i presunti esecutori dell'omicidio di Mino Pecorelli. un'eminenza grigia.. non presidente del Consiglio. In quel block-notes. trafficante d'armi. quanto a primo impatto indecifrabile: Il pasticcio Italcasse rivela un personaggio. furto Volkswagen. identificato Luigi Salvatore. di cui lo svizzero Ley Ravello era il socio più presentabile di una cordata che in ogni caso riportava a Pippo Calò. Queste poche righe rivelano che Mino aveva individuato quell'invisibile filo che lega l'economia legale all'imprenditoria mafiosa. Più avanti troviamo un'altra noticina preziosissima. L'appunto era uno dei tanti che Mino prendeva al telefono parlando con qualche "vocina" amica. estrema destra. il tesoriere di Totò Rima. che sembravano tirare le fila del disordine con il solo scopo di creare le condizioni per un intervento militare "forte". pericoloso e per questo inaffondabile. del 78. Naturalmente troviamo da un lato Moro e il suo Memoriale. Quanto ci sia di vero non sappiamo. sia nella vicenda golpista sia nelle trame successive. occorre ricostruire quello che Pasolini definiva «il romanzo delle stragi». in grado di garantire una svolta autoritaria. dove rimase più a lungo di ogni altro uomo di governo. con la riforma del '77. lo hanno ricoperto in quegli anni i servizi segreti: il SIl-'AR (Servizio Informazioni Forze Armate) negli anni Sessanta. ma un barlume di luce sui reali rapporti tra Andreotti e i generali golpisti. più tardi il SID (Servizio Informazioni Difesa) e per finire il SISMI (Servizio Informazioni e Sicurezza Militare) e il SISDE (Servizio Informazioni e Sicurezza Democratica) fino a quando. le cui radici affondano in anni ancora più lontani. culminato l'anno precedente con la strage di via Fani e il delitto Moro. che andavano da una destra ancora istituzionale a un'ala realmente golpista.La stagione del golpe L'omicidio di Mino Pecorelli chiude un decennio drammatico. attentati. erano in tale "sintonia" con quanto il presidente DC aveva appena rivelato alle Brigate Rosse nel Carcere del Popolo. in questa lunga serie di attività illegali. dall'altro Pecorelli con le sue velenose e informate noticine su «OP». Uno dei più appassionanti enigmi della Prima Repubblica riguarda il ruolo che Andreotti ha avuto. e si intrecciò con quel periodo di complotti. Un ruolo di non poco rilievo. ha contribuito a far accrescere attorno a lui quella sulfurea leggenda di uomo potente. Ma le cose non andarono meglio: alla "strategia della tensione" era subentrata la fase degli "opposti estremismi" e del terrorismo brigatista che culminerà con il sequestro Moro. Dalle indagini sui gravi fatti di sangue degli anni Settanta. quando ci fu la svolta del centrosinistra. La lunga stagione del golpe durò circa dieci anni. ce lo offre la lettura incrociata degli unici protagonisti di quegli anni che osarono attaccarlo su questo imperscrutabile fronte. dall'altro la sicurezza interna. per via delle profonde relazioni che lo legavano ai servizi segreti. bombe che divenne poi tristemente noto come la "strategia della tensione". All'interno di questo progetto si muovevano ambienti e forze politiche eterogenee. me lo hanno sempre sconsigliato per il mio prestigio e io ho seguito il consiglio». La sua permanenza al ministero della Difesa. dal '64 al '74. Per capire il contesto in cui si colloca il più grave delitto politico compiuto in Italia. sono emersi finora soltanto frammenti della trama perseguita dagli ignoti burattinai. nella quale avevano trovato legittimazione neofascisti. Un'accusa dalla quale Andreotti si è sempre difeso così: «Con i servizi segreti non ho mai avuto relazioni. nostalgici e partigiani anticomunisti. la nostra inteliigence fu scissa in due tronconi: da un lato il controspionaggio militare. Anzi alcuni scritti di Pecorelli. da indurre . i primi anni Sessanta. La strategia della tensione Al termine di un anno che aveva visto crescere la contestazione studentesca e poi la mobilitazione operaia nelle fabbriche. dato che i deportati avrebbero dovuto essere concentrati presso la base militare di Capo . non più perseguibili perché definitivamente assolti. La strage di piazza Fontana è considerata la madre di tutte le stragi che. o perlomeno non soltanto lui. L'inizio della stagione dei golpe viene datato al '64. in Giappone da anni. durata oltre vent'anni e riaperta dal giudice Guido Salvini nel '94. compresi alcuni parlamentari: lista mai recuperata. I giudici di Perugia non hanno perciò escluso che Pecorelli avesse un contatto personale all'interno delle Brigate Rosse. oltre all'occupazione dei centri politici e istituzionali. molto prima che i memoriali divenissero pubblici. un punto di non ritorno nella storia della nostra democrazia. ma anche socialisti. L'ultima indagine in ordine di tempo si è recentemente conclusa con la riaffermazione della colpevolezza dei primi imputati. comandante generale dei Carabinieri ed ex capo del SIFAR. Franco Preda e Giovanni Ventura. di cui maggiormente si fidava. prima e dopo piazza Fontana. dal momento che alcuni articoli precedono l'incontro con il generale. ma certamente esistente: fu proprio Andreotti a confermarlo alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta Biolchini. nei progetti dell'allora capo di Stato Antonio Segni (preoccupato per le inquietudini che il nascente centrosinistra aveva provocato) avrebbero dovuto partecipare all'operazione soltanto i carabinieri. Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni irreperibili. culminata con 1'"autunno caldo". la deportazione in Sardegna di una lista di enucleandi. esplose una bomba ad alto potenziale che fece diciassette morti e ottantacinque feriti. da quel momento in poi hanno segnato i passaggi cruciali della nostra vita politica. o molto vicino all'organizzazione. La fonte non poteva essere Dalla Chiesa. all'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Il "Piano Solo" prevedeva. Fu così definito perché. mise a punto il "Piano Solo". Tutto quello che è accaduto. dirigenti comunisti. quando il generale Giovanni De Lorenzo.i giudici di Perugia a sospettare che il giornalista avesse una fonte "personale" in grado di informarlo quasi in "diretta" su quanto diceva il prigioniero. di piazza Fontana a Milano. la cosiddetta Lista E. L'elemento più interessante del mancato golpe di De Lorenzo è il primo certo coinvolgimento di Gladio. di cui dovevano far parte sindacalisti. La decisione forse non è servita ad assicurare alla legge i responsabili. e con la richiesta di arresto nei confronti di Delfo Zorzi. ma ci ha consentito di rileggere in modo unitario l'intera fase della "strategia della tensione". è possibile leggerlo attraverso la lente dell'inchiesta "infinita" sui responsabili. Era il 12 dicembre 1969: fu il momento più incandescente della strategia della tensione. le passò a Licio Gelli il quale seppe farne buon uso.Marrargiu. gli USA sarebbero stati costretti a invadere militarmente l'Italia. un unico mastodontico servizio segreto alle cui dipendenze troveremo migliaia di uomini quasi tutti carabinieri. conquistate durante la Resistenza. uomini di Chiesa. Una struttura che continuò a operare anche negli anni successivi. all'insaputa del governo italiano. non contro il nemico invasore ma contro nemici interni. possiamo aggiungere che il responsabile militare dell'ambasciata americana. nell'ordine di qualche migliaio. Il generale fu fatto fuori sull'onda dello scandalo: fu anche deciso di eliminare i 157 mila fascicoli. Per capire meglio la genesi della sindrome golpista dobbiamo fare qualche accenno alla biografia di De Lorenzo: a proporlo capo del SIFAR era stato nel '55 l'allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. imprenditori. giornalisti. sindacalisti. La sua nomina fu molto gradita all'ambasciatrice statunitense Claire Booth Luce e in particolare al suo consigliere politico AUen Dulles. uomo della CIA. completi di notizie sulla vita privata di una moltitudine di personaggi pubblici. fu rinviata di stagione in stagione. si muoveva dicendo che se i socialisti fossero andati al governo. che coltivò anche in seguito. pose fine nel '67 alla carriera di De Lorenzo. a nord di Alghero. sia del SiFAR che dell'Arma. tanto che. All'origine delle fortune di De Lorenzo c'erano un paio di medaglie d'oro al valor militare. che insieme alle rivelazioni sul mancato golpe. Alla "scheda" sul generalone va aggiunto che nel periodo della Liberazione era riuscito a stabilire ottimi rapporti con gli americani. Per dare un'idea del clima in cui maturò il primo progetto golpista. Questa decisione di mettere sotto controllo l'intero mondo politico diventò una tale ossessione che il servizio finì per compilare 157 mila schede informative su politici. Prima di essere destituito. Verner Walters. Ma la "grande fumata". che alla luce delle attuali conoscenze era il luogo dove venivano addestrati gli uomini dei reparti Stay Behind. anche a prezzo di fomentare un conflitto civile. Una schedatura di massa. creando in violazione di ogni norma di sicurezza democratica. tanto che il capo del SIFAR finì per piazzare cimici anche in Vaticano per sapere cosa dicesse il capo dello Stato al papa. finirono in copia al generale Allavena che. proprio quando era riuscito a diventare Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. raccolti illegalmente. prese concreti accordi con gli USA per l'attuazione di un . Nel frattempo le schede più interessanti. come fu definito il rogo delle schede. per una guerra da combattersi "dietro le linee" in nome dell'anticomunismo. che consideravano Gronchi un po' troppo "sinistro" e vedevano di buon occhio che fosse tenuto sotto stretto controllo. una volta iscritto alla P2. De Lorenzo era riuscito a piazzare tutti i suoi uomini nei posti chiave dei più importanti uffici. Controllo che non mancò di essere eseguito. il Principe nero. quando si decise di ritentare la strada del golpe. Un gruppo di avanguardisti arrivò a occupare il Viminale. fu salvato dagli angloamericani che lo sottrassero alla fucilazione decisa dai GAP: se si era esposto fino a quel punto non poteva trattarsi di un "golpe da operetta". furono bloccate. Borghese doveva aver avuto qualche assicurazione ad alto livello. forse migliaia di uomini. Fu forse il fiuto politico di Aldo Moro a salvare la situazione: intuì che il vero obiettivo del putsch era quello di ridimensionare la portata riformatrice del suo governo. questo è un periodo che precede di qualche anno gli avvenimenti che a noi interessano. Ma è bene risalire alle origini. Il golpe Borghese Era passato un anno dalla strage di piazza Fontana. i reparti che si stavano dirigendo verso il Quirinale fecero marcia indietro. si mossero alla conquista dei centri decisionali della capitale. senza mai essere accantonata. almeno fino al 74. Il presidente del Consiglio arrivò a partecipare a una riunione "cospiratoria". la data del colpo di Stato fu rinviata di anno in anno. decisi di non accogliere il suo invito perché . Il golpe De Lorenzo è considerato il padre di tutti i golpe. alcune centinaia. alcune colonne di uomini che si stavano muovendo sulla Salaria in direzione di Roma. Il golpe. il cui obiettivo era quello di ridurre con ogni mezzo la crescita e il potere dei partiti comunisti italiani e francesi. Cos'era successo? Borghese. Il risultato era stato ottenuto e senza neppure sparare un colpo. il ricorso al "tintinnar di sciabole". le istanze innovatrici e popolari del centrosinistra risultarono più che annacquate. come lo definì Pietro Nenni. Cosa sia accaduto non è mai stato ben chiaro. se a partire da quel momento. Fatto è che di lì a poco cadde il primo governo Moro e. il primo ad aver aperto ai socialisti. Tant'è che da quel momento in poi. denominato Demagnetize. e cioè un progetto il cui scopo era quello di condizionare gli equilibri politici. E non si è mai capito bene. e come d'incanto l'adunata si sciolse. fosse un reale tentativo di rovesciamento dei poteri costituzionali o soltanto xavintentona. ex consigliere del Partito Fascista Repubblicano. Nell'economia della nostra storia. Poi qualcuno fece una telefonata. era un generale di alto livello. era un esperto di antiguerriglia.una delle tante che si svolsero in quella folle estate. il mitico comandante della X MAS.piano di permanente offensiva anticomunista. nell'estate '64. nella seconda edizione. io gli domandai se c'era qualcuno sopra di lui. Non mi rispose. i congiurati abbandonarono i sotterranei del ministero degli Interni. La notte dell'8 dicembre. Il senatore Pino Romualdi dell'MSi. agli ordini del comandante Junio Valerio Borghese. confidò a Marco Pannella: «Junio mi aveva chiesto di aderire. attorno a mezzanotte. È questa almeno la convinzione più diffusa. fu alla fine archiviato. durante la guerra aveva ricoperto incarichi importanti. la notte dell'Immacolata. come dicono gli spagnoli. proprio come la strage di piazza Fontana è la madre di tutte le stragi. coinvolto con altri boss di Cosa Nostra nel golpe Borghese. raccontò a Falcone che il progetto era appoggiato dagli americani. Come potevano gli uomini di Junio essersi spinti così avanti. Il Venerabile. Secondo Masino l'operazione fu bloccata perché in quelle ore si disse che erano state avvistate nel Mediterraneo navi e cacciatorpediniere. il 28 settembre 1976. Non fu soltanto Buscetta a dare questa versione dei fatti: come vedremo. C'è chi in quella vicenda intravide lo zampino dell'ambasciatore americano Graham Martin. Insomma. nominato nel '69 da Nixon. "Filippo" con il quale ormai interloquiva a ogni livello.non c'era alcuna certezza della purezza dell'operazione». fare un Golpe in Italia non sarebbe stata un'operazione indolore. messe in allerta da voci che circolavano in ambienti del PCI. in quel periodo di casa all'ambasciata di via Veneto. Fu una nomina di ispirazione massonica: Miceli era entrato nella loggia di Palazzo Giustiniani l'anno precedente e fu il primo uomo che Gelli riuscì a piazzare a capo del SID. Il presidente USA era molto preoccupato per la situazione italiana: vedeva comunisti ovunque e si diceva anche che fu lui a promuovere la P2 come centro di potere anticomunista. ottenne in cambio di usufruire di un ufficio. Era stato proprio lui. la cui nomina era freschissima. Quanto a Martin. «Conobbi Miceli a un ricevimento tra il '68 e il '69. Fino a quel momento aveva ricoperto il ruolo di capo del SiOS (Servizio Informazioni Operative e Situazione) dell'esercito. di appena due settimane. di una linea telefonica e di quel nome in codice. a telefonare quella notte al comandante Junio Valerio Borghese per bloccare la marcia dei congiurati ormai giunti a poche centinaia di metri dall'ufficio del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. perché l'uomo era poco incline a capire la complessità della situazione italiana. si racconterà in seguito. politica. che interpretava e giudicava sulla base di contatti con personaggi di destra o estrema destra. Ma la telefonata non poteva essere una sua iniziativa personale. fu il suo unico e caustico commento. Vito Miceli. al giudice fiorentino Pierluigi Vigna. che non aveva alcun ruolo riconosciuto negli organigrammi del servizio segreto. Nell'84 Buscetta. raccontò Gelli. altri congiurati . gli proposi l'ingresso in massoneria e lui accettò». non poteva ripetersi quello che era avvenuto in Grecia tre anni prima. Celli sembrò dell'avviso che la gita fino al Viminale fosse più che soddisfacente: «Il fatto è che quella notte piovve e forse qualcuno ha avuto paura di bagnarsi». il Venerabile. Ma doveva esserci anche una copertura interna. il servizio segreto delle Forze Armate. un programma su chi avrebbe assunto i pieni poteri avallando l'azione militare? L'uomo chiave di quella notte fu il capo del SiD. fu una scelta giudicata infelice dalla stessa GIÀ. insomma era uno "spione" di vecchia data. se non con la certezza che il progetto poteva avere uno sbocco operativo. che si fosse trattato di un gesto "sconsiderato" di un pugno di nostalgici di cui. invece Miceli restò al suo posto fin quando lo scandalo non esplose. «Non prendere alcuna iniziativa. In seguito fu abbastanza accorto da disporre indagini: negli archivi del SID furono conservate le bobine delle registrazioni telefoniche e anche alcune copie di un paio di rapporti. La Commissione Parlamentare sulla P2 accertò molti anni dopo che. penserò io a informare chi di dovere». Molti anni dopo il neofascista Paolo Aleandri. il costruttore Remo Orlandini.] sarebbe dovuto scattare un piano insurrezionale esistente nelle cassaforti del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri. rispose Miceli. per consentire ai congiurati di defluire. in occasione di un convegno all'Hilton. con l'arresto per finalità antiinsurrezionali di sindacalisti. poi appoggiata da dichiarazioni della destra politica. Miceli fu interrogato dalla magistratura. che aveva partecipato alla notte dell'Immacolata. Il capo del SID avvalorò la tesi. militari e altri interventi analoghi.. me ne occupo io.confermeranno il coinvolgimento di ambienti NATO nel progetto golpista. qualunque capo di servizio segreto sarebbe stato rimosso. stilati dal servizio sull'intera vicenda. Fallito il golpe. da Federico Gasca Queirazza. era stato proprio "il fratello colonnello" Gelli a informare il Gran Maestro Salvini. non si era trovata traccia. Ma non furono consegnati alla magistratura. dopo che Miceli fu arrestato in relazione al golpe. Il tacito accordo tra il procuratore e il generale fu di tener fuori la massoneria. a cominciare da uno dei massimi organizzatori. In realtà fece passare più di due ore prima di telefonare al ministro dell'Interno Restivo. capo della loggia di Palazzo Giustiniani «di aver iniziato sulla spada quattrocento alti ufficiali dell'esercito al fine di predisporre un governo dei colonnelli che era sempre meglio di un governo dei comunisti». Nel marzo '71.. L'attuazione del piano avrebbe consentito l'instaurazione di un . La successiva ricostruzione degli eventi consentì di accertare che attorno a mezzanotte il capo del SID fu ufficialmente informato che gli insorti avevano occupato il Viminale. diede questa versione: Quando i gruppi armati della destra extraparlamentare [Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale] e alcuni reparti delle Forze Armate fossero riusciti a impadronirsi dei centri nevralgici del potere [RAI. esponenti politici. e cioè vicecapo del servizio segreto perché all'epoca quell'ufficio svolgeva il ruolo attualmente coperto dal SISDE. se non nel 75. quando ormai del golpe Borghese erano pieni i giornali. massone dichiarato dal 1947. allora capo dell'Ufficio D. ministero degli Interni. che gestì la cosa con mano leggera. in seguito alla segnalazione. presidenza della Repubblica. a toglierlo dall'imbarazzo fu il procuratore generale Carmelo Spagnuolo. che invece aveva molti suoi esponenti coinvolti. come sappiamo. è evidentemente il "Piano Solo" e anche la lista dei proscritti dev'essere la stessa. Se si è trattato davvero di omicidio. sostenuto dalle forze istituzionali che avevano dato il tacito assenso all'operazione. Lo scoglio fu superato nel 72. e fu proprio lui ad accelerarne la fine. si troverà nel 75 anche una telefonata tra due congiurati. entrò in crisi la destra repubblicana e con essa l'asse Nixon-Kissinger. furono fervidi per i nostri apparati di sicurezza. dai colonnelli greci alla Spagna franchista. prima di incappare in questo sventurato processo. Dicono i politologi che ciò dimostra come. nonostante il potere e il grande prestigio di cui godeva all'interno della Dc. Nel 74. un'età abbastanza avanzata per quello che era stato Xenfant prodige della DC. dopo la strage di piazza Fontana e il golpe Borghese. Del generale non si era mai fidato e non a torto: aveva sparlato di lui con i colleghi della CIA che glielo avevano subito riferito. il pupillo di De Gasperi. sarebbe stato proprio l'agente Guido Giannettini. l'esperienza del SiD travolto dagli scandali poteva considerarsi agli sgoccioli. e divenne nel 72 per la prima volta presidente del Consiglio: aveva già cinquantatré anni. forse aggiornata di qualche anno. dal suo rifugio in Spagna. volgeva al termine. E fu tradito anche il comandante della X MAS. vuoi dire che qualcuno realmente temeva possibili rivelazioni sulla portata del golpe e su chi c'era dietro. opportunamente corretto. è stato alla guida del governo ben sette volte. già coinvolto come vedremo nella strage di Piazza Fontana. Andreotti fu due volte ministro della Difesa. dice Saccucci. E da allora. Nelle bobine conservate nella cassaforte del SID. La crisi del SiD fu anche il risultato di un mutato clima internazionale: l'esperienza dei regimi fascisti nell'area del Mediterraneo. divisi su tutto. Il piano cui fa riferimento Aleandri. soprattutto Moro. Tra il '64 e il 74. quando Andreotti tornò alla Difesa. che commentano i fatti della notte precedente: «Ci hanno traditi». nell'immediato dopoguerra. sull'onda di gravissimi fatti di sangue. La guerra dei generali I primi anni Settanta. risulterà infatti che a contattare gli ufficiali delle Forze Armate.governo militare. con i capi coinvolti nelle trame perennemente in lite tra loro. ma per un caffè al cianuro. sottosegretario a soli ventiquattro anni. si era creata attorno a lui una certa diffidenza da parte dei big democristiani. lacerati da scandali e ricatti. Il SID certamente non era estraneo. custodito nella cassaforte dei carabinieri. Nel 74. facilitando l'arresto di Miceli coinvolto nelle trame golpiste. con una coalizione di centrodestra che non disdegnava l'appoggio esterno dell'MSi. l'ex para Sandro Saccucci e il maggiore Rosa. in balia delle correnti politiche. Raccontò Stefano Delle Chiaie. famigerata Lista E. di conseguenza si . con lo scandalo Watergate negli USA. che Tunio era morto non d'infarto. patentemente violando fondamentali obblighi del suo ufficio.indebolì l'appoggio americano a quei regimi. perché coinvolto con il suo aiutante La Bruna nella fuga all'estero di Guido Giannettini. delle Forze Armate e del Viminale. Nel frattempo il ministro della Difesa era riuscito a liquidare sia l'ala dura che quella legalitaria del servizio segreto. a capo dell'intera struttura di intelligence. Una vicenda in cui Miceli aveva soffiato sul fuoco. L'incontro non è particolarmente interessante ai fini dell'inchiesta sull'omicidio. durante il sequestro e il rapimento Moro. efficiente. tre mesi dopo la stessa sorte toccò ai colonnelli greci: resisteva la Spagna del generalissimo Franco dove trovarono rifugio Stefano Delle Chiaie e molti ex attivisti di Avanguardia Nazionale ormai bruciati dalle indagini giudiziarie. Nonostante le assicurazioni. ma Andreotti era in una botte di ferro e non vedeva l'ora di liberarsi di entrambi. che riuscì a decollare nel 77. amico di tedeschi e israeliani. Per liberarsi dell'ormai scomodo Miceli. Maletti. algido. La dittatura in Portogallo crollò il 25 aprile 1974. che riuscirà a piazzare tutti gli iscritti alla sua Loggia. imputato della strage di piazza Fontana. capo dell'Ufficio D. in particolare dall'onorevole Giacomo Mancini di cui era diventato amico durante il processo di Catanzaro su piazza Fontana (trasferito da Milano per motivi di «legittima suspicione»). L'inchiesta giudiziaria sul golpe fu affidata a Claudio Vitalone. ma consente di affrontare il capitolo dei rapporti di . l'anno successivo. come sappiamo fedelissimo del ministro. Un team che troveremo vigile e attivissimo. assumendo il ruolo di "bonificatore" delle gravissime deviazioni dei servizi segreti: questo gli consentì di appoggiare un'ipotesi di riforma «in nome della trasparenza e della legalità». Ma anche il feeling tra Andreotti e Malettiera destinato a esaurirsi nel breve volgere di qualche anno: il capo dell'Ufficio D fu rimosso nell'ottobre 75. che era in fama di ottimo tecnocrate. collocato a sinistra. Il "malloppone" e i "malloppini" Pecorelli aveva incontrato La Bruna ventiquattro ore prima di morire. Dopo anni di ostilità i due erano ormai amici per la pelle. Era l'uomo del futuro. Per oltre tre anni egli ha agito legibus so-lutus senza che nessuna delle autorità sovraordinate abbia avuto modo di imporgli il rispetto di legalità e correttezza». che a conclusione dell'indagine avviò una requisitoria di ferro contro Miceli: «Il capo del SID ha spudoratamente mentito. fortemente appoggiato dai socialisti. ancora poco nota ma già molto potente. travolta dalla "rivoluzione dei Garofani". proprio mentre Malettiportava a termine il suo rapporto da cui emergeva il diretto coinvolgimento del capo del SID nel golpe Borghese. Insomma la guerra dei generali era in pieno svolgimento. Andreotti nella sua qualità di ministro della Difesa affidò un'indagine interna sulla vicenda del golpe al generale Gianadelio Maletti. la rivoluzione nei servizi segreti fu una vittoria personale del Venerabile Licio. catene di comando non istituzionali. quando loro non erano da meno. uomini bruciati nella "guerra dietro le linee" che gli raccontavano come fossero rimasti vittime di occulte gerarchie. aveva risposto secco. Mino. finalmente riemerso dagli archivi del SID. Scrive la Corte d'Assise di Perugia. Il rapporto era stato consegnato alla magistratura. Nelle mani di Vitalone finì poi anche il cosiddetto "malloppone". gli urlava La Bruna e Orlandini era andato giù a ruota libera: «NATO. come posso aiutarvi?». Mino abbracciò la nuova causa. aveva vuotato il sacco. Ma alla fine vinse Vitalone: nella sua inchiesta di questi nomi non c'era traccia e a pagare le spese del golpe Borghese . E tutti per un motivo o per l'altro avevano il dente avvelenato con Andreotti. «I nomi. ordini illegali. dedicò varie puntate al succulento fascicolo. e se non basta CI A e tedeschi». sul suo «( )P». Ci riferiamo a quella piccola armata Brancaleone costituita da otto ufficiali il cui ufficio aveva sede in via Sicilia. Poi. in modo da favorire gli interessi del "ministro". non era da meno. che però l'aveva restituito avendo preferito lavorare su ipotesi minori. deviazioni dalle finalità di servizio. riportando brani della "chiacchierata amichevole" tra La Bruna e il golpista Remo Orlandini che. come aveva ribattezzato Maletti e La Bruna: li accusava di aver rovinato il capo del SiD per conto di Andreotti. Il giornalista in una prima fase aveva difeso a spada tratta Miceli. dimmi i nomi: se non capisco chi vi ha messo in questa situazione. Il rapporto di Maletti confermava la presenza di personaggi che andavano ben al di là dei quattro "pensionati nostalgici". e che avrebbe dovuto finire a Forte Braschi. nella motivazione della sentenza: Pecorelli era in possesso di documenti segreti e sapeva che Miceli nel rapporto originale sul golpe Borghese aveva citato nomi di politici e alti funzionari. attaccando Anisetta e Labrunne. della sua carriera. Erano gli uomini delle trame e dei golpe l'inesauribile fonte dei suoi scoop. con il tempo le acque si acquetarono e quando toccò a loro. con tutti i rapporti e gli interrogatori sui congiurati della notte dell'Immacolata. ovvero il verbale che Maletti aveva consegnato nel '75. Pecorelli lo accusava di aver manovrato per appropriarsi dell'inchiesta. Il magistrato cui Miceli aveva consegnato il dossier era proprio Vitalone. Pur di dare addosso ad Andreotti era pronto a tutto. Ma anche il vecchio rapporto di Miceli. prima di essere destituito. una rete di relazioni pericolose in cui il giornalista nuotava come un pesce nell'acqua. ignorando la presenza del registratore nelle tasche del capitano. visto che dirigevano una struttura deviata per alimentare la strategia della tensione: È stato proprio lui l'Anisetta a crearsi un centro di controspionaggio a uso e consumo suo. al cui comando ha posto La Bruna e il suo NOI).Mino con le "segrete stanze". l'unica ipotesi su cui Vitalone intendeva lavorare. una decina di nastri che prudentemente aveva messo da parte. e non Rumor. un magistrato romano e altri ancora che non dovevano comparire. Dei nomi contenuti nel "malloppone". È l'uomo che ha partecipato alla preparazione del golpe Borghese arruolando gli ufficiali. Andreotti oppose il segreto di Stato. oltre al ministro. ne sono trapelati alcuni: c'è un ammiraglio NATO. per fortuna. l'ammiraglio Mario Casardi (successore di Miceli alla guida del SID). compiuta nel 73 dai feddayn. Pecorelli sosteneva che a trasformare il "malloppone" in "malloppini" era stato . accusava il ministro di aver distrutto i servizi segreti per suoi personalissimi scopi e di aver gestito «le rivelazioni sul golpe Borghese per smantellare il SID e mettere ai posti di comando personaggi politici abituati al compromesso». ed è stato poi arrestato con l'accusa di aver partecipato alla preparazione della strage di piazza Fontana. Attentati che non furono però sventati. Andreotti sembrava avere mantenuto un comportamento ambivalente: era stato proprio lui. che puntualmente forniva notizie sulla preparazione di attentati.proprio lui. Il SID gli avrebbe fornito un passaporto di comodo e a quanto risulta lo avrebbe continuato a pagare. ma per scoprirlo abbiamo dovuto aspettare il fatidico 1992. ad apporre il segreto di Stato sulla appartenenza al SID di Giannettini. forse convinto che fosse venuto il momento di voltare pagina. che aveva purgato i verbali espungendo i nomi e i riferimenti più imbarazzanti. Saccucci e pochi altri. appena insediato alla Difesa. resa possibile dall'«aiuto garantito da ambienti ministeriali». il capo dell'Ufficio D Maletti e lo stesso La Bruna. e a coprire la sua fuga a Parigi. L'ex capitano del SID confermò a Salvini che la "sfrondatura" del "malloppone" era stata decisa nello studio del ministro della Difesa Andreotti alla fine del luglio '74. infiltrato in ambienti eversivi. Andreotti spiegò al Tribunale dei ministri che si trattava di un informatore. Ma quando i giudici di Catanzaro gli chiesero conto dell'esatto ruolo dell'informatore negli organigrammi del servizio. Forse Mino aveva ragione. Andreotti. il comandante dei Carabinieri Enrico Mino. poi precipitato sulla Sila con un elicottero. quando La Bruna consegnò al PM di Milano. sia sulla strage di piazza Fontana che su quella di Fiumicino. cercando poi di scaricarne le responsabilità su Rumor. a denunciare il ruolo di Giannettini come informatore del SID in un'intervista.furono soltanto Miceli e i soliti Orlandini. In questa vicenda. ogni settimana andava all'attacco. Pecorelli rivelò che era stato Andreotti. anche per i mutati equilibri internazionali. L'agente Giannettini L'agente segreto Guido Giannettini ha svolto un ruolo chiave negli anni della strategia della tensione. alcuni nel frattempo erano morti. che non se la sentì di smentirlo: furono . durante una riunione cui erano presenti. Dalle colonne del suo «OP». Quando Maletti fu destituito dal servizio segreto. Guido Salvini. Ma chi era Giannettini? Per quali strade un neonazista dichiarato era giunto a ricoprire un ruolo così importante? Ufficialmente svolgeva attività giornalistica. Enrico de Boccard e Franco Simeone. in cui Moro critica il comportamento di Andreotti: Per quanto riguarda la strategia della tensione. Il loro incontro era avvenuto nella redazione di «Mondo d'oggi». poi fondatore dell'«Osservatorio di Politica Internazionale». «Mondo d'oggi» era considerato il punto di ritrovo di politici e intellettuali di estrema destra come Pino Rauti. la rivelazione improvvisa e inusitata per la forma dell'intervista [si riferisce all'intervista rilasciata da Andreotti nel 74] del nome del collaboratore del sin. non possono non rivelarsi accanto a responsabilità che si collocano fuori dell'Italia. un fautore dell'esercito "ardimentoso" che per essere tale doveva avvalersi di una leva ideologicamente attrezzata in caso di conflitti locali. Il generale temeva soprattutto l'influenza culturale e ideologica dei comunisti e fu uno dei promotori del convegno organizzato dall'Istituto Pollio al Parco dei Principi. Pecorelli conosceva bene Giannettini.entrambi rinviati a giudizio per reati ministeriali. Giannettini era un ideologo. che per anni ha insanguinato l'Italia. Mi ha fatto particolarmente impressione il cosiddetto caso Giannettini. Lo strano furto in via Savoia Nessuno ha mai creduto che Gelli quella notte abbia potuto fare quella . l'agenzia di stampa che Pecorelli ereditò negli anni Settanta. Edgardo Beltrametti. all'epoca comandante delle Forze Armate. camuffate da agenzie di stampa. Aloia era un ultra del Patto Atlantico. accusato al processo di Catanzaro. ideologo neonazista. direttore dell'Aginter Press con sede a Lisbona.. detta «OP». Mancini e con la difesa strenua fatta dal parlamentare socialista del generale Maletti. indulgenze e connivenza di organi dello Stato e della Democrazia Cristiana in alcuni suoi settori [. meta di molti nostri fuoriusciti e ricercati. Ma la fuga di Giannettini all'estero è un altro dei capitoli del Memoriale. nel '65.]. da molti ritenuto l'atto di nascita ufficiale della strategia della tensione. Era amico di Guérin Sérac. Grecia e Portogallo con le organizzazioni italiane di estrema destra.. che tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta costituivano il raccordo tra i regimi fascisti di Spagna. una rivista di estrema destra che a metà degli anni Sessanta era considerata il salotto buono di quel circuito oltranzista che faceva capo al generale Giuseppe Aloia. pur senza conseguire i suoi obiettivi politici. non un uomo d'azione come Stefano Delle Ghiaie: con Pino Rauti alla fine degli anni Sessanta aveva scritto un libello anonimo dal titolo Le mani rosse sulle Forze Armate. forse collegata a presumibili insistenze dell'on. ma questa era soltanto una copertura: l'agente apparteneva a varie organizzazioni spionistiche internazionali. nel quale si attaccava pesantemente il generale De Lorenzo giudicato troppo neutralista e poco anticomunista. È quella commistione. Il 28 marzo 1978. Su significative presenze della Grecia e della Spagna fascista non ci sono dubbi. nel suo studio in via Savoia. ma lo stesso servizio italiano può essere considerato uno di quegli apparati su cui grava il maggior sospetto di complicità del reato. ma anche interne . Anche i giudici di primo grado del processo di Perugia affermano che il presunto retroscena del golpe Borghese poteva essere un valido movente per l'uccisione del giornalista. anche se non si può escludere che sia in uno dei passaggi secretati. L'oggetto del furto in via Savoia faceva forse parte dei tanti segreti di Stato che Moro stava rivelando nella sua "ignota" prigione? Nel Memoriale di questa notizia non c'è traccia. Ma nel rievocare la strage di piazza Fontana Moro rivela anche l'esistenza di un «gruppo specializzato in attività di antiguerriglia operante in ambito NATO». ma a nome di chi il Venerabile sia riuscito a sventare il golpe. . Mino scriveva di uno strano furto subito da Aldo Moro nel 75. da dove erano scomparsi «documenti che dimostravano come il golpe Borghese fosse stato una farsa montata da Giulio Andreotti». se dimostrata. Sono però rimasti i pesanti giudizi che Moro diede ai suoi carcerieri sulle responsabilità di forze internazionali...telefonata di sua iniziativa. vi fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi di informazione. Si può presumere che paesi associati a vario titolo alla nostra politica. Più avanti Moro spiega: È doveroso rilevare che quello della strategia della tensione fu un periodo di autentica e alta pericolosità con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari fortunatamente non permise. nel Comunicato numero 4. Un'accusa che. rimane un mistero (a parte l'ipotesi sul contrordine americano). dopo le vicende del '68 e il cosiddetto autunno caldo.nella drammatica esperienza di quegli anni: La strategia della tensione ebbe la finalità di rimettere l'Italia sui binari della "normalità". Una rivelazione che scatenò un gravissimo allarme in tutti i servizi d'intelligence alleati. ormai a un passo dal suo compimento. avrebbe chiamato in causa il Divo Giulio quale grande burattinaio della strategia della tensione. e quindi interessati a un certo indirizzo. che potrebbe aver debordato dalla sua attività "antinvasione" ed essere stato utilizzato a scopi interni contro la crescita elettorale del PCI. Ma la Corte d'Appello avanza un altro sospetto: in che modo Pecorelli era entrato in possesso di una simile informazione e proprio in quel momento? Moro era nelle mani delle BR da dodici giorni. E invece [. di cui dianzi dicevo della DC. che lo statista stava "pienamente" collaborando all'interrogatorio nel Carcere del Popolo.la DC e i servizi segreti . i brigatisti avevano appena annunciato.] vi furono altri ambienti e organi che non si collocarono di fronte a questo fenomeno con la necessaria limpidezza e fermezza. dodici giorni dopo il sequestro Moro. perla quale perseguendo una politica di egemonia politica non è stata abbastanza attenta a selezionare pericolose intrusioni. la "rete parallela". è che questi documenti fossero i piani militari segreti della NATO. anche se tuttora non ufficialmente. il motivo per il quale. dietro la sigla Gladio si celavano tre componenti operative: il Superservizio. Forse sapevano che Moro.forse superiore a quello ragionevolmente suscitato dalle poche frasi. l'Anello e i piani segreti Tra la fine di marzo e i primi di aprile 1978. alle Brigate Rosse l'esistenza di quella struttura segretissima. su indicazione di Moro. durante il sequestro. Il timore. della Pubblica Sicurezza e dell'Arma. cioè appartenenti alle Forze Armate (si scoprirono in seguito soltanto quelli di stanza nel Triveneto). come poi si accertò. Anche l'ammiraglio Fulvio Martini. ma anche i massimi responsabili delle Forze Armate. A quel che oggi sappiamo. in un suo libro di memorie ha rivelato che durante i cinquantacinque giorni del sequestro Moro sparirono dalla cassaforte del ministro della Difesa Attilio Ruffini alcuni documenti NATO riservatissimi. li aveva prelevati e consegnati a intermediari delle Brigate Rosse: fu questo il sospetto che generò un gravissimo allarme ai vertici della sicurezza atlantica. i reparti militari Stay Behind regolari. costituita da civili o ex militari. dovettero dar prova della propria fedeltà atlantica. ma soltanto sulla base di quanto è emerso da molteplici inchieste giudiziarie (a partire da quella di Felice Casson su Gladio e quella del giudice Salvini sulla strage di piazza Fontana). dove in modo dettagliato veniva indicata la reazione prevista in caso di insurrezione. ad esempio Fanfani. Chi li aveva trafugati? Qualcuno. sotto interrogatorio. era stato molto più preciso e dettagliato o avevano avuto conferma che. coinvolti nel golpe Borghese. In effetti l'esistenza di Gladio era ignorata. Perché in realtà era . non soltanto in Italia. in quella che viene solitamente definita la "prima fase" del sequestro BR. Il Superservizio faceva capo a servizi d'intelligence sovranazionali. ma anche in altri paesi europei. Una struttura che violava le norme costituzionali e che in pochissimi conoscevano. come la CIA e altre strutture NATO. molto probabilmente. che contenevano i piani Stay Behind. ovvero una sorta di cupola dei servizi segreti che avrebbe pianificato la strategia della tensione e che viene identificato con l'Ufficio R del SID e poi del SFSMI. gli uomini della nostra intelligence. scattò dunque l'allarme rosso attorno alla concreta ipotesi che Moro stesse rivelando. che è stato il capo del SISMI negli anni Ottanta. non soltanto dal Parlamento. comprensibili soltanto agli addetti ai lavori. e in modo dettagliato. nella quale erano confluiti anche alcuni appartenenti di Ordine Nuovo e di Avanguardia nazionale. con un giuramento che avesse una valenza superiore rispetto alla fedeltà giurata allo Stato italiano. ma anche da qualche presidente del Consiglio. convalidato dalla sentenza di Perugia. alla quale era affidata la difesa del Patto Atlantico. almeno a partire dal 77. Gladio. che noi conosciamo. Fu questo. persone vicine alla famiglia avevano recapitato alle Brigate Rosse documenti prelevati dal suo studio. e le Reti Parallele. quotidiani pubblicarono la notizia dell'arrivo a San Macuto. almeno fino alla metà degli anni Ottanta. L'Anello risalirebbe al dopoguerra. Già il 15 novembre 2000 alcuni. il palazzo che ospitava la Commissione Stragi. sono stato costretto a iscrivermi alla Loggia. e perfino da Tom Ponzi. di una relazione della Procura di Brescia. In quel documento la superstruttura veniva ancora chiamata Noto Servizio e veniva descritta come una sorta di servizio segreto parallelo composto da imprenditori. All'interno di questa strana e ancor fumosa organizzazione segreta emergeva la figura di un sedicente colonnello. Nella stessa relazione Giannuli parlò anche del cosiddetto Noto Servizio (in realtà ancora molto oscuro e assolutamente ignoto. cui Rita Di Giovarci uno secondo alcuni andrebbero addebitate la maggior parte delle "operazioni sporche" compiute dai servizi segreti in quegli anni: dalla strategia della tensione al sequestro Moro. in questo ultimo scorcio di guerra fredda. per non essere escluso da ogni possibilità di carriera». dove giacevano alla rinfusa documenti importantissimi. alla fuga di Kappler. come ad esempio lo scomparso Giorgio Pisanò. ex ufficiali sia badogliani che repubblichini. un A fare da raccordo tra la cupola dell'intelligence. industriali. A fare la sensazionale scoperta fu il perito della Commissione Parlamentare sulle Stragi Aldo Giannuli. Adalberto Titta: un personaggio già noto alle cronache per essere entrato e uscito a suo . trasferiti in questa sorta di "discarica" dei servizi segreti dopo lo scioglimento dell'ufficio diretto da Federico Umberto D'Amato. che ne parlò diffusamente in una relazione al Parlamento del 2000. sarebbe stata una particolarissima struttura denominata Anello: un nome in codice che stava a sottolineare il ruolo di collegamento tra vertice militare e base operativa. al caso Cirillo. Una struttura del tutto ignota fino a pochissimo tempo fa. anche se qualcuno doveva conoscerlo con il suo vero nome di Anello). ma è stato più o meno a metà degli anni Sessanta che il governo italiano. in realtà pilota della Repubblica Sociale Italiana. ovvero il Superservizio. avrebbero preso atto della sua esistenza e cercato di riorganizzarlo per assicurarsene il controllo: proprio nel periodo in cui Andreotti era al ministero della Difesa. o meglio alcuni suoi esponenti. Alla scoperta dell'Anello si sarebbe arrivati dopo il ritrovamento dell'archivio dell'Ufficio Affari Riservati in un deposito sull'Appia Antica.questo il senso del giuramento alla p2: un affidavit.L'Italia. spiegò il generale Dalla Chiesa quando il suo nome fu trovato sulle liste di Castiglion Fibocchi. ma che ebbe anche un ruolo di primo piano nella copertura dei traffici di armi e petrolio attraverso la Libia. il famoso investigatore privato. entrato nelle cronache per aver trafugato la salma di Mussolini. appare sempre più paese a sovranità limitata". ma anche da religiosi come padre Enrico Zucca. come altri. ora agli atti della Procura di Brescia che indaga sull'omonima strage. «Anch'io. Tutti capitoli che illustreremo a fondo nelle pagine che seguono. si celerebbe dietro le stragi di piazza Fontana. Nella relazione della Procura di Brescia si fa riferimento a una serie di veline ritrovate nel fascicolo al macero. Attraverso alti ufficiali dell'Arma il Noto Servizio avrebbe aperto canali "petroliferi" con la Libia. sostennero che la vera struttura deviata era un'altra. si afferma in sostanza che sotto la definizione di Noto Servizio. soprattutto nel periodo degli attentati organizzati dalla destra eversiva. ovvero l'operazione Gladio". era Giorgio Conforto (nome in codice "Dario") e proprio a questo nome era intestata la cartellina fatta ritrovare sull'Appia che ha avviato le indagini sul Noto Servizio. locuzione che potrebbe sottendere un nome preciso (l'Anello?). La sua attività deviata. nel rivelare nel '90 l'esistenza di Gladio. titolò la sua relazione "Il cosiddetto SID parallelo. insieme a parecchi illustri sconosciuti. più o meno tra le righe. secondo la Procura di Brescia. cioè Gladio. secondo le quali il Noto Servizio sarebbe nato nel '45. rapito dal brigatista (o presunto tale) Giovanni Senzani. per la . di un deposito di armi e munizioni presso la caserma Moscova di Milano. C'erano anche uomini del mondo politico-affaristico. Sembra che nel 72 il Noto Servizio potesse contare su una rete di 164 uomini che gravavano sul bilancio dello Stato per svariati miliardi. cui arrivavano attraverso questo canale armi ed esplosivo. il perito dei magistrati di Brescia Roberto De Martino e Francesco Piantoni. ma anche dietro il MAR di Carlo Fumagalli (responsabile della morte dell'editore Feltrinelli) e dietro l'attività del bombardiere nero Gianni Nardi.piacimento dalle carceri italiane durante il sequestro dell'assessore napoletano Ciro Cirillo. emergeva con chiarezza che questa struttura avrebbe fatto prevalentemente capo ai carabinieri del SID. oltre che di un ufficio di rappresentanza in via dello Statuto a Roma. di piazza della Loggia. riscontri documentali e verifiche incrociate sui documenti ritrovati negli archivi da Aldo Giannuli. a quanto sembra. traghetta alcuni dei suoi ex sottoposti verso la nuova struttura occulta. che disponeva di notevoli masse di denaro. Una versione che provocò la reazione dei 620 gladiatori i quali. Uno dei capifila era tal Sigfrido Battaini. indicando l'esistenza di un servizio segreto irregolare ma comunque innestato nel "tessuto istituzionale". che vedremo comparire in vicende legate al sequestro Moro. godendo di un rapporto mediato con Giulio Andreotti. ovvero quella che faceva capo a lui e che avrebbe costituito il nucleo più occulto del superservizio. fugge dall'ospedale militare romano in cui era detenuto e. Sulla base di vecchie testimonianze. Una polemica in cui tuttora non è possibile stabilire chi ha torto o ragione. ex capo della polizia segreta fascista. Uno dei suoi uomini di punta. si sarebbe celata la vera struttura italiana di Stay Behind. Da queste veline citate nella relazione di Brescia. come Felice Fulchignoni. quando il generale Mario Roatta. Andreotti. Anzi. Nonostante la sua versione dei fatti. Ma il mistero dei misteri alla luce di queste considerazioni è che fu proprio Andreotti. È un vero peccato. che stava a indicare il passaggio dal "notevole caos" del periodo precedente gli anni Settanta. ci si domanda ancora cosa abbia spinto il presidente del Consiglio a tale spericolata operazione. qualcuno allude al fatto che sia stato proprio l'allora ministro della Difesa a dargli questo nome. a svelare per la prima volta l'esistenza dello Stay Behind. si vede che a qualcuno da fastidio che io non sia ancora morto». che finora è proceduta nel più totale silenzio. sembra purtroppo destinata all'archiviazione per l'impossibilità di accertare fatti troppo lontani nel tempo e per la delicatezza delle informazioni raccolte che condurrebbero nell'alveo dei segreti di Stato. Nei giorni in cui comparvero sui giornali queste rivelazioni Andreotti era in Cina. come stiamo per vedere. quello che ci consentirebbe di capire la portata delle rivelazioni fatte dal presidente della DC alle BR e il motivo per cui queste avrebbero potuto danneggiare così tanto Andreotti. anche alla luce degli eventi successivi. sembra anche a conoscenza dei rapporti che intercorrevano tra la struttura supersegreta e Andreotti. non ho mai avuto rapporti né segreti né non segreti. il suo commento fu: «Non ne so niente.Fo. che da alcuni anni indagava su uno dei più gravi e misteriosi episodi della strategia delle tensione. era giunto alla conclusione che quell'attentato fosse stato compiuto da una particolare struttura . la strage di Peteano. che molti considerano l'origine di tutti i suoi guai. nell'agosto del 1990. fosse piuttosto riduttiva e lacunosa. perché questo sembra essere proprio "l'anello" che manca nella ricostruzione dei misteri Moro. E a distanza di tanti anni. Come si vede le informazioni sulla natura dell'Anello sono ancora molto confuse e l'inchiesta romana affidata a Ionta. a un'unica e più efficiente organizzazione. sono a Pechino.Biali. sulla base di molte allusioni fatte dal giornalista sul ruolo di Andreotti nella distruzione dei servizi segreti. considerato che disponeva dei riservatissimi fascicoli sul Mi. contrassegnato dall'esistenza di molteplici e spesso confuse strutture parallele. Vediamo intanto come andarono i fatti.lentezza e la difficoltà. quelle ancora in atto e quelle ormai concluse senza approdare ad alcuna certezza. Raggiunto telefonicamente da alcuni giornalisti. Pecorelli doveva essere a conoscenza dell'esistenza dell'Anello. delle indagini giudiziarie. e. le rivelazioni di Andreotti su quello che era stato fino a quel momento il massimo segreto militare di Stato non possono essere banalmente considerate un atto dovuto. provocando enormi ripercussioni in tutta Europa. Il giudice veneziano Felice Casson. indicato da alcuni testimoni ascoltati dalla Procura di Roma come il principale beneficiario dell'Anello. che in quel periodo non si erano ancora macchiate di reati di sangue. perché doveva apportare alcune modifiche. Il giorno successivo. diede il suo consenso. senza rinnegare le sue idee. Ma tre giorni dopo aver inviato il fascicolo. che in realtà era di un particolare tipo in dotazione alla NATO. In quattro si avvicinarono alla vettura per ispezionarla. Il giudice veneziano aveva riferito gli inquietanti risultati della sua inchiesta alla Commissione Stragi e Terrorismo di Libero Gualtieri (PRl). non senza sorpresa. aprirono il cofano provocando la deflagrazione: tre morirono e il quarto rimase gravemente ferito. un esperto di esplosivi. Casson trovò documenti che confermavano l'esistenza di Gladio e ne riferì alla Commissione. rinviò le carte a Palazzo Chigi. Andreotti ammise l'esistenza di una struttura segreta e si impegnò a consegnare un rapporto dettagliato entro il termine prescritto dopo essersi consultato con la Difesa. nel gennaio 1990. comune obiettivo era la lotta al comunismo sotto ogni sua forma e con ogni mezzo. I sospetti di Casson divennero certezza grazie alla collaborazione di un estremista di destra. che non soltanto ammise la sua responsabilità nella preparazione dell'attentato ma. ex militante di Ordine Nuovo il cui nome comparirà poi nella lista dei 622. La perizia fu affidata a Marco Morin. invitò Andreotti a informare il Parlamento sulle reali dimensioni e finalità della struttura occulta entro sessanta giorni. il presidente della Commissione Stragi. . Nel 1984 Casson scoprì che il perito aveva manipolato gli accertamenti sull'esplosivo. si definì un «burattino» ideologico al servizio di una più ampia organizzazione alla cui rete appartenevano sia civili che militari e il cui unico. Vincenzo Vinciguerra. Il 31 maggio 72 a Peteano una telefonata anonima alla caserma dei carabinieri attirò l'attenzione di alcuni militari su una FIAT 500 imbottita di esplosivo. di cui naturalmente aveva fatto alcune fotocopie.legata ai servizi segreti con l'unico scopo di scatenare il terrore per poi attribuirne la responsabilità alle Brigate Rosse. Ma il deputato radicale Roberto Cicciomessere era stato del tutto casualmente testimone del fatto che il plico era arrivato e poi era tornato indietro: la notizia filtrò sui giornali e la vicenda Gladio finalmente deflagrò. proveniente da un arsenale militare dove erano custodite armi e munizioni di ogni genere. Andreotti telefonò a Gualtieri dicendo che era urgente che gli venisse restituito. anche lui appartenente a Ordine Nuovo. davanti alla Commissione. questa. Non senza aver manifestato il suo disappunto. il quale nel luglio 1990. il 2 agosto 1990. e. Gualtieri informò Andreotti. che si accingeva a studiare il dossier. che successivamente si rivelò un deposito Gladio. Il 18 ottobre Andreotti fece recapitare a Gualtieri una relazione scritta di 12 cartelle destinata a sconvolgere tutti i piani atlantici della sicurezza. chiese di poter accedere agli archivi del SISMI di Forte Braschi per accertare l'esistenza di questa rete parallela. Ma anche la seconda versione non mancò di provocare un pandemonio. Francia. Olanda. Turchia. molto esiguo. il presidente greco Papandreu aveva confermato la passata esistenza di una struttura analoga in Grecia. Svezia. Prima di allora. Clandestine Planning Committee). tuttavia. La lista che circolò nel 1990 e che fu resa nota dall'ANSA nel febbraio 1991 comprendeva seicentoventidue nomi di civili. consistenti segnali di fastidio furono manifestati da ambienti della CIA e dell'Mló. Lussemburgo. Già il 9 novembre. non aveva mai ricoperto incarichi di vertice: fu nominato presidente del Consiglio soltanto quell'anno. Portogallo. Intanto. Andreotti restituì il documento alleggerito di un paio di pagine. che coordinavano le attività cospirative in funzione anticomunista nei rispettivi paesi. e in qualche caso anche dei vertici dello Stato e perfino del presidente della Repubblica. Fu costretto a questa nuova rivelazione per gli enormi riflessi che lo scandalo Stay Behind stava proiettando anche fuori dall'Italia. era stata assorbita all'interno del servizio segreto militare: dunque era probabilmente ancora attiva. Andreotti dovette ammettere che la struttura. passata o presente. Quel che non convinceva era sia il numero degli appartenenti. dopo il 1972. era stata attiva fino al 1972 una struttura militare e d'intelligence occulta in grado di mobilitare nel giro di poche ore alcune centinaia di civili già in armi. giunsero conferme dirette o indirette dell'esistenza. in Commissione Stragi si discuteva animatamente sull'aspetto meno convincente della rivelazione di Andreotti: il numero degli appartenenti alla Gladio. come il Comitato Clandestino Alleato (ACC. Allied Clandestine Committee) e il Comitato di Pianificazione Clandestino (CPC. Svizzera. Molti sospettarono che la data del 1972 fosse stata fornita da Andreotti a puro scopo difensivo. Cercheremo di capire nell'ultima parte di questo libro cosa possa averlo spinto a provocare questo terremoto e quali possano essere state le conseguenze: il nostro presidente del Consiglio non sembrò tuttavia preoccuparsene particolarmente. Germania. di organizzazioni simili da molti paesi europei: Austria. Quando il presidente francese Francois Mitterand tentò di tirarsi fuori dalla bufera sostenendo che la struttura non era operativa da tempo. il servizio segreto inglese. Belgio. In poche settimane. Norvegia. rispetto alla funzione svolta . Il 30 ottobre. In seguito alle rivelazioni di Andreotti. Nel suo rapporto Andreotti aveva già sostenuto che queste strutture facevano capo a organizzazioni sovranazionali di ambito NATO. Finlandia. Spagna.Il 24 ottobre. Danimarca. pur essendo stato ministro della Difesa. Il governo francese fu così costretto ad ammettere. Andreotti lo smentì con una secca dichiarazione: «Mi risulta che alla riunione dell'ACC del 24 ottobre a Bruxelles [poche settimane prima] erano presenti anche i francesi». Gli italiani vennero a sapere che. infatti. all'insaputa del Parlamento. questa è indicativa di quali potrebbero essere i nomi "sfrondati". che troviamo nell'inchiesta di Salvini: sembra che Rumor si fosse impegnato. La presenza di Bertoli alla questura di Milano ha invece una spiegazione. al termine di una cerimonia ufficiale.che sia o no da identificarsi col misterioso Anello .dall'organizzazione segreta. i disordini del 12 aprile a Milano e la strage davanti alla questura di Milano di via Fatebenefratelli. che utilizzava ampiamente terroristi di destra. quel che è certo è che fino al 1974 fu particolarmente attiva la misteriosa "rete parallela" denominata Rosa dei Venti. senza per questo escludere che la stessa lista possa essere stata sfrondata di qualche nome "imbarazzante". che più avanti scopriremo. non si sa in quale sede. quando Andreotti accennò in modo laconico che la struttura era stata assorbita dal servizio segreto militare.era ancora attiva all'epoca del sequestro Moro. in grado di coinvolgere settori di Cosa Nostra. L'ipotesi avanzata dalla Commissione Pellegrino. fanno pensare che alla fine degli anni Settanta (dopo la rivoluzione dei servizi segreti e la nascita del Supersismi) siano stati utilizzati dalla Gladio anche terroristi rossi e qualche boss mafioso e camorrista.compiute nei primi anni Settanta. è che in realtà la "Lista dei 622" indichi soltanto i "capistruttura". Rumor si salvò per un soffio. proprio mentre stava uscendo il ministro Mariano Rumor accompagnato da altre autorità. È per ora soltanto un'ipotesi. anche se per un certo periodo si tentò di farlo passare per un omonimo: se si trattò di una "svista". E c'è il forte sospetto che ai depositi di armi della Gladio abbiano avuto accesso sia terroristi che mafiosi. La Rosa dei Venti L'attività della Rosa dei Venti si concretizzò in una serie di azioni terroristiche. ma una serie di elementi. Del resto fin dagli anni Settanta l'Anello avrebbe avuto contati "amichevoli" sia con il boss Luciano Liggio che con il camorrista Raffaele Cutolo. ovvero fronteggiare una possibile invasione sovietica. alla fine degli anni Novanta. L'autobomba fu piazzata all'ingresso della questura. della Nuova Camorra Organizzata e della Banda della Magliana negli attentati e negli omicidi selettivi. a proclamare . e lo è probabilmente a tutt'oggi. questo nome riemergerà nel '90 proprio nell'elenco dei seicentoventidue fornito da Andreotti alla Commissione Stragi. Bertoli era un gladiatore. Attenzione. sia la qualità dei nomi: tutte persone assolutamente presentabili. in grado di attivare una propria sub-struttura attingendo al personale di altre reti clandestine. Quali reti e quali nomi? Quanto è accaduto dopo il 1974 non si sa con certezza. fu dunque chiaro che la cellula supersegreta . L'attentatore. Pochi giorni dopo. fu catturato sul posto. Tra queste c'erano sicuramente il fallito attentato al treno Torino-Roma dell'aprile '73. L'ordigno esplose uccidendo quattro persone e facendo decine di feriti. Gianfranco Bertoli. Ma in una prima fase le indagini si appuntarono su Gianni Nardi. I colleghi di Calabresi riferirono che il commissario. Dirà Cossiga a Pellegrino: «Non è credibile questa versione. avrà detto qualcosa di generico senza rendersene conto. "defenestrato" dal quarto piano della questura di Milano poche ore dopo la strage di piazza Fontana e a maggio ci fu la strage di Peteano. il 17 marzo fu ucciso Luigi Calabresi. lo stato d'assedio avrebbe provocato in quel momento la guerra civile. Non è chiaro chi fosse il destinatario del messaggio. sotto choc. ma Forlani doveva avere ben ponderato la sortita e Mino vi legge un attacco ad Andreotti.lo stato di "emergenza nazionale" subito dopo la strage di piazza Fontana. membro della direzione nazionale dell'MSi per la strage di piazza Fontana. in quel periodo prevalentemente formate da ex partigiani bianchi e neofascisti di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo. cioè all'uomo "del recupero a destra". Forlani e Rumor lo hanno capito. noi sappiamo che è ancora in corso». il bombardiere nero che si sospetta fosse legato all'Anello. Per l'omicidio del commissario Calabresi è tuttora in carcere Adriano Sofri. la possibilità di restare a Palazzo Chigi. Questo tentativo non è finito. L'indagine gli era stata affidata dal giudice Emilio . stava indagando su possibili connessioni tra la strage di piazza Fontana e un'organizzazione segreta. un'aperta allusione al coinvolgimento di servizi segreti stranieri nella strategia della tensione. Ecco perché il segretario DC ha parlato. Il 72 fu un anno davvero horribilis. che nel corso di un comizio a La Spezia il 5 novembre 1972 fece per la prima volta. al momento del delitto. commissario di Pubblica Sicurezza contro il quale era in atto una campagna dell'estrema sinistra per la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli. ex leader di Lotta Continua. Il segretario DC era in quel periodo Forlani. scriveva: L'ipotesi più probabile è che il presidente del Consiglio [Andreotti] voglia continuare a manovrare la leva del disordine a destra per garantire a se stesso. Su «OP agenzia» del 72 Pecorelli. nella storia politica di quegli anni. che poi riuscì a emigrare in Spagna. un'organizzazione di estrema destra. Dietro la sigla Rosa dei Venti va collocata dunque l'attività delle reti parallele di Gladio. Il 6 marzo fu arrestato Pino Rauti. a trecento metri dal capannone industriale di proprietà di Carlo Fumagalli. Forse Rumor. cosa che in effetti non fece. forse per la forte mobilitazione popolare seguita all'eccidio. il 15 marzo Feltrinelli fu trovato dilaniato ai piedi di un traliccio ad alta tensione a Segrate. manifestando il coraggio di affermare che il pericolo veniva da destra e non da sinistra: «È stata compiuta dalla destra reazionaria una trama che ha trovato anche solidarietà internazionali. Non è sospettabile di una cosa del genere». il capo del MAR (Movimento Armato Rivoluzionario). dove sarebbe morto in un incidente stradale su cui si sono sempre nutriti dubbi. uomini di primo piano della politica e dell'economia». E iniziò un'azione tendente a bruciare i settori più compromessi del SID parallelo. aveva il ministro dalla sua parte. ormai a un passo della verità. Quando il 31 ottobre 1974 il giudice Giovanni Tamburino firmò il mandato di cattura contro Miceli. aveva diretto l'organizzazione Franchi. cui a suo dire appartenevano soltanto patrioti: «Ci sono ex partigiani. il 12 marzo 1974. fu proprio l'ammissione dell'esistenza della struttura supersegreta che tale doveva restare.Alessandrini. Scrive lo storico Giuseppe De Lutiis. che aveva ricevuto l'ordine di allertare "gruppi fiancheggiatori" nel giugno del 73 in appoggio al cosiddetto "golpe bianco" di Edgardo Sogno.uomini politici. fu spossessato dell'inchiesta che la Procura di Roma avvocò a sé. il generale ormai eletto senatore nelle liste dell'MSI reagì duramente: «Io mi sono fatto arrestare. uno dei massimi conoscitori della nostra intelligence: In un clima da basso impero. ma ho taciuto». Sogno difese a spada tratta la Rosa dei Venti. tenente colonnello del secondo gruppo di artiglieria di Verona. Ma si rifiutò di offrire altre informazioni su quello «speciale organismo esistente nell'ambito del servizio». finora avete sentito parlare di fascisti. proprio quando Tamburino. E a Tamburino che gli chiedeva conto dei rapporti del SID con alcune organizzazioni eversive dell'estrema destra. Con il suo arrivo lo scontro tra l'ala dura e quella legalitaria del SID. ucciso nel 79 a Padova: l'attentato fu attribuito alle indagini che stava svolgendo su un gruppo dell'autonomia. più ancor della notte dell'Immacolata. Le prime ammissioni sull'esistenza della Rosa dei Venti furono fatte da Amos Spiazzi. grandi industriali. Una straordinaria capacità di previsione. il generale gli diede questa spiegazione: «C'è ed è sempre esistita una particolare organizzazione segretissima che è a conoscenza anche delle massime autorità dello Stato». aveva risposto in modo rassicurante: «È una fase che va concludendosi. Andreotti tornò dopo otto anni alla guida della Difesa. perché anche Maletti fu rapidamente bruciato. Il capo dell'Ufficio D non era più solo. considerato che avevano appena arrestato Renato Curcio e Alberto Franceschini! Forse a dare il colpo definitivo alla carriera del capo del SID. intellettuali. Una fase destinata a durare pochissimo. medaglia d'oro al valor militare durante la Resistenza. Lo stesso errore sarà compiuto nel 76 dal suo rivale Maletti che per giustificare la fuga di Giannettini disse: «Abbiamo dato ascolto al consiglio di un servizio amico». da ora in poi sentirete parlare soprattutto delle Brigate Rosse». personificate da Miceli e Maletti. L'indagine sulla Rosa dei Venti finì nel calderone del processo ai "quattro . subisce un colpo di acceleratore. Il generale Sogno. Fu forse per far fronte a tale emergenza che Andreotti fu precipitosamente nominato ministro della Difesa. Quando nel '90 Andreotti rivelò l'esistenza di Gladio. fu necessario liquidare le frange separatiste fino a quel momento appoggiate dai servizi segreti. Ma non è difficile ipotizzarne il ruolo anche nel sabotaggio dell'aereo di cui rimase vittima Enrico Mattei. La Gladio siciliana potrebbe essere sopravvissuta allo smantellamento dalla "casa madre" (se mai lo smantellamento dello Stay Behind c'è stato fino in fondo). né ideologicamente attrezzati: che fossero fortemente anticomunisti non c'era dubbio. e da alcune indagini emerge il sospetto che possa aver avuto accesso ai depositi di armi ed esplosivo. che probabilmente faceva capo alla Rosa dei Venti. che entrava in quegli anni in aperto contrasto con gli interessi delle multinazionali angloamericane. il servizio segreto americano operativo negli anni della Liberazione. siano state compiute con l'appoggio di apparati segreti. Per quanto possa essere prematuro affermarlo. le cosiddette sette sorelle. come quel Semtex T4 certamente utilizzato nella strage al treno di Natale dell'84. Anche Emanuele Macaluso parla della mafia come di una sorta di Gladio siciliana: commistione che l'ex senatore del PCI fa risalire all'epoca dello sbarco alleato. mandato segretamente in Sicilia qualche mese prima dopo che la sua condanna a cinquant'anni di reclusione era stata annullata. anche la criminalità organizzata. da utilizzare nei suoi piani di occupazione territoriale.pensionati" del golpe Borghese. Il Principe nero aveva bisogno di uomini capaci di sparare. quando gli USA grazie all'ausilio della comunità italoamericana sostituirono l'ex personale politico e burocratico lasciato in eredità dal fascismo con una rete di persone "affidabili" messa in piedi dal gangster massonico Lucky Luciano. L'eliminazione di Mattei dallo scenario politico ed economico italiano va attribuita alla sua politica di "autonomia energetica". L'ipotesi di Macaluso è che la Gladio siciliana sia intervenuta nella cattura del bandito Giuliano quando. in un "memoriale" scritto all'inizio degli anni Novanta di cui parleremo più avanti. che di Gladio era stato uno dei fondatori. Il presidente dell'ENl aveva anche organizzato una sua rete personale. costituita dalla Federazione Italiana Volontari della Libertà. . oltre alle organizzazioni di estrema destra. l'associazione dei partigiani bianchi fortemente anticomunista e antisindacale. dopo la vittoria elettorale della DC. e molti sono i sospetti che entrambi abbiano avuto stretti contatti con l'OSS. o almeno alcuni boss. Del rapporto tra "struttura antiguerriglia" e mafia parla anche Vito Ciancimino. Tra le persone che sicuramente Luciano contattò c'erano Michele Sindona e Badalamenti. c'è qualche fondato sospetto che anche le stragi più recenti. per cui Pippo Calò è stato condannato all'ergastolo. quelle del '92 e '93. Una delle "operazioni speciali" a cui ha partecipato la mafia fu certamente il golpe Borghese. I boss non avevano bisogno di essere selezionati. La Gladio siciliana Esiste il forte sospetto che alla "rete parallela" abbiano partecipato. evidentemente. dice Masino: lo riteneva pericoloso e poco conveniente. una guerra a "bassa intensità" che i servizi d'intelligence atlantici hanno condotto qua e là per il mondo a sostegno dei governi amici. il capo dell'Ufficio Affari Riservati. che avrebbero dovuto mettere al braccio». Voglio dire che D'Amato e i suoi uomini possono essersi dati da fare non per coprire proprie responsabilità. Qualche anno dopo. o di apparati militari o di uomini dei servizi alleati [. Anzi penso che abbia ritenuto un grave errore mettere la bomba nella banca o almeno farla esplodere quando non era deserta. abbia condiviso quella strage pur non avendo. Giovanni Pellegrino. a conclusione dell'inchiesta su Piazza Fontana. fatto nulla per evitarla [. ma semmai quelle dei Carabinieri. Ma è proprio a causa dei depistaggi messi in atto a partire dalla strage di piazza Fontana che non è stato mai possibile individuare negli archivi del Viminale l'origine del "mandato stragista". nel libro intervista Segreto di Stato sostiene: Il depistaggio compiuto dai servizi segreti. degli attentati ai treni e dei falliti golpe rientrava in un'operazione di guerra vera e propria. Responsabilità e depistaggi La stagione del golpe lasciava una difficile eredità politica: gli apparati dello Stato erano "costretti" a intervenire per depistare le indagini della magistratura e coprire proprie e altrui responsabilità. nei confronti della magistratura riguarda soprattutto i fatti che si sono verificati tra il '69 e il '74: bisognava impedire che i giudici scoprissero l'esistenza di Gladio. la fascia avrebbe facilitato una sorta di schedatura dei mafiosi e Cosa Nostra.. Spiega Pellegrino: Non riesco a immaginare che un uomo come Federico Umberto D'Amato. Così.Racconta il pentito Antonino Calderone (atti acquisiti al processo Andreotti di Palermo) che suo fratello Giuseppe fu contattato da Junio Valerio tramite il colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo. non aveva alcun interesse a uscire allo scoperto. benché nessuno sappia dire con esattezza come sia andata a finire..]. la partecipazione della mafia alla notte dell'Immacolata sarebbe stata alla fine piuttosto marginale. Il presidente della Commissione Stragi.. coperta dal segreto atlantico. Il motivo lo spiega Calderone: «Mio fratello si oppose alla proposta di far indossare ai nostri uomini una fascia gialla. sia il boss di Catania sia il colonnello furono assassinati. e di quella vasta rete di organizzazioni paramilitari clandestine legate agli apparati.]. e più in generale dagli apparati della sicurezza. Buscetta parla invece di incontri preparatori del golpe avvenuti a Milano. Alla mafia il progetto non piaceva.. se ne ha conosciuto i preparativi. Fu il giudice Guido Salvini. Se il golpe falliva. a ipotizzare la presenza della "struttura antiguerriglia" dietro i più gravi attentati di quegli anni e a sostenere che la fase delle bombe. Dietro D'Amato c'era comunque un interesse politico-istituzionale che premeva perché la strategia che stava dietro piazza . è fortemente legato ai vertici militari. E ipocrita ritenere che la strategia della tensione potesse essere il frutto della deviazione di piccoli settori di apparati istituzionali. rispetto a come lo concepiva Aldo Moro. La storia dimostrerà che forse è stato proprio quest'ultimo il suo tallone d'Achille. ma gli ha poi offerto una ciambella di salvataggio: in seguito alle disavventure giudiziarie il giornalista-spia è tornato in Italia e ha trovato lavoro presso una delle società di Ciarrapico. ma non ha esitato a smantellarli. direi. ma anche l'autore della svolta "filoaraba" del governo italiano. Non stupisce che all'interno della DC egli abbia rappresentato l'altra faccia del potere. un fedelissimo della gens Giulia. La ricostruzione di questo periodo. l'unico punto scoperto nella pesante armatura che lo ha sempre protetto. ma anche di ciò che non si sa quando si ha il dovere di sapere. In politica si risponde non soltanto di ciò che si vuole o che si fa. nel 74. ma è una conclusione che mi lascia perplesso. E giustamente. Se venisse portato di fronte a qualche tribunale verrebbe assolto. dicono che sia il Signore dell'Anello ma nel '90 ha rivelato Gladio e i complotti della CIA in Italia. è l'esponente democristiano che più ha coltivato relazioni con la CIA e con gli americani. per altri la più spregiudicata concezione della politica intesa come pura mediazione di interessi. e che da questa contrapposizione siano derivate tante disgrazie per quel partito. così drammatico per l'Italia. Non è andata così anche a Palermo o Perugia [l'intervista è precedente alla condanna del 22 novembre a Perugia] La responsabilità politica è una responsabilità collettiva ed è in questa logica che va affrontato anche il tema di un suo eventuale coinvolgimento nella strategia della tensione e nei conseguenti depistaggi. e del ruolo che Andreotti potrebbe avervi svolto. anche se non può essere contestata la responsabilità politica a una sola persona. Un esempio della sua poliedricità rispetto ai fatti appena raccontati? È stato lui a smascherare Giannettini. rendendolo alla fine della guerra fredda improvvisamente vulnerabile. . buttando a mare generali compromessi (anche se mise al loro posto uomini forse peggiori). ma è poi l'uomo della solidarietà nazionale con il PCI. Era Andreotti l'uomo che aveva assunto l'onere di tutelare questo interesse politico-istituzionale? Risponde Pellegrino: Non lo sapremo mai. Alcuni in Commissione dicono che una regia andreottiana sarebbe chiara nei depistaggi sul golpe Borghese.Fontana e le relative alleanze non venissero disvelate. al di fuori di ogni progetto etico. da la misura di come sia difficile anticipare un giudizio storico su un uomo che per alcuni rappresenta il punto più alto della capacità di gestione dello Stato. E si risponde anche di ciò che non si è fatto per impedire un evento quando si aveva il dovere di impedirlo. Andreotti è l'uomo che nel '72 governa a destra. Ma a indirizzare le indagini sulla Superloggia era stata anche una telefonata anonima. ribattezzato "Lucio". una formazione molto "intrecciata" con la Banda della Magliana. Il delitto Occorsio Quella strana. era invece lo stesso: quel Massimo Carminati accusato di aver fornito la pistola dell'armeria di via Liszt all'uomo che ha sparato a Pecorelli. bisogna dare qualche accenno alla sua biografia che. un colonnello emergente. anche internazionali. Dunque si trattava di un anonimo "istituzionale". al posto di Andreotti. Occorsio era un magistrato dello stesso ufficio. per il quale Licio rischiò l'accusa di omicidio. assassinato nel luglio 76 dal terrorista nero Pierluigi Concutelli. noto in quegli anni per ammazzamenti vari. al posto di Vitalone. troviamo Gelli. Forse per questo la terza e ultima pista battuta dal PM Sica fu proprio quella delle relazioni massoniche del giornalista. appartenente ai Nuclei Armati Rivoluzionari. Il sicario non era un boss.Il Venerabile indagato C'è un dato che accomuna Pecorelli ai protagonisti della sua tragica storia: a partire da lui sono tutti o quasi iscritti alla P2. come Michelangelo La Barbera. come quello relativo al suo oscuro passato di "doppio partigiano". siamo nel marzo 79: il Venerabile era certamente conosciuto in molti ambienti. ambigua comunicazione giunta subito dopo l'omicidio Pecorelli. Non vogliamo dilungarci sulle trame massoniche. L'armiere. Attenzione alle date. dal colonnello Federico Mannucci Benincasa del SISMI e dal capitano Umberto Nobili. Fu questo l'ennesimo micidiale scoop di Mino. è sempre ricca di spunti inediti. Gli autori del depistaggio conoscevano bene il Venerabile. in cui l'anonimo fingeva di non conoscere il nome di Gelli. Gelli era proprio Gelli.impegnato in azioni spericolate come vendere i rossi ai tedeschi e i fascisti ai partigiani nell'estate del '43. ma un terrorista nero. dal Centro di Controspionaggio di Firenze. apre uno squarcio sui sommovimenti che in quel periodo turbavano un certo ambiente. primo indagato eccellente di questo incredibile affare. per quanto conosciuta. Ma prima di capire in che modo Gelli sia finito sulla graticola dei sospettati per l'omicidio del suo amico Mino. tenente colonnello dell'aeronautica militare. visto che lettera e telefonata provenivano. cui fece seguito una lettera dello stesso tenore: «Indagate su tal Lucio Gelli e sull'omicidio di Vittorio Occorsio». com'è stato poi accertato. ma non era ancora assurto agli onori delle cronache ed era lontano dall'aver conquistato la fama di potentissimo capo della P2. se non per quello che strettamente interessa la nostra vicenda. dato che la pista che conduceva al Venerabile era stata fabbricata. il piduista Antonio Viezzer. La pista si concretizzò nell'81 con quattro avvisi di garanzia: nella veste di mandante politico. per loro stessa successiva ammissione. . benché il nome di battesimo fosse sbagliato. arrivata alla Procura di Roma quarantotto ore dopo il delitto. come sappiamo. Giusva Fioravanti. Franco Scottoni. di minacciosi segnali e di inquietanti attese».743. «Indagate sull'omicidio Occorsio». Un delitto siglato terrorismo nero. Un altro appuntamento che la morte ha reso impossibile. il servizio informazioni italiano operante durante la guerra . scriveva l'anonimo. di squallidi ricatti e di provocatorie mistificazioni. ma confidò al magistrato di essere anche massone. come se a muovere le pedine sulla scacchiera dell'eversione fosse una mente superiore e invisibile. uno dei congiurati della Notte della Madonna. la disciolta organizzazione fascista di cui faceva parte lo stesso Concutelli. l'11 aprile del 1976 era stato il primo a parlare sul quotidiano comunista di una fantomatica «Loggia p2». che fece fuoco con una raffica di mitra. Il 10 luglio 1976 il giudice Vittorio Occorsio fu affrontato. Tutto sembrava avvenire secondo piani prestabiliti.che trattavano del misterioso esordio del Venerabile sulla scena italiana. Ed è possibile che dalla stessa qualificata fonte Mino fosse entrato in possesso anche dei tre fascicoli del SID . da un commando guidato dal neofascista palermitano Pierluigi Concutelli. lo aveva incaricato di compiere un'indagine sui possibili legami tra organizzazioni di estrema destra ed estrema sinistra. secretato Comlnform 15. il giudice istruttore di Roma Francesco Monastero. almeno apparentemente. Ora vado di corsa. amico del magistrato. Non deve stupire che da un ambiente come questo sia partito il primo siluro contro il capo della P2. Gli era sembrato di buon umore e gli aveva confidato che la sua indagine aveva fatto passi avanti... che Occorsio aveva interrogato in carcere. l'Anonima Sequestri e l'eversione di destra. poi deceduto. ci sono dentro neofascisti e marsigliesi. Il fatto è che il magistrato romano era sul punto di scoprire i legami tra uno strano gruppo massonico. Qualche anno dopo l'omicidio. è ancora prematuro parlarne. Il giornalista raccontò poi a Sica che qualche ora prima dell'omicidio aveva incontrato Occorsio nel suo ufficio. era vicino a Ordine Nuovo. senza alcuna scorta. Ma gli aveva detto: «Ho paura che si tratti di qualcosa di molto pericoloso. nel concludere la prima istruttoria sul delitto Pecorelli.il più importante. mentre era alla guida della sua auto sul Lungotevere. A rivelarlo era stato un giornalista dell'«Unità». vieni a trovarmi domani». . ma per qualche motivo in rotta con Licio. il professor Felice Franciosi. Un incappucciato della sua stessa famiglia. A mettere Occorsio sulle tracce di Gelli era stato nel 71 l'ex ufficiale dei para Sandro Saccucci. Saccucci.anche loro iscritti alla P2. Occorsio fu dunque il primo a intuire che potesse essere la massoneria a tirare le fila del terrorismo. Raccontò Saccucci: Mi resi presto conto che uno stesso fenomeno attraversava questi gruppi: c'era un continuo sgretolarsi e riaggregarsi di sigle e di uomini quasi su ispirazione esterna. scriveva: «Bisogna perscrutare un mondo fatto di solide amicizie e di improvvise diffidenze. Ziaco. Amato. affermò di essere in ottimi rapporti con Licio Gelli.utilizzando a seconda delle contingenze sia rossi che neri. Una spiegazione di questi strani sequestri la possiamo forse trovare nel rapimento di Amedeo Ortolani. dove morì l'agente Marchisella. per lo straziante suicidio della giovane fidanzata e poi per l'eliminazione di Claudio Tigani. Quando Bergamelli fu arrestato. Un gangster pericoloso e spietato. ma ci tenne a rilasciare una strana dichiarazione: «Se mi hanno preso vuoi dire che qualcuno mi ha scaricato. Bisogna attendere l'81 per scoprire che Gelli nel 75 aveva nominato il generale Osvaldo Minghelli segretario organizzativo della P2. un ladruncolo che aveva fatto da basista nella rapina. azienda di cui l'ostaggio era presidente e che in quel momento versava in gravi condizioni. che secondo alcuni piduologhi. Elio Cioppa. L'anonima marsigliese in realtà aveva messo in piedi una vera e propria industria dei sequestri di persona: Bulgari. magari iscritto nella lista bis mai venuta alla luce: interrogato. generale di Pubblica Sicurezza. catturato dalla gang mentre stavano giungendo in porto le trattative per la cessione della Voxson. Forse anche il gangster lo era. piduista l'avvocato degli arrestati e piduista era anche il commissario della Mobile che arrestò Bergamelli. carica di grande rilievo che lui stesso aveva gestito prima di essere promosso Venerabile. ma la pagherà cara perché sono protetto da una grande famiglia». il magistrato aveva messo a segno un bel colpo arrestando Albert Bergamelli. Andreuzzi. Era veramente strana questa Anonima: i rapiti erano quasi tutti piduisti facoltosi. Tre mesi prima di essere ucciso. Un fatto di cronaca che ha a lungo tenuto banco sulle prime pagine dei giornali. Il sequestro mise in moto una forte pressione per la concessione di finanziamenti pubblici che rimisero in sesto i bilanci. era la vera mente della Loggia. D'Alessio. Gian Antonio Minghelli. ucciso perché "sapeva troppo". Ma qualche giorno dopo gli investigatori fecero una strana scoperta: il provento di alcuni sequestri della gang erano stati riciclati con l'aiuto dell'avvocato del gangster.salito alla ribalta delle cronache con la sanguinosa rapina di piazza dei Caprettari. Ma finì nelle prigioni dei marsigliesi perfino il figlio di Umberto Ortolani. che naturalmente smentì. i giornalisti si catapultarono: il gangster fece il suo ruolo. . e anche il proprietario fu rapito dalla gang di Bergamelli. Nessuno lì per lì fece caso a queste parole che sembrarono le millanterie di un delinquente. Nei primi anni Settanta il quartier generale della P2 aveva sede in via Condotti. dietro il paravento di un fantomatico Centro Studi di Storia Contemporanea. si lasciò fotografare. Del rapimento dei figli di Arcaini e De Martino abbiamo già parlato. Danesi. Fatto sta che la sede era nello stesso stabile della gioielleria Bulgari. figlio di Osvaldo. un marsigliese coinvolto in sequestri di persona e rapine. ma una serie di articoli che Pecorelli aveva pubblicato un paio di mesi prima di morire. La fine che lo attende è la stessa di Francis Turatello. dopo la morte del magistrato. affermava il giornalista Pierluigi Buffa. anzi era stata denunciata come illegale. L'ompam non faceva parte della massoneria ufficiale. il marsigliese che nascose il Memoriale. consulente del ministero della Giustizia e coinvolto nel sequestro Cirillo). la magistratura. è facile far immaginare tra ombre e corridoi un susseguirsi di complotti. tanto che Occorsio ad aprile aveva ordinato ai carabinieri di pedinarlo». l'ala capeggiata da Giovanni Senzani (uno strano capo delle Brigate Rosse. nel carcere di Ascoli Piceno (dove aveva stretto amicizia con Cutolo). appartengono alla massoneria e il pontefice massimo.. tramologi si sono messi a pubblicizzare il più folklorico filone della massoneria [. . Nell'82. Secondo i nostri esperti in Italia il novanta per cento dell'alta dirigenza dello Stato. Ma le indagini non erano approdate a nulla di concreto».] l'argomento viene trattato sulla falsariga dei testi salgariani. che anzi aveva ricevuto un documento importante che aveva aperto nuovi spiragli. Rito scozzese. E ancora il giornalista rivelò: «Occorsio mi disse che la pista non era stata abbandonata. però vi aderiva la loggia dell'avvocato Minghelli. Quel giorno tirò fuori dalla borsa un opuscolo redatto in lingua spagnola.. il genio criminale che tutto muove e decide è Gelli. per un prezzo di otto milioni di dollari USA. adeguatamente arredato. il cui nome veniva fuori sia pure indirettamente. circa sei miliardi». forse ha lanciato messaggi ricattatori. doppio partigiano Quello che aveva convinto Sica della bontà della pista massonica non era stata la lettera anonima. La buona stella del Venerabile aveva iniziato la sua eclissi: l'uccisione del magistrato gli concesse ancora qualche anno. un malavitoso politicizzato. ma fu come uno squillo di tromba per le orecchie più sensibili: Da quando con l'ingresso del PCI in area governativa è tramontata la moda di scoprire un golpe alla settimana. Scottoni. in cui si parlava di una certa OMPAM (Organizzazione Mondiale per l'Assistenza Massonica) che annunciava l'acquisto di un immobile a Roma. scrivendo di Grande Oriente. Anche «l'Espresso» scrisse che l'OMPAM raccoglieva proseliti in Sudamerica e aveva acquistato un palazzo in via Romania: «L'ompam è in realtà una creatura di Gelli. Aveva toni concilianti. divenuto brigatista del Fronte delle Carceri. Albert fu assassinato da Paolo Dongo. congiure e pugnali.Albert Bergamelli dopo l'arresto deve aver commesso qualche errore. i vertici industriali e bancari. Maestri Venerabili e Liberi Muratori e delle misteriose liturgie di uomini incappucciati. politologi. si era montato la testa. come vedremo. Getti. Il primo trafiletto era comparso sul primo numero di «OP» del '79. chissà. scrisse sull'«Unità»: «Più volte in quest'ultimo periodo si era parlato di una cellula nera sotto l'etichetta di una loggia massonica di cui faceva parte l'avvocato Minghelli. Non tutti sono d'accordo. ma l'attestato è autentico come anche il contenuto del fascicolo Comlnform. amico personale di Lopez Rega. ma che non risulta catalogato negli archivi del SIFAR. pubblicato in un riquadro nello stesso numero di «OP»: Questo Comitato dichiara che Gelli Licio.. che le SS avevano adibito a prigione).. pur essendo stato al servizio dei fascisti e dei tedeschi. La prima lecita domanda riguarda chi potesse aver fornito a Pecorelli tali documenti riservati. Mino già mostrava di conoscere la vera portata della Loggia P2.].. 2) messo a disposizione e guidato personalmente il furgone della Federazione Fascista per portare sei volte consecutive rifornimenti di viveri e armi alla formazione di Silvano e alle formazioni di Pippo dislocate in via Val di Lima. Così il 20 febbraio 1979. dall'altro annunciava una campagna stampa che. con sangue freddo eccezionale. Forte dell'ascendenza personale e della perfetta conoscenza del tedesco. presidente del CLN della provincia di Pistoia. ma ho sempre sospettato che la trovata fosse proprio del Venerabile. si fece consegnare i partigiani che grazie a lui poterono raggiungere di nuovo le rispettive formazioni. 3) ha partecipato e reso possibile la liberazione dei prigionieri politici detenuti a Villa Sbertoli. Nel luglio '44 Gelli si presentò in divisa da ufficiale tedesco presso una casa per malattie nervose chiamata Villa Sbertoli (in località Collegi-rate Pistoia. Una volta messo in moto Mino era difficilmente arginabile. Cardine della loro tesi è che Gelli sia un nazista criminale. giusto un mese prima del suo omicidio. in particolare quel fascicolo Comlnform 15. sia pure tra il serio e il faceto. il direttore di «OP» torna . l'unico del resto in grado di fornire a Mino anche l'attestato di benemerenza firmato da Italo Carobbi. si annunciava pericolosa: Questo Gelli è un ex fascista agente dei servizi segreti argentini. Esso ha: 1) avvisato partigiani che dovevano essere arrestati. tornava molto utile a Gelli in quel momento. fondatore degli Squadroni della morte AAA in America Latina. che fu ritrovato tra le carte nella redazione di «OP»... ma quella sortita in apertura d'anno era ambigua: da un lato sembrava voler difendere il Maestro. collaboratore delle SS e delatore di partigiani. Un attestato di quel tipo.Siamo nel 79. a Connally e ai falchi americani [. Questo porta acqua al nostro mulino perché siamo entrati in possesso di un documento che dimostra l'esatto contrario [. legato alla CIA.. E ancor meno arginabili erano le sue "fonti". Contro di lui poteva montare una campagna orchestrata dalla sinistra e l'accorto Licio interveniva per mettere sul piatto un certo debito di riconoscenza. si è reso utile alla causa dei patrioti pistoiesi.].743 (data dell'episodio di Villa Sbertoli). visto che stavano emergendo le sue compromissioni con i regimi sudamericani e che la vicenda dei desaparecidos in Argentina aveva molto colpito l'opinione pubblica internazionale. checché se ne pensi. Ci fu perfino il dubbio che potesse trattarsi di un "falso" architettato da lui. di Ettore. la fonte di questo secondo scoop. Domanda d'obbligo. molto probabilmente non c'entrava niente. Mino le rilanciava su «OP» facendo da volano in un sottile gioco di segnali. ma per via del suo carattere tempestoso la permanenza durò pochi mesi. Ed ecco che Viezzer consegna nelle mani di Pecorelli un altro fascicolo ingiallito. consegnata al Comitato di Liberazione di Arezzo. c'era in ballo un episodio ben diverso dal salvataggio umanitario di Villa Sbertoli. piduista gelliano di stretta osservanza. ricatti e minacce. un altro ufficiale del Controspionaggio di Firenze. Il povero Viezzer. Il Professore era stato puntuale. Ma il Venerabile aveva scosso la testa: «Purtroppo non è uomo che si possa facilmente controllare». L'appuntamento va collocato in uno scenario da 007 formato Hollywood. baffi finti. Se la risposta non è arrivata vuoi dire che nella famiglia è venuta meno o forse non c'è mai stata la solidale . Fu lì che tra i due si stabilì un proficuo scambio: il Venerabile gli offriva notizie utili. sigaretta accesa. dopo aver letto l'articoletto. Giorno dell'incontro: lunedì 5 febbraio che passerà alla storia come il lunedì delle Streghe. frequentava Gelli dal meeting all'Hotel Baglioni. Scrive Pecorelli: «È un lungo elenco di nomi che qualcuno un tempo ha tradito. Occhiali neri. Il colonnello Viezzer. fucilati in seguito al tradimento di Gelli. nel 72. a ottobre aveva già rassegnato le dimissioni con una vibrante lettera: Caro Licio. cappello a larghe falde calato sul viso. L'articoletto merita di essere citato: è un classico "sfottò" di Mino nei confronti dei suoi amici spioni. Un lungo elenco che noi non tradiremo una seconda volta. un traditore della peggior risma.All'atto di sollecitare il tuo autorevole intervento ti avevo rappresentato anche la mia premura per l'imminenza del processo. che ha impegnato a lungo anche i magistrati che hanno indagato sull'omicidio: quali erano i rapporti tra Pecorelli e il Venerabile in quel periodo? Mino era un piduista atipico. Seguiva invece la lista di una sessantina di fascisti. poteva essere benissimo l'autore della telefonata anonima su «tal Lucio Gelli». anche lui appartenente al Centro di Controspionaggio di Firenze. giornale sotto il braccio. Soltanto nel giugno 78 si iscrisse alla Loggia. Perché non è nostra abitudine rivelare segreti di Stato e questo ha tutta l'aria di esserlo». Luogo: l'angolo di una strada male illuminata di Roma centro. Qui emergeva la figura del doppiogiochista pronto a tutto. così travestito era stato inevitabile per Pecorelli riconoscerlo senza averlo mai conosciuto. uscito dagli stessi archivi del Comlnform. bavero dell'impermeabile rialzato fino alle orecchie. come abbiamo già detto. che fu una sorta di debutto ufficiale della Loggia.sull'argomento chiamando direttamente in causa il colonnello Antonio Viezzer. ho atteso invano una tua comunicazione riguardo Fratello Gigi. andò da Gelli infuriatissimo e lo affrontò urlando: «Vedi tu cosa puoi fare con questo qui». Questa seconda puntata non è certamente frutto del Venerabile. dal quale si apprende che l'operazione di Villa Sbertoli gli aveva dischiuso nuovi promettenti orizzonti consentendogli di entrare nella galassia di una misteriosa intelligence.. ama pantaloni sborsati da ufficiale con gambali neri lucidi a stecca. nella requisitoria con cui chiedeva l'archiviazione nei confronti del Venerabile e di Viezzer.che documentata e veritiera campagna. fronte spaziosa.. Achille Gallucci. cui Pecorelli mancò per sopraggiunta morte. Spende somme di denaro in cose del tutto superflue dimostrando di possederne una quantità esagerata in confronto alle sue probabili entrate.. dentatura sana. Pecorelli per certo nel passato iscritto alla P2 avesse iniziato nei confronti di Gelli suo sovventore una pericolosa non. in cui veniva utilizzato per le sue straordinarie qualità camaleontiche. spesso non completamente comprensibili. bocca larga ma regolare. avevano un appuntamento a cena proprio la sera del 21 marzo. si erano visti almeno una volta a febbraio e. . occhi piccoli quando sorride. naso grosso aquilino. È comprensibile che successivamente Gelli cercasse di avere contatti con Pecorelli per fermarlo».] esistono per caso fratelli di serie A e di serie B? [. mani piuttosto grosse. con capelli all'Umberto ondulati artificialmente. fuma sigarette di varie marche. Scrive il maresciallo: Gelli Licio è un giovane alto. Questo rapido excursus sul passato di Gelli "doppio parmigiano" non può considerarsi concluso senza il ritrattino (divenuto noto negli anni Ottanta) che di Licio fece un anonimo maresciallo del SIFAR nel '51. nell'82. Il procuratore capo di Roma.. veste elegantemente con un soprabito marrone a doppio petto e porta sempre sciarpa a fiori piccoli. come sappiamo. Non sappiamo chi fosse Fratello Gigi. Numerose erano state le telefonate tra Gelli e Pecorelli nei primi tre mesi del 79. comprata da tal Colombo di Milano (sebbene sia stata regolarmente pagata ha atteso oltre un anno per fare la voltura)..assistenza dei suoi componenti [.] viaggia molto in auto. Cammina svelto con fare franco e disinvolto. non è dedito né al vino né ai liquori. corporatura snella. fino a diecimila lire al giorno. non gioca e non frequenta sale da ballo [. non c'era alcuna prova che avesse mai pensato di ucciderlo. viso ovale.].. distinto. una 1100 FIAT Musetto. Nel constatare siffatta disparità ti rassegno la mia decisione di uscire definitivamente dall'organizzazione. Ho fatto una breve ma significativa esperienza che mi conforta nel credere che non ci sono templi da edificare alla Virtù. ma i rapporti in effetti non si guastarono a seguito delle dimissioni. motivò in questo modo la scelta: «È innegabile che in una serie di articoli. Ma. Per quanto riguarda i nostri personali rapporti mi auguro se lo desideri che essi possano rimanere immutati. Più avanti il rapporto riserva altre più consistenti sorprese: Il nominativo segnalato è uno dei più pericolosi elementi che operano nella zona 8a alle dirette dipendenze del Partito Comunista. solo all'ingiustizia e all'arroganza. in definitiva. ad esempio. nuclei eversivi. Mino.] dopo quattordici mesi questa azienda di copertura è praticamente allo status quo. Ha aperto una libreria in corso Antonio Gramsci. non aveva in simpatia il colonnello Viezzer e nel '74 gli dedicò un articoletto in cui allude al suo ruolo di "gladiatore" in contatto con ambienti eversivi: Questo colonnello fino a poco tempo fa comandava il reparto guastatori del servizio che si addestra in Sardegna e ha disponibilità illimitate di esplosivo. Se anche questo documento fosse un falso. epoca in cui si pose al servizio dei rossi per salvare la pelle ai partigiani. aveva osato violare l'alone di mistero che circondava il passato del Venerabile. abitante a San Felice di Piteccio. l'esistenza dello Stay Behind. facendosi passare per un industriale di trafilati di ferro e rame [. con lui cerca di mascherare altri traffici. Un accenno spericolato. servizi libici. Nello stesso articolo seguivano attacchi ancora più pericolosi nei confronti di Andreotti che accusava di . così gli agenti del suo servizio si recheranno in bottega con dei libri sotto il braccio. Un intreccio che riporta a quella cellula supersegreta dell'intelligence denominata Anello e che conferma anche il ruolo della P2 nella strategia della tensione. il tutto coordinato ed eseguito a partire dal 78 dalla P2». ma qualche altro ufficiale piduista che in quel periodo era sceso in guerra contro il Venerabile. Si noterà a questo proposito che in tutti i casi di attentati di matrice di destra l'esplosivo non è mai stato rubato. raccontò durante un'audizione alla Commissione Parlamentare per la Strage di Ustica. In ogni caso nessuno. pur avendo aderito alla P2. di trame e dissapori che dovevano essere noti a Pecorelli. tranne Pecorelli.. Nulla sfugge al SIFAR: Il Gelli visto che l'affare industria non può reggere ha deciso di cambiare tattica e ha iniziato il solito lavoro tanto in uso nel servizio spionistico orientale. in cui Mino da prova di essere a conoscenza del segreto militare "tabù" di quegli anni. La sua vera attività comincia a essere più scoperta nel 1947-48: egli si associa al professor Niccolai Danilo. di saldature tra mafia. complice con Mannucci Benincasa nella fabbricazione dell'anonimo "istituzionale" in cui si invitava a indagare su Gelli e l'omicidio Occorsio: «Ero venuto a conoscenza di legami. diranno che il tal libro non va. Proprio come nei romanzi di Le Carré. Ma il giornalista era uso giocare su vari tavoli: forse non era stato il povero Viezzer a fornirgli il fascicolo sulla "lista dei nomi traditi".. oltre che al diretto coinvolgimento del SiD negli attentati di destra. Perché? Un movente lo fornì molti anni dopo il tenente colonnello Umberto Nobili. come sappiamo. non faceva parte del nucleo "deviato" e si operava per sventarne le azioni più pericolose? Chissà. Ma c'era anche una parte dei servizi segreti che. bisogna dire che è ben inventato.L'attività di Gelli risale al 1944. Una diretta allusione ai depositi Gladio di Capo Marrargiu. ne prenderanno un altro e così via. forse si trattava di pure rivalità interne. quando divennero finalmente pubblici gli elenchi degli iscritti alla "balaustra" più potente e segreta della massoneria italiana. Non c'è dubbio che Gelli non fosse il vero capo della Loggia. il Capo di Stato Maggiore della Difesa. ascoltato dalla Commissione P2. diede questa valutazione: «Non ho mai creduto che Gelli fosse il capo. ma piuttosto un grand commis. ma uomo di relazioni. dove si era presentato come ingegner Luciani: «Dice che loro erano molto importanti e che controllavano metà della stampa italiana. Non un capo carismatico. Difatti nessuno ha mai pensato che il vero destinatario del giuramento fosse lui. parlamentari. della Polizia e della Guardia di Finanza. professori universitari e giornalisti. trentuno generali delle tre armi. Pure se a distanza di tanti anni le numerose inchieste. preciserà nel '93 alla seconda Corte d'Assise di Roma: La Loggia è stata la risposta in termini sbagliati e occulti ai timori dei circoli atlantici che l'alleanza DC-PCI allontanasse l'Italia dalla NATO. cantanti. Disse di poter assicurare relazioni dirette con gli americani». intrighi». La Balaustra Chi fosse davvero Licio Gelli. Non è mai stato risolto il nodo dei rapporti tra Andreotti e il Venerabile: quando la Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulla P2. L'indicazione di Cossiga sul ruolo di diga anticomunista della loggia massonica può essere valida. affari. compreso il direttore del «Corriere della Sera». prefetti. Vi pare che generali. potessero rispondere a uno come lui? Il capo era un referente che metteva nei posti chiave i generali filoamericani. che nel 76 aveva detto di aver appreso dell'esistenza della P2 da un articolo sull'«Espresso». all'hotel Raphael. un attivatore dell'organizzazione. E che iscritti! Tre ministri della Repubblica. ma l'idea che mi sono fatta della Piramide Superiore mi porta a . cercò di oltrepassare quella soglia non riuscì che a individuare la misteriosa Piramide Superiore. L'ex presidente Cossiga. un segretario generale. La P2 è d'importazione americana. si scoprì soltanto nella primavera dell'81. parlamentari e giudiziarie. arrivati ai massimi vertici. cui ognuno nel tempo ha dato il significato che preferiva. Ma il nome non lo ha detto. uomini di spettacolo. tutti i capi dei servizi segreti. diciotto magistrati. Lui Gelli lo incontrò una sola volta. ma anche attori. che avevano anche la forza di cambiare il presidente della Repubblica con una campagna sui giornali. al tempo stesso demonizzante. presieduta da Tina Anselmi. banchieri. non sono ancora riuscite a chiarire che cosa abbia spinto uomini tanto importanti a confluire in questa consorteria e in cambio di quali contropartite abbiano reso giuramento a un personaggio che all'epoca era noto come il materassaio di Arezzo.aver offerto "coperture governative" agli attentati di destra. alti funzionari. e quale la sua reale influenza nelle stanze che contano. che da allora si sono succedute. Un'indicazione troppo vaga. diplomatici. L'ex leader del PSI Bettino Craxi. un ex collaboratore della cia. ma se esaminiamo le liste della P2 troviamo in effetti anche generali che dirigevano il Supersid che. è che la loggia gelliana alla fine degli anni Settanta possa aver svolto il ruolo di "sala regia" del terrorismo. Un altro scopo era quello di ottenere il suo aiuto per trafficare droga negli USA da altri paesi. il ricorso alla violenza potrebbe aver dato adito a manovre destabilizzanti. Ma è anche vero che proprio nelle fasi di crisi o di transizione politica della Repubblica. Tuttavia l'appartenenza alla Superloggia consentì ai molti che aspiravano ad alti incarichi di arrivare a ricoprirli. In un'intervista al TGl condotta da Ennio Remondino nel luglio 1990. L'affermazione di Dalla Chiesa. diede questa versione: I soldi della CIA andavano alla p2 per diversi fini. che puntavano su gruppi contrapposti. tale Luciano Frittoli. che uniti ai seicento della Loggia italiana danno l'idea delle dimensioni che aveva raggiunto la p2: una Loggia non supera in genere i duecento-duecentocinquanta membri. C'è chi ha identificato la Piramide con la Superloggia di Montecarlo. Il sospetto più grave. sia rosso che nero. era il centro direzionale dei nuclei che agivano "dietro le linee": personaggi legati tra loro da patti occulti. per accogliere i personaggi più coinvolti in ogni possibile nefasta alleanza con la mafia e i trafficanti di armi e droga. il luogo occulto dove è possibile muovere come pedine le sorti di uomini e governi. Sembra sia nata nel 77 come sezione della P2. per poi approdare a un progetto autonomo: quello contenuto nel Progetto R (o Piano di Rinascita Nazionale) che prevedeva la fine del sistema dei partiti. spiega in parte il motivo che può avere spinto uomini di Stato. ma credo che il suo livello sia ancora quello di una sub-sezione del gotha massonico. inevitabilmente. uno dei quali era il terrorismo. un centro di potere privilegiato per ogni strategia politico-militare e finanziaria. la nascita di lobby politiche e il bipolarismo. e la P2 divenne. nell'interesse di centri di potere deviati e occulti. che facevano . anche non corrotti. Gli iscritti di Montecarlo erano almeno quattrocento. quando giustificò la sua iscrizione alla P2 dicendo che si trattava di «un'autocertificazione di anticomunismo». emerso qua e là in molte inchieste giudiziarie di cui abbiamo già parlato. Richard Brenneke. Sembrano affermazioni incontrollate. a iscriversi alla potente "balaustra".immaginare una sorta di gotha della massoneria internazionale. Ci siamo serviti della P2 per creare situazioni favorevoli all'esplodere del terrorismo in Italia e in altri paesi europei negli anni Settanta. come in effetti è poi avvenuto all'inizio degli anni Novanta con la fine della Prima Repubblica. grazie all'iniziativa di un commerciante amico di Licio. anche se questa loggia è particolarmente potente. tesa inizialmente a condizionare il consenso attorno al sistema politico dominante. come è ormai lecito sospettare. servizi. benché amico del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Ma i traffici dell'immaginifico Licio non si limitavano a questi affarucci. partito nel '79 dal tentativo di far luce sull'omicidio di un giornalista scatenato e bizzarro e approdato nel '93 all'incriminazione dell'uomo politico più potente degli ultimi cinquant'anni. condannato a diciotto anni con l'accusa di appartenere alla banda di Luciano Liggio. La loggia "riservata" di Palazzo Giustiniani era molto prestigiosa: vi erano passati l'ex presidente del Senato Cesare Merzagora. piacque moltissimo. ospedali e collegi. Giordano Gamberini. La teoria del "mandante unico". mafia. e anche Miceli. i generali Aloja e De Lorenzo. la gestione di una fabbrica di materassi che lo arricchì grazie al trionfo di ordini da parte di conventi. destinata a ospitare i Fratelli di maggior prestigio e più bisognosi di riservatezza: al futuro Venerabile questo angolo appartato. potrà dire che non è questo l'obiettivo del processo penale. Anche se qualcuno. poi quello tra politica e mafia. Nelle liste c'erano altri nomi illustri.dove c'era una loggia coperta.ci limitiamo a osservare come il passaggio tra le due indagini sul delitto abbia seguito l'evolversi delle strategie giudiziarie degli ultimi vent'anni: prima si tentò di capire quale fosse il rapporto tra massoneria e servizi segreti. ammesso che sia sufficiente a chiarire l'omicidio di Pecorelli. e parente del leggendario boss mafioso Frank Coppola. quando il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia. detto Tre Dita. Fino a quel momento Gelli si era accontentato di fare da factotum per un deputato democristiano di Pistoia. come don Agostino Coppola. dove la sua vocazione all'intrigo aveva maggiori possibilità di espansione. rese operativo il futuro capo della P2.Romolo Diecidue. di cui .riferimento alla stessa casa madre. Gamberini aveva rapporti di primo piano a livello internazionale. Per tornare al processo Pecorelli. le cui azioni rilette oggi sembrano inseguire progetti di cui non c'è traccia in alcun dibattito parlamentare o di governo. incarico che gli consentì di "fottere" al commendator Pofferi. Se si fosse trovato un punto di congiunzione tra i due filoni d'indagine sarebbe stato forse possibile scoprire anche la vera catena di comando tra le varie parti in causa: massoneria. politica. allora semplice direttore di una ditta di confezioni per uomo (la Gioele di Giovanni Lebole). quando fu sostituito da Lino Salvini. precisamente nel '66. e anche in seguito. O misteriosi. non aiuta a comprendere tutto quel che è successo. manterrà l'incarico di curare i rapporti con le massonerie estere e con la CIA. che cominciavano ad andargli stretti. economo di Monreale. che la sentenza ci consegna. forse a ragione. Dal Grande Oriente Gelli transitò a Palazzo Giustiniani. Da piazza del Gesù alle logge coperte La misteriosa e fulminea carriera massonica di Licio Gelli comincia in piazza del Gesù attorno alla metà degli anni Sessanta. come l'arcivescovo di Vienna Franciscus Konig. fiorì una nuova generazione di pentiti di mafia. pronta a conquistare un ruolo di dominio all'interno della massoneria ufficiale ma anche nel mondo esterno. Carmelo Spagnolo. gli iscritti alla P2 erano persone molto perbene. autore del libro-inchiesta I massoni d'Italia. Nel '71. il socialdemocratico Preti e lo stalinista Cervetti». in tacito accordo con Salvini. dopo la caduta dei grandi patriarchi della DC. alla fine degli anni Settanta c'era stato un proliferare di "logge coperte" nelle quali erano stati accolti anche i rappresentanti delle famiglie mafiose: la loggia Adelphi a Napoli. L'ombra della mafia. è già presente in questo nucleo primario della P2. Fili di cui si perderanno le tracce nelle liste ritrovate a Villa Wandadi Castiglion Fibocchi. Le più importanti sono la loggia di via Roma e quella dello Scontrino. in quella valigia che Gelli. dove tutti si conoscono. aveva preparato. rileva Roberto Fabiani. con Sindona e don Agostino Coppola. Duemila iscritti in quella di via Roma: i più bei nomi della politica. Giuseppe Arcaini. il Gran Maestro del Grande Oriente Lino Salvini lo promuove segretario generale. Ma c'è chi ritiene che anche questa sia stata un'abile trovata del Venerabile. soprattutto in Sicilia. le logge Orion della Carnea e di via Roma a Palermo. pronto a fuggire. scopriremo che. del mondo bancario e del parastato. ma in quegli anni il pericolo del comunismo era davvero molto alto». massone dal '47. «Nessuno riuscirà mai a spiegarsi come potessero convivere nella stessa organizzazione e con spirito di fraternità personaggi che si odiavano a morte come Cuccia e Sindona. In ogni caso il Venerabile approfittò di questo periodo per costruire il primo nucleo della potentissima P2. quando. Un'accusa dalla quale il Venerabile si è sempre difeso: «Per carità. Enrico Cuccia e Michele Sindona. Nel '76. La P2 è ormai al decollo. si sgancia da Palazzo Giustiniani.parleremo più avanti per il suo intervento nelle trattative segrete con le BR all'epoca del sequestro Moro. incontriamo nomi come quelli di Eugenio Cefis. Via salendo la scala della grande finanza e dell'industria. E c'era anche il procuratore generale della Cassazione. Ma negli anni Novanta. Aloja e De Lorenzo. la loggia Scontrino a Trapani e altre ancora. un nuovo balzo: viene promosso Maestro Venerabile e. naturalmente dopo averle depennate dei nomi più imbarazzanti. Tra i politici transitati nella loggia di Palazzo Giustiniani ricordiamo il socialdemocratico Luigi Preti e il comunista Gianni Cervetti. . Guido Carli. attraverso la scalata dei suoi iscritti a tutti i luoghi di comando. nessuno di loro in seguito è risultato coinvolto in Tangentopoli. e ciò concede al materassaio quella autonomia organizzativa di cui aveva gran bisogno e che gli consentirà nel breve volgere di qualche anno di circondarsi di uomini potenti in ogni ramo. facilita i rapporti e aiuta a superare le incomprensioni». che in realtà voleva far trovare le liste. Ma Gelli aveva una sua filosofia: «Abitare al piano attico del mondo. erano forse un po' troppo anticomunisti. nell'81. Giacomo Vitale. Per Enna il boss Bongiovino. ufficialmente commerciante. sostenendo che anche i corleonesi furono poi affiliati alla massoneria. cugino carnale del "papa della mafia" Michele Greco. che valenza avrebbe dovuto avere l'accordo tra massoneria e mafia e in vista di quali importanti obiettivi veniva sancito un patto che consentiva a Cosa Nostra di riassumere il ruolo di braccio armato a disposizione di interessi sovranazionali e atlantici. I più importanti erano Ezio Giunchiglia. Mariano Agate. di Michele Greco e di due rappresentanti per famiglia. c'erano fuoriusciti dalla P2. il commercialista Vito Guarra-si. Per Catania sarebbe entrato Giuseppe Calderone. Secondo l'informativa del SISDE. Torna alla mente l'ipotesi della Gladio siciliana. Giorgio Balestrieri (già capitano della Marina Militare) e William Rosati. L'operazione prevedeva l'investitura dello stesso Bontate. fece irruzione nel Centro Studi Scontrino. Ma anche il boss Salvatore Greco. per Trapani Totò Minore. e fece i nomi di Totò Riina. Cosa Nostra. Francesco Madonia. Se è vero quello che hanno raccontato i pentiti (e già nell'83 di queste logge segrete trovarono traccia i giudici Falcone e Chinnici). nel '93. l'editore del «Giornale di Sicilia» Federico Ardizzone.dell'imprenditoria siciliana e di.. all'epoca considerato la longa manus di Gelli in Sicilia. Quando nell'86 la polizia. Nell'87 il pentito di mafia Antonino Calderone raccontò che dieci anni prima Gelli. quell'avvocato Nino Buttafuoco arrestato per il rapimento del giornalista Mauro De Mauro. ma indicato negli anni Settanta come capo della Stazione CIA in Italia. c'è da chiedersi quale fosse il piano di Gelli o dei suoi committenti. Giunchiglia parlava del "risveglio" (massonico) di Randolph Stone. Gaetano Piazza e dell'imprenditore "corleonese"Angelo Siino. In una lettera dell'80. aveva fatto pervenire a Bontate la seguente proposta: creare una sezione riservata nella quale i boss di maggior prestigio potevano trovare alloggio. Il pentito Leonardo Messina. Era invece affiliato alla Carnea un cognato del boss Stefano Bontate. Messina fu anche il primo a parlare di una segretissima Loggia dei Trecento. come ai tempi della Liberazione. già in contatto con la massoneria dal tempo del golpe Borghese. già iscritto alla P2. aggiornerà il quadro di qualche anno. a Montecarlo Frittoli era entrato in contatto con il trafficante internazionale di armi Samuel Cummings. Vi troviamo i cugini Salvo. oltre a Frittoli. che più avanti troveremo coinvolto nella fuga di Sindona in Sicilia. nel corso di un'indagine relativa a un traffico di droga. Moreno Micciché. presidente della Inter Arms di Londra e residente nel Principato di Monaco.. Nel 1982 il SISDE ebbe sentore di quanto stava avvenendo e informò la Commissione Anselmi che nella Loggia Montecarlo. rinvenuta nell'archivio di Gelli. attraverso il Fratello Vitale. scoprì che si . Nicola Terminio. i Petroli e tutto il resto. proprio nel momento della sua massima ascesa. Ecco quanto faceva sapere l'Anonimo: Gelli Licio: aretino . il business di Licio con la Romania (dove esportava abiti Lebole esentasse grazie alla sua amicizia con Ceausescu e all'appoggio del segretario generale della Guardia di Finanza Nik Trisolini) si era interrotto per via dello scandalo Petroli e la grande "famiglia" appariva lacerata da divisioni e lotte intestine. insieme ad alcuni uomini dei servizi segreti che con lui rimasero impigliati nella strage di Bologna. il quale gli affidò una rappresentanza commerciale di materassi Permaflex.coinvolto con Minghelli nel riciclaggio dei rapimenti Bulgari. affermò che Giunchiglia era un personaggio che si collocava «nella zona di maggiore ombra della P2 tra la sponda dei contatti con ambienti militari e informativi USA e quella che riconduce al commercio di armi». Belfagor e Belzebù Ma la P2. Anzi. anche Gelli appare travolto dai sospetti. dalle agende venne fuori che l'ex affiliato alla P2 era l'uomo di raccordo tra Montecarlo e la rete di "logge coperte" operanti al Sud. per uno strano destino.nazista . Tra le carte sequestrate nella redazione di «OP» ho trovato una lettera che la dice lunga sul clima da grande intrigo. ricorrevano gli stessi nomi. nelle sue vicende. gli stessi ambienti che minacciavano Andreotti. mostrava al suo interno i primi segni di cedimento. dagli scandali.trattava di una loggia massonica diretta da tal Giovanni Grimaudo in diretto contatto con la Loggia di Montecarlo e in particolare con Giunchiglia. così prosegue l'ignoto cantore: Ora intrattiene rapporti di spionaggio con alcuni paesi del Sudamerica (è stato artefice del ritorno di Peron in Argentina. Al punto che sui giornali dell'epoca furono ribattezzati Belfagor e Belzebù. Nel periodo che segue il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro. Con la differenza che Gelli-Belfagor uscì travolto dalla valanga che si abbattè sulla P2. spia dei servizi segreti italiani . prodotto dalla battaglia tra opposte fazioni all'interno della P2. Ortolani. alleato di Lopez . Sul finire degli anni Settanta il sistema gelliano appariva in crisi. mentre Andreotti è alle prese con i memoriali e la difficile situazione politica.massone . l'Italcasse. ma il cui mittente doveva essere ben noto al giornalista. È uno di quei fogli senza firma che abbondavano sulla scrivania di Mino. oltre che con Sindona. nella requisitoria del 31 gennaio 1991 al processo a "Gelli più 622". Di tutte queste informazioni tenne conto il PM Elisabetta Cesqui che. dalle trame. Parrillo (tutti stranamente in contatto con Gelli).ex informatore delle SS tedesche. le stesse sigle. capimafia e uomini dei servizi segreti. Con tono concitato. Fece il suo ingresso nel mondo economico fottendo un amico del presidente Gronchi. funzionati pubblici. mentre Andreotti-Belzebù ne uscì al solito indenne. Alla loggia trapanese risultarono affiliati amministratori. ha una conoscenza grammaticale infantile. La profezia come sappiamo si è puntualmente avverata due anni dopo. di cui si daranno fotocopie contraffatte per finanziare operazioni di guerra in Europa. Sentite come conclude l'informativa: Gelli è semianalfabeta (terza media). lungo gli stessi scandali. Viaggia con Mercedes targata corpo diplomatico argentino. ora serve Pinochet e i generali argentini. è presuntuoso.] detti abiti godono di esenzioni tariffarie doganali con la complicità della Guardia di Finanza (Nik). che doveva ben conoscerlo. nonostante in quegli anni le vite di Belfagor e Belzebù corressero parallele. una lettera e una foto. lo stesso Venerabile era ricattato: La magistratura stava per emettere ordini di cattura per complicità manifeste nella questione rapimenti e riciclaggio. soprattutto il colonnello Trisolini. L'FBI sta indagando su alcuni commerci tra spacciatori di droga e mafiosi che intratterrebbero rapporti con Gelli. L'informatore. Nel frattempo mantiene rapporti con forze oscure della sinistra italiana giustificando tale comportamento con la necessità di fornire notizie alla massoneria.. Sembra che Gelli si recherà all'estero e verrà arrestato. ma si presume riesca a realizzare grandi imprese per una forma di pazzia lucida. Quante volte ricorre la parola «ricatto» in questa informativa che proviene quasi certamente dal Centro di Controspionaggio di Firenze? L'intero sistema gelliano sembrava fondato sul ricatto. non ci sono testimonianze né prove certe del fatto che Andreotti e Gelli si frequentassero. ma il Gelli è riuscito a farlo tacere con la promessa che lo salverà. a esclusione di una telefonata. All'estero gode di un permesso riservato ai diplomatici argentini che ricatta dopo la caduta di Isabelita Peron. il quale da buon apprendista stregone manovrava alcuni settori di nazisti tedeschi rifugiati in Argentina [. il quale a sua volta ricatta personalità DC e della Santa Sede. ma l'intervento di alcuni magistrati massoni ha sempre impedito i provvedimenti. Il grande mistero è che. L'amico di Pecorelli doveva avere proprio il dente avvelenato con il Venerabile. con Miceli esercita pressioni per finanziamenti che attraverso lui avrebbe fatto avere all'MSI-DN.. La lettera e la telefonata sono agli atti del . Il Gelli si è occupato di riciclare monete cartacee sudamericane e di altre nazionalità.Rega. così descrive il "sistema gelliano": È quello di coprirsi con la massoneria (ricostituzione P2 ora in sfacelo). Minghelli ha minacciato di parlare.. a breve termine sarà costretto a interrompere ogni rapporto con la Romania perché i funzionari che lo agevolavano sono stati arrestati [. ricatta magistrati e uomini appartenenti all'organizzazione militare.]).. detto Nik. aiutante maggiore del comandante della Guardia di Finanza che ha procurato attraverso Ortolani notevoli affari e remunerazioni a uomini politici e detiene contatti spuri e doppiogiochisti con Sindona. Ad Arezzo fu mandato il tenente colonnello Luciano Rossi.] fonte degna aveva riferito che era alto esponente della Massoneria internazionale [.] ad Arezzo è un intoccabile ma tanti e tali sono i suoi rapporti che ogni indagine verrebbe annullata.. vicino a prelati e notabili locali. agli incontri con Sindona. il Diavolo e l'acqua santa Alla fine degli anni Settanta la Sicilia ribolliva come una pentola su un fuoco troppo alto: era un periodo d'inquietudine. ma fu salvata da finanziamenti a favore del Mezzogiorno: era intervenuta la Fatina Azzurra (cioè Andreotti). rivalità.processo di Palermo e sono inserite nel percorso del crack di Sindona. particolarmente importante: «A livello nazionale è sicura l'esistenza di rapporti con Andreotti e altri elementi della sua corrente nel periodo frusinate». Il giorno dopo fu trovato morto con un colpo di pistola alla tempia. se non quando il PM Colombo durante la perquisizione a Villa Wanda. Ma di questa relazione del tenente colonnello Rossi non si seppe mai nulla. Sindona. fu scattata all'inaugurazione dello stabilimento Patty di Frosinone. il servizio segreto delle Fiamme Gialle. ne trovò una copia. da cui il nome). La fabbrica di lì a poco rischiò il naufragio. In quegli anni non furono molti gli uffici di sicurezza che cercarono di saperne di più sulle origini delle fortune di Gelli e sulle sue coperture politiche. Rossi spiegò che era stato avvicinato e sconsigliato dal proseguire. Seduto in prima fila. È stato uno dei pochi tentativi di far luce sul Venerabile Licio e i suoi rapporti con Andreotti. la più . su incarico del capo dell'ufficio. Tutto il resto sfuma in istantanee sfocate: dai rapporti con Ceausescu. Nelle cinque striminzite paginette c'è un passaggio. gli equilibri si erano spezzati: stava per scatenarsi la notte dei lunghi coltelli. Qualche tempo dopo il finanziere stilò un rapporto di cinque cartelle nel quale si asseriva che l'indagato aveva una solida situazione finanziaria di cui non si conosceva l'origine [. oltre che al cardinal Marcinkus. come scriveva Mino. Nel 74 si mobilitò però l'Ufficio I della Guardia di Finanza. Dietro la Patty.. Belzebù sorride soddisfatto: le maestranze assunte nello stabilimento erano state pescate nel suo collegio elettorale e tutto sembrava andare bene. contrasti. alle buone relazioni con i paesi arabi.. si rincorrono. in provincia di Messina. Il colonnello nel frattempo si era trasferito a Napoli: lo mandò a chiamare il procuratore di Milano Luigi Dell'Osso che gli mostrò l'informativa. Belfagor e Belzebù si inseguono. Dopo un lungo periodo di pax mafiosa. ma non s'incontrano mai. che produceva valigie. si sarebbe occultata un'impresa di Sindona (nativo di Patti. La foto risale agli anni Sessanta.nell'81. il colonnello Salvatore Florio. Nel frattempo anche il colonnello Florio era morto in circostanze oscure: nel '78 ebbe un incidente stradale su cui si fecero molte congetture.. La sua presenza è come un'ombra che accompagna i passaggi cruciali della nostra storia. Presto ci sarebbero stati morti ad ogni angolo di strada. Fu lui a metterlo in contatto con la grande finanza vaticana. abituati ad altri linguaggi e altre regole. Non ci riuscì e questo segnò la sua fine: Sindona aveva venduto l'anima al Diavolo e Dio se la riprese nel carcere di Voghera il 20 marzo del 1986. che erano andate perdute nei misteriosi crack delle sue molte banche sparse in tutto il mondo. picciotti. che a noi interessa perché ha un ruolo chiave nel processo a Giulio Andreotti. Nessuno fu in grado di capire cosa avesse scatenato tanta furia. il curatore fallimentare che si era opposto ai suoi fantomatici "piani di salvataggio". protetto dall'aristocrazia mafiosa dell'isola. si capisce. quando a Milano il commercialista di Patti incontra il futuro pontefice Paolo VI che era ancora monsignor Montini. il riciclatore delle immense ricchezze dei boss. poliziotti. San Giuseppe Jato. disposti al dialogo e alla mediazione. i soldi sporchi. Un terremoto senza precedenti. quando era ancora a New York. c'è scritta anche una cosa sensata: «Sarebbe un peccato se in Italia qualcuno gli fornisse un caffè avvelenato: non potrebbe portare con sé i Filistei». ci sono i soldi. stimato da Paolo vi. ma al tempo stesso il consigliori di Cosa Nostra.dove tra molte sciocchezze. coperture. e con i soldi il potere o la necessità di conservarlo attraverso una tela di ricatti. ma che rappresenta anche il punto più controverso e oscuro di molti misteri italiani: Michele Sindona.sanguinaria delle guerre di mafia. La mafia uccide sempre per "interesse" e dietro questa parola. Sindona fu ucciso da una tazzina di caffè al cianuro. boss rozzi e terragni. Quell'estate Sindona era tornato segretamente in Sicilia per rassicurare i suoi "clienti". C'è un articolo sul «Progresso italoamericano». Il ruolo iniziale di Sindona fu quello di spostare su banche estere ingenti somme dei conti correnti della Santa Sede. Altofonte. in un'intervista aveva detto: Che qualcuno non mi voglia far tornare in Italia. intimidazioni. magistrati e uomini politici. Prima del processo. anche di kalashnikov e di tritolo: boss. la storia visibile e quella invisibile. Omicidio o suicidio? Vedremo. con enormi profitti. Il Bancarottiere di Dio La storia ufficiale di Michele Sindona comincia nel '54. ma ai corleonesi in realtà interessava soltanto rientrare in possesso delle centinaia di miliardi che si erano volatilizzati e che lui poteva restituire soltanto se riusciva a salvare la sua Banca privata. come i Bontate e i Badalamenti. Così fu anche nella terribile estate del 1979. per alleggerire quegli aggravi fiscali che lo Stato italiano cominciava a rivendicare.era al tramonto: alle porte premevano i viddani di Corleone. E non solo morti di lupara. un grande finanziere. Perché era un grande banchiere. L'era dei grandi padrini. quasi carnale. Due giorni dopo la sentenza di condanna all'ergastolo per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli. Al centro di questa guerra c'era un uomo. Un'operazione . come lui stesso aveva previsto. In attesa che finisse la guerra aveva aperto uno studio da commercialista a Messina. Sindona era un finanziere puro. la Banca Privata Finanziaria. Verranno poi la Franklin Bank e l'Ambrosiano. Per risanare il deficit aveva chiesto un prestito alla Banca di Roma di cento milioni di dollari e lo aveva ottenuto attraverso la consociata estera di Nassau. fondò la Società Immobiliare. la Bankhaus Wolff di Amburgo. Sindona cercò di superare le prime difficoltà. Ma ce n'è un'altra occulta. L'anno precedente le sue banche erano state oggetto di un'ispezione da parte della Banca d'Italia che aveva registrato alcune irregolarità e trasmesso le relazioni alla magistratura nei mesi successivi. moltiplicare attraverso operazioni e passaggi comprensibili a pochissimi. allora presidente del Consiglio. né mostrato i segni di una volgare corruzione. lo ringraziò pubblicamente definendolo il Salvatore della Lira. del Banchiere di Dio. detta anche Banca Vaticana. non ha mai esibito lussi e ricchezze. che segnò la sua ascesa nel mondo finanziario. Fu l'ambasciatore americano John Volpe (detto anche John Golpe) a consacrarlo «uomo dell'anno 1973». dichiarando di aver sventato una manovra speculativa di un consorzio internazionale di banche. la Herstatt di Colonia. la Continental Illinois di Chicago. e lo IOR. Per conoscerla bisogna . e fu lungo questa strada che il suo destino si incrociò con quello del cardinale Paul Marcinkus. ma ancora al limite della legalità. All'inizio degli anni Sessanta l'ascesa di Sindona sembrava inarrestabile: era il mago di funamboliche e geniali operazioni in Borsa. un'astrazione matematica. La sua Banca Privata si associò ad altri istituti di credito europei. di cui il Vaticano era uno dei titolari. ambizioso. nascondere. sanguinaria che fece di lui un "genio del male". il Banchiere del Diavolo. È questa la storia ufficiale. Con la banca di Roma e Marcinkus. Nel '43 aveva soltanto ventitré anni ed era un giovane laureato in legge. Le cose gli andarono bene. retta da Marcinkus. Per lui il denaro era uno zero assoluto. il «Times» gli dedicò elogi. la Amicor di Zurigo. che sapeva abilmente maneggiare. dove andava e veniva dagli Stati Uniti: l'asse Milano-New York fu il canale che gli consentì un rapido arricchimento. e durante un ricevimento Andreotti. Il «Business Week» lo definì il finanziere italiano di maggior successo. Nel 73 la fortuna stava per voltargli le spalle. Il «Fortune» lo esaltò come uno dei più geniali uomini d'affari del mondo. tenebrosa. non è mai stato uomo avido di soldi.spregiudicata. ma lui ancora non lo sapeva. si trasferì a Milano. come la Finabankdi Ginevra. che presiedeva l'Istituto Opere Religiose (Ior). determinato. tanto che sul finire degli anni Cinquanta fu in grado di acquistare una quota della sua prima banca. uomo di Chiesa ma convinto «che la Chiesa non si regge con un'Ave Maria». pubblica. Daniel Porgo. Con il loro aiuto Lucania rapidamente fondò la Sezione Italia. Negli Stati Uniti i clienti del suo studio erano nomi importanti del gotha mafioso: Gambino. il Banchiere del Diavolo legalizzava e accresceva i soldi della mafia americana. Tra questi personaggi c'era il giovane Michele Sindona.]. Ministero degli Interni Interpol 16 novembre 1967 prot123 516404 alla questura di Milano. grande massone americano: fu lui a metterlo in contatto con le alte sfere della CIA che decisero di spedirlo in Sicilia a contattare i vecchi boss rimasti in sonno per tutta la durata del fascismo. Per facilitare l'operazione. era stato in carcere negli USA e qui il suo destino si era incrociato. In ogni caso. con il suo modesto studio a Messina. con il giudice Dewey. considerato che l'isola è terra di mafia. quando Michele era ancora un giovane avvocato-commercialista. lo sbarco alleato fu l'occasione giusta per stringere quelle amicizie che resteranno negli anni a venire. Vito Genovese. che pubblicò nel '75. Sindona fece sparire diversi milioni di dollari che il servizio segreto americano aveva destinato alla preparazione dello sbarco alleato.risalire agli anni della guerra. Tra le tante scatole finanziarie inventate da Sindona. E tutto passava all'interno della sua Banca Privata. Pecorelli era a conoscenza di qualche retroscena. Alla fine degli anni Sessanta un'informativa dell'FBi lo segnalò come implicato nel traffico di stupefacenti tra Italia e USA. una fortuna che purtroppo era costretto a condividere con Cosa Nostra. per vie misteriose. Nel meeting di Palermo (hotel Le Palme) del '52.pallido e determinato. al '43. Il suo vero nome era Salvatore Lucania. gli americani si accingevano a liberare l'Italia iniziando con uno sbarco in Sicilia. i cittadini italiani Sindona Michele nato a Patti [. di cui entrerà a far parte una rosa di personaggi siciliani in modo che costituissero un riferimento per gli americani al momento dello sbarco. Nel commercio sarebbero implicati Porgo ed Ernest Gengarella. Porgo Daniel e altri. Il Banchiere di Dio esportava i capitali del Vaticano all'estero. E quel diavolo di Pecorelli pubblicò subito l'informativa inviata all'Interpol. lo nominò amministratore di due miliardi di dollari che all'epoca i boss fecero riciclare per le loro operazioni europee attraverso opportune banche svizzere. quella che tirava le fila dei finanziamenti . I tedeschi stavano perdendo la guerra.. i servizi segreti americani contattarono il gangster Lucky Luciano. La polizia statunitense sta conducendo indagini su un traffico di droghe tra Italia e USA.. i due si conobbero in Sicilia nel '43 quando per conto dell'agente dell'OSS Luciano. Quei miliardi erano i soldi che spettavano alla mafia per l'aiuto dato agli alleati? Certamente furono l'inizio della fortuna di Sindona. Oggetto: traffico allucinogeni tra Italia e Stati Uniti. Spatola. quando la storia occulta di Don Michele cominciava ad avere il sopravvento su quella ufficiale: Inventato finanziere da Lucky Luciano. Tuttavia tengo a precisare che mi presentò Sindona una persona molto onorevole». oltre che sottrarlo a un processo per bancarotta. il 21 luglio fu la volta del capo della Mobile Boris Giuliano. Massone da sempre. la mafia. poi. capisci perfettamente il messaggio. un dissociato. sono passate migliaia di persone più importanti. In un'intervista periodicamente trasmessa in televisione. Don Michele in Sicilia Se il 1977 e il 1978 furono anni di incredibili violenze. Secondo la Commissione d'Inchiesta del Senato degli Stati Uniti quei soldi dovevano servire a finanziare la campagna elettorale di ventuno politici italiani che godevano della fiducia del governo americano. il curatore del fallimento del . negli anni Sessanta. scontri di piazza. sembra un distratto. trampolino di lancio di Gelli.. in parte finalizzati a eliminare gli scomodi testimoni degli anni precedenti. Quali furono negli anni a venire i suoi rapporti con il Venerabile non è dato sapere ufficialmente. attentati (culminati con il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro). Gelli parla così. per allusioni strampalate. undici milioni di dollari passarono dalla CIA al SID di Vito Miceli. a chi gli chiese come e quando avesse conosciuto Sindona. il 1979 è stato un anno di mirabili trame e omicidi "selettivi". gambizzazioni. con tutta la sua forza inquinante. la mente rivolta altrove. Ma sono in molti a ritenere che siano stati utilizzati anche per il golpe Borghese. una società che coprì il golpe dei colonnelli greci. in quella nota che precede la formazione del governo Andreotti nel 76. sono passati così tanti anni. Risulta infatti che la Finabank. portato alla finanza. come si dice in Toscana: «Mah! Non ricordo. il 20 marzo. ma vedremo come l'fbi considerasse la fuga in Sicilia del 79 di Michele Sindona. come sappiamo. scrive che «il Super giulio per l'occasione Superpadrino imbarcherà Michele l'Americano». e secondo la mia valutazione sarebbe stato un magnifico ministro delle Finanze o forse anche un buon governatore della Banca d'Italia». Il Banchiere del Diavolo risultò anche iscritto alla P2. Nella stessa intervista affermò infatti: «Sindona era uomo di grandi capacità intellettive. quando ci ripensi. Una settimana dopo furono uccisi a distanza di poche ore a Milano Giorgio Ambrosoli. Ma aveva già assassinato a Palermo il giornalista Mario Francese e il DC Michele Reina. Un anno in cui si attutì l'eco del terrorismo e tornò protagonista. come faccio a ricordare. almeno a sentire Pecorelli che. Mancò poco che qualcosa del genere accadesse. Gelli fece il riesci. bombe. si annidava nella libera muratoria di Palazzo Giustiniani.. un'operazione organizzata dal capo della P2. abbia appoggiato la Helleniki Tekniki."sotto copertura" a partiti e altri enti pubblici era la Franklin: due miliardi della CIA finirono nel 74 alla DC. aderì alla Loggia che. di cui parleremo fra breve. Era stata la mafia a uccidere a Roma Pecorelli. omicidi. Sindona era già nei guai: l'elezione in Parlamento avrebbe potuto rilanciare le sue quotazioni. Sindona in un primo momento rimase nascosto in casa di un'amica. che mi ringraziava anche a nome dell'ammiraglio Turner. Ma qual era lo scopo di questo viaggio? Sindona era uomo che teneva alla sua immagine ed è questa che tenta ancora di accreditare. Ed è in questa fase che si colloca la fuga a Palermo del latitante Michele Sindona. di una lunga teoria di omicidi politico-mafiosi. Francesca Paola Longo. dove un altro massone. il piduista amico e cognato del boss Stefano Bontate. Don Michele andò prima a Vienna. A ottobre torniamo a Palermo con l'omicidio di Cesare Terranova. dove lo raggiunse Giacomo Vitale. fungendo da contatto fra i due. come vedremo più avanti. Sarà Miceli Crimi. dobbiamo andare indietro di qualche stagione. La mattina del 3 agosto 1979. del suo viaggio in Sicilia tenne a dire: Ho ricevuto lettere dall'ammiraglio Morris. stranamente. con in tasca un passaporto falso intestato a tal Joseph Bonamico. caricato su un auto da due ceffi. Questi omicidi fanno parte. rappresentante del Pentagono. un carabiniere della rete Dalla Chiesa. allora a capo della CIA. e a nome dell'ammiraglio Haig. ma. La calda estate del 79 aveva avuto una regia preparativa nel 76. Per capire di cosa ringraziavano Sindona questi alti esponenti del governo USA. amico di Pecorelli: il delitto fu rivendicato dalle BR. sia a Palermo per placare l'ira dei boss. la segretaria riceve una telefonata in cui un sedicente "Comitato proletario di eversione per una giustizia migliore" annuncia di aver rapito il finanziere. allora capo di Cosa Nostra. grazie a una cauzione stratosferica: tre milioni di dollari. a sparare era stato un fucile a canne mozze. Due anni dopo. ma era soltanto una macabra messinscena. da lì volò ad Atene (forse per salutare i suoi amici colonnelli). Aiutato dal padrino italoamericano Rosario Spatola e da John Gambino. giudice e parlamentare comunista. aveva dato vita in Sicilia a un comitato anticomunista . E finalmente approdò in Sicilia attorno a ferragosto. assassinato con il suo collaboratore Lenin Mancuso. della grande mattanza. scompare dall'Hotel Pierre dove alloggiava dopo essere tornato in libertà. Quasi alla stessa ora il "rapito". al giudice Gherardo Colombo. Ma l'estate del '79 precede di poco l'inizio della guerra di mafia. quando John Connally. sia di fronte al mondo intero dove fino all'ultimo si batterà per salvare le sue banche e il suo onore. per ciò che avevo fatto e avrei fatto non solo nell'interesse degli Stati Uniti ma di tutto l'Occidente. Il finto rapimento riecheggiava le modalità del sequestro Moro. Joseph Miceli Crimi. allora capo della NATO. che aveva trovato il suo nome nella lista scoperta a Villa Wanda. ex ministro texano. molto amico di Licio Gelli lo andò più volte a trovare. a sparare quel colpo di fucile alla gamba del "rapito" per avvalorare la tesi della prigionia. nel suo ufficio di New York. e a Roma il colonnello Antonio Varisco.Banco Ambrosiano. noto chirurgo estetico. Gli avvocati Giuseppe Zupo e Armando Sorrentino. per mandare segnali e promuovere ricatti. ogni vicenda ha una lettura tridimensionale: c'è l'interesse personale. ma forse. Per Sindona fu l'inizio della fine. confermò che il viaggio era legato a una non meglio precisata «campagna politica ed economica che talune persone ritenevano che io dovessi fare in Italia in nome della privatizzazione e dell'anticomunismo». l'amministratore delegato di Mediobanca. quello delle "famiglie" e la "finalità superiore". desse il suo assenso: invece storse la bocca e lo definì «un papocchietto». per ottenere dalla Banca d'Italia un piano di salvataggio che gli risparmiasse il crack: lui stesso ne aveva messo a punto uno. Ma la risposta fu un'ispezione di Mario Sarcinelli. Franco Evangelisti. per comunicargli che bisognava convincere il curatore del fallimento Ambrosoli ad accettare il piano. stretto collaboratore del senatore. Sindona si era "fatto rapire". in un'intervista all'Unità». come vedremo. come dicono alcuni. E fu proprio il chirurgo a fornire per primo una patente politica alla fuga di Sindona. sostenendo che si trattava di una missione destinata a concludersi con la separazione della Sicilia dall'Italia. con l'approvazione di Andreotti. cui seguì la bocciatura del piano Stammati. che puntava a coprire i buchi neri della Banca Privata attraverso quei trucchi funambolici in cui era sempre stato maestro. che nel fallimento della sua banca avevano perduto almeno una sessantina di miliardi. sostengono che Connally avrebbe ormeggiato la sua barca al largo di Ustica per incontrarsi con alcuni massoni siciliani. Don Michele non mentiva: la conferma viene dal fatto che nell'agosto '79 era stato deciso in ambito atlantico di installare in Europa 572 missili a medio raggio. convocò il governatore della Banca d'Italia. il deputato comunista ucciso a Palermo nell'80. tra cui anche Miceli Crimi. La promessa non poteva essere che una grande operazione strategico-militare che ridava fiato ai boss rilanciando il loro ruolo di «cane da guardia del Mediterraneo». braccio destro di Baffi. ma aveva anche la necessità di rassicurare i suoi clienti siciliani dei forti appoggi di cui continuava a godere oltreoceano e di cui in effetti almeno in certi ambienti beneficiava. Quando ci sono in ballo grossi interessi mafiosi. di cui 112 a Comiso. Un piano di salvataggio fu messo a punto anche dal ministro delle Finanze Gaetano Stammati (p2). parte civile nel processo per l'omicidio di Pio La Torre. Ma le "famiglie" continuavano a premere per riavere i soldi. a partire dal '74. duecento. l'operazione salvataggio guidata dagli uomini del .denominato "Per la difesa del Mediterraneo". in Sicilia. Paolo Baffi. Un'iniziativa che aveva provocato una viva reazione da parte della sinistra: La Torre aveva guidato una campagna di opposizione con l'appoggio dei movimenti ecologisti. piano di salvataggio La fuga a Palermo fu l'ultimo atto di una lunga battaglia che Sindona aveva portato avanti. Ma bisognava che Enrico Cuccia. Sindona. E citò fra i suoi stimatori perfino Marcinkus e lo IOR. Farò cioè presente. Un incontro che non aveva carattere pubblico. L'avvocato Guzzi trovò tracce di questo intervento nelle proprie agende. con opportune documentazioni. Ma neppure queste pressioni ottengono alcun risultato: il bancarottiere si sentiva scaricato. fatti insussistenti per i quali fu poi prosciolto) e condotto a Regina Coeli su ordine di cattura del giudice istruttore Antonio Alibrandi. svoltasi all'Hotel Parco dei Principi. ma soprattutto affermò che l'argomento del colloquio tra Andreotti. quando scrisse la sua prima lettera ad Andreotti: La mia difesa avrà. che sarà arrestato il 24 marzo (per interessi privati in atti d'ufficio e favoreggiamento personale. Dopo il fallimento del piano Stammati. colpito da mandato di cattura per bancarotta fraudolenta. Ritengo che la chiusura di situazioni difficili e complesse. 1 giudici di primo grado affermano invece che Andreotti si era oltremodo mobilitato in suo favore. Lo aveva annunciato il 28 settembre 76. il faccendiere del Supersismi che più avanti conosceremo meglio.]. o perlomeno ritardasse. legale di Sindona tra il '74 e l'80. visto che Andreotti non ne informò la magistratura. possa nell'interesse della collettività e del paese starle a cuore. Il linguaggio è criptico. al di là dei compiti istituzionali. l'estradizione di Sindona in Italia. ma l'obiettivo chiarissimo.. che chiesero un intervento del presidente del Consiglio presso il Dipartimento di Stato americano affinchè non concedesse. si da invece molto credito alla testimonianza di Rodolfo Guzzi. anche nella sua veste di presidente del Consiglio. come può immaginare. nei confronti del quale la magistratura italiana aveva avviato una procedura di estradizione? Nella condanna dei giudici di Perugia. due punti di appoggio.presidente del Consiglio era tallita. riconosce che l'interessamento di Andreotti non andò più in là della «benevola attenzione». che sono stato messo in questa situazione per volontà di persone e gruppi politici a lei noti che mi hanno combattuto perché sapevano che combattendo me avrebbero danneggiato altri gruppi cui avevo dato appoggio con tangibili e ufficiali interventi. Nel 76. che la Superloggia di Montecarlo nel gennaio '79 convocò una riunione straordinaria della 2 per decidere la punizione di Sarcinelli. Rao e Guarino fu oggetto di conversazione quella stessa sera durante una cena. Per quale motivo si sarebbe dovuto esporre nella difesa di un uomo ormai latitante. al contrario. a Sindona non restava che mettere in atto il Grande Ricatto. La sentenza d'appello. e quindi a conoscenza di tutti i contatti tra il suo cliente e l'entourage andreottiano di cui è stato egli stesso intermediario. cui era presente anche Licio Gelli. Sarò costretto mio malgrado a presentare i reali motivi per cui è stato emesso a mio carico un ingiusto mandato di cattura [. raccontò Guzzi. che coinvolgono enti e istituzioni dello Stato.. Paul Rao e Philip Guarino. che assicurò il suo . Racconterà Francesco Pazienza. Anche Gelli era molto interessato al salvataggio del Banchiere di Dio. ci fu un incontro tra Andreotti e due emissari di Sindona. quello giuridico e quello politico. Si trattava del recupero di documenti che gli erano necessari per l'andamento delle cause in corso». Prima la fuga da New York. Joseph Miceli Grimi confermerà: «Lo ha detto lui stesso. Ma anche lui era talvolta costretto a mescolare il Diavolo con l'acqua santa. non si sa se guidate da volontà sua o da quella dei suoi amici mafiosi. Sindona era già in possesso di una lista di cinquecentotrenta clienti. Sindona punta dunque all'avventura siciliana.interessamento alla soluzione della vicenda «attraverso suoi canali traversi». poi si fece trovare in una cabina di Manhattan e ai soccorritori raccontò di essere stato rapito da un'organizzazione marxista-leninista. Don Michele sapeva di essere condannato a morte se non trovava rapidamente una via d'uscita. Don Michele approda a Catania e da lì. Ma le telefonate furono intercettate e Vincenzo Spatola. potreste accorgervi che mi sono incontrato con Giorgio La Pira. Dice ancora Miceli Crimi: «Forse quei documenti li recuperò solo in parte. Sindona mise a punto un terzo obiettivo: completare quel dossier sui "clienti" della sua Banca. era fallita. telefona. questo fa sospettare che accanto ai personaggi di primissimo piano. venne arrestato mentre si accingeva a cambiare un assegno da centomila dollari: il cerchio si stringeva. Don Michele riuscì comunque a tornare a New York via Vienna. senza radersi e senza lavarsi. si chiuse in un albergo per tre giorni. le centinaia di miliardi inghiottiti dal crack della Banca Privata. inconfessabili intrecci. il boss italoamericano. Nel film di quei quaranta giorni lo vediamo muoversi freneticamente: ha numerosi incontri. rivolevano i loro soldi. fratello di Rosario. manda sottili minacce in perfetto linguaggio mafioso ad ambienti politici e finanziari. ce n'erano altri che avrebbero provocato non poco imbarazzo per gli evidenti. Sembra che a procacciargli le "carte" fosse stato proprio il suo amico boss Rosario Spatola. implicati in operazioni di trasferimento all'estero di beni per un valore di novantasette milioni di dollari. infine. per portare a compimento il Grande Ricatto. l'ho visto più tranquillo: mi disse . ammazzavano di qua e di là. si trasferisce a Palermo nella villa di Rosario Spatola. che da tempo stava curando. per salvare lui e tranquillizzare i clienti siciliani. Il Grande Ricatto Fallito ogni tentativo di salvataggio. l'ultima volta che ci siamo salutati. a metà di agosto. scrive lettere. C'era poco da scegliere: i corleonesi erano alle porte. a New York era molto nervoso. L'operazione che doveva condurre in porto una serie multipla di ricatti. Carlo Gnocchi e Madre Teresa di Calcutta un numero di volte assai superiore rispetto a Michele Sindona e Licio Gelli». invece. anche fuori Palermo. poi il passaggio in Grecia. Interrogato. Accuse che da sempre scivolano su Andreotti senza lasciare traccia: «Se facessimo una statistica comparativa. in compagnia della sua amica Longo e di Joseph Miceli Grimi. L'illustre "rapito" da inizio alle operazioni. che avevano utilizzato le sue banche per esportare valuta o per aprire conti riservati. società quotate in borsa hanno depositato falsi bilanci»). Gelli e la p2.]. il segreto bancario («i miei rapitori vogliono sapere se è vero che ho esonerato le banche estere da me controllate dal segreto bancario»).. faceva invece sapere dal suo "carcere" palermitano. nella congerie delle più o meno plausibili congetture formulabili [. speculazioni («operazioni bancarie per danneggiare i piccoli azionisti»).. o almeno una parte. grandi società («devo rivelare operazioni irregolari che ho gestito con costoro»). assicurò in più occasioni: «La lista dei cinquecento non esiste». di essere sul punto di confessare... in una macabra e ricattatoria parodia del Memoriale Moro. La vicenda del bancarottiere siciliano consente ai giudici di affrontare anche il capitolo dei rapporti tra Andreotti. i finanziamenti ai politici («sono state prelevate somme dalle mie banche»). Il Banchiere del Diavolo. operazioni irregolari («per conto di partiti politici e di clienti importanti»). . intervistato.che aveva in mano carte che avrebbero risolto la situazione». tutti personaggi in vista della Finanza e della Politica»). personalmente non appartenesse alla massoneria. attraverso lettere ad amici e parenti.]. non si vede come.] possa tassativamente escludersi l'ipotesi che l'imputato si fosse mosso anche perché indotto da sollecitazioni di ambienti massonici facenti capo a Gelli[. falsi in bilancio («per ottenere finanziamenti dalle mie banche. È interessante la lettura che del capitolo Sindona da l'ultima sentenza di Palermo... con i più disparati ambienti. fingendo di essere messo sotto torchio da ignoti terroristi. e non si vede come possa costituire una valida controindicazione il fatto che Andreotti. i fondi neri della DC («vogliono che io indichi i nomi delle società estere controllate dalla DC»). forniva alla famiglia un decalogo di notizie che i suoi "rapitori" volevano a tutti i costi sapere: la lista dei cinquecento («Ne bastano dieci. Certi erano i collegamenti del Gelli con Sindona e presumibili anche quelli del Gelli con Andreotti. che viene così riassunta: Il caso Sindona consente di individuare una cera sintonia tra gli interventi di Andreotti e gli interessi della P2 che si sono manifestati attorno al salvataggio del banchiere [. Era questo il Grande Ricatto. i fondi PSI e PSDI.. non certo alieno dall'allacciare relazioni fin troppo disinvolte. E. fuga che si concluderà con un mandato di cattura internazionale per associazione a delinquere. Il Banchiere di Dio.] ma non è tale da ipotizzare una subalternità di Andreotti alla volontà di Lido Gelli e al desiderio da parte dei boss Bontate e Inzerillo di rientrare delle consistenti perdite economiche che le famiglie mafiose avevano subito con il crack [.. tanto che gli stessi PM ammettono che nella vicenda si era verificata una libera e volontaria sinergia tra gli interventi di Andreotti e quelli di vari esponenti della massoneria: alla stregua di ciò. dirà Giovanni Falcone al termine della sua indagine sulla fuga in Sicilia del bancarottiere. per tutta la durata del processo. rispose: «Lei vuol forse parlare di scoperture politiche. diceva che era molto dispiaciuto. Don Michele agli agenti di custodia sembrò strano. Quando gli portarono il caffè andò a prenderlo in bagno. Dopo due minuti uscì gridando: «Mi hanno avvelenato!». portando con sé anche il maresciallo Silvio Novembre. abbia sottoposto Sindona a una sorta di roulette russa. non di coperture. che stabilì rapporti di familiarità con gli agenti dell'FBi. e per giunta all'ergastolo. abbiamo saputo di un intervento diretto. Nel carcere di Vogherà. non lo faceva mai. Nell'immagine televisiva appariva teso. distrutto. non c'era traccia di cianuro (come non ce n'era nel thermos che conteneva il caffè). In realtà gli americani temevano di non vederlo più tornare e prima di concederla cercarono di chiudere il processo sul crack della Franklin Bank. L'ultima intervista a Sindona lo mostra dietro le sbarre: aveva appena letto un memoriale al processo per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli. Nelle tre bustine di zucchero (delle cinque di cui disponeva Sindona) ritrovate ancora chiuse dopo l'avvelenamento. come quando aggiunse: «Se io avessi avuto coperture politiche sarei a circolare per le vie di Roma liberamente. fece una di quelle smorfie che assomigliano più a un ghigno che a un sorriso: «Non verrò condannato».solito caffè al cianuro La storia dell'estradizione di Sindona è lunga cinque anni: fu chiesta il 24 febbraio f 975. le misure di sicurezza erano state al massimo: il cibo veniva prelevato in cucina dal pentolone comune e sigillato. il 20 marzo 1986. Morirà qualche giorno dopo stroncato da un grammo di cianuro di sodio. del console generale d'Italia a New York». rispose semplicemente. il 18 marzo 1986. moderatore. Io non ho mai avuto nessuna copertura politica e questo lavorando in Italia è stato un grave errore». in un'intervista televisiva a Jas Gawronsky che cercava di sapere quali fossero le sue coperture politiche. Per giunta era un . Uno di questi gli disse: «Ma voi lo volete o non lo volete Sindona? Non pare che il governo italiano abbia le vostre opinioni. ma si dichiarava innocente. Così il thermos del caffè. che non era riuscito a salvarlo. venne concessa il 25 marzo 1980. e durante il processo. qualcuno gli ha fornito la dose ed è stato lui a scioglierla nel caffè. Invece Sindona fu condannato. Eppure Don Michele aveva da anni il dente avvelenato con Andreotti. «Cosa farà se sarà condannato?». Lui si voltò di scatto. agitato. come fanno i petrolieri e i cementieri». le labbra si sollevavano in uno strano tic nervoso conferendogli un'espressione terribile. Dobbiamo immaginare che l'ignoto assassino. Quello che è accaduto nelle quarantott'ore successive resterà forse per sempre sepolto con lui. Se invece è stato suicidio. Quella mattina. consulente di Giorgio Ambrosoli. I giudici italiani nel 78 andarono a New York. dall'incerto successo? Improbabile. gli chiese il giornalista. inserendo il veleno in una sola bustina. Con una tazzina di caffè. A parte queste tracce. Quando Sindona fuggì da New York a Palermo. come abbiamo visto. un appunto molto interessante che collega la frenetica attività del giornalista nelle ultime settimane di vita anche alle vicende del crack Sindona. visto che l'informatore gli dice di escludere l'amico di Arezzo. spontaneamente. Ma qualcuno ha sbagliato la dose del veleno. Dal tono concitato trapela il pericolo che comportava il passaggio di mano del documento. Del resto era un detenuto "estradato in prestito". Don Michele lo meditava da anni. o l'ha voluta sbagliare.. anche con l'amico di Arezzo: una partecipazione a esaltare la nota persona indebolisce la posizione nell'eventuale discussione e crea notevoli e inutili difficoltà. Poco prima di essere ucciso Mino scriveva su «OP»: Esistono le prove documentali che il presidente del Consiglio ha percepito un miliardo da Michele Sindona. non era un'idea maturata in una notte di mezza estate. Anche a New York aveva tentato il suicidio due volte per ottenere il trasferimento. 11 riferimento ai cinquecento non può che essere alla lista dei cinquecento.. naturalmente anonimo. che diceva: Telefoni controllati. ma l'Anonimo sostiene che è in attesa di un seguito. Escludere con tutti. come è sempre stata definita. che ha bevuto fino in fondo: come ha fatto a non accorgersi del sapore acre e amarognolo? Si è voluto uccidere fingendo di essere stato ucciso perché la sua uscita di scena fosse ancor più sensazionale? Potrebbe essersi avvelenato. Per uno di quei colpi di fortuna che questo mestiere talvolta riserva. quindi una parte dei documenti è già nelle mani di Mino. Tra i foglietti recuperati sulla scrivania di Mino c'era questo breve messaggio battuto a macchina. quel foglietto fotocopiato nel Tomo XVII è un rebus. La persona che scrive potrebbe essere un emissario di Sindona o qualcuno che ha comunque interesse a far avere a Pecorelli quest'ultimo pericolosissimo malloppo. I telefoni sono controllati. Non dovrebbe trattarsi di Gelli. L'unica cosa certa è che è morto "suicidato". arriverà il seguito per i 500. «Riservatissimo. e ormai catalogate tra gli atti della Commissione IJ2. E forse ora voleva tornare proprio a New York.caffè lungo. qualcuno ha captato il contatto? Chissà. Che un altro miliardo è stato pagato a un ex segretario . non si sa. ho scovato nel Tomo XVII contenente gli allegati alla Relazione. quando nel '93 tornai a San Macuto per rileggermi tutte le carte contenute negli scatoloni di Sica. gli americani avevano posto condizioni sulla sua sicurezza. proprio come Pisciotta. Per qualche novità in cassetta e non di sera: è da ritenersi da non escludere di essere seguiti in tutti i movimenti. ma non per questo è certo che volesse davvero morire: è l'ultima ipotesi in ordine di tempo. Nessuna urgenza per un eventuale seguito all'incontro di ieri sera. Ma il Grande Ricatto. però. Silenzio totale per un paio di settimane. Pecorelli era già morto da cinque mesi. il lungotevere alle spalle di piazza del Popolo . il presunto killer. Aricò estrasse la pistola e lo uccise. il misterioso sicario che affrontò Ambrosoli quella sera di luglio del 1979. Del primo omicidio sappiamo com'è andata: Sindona è stato condannato all'ergastolo ed è poi morto con una tazza di caffè al cianuro nel carcere di Vogherà. Sul luogo dell'agguato. il collaboratore di «OP» mi confermò: «Di sicuro Pecorelli attendeva con ansia documenti importanti che avrebbero costituito uno scoop sulla vicenda del crack di Sindona». il comandante del Nucleo Traduzioni di piazzale Clodio. l'altro a Roma. il 12 luglio 1979. che difese il partito dall'accusa di finanziamento illecito sostenendo che i due miliardi di Sindona erano un'elargizione in vista del referendum sul divorzio. Era stata una telefonata anonima a riportare a galla questo nome. il 13 luglio. furono ammazzati a meno di ventiquattro ore di distanza l'uno dall'altro: il primo a Milano. amico intimo di Pecorelli. «Sono io».. Sì. in quel vortice di segnali che seguirono l'apertura dell'indagine a carico di Andreotti. ma tiene a precisare: «Noi ci occupavamo da anni di Sindona con un'impostazione innocentista: posso immaginare che il materiale atteso servisse a scagionare il banchiere. anche Aricò. Piazza delle Cinque Lune Giorgio Ambrosoli.. Nel '93.politico di un partito. è morto precipitando dal nono piano. dagli USA arrivò anche questo: «A uccidere il giornalista italiano fu Joseph Aricò. Non è escluso che puntasse a un colpo "doppio" per la sua rivistina: se Sindona e Moro dicevano la stessa cosa. Del secondo omicidio non si sa granché: l'attentato fu rivendicato dalle Brigate Rosse. contenuto nel Memoriale. il dottor Ambrosoli?». e Antonio Varisco. imputando le responsabilità ai suoi ex alleati». Il segretario politico potrebbe essere Amintore Fanfani. il killer condannato per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli». Paolo Patrizi. Scusi dottor Ambrosoli. Fatto sta che nell'estate '93. l'inchiesta di Perugia conferma che al momento della morte era entrato in possesso anche del Memoriale. sotto il portone della sua casa a Milano. ma aveva modalità strane. sono soltanto il killer! Un killer che tre mesi dopo cercò di evadere scavalcando la finestra di un carcere americano superblindato. proprio lui. gli si avvicinò impugnando la pistola che aveva in tasca e gli chiese: «Mi scusi. I finanziamenti di cui parla Mino sono gli stessi oggetto di un altro pesante attacco di Moro nei confronti di Andreotti. Su cosa si basa Mino: sul Memoriale o sulle carte che Sindona gli ha fatto avere? Il misterioso appunto del Tomo XVII ci fa capire che Pecorelli ha in mano carte di Sindona. Da chi avrebbe dovuto ricevere il materiale Patrizi non lo sa. io non c'entro niente. il liquidatore che si oppose a tutti i piani di salvataggio di Sindona. La finestra era al nono piano. Che ben quindici miliardi sono finiti nelle casse di un partito (lo stesso del presidente del Consiglio e dell'ex segretario politico). pochi giorni prima. ma che in realtà potevano avere un comune denominatore: il Grande Ricatto. fu molto evasivo sulle modalità dell'attentato. il falsario. scritto a mano. era Toni Chichiarelli. che pure era il capo della colonna romana. che si occupava della destra eversiva. C'era poi. Ma non è tutto. Tre delitti catalogati in modo diverso. sulla falsariga delle schede recuperate nel covo di via Montenevoso dove i brigatisti appuntavano informazioni su possibili obiettivi. convinto per primo che avesse tutt'altra matrice. furono lanciate bombe fumogene di tipo Energa che servirono a coprire la fuga dei killer. a fabbricare il falso comunicato BR sul Lago della Duchessa ed era stato ancora lui a fabbricare le cinque schede ritrovate nel borsello. fu assassinato a Palermo il capo della Mobile Boris Giuliano. fu il capitano della digos Antonio Straullo. l'anonimo estensore aveva aggiunto: «Sereno Freato!». In piazza delle Cinque Lune c'era l'ufficio del colonnello Varisco. in . Questo sibillino passaggio confermerebbe il fatto che la copia del Memoriale avuta da Pecorelli non era integrale. 168. in grado di duplicare un De Chirico nel giro di poche ore. Chichiarelli era un personaggio a mezzo guado tra la mala romana e i servizi segreti: fu lui. firmò tutti i rapporti investigativi su uno strano borsello trovato su un taxi e consegnato al maggiore Antonio Cornacchia (p2) del reparto investigativo dei Carabinieri. Più sotto in basso. un altro messaggio oscuro: «Martedì 6 marzo 1979. sprovvisto dei paragrafi 162. da parte dei servizi segreti e della Banda della Magliana. agire necessariamente non oltre il 24 marzo. ed è forse il più esplicito tentativo di ricatto. Prima di essere a sua volta ammazzato. 174. Non c'è bisogno di ricordare che questo stretto collaboratore di Aldo Moro. Una di queste schede riguardava il giornalista ucciso appena tre settimane prima: «Pecorelli Mino (da eliminare). Quel pomeriggio del 6 marzo. causa intrattenimento prolungato presso l'alto ufficiale dei Carabinieri piazza delle Cinque Lune. sarebbe problematico concedergli tempo. La scheda concludeva così: «Martedì 20 ore ventuno e quaranta giunta notizia operazione conclusa positivamente: recuperato materiale purtroppo non completamente. 177». Pittore di notevole abilità. nell'aula del Parlamento aveva lanciato quell'oscuro messaggio: «Indagate sull'omicidio Pecorelli e troverete i mandanti del delitto Moro». come vedremo. sui misteri che collegano il caso Moro all'omicidio Pecorelli. A indagare sull'omicidio Varisco. l'operazione è stata rinviata». Il brigatista Antonio Savasta. L'uomo che aveva "dimenticato" il borsello sul taxi. il 21 luglio. non bisogna rivendicare l'azione anzi occorre depistare». oltre all'indirizzo di via Tacito e al numero di targa della macchina. Una settimana dopo.dove ora svetta una bella stele in memoria del colonnello. come si scoprì in seguito alla sua morte (non naturale). Il borsello fu "fatto trovare" il 13 aprile 1979. il generale e il giornalista si rivedevano per la prima volta dopo il viaggio a Cuneo. pochi mesi prima Bisaglia era misteriosamente caduto da una barca. tra la fine di gennaio e i primi di febbraio. aveva mandato a Dalla Chiesa il plico imballato trovato nel "fossetto" del carcere di Cuneo. Ambrosoli stava ricostruendo i giri di denaro delle banche sindoniane. apparentemente legata a persone che in qualche modo potevano conoscere i segreti legati all'uccisione di Pecorelli. il 21 ottobre 1981. resa ancora più oscura da quella. Il 21 luglio morì a Palermo Boris Giuliano. Dopo la morte di Mino. Dalla Chiesa? Vediamo: secondo la ricostruzione fatta dal maresciallo Incandela all'incirca un mese prima. mentre il commissario stava indagando sul percorso di certi denari mafiosi: «Tutti e due si sono trovati di fronte al problema del riciclaggio di "denaro sporco" e ai circuiti finanziari nazionali e internazionali di carattere occulto». Forse in quell'occasione fu preso soltanto un accordo. L'uccisione del colonnello Varisco apre una misteriosa catena di sangue. il colonnello si era dimesso dall'Arma e nel momento in cui fu ucciso stava per andare a lavorare alla Farmitalia con Ugo Niutta. amico del deputato DC Toni Bisaglia a sua volta amico di Pecorelli. che contenevano segreti militari sullo Stay Behind. l'uomo del borsello. 177» di cui parla il falsario della Magliana? Paragrafi. Ma la catena di sangue è ancora più lunga. 168. Una morte strana. 174. grand commis di Stato. Un mese prima si era incontrato con Ambrosoli: lo rivelò Giuseppe Melzi. nei . È stato in quel momento che è avvenuto il passaggio di carte «sprovviste dei paragrafi 162. fu inghiottito dalle acque di un fiume. Cosa sia accaduto. legale dei piccoli azionisti delle banche di Sindona. è davvero un mistero che nessuno dei protagonisti potrà più raccontare. Nell'84 morì in un agguato anche Toni Chichiarelli. ex collaboratore di Enrico Mattei. questa l'ipotesi. Nell'84 Niutta si uccise a Londra. scrive Massimo Teodori in P2: la controstoria. Questa del borsello è una brutta storia di morti ammazzati e di sporchi ricatti. l'organizzazione di Giusva Fioravanti. Fu allora che Franca Mangiavacca si disse convinta che era stato lui a pedinare Mino. Prima di morire confidò a un amico che «ne sapeva abbastanza da far saltare il Palazzo». Lo scenario si sposta al 1984. Il capitano Straullo fu ucciso dai NAR. Che contenesse un centinaio di pagine del Memoriale Moro era implicito. un anno particolarissimo. perché questa era stata l'indicazione data da Pecorelli. minacciate grandi rivelazioni. avvenuta anni dopo. per questo motivo Pecorelli non fu ucciso la sera del 6 marzo e l'omicidio fu rinviato. Pecorelli incontrò anche un pezzo grosso dei Carabinieri.quella sede riservata. quello che termina con Cosa Nostra all'attacco e con la strage sul treno del 23 dicembre. Nell'incontro in Piazza delle Cinque Lune. che Dalla Chiesa non avrebbe consegnato al giornalista. tuttavia. del fratello sacerdote che. pressi della redazione di «OP». mettendo a rischio un'operazione al cui buon esito erano per motivi diversi interessate le grandi potenze.da sempre suo antagonista nel partito. soprattutto da quando il governo presieduto proprio da Andreotti si era schierato per la "linea della fermezza". Del resto Moro era un sostenitore della linea umanitaria che lui stesso aveva adottato con successo quando. qualche giorno prima del delitto. non si limitò a fornire risposte difensive. L'unica moneta di scambio era la piena collaborazione con le BR. fino a rivelare segreti di Stato e militari. Parte seconda Il delitto Moro Via Fani Nella primavera del 78. Contro ogni previsione Moro. scandito dai lugubri comunicati dei terroristi. Aldo Moro sospettava di essere stato abbandonato dalla DC e che alla liberazione si opponesse soprattutto Andreotti. chiudendo ogni possibilità di dialogo con chi lo aveva in pugno: essendo stata esclusa la possibilità di una "trattativa" fondata sullo scambio di prigionieri. il "compromesso storico". nei quali si rendevano pubblici i risultati dell'interrogatorio cui il prigioniero veniva sottoposto in un ignoto Carcere del Popolo. non gli restava che contrattare la sua salvezza personale scendendo a patti con le BR. ma collaborò pienamente con le BR. Un periodo terribile per l'Italia. dal 16 marzo al 9 maggio. il presidente della DC Aldo Moro rimase in ostaggio delle Brigate Rosse. presidente del Consiglio. nonostante l'indiscussa capacità dialettica che gli consentiva di avere facile ragione sui brigatisti. le Brigate Rosse. Questo lo stato d'animo del Prigioniero. Nel suo eremo sconosciuto. Un progetto che andava fermato in nome degli equilibri mondiali. Ma nessuno aveva messo in conto che Moro avrebbe parlato. Ma le sue rivelazioni erano . per cinquantacinque lunghissimi giorni. aveva patteggiato la liberazione di un gruppo di feddayn in cambio della salvaguardia del territorio italiano da altri attentati sanguinari. tra cui l'esistenza della misteriosa e potentissima Gladio. dando soddisfazione anche alle domande più stringenti sui retroscena di scandali e stragi. La mirabolante scenografia del sequestro tendeva ad accreditare agli occhi dell'opinione pubblica la crescita politico-militare di un'invincibile organizzazione terrorista. in grado di tenere in scacco il paese in nome di ideali comunisti. Nel momento in cui lo rapirono. Moro stava per coronare la sua formula politica. con il varo del primo governo di unità nazionale che avrebbe dovuto insediarsi due ore dopo la strage di via Fani. cui si opponeva l'inefficienza e la scarsa preparazione degli apparati di sicurezza dello Stato. Era soddisfatto. come ogni mattina. ugualmente impegnati per motivi diversi nella caccia al Memoriale e a quei documenti "riservatissimi" che la famiglia Moro. nella chiesa di Santa Chiara. all'interno del bagagliaio di una Renault 4 rossa. inconsapevole commiato. grazie al maresciallo Incandela. Il maresciallo Leonardi gli si avvicina. Era un giorno importante. Nella Chiesa affollata. secondo i giudici. il 16 marzo: il presidente della DC era atteso a Montecitorio per il dibattito sulla fiducia della nuova maggioranza. Nella motivazione della sentenza di Perugia. È questo il vero "movente" dell'assassinio Pecorelli. in via di Forte Trionfale. in via Caetani. l'accordo tra comunisti e cattolici cui aveva tanto lavorato. dopo la benedizione qualcuno lo vede alzarsi. dei covi e delle prigioni. Mossad e KGB. i giudici affermano che Andreotti era personalmente interessato a evitare la divulgazione di quelle carte per le pesanti accuse che Moro gli aveva rivolto e che avrebbero distrutto la sua carriera politica. sequestro e l'eccidio Il 16 marzo 1978 Aldo Moro si era alzato presto. fa un gesto di saluto con la mano. All'esterno sul sagrato ad attenderlo c'è la folla che. dei comunicati e dei verbali. Ma i venticinque . il presidente della DC: la sua linea alla fine era prevalsa. era realtà. dei garage e delle tipografie. secondo una credibile ipotesi.destinate a scatenare una guerra di intelligence senza esclusione di colpi tra CIA. Dopo l'omicidio del giornalista sarebbe finito in mani ignote. dei brigatisti. Delitti compiuti dalla mafia in nome di interessi politici. di quel documento esplosivo che il direttore di «OP» si accingeva a pubblicare la sera in cui è stato ucciso: anche se non si è riuscito a scoprire quali parti o quale versione del Memoriale fosse arrivata nelle sue mani. Prima delle otto era già a messa. afferma la sentenza: lo dimostra il fatto che anche Dalla Chiesa tre anni dopo sarà ucciso. combattuto e sofferto. il Presidente lo segue. Qualcuno apre la portiera dell'auto e lui sale. avrebbe fatto recapitare alle BR forse attraverso un prete amico. come sempre. E l'ultima volta che lo statista viene visto vivo: il suo corpo martoriato'ricomparirà cinquantacinque giorni dopo. sussurrare poche parole all'orecchio della moglie: l'ultimo. perché qualcuno proprio alla stessa ora del delitto si era presentato in tipografia e aveva prelevato l'incartamento ancora sigillato. del Quarto Uomo e del Grande Vecchio. poi si gira verso l'uscita. L'intreccio Pecorelli-Dalla Chiesa rivelato da Buscetta. per vincere anche le resistenze interne al partito. delle bobine scomparse. Il primo compromesso era stato coinvolgere Giulio nell'operazione. delle vie di fuga. gli si stringe attorno con affetto e deferenza. Nel giro di poche ore sarebbe stato varato il governo Andreotti e per la prima volta il partito comunista si sarebbe astenuto dal voto contrario. ha trovato pieno riscontro nelle indagini che forniscono la prova che il generale e il giornalista erano effettivamente entrati in possesso. Dei misteri legati alla prigionia del presidente DC si è molto scritto e congetturato: dell'agguato. infine dodici secondo i brigatisti. . centrando come birilli tutti e cinque gli uomini di scorta? «Uno che spara in quel modo è un tiratore scelto di altissimo livello. in Europa si contano sulle dita di una mano». sarebbero stati terroristi che si erano addestrati "nel cortile di casa". Secondo questa teoria. se non avesse avuto assoluta garanzia delle persone cui affidava il Presidente. per eliminare testimoni scomodi. Neppure è comprensibile come Moro sia potuto uscire indenne dal fuoco incrociato dei brigatisti. com'era nei piani. almeno ufficialmente. Moro non sarebbe stato prelevato in via Fani. inconfutabile. che molti ritengono paragonabile soltanto all'assassinio di John Eitzgerald Kennedy. dicono che per motivi di sicurezza sarebbe meglio che il Presidente raggiungesse la Camera in modo anonimo. Fine della fiction che anni fa ha avuto il pregio di insinuare il dubbio sulla ricostruzione giudiziaria. non meno di quattordici secondo i periti. con cui un misterioso tiratore. per non dare nell'occhio.anni trascorsi dal più grave attentato della storia della Repubblica. accompagnato da un secondo ordine: quello che la scorta passasse in via Fani. se si pensa che circa alle nove e dieci di quel 16 marzo 1978 a sparare. Il primo dei misteri ha come cornice proprio la chiesa di Santa Chiara. Gli uomini di scorta lo avrebbero raggiunto passando per via Fani. poi undici. che era soltanto uno dei tre percorsi alternativi abitualmente scelti. E come ha fatto a non essere colpito da neppure uno dei quarantanove proiettili della mitraglietta Scorpion. Dunque. ha commentato l'ex capo di Gladio. doveva trattarsi di un ordine superiore. secondo questo sibillino suggeritore. il generale Gerardo Serravalle. avrebbe sparato. mai finora individuato. Noi sappiamo che quella mattina Moro è salito sul sedile posteriore dell'auto di scorta guidata dal maresciallo Leonardi.non sono stati ancora sufficienti a capire chi lo ha ucciso e neppure a ricostruire credibilmente in che modo siano andati i fatti. comunicano al maresciallo Leonardi che c'è stato un allarme. che sceglieva personalmente di volta in volta i tragitti. Com'è potuto sopravvivere Moro alle pallottole sparate a destra dai terroristi in divisa da aviatore e a sinistra dai due misteriosi killer giunti a bordo di una moto? Non è ancora certo neppure il numero di quanti abbiano sparato: nove. c'erano dunque killer professionisti. comunicandoli ai colleghi soltanto all'ultimo minuto. dove sarebbe stata sterminata. che lo attendevano dietro le piante del bar all'angolo tra via Fani e via Stresa. dunque.Dietro quella che fu definita "la geometrica potenza" dispiegata in via Fani dalle Brigate Rosse. Il fatto che Moro sia potuto uscire incolume da quel volume di fuoco è talmente incomprensibile che a un certo punto è circolata la seguente fantastoria:un paio di agenti in borghese si presentano alla chiesa di Santa Chiara. Obiezione: Leonardi. ma non sappiamo perché quell'auto si sia diretta in via Fani. non avrebbe mai rinunciato alla protezione di Moro. L'unica spiegazione è quella data dalla vedova Leonardi: «Hanno visto qualcuno che conoscevano. avrebbe saputo che i suoi agenti erano tutti morti. di appunti scritti di suo pugno nel covo delle BR non ci sia neppure una parola di pietà nei confronti di chi aveva sacrificato la vita per difenderlo e del maresciallo . dice Cazora al suo interlocutore. o forse più di uno. avrebbe assistito al massacro. Ma il rullino nelle ore successive scomparve a causa del caos di quelle ore: così almeno è stato detto. parcheggiandosi proprio all'incrocio tra via Fani e via Stresa. naturalmente. in cui si ripropongono i misteri del caso Moro. Altra domanda: perché i brigatisti indossavano divise da aviere. Possibile che nelle centinaia di pagine. risulta che in realtà queste foto. per questo non è scattato l'allarme». e non si spiega perciò l'assoluta assenza di reazione nel lasso di quei venti-trenta secondi passati da quando il superkiller dei quarantanove colpi è sceso dalla 126 a quando ha cominciato a sparare. Dunque situazione paradossale . nel momento in cui l'incrocio tra via Fani e via Stresa veniva bloccato dalla 126 alla cui guida c'era Mario Moretti. di lettere.Piazza delle Cinque Lune. come vedremo. in effetti c'era. Generali e boss sul luogo della strage La prova di chi si trovasse quella mattina in via Fani in realtà c'era. sparasse contro di loro. che avrebbero potuto renderli più facilmente riconoscibili al momento della fuga? Forse per essere identificati ed evitare che qualcuno. la 132 dove si trovava Moro sarebbe stata violentemente tamponata dalla 128. L'attentato era stato dunque curato nei minimi dettagli.fatta sulla base delle affermazioni assai lacunose di alcuni brigatisti come Valerio Morucci e Mario Moretti. grazie alle foto scattate da un tecnico con l'hobby della fotografia.gli uomini della scorta di Moro conoscevano i killer e i brigatisti no. Una delle più recenti novità investigative riguarda le auto: secondo i brigatisti presenti sul luogo della strage. qualcuno le aveva viste: «Sembra che sia riconoscibile uno di laggiù». sottratte al processo. che non avevano mai visto. Eppure. dove si trovavano gli altri tre agenti di scorta. Qualcuno sapeva con certezza già la sera prima quale sarebbe stato il percorso e in una strada periferica aveva tagliato le gomme del furgone che ogni mattina si recava in via Fani per consegnare le piante al fioraio. Uno degli scoop del film di Renzo Martinelli. Cosa significa questo? Che gli agenti non erano frastornati dall'incidente. uno della 'ndrangheta. che era riuscito a riprendere l'intera scena dall'alto e aveva consegnato il rullino al PM Infelisi. consiste in un buon numero di foto d'epoca scattate quella mattina in via Fani. Un calabrese. dall'intercettazione di una telefonata tra l'onorevole Benito Cazora e un suo amico calabrese. dalle quali si evince che non c'è stato alcun tamponamento: le due auto erano distanti l'una dall'altra almeno settanta centimetri ed erano integre. Ad avvalorare la fantastoria che abbiamo prima raccontato c'era un particolare: se Moro fosse stato in via Fani. anche se poi. questo fatto è stato smentito. Ultimo mistero: il furgoncino con le ruote tagliate. Nel film caso Moro del regista Giovanni Ferrara. avvicinatosi a una delle auto di scorta. Francesco. il pentito che ha poi accusato Andreotti del "bacio" con Totò Riina. un informatore mi ha detto che succederà qualcosa di grosso. ma invece di smentire rimbalzò l'accusa: «C'è senz'altro un errore. In quell'occasione. Un generale. Il suo prestigio s'inceppò nella poco nobile vicenda di quel miliardo incassato dai familiari dell'imprenditore rapito Giuseppe Soffiantini. la cui carriera si è protratta tra luci e ombre per circa trent'anni: nel '92 assurgerà agli onori delle cronache per aver arrestato Balduccio Di Maggio. ma su richiesta del generale dei Carabinieri Francesco Delfino. forse rapiscono Moro"». cui era legato da un grande affetto? Chi lo conosceva lo ritiene impensabile. Tenete a mente questo nome. appartenente all'ordine dei Templari. Cazora sarebbe il boss della 'ndrangheta Antonio Nirta. si presentò spontaneamente alla Commissione Stragi e tra altre cose interessanti parlò di Guglielmi: «Il colonnello quella mattina si catapultò in via Fani dopo aver ricevuto una telefonata di Musumeci: "Vai subito lì. Molti anni dopo. Tra i tanti che quella mattina si trovarono a passare per caso in via Fani c'era anche il colonnello Camillo Guglielmi. uno stretto collaboratore del generale Pietro Musumeci. aveva saputo di quanto stava per accadere da tal Francesco. un brigatista pentito. anzi del Supersismi. messo di fronte all'accusa di Morabito. non ero io quello che aveva infiltrati nelle Brigate Rosse». secondo altri riparato all'estero per evitare l'interrogatorio in aula) avrebbe confidato a Ravasio di essere arrivato a cose fatte e di essere rimasto sconvolto: «Ero lì. e non ho potuto fare niente». un pentito calabrese. in particolare. Guglielmi (secondo alcuni. per intavolare una trattativa con i banditi sardi. c'erano tutti quei corpi a terra. Il personaggio che aveva allertato la preoccupazione dell'on. . avremo modo di tornare a parlarne. Il generale Musumeci. Non sappiamo come siano andate in realtà le cose. avrebbe aperto il portabagagli e prelevato a colpo sicuro un paio di borse dello statista.Leonardi. morto anni fa di crepacuore per i sospetti suscitati dalla sua presenza in via Fani. Quella mattina in via Fani. sempre secondo Ravasio. Ma qualche anno dopo un ex para. Delfino andò su tutte le furie. se non che per molto tempo il colonnello si giustificò asserendo che si trovava in via Fani perché lo aveva invitato a pranzo un collega che abitava in via Stresa. famoso e sui generis. Erano le nove del mattino: diciamo che si era mosso per tempo. a Guglielmi viene attribuito il ruolo dell'ufficiale che. Pierluigi Ravasio. raccontò che Nirta non si trovava lì per conto delle Brigate Rosse. oltre alle Brigate Rosse. Saverio Morabito. eppure così è stato. in verità c'era anche un sacco di gente che non avrebbe dovuto esserci. numero due del SISMI. aveva previsto che le BR avrebbero presto subito un'evoluzione. I testimoni credettero di ravvisarlo nelle sembianze di uno spazzino che un paio di giorni prima avevano visto all'angolo di via Stresa in un orario insolito. la stessa cosca del malavitoso brigatista. in uno dei suoi ultimi scritti. anche lui legato alla 'ndrangheta. aveva trascorso un certo periodo nella Legione straniera. E in effetti De Vuono. Per una di quelle misteriose e circolari coincidenze. nei TG delle venti. un brigatista sposato con una francese: Franc. versò all'Hyperion. Giustino De Vuono fu in seguito indagato per un contributo di venti milioni che il parente di un rapito della 'ndrangheta. Qualcuno sostiene ancora che si trattasse di un'agenzia della CIA. Forse l'assegno doveva sostenere la sua latitanza all'estero dove. Un'evasione sospetta. La Tuscher era comunque nipote dell'Abbé Pierre. una scuola il cui nome ricorrerà spesso nelle indagini sulle BR. rimasta in funzione meno di quattro mesi. Del resto in un'informativa del 75. ricorrenti nelle inchieste sul terrorismo rosso. il capo dell'ufficio D del SID. nomi e foto di sedici terroristi super-ricercati. Secondo una delle veline allegate dalla Procura di Brescia alla relazione sul Noto Servizio era presente in via Fani anche una persona legata alla struttura meridionale dell'Anello. forse durante un sopralluogo degli attentatori prima dell'agguato.A quanto sembra Nirta non era l'unico boss presente sul posto. oise Tuscher. entrando in contatto con personaggi di livello superiore. il generale GianadelioMaletti. prima di politicizzarsi in carcere (dove si avvicinò alle br). che certamente godeva di ottime relazioni internazionali. per la "polivalenza del personaggio". dell'intenzione di riaffrontare uno dei nodi più oscuri. anche se ciò avrebbe comportato un mutamento della loro matrice politica. Proprio nel 2003. L'Hyperion. molto amico dell'ex presidente francese Giscard d'Estaing. ex militante del Collettivo Politico di Milano. della vicenda Moro. anche lui calabrese. un eminente religioso candidato al Nobel nell'89. Qualcuno legato alla 'ndrangheta? Il nome di De Vuono comparve sul tabellone con cui quella sera. lo definisce il "legionario De". a meno di dodici ore dall'attentato. fu aperta a Milano. l'ormai famoso "Vergogna buffoni". secondo il SISMI. Pecorelli. dopo venticinque anni. il Legionario sarebbe riparato dopo essere evaso dal carcere. Ci sono testimoni che riconobbero dalle foto segnaletiche Giustino De Vuono. un'altra succursale. quando a "cose fatte" chiuse i battenti. Tra questi c'era anche Innocente Salvoni. da marzo a giugno 78. aveva aperto a Roma una succursale in via Nicotera. la Procura di Roma ha riaperto l'inchiesta sulla presenza di Salvoni in via Fani: è il primo segnale. Magistrati e commissioni d'inchiesta parlamentari ritennero che dietro questa scuola si celasse una centrale di controspionaggio in ottime relazioni con l'Eliseo. ambienti internazionali. avvenuta pochi giorni prima della . nello stesso periodo. furono diramati. che a Parigi lavorava come direttrice dell'Hyperion. c'era la mente investigativa di Dalla Chiesa (di cui il colonnello era uno stretto collaboratore). Ma dietro Varisco. per bocca del direttore dell'emittente radiofonica legata all'estrema sinistra.strage di via Fani. Mario Moretti. E sarà proprio una Renault 4 rossa la macchina ritrovata il 9 maggio in via Caetani con il corpo di Aldo Moro nel bagagliaio. anche se il generale era relegato in quei mesi alla Securpena (il servizio di sicurezza delle carceri) ed escluso con i suoi duecento uomini dall'inchiesta su via Fani. Tra i sedici segnalati. E loro mi dissero che lo avevano rapito le Brigate Rosse. semplici coincidenze. che ormai conosciamo. Ma Dalla Chiesa scalpitava nell'ombra e con buoni risultati. Lauro Azzolini. Radio Città Futura. potesse accadere a Roma qualcosa di terribile. attorno alle otto. già in queste prime ore. Valerio Morucci. a giudicare dalle importanti indicazioni che il suo staff era stato in grado di fornire a meno di ventiquattro ore dalla strage. eravamo in dodici». avvistata in circostanze sospette nella zona di Monte Mario. Ma il vero commando non poteva essere composto da così pochi terroristi: le persone presenti in via Fani dovevano essere almeno una ventina e molte di più quelle coinvolte nelle varie fasi dell'operazione. ma più volte interrogato negli anni a venire diede informazioni molto vaghe sull'origine della notizia: disse che la voce circolava negli ambienti dell'autonomia operaia e che la radio l'aveva raccolta. Ma a lungo si sospettò che fosse proprio lui il superkiller con il giubbetto azzurro di cui parlava Pecorelli nel suo articolo. Mancava meno di un'ora alla strage che avrebbe cambiato la storia d'Italia. un agguato di gran lunga meno impegnativo. L'informativa dei servizi salvò De Vuono dall'accusa di partecipazione alla strage. Noretta Chiavarelli. Ma c'è un'altra fantastica storia. Non sappiamo cosa disse loro. Coincidenze. con Craxi e De Michelis. mi confidò Alberto Franceschini. Io chiesi: come fate a saperlo? Risposero che . che lo avevano convocato per saperne di più. E la moglie di Moro. Sette degli undici brigatisti. Nel pomeriggio il figlio del famoso regista s'incontrò in via del Corso. Prospero Gallinari. Nelle ore immediatamente successive alla strage il colonnello segnalò anche una misteriosa Renault 4 rossa. Renzo Rossellini. oltre a De Vuono. 11 tabellone sui superlatitanti fu compilato anche grazie al contributo del comandante del Nucleo Traduzioni del Tribunale di Roma. che quella mattina erano sul luogo della strage. Franco Bonisoli. nella sede del PSI.lanciò l'ipotesi che in concomitanza con il varo del governo DC-PCI. quando Rossellini annunciò: «Potrebbero addirittura rapire o uccidere Aldo Moro». «Quando rapimmo il giudice Sossi. Antonio Varisco. Nel corso del primo notiziario della mattina. raccontò in aula durante il primo processo: Quando arrivai in via Fani chiesi cosa fosse successo. questo per ora il numero ufficiale. c'erano anche i nomi di Adriana Faranda. Torniamo in via Licinio Calvo. Ebbene. afferma che quando nel Memoriale. molti elementi e molti anni di indagini hanno portato a pensare che le BR possano aver utilizzato questo garage nei giorni immediatamente precedenti o successivi alla strage. fu abbandonata poco dopo in via Licinio Calvo. un segreto che come vedremo Pecorelli era in procinto di svelare poche ore prima dell'uccisione.. ad esempio. in seguito al quale decise di tornare immediatamente in Italia. Gallinari sarebbe andato via addirittura in autobus. è comparsa (o ricomparsa) soltanto due giorni dopo in via Licinio Calvo. Aldo inviò i suoi saluti al medico curante. in via Savoia. quando furono trovate tracce di effrazione nello studio di mio marito. oppure destinati a non trovare chiarezza. «No. Non vogliamo dilungarci oltre su dettagli ormai noti. «Suo marito aveva mai ricevuto minacce?». durante il quale il segretario di Stato americano lo aveva sconsigliato dal proseguire nell'ipotesi di un'alleanza con il PCI e nella sua politica filoaraba. traducendo in modo esplicito il consiglio di Kissinger: «Stia attento. secondo la segnalazione di una pattuglia della Polizia. Dopo un burrascoso colloquio con Kissinger. Ma la signora Moro alla Commissione d'Inchiesta parlò di un altro tipo di minacce: riferì di pressioni avvenute durante il viaggio che il marito aveva compiuto negli USA nel settembre 74. in realtà aveva voluto mandare un messaggio su quella che era la vera matrice del sequestro BR.. Le vie di fuga ad esempio: sul luogo dell'agguato erano comparse soltanto due macchine. alludendo all'episodio del suo viaggio negli USA.era evidente. A meno di cento metri. Il giorno prima. Al termine della cronaca di questa prima giornata accenniamo soltanto all'esistenza di quel garage di cui si è a lungo parlato.». mio marito riteneva che fosse qualche amico che voleva metterci sull'avviso». Ma ci sono altri punti oscuri. chiese il presidente Santia-pichi. lei potrebbe pagarla cara». Il fratello Alfredo Carlo Moro. nel luogo dov'era stata vista dagli agenti di una volante mentre veniva parcheggiata da due giovani e una . in via Fani solo i brigatisti. «Nei mesi precedenti erano arrivate delle lettere minatorie. potevano essere stati solo i ladri. nella chiesa di St Patrick. un anonimo ufficiale dei servizi segreti lo aveva avvicinato. «Erano volantini delle BR. Una. in modo del tutto incidentale e scollegato da quanto stava affermando. e questi riferirà: «Temeva di non poter riabbracciare i suoi». Al suo medico personale confidò il motivo del suo stato di agitazione. in via Massimi 91. nel suo libro Storia di un delitto annunciato. il cui accesso era controllato da particolari dispositivi di sicurezza. Il giorno seguente. pensavate che fossero loro?». Moro ebbe un malore. La 132. dove sarà ritrovata soltanto un paio di giorni dopo. c'è un'autorimessa chiusa al pubblico. Come sono fuggiti tutti gli altri? A sentire Morucci. Io invece pensavo che poteva essere accaduto di tutto. la 132 targata Roma P79560. Fra i testimoni c'è un medico che afferma di aver sentito il rumore di un elicottero sopra via Fani tra le nove e dieci e le nove e venti. Per gli inventori di formule sarà in avvenire preferibile essere prudenti nel pensare alle cose. abituato a lasciare la propria vettura in quel tratto di strada. Un'altra premonizione di Mino cui il tempo ha reso giustizia. quando Moro sembra ritenere imminente la sua scarcerazione e scongiurata la condanna a morte. come lui stesso scrive nel Memoriale. La fine di Yalta Molti ritengono che l'uccisione di Aldo Moro abbia chiuso una fase politica. Il piombo dei golpe stabilizzanti. durata circa trent'anni. In realtà gli elicotteri della Polizia partirono dopo le nove e trenta. Un testimone attendibile. mettendo fine alla certezza dell'"immortalità della DC". un ufficiale dell'esercito in pensione. C'è stata riportata da qualcuno? Qualcuno sapeva del garage e non l'ha detto? Perché? Un motivo c'è: l'autorimessa dei misteri veniva usata da alti funzionari del Vaticano e apparterrebbe allo IOR. ovvero quella democrazia compiuta cui l'Italia. Gli anni Settanta erano stati di piombo. Una lettera scritta negli ultimi giorni di prigionia. e quel delitto portava il segno di una forte ingerenza nel nostro sistema politico da parte di oscuri poteri. «paese a sovranità limitata». e in violazione dei patti di Yalta aveva aperto la coalizione ai comunisti per realizzare. poco amato dall'America di Kissinger.ragazza. Una strana coincidenza.. su qualsiasi altro velivolo». al termine di un macabro processo al sistema democristiano. non aveva diritto di aspirare. Moro mostrava di esserne consapevole: Pensi che per poco lei rischiava di inaugurare la nuova fase politica lasciando andare a morte ]o stratega dell'attenzione al partito comunista Rita Di Giova :a uno (con anni di anticipo) e il realizzatore unico di un'intesa tra democristiani e comunisti che si suole chiamare una maggioranza parlamentare. ieri come oggi non gradita al Dipartimento di Stato. Il suo presidente era stato ucciso dalle Brigate Rosse. aveva commesso un paio di errori che avevano forse decretato la sua condanna a morte: era stato protagonista di una politica filoaraba. Pecorelli osservava sarcasticamente: «Non saranno andati in elicottero a deporre Moro?». L'idea dell'elicottero sembrava solleticarlo: in un altro articolo (28 marzo 1978) si chiedeva: «Su quale mezzo è stato trasportato il presidente della DC? Escluso l'elicottero. affermò che l'auto non era lì due ore prima del ritrovamento..». In una delle ultime lettere inviate dal Carcere del Popolo rivolgendosi a Berlinguer. riconosciuta e contrattata. come spiega egli stesso dalla sua prigionia. A proposito delle uniformi da pilota che i brigatisti indossavano. Nel 78 lo statista DC. un patto programmatico di governo. come si desume da quel passaggio: «per poco lei rischiava. delle stragi di destra e . che sperava di far recedere dalla linea della fermezza. con la strage di via Fani. era già cominciato. passo dopo passo.. erano già nell'aria alla fine degli anni Settanta. grazie alle sue relazioni con i generali del Supersid e con il Venerabile Licio. come in Romania. che avrebbe avuto come apice il crollo dei regimi comunisti. Il 2 maggio 78. nell'ottobre 1989. inteso come la fine della rassicurante divisione del mondo in due blocchi contrapposti. a quanto sembra discretamente gestiti da Bush senior e Gorbaciov. organizzato all'ombra di un Centro Studi con sede a Vienna gestito da Martin Ceausescu. Il Muro non franò in una sola notte. quelle di Pecorelli. pubblicava un articolo dal titolo "Yalta in via Fani": La vita è un sogno. dagli approcci tra i servizi segreti delle due potenze. Riflessioni. almeno in Italia. ma anche una sorprendente capacità di analisi: Una partecipazione del PCI al governo democratico non sarebbe gradita neppure ai sovietici. Gli anni Ottanta si preannunciavano invece all'insegna della massima instabilità. Altri segnali annunciavano l'inizio di un mutamento.]. scriveva Calderón de la Barca. È un fatto che si vuole che ciò non accada. ma niente di quel che succede oggi attorno a noi riguarda la poesia. si era via via sviluppata fino ad approdare a un proficuo scambio di segreti militari. sembrava discretamente informato di questi sommovimenti ed era in grado di abbozzare un'analisi assolutamente controcorrente rispetto alla teoria della «geometrica potenza brigatista». Non si trattava soltanto dell'apertura ai comunisti progettata da Moro. La rete massonica P2 era riuscita a infiltrarsi nei paesi dell'Est. L'obiettivo primario è allontanare il Partito Comunista dall'area del potere nel momento in cui si accinge al gran balzo. perché la dimostrazione storica che un comunismo democratico possa arrivare al potere . CIA e KGB. Il dopo Yalta. L'intesa fu pianificata. cioè dell'eurocomunismo. che hanno anticipato di vent'anni alcune attuali recenti scoperte dimostrando come Mino non solo avesse informazioni di primo piano. ci fu almeno un decennio di preparazione e i segnali del mutamento epocale. Al contrario l'agguato in via Fani porta il segno di un lucido superpotere. Perché è comune interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l'ascesa del PCI. Il nostro Mino. finalizzati però alla stabilizzazione del sistema politico. generale dell'Armata Rossa e fratello del dittatore di Bucarest.degli omicidi "selettivi" di sinistra. alla diretta partecipazione del governo del paese. appena una settimana prima del tragico epilogo. A rendere incerta e instabile la classe politica italiana erano proprio quei primi segnali del tramonto della guerra fredda. La cattura di Moro rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni [. del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un paese industriale. grazie all'amicizia personale-affaristica tra il Venerabile Licio e il "fratello" Ceausescu: cominciata con le esportazioni dei vestiti Lebole su cui la Guardia di Finanza chiudeva un occhio.. a voler uccidere Moro. Chi aveva ucciso Aldo Moro. è che la maggiore affidabilità andreottiana proveniva dall'appoggio che gli garantiva Cosa Nostra e dal controllo totale che era riuscito a realizzare sull'intera rete dei servizi segreti di marca piduista. era violentemente deflagrato per le gravissime accuse che il presidente DC gli aveva rivolto durante la prigionia. ma un nucleo golpista che con l'eliminazione del presidente del Consiglio. avrebbe sancito le condizioni di un traumatico cambiamento politico. da una parte Moro e dall'altra Andreotti. Pecorelli lo venne a sapere nel '67 e al riguardo pubblicò un articolo su «Mondo d'oggi». negli anni Sessanta e Settanta. Accuse che avevano provocato un terremoto all'interno della Democrazia Cristiana. L'accusa che muove dall'intero impianto del processo Andreotti. o perlomeno. attraverso un uomo politico più "affidabile". che in quegli anni sfiorava il 30 per cento del consenso elettorale. alimentato dai sospetti degli amici di Moro che fosse proprio lui. La saldatura di queste opposte pulsioni non può non passare all'interno del sistema italiano. esse agiscono come motorino per una correzione della rotta dell'astronave Italia». che neppure esistevano. Il presidente DC era nel mirino fin dai tempi del nascente centrosinistra: doveva morire già nel '64. Lo scontro. a capo di un governo di centrosinistra. l'uomo che stava manovrando. facendo intendere di essere a conoscenza delle finalità segrete di chi era in grado di manovrare le leve del terrorismo. La storia della DC era stata dominata. come poi è realmente avvenuto quattordici anni dopo: quasi che le BR avessero utilizzato un . chi era stato il mandante del delitto gestito dalle Brigate Rosse? Il giornalista non aveva dubbi: «Le BR non rappresentano il motore principale. poche settimane prima che chiudesse i battenti. Il problema era quello di sempre: puntare al ridimensionamento del PCI. contro ogni soluzione incruenta del sequestro. Diversi erano stati i segnali che le sue aperture politiche a sinistra non fossero gradite oltreoceano. che lui stesso aveva avallato.grazie al consenso popolare rappresenterebbe non solo il crollo del primato ideologico del PCUS sulla Terza Internazionale ma la fine stessa del sistema imperiale moscovita. dopo aver distrutto il SID e liquidato sia Miceli che Maletti. ma il putsch fallì e non se ne fece più niente. alla vigilia del golpe De Lorenzo. Andreotti. nel suo esclusivo interesse. scriveva nel settembre 78. nei suoi due tronconi. gestire gli inevitabili accordi con il più importante partito comunista occidentale. Quello che impressiona è che l'omicidio doveva essere compiuto mediante rapimento. dallo scontro tra due gruppi e due linee politico-strategiche. rimasto sotterraneo per molti lustri. Non erano certo le Brigate Rosse. Un rapimento annunciato La sorte di Moro era già segnata da molto tempo e lo statista ne era consapevole. il nome delle persone al seguito. certamente legato ad ambienti di destra.bando" annunciava: «E proprio Moro il ministro che deve morire alle tredici?». martire e dimesso». Anche Mino previde più volte la volontà di eliminare il leader DC dalla scena politica. il 13 settembre.. molto vicine ai centri decisionali.. col seguente sottotitolo: «Il Santo del Compromesso. La realizzazione dell'obiettivo era stato affidato a un para. sono botti oscuri e senza luci. quella del regista Pierluigi Pingitore. Ancora nel 75. c'è una Jacqueline nel futuro della vostra Penisola». presentivano l'imminente disastro. . era ancora attivo. sotto l'allusivo titolo di "Moro. un nuovo scoppio di rumore e colore.copione già scritto. la stessa dove gravitavano Giannettini e quel giro di intellettuali di destra che teorizzavano 1' «esercito ardimentoso» e «ideologicamente attrezzato» sponsorizzato dal generale golpista Giuseppe Aloja. che mandò in scena una piece teatrale proprio sul rapimento di Moro. Ma la festa sta per finire. istruttore di corpi speciali. Nel 75. Ci sarà il minuto di gravoso silenzio e poi i secchi botti finali. e il giornalista si abbandonava a cupe riflessioni: Temiamo seriamente che la democrazia italiana non potrà reggere il peso di tanto marciume. Un gladiatore? L'ufficiale era molto vicino alla rivista su cui scriveva Mino. le paraboliche antenne di Mino. proprio «Mondo d'oggi». ma collocato in una zona d'ombra. dirigeva una rivista legata ai servizi segreti. ogni minuto c'è una nuova girandola. il numero preciso degli agenti della Presidenziale ed era in possesso di una serie di fotografie della casa dell'onorevole e di una lista completa di tutte le guardie speciali che si alternavano alla vigilanza del presidente del Consiglio. Poi commentava l'imminente collasso del governo Moro con tenebrose metafore. sormontata da una falce e martello. che sfiorò il tetto storico del 30 per cento dei suffragi. Scriveva Pecorelli: Podestà aveva una serie di cartine nelle quali erano riportati i tragitti abituali del presidente del Consiglio [Moro! con tutti gli orari. L'ufficiale dei para. sotto il titolo: "L'America esperta scherza e prevede". Tre mesi prima del sequestro. il tenente colonnello Roberto Podestà. faceva una sinistra profezia: «Un segretario al seguito di Ford in visita a Roma ebbe a dichiararci: vedo nero. E c'è un'altra strana premonizione. all'epoca del rapimento vero. muore insieme al leader pugliese ogni possibilità di sedimentazione indolore della strategia berlingueriana». parafrasando il titolo di un libro scritto in quegli anni da Andreotti. alla vigilia della grande vittoria elettorale del PCI. vergine. Nel gennaio 76 tornò all'attacco con una vignetta in cui appariva Moro crocefisso sotto l'emblema della DC. «Oggi assassinato con Moro l'ultimo centrosinistra possibile. che contenevano riflessioni e spunti autobiografici e molto probabilmente . In questo secondo filone possono essere annoverate anche le note personali. prima ancora del rapimento. In quelle ore senza tempo. lo statista si dedicò a due generi di testi: uno è costituito dalle risposte alle domande dei suoi carcerieri.. di meditazione e di follia». Ma il 12 settembre 1978. al papa. giorno dell'uccisione del Presidente. Una grossa partita a scacchi giocata sopra le nostre teste (o con le nostre teste?) dai potenti della terra. neri e gialli. E Pecorelli arrivava a sospettare che qualche ideologo rivoluzionario «mirasse a incarichi ministeriali dopo aver eliminato il governo esistente . La riflessione di Sciascia in Todo Modo (1974). agenti doppi. durante il sequestro Moro. Una partita di cui nessuno ancora può conoscere l'esito [. Pecorelli scriveva: Dopo il sequestro Moro tutto in Italia procede velocemente. i pochi che gli erano rimasti. ai familiari. Bianchi. scriveva Mino: «Moro doveva aver capito di essersi spinto troppo a sinistra nel corso dei negoziati col PCI e di aver in tal modo destabilizzato lo scacchiere mediterraneo». infatti. quasi preveggente su quanto stava per scatenarsi nella DC.Riflessioni che diventeranno via via più precise. scriveva: lettere alla moglie. Nel Carcere del Popolo «L'eremo è luogo di solitudine. Durante quei cinquantacinque giorni. Un'intuizione straordinaria quest'ultima. potrebbe ben descrivere lo stato d'animo di Moro nel Carcere del Popolo mentre scorrevano i giorni. indirizzate ai brigatisti. questi agenti tripli hanno realmente avuto un ruolo di primo piano nella gestione del sequestro BR. bendando gli occhi ai governi. Dopo aver accecato i servizi segreti. quella solitudine che è intrisa di sentimento. tanto che sul numero di «OP» in edicola il 9 maggio. Ma il pericolo di una trama contro di lui. le settimane senza che dall'esterno arrivasse alcun segnale rassicurante. italiani o stranieri o italiani e stranieri». in un editoriale su «OP». ai nemici di sempre. l'altro era finalizzato alla comunicazione con il mondo esterno. oggi è l'intero paese a essere cieco e sordo: si ha l'impressione che si stia sperimentando un'altra forma di dominio. tripli. alla fine degli anni Novanta. appena interrotte dall'eco di notizie che nulla di buono lasciavano prevedere per la sua salvezza e per la soluzione della crisi politica in cui il sequestro BR aveva fatto precipitare il paese. agli amici di partito. il presidente DC scriveva. Troppo per essere comprensibile e univoco [. come capiremo molto tempo dopo.] l'Italia è il paradiso degli 007.]. doveva essere ben chiaro al presidente DC. agenti multipli percorrono la Penisola in lungo e in largo forzando gli eventi in nome e per conto di interessi opposti e diversi... Mino sosteneva che i mandanti del delitto Moro dovevano essere cercati tra i suoi oppositori.. questa la saldatura tra movente internazionale e movente interno: «Esistono sufficienti indizi per essere sicuri che le Brigate Rosse hanno agito per conto terzi. nel conflitto di interessi e poteri contrapposti che la spartizione di Yalta imponeva.dovevano influire sull'immagine che Moro intendeva proporre di sé a documento dell'ultima tragica prova cui era sottoposta la sua vita. il Memoriale è un documento altamente drammatico: il più drammatico della storia repubblicana. facendo dell'Italia un caso unico tra i paesi economicamente sviluppati. Nell'economia del processo Andreotti. come il Memoriale Moro. La perenne esclusione del PCI dall'alternanza di governo aveva prodotto inevitabili ripercussioni politiche e morali che avevano favorito l'espandersi della corruzione e poi del terrorismo. lettere escluse. molto più breve. Ma anche nella parte a noi nota. quando l'eco dello scandalo si era attutita. L'insieme di queste carte. per le circostanze in cui è stato elaborato. benché si volesse sostenere il contrario. come il fatto che a sparare ad Aldo . a fornire un'istantanea anticipata della degenerazione del sistema italiano. ma che non aveva perduto in quel terribile frangente. risulta pesantemente censurato. che sarebbe venuta pienamente alla luce quindici anni dopo. e dell'assenza di ogni tensione etica e politica. noto. Quanto alla possibilità che Pecorelli fosse entrato in possesso del documento e di informazioni di prima mano relative al sequestro. Ed è proprio la diagnosi impietosa che Moro fa in quelle pagine dell'involuzione politica del paese. il Memoriale Moro è un punto cruciale. sia nella versione trovata nel '78 che in quella trovata nel '90. La parte che più interessa a noi è naturalmente la prima. né la lucidità né la capacità di analisi proprie del suo modo di intendere la trattativa politica anche nella più aspra delle condizioni. che ha finito per convincere i giudici di Perugia della colpevolezza del senatore nell'omicidio del giornalista. ma anche perché esprime il punto più alto di consapevolezza critica di un uomo di governo. costituiva un blocco di centocinquanta pagine. ormai lo sappiamo. Nelle motivazioni della sentenza si afferma che la pubblicazione su «OP» del'accuse di Moro sull'Italcasse nel 78 sarebbe stata devastante per la carriera politica del presidente del Consiglio. non c'è soltanto la prova provata del suo rapporto con Dalla Chiesa. con l'aggiunta di alcune lettere inviate a uomini politici dalle quali traspariva che non solo era perfettamente informato dai suoi carcerieri delle decisioni che venivano prese all'esterno. sconosciute agli stessi inquirenti. ma una molteplicità di indizi che hanno portato a ritenere che Mino in quei mesi avesse attivato un canale diretto con le Brigate Rosse e che questo canale gli avesse consentito di pubblicare notizie veritiere. costretto a riflettere sul proprio operato e su quello del suo partito. Questa almeno la valutazione degli esperti: il documento di cui in effetti disponiamo. assai più di quanto sia avvenuto nel '90. perché è attorno al suo ritrovamento che si concretò l'intreccio Pecorelli-Dalla Chiesa rivelato da Buscetta. .. imitando un De Gasperi inimitabile che è milioni di anni luce lontano da lei [. per i giudici di Perugia. tra le quali una privatissima dello statista ad Andreotti. Non è questa una colpa: si può essere grigi ma onesti. infatti. un po' meno. onorevole Andreotti per nostra disgrazia e per disgrazia del paese (che non tarderà ad accorgersene) non è mia intenzione rievocarne la grigia carriera [. ma passerà senza lasciare traccia. Durerà un po' più. Passerà alla triste cronaca [. prefigurava la candidatura di Moro al Quirinale dopo la scadenza del settennato di Giovanni Leone... alleandosi con Andreotti in quella linea della fermezza che equivaleva a una condanna a morte. grigi ma pieni di fervore. Moro rifletteva sui tradimenti subiti perfino da Cossiga e da Zaccagnini. nome in codice di Mario Moretti. ad aver decretato la sua condanna a morte... la nomina di Zaccagnini a presidente della DC e quella di Piccoli a capo del Governo. come è stato poi confermato dal capo delle BR. nell'imminenza della morte. in cui veniva esplicitato il sospetto che egli avesse appoggiato un complotto ai suoi danni per timore di essere "esautorato". grigi ma buoni.]. Ma era soprattutto il presidente del Consiglio la persona cui riservava le parole più dure e le accuse più gravi: Tornando a Lei. Non le basterà la cortesia diplomatica del presidente Carter per passare alla storia. Chiuso nella sua prigione sconosciuta. Lei ha potuto navigare tra Zaccagnini e Fanfani. E dopo aver scritto della vicenda dell'italcasse asseriva: Sono tutti segni di un'incredibile spregiudicatezza politica. In una delle quattro lettere intercettate dal Viminale e non recapitate ai destinatari(ma pubblicate da «OP») compare quella profezia che gli anni sembrano aver confermato: «Il mio sangue ricadrà su di voi».responsabile di aver dimenticato l'attenzione che lui aveva rivolto al partito di cui era segretario. che deve aver caratterizzato una fortunata carriera che non gli ho mai . E su «OP» erano stati pubblicati stralci di almeno quattro lettere di Moro.] che le si addice...Moro fosse stato Maurizio.]. Il presidente DC. Ed è proprio il fatto che Mino conoscesse troppi segreti. intercettate dal Viminale e mai divulgate.].. proprio come è avvenuto alla fine degli anni Ottanta. Moro intuiva che le fortune della DC sarebbero finite non appena fosse mutato lo scenario internazionale. dopo aver appreso di un accordo interno alla DC che lo escludeva da ogni incarico di rilievo: questo accordo. «Il mio sangue ricadrà su di voi» In una delle ultime e più drammatiche pagine del Memoriale. inveiva contro tutti coloro che avevano dimostrato di essere pronti a sacrificarlo pur di garantirsi una sopravvivenza che sarebbe stata inevitabilmente a termine. abbiamo visto con quali parole si era rivolto a Enrico Berlinguer. Ebbene onorevole Andreotti a lei è proprio questo che manca. il fervore umano [. o anche solo del minimo rilievo. in un'attività variabile ma senza mai soste? Che avrà significato la lunga permanenza alla Difesa. senza alcun mio dispiacere. Con lucidità. Quattordici anni dopo. Si trattava. un passato dove machiavellicamente i vizi diventavano virtù. non venivo invitato [. quali solidi e durevoli agganci essa deve aver prodotto? Moro concludeva con una definizione lapidaria: «Un regista freddo. Buscetta. per quel che ho capito di una direttiva del segretario di Stato Kissinger. che non mancarono all'ambasciata occasioni di incontro politico-mondano alle quali peraltro. «tecnocratica» e «internazionale»: rappresentava il passato. e venendo perciò destinato alla «cronaca» come in effetti è accaduto. Andreotti come Moro era uomo della vecchia DC. la stessa in cui da le dimissioni dalla DC e da ogni altro incarico politico..Ma non appena le cose fossero cambiate. giovane.invidiato e della quale la caratteristica più singolare è che passi così frequentemente priva di censure. senza dubbi. come il rapimento messo in piedi dalle BR aveva detto no all'esperimento DC-PCI di Aldo Moro. tecnologicamente attrezzata [. le responsabilità sarebbero ricadute su chi troppo spregiudicatamente aveva rinunciato alla virtù. Insomma. poi. in un ambiente come Roma. Ma siamo nel campo . la profezia di Moro si è avverata. non parlava inglese. Questa la lucida previsione nell'ultima lettera. aveva intuito uno scenario più vasto dietro le tragedie di Palermo: «Dietro la morte di Lima potrebbe esserci una cosa di molto superiore all'impegno processuale. De Carolis. In altra parte del Memoriale Moro si chiedeva anche se non ci fosse stata contro di lui «un'indicazione tedesca o americana».. si ebbe qui un mutamento di rapporti che prefigurava un'Italia tecnocratica.. la sua politica di apertura. se giustificati dal fine. Cominciarono a frequentare sistematicamente l'ambasciata giovani parlamentari. la pragmatica scelta andreottiana. senza palpiti e senza mai un momento di umana pietà». Quali saranno state le manifestazioni di siffatta personalità. dal suo particolarissimo osservatorio. che puntava su una DC più nuova. ed il fenomeno divenne sempre più vistoso. E mostrava di essere consapevole di come fosse poco gradita. come Borruso. Seppi.. ipotizzando che anche il suo eterno rivale non avrebbe potuto evitare di fare i conti con questa realtà. allV-stablishmcnt americano. «Il potere logora chi non ce l'ha». Quegli spari a Mondello hanno messo la parola fine all'aspirazione di Andreotti di accedere al Quirinale. Segni. pagando il prezzo più alto per aver accettato ogni compromesso in nome del potere.]. non apparteneva a quella «nuova Italia» che andava delineandosi alla fine degli anni Settanta. come sappiamo. Rossi. più omogenea a un mondo sofisticato e più internazionale.]. era. che parla inglese. il prigioniero preannunciava quella che sarebbe stata la fine della vecchia DC. impenetrabile. ha ricordato le poche confidenze che aveva ricevuto dalla figlia sui segreti del marito. A quel periodo risalgono i primi incontri tra Pecorelli e Dalla Chiesa. e gli mostrò un pacco di carte: «Vorrei che anche lei valutasse la situazione e avvertisse il Presidente. annosa caccia data alla versione integrale del Memoriale. L'appunto è proprio dell'autunno 78. e il significato che assume all'interno del processo. tra le lacrime. in alcuni capitoli più ampia della precedente versione. che avrebbe riportato alla luce dodici anni dopo la fotocopia del manoscritto. quando Dalla Chiesa arrivò da Milano di notte e si incontrò con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Franco Evangelisti stretto collaboratore di Andreotti. Questo almeno è uno dei sospetti che si cela dietro l'intreccio rivelato da Buscetta. non ha provocato gli effetti . vorrei che fosse preparato ad affrontare il peggio». come abbiamo già accennato. due Memoriali Buona parte del processo di Perugia è stata dedicata alla terribile. Un omicidio che lo avrebbe sottratto alla storia per affidarlo alla cronaca. Mino da prova di essere già informato di quanto doveva essere accaduto dietro le quinte e scrive: La bomba Moro non è scoppiata. dietro il pannello di un termosifone.Il 31 ottobre. nel periodo immediatamente successivo alla scoperta del covo di via Montenevoso. E l'ipotesi di Don Masino è che «uccidere Lima serviva a denigrare Andreotti». dattiloscritta. in un articolo dal titolo «Memoriali veri e memoriali falsi». almeno quella parte recuperata nel covo milanese. bisogna tornare indietro negli anni. Ma al processo lo hanno confermato la madre di Emanuela Setti Carraro. Il senatore ha sempre negato un incontro riservato di tal natura con il generale. Per comprendere la genesi di questa doppia versione. Una riguardava proprio la consegna delle carte ad Andreotti: «Con il cucco che gliele ha date tutte». di cui non si è mai trovato l'originale. esistono due versioni ufficiali. nella motivazione della sentenza di Perugia la data viene collocata attorno al 4 ottobre. la giovane moglie di Dalla Chiesa uccisa con lui in via Carini. la seconda. alla prima settimana dell'ottobre 78. Domani.delle ipotesi». Il Memoriale. come Moro aveva previsto. E su uno dei block notes di Mino troviamo scritto: «Le carte segrete in mano a Dalla Chiesa». E difficile immaginare cosa si siano detti Andreotti e Dalla Chiesa e quale sia stata la determinazione presa. le aveva però sussurrato Emanuela. Del Memoriale. forse definitivamente scomparso con la morte di Dalla Chiesa. La signora Setti Carraro. morto poco tempo dopo l'incriminazione del senatore. fu trovata nell'ottobre 78 dallo stesso Dalla Chiesa nel covo di via Montenevoso a Milano. quando lo incontrerò. è stata fortunosamente e poco credibilmente rinvenuta nel 1990 durante i lavori di ristrutturazione dello stesso appartamento. In verità. La prima. ma a detta degli esperti ugualmente censurata. sono in pochi a credere alla fortuita di questo secondo ritrovamento. e lo stesso Evangelisti. . sulle amicizie pericolose del banchiere siciliano. si limitava a una sintetica osservazione: «L'avvilente canale dell'Italcasse che si ha torto di ritenere meno importante o più inestricabile di altri. presenti anche nella seconda versione. l'affare Lockheed. oppure «nella parte in cui abbiamo trattato di ciò». secondo il quale le parti "censurate" riguardano i seguenti capitoli: il golpe De Lorenzo. citando l'autorevole parere dell'ambasciatore Ortona che parlava di note «relazioni con ambienti mafiosi» del Banchiere di Dio. a distanza di dodici anni e in un diverso contesto politico. I passaggi chiave. non erano più così dirompenti.. Ben più ampia appare invece la trattazione nel secondo manoscritto. riguardano soprattutto l'Italcasse e i finanziamenti occulti della CIA alla DC: argomenti che vengono trattati molto più ampiamente nel secondo Memoriale.. meno aspra e più riguardosa nei confronti di Andreotti rispetto alla trascrizione fatta a macchina dalle BR. devono celare passaggi importanti. delle quali non si sa quando ritorneranno e anzi se ritorneranno. pur esprimendo un duro giudizio sullo scandalo Italcasse. anche se quelle rivelazioni. in cui lo statista DC si lancia in un vero e proprio accuse: E lo sconcio dell'Italcasse? E le banche lasciate per anni senza la guida qualificata. Moro.». con la possibilità. anche [. che dopo le pesanti osservazioni di Moro sui rapporti che intercorrevano tra Sindona e Andreotti. Anche la Commissione Stragi di Pellegrino dispose una perizia: e la affidò al professor Biscione. si chiedono i PM di Palermo. Il Doppio Memoriale è stato uno dei punti più controversi del processo. Giulio Andreotti è un uomo molto fortunato. ma a spianare il suo cammino stavolta hanno contribuito circostanze solo in parte fortuite. L'avvocato Giulia Bongiorno ha personalmente curato una perizia linguistica dalla quale risulterebbe che la versione manoscritta da Moro.. la riforma dei servizi segreti. Nel primo Memoriale. Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato. ritrovata nel '90. riferimenti di cui poi non si trova traccia nel testo. La pubblica accusa è di parere opposto: la parte riguardante il senatore è ben più ampia e le censure. la strage di piazza Fontana e la strategia della tensione.devastanti a lungo paventati.] di esposizioni indebite. il ruolo degli ambasciatori USA in Italia e Gladio. che rivelano la diversità tra i due memoriali. prima del famoso viaggio negli USA del 72 quando incontrò in pubblico Sindona. le Brigate Rosse non abbiano avuto la curiosità di approfondire l'argomento? Peraltro Moro scriveva di aver messo in guardia Andreotti. Uno degli argomenti carenti sarebbe proprio la mafia. Moro si dilunga maggiormente anche sull'incontro negli Stati Uniti con Sindona: E per quanto . Com'è possibile. nella scelta dei vocaboli. E un intreccio inestricabile nel quale si deve operare con la scure. Ci sono frasi del tipo: «Come ho già detto». non solo non conterrebbe alcuna novità rilevante ma sarebbe addirittura. quello su cui la difesa ha dato maggior battaglia. preoccupati di offendere la memoria del generale. Per i giudici è la prova che Evangelisti aveva realmente maneggiato una copia del Memoriale. via via che andava infilandosi nel tunnel che lo condusse alla morte. su cui gli erano caduti gli occhi. due anni prima.riguarda i rapporti di importanti uomini politici con il banchiere Sindona è pur vero. avrebbe evitato di fare tanti errori nella sua vita. anche il generale. Forse. Non era del resto una situazione facile. necessario. a rendersi particolarmente attivo per la soluzione dell'intricata vicenda Italcasse. A soli tre mesi dalla morte di Al. dicono che agli atti non c'è alcuna prova di manipolazione delle carte da parte di Dalla Chiesa. O forse voleva avere un testimone dell'incontro con Andreotti. all'epoca difficile del referendum. come Moro. E in effetti questo elogio nel Memoriale del '90 c'è: Perché Ella. ha un uomo non di secondo. ma di ricordare un passaggio. con tutte le sue applicazioni politiche. Come altri protagonisti di questo infinito noir. né alcuna certezza che sia stato lui a sottrarre almeno una ventina di fogli all'attenzione dell'autorità giudiziaria. per quanto mi è stato detto con comprensibile emozione dall'onesto avvocato Vittorino Veronese. tra Piazza del Gesù e Palazzo Chigi come premio inderogabile per quel prestito di due miliardi che la conduzione del referendum rendeva. che ancora non conosciamo del tutto. uno dei più stretti collaboratori di Andreotti. il politico romano confermò di aver solo sfogliato quella notte una cinquantina di pagine dattiloscritte. In ogni caso Dalla Chiesa si era rivolto a lui perché. un loquace. e fu ancora Evangelisti a ricevere la visita notturna di Dalla Chiesa. capace di fare da tramite con il Presidente in quel difficilissimo momento. ma di primo piano con lei. ma un uomo che capisce e sa fare.Il unno nero della Prima . che la nomina del funzionario Barone ad amministratore delegato fu voluta. Un prestito fatto dalla Banca sindoniana. onorevole Andreotti. lo giudicava una persona di esperienza e di buon senso. ma è anche certamente vero che l'ex sottosegretario potrebbe aver visionato la versione originale. anche se i magistrati di Palermo. dopo il suo ritrovamento in via Montenevoso. Sostiene l'accusa che Andreotti era preoccupato per la parte segreta del Memoriale. Ma la ricostruzione dell'intera vicenda porta inevitabilmente a questa conclusione. dove Moro lo citava in termini elogiativi. assumeva comportamenti poco comprensibili e sembrava preda di una vivissima agitazione che lo portava a compromettersi sempre di più in questa dannata vicenda. subito dopo la scoperta del covo di via Montenevoso. Interrogato dai magistrati di Palermo poco prima di morire. Gli incontri segreti del generale Fu Evangelisti. presidente del Banco di Roma. se lo avesse ascoltato. nel '90. Un altro al suo posto avrebbe sottratto le carte. la lealtà allo Stato e la percezione di un pericolo assoluto. e non soltanto quella di tipo "giallo" alla Pecorelli: anche settimanali e quotidiani a grande tiratura. dalla sua ultima prigione se la prendeva con un amico di partito. le avrebbe messe al sicuro e avrebbe taciuto: quel segreto ben custodito sarebbe stato per lui la migliore assicurazione sulla vita. In ogni caso. ha informato Andreotti dei suoi pesanti sospetti. lo malediceva e al tempo stesso rivelava imbarazzanti e scottanti segreti di Stato. Tutto è ridotto ad un chiacchiericcio tra impiegati di ministero senza intelligenza. e dunque beffeggia le BR per l'"insignificanza" dell'interrogatorio: Sono un pugno di killer senza cervello. Ma poneva un interrogativo cui solo il tempo ha dato risposta certa: «Esiste un altro Memoriale in cui Moro sveli invece importanti segreti di Stato?». È lo stesso Memoriale a parlare. Sentite cosa scriveva Pecorelli in quelle settimane: Quando a marzo scorso le Brigate Rosse annunciarono di aver dato inizio al Processo. degno di un Ludlum o di un Le Carré. tra chi tende a delegittimarlo e chi lo santifica.. È lo stesso Memoriale. che poteva essere sventato soltanto rivelandolo. A noi appare un uomo lacerato tra il senso del dovere. si era ritrovato tra le mani un documento esplosivo: l'atto di accusa dello statista DC assassinato dalle BR. poi in modo da rendersi del tutto riconoscibile gli ha mandato segnali minacciosi attraverso la carta stampata. Invece il Viminale ne aveva distribuite soltanto quarantanove. le settanta pagine del dossier ci sono. insormontabile. almeno quelle più compromettenti. che. svelati segreti di Stato. È stata costruita una montagna perché partorisse il topolino. senza idee e senza prospettive». . il settimanale aveva costruito un processo che diffamava l'intero staff democristiano. E invece Dalla Chiesa ha fatto esattamente il contrario: è uscito allo scoperto. sulle prime pagine si cominciò a fare un'opera di enfatizzazione:rivelazioni sconvolgenti. E Pecorelli si chiedeva: «Per scrivere una cinquantina di pagine sono sufficienti appena tre ore di interrogatorio. brigate senza generali. Mino fa finta di credere al fatto che il testo diffuso dal Viminale sia la versione integrale. non avendo la possibilità di combattere ad armi pari.]..Repubblica do Moro. gli rivolgeva pesantissime accuse. Il suo comportamento induce sentimenti assolutamente contrapposti. L'opera è culminata la scorsa settimana nel servizio dell'«Espresso»: sulla base di alcune frasi. invece di inveire contro i terroristi. quando aveva appena riconquistato l'incarico di capo dell'Antiterrorismo. che non abbiamo ritrovato nel dossier diffuso dal Viminale. Andreotti e Piccoli in particolare. anche se resta da stabilire perché la «Repubblica» dell'8 ottobre scriveva: ieri è arrivata la conferma della magistratura. gli eventi che seguono la scoperta del covo di via Montenevoso e il giallo del doppio Memoriale sono un intrigo da spy story. in pericolo il sistema occidentale [. Agli atti del processo di Palermo. Il collaboratore di Dalla Chiesa parlava di una settantina di pagine. ai rapporti con i servizi segreti. il giornalista cercò di mettersi in contatto con Dalla Chiesa per un colloquio o per un'intervista. E mi chiedevo: perché proprio lui? C'è qualcosa che non torna nella frenesia del generale nei mesi successivi all'uccisione di Moro: lui conosceva la storia di Andreotti e della sua corrente siciliana. tutto contro Andreotti. quando gentilmente mi informava che Dalla Chiesa non era in ufficio. forse regali. Ha estratto le chiavi. con il quale Battistini aveva già parlato al telefono: viene fissato un appuntamento alla stazione Termini. informa il direttore Scalfari e il vicedirettore Rocca. Fin qui il racconto conferma lo stato di sovreccitazione in cui versava l'intero staff di Dalla Chiesa. Ma c'è una piccola appendice: la sera del 31 dicembre 1980. professionista pacato e assai lontano dalla spericolatezza «scoopista» di Pecorelli. ci sono frasi forti. Lui ha fatto appena in tempo a entrare: era in compagnia della moglie. guardavo quel cadavere steso a terra mentre cercavo di ripararmi nell'androne dell'anonima palazzina all'EUR in attesa della polizia scientifica. come quasi tutti.. ma il suo intero staff sembrava sconvolto dalle rivelazioni di Aldo Moro. Galvaligi come concordato indossa un impermeabile e ha un giornale in mano. Di quel generale ucciso conoscevo soltanto la voce. dagli esordi della sua carriera. Sì. un commando delle Brigate Rosse ha aspettato sotto il portone Galvaligi con i mitra spianati.L'uccisione di Galvaligi Non soltanto Dalla Chiesa. così. Battistini rientra in redazione. per quanto gravi. I due non si conoscono. molto forti. le rivelazioni del Prigioniero. nel periodo in cui cominciarono a trapelare indiscrezioni sul ritrovamento dell'archivio BR nel covo di via Montenevoso.. non si faceva trovare. a Sindona. rinviava. Fin quando un pomeriggio lo chiama in redazione il generale Galvaligi. c'è un capitolo che dimostra quale partita pericolosa avessero intrapreso. all'Italcasse e via dicendo. era proprio lui. nell'autunno 78.». estrae dalla tasca un foglietto che ogni tanto consulta e fa le seguenti rivelazioni: «Il Memoriale è una bomba. Ho un ricordo personale di quella terribile sera: faceva un freddo gelido e avevo addosso un cappottino nero troppo leggero. si occupava di terrorismo. e nulla di più si potrebbe aggiungere a ciò che abbiamo già detto. aveva nelle mani dei pacchetti. ma questi nicchiava. si guarda attorno con aria circospetta. Il seguente racconto viene fatto da Giorgio Battistini. forse qualche leccornia per la sera dell'ultimo dell'anno. giornalista della «Repubblica». diceva che i capitolati esplosivi erano almeno diciassette e tutti in un modo o nell'altro riconducevano al Presidente. la tipologia del contatto è talmente anomala che decidono di telefonare per verificare se la persona che si era presentata all'appuntamento fosse proprio il generale Galvaligi. ha aperto il portone ed è caduto sotto una grandine di proiettili. non . il generale e i suoi uomini. All'epoca. alle venti circa. Che il generale fosse in pericolo di vita. Ma forse non immaginava che lo avrebbe preceduto nel suo terribile destino. anche quando si è imparato a leggere i criptici messaggi di questo strano giornalista. tale comunque da rendere i carcerieri interroganti (o chi doveva poi ascoltare le bobine o leggere le trascrizioni) in grado di capire il livello insignificante delle dichiarazioni di Aldo Moro.. Il corpo era ancora caldo [. La lettura di queste poche righe è più complessa di quanto possa apparire. la sbadataggine dei camionisti spagnoli . Dice: perché non ha fatto nulla? Risponde: il ministro non poteva decidere nulla su due piedi. Pecorelli già sapeva dei contenuti "secretati" del Memoriale e che il documento distribuito dal ministero dell'Interno era stato "censurato". molto di più: come aveva confidato al suo fedele Incandela. in Spagna. L'intreccio Dalla Chiesa-Pecorelli è diventato l'intreccio delle indagini su due omicidi.. magari sino alla loggia di Cristo in Paradiso? [. Non se ne fece nulla e Moro fu liquidato perché se la cosa si fosse risaputa in giro avrebbe fatto il rumore di una bomba! [.ma il nome del generale è noto: Amen. L'aggettivo «insignificante» era evidentemente usato in senso ironico. aveva visto il Minotauro. Pecorelli dunque sapeva che Dalla Chiesa rischiava la vita.. Amen naturalmente è Dalla Chiesa. la Loggia di Cristo è naturalmente la P2.] C'è solo da immaginarsi [.. Nell'articolo il direttore di «OP» rivelava che Dalla Chiesa aveva scoperto la prigione di Moro quando lo statista era ancora vivo e aveva avvertito il ministro dell'Interno Francesco Cossiga.] perché un generale dei Carabinieri era andato a riferirglielo di persona nella massima sicurezza. Mino lo aveva anche scritto.] quale sarà il generale dei CC che sarà trovato suicida con la classica revolverata che fa tutto da sé o coll'arcinoto curaro di bambù di importazione amazzonica (Valerio Borghese docet) o con il solito incidente d'auto radiocomandato nelle curve di Ibiza . 'A f accuse del giornalista si fece ancora più stringente: A Milano oltre il Memoriale in due copie sono stati trovati ben cinquemila documenti inventariati.. Nel dicembre '78.oh. . sul numero del 17 ottobre 1978. con il suo solito linguaggio cifrato. Dalla Chiesa si sentiva in pericolo di vita. Dove scrive che il corpo è ancora caldo significa che Moro è ancora vivo. C'era di più.potevano averlo così fortemente stupito. aveva scoperto cose gravissime..]. i "suicidi" e gli incidenti citati si riferiscono a quelli del generale Anzà (che stava per rivelare i retroscena del golpe De Lorenzo) e al falso incidente che sarebbe costato la vita a Gianni Nardi.. doveva sentire più in alto e qui sorge il rebus: quanto in alto.. uno pseudonimo usato altre volte da Pecorelli. tra cui alcuni che per una corretta interpretazione richiedono un buon livello di competenza. era entrato nel labirinto infinito dei misteri del caso Moro. tornando su argomenti di cui avevano parlato anche in altre occasioni. che da la misura della diffidenza che nutriva Dalla Chiesa nei confronti di Andreotti e di come proprio nel carcere di Cuneo. Incandela ha reso altre drammatiche dichiarazioni che ci aiutano a capire lo stato d'animo del suo superiore nei mesi successivi alla scoperta del covo di via Montenevoso. Un dialogo aspro e in certi passaggi drammatico. Dalla Chiesa sapeva di essere in pericolo: aveva bisogno di una prova certa che quelle gravissime affermazioni le aveva fatte davvero Moro. e cioè che il generale e il giornalista erano entrati in possesso di documenti di Moro. il manoscritto di Aldo Moro nel carcere di Cuneo. Incandela sostiene che. quello tra il generale e il fedele maresciallo. si sia giocata la partita più pericolosa del processo al senatore. era apparso chiaro che era stato quest'ultimo ad avere la notizia che le carte segrete si trovavano nascoste proprio nel carcere di Cuneo. «Tu queste cose le vai a raccontare al SID e a me non le dici». Dalla Chiesa aveva bombardato il maresciallo di telefonate. così come sono stati raccontati ai giudici dal maresciallo Incandela: Devo dire che il generale Dalla Chiesa teneva moltissimo ad avere informazioni sull'onorevole Andreotti. Il generale. Egli era convintissimo che Andreotti fosse una persona estremamente pericolosa. Non mi chiarì sulla base di quali elementi avesse maturato tale convinzione. lo rimproverava. non si limitano al ritrovamento del Memoriale di cui abbiamo già parlato. Vediamone alcuni passaggi. informazioni che poteva aver appreso girando per le carceri. Tante volte nel corso degli anni mi chiese con insistenza di riferirgli notizie apprese dai detenuti sul suo conto. Da chi Mino aveva avuto quest'informazione e perché quei documenti così importanti erano finiti lì? E un giallo nel giallo. ormai identificato come il vero teatro della trattativa segreta attorno al sequestro Moro. alla fine del '92. e più volte aveva insistito perché firmasse un rapporto nel quale raccontava per filo e per segno cos'era avvenuto durante il sequestro Moro. ad esempio. era convinto che Incandela sapesse su Andreotti molte più cose di quante non gliene dicesse. due mesi prima che Pecorelli fosse ucciso. nel corso dell'incontro notturno con Dalla Chiesa e Pecorelli. Notizia di cui fino a quel momento nessuno aveva mai saputo nulla. confermando. Le dichiarazioni del maresciallo. scritta dallo statista di proprio pugno e aveva l'assoluta necessità di trovarla. quanto aveva detto Buscetta. che era stato uno degli uomini di punta della rete Dalla Chiesa nel periodo in cui si occupò delle carceri. Nei giorni precedenti. di cui cercheremo di ricostruire i passaggi salienti. aveva saputo che circolava una copia della versione originale.La trattativa nelle celle di Cuneo Sappiamo che la Corte d'Assise d'Appello di Perugia ha dato grande rilievo alla testimonianza del maresciallo Angelo Incandela: fu lui a ritrovare nel gennaio 79. Può darsi che ascoltando i nastri registrati contenenti le conversazioni dei detenuti avesse acquisito elementi di conoscenza ai quali attribuiva . L'attendibilità del Supertestimone è stata duramente contestata dalla difesa. Non abbiamo perfetta conoscenza della rete di rapporti che consentì a Pecorelli di venire in possesso di queste informazioni. all'epoca capo della mala milanese. Incandela lo descrive così: «L'involucro era una specie di salame lungo venti-trenta centimetri. C'era Buscetta. a quanto sembra. continuava a insistere. la DC aveva attivato canali per contattare le BR attraverso la malavita. era avvolto con un nastro isolante di colore marrone che poteva contenere un centinaio di fogli». che si trovava in un locale adiacente alla sala colloqui. che devono essergli apparse offensive per la memoria del padre. ad esempio. La trattativa naufragò.all'interno di un pozzetto coperto da un tetto di lamiera. Il generale era convinto che io fossi a conoscenza di informazioni sul conto dell'onorevole Andreotti apprese nel circuito carcerario. Anche se era stato proprio lui a raccontare ai giudici quello che una volta gli disse: «Andreotti fa il doppio gioco». Tuttavia. che come già sappiamo era detenuto in quel carcere.grande importanza. ma soprattutto. Nonostante lo assicurassi che non ero in possesso di tali informazioni. era entrato in contatto con il gangster marsigliese Francis Turatello.che lo incaricava di fare tutto il possibile per salvare Moro. tra il marzo e l'aprile del 78. Lo riconosce anche la sentenza d'appello di Palermo. Una volta a Milano. che ha raccontato di aver ricevuto una telefonata da Stefano Bontate. Molti protagonisti del nostro processo si erano già incontrati in quel periodo proprio nel carcere di Cuneo. per i motivi che . Ma l'accusa ha creduto a Incandela e quel che è peggio il giudice Verrina sembra aver considerato decisiva la sua testimonianza. mi disse: «Ma non capisci che solo in questo modo io. Certo è che pur sostenendo ufficialmente la linea della fermezza. per indurmi a redigere una relazione riservata su tali mie presunte conoscenze concernenti l'onorevole Andreotti. era diventato il quartier generale della trattativa per la liberazione di Aldo Moro. È certo che Andreotti per il generale Dalla Chiesa era un chiodo fisso. Lo stesso figlio Nando non ha apprezzato le dichiarazioni del maresciallo. agli atti di un altro processo: quello a carico del maresciallo Alfredo Manfra presso il tribunale di Cuneo. attraverso un amico. l'avvocato Edoardo Formisano. Io non gli chiesi spiegazioni per lo stato di soggezione nel quale mi trovavo sempre quando parlavo con lui. tu e altri come noi possiamo avere la speranza di salvarci la vita?». Il carcere di Cuneo. Gli episodi riferiti da Incandela al processo Andreotti erano già. per il recupero del Memoriale. Poi il maresciallo Incandela ha raccontato nei dettagli il ritrovamento del plico che si trovava proprio nei pressi del luogo che aveva descritto Pecorelli. quando comandava la Divisione Pastrengo. un capitolo del processo può gettare qualche barlume di luce su questo ennesimo mistero. E scopriamo che il giudice Claudio Vitalone. anche se forse con minori dettagli. un malavitoso massone. Quelle carte scottavano anche nelle mani dei boss. doveva essere conosciuta negli ambienti della malavita romana. che aveva avviato la trattativa nel carcere di Cuneo per conto di Vitalone. qualcuno ugualmente decise che era meglio che Moro fosse ucciso perché era ormai considerato inaffidabile e quindi pericoloso il suo ritorno in libertà per tutto quello che avrebbe potuto ancora dire o fare? In definitiva. se i brigatisti avevano accettato di consegnare le carte. Ma era soprattutto legato a Ugo Bossi. ignota ai loro più stretti collaboratori. frequentava il giro della Roma nera. ma è anche l'unica possibile.vedremo. ed è lì che il maresciallo lo incontrò qualche tempo dopo.Anche Semerari. la notizia della strana liaison tra Dalla Chiesa e il giornalista. Il boss della camorra era anche amico di Aldo Semerari. Per questo qualcuno aveva . ottenuto lo scopo. il castello di Ottaviano. dopo che Incandela trovò l'involucro. l'ex capo della Nuova Camorra Organizzata. era stato certamente lui a nascondere nel pozzetto come assicurazione sulla sua vita. è proprio questo il nodo della cruenta conclusione del sequestro Moro. Turatello. la trattativa s'interruppe? Forse non le avevano consegnate tutte oppure. Un accordo che comportava la consegna da parte delle Brigate Rosse delle rivelazioni più pericolose o imbarazzanti che Moro poteva aver fatto nel corso dell'interrogatorio? Ma perché. sono stati bloccati tutti i contatti che si erano messi in moto in alcune carceri tra brigatisti e grandi malavitosi per vedere di arrivare a un accordo che salvasse Moro». scoprendo che il gangster sapeva benissimo che era stato proprio lui a trovare il plico contenente quel centinaio di pagine del Memoriale Moro che. È naturalmente un'ipotesi. le Brigate Rosse o chi per loro avevano fatto avere a Turatello almeno una parte del manoscritto di Aldo Moro attorno al 10 aprile. legato da molteplici affari con la camorra napoletana: se fosse stato vivo sarebbe comparso come imputato nell'omicidio del giornalista. È stata la Democrazia Cristiana che non ha voluto salvare Moro. come Pecorelli. fu trasferito dal carcere di Cuneo a quello di Pianosa. un boss trasteverino. come sembra. rivelò a sorpresa che aveva saputo che il direttore di «OP» faceva il "doppio gioco". e cioè passava informazioni ottenute in ambienti della Magliana al generale Dalla Chiesa. Uno dei canali informativi di Cutolo era certamente Franco Giuseppucci. quando la trattativa per la sua liberazione era fallita. Nel corso del processo Raffaele Cutolo. Don Rafè ha fornito un particolare che s'incastra perfettamente con la testimonianza di Incandela: «So che i due andavano insieme a fare perquisizioni nelle carceri». Così il maresciallo racconta l'incontro: Il Turatello mi disse: «Lei è il famoso maresciallo Incandela che viene da Cuneo? Io sono stato mandato via da Cuneo a causa di certi scritti di Moro di cui lei è a conoscenza. ma doveva essere arrivata a buon punto se. il criminologo che nell'81 fu trovato decapitato proprio di fronte alla sua abitazione. Bergamelli. Anche Bosso è morto in carcere nell'84. ma chi ha guidato questa gente? Pensaci un po' Incandela. Le memorie del maresciallo Incandela. era uno dei marsigliesi trasferitisi a Roma. ma per una crisi cardiaca. durante un colloquio a Cuneo: Maresciallo.avvertito Pecorelli due anni prima. Anche il camorrista confidò a Incandela. e ancora: «Guarda che è stata la DC a volere che Moro non fosse lasciato libero dalle Brigate Rosse. ma chi glielo fa fare? Ma lo sa che noi a Roma possiamo contare perfino su Andreotti? E che . il Bosso aggiunse: «Ma tu Incandela vuoi morire? Chi te lo fa fare a volere sapere certe cose!». E poiché io insistevo per indurlo a parlare. Rolando Battistini raccontò: «Sapevamo che c'erano avvocati. le BR. tra boss e terroristi. uno scenario simile a quello descritto da Francis Turatello: Il Bosso. Anche Buscetta lo aveva messo sull'avviso.». Incandela aveva registrato quasi tutti i colloqui con il camorrista. a sua insaputa. magistrati e uomini politici che Pecorelli ben conosceva a causa del vincolo massonico. alla fine del 78. aggiunse: «E Moro! Se parlo io e dico quello che so. sono un romanzo a sé nella saga del processo Andreotti. Ti sei mai chiesto chi ha rapito Moro? Sì. Questo è un fatto di cui sospettano tutti. magistrati e uomini politici che facevano da trait d'union tra ambienti politici e Banda della Magliana».. Ma per adesso chiudiamo qui che è meglio». A parlarne fu il suo luogotenente Luigi Bosso. rapinatore comune legato ai neri. Ah. hanno eseguito materialmente la cosa. non brutalmente ucciso com'è accaduto a Turatello nella prigione di Nuoro. dopo avermi parlato dell'intervento di Raffaele Cutolo nelle trattative per la liberazione di Grillo. se tiro fuori tutto quello che so. Rosario Nicoletti fu arrestato per vicende legate alla costruzione dell'Università di Tor Vergata: il suo nome ricorre spesso nell'inchiesta sulla Banda della Magliana condotta dal giudice Otello Lupacchini. trasferito a Pianosa dopo la fine del sequestro BR. c'erano Albert Bergamelli e due personaggi importanti». Dunque Mino aveva contatti con la malavita romana e quello che ha raccontato Cutolo è verosimile: poteva davvero essere stato lui ad avere ricevuto da ambienti malavitosi la dritta che aveva consentito a Dalla Chiesa di recuperare il Memoriale. Ivano Bongiovanni. Ti dico solo che il rapimento di Moro e quello di Cirillo sono stati voluti entrambi da un pezzo della DC e io ne ho le prove. e aveva mandato le bobine al giudice Carlo Alemi di Napoli. come sappiamo.. sostiene: «Ho incontrato Pecorelli in casa del costruttore Nicoletti nel 75. Un paio di pentiti di estrema destra hanno confermato che il giornalista aveva contatti diretti con ambienti della malavita romana. In ogni caso anche Cutolo aveva partecipato alla trattativa per la liberazione di Aldo Moro. quando era cominciata quell'avventura che lo avrebbe portato alla morte. nel periodo in cui il maresciallo era in servizio presso il supercarcere. Avvocati. L'ex leader BR. un amico di Turatello. a quanto sembra. all'epoca capo della Securpena. Una delle ipotesi è che proprio attorno a quella data si era avuta la certezza che Moro avesse risposto alle domande delle BR. Molte informazioni fornite da Buscetta sul sequestro Moro sono legate al periodo che trascorse nel carcere di Cuneo. Alberto Franceschini. una volta spariti quei documenti che erano per lui un'assicurazione sulla vita sia stato assassinato in carcere dal terrorista nero Pierluigi Conditelli: il killer del giudice Occorsio. nell'80. Anche chi scrive si è imbattuta per altre vie con uno spezzone di questa strana storia. la malavita avrebbe dovuto organizzare una rivolta nel carcere di Torino. Tentativi che si erano bruscamente interrotti attorno al 10 aprile. dove erano detenuti i capi BR in quel periodo sotto processo nel capoluogo piemontese. una settimana prima della messinscena del ritrovamento di Moro nel lago della Duchessa. Forse temeva che i contatti tra boss e terroristi non si sarebbero limitati alla liberazione di Moro: intuiva scenari diversi e destabilizzanti. una sorta d'intelligence che si occupava della sicurezza nelle carceri: era contrario al coinvolgimento della mafia nel sequestro Moro. a dare la caccia ai verbali dell'interrogatorio di Moro. nel corso di un'intervista mi rivelò di aver incontrato nel carcere di Bad'e Carrus.potevamo salvare la vita a Moro anche se furono loro a non volerlo? Se la prenda più comoda. Ma a opporsi al trasferimento fu proprio Dalla Chiesa. prendere in ostaggio i capi BR. di cui parleremo più avanti. a cercare di farlo trasferire a Torino. Non stupisce che questo gangster. C'è chi sostiene che da quel momento in poi Moro non poteva più essere salvato: la sua liberazione sarebbe stata pericolosa per gli equilibri politici. per poi procedere a uno scambio con Moro. Buscetta racconta che era stato Ugo Bossi. Il romanzo di Incandela non finisce con il ritrovamento del "salame" nel pozzetto adiacente alla sala . Per ottenere la liberazione dello statista. come confermano le intercettazioni telefoniche a suo tempo depositate agli atti del processo Moro. coinvolto a così alto livello nell'affare Moro. primo fra tutti Andreotti. proprio Francis Turatello. che gli aveva fatto una rivelazione mai venuta alla luce in nessuno dei tanti processi Moro. facendo gravissime rivelazioni e pesanti accuse ai compagni di partito. È stato lui a raccontare che in quel periodo era divenuto il quartier generale della "trattativa" segreta per la liberazione del leader DC. La certezza si fondava probabilmente sui verbali che Turatello era riuscito ad avere. Turatello spiegò a Franceschini: «La cosa mi sembrò pericolosa e dissi di non essere disponibile all'operazione». si goda la vita che si campa una volta sola. Durante la trattativa le attività furono molteplici. In quel periodo erano in molti. Nel frattempo era diventato vicecomandante dell'Arma dei Carabinieri. Negli anni successivi. Si tratta sempre della questione delicatissima dei documenti dattiloscritti che parlano del sequestro Moro e di Andreotti». Incandela lo aveva trovato che correggeva i compiti degli allievi ufficiali.. Perché Dalla Chiesa aveva incitato il suo collaboratore a comportamenti al limite dell'illegalità? Quali carte voleva che fossero ritrovate? Erano ancora pagine del Memoriale Moro. il generale era tornato nell'ombra. I sospetti di Dalla Chiesa Il generale Dalla Chiesa. visto che sei tu che ordini le perquisizioni. all'interno della quale vi erano a occhio e croce una quarantina di fogli. Ma non era soltanto una questione di carriera: quel pacchetto di fogli. ha raccontato ancora il maresciallo. Un suo . a quanto racconta ancora il fedele maresciallo. Poi il giorno dopo. quella parte dell'interrogatorio BR che nel '78 aveva tenuto per sé.colloqui. ma veri collegamenti operativi con un'unica centrale criminal-terroristica. nell'estate dell'81 lo convocò a Milano nel suo ufficio presso la Divisione Pastrengo dove lo aveva pregato di recarsi in tutta segretezza: Dopo alcuni convenevoli il Generale cambiando improvvisamente il tono dei discorso e fissandomi negli occhi mi disse: «Ma sei o no un maresciallo con i coglioni sotto?». doveva venire alla luce. Dalla Chiesa appariva preda di grandissima agitazione e.. Forse potevano essere nascosti in una cella. un ruolo che evidentemente gli andava stretto. disse: «Io ti consegno questo fascio di documenti e tu in qualche modo devi riuscire a ficcarli dietro lo sciacquone della toilette del refettorio dove si svolge buona parte della vita sociale dei detenuti. Dopo aver smantellato le Brigate Rosse. Quindi mostrandomi una busta gialla grande e aperta. si può servire la Patria anche in modi non propriamente legali. che stavo tradendo la sua fiducia. che se me lo avessero chiesto i servizi segreti mi sarei dato da fare. che aveva trovato nel covo di via Montenevoso e che Pecorelli non aveva potuto pubblicare.]. la madre della sua giovane moglie? Forse sì. Tra le sue mani ormai scottavano troppo. Stai bene a sentire quello che ti dico e quello che dovresti fare. Quindi aggiunse: «Stiamo scrivendo la storia: si può essere fedeli allo Stato in tanti modi. a dire della signora Setti Carraro. Quel giorno. Per la Patria si può e si deve rischiare quanto occorre e quando si hanno i coglioni [. «Il generale mi disse che lo avevo deluso. Il maresciallo Incandela nicchiò. anche dopo la morte di Pecorelli. Alla fine non se ne fece niente. Del contenuto di questo colloquio non ho parlato con nessuno prima della sua morte». disse che se avesse collocato i documenti dietro lo sciacquone la cosa non sarebbe passata inosservata. prima ancora di fare irruzione nel covo di via Montenevoso. disponi una perquisizione nei locali in modo che saltino fuori». ma Dalla Chiesa non era d'accordo. ma si trattava di un incarico onorifico. quando era andato a trovarlo alla caserma Pastrengo. sospettava l'esistenza di infiltrazioni all'interno delle Brigate Rosse: non semplici informatori. secondo Dalla Chiesa. quando il comando americano aveva infiltrato i gruppi partigiani comunisti. considerava le dichiarazioni di Viglione un depistaggio ispirato dalla Superloggia di Montecarlo. durante la Resistenza aveva aderito con la moglie Cecilia ai Comitati di Resistenza Democratica. Il generale aveva appuntato la sua attenzione in particolare sull'Organizzazione Franchi.stretto collaboratore. Un messaggio sui veri burattinai delle BR. Il messaggio di Viglione. Sogno s'infuriò sostenendo che i venti nuclei della "rete parallela" erano organizzazioni di tutto rispetto. diretta da Edgardo Sogno. Dalla Chiesa non prese neppure in considerazione l'ipotesi che il giornalista stesse raccontando la verità. che recentemente ha trovato conferma in una lunga intervista rilasciata da . il colonnello Niccolo Bozzo. medaglia d'oro al valor militare che nel periodo della liberazione aveva avuto rapporti diretti. dopo che aveva riottenuto l'incarico antiterrorismo. finanziate da FIAT. Dalla Chiesa pensava che questa struttura avesse avuto origine nel periodo della Resistenza. e tra le prime cose mi fu detto di approfondire l'ipotesi dell'esistenza di una struttura paramilitare segreta. «Sentirete parlare soltanto di Brigate Rosse». tornai alle dirette dipendenze del generale. per poterli eventualmente annientare alla fine della guerra. nata con funzioni antinvasione che aveva poi debordato in azioni illegali. che facevano capo proprio alla Franchi. perseguivano l'obiettivo di un ridimensionamento del PCI radicalizzando le attività dell'estrema sinistra. Confindustria. In realtà era avvenuto proprio quello che Miceli aveva annunciato al giudice Tamburrino: da un certo periodo in poi la «rete parallela» del Supersid non avrebbe più fatto ricorso all'estrema destra. Bozzo e il generale ne parlarono a proposito delle rivelazioni di Giancarlo Viglione. quella di Dalla Chiesa. un giornalista di Radio Montecarlo (poi finito sotto processo per tentata estorsione): un altro dei tanti "gialli" che costellano l'omicidio Moro. Chiamato in causa per il mancato golpe del 73. precisò Bozzo. Il procuratore Beria d'Argentine. di cui torneremo a parlare. antenato della CIA). aveva annunciato nel 74: e così fu. la cui testimonianza è agli atti del processo di Perugia. insospettabile per l'accusa che gli veniva mossa. «Ma era convinto che si trattasse di un messaggio che andava interpretato». con il comando americano e l'OSS (Office of Strategie Services. Un'intuizione. proseguendo nell'opera d'infiltrazione iniziata durante la guerra. Viglione raccontò di aver saputo che alle riunioni BR erano presenti politici e magistrati e tra questi a sorpresa indicò l'ex procuratore di Milano Adolfo Beria d'Argentine. ministeri della Difesa e degli Esteri. ha dato questa spiegazione: Nel settembre 78. di grande rilievo. anzi. andava interpretato in questo modo: le BR erano infiltrate da persone legate a centrali impegnate nella lotta al comunismo che. attribuito alla Rosa dei Venti. ma all'estrema sinistra. un ex partigiano comunista rifugiatosi per un certo periodo a Praga. dopo il rapimento del giudice Mario Sossi. lo stesso nome usato dagli agenti del Mossad per il servizio segreto). il motivo era che in quel gruppo praticavano il libero amore e facevano scambi di . di compilare schede informative su tutti i militanti delle BR e di consegnarle a Dotti. mai scoperto. come l'avevano soprannominato per la sua rassomiglianza con il falso rivoluzionario del film Queima-da. in cui il brigatista rivela l'esistenza di un livello superiore delle BR. Racconta ancora Franceschini che Simioni aveva creato una sua rete personale. con sua grande sorpresa l'Ingles. Fu allora che Mara confidò al marito che al suo posto avrebbe dovuto esserci lei. uno dei fondatori dell'Hyperion e membro nei primi anni Settanta del nucleo primitivo delle BR. e poco dopo fecero ritorno all'ovile Moretti e Gallinari che si erano allontanati dal Collettivo nel 71. Corrado Simioni. del quale facevano parte personaggi appartenenti a un ceto sociale elevato e in qualche caso anche a un certo circuito internazionale.ignara della liaison con Sogno. Quest'ultimo disse che aveva rotto con la "Ditta" (così Simioni chiamava la sua rete.moglie di Renato Curcio. il Collettivo Politico Metropolitano. ricordiamolo . con cui si era incontrata sulla Terrazza Martini di Milano: per scoprirlo. le BR fecero un'altra azione clamorosa: "perquisirono" lo studio di Sogno e fu lì che scoprirono un necrologio scritto dal generale e pubblicato dal «Corriere della Sera» a un anno dalla morte di Dotti. o così almeno raccontava. disse che l'avrebbe fatto ma ci voleva tempo perché i soldi erano in una cassetta di sicurezza in Grecia: «Noi impallidimmo. che era l'amante di Simioni. Simioni chiese a Mara . Come mai il denaro del Collettivo Politico Metropolitano era sotto la protezione dei colonnelli?». Dopo la rottura.Franceschini a Giovanni Fasanella su «Dagospia». durante il quale saltò in aria una donna. Quasi una confessione. Curcio e Franceschini andarono al cimitero e rubarono la foto dalla lapide. era in realtà legato ad ambienti NATO e aveva messo in contatto Mara Cagol con Roberto Dotti. dicendole anche che poteva rivolgersi a lui se c'era bisogno di denaro o di ogni altra forma di assistenza. Nel 74. A Mara Cagol venne il dubbio che potesse trattarsi della stessa persona. che fu poi ritrovata al momento dell'arresto da Dalla Chiesa e dal giudice Caselli. si chiesero Alberto e Renato. Simioni uscì dall'organizzazione senza battere ciglio. che negli anni Cinquanta era però diventato il braccio destro del generale Edgardo Sogno. denominata «le zie rosse» e Curdo nel 70-71 decise di rompere con lui quando scoprì che aveva reclutato a sua insaputa anche la moglie: accadde dopo un attentato in Grecia contro l'ambasciata americana. che non riuscirono a capacitarsi perché mai un siffatto reperto cimiteriale si trovasse lì. Franceschini chiese a Simioni di pagare i debiti con la tipografia. Un'operazione di intelligence molto sofisticata. la guerra dietro le linee. che nell'intento degli ideatori dovevano creare una situazione di instabilità e terrore per . Uno scenario molto simile a quello che aveva delineato Dalla Chiesa al colonnello Bozzo. raccontata da uno dei suoi capi. Noi ora lavoriamo sotto traccia per costruire una rete logistica molto forte. Può essere interessante a questo punto scoprire il significato di Gladio. il sindacalista di destra che per un certo periodo aveva indossato i falsi panni del magistrato militare per avvicinare gli ufficiali e convincerli ad aderire al progettato golpe attribuito a Sogno: Gladio. che sono la stessa cosa. Troppo tardi: pochi mesi dopo furono arrestati e l'organizzazione finì sotto il controllo di Mario Moretti. Molti appartenenti avevano il nulla osta Cosmic. che era diventato l'uomo di fiducia di Simioni e dell'Hyperion. noi la chiamavamo organizzazione X o anche Rosa dei Venti. Finalmente lui e Renato capirono: Simioni era un agente della CIA e avvertirono anche Adriano Sofri e altri dirigenti dei movimenti di sinistra. attraverso azioni provocatorie. fu concesso anche ad alcuni membri della Banda della Magliana e della camorra. Ma Franceschini sospettava che fosse stato proprio Simioni a convincerli a rientrare nelle BR. con infiltrati in tutte le organizzazioni del movimento e della sinistra. come vediamo. che viene rilasciato dall'alleanza atlantica. E quando arriverà il momento. le cui tracce si ritrovavano dietro molte inchieste. Il 74 era alle porte e l'Ingles gli aveva sempre detto: Nel 1974 ci sarà una grande crisi economica ed esploderanno forti tensioni sociali. Una convinzione che il 11. anche se i magistrati che per strade diverse finivano per scoprirle all'epoca venivano accusati di "cortiplottomania". rappresaglie e attentati. poi diventato il distintivo fascista degli aderenti alla Repubblica di Salò. Il "nulla osta Cosmic" era invece un lasciapassare molto serio e. una definizione soltanto italiana dello Stay Behind. Il Noto Servizio La strategia degli apparati Stay Behind consisteva dunque nell'istigazione alla violenza tra opposte fazioni di destra e di sinistra. La tesi di Dalla Chiesa era condivisa dal giudice Tamburrino. che a seguito della sua indagine sulle deviazioni del SID e sulla Rosa dei Venti era approdato alla stessa conclusione: «A un certo punto ho avuto la precisa cognizione che buona parte dei terroristi sia rossi che neri agivano su indicazione e suggerimenti dei servizi segreti». I membri dell'organizzazione Cosmic avevano il compito di infiltrarsi nei gruppi di destra e di sinistra in modo di accrescere la tensione e consentire all'esercito di intervenire. Questa la protostoria delle Brigate Rosse. Il nome Gladio si ispira all'antica arma che i romani usavano nelle arene. LIBRO NERO DELLA PRIMA REPUBBLICA giudice aveva rafforzato dopo gli interrogatori di Roberto Cavallaro.coppia. saremo in grado di innalzare il livello dello scontro. grazie al lavoro dei nostri uomini. non si sa per quale oscuro motivo. ma nella formazione di Fumagalli. nome di battaglia tedesco.. che a partire dal '69 aveva lavorato alla nascita dei Gruppi di Azione Partigiana. come sappiamo. la sorte dell'editore fu segnata dall'incontro con Carlo Fumagalli. i carabinieri avrebbero confrontato la mezza banconota con l'altra metà depositata nella cassaforte della sezione SAD del SID di Roma. una mezza banconota da mille lire e un pacchetto Astor imbottito di tritolo. uno strano «ex partigiano» che nel '45 era stato insignito dagli americani della stella di bronzo al valore militare. una delle tante formazioni di estrema destra che proliferavano in quel periodo di preparazione del golpe De Lorenzo: al fianco di Fumagalli c'erano gli ex partigiani della Valtellina. Il MAR. nome in codice di Feltrinelli. ma anche un buon numero di malavitosi comuni. nei primi anni Settanta. in tasca aveva la foto intatta della moglie e del figlioletto. dopo l'incidente occorso al compagno Osvaldo. L'aspetto più inquietante della morte di Feltrinelli fu che il traliccio dell'ENEL si trovava nei pressi di un capannone per la demolizione di veicoli industriali di proprietà di Fumagalli. Partigiano lo era stato. Non so perché ma si era convinto che far saltare tralicci ad alta tensione in Alto Adige fosse indispensabile per colpire l'enel e Fanfani». Soltanto dopo la rivelazione dell'esistenza di Gladio fu possibile capire che le "mezze mille lire" erano in realtà la chiave d'accesso ai depositi di armi dello Stay Behind: per il ritiro di pistole. che precede di alcuni anni il rapimento e . Alberto Franceschini mi raccontò: «Feltrinelli aveva progetti grandiosi e continuava a proporci finanziamenti. che in parte si ispiravano alle omonime formazioni della Resistenza e in parte all'esperienza "guevarista" e della lotta armata in Sudamerica. è una delle formazioni paramilitari che si celano dietro la sigla Noto Servizio. fucili ed esplosivo era necessario esibirle.]. Con Feltrinelli al momento dell'incidente c'erano due compagni: uno fu poi identificato in tal Gunther. Il pacchetto Astor al tritolo ricorda invece gli ordigni confezionati secondo le norme d'istruzione di un opuscolo militare della NATO. se combaciavano si potevano prelevare le armi. Una vittima di questa paura fu certamente l'editore Giangiacomo Feltrinelli. Gunther fu accolto in un nucleo delle BR dove militò qualche tempo prima di sparire con la cassa. che l'editore conosceva come operaio comunista ex partigiano. Questa premessa sulla nascita del partito armato.. ha finito per indirizzare la ribellione dei movimenti giovanili verso un'attività di lotta armata inizialmente giustificata come autodifesa. Quando fu ritrovato. Nel '62 aveva fondato il MAR. Fu proprio su un traliccio che il giovane editore incontrò la morte nel marzo 72. ma le sue proposte non ci convincevano [. Con queste credenziali. il tronco semicarbonizzato e le gambe amputate. La "paura del golpe". che consentì l'identificazione. In quale trappola era inconsapevolmente caduto Feltrinelli? Falliti i contatti con i futuri brigatisti.aprire la strada all'intervento militare. in un dossier che la Procura di Brescia inviò al presidente della Commissione Stragi Pellegrino. avevano imboccato la direzione giusta. come altri uomini di intelligence estranei a quel circuito. cui fece seguito per una sorta di legge dell'alternanza un ufficiale polacco del Patto di Varsavia. russi e bulgari. il giorno stesso dell'eccidio. che è spuntata per la prima volta nel '98. di cui nessuno fino a quel momento era a conoscenza. dopo la guerra aveva lavorato come meglio poteva per americani. che tra terroristi rossi e neri ci fosse una tale mutua assistenza? Dall'archivio del ministero degli Interni spuntò a sorpresa un documento che ricostruiva con precisione la storia di un'organizzazione supersegreta. che trovavano le loro origini nel periodo della Resistenza. Possibile. che avevano reclutato gli uomini degli apparati fascisti e nazisti: quelli che all'ultimo momento erano passati dall'altra parte. Wessilinoff (è bene tenere a mente questo nome perché ci torneremo). pur di diversa tendenza. il Noto Servizio era stato affidato nella prima fase al capo della polizia segreta di Mussolini. E il generale cominciò a sospettare che esistesse una centrale vera e propria che coordinasse le varie azioni terroristiche. aveva intuito che sotto la falsa specie di combattenti comunisti si muovevano. I giudici di quella città. scoprirono uno strano episodio di venticinque anni prima: il 28 maggio 1974. agente al servizio di molte bandiere. Ex collaboratore dei nazisti. Come si vede. La struttura era stata creata alla fine del conflitto da agenti angloamericani e sovietici. personaggi che perseguivano interessi del tutto opposti. Otimski. renderà più facile nelle pagine seguenti capire i retroscena dei mille misteri dei cinquantacinque giorni di prigionia. dallo strano nome di Noto Servizio. i sospetti di Dalla Chiesa sulle infiltrazioni all'interno delle Brigate Rosse. ma negli anni successivi si era trasformato in una sorta di Spectre nostrana attraverso la quale manovrare gli opposti estremismi. si erano chiesti i giudici. anche se sarebbero dovuti passare molti e . risultò poi affiliato alla Loggia Carnea di Santa Margherita Ligure e dedito con successo a pratiche esoteriche. vale la pena di ricordarlo. Dalla Chiesa. il brigatista Arialdo Bentrami si era rivolto a Ermanno Buzzi (il neofascista poi condannato come autore della strage) per avere una falsa carta d'identità. poi trasferitosi a Tel Aviv. Mario Roatta. fin dall'inizio la struttura nasceva all'insegna di contrapposte bandiere: lo scopo iniziale era quello di compiere operazioni speciali contro i nazisti. In segno di riconoscimento per la collaborazione offerta. Come vediamo.l'uccisione di Aldo Moro. in un territorio di confine con i servizi segreti occidentali. Una centrale. riaprendo le indagini sulla strage di piazza della Loggia. I magistrati di Brescia erano convinti che la struttura supersegreta avesse finanziato anche Carlo Fumagalli (sospettato per la strage del 74) attraverso l'ambigua figura del bulgaro Jordan Wessilinoff. a quattro giorni dalla strage di via Fani. Ma Andreotti avrebbe scosso la testa dicendo: «Ormai la cosa migliore è non fare nulla». al presidente del Consiglio. Insomma. Il testimone è un ex funzionario della Fiera di Milano. Questi gli avevano manifestato sfiducia nelle istituzioni. la . Un elemento in più per far tornare gli agenti sui loro passi e abbattere l'uscio. nell'ambito delle indagini sulla cellula supersegreta del SISMI. Michele Ristuccia. tanto che i francesi ottennero di misurare il cadavere per accertare che si trattasse proprio dell'ufficiale del SISMI. proseguirono come se si trattasse di un controllo di routine. Ma sembra che a suo tempo la morte di Titta provocò allarme nei servizi d'intelligence europei. la palazzina fu interamente perquisita dalla polizia ma gli agenti. asserendo di non aver trovato interlocutori interessati alla trattativa per liberare l'ostaggio.molti anni prima di riuscire a capire come potessero essersi realizzate. la quale approfittò dell'irruzione per inviare un'informativa al commissario della Pubblica Sicurezza Elio Cioppa (p2) . e avrebbe dato valutazioni negative sul possibile rilascio di Moro. per lo stretto riserbo in cui si sta svolgendo l'inchiesta del PM Ionta. ma evidentemente retrodatato visto che è stato stilato su fogli intestati «Dipartimento di Polizia». Molte dunque furono le segnalazioni attorno a via Gradoli. il cosiddetto Anello. dove abitava. Ma la polizia preferì fare irruzione nell'appartamento accanto. Tutti elementi che corroborano l'ipotesi che il covo di via Gradoli era "sotto osservazione". due giorni dopo il sequestro. il 21 marzo 1978. Invece erano andati lì perché. una definizione in vigore soltanto dall'81. tecnica che la giovane di origini egiziane aveva l'aria di conoscere bene. per una semplice coincidenza. avrebbe raccontato che l'esistenza di un covo in via Gradoli era nota al servizio segreto ed era stata segnalata dal colonnello Adalberto Titta. nell'82. Molto recentemente. un'informatrice del SISDE. furono in pochi a crederlo. morto d'infarto otto mesi dopo la conclusione del sequestro Grillo. e ai magistrati romani ha raccontato anche che Titta.nella quale affermava che la notte precedente i suoi vicini di casa (quelli dell'interno 11) l'avevano tenuta sveglia a causa di un'incessante attività di trasmissione in alfabeto morse. e invece non accadde niente. Tre giorni dopo. tre uomini e una donna. era un'ispezione mirata e non uno dei tanti controlli di quei giorni. Fatto certo è che il 18 marzo 1978. dopo aver suonato il campanello. Affermazioni di cui è difficile valutare l'attendibilità. tra il 16 e il 17 marzo. Che fosse un vero infarto. era giunta al ministero degli Interni una telefonata anonima che segnalava l'esistenza di un covo brigatista proprio in via Gradoli. aveva mantenuto contatti con alcuni brigatisti anche durante il rapimento Moro. responsabile della struttura. uno dei testimoni ascoltati dalla Procura di Roma.il suo punto di «contatto» con il servizio . Di quelle perquisizioni agli atti del processo Moro c'è un rapporto. giunti di fronte all'interno 11. Lucia Mobkel. il capo delle Brigate Rosse aveva scelto una zona che evadeva anche le più elementari regole di anonimato e sicurezza richieste per la sua attività. era ormai in costante contatto con Rocco Varrone e altri elementi della 'ndrangheta calabrese. data della clamorosa e pilotata scoperta della base brigatista. Insomma. E già nei primi giorni del sequestro fu informato che Moro andava cercato sulla Cassia: «Mi portarono all'incrocio di via Gradoli e mi sussurrarono: questa è la zona calda. Eppure Pecorelli. noto penalista romano. A provocarla. che era peraltro una via stretta e curva. come abbiamo visto. Il deputato DC "Benito" Cazora. che abbiamo visto molto attivo e addolorato per la sorte del Presidente. anche questa avvenuta in circostanze quanto meno singolari! La polizia fece irruzione in seguito a una perdita d'acqua che aveva allagato l'appartamento di sotto. collocata in modo da indirizzare il getto d'acqua verso una fessura del pavimento proprio per facilitare l'infiltrazione.occorre dare qualche altra informazione sul crescendo di segnalazioni che convergevano attorno alla base operativa. era stata la doccia. gli aveva detto che era rimasta colpita dal viavai di persone. comitati politici al limite della legalità.che s'intreccia con la macabra messinscena delle ricerche del corpo di Moro nel lago della Duchessa organizzata per quella stessa mattina . trovata nella vasca da bagno. che quella mattina erano usciti molto presto. Fu più difficile spiegare la presenza di una scopa. Anche l'avvocato Rocco Mangia. dissero. che abitava nella palazzina IMTCO. malavita sudamericana. l'agente (presunto) del KGB. quando gli scandali travolsero il SISDE. anche in ore notturne. ma solo per fare irruzione nell'abitazione di un militante di Potere Operaio. E per giunta l'ingegner Borghi. Prima di approfondire questo capitolo . era caduto in bocca al lupo affittando un appartamento la cui proprietaria era in qualche modo legata a Dario. alias Moretti. fino al 18 aprile. e aveva come vicina di casa una spia del sisde! Segnalazioni su via Gradoli hanno costellato tutta l'attività investigativa per oltre un mese. c'era un po' di tutto: sedi di copertura dei servizi segreti. E a quanto si scoprirà molti anni dopo.polizia tornò ancora in via Gradoli. Chiamai subito il questore. e dal continuo ticchettio della . Gli agenti. lasciata "sbadatamente" aperta da Moretti e Barbara Balzerani. proprio in quei giorni scriveva: «I capi delle BR risiedono in Calabria». Tutto questo si è saputo nel corso degli anni e delle indagini successive. avevano "saltato" soltanto l'interno 11. aveva segnalato i sospetti di una sua cliente al colonnello Varisco: la donna. proprio nel tentativo di scoprire la prigione. ma mi disse di aver fatto già controllare porta a porta quella strada senza alcun esito». che da quel momento si diede alla latitanza. ventisei appartamenti risultarono intestati a tre società di copertura del servizio segreto civile. Nel comprensorio della strada. Franco Manni. chiusa al traffico e con una sola uscita (quanto di meno adatto a una struttura clandestina). senza esclusione di colpi. che poi si scoprì essere quasi di fronte alla base (via Gradoli). Eppure se a via Gradoli la polizia fosse arrivata subito. il professor Alberto Ciò e un pranoterapeuta. E questo pur avendo Noretta Chiavarelli.macchina da scrivere (forse l'alfabeto Morse). giungendo alla conclusione che la prigione di Moro fosse proprio lì. l'intera vicenda Moro si sarebbe risolta diversamente. Era una battaglia sorda. Una clamorosa bugia! Quel nome sugli elenchi SIP c'era. che sussurrò il fatidico nome: «Gradoli. ma non potevano indicare la fonte. incomprensibili obiettivi. Ma la mattina del 18 aprile fu il primo ad arrivare sul posto e più tardi. Andreotti si limitò a fare questa considerazione: «Alla storia della seduta spiritica io non ho mai creduto: penso invece che qualcuno dell'Autonomia di Bologna abbia fatto filtrare la notizia. una persona assolutamente attendibile: Mi raccontò che in un garage. ci avviciniamo alla clamorosa conclusione di questo primo. c'era un'antenna collegata a un ponte radio che si trova nella zona del Lago della Duchessa. moglie di Moro.». La Bruna. ma inutilmente: finì per inviargli un'informativa di cui non seppe più nulla. Fu così che il 2 aprile qualcuno. spacciato per medium. Passo dopo passo. Varisco non sembrò dar credito alla segnalazione. finì sul tavolo del ministro dell'Interno. presidente dell'Organizzazione Internazionale Opus Christi. senza esito. telefonato di persona al questore De Francesco per fargli presente che poteva trattarsi di una strada: qualcuno le rispose che era stato tatto un controllo sulle pagine gialle. accompagnata da nomi così prestigiosi. Nel corso del processo. tentò di mettersi in contatto con il capo del SISDE Grassini (p2). L'informatore era Benito Puccinelli. Un paio di notti dopo la strage. anche perché in quei giorni erano in molti a sospettare dei vicini di casa. all'interno della DC e in ambienti cattolici. a quanto rievocò in seguito. quando in Tribunale incontrò l'avvocato Mangia. Ma poiché non c'è peggior sordo di chi non vuoi sentire. Tra i presenti c'erano Romano Prodi. La notizia che c'era una base BR in via Gradoli era praticamente di dominio pubblico. l'ormai noto Antonio La Bruna ricevette varie telefonate da Francoforte. decise di organizzare una «seduta spiritica». Gradoli. se Moretti fosse stato arrestato durante i primi giorni del sequestro. quando l'ennesima segnalazione sul covo BR. A chiamarlo era un suo ex collaboratore che in modo agitato lo sollecitava ad andare in via Gradoli: «Quelli che hanno rapito Moro stanno lì». se no l'avrebbero messo nei guai». lo rimproverò perché non era stato abbastanza insistente. Ne è convinto il giudice Rosario . L'antenna consente le comunicazioni con le colonne BR che operano al Nord. tra chi cercava di salvare Moro e chi inseguiva altri. cupo capitolo di misteri. anche se tutti coloro che si stavano adoperando per arrivare alla sua scoperta finivano per essere respinti... la polizia organizzò a colpo sicuro una spedizione nel paesino del viterbese di nome Gradoli. di portare a compimento il sequestro Moro senza ulteriore spargimento di sangue.. In un articolo dal suggestivo titolo "Diario dell'irreale assoluto". recuperò da un cestino di rifiuti di piazza Giuseppe Gioacchino Belli il Comunicato numero 7 delle Brigate Rosse in cui si annunciava «l'avvenuta esecuzione del presidente DC Aldo Moro. si andavano facendo al civico 11 di via Gradoli. frettoloso e recapitato in una sola città annunzia l'avvenuta esecuzione per suicidio di Aldo Moro [. Quel 18 aprile lo spettacolo fu davvero desolante: sotto l'occhio vigile delle telecamere.Priore. Mino scrive: Un volantino anomalo.. destinata a imprimere una forte accelerazione all'occulta strategia del sequestro. da una parte e dall'altra. sempre sotto i riflettori. il procuratore De Matteo.. Non aveva torto Pecorelli: quando gli agenti fecero irruzione in via Gradoli la scena che si presentò ai loro occhi. Per Pecorelli non c'erano dubbi: la «troppo inequivocabile scoperta del covo» e la scenografia della falsa esecuzione erano in evidente contrappunto. All'acqua gelata del Lago della Duchessa fa riscontro l'acqua corrente e dilagante della doccia di via Gradoli [. Il comunicato informava che il corpo del prigioniero si trovava impantanato nei fondali limacciosi del Lago della Duchessa. perché sicuramente si sapeva di via Gradoli.]. Tutta la storia d'Italia sarebbe stata diversa [.] e i poliziotti si sono trovati davanti a un inequivocabile riassunto dei connotati brigatisti del sequestro Moro.. Lago della Duchessa Mezz'ora dopo la scoperta del covo di via Gradoli. Non ci volle molto per rendersi conto che si trattava di un macabro depistaggio..800 metri di altezza. Da quel momento sembrò cessare ogni volontà.. mediante suicidio». il comandante dei vigili del fuoco Pastorelli. forse la storia del sequestro e delle Brigate Rosse sarebbe stata diversa. uno dei magistrati romani che istruì il processo Moro: Io torno spesso su via Gradoli proprio perché se noi vi fossimo giunti fin dall'inizio. Il comunicato era patentemente falso. del tutto improbabile se attribuita agli occupanti della casa. Invece è stata una disfatta enorme..].]. allertato da una telefonata anonima. alle nove e quarantacinque del 18 aprile 1978. come confermò a colpo d'occhio il capo della digos Domenico Spinella.. a 1. Ma al Viminale per qualche ora si ipotizzò che potesse essere autentico e questo consentì di allestire una mastodontica messa in scena. che andò in onda nelle ventiquattr'ore successive su tutte le reti TV. E qui passiamo all'altro evento [. la cui scenografia faceva da contrappunto alle mirabolanti scoperte che in quelle stesse ore. un redattore del «Messaggero». in località Cartore. rachitico. il vicecapo della Polizia Emilio Santillo s'inerpicarono sui monti innevati del Lago della Duchessa. le cui acque erano ricoperte da uno spesso strato di ghiaccio. con lo sguardo smarrito di chi non capisce cosa sta facendo. mostrò cassetti e armadi . In via Gradoli c'era lo stesso tipo di proiettili. sono proprio loro. il falsario della Banda della Magliana. Quando ormai fu evidente che quella al Lago della Duchessa era stata una sceneggiata. tenuti entrambi a lungo con tutti i complessi meccanismi. un pesante attacco di Moro a Paolo Emilio Taviani. dove il particolare che caratterizza armi e proiettili è il colore verdognolo del liquido antiruggine usato per proteggerli dall'umidità del terreno. proiettili disseminati dappertutto. mostrava di temere che fossero scese in campo altre entità interessate alla sua liquidazione dalla scena politica e anche "terrena". per la loro importanza: il ministero della Difesa e degli Interni..aperti. Il 10 aprile le BR avevano divulgato. Un deposito Gladio. quelli della strage di via Fani! Nella confusione non mancarono elementi di grande rilievo investigativo. l'attenzione si appuntò su una serie di significati simbolici attribuibili alla data o ad altri elementi .65. una decina tra mitra. La mutata strategia del sequestro Una settimana prima della provvidenziale perdita d'acqua all'interno 11 di via Gradoli erano accaduti fatti nuovi. che però furono lasciati cadere nel più totale disinteresse. Come quei proiettili 7. perché proprio questo è uno dei paragrafi ampiamente censurati del Memoriale. fucili e pistole sul letto. usato sia in via Fani che in via Tacito per uccidere Pecorelli. Il presidente DC segnalava gli importanti incarichi ministeriali ricoperti da Taviani tra cui.]. dello stesso tipo usato in via Fani: la perizia accertò che trentanove dei novantadue bossoli recuperati sul luogo della strage provenivano da uno stock di munizioni in dotazione a «forze armate non convenzionali». e fabbricate da Toni Chichiarelli. un calibro che non era più in fabbricazione) furono allegati alle false schede trovate nel borsello sul taxi. le sue affermazioni avevano creato il massimo allarme tra i pochi che erano in grado di capirne le reali implicazioni. con il comunicato numero 5. In ogni caso. dal canto suo.65 (per essere precisi 7.. evidentemente. La lettera concludeva infatti con quell'interrogativo che abbiamo già anticipato: «Vi è forse nel tener duro contro di me un'indicazione americana o tedesca?». due divise dell 'Alitalia mescolate a copie di comunicati e volantini BR lasciati in bella vista per facilitare le riprese televisive: ecco qui. Il prigioniero. In un appunto della questura di Roma datato 21 settembre 1978 è scritto: «Dagli esami effettuati dai periti risulta che le munizioni usate provengono da un deposito dell'Italia settentrionale. In entrambi gli incarichi ricoperti egli ha avuto contatti diretti e fiduciari con il mondo americano. le cui chiavi sono in possesso di sole sei persone». Lo stesso tipo di proiettili 7. Non sappiamo cosa altro abbia scritto Moro. centri di potere e diramazioni segrete che essi comportano [. considerato l'uomo degli accordi segreti con gli USA su Gladio e lo Stay Behind.62. niente deve essere nascosto al popolo» e facevano sapere che il Prigioniero aveva rivelato le turpi complicità del regime. Una vittoria schiacciante. E il Memoriale ritrovato. né clamorose rivelazioni da fare». coincideva con l'indicazione fornita precedentemente dall'informatore di La Bruna su quella misteriosa ricetrasmittente. Ma neppure questo è mai avvenuto. Il Lago della Duchessa.. La vita di Moro in cambio della liberazione di tredici brigatisti detenuti. Qualcuno vi legge un'allusione a una Duchessa romana. che. collegata all'antenna di via Gradoli. contraddiceva quanto affermato nel numero 5 [su Taviani] che concludeva con il trionfante annuncio: «Nessuna trattativa resterà segreta. Qualcuno voleva sottolineare la sconfitta comunista e far capire che quello era e doveva restare l'assetto definitivo del governo italiano? O voleva ricordare il debito di riconoscenza che i poteri forti dovevano avere nei confronti della DC e invitare a recedere dall'intento di destabilizzare il partito attraverso la diffusione delle rivelazioni di Moro nel Carcere del Popolo? Ogni ipotesi è possibile. non rivela quanto era stato anticipato. nelle due versioni. quello autentico.dell'agghiacciante scenografia allestita dai "manovratori occulti ". avrà un ruolo particolarissimo nel sequestro Moro. la strategia delle due parti in causa era cambiata. Ma le BR avevano raccolto il messaggio e posero il primo ultimatum: entro quarantott'ore si doveva procedere a uno scambio di prigionieri. delle clientele [. scriveva Pecorelli. prescelto per quella che Moro definirà «la macabra grande edizione della mia esecuzione». Ma perché proprio il 18 aprile? Il 18 aprile del 1948 la DC aveva vinto le elezioni confinando per i successivi trent'anni il PCI all'opposizione. di cui le BR avrebbero potuto usufruire. Quando il 20 aprile le Brigate Rosse mandarono il "vero" Comunicato numero 7. additato con fatti e nomi i veri e nascosti responsabili delle pagine più sanguinose della storia italiana. delle corruzioni. E concludevano: «Le informazioni in nostro possesso saranno diffuse attraverso la stampa e i mezzi di divulgazione clandestina delle organizzazioni combattenti». messo a nudo gli intrighi di potere.. Il volantino numero 7. le omertà che hanno coperto gli assassini di Stato.] della putrida cosca democristiana. indicato l'intreccio degli interessi personali. Nel Comunicato numero 7 la musica cambiava: «Non ci sono segreti che riguardano la DC. In mancanza di ciò il Tribunale del Popolo avrebbe proceduto all'esecuzione della sentenza. che aveva rassicurato gli americani e fatto recedere da ogni proposito di "separatismo" in Sicilia. In ogni caso. definirono l'operazione della Duchessa «una provocazione del potere» oltreché un tentativo d'interferenza nella gestione del processo a Moro. come vedremo fra non molto. . Dunque spostò l'attenzione su un altro oggetto di trattativa: le rivelazioni di Moro. la strategia del sequestro muta completamente. uomo di fiducia della mafia americana in Italia. La questione centrale diventa il Memoriale. aveva il suo nodo nevralgico nel carcere di Cuneo con la diretta partecipazione di boss mafiosi come Buscetta e gangster come Turatello e Bossi. Una trattativa che. come già sappiamo. Il consulente americano Steve Pieczenik.Qualche riflessione. fino a Cuneo per parlare a quattrocchi con quanti si stavano adoperando per liberare Moro: doveva fargli capire che in alto loco era stato deciso «che quell'uomo doveva morire». All'accelerazione posta dalle BR. il boss della 'ndrangheta che su mandato di Cazora stava cercando di individuare la prigione. Perché Moretti. per un motivo che solo recentemente ha spiegato: «Il mio compito era quello di convincere il governo italiano che sarebbe stato un errore trattare con le BR. se veramente voleva trattare. Per questo. Dopo il comunicato numero 5 e il trionfale annuncio delle BR che Moro stava pienamente collaborando all'interrogatorio. detto Tre Dita. facendo marcia indietro. decise di partire da Roma. l'attenzione si sposta dal problema della liberazione del presidente DC alla necessità di impedire la divulgazione di quello che Moro aveva rivelato: bisognava intercettare i verbali dell'interrogatorio. che fino a quel momento aveva collaborato con il Comitato di Crisi in qualità di esperto di sequestri. assicurando che Moro non aveva fatto alcuna rivelazione che meritasse di essere divulgata. tutti i tentativi messi in atto per la liberazione di Moro subirono un improvviso e autorevolissimo stop con l'intervento di Frank Coppola. Frank convocò anche Rocco Varrone. dove si trovava al soggiorno obbligato. ritenne necessario intraprendere un faticoso viaggio da Latina. oltre che cugino di quell'Agostino Coppola che abbiamo già incontrato all'inizio degli anni Settanta nella Loggia di Palazzo Giustiniani. Il boss. con la conclusione dell'interrogatorio e l'emissione della condanna a morte del prigioniero. Mentre Cutolo. che in più occasioni ha detto di aver saputo dalla Banda . Tornato a Latina. cioè il Memoriale. tentò di porre rimedio. Il vecchio Coppola gli ordinò di interrompere la ricerca: «Di' ai tuoi amici che i giochi sono finiti». anzi come recuperarlo. Dopo il comunicato numero 5 era evidente che non ci sarebbe più stata alcuna trattativa. dopo aver ricevuto conferma dell'interesse sul "secondo" ostaggio. Quel "partito" che voleva Moro morto C'è un altro segnale della mutata strategia del sequestro Moro. aveva fatto l'errore di scoprire le sue carte così presto? Ma si trattò davvero di un errore? Forse aveva capito che da parte del governo non c'era alcuna volontà di trattare sulla liberazione di Moro. fece da contrappeso la "ritirata strategica" della mafia da ogni trattativa segreta. dunque. Ebbene. benché anziano e malato. il mio compito era esaurito». si premurò di assicurare il silenzio in cambio di qualche contropartita. Nel Comunicato numero 7. nell'80. Pochi giorni prima si era svolta a Palermo una riunione della "Commissione" di Cosa Nostra. Ecco di nuovo quel "loro" che ritualmente torna al crocevia di ogni grande mistero. gli avrebbe fatto leggere in carcere: erano trascrizioni di telefonate mai fatte pervenire ai magistrati che si occupavano di terrorismo. ha raccontato al processo. il gangster che aveva cercato di spedirlo a Torino a trattare con le BR. poi si rivolse a Pippo Calò che era appositamente sceso da Roma. faciteve 'e fatte vuost'». Di questo almeno si sono convinti i giudici di Perugia. Ma certo a chiedere a Bontate di interessarsi della liberazione di Moro. Ma la notizia che il prigioniero stava collaborando con le BR e che gli stava rivolgendo gravi accuse. Ma Calò si mostrò guardingo e insofferente. latore di un messaggio di alcuni politici campani: «Don Rafè. Bontate fu evasivo. Al processo Pecorelli. Nelle sue parole c'è la conferma che Andreotti si era adoperato in una prima fase per salvare Moro. dove operava a stretto contatto con la Banda della Magliana. quale Piramide Superiore. Buscetta ha parlato delle intercettazioni che Ugo Bossi. non c'è stata occasione per spiegare chi fosse Ugo Bossi e per quale motivo abbia assunto nel carcere di Cuneo il ruolo chiave di gestire la trattativa tra malavita e . furono persino escluse dal processo sui rapimenti di persona in cui erano coinvolti i coimputati di Bossi. Il politico era Vitalone e Buscetta precisa: «Io non so se oltre a questo Vitalone ce n'è un altro. Ricordo una telefonata tra Bossi e un politico che diceva: «Sono loro che non lo vogliono liberare a Moro». ma il Vitalone della telefonata parlava come esponente politico della DC». ma non l'hai ancora capito che sono "loro" che lo vogliono morto?». «Ormai era "acqua passata". Alla fine sbottò: «Stefano. E anche qui la sua testimonianza s'incastra con quanto ha raccontato Buscetta sui tentativi da parte di Ugo Bossi di farlo trasferire nel carcere di Torino. quale entità nasconde questa allusione? Finora. non potevano che essere stati i Salvo e quindi Giulio Andreotti». anche se si tratta soltanto di una deduzione. ma non m'intendo di queste cose. Sappiamo quale credito abbia riscosso Mannoia presso i giudici d'Appello di Palermo. le telefonate furono escluse perché c'era qualcosa che riguardava i servizi segreti. Quando.della Magliana dov'era la prigione di Moro. Lo ha raccontato nel '93 Francesco Marino Mannoia ai giudici di Palermo. Chi sono "loro"? Quale cupola. Bontate illustrò le iniziative messe in atto. per chiedergli cosa intendesse fare: ne abbiamo già parlato. dov'erano reclusi i brigatisti rossi. lo avrebbe fatto recedere da ogni iniziativa. Masino uscì dal carcere e cercò di saperne di più su cosa era accaduto all'esterno durante il sequestro Moro. Spiegò Buscetta: «Se ho capito bene. ricevette la visita del suo luogotenente Vincenzo Casillo. in cui naturalmente si discusse del rapimento BR. la cosiddetta Cupola. quando nell'ambito del processo ad Andreotti si affrontò il capitolo dell'intervento della mafia nel rapimento Moro. Buscetta aveva una sua personale convinzione che ha riassunto così: «Calò faceva parte di un partito tutto suo. pare sia stato proprio un certo Ugo Bossi il ricettore di assegni. se lasciamo muovere i pezzi soltanto all'avversario la battaglia è persa. ovvero i corleonesi di Totò Runa. che ambienti industriali versarono al Grande Oriente d'Italia per finanziare iniziative volte a dividere le organizzazioni sindacali dopo i successi dell'autunno caldo. che non voleva Moro vivo. a schierarsi contro Bontate e i suoi progetti di salvezza fu in realtà l'intero schieramento corleonese. Quanto al ruolo di Calò.». venne invece ucciso nel settembre '81. E fu Calò l'ago della bilancia dei nuovi equilibri mafiosi: palermitano doc. fate un regolare rapporto incartato all'autorità giudiziaria. decise che era venuto il tempo di tradire la vecchia mafia per schierarsi con i viddani. Nel precedente paragrafo. Il PM romano si era evidentemente attivato per liberare Moro su indicazione di Andreotti. che voleva Moro vivo. culminato con le stragi di Capaci e via D'Amelio. Ma il fatto che il pentito abbia posto l'accento sul ruolo di Calò sta a significare che il movente della decisione andava cercato nella linea indicata dai referenti romani del boss. . dovrebbe trattarsi di Claudio. L'idea sembrò piacere a Cossiga. e non del fratello Wilfredo. io avevo detto a Cossiga (all'epoca ministro degli Interni): chiamate i servizi. ispirata da una proposta di Vitalone che lui stesso ha poi svelato: Sì. capofamiglia di Porta Nuova. che fa l'avvocato. inventate qualcosa che li costringa a cambiare soggetto. capii che qualcuno aveva messo in atto la mia idea e rimasi molto stupito». Tra il 70 e il 72. ero convinto che bisognasse recare un'opera di disturbo alle Brigate Rosse. Ecco. E questo avrà un riflesso anche sui delitti politici di Palermo. Un agguato che segnò la fine di un'era e l'inizio di un nuovo ciclo mafioso. mentre era solo alla guida della sua auto. capeggiato da Totò Riina. Le sue storie giudiziarie lo mostrano legato sia a Francis Turatello che a Cutolo e a Frank Coppola. il magistrato coinvolto con Andreotti nel processo Pecorelli. Bontate. ma da altre vicende appare chiaro che godesse di un autonomo prestigio che sembrava discendere dai suoi rapporti con la massoneria. a uscire vincente dalla guerra di mafia fu proprio "il partito che voleva Moro morto".. ho omesso un particolare: la fantomatica messinscena del Lago della Duchessa fu.. Se stiamo fermi di fronte alla scacchiera non succede niente. ma Vitalone non ne aveva saputo più niente: «Quando ho visto che il messaggio BR era falso. la notte del suo quarantunesimo compleanno. a lui intestati. Quanto al Vitalone menzionato da Buscetta. quello di Totò Riina.Brigate Rosse. Insomma la "ritirata strategica" di Cosa Nostra dall'affare Moro non sembra una decisione autonoma: piuttosto il risultato di pressioni e interessi molteplici. almeno in parte. Due anni dopo. Nel corso della riunione della "Commissione". I giudici di Palermo hanno chiesto ai pentiti, e in particolare a Giovanni Brusca, che per un certo periodo tenne i rapporti tra Riina e i cugini Salvo, come mai i corleonesi nella guerra di mafia avessero risparmiato sia i cugini di Salemi che lo stesso Lima, legati al vecchio schieramento. La risposta fu che erano troppo preziosi per i loro rapporti con Andreotti e la possibilità di intervenire a Roma, direttamente, su questioni di interesse mafioso. Furono salvati per tentare di instaurare quegli agganci con la politica che i corleonesi non avevano, ma di cui la mafia non poteva fare a meno. È un altro dei tanti teoremi sostenuti dall'accusa contro Andreotti. Un teorema in parte caduto con l'ultima sentenza: i giudici d'appello di Palermo ritengono che i corleonesi non avessero un loro "referente" in grado di dialogare con Andreotti: Lima e i Salvo non erano affidabili e Ciancimino non era all'altezza. E infine Andreotti non era più disponibile: aveva capito quanto fosse pericolosa la mafia! Falcone, negli ultimi tempi, usava ripetere una frase che è stata spesso equivocata, o forse volutamente equivocata, come spesso gli accadeva: «E la mafia ora a comandare la politica, è lei che impone le regole perché è più forte». C'è chi lesse in queste parole una sorta di "assoluzione" della politica da parte del giudice. Falcone aveva invece intuito come il coinvolgimento dei boss da parte dei poteri forti nei misteri e nelle trame di Stato avesse dato spazio a manovre di ricatto che avevano finito per invertire i rapporti di forza, rompendo quel tacito patto tra DC e mafia sancito nel '48. Nel Carcere del Popolo, mentre lo Stato (e la mafia) facevano un passo indietro, allontanandolo dalla salvezza, Moro sembrava perfettamente informato di quello che accadeva all'esterno, sapeva che più nulla poteva sottrarlo alla morte e che gli spazi di trattativa per la sua liberazione si erano del tutto chiusi; in una lettera alla moglie, il 5 maggio scrive: Mia dolcissima Noretta, credo di essere giunto all'estremo delle mie possibilità e di essere sul punto, salvo un miracolo, di chiudere questa mia esperienza umana. Gli ultimi tentativi, per i quali mi ero ripromesso di scriverti, sono falliti [?] Non sembra ci sia via d'uscita. Mi resta misterioso perché è stata scelta questa strada rovinosa, che condanna me e priva di un punto di riferimento e di equilibrio. Già ora si vede che vuoi dire non avere una persona in grado di riflettere. Questo dico senza polemica, come semplice riflessione storica [...] pacatamente dirai a Cossiga che sono stato ucciso tre volte, per insufficiente protezione, per rifiuto della trattativa, per la politica inconcludente, cosa che in questi giorni ha eccitato l'animo di coloro che mi detengono. Via Montalcini, la presunta prigione La scoperta del covo di via Gradoli avrebbe avuto, come immediata conseguenza, il trasferimento di Moro in un'altra prigione. Questa almeno era la voce che circolava in quei giorni e che trova riscontro nelle indagini. «Questi calabresi dissero che il 18 aprile lo statista fu spostato da una prigione all'altra. Prima sarebbe stato tenuto sulla Salaria, a Vescovio, in un covo scoperto soltanto nel 79. Poi durante la farsa del Lago della Duchessa lo avrebbero portato alla Magliana», è ancora Cazora che parla. Le sue fonti, infatti, gli avrebbero indicato una prima prigione, successivamente identificata con un casolare attrezzato per i sequestri di persona. Il covo fu scoperto il 21 luglio 1979 a Piani di Vescovio, in provincia di Rieti;ma si riuscì a provare soltanto che la base era frequentata da militanti dei COCORI, i Comitati Comunisti Rivoluzionari, un gruppetto della galassia eversiva romana. Non è ben chiaro se, a dire dei "calabresi", il trasferimento fosse in qualche modo coordinato alla duplice messinscena del 18 aprile o più semplicemente accelerato, per timore che la prigione venisse scoperta. Resta il fatto che, a un quarto di secolo da quei terribili giorni, è ancora un mistero quale sia stata la prigione dove lo statista è rimasto per ben cinquantatré giorni. O le prigioni, se vogliamo seguire la mappa dei sassolini disseminati lungo il percorso da seminatori ignoti, al puro scopo di confondere le acque. Anche i giudici di Perugia esprimono il rammarico di non aver potuto scoprire la prigione del presidente DC. Al momento ci occuperemo della prigione presunta, quella in via Montalcini, su cui alla fine è stato "aggiustato"un pateracchio giudiziario il cui scopo era evidentemente quello di distrarre l'attenzione dalla prigione vera. Dal punto di vista della nostra storia (che non è la ricostruzione del delitto Moro, ma dei riflessi che questo ha avuto nella vicenda processuale di Andreotti), la prigione assume un ruolo molto importante perché, secondo Pecorelli, Dalla Chiesa l'avrebbe scoperta. E con essa il santuario dov'era custodita una verità terribile per le sue implicazioni politiche e per la sicurezza del paese. Un segreto "inconfessabile", che il generale forse tentò, qualche mese dopo, di utilizzare per garantirsi la sopravvivenza. A Roma, nella zona della Magliana, in via Montalcini 8, interno 1, c'è un appartamento al primo piano con pesanti inferriate alle finestre e un giardinetto. La prigione dei misteri è in quest'anonimo palazzo della periferia romana. Nonostante le contraddizioni dei brigatisti e le molteplici, negative testimonianze dei funzionari dell'uci GOS che avevano controllato la zona durante il sequestro, che la prigione Moro sia questa è ormai una certezza giudiziaria blindata. Ma di fatto è una certezza molto labile, visto che, quando è stato finalmente individuato, l'appartamento era già stato venduto e ristrutturato, e con la "cella" interna era stata cancellata ogni possibile prova. Della prigione alla Magliana si cominciò a parlare nel giugno '78, un mese dopo la morte di Moro. La signora R, che abitava al secondo piano di via Montalcini, era da molti giorni insonne e agitata. La mattina del 9 maggio, scendendo nel garage, aveva intravisto il parafango di una vettura che le sembrò quello di una Renault rossa con a fianco due uomini. Altri segnali l'avevano convinta che all'interno 1 si nascondessero ancora indisturbati gli assassini di Moro. Quando in televisione apparve una Renault, con il cadavere di Moro nel bagagliaio, la donna fu colta da un sospetto che finì per contagiare anche i vicini di casa. Fu così che si confidò con un parente, l'avvocato Mario Martignetti, che a sua volta si rivolse a un autorevole amico, il ministro per il Mezzogiorno Remo Gaspari, democristiano, che a sua volta ritenne opportuno informare Virginio Rognoni, da pochi giorni subentrato ad Andreotti nell'incarico di ministro degli Interni che il presidente del Consiglio aveva ricoperto ad interini per circa quaranta giorni. A proposito, i malvagi sostengono che tutti i documenti raccolti dal Comitato di Crisi nei cinquantacinque giorni del sequestro Moro sparirono proprio in questo interregno. Il ministro Rognoni prese in considerazione la segnalazione. Questa un fondamento in effetti l'aveva: l'appartamento era di Anna Laura Braghetti, una studentessa che all'epoca risultava schedata come estremista di sinistra; si scoprirà poi che faceva parte delle BR. Rognoni affidò all'uciGOS le indagini, ma un mese dopo andò a trovarlo Dalla Chiesa, che si aggirava per le stanze del Viminale cupo e meditabondo, soprattutto disoccupato. L'UCIGOS non aveva scoperto granché, così Rognoni fu fulminato da un'idea: «Tempo fa c'è stata una segnalazione interessante, perché non te ne occupi tu?». È una versione ufficiosa, forse data per giustificare quello strano incarico a Dalla Chiesa che in quel momento non rivestiva alcun ruolo ufficiale, anche se di lì a poco avrebbe riottenuto le redini dell'Antiterrorismo. Naturalmente all'uciGOS, ufficio diretto da Umberto Improta, s'infuriarono, ma sono cose che accadono nelle migliori famiglie. Il problema è che sulla zona della Magliana si erano nell'ultimo mese coagulate troppe voci convergenti e ora si aggiungevano anche i sospetti dei vicini di casa: tutto congiurava per rendere credibile la pista della prigione in via Montalcini. Fu così che Dalla Chiesa all'inizio di agosto andò in quello stabile, interrogò tutti gli inquilini, ma si fermò di fronte alla porta chiusa dell'incensurata Braghetti. Gli inquilini non l'avevano più vista: era estate, la studentessa poteva essere in vacanza, insomma nessuno si assunse la responsabilità di abbattere l'uscio, neppure il generale. Strano, perché i controlli non avevano risparmiato privati cittadini, meno sospettabili di Anna Laura. Alla fine di settembre, l'indagine fu conclusa con un rapporto che venne misteriosamente retrodatato alla fine di agosto: «Nulla di sospetto in via Montalcini». E il generale riebbe la nomina di capo dell'Antiterrorismo. Il 4 ottobre, Anna Laura Braghetti fece fagotto, smantellando la prigione, se mai c'era stata. In ogni caso pannelli insonorizzati, telecamere, video a circuito interno e quant'altro facesse parte della "struttura" non sono stati mai più trovati. Quando arrivò il camion dei traslochi, un inquilino telefonò all'uciGOS per dare l'allarme. «Spiacente, non siamo più noi a occuparci dell'indagine», rispose piccata una funzionaria. Moretti, il capo delle "vere" BR Di via Montalcini nessuno più si occupò per almeno un paio d'anni. L'appartamento fu venduto e nell'82 quando Imposimato, condotto lì da Valerio Morucci, suonò finalmente quel campanello, trovò all'interno soltanto due anziane signore che avevano completamente ristrutturato l'immobile. Morucci, il postino delle BR, che fino a quel momento aveva detto di ignorare dove il commando avesse portato Moro dopo l'agguato in via Fani, improvvisamente fu in grado di offrire un'indicazione precisissima. Di tutta questa storia non restavano che un paio di rapporti di polizia e la certezza che l'appartamento fosse appartenuto ad Anna Laura Braghetti. Nessuno dei vicini aveva mai incontrato Prospero Gallinari, indicato come il «carceriere» fisso dello statista, e neppure Moretti. Il primo non sarebbe mai uscito dall'alloggio durante i cinquantacinque giorni, l'altro raccontò di essere andato in via Montalcini quasi ogni giorno: «Ma entravo in ore in cui nessuno poteva incontrarmi». Quali prove abbiamo oltre ai sospetti degli inquilini e alla parola dei dissociati? Nessuna, in verità. Se non che nella sua autobiografia, affidata alla penna di due giornaliste, Carla Mosca e Rossana Rossanda, Moretti fornirà una versione inedita della pagina più tragica del sequestro Moro assumendosi la paternità dell'esecuzione: «Sono stato io a sparargli», ha detto scagionando definitivamente Prospero Gallinari. Il capo delle Brigate Rosse ha confessato "privatamente" quello che non aveva mai voluto raccontare ai magistrati, ovvero l'intera sequenza dell'omicidio Moro, a suo dire avvenuto nel garage di via Montalcini. Fino a quel momento, ben quattro processi si erano basati sul teorema che l'esecutore materiale fosse Prospero Gallinari, il migliore dei possibili killer, il più autentico dei brigatisti storici, il più adatto al copione di un rapimento interamente gestito dalle BR. Moretti raccontò di aver sparato quando Moro era già sdraiato nel bagagliaio della Renault rossa, alla presenza dei soli Gallinari e di un terzo brigatista che più avanti si rivelerà essere Germano Maccari. Neppure a un professionista del crimine o a un delinquente abituale sarebbe stato facile sparare a sangue freddo a un uomo con il quale si era condivisa un'esperienza tanto drammatica: era stato proprio Moretti a raccontare di essere stato l'unico interlocutore del presidente DC durante i cinquantacinque giorni. La cupa scenografia del delitto che ci ha consegnato il capo delle BR per tanti motivi non è considerata veritiera: i periti hanno sempre affermato che a infliggere il colpo di grazia era stato un secondo sparatore. Moretti afferma invece di aver cambiato arma, passando dalla mitraglietta Scorpion a una pistola calibro 9 lunga. E dice, particolare importante, che tutte e due le armi erano munite di silenziatore. La Braghetti, chiamata in seguito a confermare la versione, ha fornito altri dettagli: «Io non sono scesa nel garage, ma ho sentito distintamente sparare un paio di colpi d'arma da fuoco, mentre ero in casa». Come poteva Anna Laura Braghetti udire i due colpi di pistola, mentre si trovava nell'appartamento al piano superiore, se le armi erano state silenziate? La brigatista in realtà è stata costretta ad attenersi al risultato della successiva perizia, secondo la quale due dei nove colpi erano stati sparati senza silenziatore. Il rischio delle rivelazioni postume, quando troppi dettagli sono noti, è che qualche volta il rammendo rivela che si tratta di verità concordate. Le perizie affermano anche che Moro sarebbe stato ucciso in un'ora successiva a quella indicata dalle BR, ed era in piedi, non sdraiato all'interno della Renault. Moretti, il capo "visibile" delle vere BR, potrebbe essere stato costretto a coprire, nel tragico epilogo, un compagno di cordata di quel "partito invisibile" la cui ombra affiora costantemente soprattutto nell'ultima fase del sequestro. Ma chi ha deciso che Moro doveva morire? Anche a questa scelta Moretti, che si presentava alle riunioni con i comunicati già scritti, afferma di essere approdato da solo. Dice Valerio Morucci: «Se il 30 aprile, quando si riunì il Comitato in Toscana, la telefonata non era ancora stata fatta [quella che annunciava l'avvenuta sentenza di morte], allora vuole dire che è stata presa dal Comitato». I brigatisti della Direzione Strategica si erano limitati a ratificare una decisione che veniva presentata dal capo delle BR come l'unica possibile, benché Morucci e Faranda si fossero dichiarati contrari all'esecuzione e all'esterno i leader dell'autonomia capeggiassero la rivolta nelle assemblee per scongiurare il delitto. Da chi prendeva ordini Moretti? Non ho mai pensato che il capo delle BR fosse un infiltrato, un avventuriero e tantomeno un imbecille. Era solo il capo delle "vere" Brigate Rosse, cadute in una trappola alla quale non erano riuscite a sfuggire. E forse questa trappola si chiamava Hyperion. Il "quarto uomo" Sul citofono di via Montalcini compariva, accanto al nome della Braghetti, anche quello dell'ingegner Altobelli. Per anni, attorno alla misteriosa identità del coinquilino si è andata costruendo la leggenda del "quarto uomo", dietro il quale si celava quel misterioso personaggio di cultura e preparazione superiori che avrebbe condotto l'interrogatorio di Aldo Moro. All'inizio degli anni Novanta, grazie alla testimonianza di Adriana Faranda, si scoprì che Altobelli era in realtà Germano Maccari, un nome fino a quel momento rimasto nell'ombra. All'inarca nello stesso periodo, Moretti, nell'autobiografia, associò Maccari alla fase esecutiva del delitto Moro: era lui l'altro uomo che, senza sparare, aveva presenziato alla fucilazione dello statista; poi in compagnia di Moretti si era accodato al corteo funebre diretto dalla Magliana a via Caetani. A dire la verità, la biografia di Maccari, non è esattamente quella di un brigatista doc: borgataro, al momento dell'arresto viveva di espedienti. In anni giovanili aveva bazzicato ambienti estremisti, ma non risulta abbia mai fatto parte organicamente delle BR. Molto probabilmente era un amico della Braghetti e per un certo periodo aveva condiviso con lei l'appartamento assumendosi anche l'onere del contratto della luce: la perizia calligrafica risultò positiva. Dirò subito, per sgomberare il campo dagli equivoci, quello che penso: Maccari era certamente il signor Altobelli, ma non il quarto uomo. Risulta che via Montalcini, non molto tempo prima del sequestro Moro, fosse una delle tante case dell'autonomia romana frequentate dai "compagni" del movimento. Erano in molti a partecipare alle riunioni che ogni tanto si facevano lì, ma anche ad andarvi a cena per una pizza in compagnia. Molto probabilmente Maccari ci abitò per qualche tempo: ma proprio questa circostanza rende molto difficile credere che Moro possa essere stato tenuto prigioniero in un ambiente come questo, noto a moltissimi. Anche il giudice Rosario Priore di recente ha avanzato dei dubbi sul fatto che via Montalcini fosse la vera prigione: Bisogna riesaminare l'autopsia di Moro. Gli esami peritali hanno escluso che il presidente DC possa aver alloggiato in un luogo tanto angusto per cinquantacinque giorni, come quella cella due metri per due di cui ha parlato la Braghetti. Il prigioniero, certamente, aveva a disposizione uno spazio abbastanza ampio da stare in piedi e camminare: i suoi muscoli erano in stato soddisfacente, il suo aspetto curato, come quello di chi ha la possibilità di fare una doccia. Del resto, molto confuse sono state le testimonianze dei tre brigatisti anche sull'arrivo di Moro in via Montalcini; il quarto, Gallinari, per fortuna non ha mai parlato. Secondo Moretti, sarebbe stata addirittura la Braghetti da sola a caricare in auto la cassa con l'ostaggio e a guidare fino a casa. Lei, poveretta, smentisce: dice di aver pazientemente atteso i compagni, seguendo l'esito del rapimento in televisione, e di essere andata loro incontro quando ha sentito arrivare la macchina. Per primo sarebbe sceso Maccari, il quale sostiene invece di essere arrivato da solo, a piedi. Anche Pecorelli sentiva puzza di bruciato nella storia del quarto uomo e, anche se all'epoca a nessuno era ancora venuto in mente di indicare Maccari, qualcuno ne aveva già fatto l'identikit: «Un'equipe di esperti ha analizzato il testo del messaggio consegnato dalle BR. L'autore dello scritto è un italiano», scriveva Mino il 28 marzo 1978, «l'uomo, probabilmente il cervello delle BR, è di intelligenza e di conoscenze superiori alla media, estremamente lucido nel pensare come nell'agire. Confrontato con alcuni testi prodotti da Renato Curcio, il messaggio dei rapitori di Aldo Moro presenta un linguaggio più evoluto, consapevole di più ampi scenari politici, economici e militari». Una delle sue solite azzeccate premonizioni. Poco tempo dopo, quando cominciarono a circolare i nomi di Patrizio Peci e Alvaro Loiacono, il quale, a quanto pare, era in effetti in via Fani anche se all'epoca aveva poco più di diciotto anni, Pecorelli, con il suo tipico sarcasmo, scriveva: «Cultura superiore, quoziente intellettuale altissimo, estrazione medio borghese, tale da far presumere trattarsi del vero cervello delle BR, età presumibile: diciotto anni». Sull'equivoco iniziale, Altobelli - cervello delle Brigate Rosse - si era giocato troppo a lungo e per una mirabile geometria delle rivelazioni, lo stesso giorno in cui il pentito Morabito, nel '92, disse che in via Fani c'era il boss Nirta, l'ex brigatista Adriana Faranda, pur con qualche rimorso, fece finalmente il nome dell'ex militante dei FAC, un gruppo terroristico minore. Il povero Maccari all'inizio ha negato ogni coinvolgimento, poi improvvisamente ha accettato di calarsi nei panni del "quarto uomo", anche se non sempre la sua interpretazione è risultata convincente. Fin quando, nel 2002, un infarto lo ha stroncato di notte, in una cella di Rebibbia dove dormiva da solo, un paio di mesi dopo la conferma della condanna a ventisei anni di reclusione che lo avrebbe tenuto in carcere per molto tempo. I giudici non avevano considerato il suo "tardivo" pentimento di tale rilevanza da concedergli più sostanziosi sconti di pena; le cose che aveva raccontato non aggiungevano nulla a quanto già detto da altri collaboratori. Se Maccari aveva ricevuto delle promesse, queste non erano state mantenute. È morto portando con sé il suo segreto, se mai ne ha avuto uno. Decreto Nomine Qual è stato il vero ruolo di Dalla Chiesa in questa vicenda? Il suo comportamento in quel periodo è un vero rebus. Il rapporto con il quale archiviò l'indagine su via Montalcini era datato alla fine d'agosto, in coincidenza con la nomina che lo reintegrava a capo dell'Antiterrorismo. Ma uomini della sua squadra continuarono a interrogare gli inquilini anche nei primi giorni di settembre. Scriveva Pecorelli che Dalla Chiesa applicava il principio «meglio la gallina domani, che l'uovo oggi»: preferiva non intervenire subito, per fare poi un colpo più grosso. Ma in via Montalcini «la gallina domani» non funzionò e la Braghetti fu libera di traslocare, nonostante le telefonate dei suoi sospettosi condomini. L'unica spiegazione è che Dalla Chiesa sia intervenuto non per scoprire il covo, ma per mettere tutto a tacere. Lui sapeva benissimo che la vera prigione di Moro era un'altra, e non sarebbe mai stata trovata. Quella base alla Magliana poteva anche essere "congelata" a futura memoria! Nel luglio 78 la Braghetti non ci viveva già più; ma davvero si può immaginare che nessuno dei tanti spioni dei vari apparati, che si sono affollati attorno a quell'appartamento, abbia sentito la curiosità di fare una capatina all'interno? La verità è che non c'era niente di interessante: anzi, se avessero fatto irruzione sarebbe sfumata la possibilità di offrire una soluzione postuma al problema della prigione, visto che era "impossibile" scoprire quella vera. Che Anna Laura facesse pure il suo trasloco! E torna alla mente l'appunto trovato sul block-notes di Pecorelli: Senato. ci rendiamo conto che il ritrovamento del Memoriale era l'ultimo anello di una lunga serie di intrighi di cui il generale era ormai depositario.che aveva previsto il "suicidio" del generale Amen senza sapere che lo avrebbe preceduto nella sua tragica sorte. È stato proprio Andreotti a confermare di recente. Il senatore. la mafia e i servizi Le indagini attorno alla presunta prigione di via Montalcini si svilupparono dunque nell'arco di tre mesi. In quella situazione caotica. Il 31 agosto. E negli ultimi tre giorni circolò anche insistentemente la voce che le Brigate Rosse. nel caso di Moro. Dalla Chiesa. Padre Zucca è sempre stato uomo di intelligence: alla fine della guerra trafugò la salma di Mussolini. Anche al giornalista riusciva difficile raccapezzarsi. Una morte annunciata da Pecorelli. a partire da quel blitz che avrebbe dovuto consentire la salvezza dello statista con un atto di forza senza dover trattare con i terroristi. nel venticinquesimo anniversario di via Fani. tra l'inizio di luglio e la fine di settembre del 78. la scoperta del covo di via Montenevoso a Milano avvenne invece nella prima settimana di ottobre. recentemente. Ed è lì che Dalla Chiesa trovò le "carte segrete". non fossero più in grado di gestire l'ostaggio e l'avessero ceduto alla malavita organizzata e che la trattativa fosse passata dal piano politico a quello economico.. un'illusione che lo ha accompagnato fino alla morte.. Cose grosse si muovono nel campo delle Brigate!». uno dei nomi che compaiono nella misteriosa struttura Anello. Ma. alla quale mostrano di credere i giudici di Perugia.. la stessa data del rapporto su via Montalcini. Come aveva fatto? Il mancato blitz. stando a quello che afferma Pecorelli. . chi si oppose e per quali motivi? Nell'ultima fase del sequestro..]. Dalla Chiesa si era reso conto che era in gioco il suo onore.«Dalla Chiesa. sotto assedio. Se ci addentriamo nei meandri di questa ricostruzione. del resto. Decreto Nomine firmato dal 318 [. mentre la sicurezza dello Stato doveva apparirgli sull'orlo dell'abisso. dopo il 18 aprile. Non è una storia nuova: all'epoca si parlò di cinque miliardi. s'intravede la scesa in campo dei servizi segreti. Forse per questo molte delle sue azioni appaiono incomprensibili all'esterno. Dalla Chiesa aveva chiuso i suoi segreti in una cassaforte mentre il giornalista andava spifferandoli ai quattro venti: il gioco si era fatto insostenibile. che il Vaticano era pronto a pagare il riscatto. il generale americano James Lee Dozier fu liberato dai NOCS senza troppi problemi. Anche se dopo via Montalcini si era illuso di poter vincere il nemico scendendo a patti con esso. era tornato a capo dell'Antiterrorismo. forse anche la sua pelle. ha invece rivelato che si trattava di cinquanta miliardi. un blitz che Dalla Chiesa era pronto a compiere. diavolo di un uomo. In questo capitolo cercheremo di gettare qualche luce sugli ultimi segreti del rapimento Moro. e a quel che si è riusciti a capire avrebbe dovuto consegnarli padre Enrico Zucca. Appena due anni dopo. prima di unificare nelle mani di un tecnico dell'Antiterrorismo.. Perché non lo si è chiamato dopo la strage di via Fani. forse gli ultimi tre giorni. commentò: Era noto a molti che Dalla Chiesa aveva conservato canali privilegiati. vogliono aprirsi per esprimere il De Profundis. Paolo VI giunse a scrivere una lettera «agli uomini delle Brigate Rosse».. informazioni e contatti avviati a suo tempo. Nulla in Italia sarà più come prima. ai berretti e agli appartamenti permetterà di mettere al fresco molta . e so che lo fece. Il 9 maggio a Paolo VI non restò che recitare la preghiera finale: «Ed ora le nostre labbra. Poi. perché così si continuava a eludere il movente "politico": nessuno era davvero interessato a capire "perché" Moro era stato rapito e ucciso. se la mafia non c'entra». Il giornalista considerava un bluff tardivo il reincarico a Dalla Chiesa. Ma qualcuno suggerì al papa di aggiungere due parole alla fine della lettera: «senza condizioni». Il reincarico a Dalla Chiesa era stato accettato solo a patto che esso escluda la pista politica e correndo dietro alle borse. Come peserà la mancata salvezza di Moro all'interno della DC. ma trovò notevoli opposizioni. chiuse come dalla grossa pietra rotolata all'ingresso del sepolcro di Cristo. All'inizio sembrò che si potesse fare qualcosa..La vedova di Moro disse di aver parlato personalmente con il pontefice. scriveva.. E così il suo intervento fu vanificato. L'ombra del ricatto della criminalità organizzata compare in questa fase e influirà pesantemente negli anni successivi sulla vita politica italiana.]. si tramutò in un inutile appello.. gli oscuri manovratori del sequestro avevano nuovamente messo in moto la malavita organizzata: «Moro può ancora tornare. Mino. Si limitano a correre dietro alle pistole cecoslovacche.. il grido cioè e il pianto dell'ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce». quel suo amico buono e giusto. quando il governo a cose fatte decise di riaffidare l'incarico al generale. Pecorelli aveva intuito che nella fase finale. non so chi intervenne e ogni iniziativa si bloccò». quando Moro era ancora vivo nelle mani delle BR? Prima di rivolgersi all'Arma dei Carabinieri. Perché non si vuole che indagando sul passato di Moro si scoperchi una pentola il cui contenuto potrebbe scottare la classe dirigente. ai berretti dell'Aeronautica. da tempo amico del marito: «Mi disse che avrebbe fatto l'impossibile. chiese «in ginocchio» di lasciare libero Aldo Moro. poi improvvisamente. alle targhe diplomatiche e a tutti gli altri sassolini che Puccettino vorrà disseminare [. alle borse tedesche. superato il primo stupore. hanno preferito attendere che l'uva fosse matura e si compisse il peggio. Gli ultimi tre giorni Far ricadere l'intera responsabilità del sequestro sulla manovalanza brigatista consentiva di eliminare Moro dalla scena politica senza che venisse pagato un prezzo troppo alto dal paese. pregiudicato. L'Ufficio R in via Foà L'UCIGOS nei NAP aveva un informatore. nelle ultime ore. auto FIAT 126 targata Roma S04929. erano una formazione terroristica minore operante a Napoli. anni trentacinque circa. L'informatore dei NAP aveva dato un'indicazione preziosa: fin dai primi accertamenti risultò che le persone indicate da Cardinale frequentavano una tipografia di via Pio Foà. Il 28 marzo. certo Vittorio. nome in codice "Cardinale". E quando negli ultimi giorni del sequestro. perché «qualcuno aveva tradito i patti». soltanto il 19 aprile. sotto il titolo "Aldo Moro un anno dopo": «La tipografia di via Pio Foà era conosciuta dagli investigatori . enigmatico e dal nome altisonante. ma di denaro con la malavita organizzata? Certo. Ma allora perché non affidare le indagini al commissario di quartiere? Quanto ai manovali del terrorismo. Ne parleremo nelle pagine successive. Ma per una serie di dannatissimi ritardi la polizia arrivò a quest'indirizzo soltanto il 17 maggio.. auto AMI 8 targata Roma F74048.. incanutì di colpo e alcuni testimoni gli attribuiscono una frase che non ha poi mai spiegato fino in fondo: «Mi avevano assicurato che lo avrebbero liberato». attacchino del comune di Roma: tutti abitano nella zona della Prenestina e frequentano la Casa della studentessa. capo dell'UClGOS. proprio sull'ultimo numero di «OP». Cardinale aveva inviato la seguente informativa: Teodoro Spadaccini. [. anni venticinque-trenta. Scriveva Pecorelli. Pecorelli affermava: «E misterioso quello che potrebbe essere accaduto in questa fase. proprio il giorno in cui Moro fu ucciso. che i malavitosi. I NAP. Ma chilo doveva liberare? Negli ultimi giorni era sceso in campo un mediatore abile. ma il rapporto arrivò al dottor Luigi Fariello. ma la trattativa fallì quando ormai Moro stava per essere liberato. Furono disposte indagini. lasciando dormire sonni tranquilli ai politici che contano nel nostro paese e fuori. nel numero in edicola il 9 maggio 1978. Era stato il "lucido manovratore" a spostare l'attenzione. dodici giorni dopo il rapimento. fortemente infiltrata dalla camorra.manovalanza. che il tempo ha confermato. avrebbero voluto cedere il prigioniero per alcuni miliardi». Proietti Rino. una settimana dopo l'uccisione di Moro: soltanto allora scoprì che proprio li le Brigate Rosse stampavano i loro Comunicati. certo Gianni che lavora al Poligrafico.] Si dice anche questo. i NAP. Nuclei Armati Proletari. non c'era troppo da preoccuparsi: «Interverrà l'amnistia che tutto verrà a lavare e a obliare». sull'ipotesi di una trattativa non più politica con le BR. girò la voce che il prigioniero fosse stato consegnato alla malavita dalle BR. Un'altra premonizione. Cossiga reagì nel modo più drammatico alla notizia che Moro era stato ucciso e che il suo corpo si trovava in via Fani: la sua fu autentica disperazione. quando l'ufficio era sottosopra a causa della simultanea scoperta di via Gradoli e della messinscena della Duchessa. misteriosa struttura il cui nome ricorre spesso nella vicenda che stiamo raccontando. sempre a quanto . messo a disposizione dalla Banda della Magliana. capace di disattivare i centri di telecomunicazione in tutt'Italia in brevissimo tempo e di compiere attentati anche all'estero.000 lire la stampatrice da 10 milioni poi finita alle BR: il "rottame" aveva soltanto un anno di vita. Quella macchina era fuori uso e venduta come rottame. addestra personale di leva. così attivò la squadra di Ravasio alla ricerca della prigione Moro. Un'epidemia. marconisti. la base segreta di Gladio. Interrogato dalla Commissione Moro. un vigile del fuoco che lavorava all'aeroporto di Fiumicino e che si era fatto vivo affermando di aver saputo che Moro si trovava in un casale poco distante dal mare. lo rivela il questore in una conversazione non ufficiale con i giornalisti: lì i brigatisti manovravano con macchine offset. La sua squadra faceva capo proprio all'Ufficio R del SISMI. A riferirne per primo alla Commissione Stragi fu l'ex para Umberto Ravasio. data della riforma dei servizi segreti. Il colonnello era uscito molto provato. Ad esempio la tipografia era dotata di macchinari che risultarono provenire da apparati dello Stato. che dipendeva dall'Ufficio Controllo e Sicurezza. una struttura di quattrocento persone. chi l'ha rimessa in ordine». fu infatti accusato di peculato per aver venduto al cognato. sappiamo tutto: chi se n'è disfatto. su quali fossero i compiti del RUS. a 30. una Ab Dik 360. per questo si chiamano unità speciali. risultava di proprietà del RUS (Raggruppamenti Unità Speciali). cifra considerevole per l'epoca. Le indagini non ebbero seguito perché nel frattempo il povero Appel passò a miglior vita. e la vicenda si concluse per morte del reo. da quella vicenda.prima di marzo. dell'Ufficio R. Ogni cellula di gladiatori era infatti formata da sei persone. l'ufficio Controllo e Sicurezza era diretto dal generale Musumeci. La squadra di Ravasio ha tutte le caratteristiche di un'"unità speciale" di Gladio. Disse l'ex para che tra gli infiltrati nelle BR. Parliamo dunque dell'Ufficio R. che raccontò di aver fatto parte di una squadra di sei persone addestrata ad entrare in azione in caso di gravi disordini di piazza. stroncava prematuramente i migliori uomini della nostra intelligence. a quel che sappiamo. E dal luglio '77. valore di mercato dieci milioni. Il colonnello Federico Appel. in quegli anni.. autisti. chi l'ha comprata. Ma quando la notizia fu riferita "più in alto" sembra abbia provocato reazioni violentissime all'interno del SISMI e. c'era anche tal Mauro B. Ma c'erano ben altri misteri in via Foà. inchiostro e carta. La stampatrice. La squadra di Rambo sarebbe riuscita a localizzare la prigione nella zona Aurelio-Boccea. una struttura i cui uomini venivano addestrati a Capo Marrargiu. il capo del SISMI Giuseppe Santovito fornì una spiegazione rassicurante: «L'ufficio RUS non ha niente di speciale. chi l'ha venduta. lo stesso che aveva mandato in via Fani il colonnello Guglielmi. Perché non si intervenne?». convocato dai magistrati. altrimenti. dal momento che non ricopriva ancora alcun incarico ufficiale? Il sospetto. Di un piano di attacco per la liberazione di Moro. rivelò che a un certo punto era sembrata imminente la liberazione di Moro e che era stato allertato il Reparto Incursori della Marina. ma a questo punto il racconto del para finisce perché non ha mai più saputo niente dell'operazione. rimasto nel cassetto.racconta Ravasio. A che titolo era lì il generale. prima di ogni contatto con i familiari e i colleghi di partito. agli atti c'è un solo accenno del dirigente dei NOCS. In seguito. è che fosse presente proprio perché era stato lui a indicare il luogo dove Moro era detenuto. Della presunta irruzione e della possibilità di intervento del Reparto Incursori della Marina.. la Commissione Stragi oppose il segreto di Stato. Cossiga sa tutto e non parla. proprio nella zona Aurelio-Boccea. il reparto medico degli Incursori della Marina avrebbe avuto il compito di trasferire immediatamente Moro in un centro clinico. la squadra sarebbe stata immediatamente sciolta proprio per impedire che proseguisse l'indagine. Musumeci assicurò che sarebbe intervenuto personalmente. Pasquale Schiavone. Proprio come accadrà tre anni dopo all'assessore Ciro Cirillo. mentre non ce n'è traccia al Viminale. i nuclei speciali antiterrorismo della Polizia di Stato.». Nel '91. L'episodio ha un autorevole testimone nell'ex capo dello Stato Francesco Cossiga. In previsione di questa seconda ipotesi. Pecorelli in quei giorni manda dal suo «OP» pericolosi messaggi: «Sì. Fu in quell'occasione che Cossiga rivelò che erano stati elaborati due piani. E il 10 maggio 1978.. mentre si trovava a La Spezia.che raccontò di una riunione al ministero della Marina alla quale aveva incontrato anche Dalla Chiesa. quando era ancora presidente della Repubblica. in caso di liberazione. nel corso di una delle sue esternazioni. che riuscì . Mino alludeva al fatto che l'aver dato le dimissioni da ministro dell'Interno non poneva fine alla sua carriera politica. la trattativa c'è stata come per i feddayn. che in effetti è poi arrivata al massimo vertice: la nomina a capo dello Stato. l'ex para del RUS rispose solo in parte alle domande del PM Luigi De Ficky. (Di questa vicenda restano agli atti solo alcuni fax spediti dal Ministero della Difesa. "Victor". "Mike" e "Victor": "Mike" in caso di morte del prigioniero. Anche il sottosegretario Francesco Mazzola accenna a questa riunione nel libro Il giorno del diluvio. Sulla vicenda della mancata irruzione nel covo mai individuato e sul dossier consegnato da Pierluigi Ravasio all'onorevole Cipriani. si parlò in varie occasioni. non parlerà mai. che in chiave fantastica racconta molti retroscena del sequestro BR: nella sua storia l'irruzione fallisce perché si sa che Moro era già stato trasferito in un'altra prigione. scriveva: «Cossiga rimosso e forse promosso». all'indomani dell'uccisione di Moro. La cosa non deve stupire perché tutte le carte relative ai cinquantacinque giorni del sequestro risultano scomparse). che furono assestati i colpi più importanti. "Vergogna buffoni" La sentenza di Perugia cita l'editoriale "Vergogna Buffoni" che Pecorelli aveva scritto due mesi prima di morire. Lo stile è meno curato del solito. sul numero in edicola il 16 gennaio '79. Solo dopo il 9 maggio la polizia cominciò finalmente a scoprire i covi e ad arrestare i brigatisti: ma fu soprattutto nell'autunno successivo. Pecorelli torna all'attacco contro Andreotti. quando Dalla Chiesa riprese il comando dell'Antiterrorismo. che riportiamo per intero. è il bilancio di un anno di crisi e di violenza: le rivelazioni sono nell'ultima parte. preso dall'emozione. Dal racconto di Ravasio per la prima volta emergono due componenti interne alla gestione del sequestro Moro: Gladio e la Banda della Magliana. il giornalista non riuscisse più a custodire segreti troppo pesanti. anche se indirettamente. se non in un punto: anche Pecorelli sapeva che era stato lui a eseguire la "sentenza".però ad aggirare l'ostacolo convocando gli altri cinque che facevano parte della sua squadra. Torna al nodo della trattativa tradita. quale responsabile della distruzione dei servizi segreti additando l'anomala situazione che ha permesso ad un potere politico deviante di utilizzare i servizi di sicurezza e dissociarsi quando lo ha ritenuto opportuno. sembravano anzi essersi volatilizzate: Tanto prodighe di documenti e volantini seminati dal 16 marzo al 9 maggio. Alcuni rifiutarono di rispondere. quanto prudenti e mute sono ora che almeno formalmente ogni allarme sembra cessato. così arroganti e intemerate da sfidare severi posti di blocco. disposti da Cossiga. Dissociarsi e sconfessarlo. dopo la conclusione del rapimento. Un paio di giorni prima i due si erano infatti recati nel carcere di Cuneo e avevano incontrato Incandela. la punteggiatura disordinata. quando un servizio segreto non ha inteso allinearsi ai perfidi giochi politici a danno della Nazione. è il titolo di una paginetta che raccoglie notizie inedite e minacciosi messaggi ai "veri" responsabili del rapimento (che dovettero trarne la fondata convinzione che il giornalista sapesse molto più di quanto non scriveva). di cui solitamente vengono citati brevi stralci. del patto violato all'ultimo minuto. con una "descrizione" dell'atto finale molto diversa da quella che ne ha fornito Moretti nell'autobiografia. in quasi tutte le cabine telefoniche della capitale. o forse non avendo più Moro nelle loro mani i terroristi sanno di correre più rischi di ieri. L'articolo. "Vergogna buffoni". pur di recapitare a mano ogni lettera dello statista rapito. ma un paio confermarono di aver fatto parte di un'unità speciale "antiguerriglia" addestrata a Capo Marrargiu. Pecorelli sosteneva che. asserendo che la fonte delle informazioni contenute nell'articolo non poteva che essere Dalla Chiesa. le "vere Brigate" apparivano molto ridimensionate rispetto alla «geometrica potenza» dimostrata in via Fani. Ma sapeva anche che non aveva fatto . Forse polizia e magistratura negli ultimi mesi hanno fatto qualche sostanziale passo avanti. come se a un certo punto. Non aveva torto. ma non in via Montalcini. Ecco il testo: quasi uno sfogo.tutto da solo. dell'intempestiva lettera di Paolo. conferma la veridicità delle altre informazioni contenute in "Vergogna buffoni". Per i giudici rappresenta una delle prove dell'intreccio Pecorelli-Dalla Chiesa. Moro. danno molto valore al fatto che Pecorelli fosse a conoscenza del nome di battaglia di Ma rio Moretti. dei piloti. Poi qualcuno avrebbe giocato al rialzo. cosa all'epoca sconosciuta anche alle forze dell'ordine. del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite per l'operazione. per quanto è irruento e disordinato. senza silenziatore) è quel Giustino De Vuono che alcuni testimoni hanno già indicato come presente in via Fani: se fosse vero. nelle motivazioni della sentenza. Aldo Moro che pensava di essere liberato dalle Brigate Rosse e che temeva di rimanere ferito in un conflitto a fuoco tra i carabinieri e i suoi carcerieri. Il paragrafo successivo è ancora più denso di allusioni: Torneremo a parlare di questo argomento. del passo carrabile . giudici di Perugia. al centro di Roma con tutti i rischi che un'operazione del genere comporta. E le BR avrebbero ucciso il presidente della DC in macchina. legionario che ha partecipato all'uccisione di Moro (forse infliggendo gli ultimi due colpi con la pistola Nagant. del furgone. Qualcuno però non ha mantenuto i patti. Questo dettaglio. assolutamente riservato. Ma "Vergogna buffoni" contiene anche altre riflessioni non meno interessanti: La violenza politica ha raggiunto il suo apice con l'uccisione di Aldo Moro. una cifra inaccettabile perché si voleva comunque l'anticomunista Moro morto. del prete contattato dalle BR. ovvero Maurizio. Non diremo che il legionario si chiamava De e il macellaio Maurizio. sempre secondo le trattative doveva uscire vivo dal covo al centro di Roma? Presso un comitato? Presso un santuario? I carabinieri (?) avrebbero dovuto riscontrare che Moro era vivo e lasciarlo andar via con la macchina rossa. del rullino fotografico. le trattative con le Brigate Rosse ci sarebbero state come per i feddayn. mentre altre hanno trovato conferma nel le indagini. alcune del le quali restano incomprensibili. Ma di questo non parleremo. A questo punto. Notizia che viceversa dal Memoriale del ministero degli Interni non risulta. svelato da Buscetta: Perché Cossiga era sicuro crediamo (?) che Moro sarebbe stato liberato e forse la mattina in cui è stato ucciso era insieme agli altri notabili DC a piazza del Gesù in attesa che arrivasse la comunicazione che Moro era libero. Moro invece è stato ucciso in macchina. vogliamo fare anche noi un po' di fantapolitica. Neppure nella versione del '90 c'è traccia di questi timori dello statista. Ancora riferimenti a parti scomparse e mai recuperate del Memoriale. come ha pubblicato «Panorama» in un articolo non firmato. notizia che avrebbe attinto dai documenti sequestrati nel "covo" del brigatista (?) Alunni. del giovane dal giubbetto azzurro visto in via Fani. vorrebbe dire che la 'ndrangheta ha partecipato anche nella fase finale. in autunno. il ministro degli Interni Rognoni. alla fine confessarono di esserne stati informati. avvenuta proprio negli ultimi giorni del sequestro. Viglione raccontò soltanto una parte della storia. emozionatissimo. che avrebbe intuito che i carabinieri potevano intervenire. ma c'è un altro passaggio sibillino. Ma l'emissario alla fine si dileguò. quello sul «passo carrabile al centro di Roma». cui dedicherà altre pungenti note. Quel passo carrabile sarebbe stato finalmente individuato e fa parte degli ultimi misteri scoperti in questi anni. È solo l'inizio di una vicenda del tutto surreale. Il 6 maggio. i generali Dalla Chiesa e Ferrara. dicendosi perfino disposto a seguirlo nel covo. degli articoli redazionali cervellotici scritti in funzione del fatto che lo stesso Moro. era insomma un giornalista navigato e bene informato. molto amico di Moro. come il criminologo Franco Ferracuti. Nell'autunno 78. Anche persone appartenenti al comitato di crisi del Viminale. Ancora oggi non sappiamo chi fosse il giovane dal giubbetto azzurro. lo invitò a caldeggiare l'incontro. aveva paura di restare ferito. Giancarlo Viglione era un giornalista di Radio Montecarlo. giorno dell'ultimo comunicato delle BR. aveva intervistato Stefano Delle Ghiaie a Madrid. che tuttavia impegnò per mesi esponenti DC. Qualche tempo dopo la morte dello statista. dicendo di essere stato contattato da un emissario delle BR che gli aveva proposto d'intervistare Moro nel Carcere del Popolo. c'erano personaggi di primo piano della DC: dal senatore Vittorio Cervone. le cronache dei giornali titolavano a tutta pagina i retroscena del caso Viglione. si registra un'altra straordinaria fantastoria che nessuna inchiesta ha mai chiarito fino in fondo. Tra i politici.al centro di Roma. dei presunti Memoriali. oltre Piccoli. a Oscar Luigi Scalfaro che sarebbe divenuto presidente della Repubblica nel '92. Viglione aveva chiesto un incontro a Flaminio Piccoli. Viglione tornò dai suoi interlocutori asserendo che il . neppure il processo di Perugia. Il senatore. Parleremo di Steve Pieczenik rientrato in America prima che Moro venisse ucciso. degli sciacalli che hanno giocato al rialzo. dei partiti politici che si sono arrogati il diritto di parlare in nome del Parlamento. caso Viglione Sulla vicenda della mancata irruzione. Viglione apparteneva allo stesso ambiente di Pecorelli: aveva collaborato al «Settimanale». La magistratura fu informata dell'accaduto solo mesi dopo e al PM Sica. ha riferito al Congresso che le disposizioni date da Cossiga in merito alla vicenda Moro erano quanto di meglio si potesse fare. finito in carcere con l'accusa di depistaggio a scopo di lucro nell'ambito delle indagini sul sequestro Moro. Il magistrato ne ricavò il forte sospetto che questa versione fosse di comodo e che tutte le persone coinvolte nel complotto «investigativo» fossero a conoscenza di ben altri fatti. ma che finì con l'ammettere di aver ricevuto ordini precisi per re citare quella commedia. riletta oggi. Ma quando i fatti di vennero di dominio pubblico. Di lui fornì solo il nome di battaglia: Francesco. perché la stessa era pericolosamente infiltrata. altri un autentico brigatista di grado abbastanza elevato da essere a conoscenza di segreti pericolosi che lo avrebbero indotto a temere per la propria incolumità. fu inevitabile informare la Procura di Roma. hanno sparato altri che temevano di essere riconosciuti dalla scorta. ma l'opinione di Dalla Chiesa era che il personaggio stesse mandando messaggi consistenti. Viglione rifiutò di rivelare la sua fonte e preferì l'arresto. uno psicolabile che aveva mandato a memoria le cose da raccontare. poi cambiò idea e gli avvenimenti successivi assunsero il sapore della beffa. a quanto si seppe. Il processo si concluse con la condanna per tentata estorsione di Viglione e Frezza e tutto venne messo rapidamente a tacere. appartengo al gruppo che non ha sparato. La vicenda Viglione. . C'è chi pensò che il "brigatista Francesco" fosse un personaggio imbeccato da qualcuno che intendeva mandare minacciosi segnali. All'interno delle BR eravamo spaccati. lo stesso nome dell'informatore del generale Musumeci. Se Viglione aveva raccontato ai parlamentari quello che ha detto a me."contatto" si era rifatto vivo. ero in via Fani ma non ho sparato. Secondo "Francesco" non bisognava coinvolgere la magistratura della vicenda. La cosa strana è che Viglione. Del resto anche i fa miliari di Moro avevano avanzato l'ipotesi che il maresciallo Leonardi non avesse aperto il fuoco perché tratto in inganno da qualcuno che conosceva. Sono un brigatista rosso. soprattutto da parte di ufficiali di grande esperienza come Dalla Chiesa e Ferrara. In un primo momento affermò di aver affidato a un notaio svizzero l'intera documentazione in suo possesso. potrebbe essere il primo pesante tentativo di ricatto da parte di settori malavitosi coinvolti nel sequestro Moro. Una coincidenza? Il brigatista gli aveva confessato di essere rimasto deluso dalla conclusione del sequestro e di essere pronto a far arrestare i vertici delle BR. Tutta l'operazione è stata guidata da due parlamentari e da un personaggio del Vaticano: sono stati loro a volere che Moro fosse ucciso. Mi confidò a suo tempo il PM Sica: Il comportamento del giornalista di Radio Montecarlo era improntato al la più manifesta reticenza. I dettagli non sembravano credibili. che a sua volta deve aver raccontato cose ben più serie. Penso in realtà che Viglione abbia fornito qualche prova dell'attendibilità de] suo vero informatore. non è assolutamente comprensibile il motivo di tanto interesse. Messo alle strette il giornalista esibì il nome di un tal Pascal Frezza. Infelisi non lo ha mai spiegato: è probabile che fosse sulle tracce di qualcosa di molto importante. a molti sembrò inopportuno che il titolare dell'indagine si allontanasse proprio in quel momento. Scrive Cervone in un libro di memorie: Liberare il proprio partito dal sospetto è un dovere. sulle tracce di un gruppo legato ai sequestri di persona e all'estrema destra: un'iniziativa a quanto sembra sollecitata da Dalla Chiesa. nessuno ha mai veramente creduto che Viglione fosse un semplice truffatore. L'ipotesi di un coinvolgimento della mafia nella sua sezione calabrese ricorre fin dai primi giorni dell'inchiesta su via Fani. una rosticceria vicino piazza Nicosia. Secondo quanto ci viene comunicato avrebbero manifestato l'intenzione di intervenire con un'operazione militare per liberare il prigioniero. Sono interessanti le affermazioni fatte dal parlamentare democristiano Vittorio Cervone che. Nonostante la sentenza. a quanto sembra. che è pura fantasia. Il senatore Cervone non era l'unico ad avanzare l'ipotesi del mancato blitz. Cosa andò a fare in Calabria. che di questo o di quel governante della DC. Durante il processo. forse la pista indicata da "Francesco". Non che oggi sia completamente chiaro quale sia stato il ruolo del Comitato Esecutivo delle BR con sede a Firenze. cui accenna anche Pecorelli in "Vergogna buffoni". nella prima metà di maggio. e neppure quali altri terminali si fossero messi in moto nel capoluogo toscano in appoggio alla gestione terroristica del sequestro. Ma non si dica che di sospetti non se ne deve parlare. di veto e di contrordine. e che per molto tempo sono rimaste avvolte nell'ombra. per via di quel rullino fotografico in cui si presume comparisse un calabrese. è stato il solo a incontrare "il brigatista Francesco". però non se ne è saputo più nulla. di conoscenza del suo covo. La proposta non sarebbe stata accettata dal governo. rullino che poi scomparve dall'ufficio del giudice Infelisi. di squadra pronta a intervenire. Un'agenzia stampa di Milano. I segreti di Firenze Nelle prossime pagine ci sposteremo a Firenze per esaminare alcune vicende che si sono svolte nel capoluogo toscano durante i cinquantacinque giorni del sequestro Moro. per quale motivo questa città sia stata scelta come cabina di comando dell'intera operazione. Infelisi disse che aveva bisogno di qualche giorno di riposo. non si dica in pubblico o in privato quello che piace. pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani. pubblicò la notizia che il governo conosceva l'ubicazione della prigione Moro: I carabinieri avrebbero individuato la prigione e sembra anche che conoscessero il negozio di alimentari presso il quale si rifornivano i brigatisti. cinque parlamentari e tre uomini dei servizi segreti testimoniarono a suo favore. che non si parli di possibilità esistenti all'epoca di salvare Moro. Ma sono . l'ANIPE. A tal punto inopportuno che furono in pochi a credere che si trattasse di una vera vacanza. Anche questo magistrato si recò in Calabria.successivamente avrebbe trascorso qualche tempo in Calabria. Livorno e Massa Carrara. ovvero quel Comitato Esecutivo che si riuniva in casa di Barbi. la cellula era già attiva fin dal 1976. C'è chi in questi anni ha continuato a combattere contro il muro di gomma. L'Esecutivo Nazionale aveva demandato a Moretti l'esclusivo compito di tenere i rapporti con l'organizzazione toscana. ovvero non identificati e perciò non latitanti. e cioè in via Michelangelo Caetani. che in quel periodo sembra fosse interamente composto da brigatisti "irregolari". membro del Comitato Toscano delle BR. nel tentativo di accertare la verità che ancora si cela dietro l'oscura strategia dell'operazione Moro. anche rispetto alle risultanze del processo di Perugia. del Fronte Logistico Nazionale delle BR (di cui soltanto Moretti faceva parte) che indicavano stretti collegamenti tra il capo delle BR e il Comitato Rivoluzionario Toscano. su cui non ci dilungheremo. Noi cercheremo di scoprire cosa è accaduto a Firenze. chi non si è rassegnato all'opportunismo di ricostruzioni omertose perché riteneva importante non tanto perseguire penalmente i responsabili. Nel covo vicino alla Cassia erano stati trovati documenti. Ad esempio è stata la Commissione Stragi a scoprire dove si è riunito durante i cinquantacinque giorni del sequestro Moro il Comitato Esecutivo delle BR: era la casa di un architetto. all'interno di un'indagine giudiziaria mai trasmessa al processo Moro. Quest'ultimo contava su una struttura più vasta rispetto alle altre colonne brigatiste: aveva sede a Firenze con diramazioni a Pisa. ne facevano parte personaggi come Stefano Bombaci. delegato dalle BR a prendere ogni decisione relativa alla vicenda Moro. perché costituì l'unico anello di congiunzione tra la colonna romana che gestiva operativamente il sequestro. per poi tornare di nuovo a Roma. questo era il più importante.stati fatti molti passi avanti. quanto acquisire una conoscenza del passato che potrebbe aiutarci a difenderci. e la direzione strategica del sequestro stesso. Giampaolo Barbi. grazie al lavoro d'inchiesta svolto dalla Commissione Parlamentare presieduta da Giovanni Pellegrino nel corso di due legislature. Paolo Baschieri e Dante Cianci. da altre simili e pericolose trame. ma il suo ruolo rimase a lungo nell'ombra. in futuro. Ma durante il sequestro vi fu ospitato anche il Comitato Esecutivo. nella primavera-estate del '78. Tra i personaggi di maggior rilievo che facevano capo al Comitato Rivoluzionario Toscano c'era il criminologo Giovanni Senzani. ma l'indicazione era stata ignorata dagli inquirenti. L'appartamento era stato individuato dal PM fiorentino Gabriele Chelazzi. Comitato Rivoluzionario Toscano Anche nelle carte scoperte in via Gradoli c'era un filo che portava a Firenze. Di lui all'epoca si sapeva . nella vita di tutti i giorni svolgevano la loro attività lavorativa e si incontravano periodicamente nell'appartamento di Barbi. dove concluderemo questa terribile storia laddove si è realmente conclusa. Tra tutti i ruoli che il capo delle BR aveva concentrato su di sé in quel periodo. furono sottratti al SISDE e gestiti da agenti del SISMI. E per motivi mai del tutto chiariti. tipiche dell'intelligence. Un'operazione evidentemente ispirata dal controspionaggio. durante il sequestro Cirillo. la supercellula del colonnello Adalberto Titta. Senzani resta la figura più enigmatica e ambigua. nella spartizione con la camorra toccarono cinquecento milioni. un giovane che era in sua compagnia. destinata ad assurgere a notorietà soltanto un paio di anni dopo il rapimento Moro quando. rinnegando la "linea della fermezza". In una cassapanca trovata in via Pesci fu rinvenuto anche il "film" dell'esecuzione di Roberto Peci. il giovane turco che attentò alla vita di Giovanni Paolo Il in piazza San Pietro. fratello di Patrizio. lo troveremo a capo dell'ala movimentista (contrapposta a quella militarista). i contatti con il capo della Nuova Camorra Organizzata. ma c'è di più. Una condanna a morte decisa dal gruppo vicino a . tal Luciano Bellucci. poi delegata all'Anello. vittima di una "vendetta trasversale" compiuta con modalità vicine a quelle della criminalità organizzata. Ce ne sarebbe già abbastanza per considerarlo un agente sotto copertura.soltanto che era un consulente del ministero di Grazia e Giustizia. Poi Buzzati ritrattò. dove risultò in contatto con l'Hyperion. Quando fu arrestato a Roma nell'81. un esperto delle carceri stimato anche negli USA per le sue analisi sulle nuove forme di detenzione. Di tutti i capi BR. ma anche dell'uso di tecniche di comunicazione. in via Ugo Pesci. Ed è accertato il suo coinvolgimento nel sequestro Cirillo: il rapimento dell'assessore napoletano della DC costituisce forse il punto più basso nell'inquinamento della vita politica italiana. somma ingentissima all'epoca. con la scissione dell'organizzazione. che soltanto due anni prima era stata adottata riguardo al sequestro del presidente DC. dove abitava. con un collaboratore del servizio segreto militare. Roberto Buzzati. a quanto sta emergendo dall'inchiesta del PM Ionta. Ad esempio risulta che Senzani abbia diviso per tre anni l'appartamento in via della Vite a Roma. ma indagando nella biografia del criminologo contatti con il SISMI emergono in più occasioni. Raffaele Cutolo. Durante la detenzione Senzani ha condiviso la cella con Ali Agca. Per la liberazione di Grillo lo Stato scese a patti con le BR e pagò un riscatto. come messaggi miniaturizzati scritti con inchiostro "simpatico" e nascosti all'interno di penne stilografiche. con la sua macabra riedizione del sequestro Moro che serviva a coprire ricatti intrecciati tra imprenditoria camorrista e la corrente del ministro Antonio Gava. da poco tempo reclutato nelle BR. Nel covo di via Ugo Pesci furono trovate prove dei suoi frequenti viaggi a Parigi. raccontò di aver accompagnato Senzani ad Ascoli Piceno e di aver assistito a incontri con un personaggio piuttosto austero che in un primo momento ritenne di riconoscere nelle foto del generale Musumeci. gli ha insegnato a parlare italiano e lo avrebbe anche convinto a collaborare con la giustizia. All'ala delle BR capeggiata da Senzani. A Roma in effetti non c'era. fornite dagli ufficiali coinvolti nell'operazione e dallo stesso Azzolini. come poi raccontò. esistono almeno quattro o cinque versioni diverse. da Bonisoli. oltre alle chiavi. Secondo il colonnello Niccolo Bozzo. che portarono i carabinieri all'appartamento gremito di brigatisti. Che quest'ultimo abbia assolto un ruolo di reale "direzione strategica" durante il sequestro Moro è stato confermato da brigatisti del calibro di Franco Bonisoli. Lauro Azzolini e Patrizio Peci. come vedremo. in un appartamento di via Unione Sovietica affittato da Sandro Ciucci. e vi svolgesse un compito ben più importante. Risulta anche che Mario Moretti e Barbara Balzerani. ma in molti pensano che fosse a Firenze. L'irruzione nel covo milanese da parte degli uomini di Dalla Chiesa fu resa possibile dalle chiavi trovate in un borsello smarrito da Lauro Azzolini (poi arrestato con Bonisoli e Nadia Mantovani proprio in via Montenevoso): nel borsello c'erano. in via Montenevoso. Il capo delle BR evidentemente riteneva che il capoluogo toscano garantisse maggiore sicurezza. tra cui anche i verbali dell'interrogatorio Moro. alla fine di luglio. si trasferirono a Firenze e alloggiarono. dopo l'epilogo del sequestro. Sul giallo del borsello. sette mesi dopo la conclusione del sequestro Moro. fino a ottobre. un brigatista incensurato.Senzani per motivi. il borsello fu lasciato su un autobus dell'ATAF. nel monolocale di un palazzo nobiliare in via . il generale aveva aspettato che «l'uva fosse matura». nel cui ambito venivano discussi». Valerio Morucci. Azzolini raccontò invece di averlo perso su un treno ad agosto. la DIGOS di Firenze fece irruzione nell'appartamento di Barbi. partecipando alle riunioni del Comitato Esecutivo del sequestro. non trovò nulla. nell'ottobre 78. Ma quando. che venivano letti ma non potevano essere messi in discussione dagli appartenenti alla colonna romana. Di fatto l'irruzione avvenne pochi giorni dopo che Bonisoli. Moretti si recava a Firenze ogni settimana e ne tornava con i comunicati già scritti. linea 28. Per dirla con Pecorelli. raccontò: «Tutti i comunicati emessi dalle BR durante il sequestro Moro ci vennero dati dal responsabile del Comitato Esecutivo. una pistola. a Firenze. Via Sant'Agostino 3 Molti anni dopo. stretto collaboratore di Dalla Chiesa. un documento falso. nell'estate 78. non del tutto chiari. aveva trasferito a Milano tutta la documentazione del sequestro. della colonna romana. la fattura di un dentista. L'inchiesta della Procura di Roma ha escluso la presenza di Senzani in Italia durante il sequestro Moro: anzi si è dato per certo che il criminologo fosse in USA per un corso di aggiornamento professionale. C'è un giallo che collega le riunioni toscane con via Montenevoso e con il ritrovamento del Memoriale. soprattutto sui tempi e le modalità dello smarrimento. Troppo tardi: tutto il materiale cartaceo era stato trasferito a Milano. Il proprietario dell'immobile era il marchese Bernardo Pianetti Lotteringhi della Stufa. prima di passare alla direzione nazionale del sismi a Roma. saltarono fuori da un soppalco armi lunghe da guerra avvolte in carta di giornale. Nel corso del processo a suo carico. dove fu collocata all'interno di un armadio. La segreteria fu staccata alcuni anni dopo. cui era possibile accedere dall'esterno attraverso un numero in codice. Nel frattempo erano spariti i giornali che le avvolgevano. Pazienza. Ma è la lettura della motivazione della sentenza. una notevole quantità di cartucce ancora chiuse in sacchetti di plastica e confezioni di esplosivo vuote. emessa il 23 aprile 1997. tra i mesi immediatamente precedenti il .. ma stranamente lo fece soltanto il 10 marzo. abbiamo già avuto occasione di conoscere: Federigo Mannucci Benincasa. anche se «ufficialmente autorizzata». Dunque. una data molto vicina a quel terremoto che stava per sconquassare l'Italia e che nel giro di poche settimane sarebbe culminato nell'incriminazione di Giulio Andreotti. grazie ai benedetti lavori di ristrutturazione. dai quali si sarebbe potuto risalire alla data dell'occultamento. Per questa attività si richiedeva una particolare riservatezza. in questo libro. per circa tredici anni. 11 padre Alessandro. Era lì che l'informatore lasciava messaggi a una segreteria telefonica.Sant'Agostino 3. incarico che l'alto ufficiale ricoprì per vent'anni. Il nucleo dei carabinieri di Firenze fu incaricato di inventariare le armi. nell'82. dove abitava lo stesso marchese Pianetti Lotteringhi. caricatori per fucili mitragliatori. Mannucci Benincasa sostenne che il monolocale era stato utilizzato per un'attività estranea al servizio. ormai defunto. Un'ammissione che costerà al capocentro di Firenze una condanna a tre anni di reclusione per detenzione e porto abusivo di armi da guerra e munizioni. Quel luogo fu individuato nel monolocale di via Sant'Agostino. parecchi anni prima aveva messo l'appartamentino a disposizione di un amico molto speciale che. per cui si rese necessario acquisire la disponibilità di un luogo specifico con adeguate misure di sicurezza. il capocentro del controspionaggio di Firenze. Ma poiché era troppo rumorosa. a essere illuminante: «L'imputato ha spiegato che nel 77 il centro SISMI di Firenze ebbe la possibilità di realizzare contatti con una persona che si riteneva vicina alle Brigate Rosse. Era il 3 marzo 1993. dalla fine del 1977 al 1990. ma risulta da altre testimonianze che il SISMI ha mantenuto la disponibilità di questa sede occulta.. una settimana dopo. che ogni tanto consentono svolte impreviste anche in indagini coperte da segreti di Stato. dal 1971 al 1991. «diversa da quella istituzionale di raccolta di informazioni sul fenomeno terroristico: di fatto sono state detenute in modo occulto armi e munizioni che sicuramente non hanno mai costituito dotazione legittima del SISMI o dell'Arma dei Carabinieri».». a seguito dell'intervento di personale tecnico di Roma fu necessario trasferirla in un altro locale al primo piano. in stretto contatto con il Comitato esecutivo. ma molti indizi fanno ritenere che potesse trattarsi proprio del criminologo Giovanni Senzani. Il contatto s'interruppe (e anche la segreteria telefonica fu smantellata) nel 1982. un direttore d'orchestra e per finire un partigiano dei GAP. solo quando Dalla Chiesa ebbe conferma che Bonisoli aveva trasferito lì l'intera documentazione su Moro in possesso delle BR. Mannucci non rivelò l'identità dell'informatore. A mano a mano che prendeva quota . fu allestita addirittura una sede occulta. raccontò che Senzani si era trasferito a Roma nel '79: «Aveva problemi di clandestinità legati a una situazione familiare. un artista di fama internazionale. Per facilitare contatti e incontri riservati con questa persona. precedentemente aveva dato un contributo di approfondimento teorico sulla strategia della differenziazione del carcerario. emerse l'ipotesi che l'«anfitrione» potesse essere identificato con Igor Markevitch. In ogni caso. l'esistenza di uno o più infiltrati. rimasto attivo per tutto il tempo del sequestro Moro. preparata da settimane. che presumibilmente aveva possibilità di accedere alle riunioni del Comitato Esecutivo delle BR. dove fu arrestato. l'anno in cui il brigatista fu arrestato. un nobile di origini russe. il generale americano che nel '44 aveva partecipato alla liberazione di Firenze dall'occupazione tedesca. furono poi risolti in via della Vite. I suoi "problemi logistici". dove per tre anni coabitò con l'informatore del SISMI. Minervini e Tartaglione. sul finire degli anni Novanta. avvalendosi degli studi che aveva svolto per la sua attività lavorativa». a pochi passi da via sant'Agostino. Un'attività per la quale il criminologo fu molto sospettato negli anni '80-'81 come possibile talpa negli omicidi dei giudici Palma. fino al trasferimento in via Ugo Pesci. è confermato dal fatto che l'irruzione nel covo di via Montenevoso. che in quel periodo abitava in Borgo Ognissanti. a suo dire il misterioso interlocutore avrebbe messo a disposizione delle Brigate Rosse per le riunioni una villa nei dintorni di Firenze. Il primo a confermarne l'esistenza fu il dissociato Valerio Morucci. all'epoca capo della colonna romana delle BR. cognato di Hubert Howard. Da una serie di elementi che vedremo. a quanto sappiamo. Il centro di controspionaggio di Firenze disponeva dunque di un infiltrato ad alto livello. fu attuata i primi di ottobre. magistrati che si occupavano del sistema carcerario. che parlò di un «anfitrione».con amicizie altolocate nella comunità angloamericana di Firenze. Il Grande Vecchio Molti anni dopo il sequestro. Ma anche un amico della comunità israelita. a seguito delle rivelazioni di Andreotti alla Commissione Stragi.sequestro Moro e il periodo in cui si rese necessario smantellare le strutture militari della cosiddetta Gladio. Antonio Savasta. cominciarono a trapelare strane notizie sulla presenza alle riunioni del Comitato Esecutivo delle BR di un personaggio di altissimo livello. per un personaggio di quella statura risultava un po' riduttivo:Pellegrino lo considerò un "bigliettino da visita" da esibire ai brigatisti. generale Demetrio Cogliandro. mancava ancora una settimana al compimento della tragedia. L'ultimo era Michelangelo che aveva avuto soltanto una figlia femmina. l'antico feudo dei Caetani che Howard nel corso degli anni aveva trasformato in una regale residenza. Una fama che non era ignota al SISMI. cui partecipavano oltre ai fantasmi della Storia. e all'apparenza si presentava come niente più che un gentiluomo americano imparentato con la nobile famiglia romana. quando due agenti del nostro controspionaggio. Antonio Ruvolo e Giuseppe Corrado. su richiesta del loro superiore. allertati da una «fonte molto attendibile». anche politici e diplomatici di alto rango. come spiegò Cogliandro. Il ritratto dell'ex comunista. direttore dell'Accademia di Santa Cecilia. Il presidente della Commissione affidò le indagini al maggiore Massimo Giraudo dei ROS (il Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri). L'indagine. Ruvolo e Corrado si spinsero fino a Santa Ninfa. uomini dell'alta finanza e dell'intelligence. Ma Howard preferiva vivere in campagna. uno degli uomini migliori dell'allora comandante Mario Mori. abitata da una moltitudine di specie protette. nostalgico e simpatizzante che ne aveva dato Morucci. la cugina di Topazia morta da un anno. intelligenze segrete. vedovo di Leila. Tra le amicizie . Anzi. portò alla scoperta di un intreccio di poteri forti. Non fu il lignaggio dell'indagato a scoraggiare gli agenti del SISMI. nella stessa strada dove otto giorni dopo sarebbe stata parcheggiata la Renault rossa con il corpo di Moro. sposata con il musicista Igor Markevitch. ma non c'erano discendenti maschi nella nobile famiglia romana. Topazia. Il castello era da tempo circondato da leggende su misteriose riunioni notturne. Ma le indagini condotte su di lui dal nostro servizio segreto furono interrotte da una mano scesa "dall'alto". oggi capo del sisde. e a poco a poco prese corpo la storia straordinaria che stiamo per narrare. massonerie internazionali che sarebbero a un certo punto subentrate nella gestione del sequestro Moro. che si concluse nel 2001.la leggenda del Grande Vecchio. aveva creato una lussureggiante oasi naturale. nella tenuta di Santa Ninfa. Dai resti di un borgo medievale. Il dominus di Palazzo Caetani era da tempo Hubert Howard. si recarono a Palazzo Caetani. riti magici e sedute spiritiche. I due agenti. il presidente della Commissione Stragi Pellegrino riaprì le indagini su alcune segnalazioni che le inchieste giudiziarie avevano tralasciato. Era il primo maggio 1978. cercavano informazioni su un certo Igor Caetani. immerso tra l'incolta campagna del basso Lazio e la palude di un acquitrino. dal quale però era ormai divorziata. come anche il fatto che la tenuta fosse meta in ore diurne di capi di Stato. Igor Markevitch Il nome del musicista Igor Markevitch era già noto al SISMI dal 1978. Markevitch era già un musicista di fama internazionale. reduce dalla Parigi anni Trenta dove aveva stretto amicizia con Jean Cocteau. Secondo una ricostruzione che presenta ancora molti elementi fantastici. Al centro della difficile trattativa c'era la salvezza dei tesori di Firenze. dai lutti e forse anche dallo schieramento ideale. Un ambiente che calzava a pennello alla poliedrica e inafferrabile personalità di Igor che. si sarebbero ritrovati insieme alle prese con un'altra difficile trattativa: l'ostaggio questa volta non era . diplomatici. agenti segreti. il 9 maggio. a cavallo della seconda guerra mondiale. nel 1978 i due ultimi Caetani. alla sua agenzia artistica aveva fatto scrivere di se stesso: «Ora diabolico. alla cui liberazione dalla prigionia nazista Hubert aveva collaborato. e molti uomini politici italiani. dalle molteplici relazioni in ogni parte del mondo. il rifugio segreto di Berenson e l'ufficiale nazista Dollmann. facendo la spola in bicicletta tra la villa dei Tatti. già negli anni Quaranta. Tra i più assidui. egli ci rivela di sé la scintilla del genio». A legare l'americano e il russo. dove si recavano spesso Pertini. non restò che constatare che la missione era fallita proprio lì. Le indagini si bloccarono per colpa di un non meglio identificato "ordine superiore". che il destino aveva anche imparentato. il figlio di Theodore Roosevelt. Una villa bazzicata da sovrani.Ma l'ex generale Howard era anche molto amico di Enrico Mattei. Made in Italy. ufficialmente i rapporti tra Howard e Markevitch si erano interrotti da anni. rappresentante di Himmler. con i quali era entrato in contatto e collaborava. di cui a lungo scriverà in un libro di memorie. aveva svolto un'intensa attività nell'oss. Nella Firenze occupata dai tedeschi. con cui era riuscito a fraternizzare e che definiva «un vero parigino». quando Firenze assediata dai tedeschi era in attesa di essere liberata. quando si stava per aprire la "porta segreta". era stata una strana trattativa svoltasi alla fine della seconda guerra mondiale. stranieri in patria. e ai due agenti. che negli anni Cinquanta-Sessanta era un assiduo della tenuta. sostenitore della "sinarchia" o governo globale (una teoria che puntava alla disgregazione degli Stati nazionali in più minuscole comunità etniche) e che. Nel momento in cui il SISMI bussò a Palazzo Caetani. A Firenze era ospite nella villa di Bernard Berenson. Un intenso periodo che a questo raffinato intellettuale e artista aveva dischiuso le porte della passione politica e della lotta antifascista. ora angelico. i ministri Taviani e Andreotti. il miliardario critico d'arte protagonista nel dopoguerra della rinascita culturale della città. Di lì raggiungeva i partigiani dei GAP comandati dal suo amico Carlo Sinigaglia. faccendieri e artisti di ogni parte del mondo. divisi dalla vita. forse impartito dal capo del SISMI Giuseppe Santovito (p2). la città santa dell'arte. in via Caetani. il quarantenne Igor aveva dato una mano a Hubert. politici.più antiche di Howard c'era quella con Kermit. Il genio musicale.. Secondo una recente biografia (Il misterioso Intermediario. scrivendo di sé in terza persona. La mutilazione. al punto da far ipotizzare ai periti della Commissione Stragi e ai biografi di Markevitchche fosse lui il Signore di Gladio. Etre et avoir été.]. cosa che ha lenito ogni rimpianto di essermi zittito come ordinatore di suoni. per congegnarli in un'altra maniera. una sorta di Opus Dei ebraico. lo stesso che aveva ricoperto durante l'occupazione nazista. prima che potesse mantenere la sua promessa. questa almeno la congettura dei due biografi: «Un segreto istinto mi suggerisce che io non sarò vissuto che in funzione di un capitolo finale. Ma forse ancora più interessante di Igor era in realtà la figura di Hubert Howard. Anche se era stato proprio il Comunicato numero 4 delle BR ad avvertire che erano scesi in campo «misteriosi intermediari». che era cocchiere di quest'ordine molto potente. il dominus di Palazzo Caetani. provocata dalla malattia di Méniere. Ben Gurion lo aveva invitato per un ciclo di concerti a Tel Aviv dove per un certo periodo era rimasto. negli ultimi anni di vita dirigeva l'orchestra seguendo una partitura immaginaria senza sentire i suoni: Fellini si ispirò a lui per il suo film Prova d'orchestra. A conclusione dell'indagine. obbligò Igor ad abbandonare a poco a poco la musica e a privilegiare la scrittura. Mostrerò più tardi quanto questi mezzi fossero appassionatamente creatori. stava scrivendo sui suoi diari quando la morte sopraggiunse improvvisa. manderà un sottilissimo segnale sulle sue ultime scelte: Costui si è applicato da quarant'anni a servire il suo tempo con mezzi completamente diversi da quelli della sua prima esistenza. L'antifascismo lo aveva portato a diventare grande amico del popolo di Israele. Igor alla fine del suo secondo libro era sul punto d'illuminarci su quanto era realmente accaduto in quella terribile primavera del 78. . cui lo aveva iniziato il suo amico Jean Cocteau. ricoprendo un altro ruolo di rilievo come direttore artistico della radio di Stato. che porta prima alla perdita dell'equilibrio e poi alla sordità. proprio in questo periodo avrebbe riattivato antichi contatti con il priorato di Sion. il presidente Pellegrino appare oggi propenso ad affidare a Markevitch il ruolo di semplice "intermediario". di Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca).il patrimonio artistico della città più bella del mondo ma il presidente della DC Aldo Moro. il 7 marzo 1983. Appartenevo ogni giorno di più a un nuovo mondo di cui la Resistenza antinazista appariva l'apprendistato. Nel suo secondo libro di memorie. che darà valore e giustificazione agli altri capitoli riuniti». ormai sordo.. Ma forse anche a tornare alla "politica". Ma forse stavolta l'operazione si era svolta su piani ancor più complessi e stratificati. 11 sentimento di inutilità di comporre della musica "musicante" nel deserto m'appariva irreversibile [. via Sant'Elena numero 8. Ma il presidente della Commissione Stragi aveva visto giusto. Nel periodo in cui Craxi è stato presidente del Consiglio. Anche noi. Oltre a indicare il figlio di Margherita Caetani (in realtà. a quel palazzo con il passo carrabile su cui vegliano due leoni di marmo dove Hubert Howard ha vissuto fino al 1987. ben consapevole che se l'indagine avesse imboccato questa strada sarebbe incappata in un groviglio di rovi. ma davanti a quel portone doveva fermarsi chiunque altro. durante la successiva perquisizione nello studio del generale furono trovate decine di veline. Anche perché. Anche a sinistra si riteneva inopportuna l'audizione di un latitante su possibili segreti di Stato. perché quella soglia non poteva essere valicata. non lontana da Campo de' Fiori. non è da escludere. e alla fine Pellegrino rinunciò. a capo del SISMI c'era l'ammiraglio Fulvio Martini. il capitano Antonio Fattorini. Ma Pecorelli fa riferimento anche in altri articoli a una prigione al centro. Craxi era molto curioso: voleva capire i retroscena dei misteri italiani. Il generale Cogliandro aveva messo le mani su qualcosa di troppo grande: non solo doveva fermarsi lui. Forse l'unico a poter sapere di che natura fosse il groviglio di rovi e a volerne parlare era Bettino Craxi. un'abitazione alle spalle di Palazzo Caetani. alla fine siamo arrivati in via Caetani. archivio di Craxi La fonte «molto attendibile» che aveva rivelato il ruolo di Markevitch al generale Cogliandro era stato il suo segretario. il cui contenuto . data della sua morte. di cui aveva diritto di essere a conoscenza. la fonte aveva fornito un indirizzo. almeno nell'ultima fase della sua vita. all'epoca fedelissimo dell'ammiraglio Martini. Gli agenti del SISMI indagarono anche su quell'appartamento. scritto da Mino dopo l'incontro con Dalla Chiesa che certamente ha accelerato la data della sua morte.Sulla base di tanti elementi emersi nel corso delle indagini. A condurci fin lì è stata l'attenta lettura di quell'articolo "Vergogna buffoni". detto "mezzo-ebreo" per i suoi ottimi rapporti con il Mossad. attorno alle quali ci fu il forte sospetto che fossero state redatte da Cogliandro. che gli fornì informazioni sulla struttura militare segreta Stay Behind. Il presidente Pellegrino propose di ascoltarlo: lui acconsentì. se ben ricordiamo lo scritto di Mino noto come "Amen". un'ipotesi che trovò molti ostacoli. dove in quel periodo si era notata una particolare animazione. ma una delegazione della Commissione avrebbe dovuto recarsi in trasferta a Hammamet. quelle fallite della Procura di Roma e quelle condotte con più successo dal maggiore Giraudo per la Commissione Stragi nel '91. E tra questi poteva esserci anche il generale Dalla Chiesa. che abbiamo seguito la vicenda dai piani bassi. suocera di Hubert e zia acquisita di Igor). ancora in bozza. Nel suo archivio di via Boezio furono trovate abbondanti tracce di informative. ma la solita mano superiore li fermò: dietro Santovito doveva nascondersi qualche altra entità nazionale o internazionale. La tesi di fondo che emerge dalle informative trovate nell'archivio di Craxi è che Andreotti nel '90 abbia rivelato l'esistenza di Gladio con uno scopo del tutto strumentale: avviare un'operazione simile a quella che negli anni Settanta aveva portato alla defenestrazione di Miceli-Maletti per affidare la gestione dei servizi segreti a mani amiche e riacquistarne il controllo. Neanche a dirlo. il bersaglio di queste note era proprio Andreotti.coincideva con quello già recuperato nell'ufficio romano dell'allora presidente del Consiglio. ma questo non è servito a proteggerlo e non ha impedito ai terroristi di ucciderlo quando è stato il momento! Ma ad allertare l'attenzione degli inquirenti furono una miriade di appunti. ma l'anonimo estensore sembrava soprattutto voler convincere Craxi che c'era sì un "superservizio" cui andavano attribuite gravi deviazioni. A capo del SISMI c'era allora l'ammiraglio Martini e s'intuiscono. soprattutto del SISDE. un'organizzazione vicina al PSI. che sfoceranno nel suo allontanamento dalla direzione del SISMI il 26 febbraio 1991. Dalle carte si scoprì che sul professor Franco Tarantella ucciso dalle BR il 27 marzo 1985. Bastò poco al magistrato milanese per rendersi conto che aveva messo le mani su una vera e propria miniera: furono raccolti in tre faldoni 3849 pagine per lo più provenienti dai servizi segreti. ma queste non andavano identificate con le finalità di Gladio. quando il PM Paolo Ielo della Procura di Milano fece irruzione nella sede di via Boezio della Giovine Italia. bensì . Fu uno dei motivi per i quali la Procura di Milano informò tempestivamente il COPACO presidente in quel momento era il senatore Massimo Brutti . foglietti anonimi. La futura vittima delle Brigate Rosse era sotto attenta osservazione da parte dei servizi segreti. che avevano tutta l'aria di provenire da un'alta fonte dei servizi segreti e che potevano essere utilizzate da Craxi a fini di lotta politica. i pessimi rapporti che intercorrevano tra lui e l'allora presidente del Consiglio. nel tempestoso periodo che seguì la sua decisione di rivelare l'esistenza di Gladio nell'estate '90. un documento secretato dal CESIS sul terrorista nero Augusto Cauchi e i suoi rapporti con Gelli e anche molti documenti sulla .che dopo un'attenta valutazione inviò una relazione al Parlamento. La scoperta risale all'8 luglio 1995. erano state stilate dal SISDE numerose informative in cui venivano elencati perfino i convegni ai quali aveva partecipato nell'ultimo periodo di vita e le critiche che erano state avanzate alle sue tesi durante una tavola rotonda. C'era di tutto: documenti ufficiali. Fu lo stesso Bettino Craxi a informare i magistrati che i locali dell'associazione erano ospitati nel suo ufficio e che pertanto tutte le carte là rinvenute erano a lui riconducibili. Dalle informative anonime trapelava la volontà di minimizzare l'attività di Gladio. e riguardanti il terrorismo rosso. LIBRO NERO DELLA PRIMA loggia P2. dal contenuto delle veline. Ci torneremo più avanti. Per ora ci sembra interessante sottolineare come una parte del SISMI. postdatata al 14 ottobre 1978. prima di essere trovata. Non fu la sola morte sospetta: poco dopo anche il capitano Fattorini fu stroncato . coniugato con Topazia Caetani. piccolo movimento politico dietro il quale si nascondeva forse il KGB. e dall'esilio aveva fatto molte allusioni al Grande Vecchio. Nell'ottobre 1978 il Partito Operaio Europeo. della cui esecuzione sarebbero stati autori materiali certi Anna e Franco. Di tutta questa vicenda agli atti del controspionaggio è rimasta un'informativa. oriundo russo e ora cittadino italiano. La tesi era che il presidente della DC fosse rimasto vittima di un complotto internazionale le cui fila erano tirate da Henry Kissinger. Forse all'origine della sua profonda conoscenza dei misteri d'Italia c'erano le veline trovate nel suo ufficio. quando affronteremo questo capitolo. anche con l'intervento di servizi collegati. Segreti che conosceva e che ha portato con sé. ambasciatore dell'Ordine dei Cavalieri di Malta in Vaticano. La persona veniva identificata con Igor Markevitch. in particolare. insinuava il dossier del POE. non emergevano peraltro elementi di conferma della notizia. cinque mesi dopo i falliti tentativi di penetrare i segreti di Palazzo Caetani: Il 14 ottobre 1978 una fonte del servizio segnalava che un certo Igor della famiglia dei duchi Caetani avrebbe avuto un ruolo di primo piano nell'organizzazione delle BR e che. anche se i documenti più importanti Craxi li aveva trasferiti ad Hammamet. Ma il principe. sosteneva il POE. la Renault rossa.Secondo il POE. dopo il ritrovamento di Moro. era stata tenuta all'interno di un palazzo del Ghetto. rappresentata da uomini che ebbero una parte attiva durante il sequestro Moro. Quella di collocare in data diversa rapporti di servizio "imbarazzanti" sembra una consuetudine della nostra intelligence: in questo caso si voleva evidentemente allontanare lo spettro che la mancata indagine fosse costata la vita di Moro. negli anni successivi fosse entrata in forte contrasto con Andreotti e avesse cercato una sponda nel nuovo presidente del Consiglio Craxi. diffuse un dossier dall'esplicito titolo Chi ha ucciso Aldo Moro. cioè proprio Palazzo Caetani. Da accertamenti svolti. non ha avuto il tempo di ottenere risposta ai suoi dubbi perché era morto pochi giorni dopo con la moglie in un incidente stradale. avrebbe condotto tutti gli interrogatori di Moro. dove abitava il principe Johannes Schwarzenberg. Zucor e l'Oroscopone Ma alcuni servizi stranieri dovevano essere a conoscenza del segreto e non passò molto tempo che cominciarono ad arrivare segnali.erano mirate alla lotta politica interna e a tirarne le fila era proprio Andreotti. visto che il dramma si era concluso sotto casa sua. che in più occasioni mostrò di essere piuttosto informato. Forse quello. Il principe si era sorpreso che. direttore di orchestra di fama internazionale. la polizia non avesse preteso di interrogarlo. proprio due anni dopo. di un Grande Signore. Il Cristo nella plastica era uno strano reportage. Palazzo Caetani Anche i magistrati romani hanno dato a lungo la caccia alla prigione nel Ghetto. non privo di errori grossolani (Scelba era una città. dove realtà e finzione venivano mescolati insieme. nel quale per la prima volta si accreditava una pista sovietica dietro il rapimento Moro. di proprietà dello IOR. Moro viene condotto in un garage in via della Balduina. mafioso italoamericano). e nei cui pressi era stata ritrovata la 132 utilizzata in via Fani. a interrogare il presidente della DC erano sono stati proprio un'Anna e un Franco. Nel secondo numero di «Metropoli». personaggio descritto con dettagli straordinariamente coincidenti con la biografia di Igor: la perdita dei beni familiari. Pannella un ministro).siamo nel dicembre 78 . Il sottile gioco di allusioni non è finito. proprio mentre all'aeroporto di Ciampino attendeva l'arrivo di Fulvio Martini. ad obliare» di Pecorelli. Igor aveva messo in salvo lo scrittore ebreo proprio durante il periodo fiorentino. dal titolo Cristo nella plastica. Cavalieri e testine rotanti. l'amicizia con Elena Croce. lo statista sarebbe stato condotto da tal Zucor. in un articolo anonimo dallo strano titolo. gli stessi nomi che compaiono nell'informativa del SISMI. Si ripresenta alla mente «quell'amnistia che tutto verrà a lavare. all'epoca assolutamente segreta. Ma c'è un'allusione ancora più precisa: al primo incontro Moro e Zucor a quanto sembra si riconoscono e ricordano di essersi incontrati a casa di Primo Levi. risponde la sibilla. pubblicato sul mensile «Penthouse» (finanziato da Bob Guccione. il nuovo capo del SISMI: qualcuno temeva un passaggio di consegne su quel delicatissimo capitolo? Due mesi dopo . cui aveva alluso Pecorelli in "Vergogna buffoni". quando collaborava con i GAP. dove già da un anno era stato predisposto un locale dotato di infermeria cui si accedeva da una porta segreta. accusati di far parte della direzione strategica delle BR. Il .la figura di Markevitch sembra ispirare un lungo racconto. pubblicato nell'aprile 1980. che ha a che fare con l'estero e prevede: «È legato a un'organizzazione. Dopo il sequestro. ma denso di allusioni che il tempo ha confermato. Per finire.da un infarto. in due anni da adesso escono e tornano a casa». nel processo "7 aprile": «Va a finire in niente. "Oroscopone". Gli imputati del "7 aprile" invece sono usciti. Sembra quasi il frutto di uno scambio di cortesie fra intelligence. viene consultata la maga Ester circa la sorte dei dirigenti di Autonomia Operaia. racconta Di Donato. Dopo una visita medica. La rivista satirica «Il Male» annunciò invece la pubblicazione di un libro: Malta. Ma non uscì mai. ci sarà sempre un buon esito per lui. In via della Balduina 323 c'è in effetti l'accesso privato all'autorimessa di via Massimi 91. resterà senza nome». dello scrittore Pietro Di Donato. la morte dell'anziana madre a novantacinque anni. rivista dell'Autonomia. Ma la maga parla anche di un Nemico. Ma nessuno fino a quel momento le aveva mai chieste. sei giorni dopo il sequestro Moro.primo a credere a quest'ipotesi fu il giudice Ferdinando Imposimato. se si esclude un'intercettazione sull'utenza telefonica di un appartamento. proprio nella zona vicina a via Caetani. La data sembra corrispondere al 22 marzo. ore ventuno e quindici. Elfino Mortati. proprio su largo di Monte Savello. dove sono ospitati uffici. si badi bene. la contessa Rossi di Montelera. con il recapito telefonico dell'Immobiliare Savellia. proprio di fronte all'isola Tiberina. scritti da Moretti. che gestiva l'immobile per conto della famiglia. Palazzo Orsini è ora un complesso residenziale. rappresentanze diplomatiche. completamente ristrutturato. banche. Un pentito toscano. La Marchesi era la titolare della Savellia e l'atropina è un alcaloide con proprietà anestetiche. Tra le carte di Morucci. disposta per soli cinque giorni dal consigliere istruttore . simbolo della casata. Anche lì c'è un cancello con il "passo carrabile" e due orsi all'ingresso. atropina». che è proprio alle spalle di via Caetani. agenzie: si trova a duecento metri dalla Sinagoga e non lontano da via Caetani. a chi può essere venuta un'idea del genere? Sono state compiute indagini? Siamo in grado di dare tutte le informazioni necessarie». C'erano perfino alcuni spunti investigativi che in passato avevano già condotto gli inquirenti alla dimora dei Montelera. Nel covo di via Gradoli la Polizia aveva trovato degli appunti. al momento dell'arresto. Ma le indagini alla fine s'interruppero senza arrivare a nulla di concreto. dai vari ingressi allo spessore delle mura. vecchia sede di un'ambasciata spagnola. De Ficky individuò uno stabile in via dei Pompieri. un imponente complesso che sorge alle spalle del Teatro Marcello. Non conosceva la città e non sapeva indicare la via precisa. In un altro foglietto c'era scritto: «Marchesi Liva mercoledì 22. corredata di tutte le indicazioni utili. gli aveva confidato di aver dormito un paio di notti durante il sequestro Moro in un appartamento al centro di Roma. fu anche recuperata una piantina topografica dell'intero palazzo. Rintracciata dai giornalisti in Svizzera. Durante sopralluoghi notturni Imposimato e l'ex terrorista si aggirarono per le stradine adiacenti a piazza Argentina: il giovane riconobbe luoghi familiari ma non riuscì a localizzare l'appartamento. Due orsi e non due leoni. un'agenzia che gestiva i contratti di affitto dei residence e degli uffici di Palazzo Orsini. All'inizio degli anni Novanta una serie di indizi ha nuovamente portato la magistratura nel Ghetto ebraico: stavolta le segnalazioni indicavano palazzo Orsini. come scriveva Pecorelli. della famiglia Rossi di Montelera. Ai familiari non risultava che avesse mai fatto un simile dono al bambino e la frase fu interpretata come un messaggio. si mostrò sorpresa: «Sono tutti uffici molto importanti. Un secondo magistrato fu il PM Luigi De Ficky che era rimasto colpito dal passaggio di una lettera di Moro al nipotino: «Ricordi quando ti ho regalato i pompieri spagnoli?». Elfino Mortati. qualcuno fotografò Mortati. Il messaggio diceva che il corpo di Moro era stato lasciato lì. Massimo Giraudo che. sulla base di elementi già emersi nel 78 e di successive testimonianze e perizie. non cambia niente. mai scoperto nel corso delle inchieste disposte dalla magistratura nel corso di venti lunghi anni. che dopo la scoperta di via Gradoli lo aveva rassicurato: «Non ti preoccupare. Imposimato e anche il giudice Priore che si era accodato al sopralluogo. ma è rimasto il sospetto che in quel palazzo potesse esserci la sede di un organismo riservato in qualche modo collegato al quartier generale delle BR. e cioè che il capo delle BR avesse ucciso il presidente della DC in via Montalcini. fu assassinato dalla camorra. Ma per molti motivi.Cudillo. dove si svolgevano le riunioni delle BR. Forse per questo il 9 maggio. Un anno dopo il fratello del giudice Imposimato. dove aveva pernottato. al Ghetto. Questa ormai è la convinzione prevalente: del resto nessun inquirente aveva mai creduto fino in fondo alla versione data da Mario Moretti. L'indagine del ROS È stata la Commissione Stragi. riuscì finalmente a localizzare la base BR più vicina a via Caetani e cioè al luogo dov'è stato trovato il corpo di Moro: in una zona dove lo statista sarebbe stato trasferito negli ultimi giorni di vita e dove con tutta probabilità sarebbe stato anche ucciso.«La Nazione» pubblicò un ampio servizio in cui si dava notizia del suo pentimento. come vedremo. ma non ci sono problemi perché è in un luogo di massima sicurezza. durante uno dei sopralluoghi. Moro è detenuto in città. durante la sua permanenza a Roma. il vero luogo dell'esecuzione non doveva essere scoperto. forse dalla sede sotto copertura del SISDE. Il magistrato lo considerò un avvertimento e le indagini s'interruppero. poi individuata all'interno di Palazzo Antici Mattei. nel marzo '79. per poi attraversare Roma con un cadavere sanguinante nel bagagliaio. I tre furono ripresi mentre erano all'angolo tra Palazzo Caetani e via de' Fu-nari. condusse gli inquirenti alla base di via dei Bresciani 4. Il presidente Pellegrino affidò la nuova indagine al maggiore dei ROS. al crocevia tra la sede della DC in piazza del Gesù e quella del . con la sibillina aggiunta che le BR lo avevano condannato a morte. Il giovane brigatista intuì che si trattava di una minaccia seria. quando non era passata neppure un'ora dal ritrovamento di Moro. il "lucido manovratore" aveva già elaborato il messaggio che serviva a distrarre l'attenzione dal vero motivo per il quale le Brigate Rosse avevano scelto quella strada. non verrà trovato». ma gli inquirenti non riuscirono a localizzare l'altra. Pochi giorni dopo Mortati era intanto tornato a Firenze . Una sera. La foto fu scattata dall'alto. e più importante. negli anni Novanta. a individuare il covo BR di via Sant'Elena 8. all'interno della Renault rossa. che i servizi segreti avevano pilotato l'uscita della notizia e da quel momento rifiutò di rispondere alle domande dei magistrati. Anche il brigatista raccontò di aver conosciuto una certa Anna. L'indagine fu archiviata. imprenditore a Napoli. al termine del suo girovagare. Nell'inchiesta Moro emerge dunque per la prima volta un'area di militanti BR mai identificati o. Ma era soltanto l'ultimo raffinatissimo depistaggio. Prima di addentrarci nei segreti di quest'ultima postazione BR. Suonò il campanello ma non rispose nessuno. Nell'appartamento in via Sant'Elena 8. dettaglio che ha consentito di stabilire che la vettura che ha trasportato il corpo di Moro ha proceduto lentamente per un percorso non superiore a cinquanta metri. lasciando un recapito telefonico che avrebbe dovuto usare per avvertirli soltanto «se la polizia avesse fatto irruzione». come se il covo di via Sant'Elena 8 fosse off-limits. dunque in un orario successivo alle dieci di mattina. perché sembra che sia morta di cancro nell'estate del '79. ci erano arrivati per primi i vigili urbani. mai perseguiti. Il comandante dei vigili Francesco Russo. la donna di via Sant'Elena 8. e non oltre mezz'ora prima del ritrovamento della Renault. in particolare la portiera ricordava una donna di nome Anna.parallela a Via Caetani. hanno stabilito che lo statista era stato ucciso a non più di cinquanta metri dal luogo dov'era stato trovato. quelle consegnate dal comando ROS alla Commissione Stragi. dove aveva parenti e amici. va ricordato che le ultime perizie. Da accertamenti dei vigili urbani. potrà sembrare strano. il rapporto risultò censurato in alcune pagine. Gli stessi elementi "volatili" sono stati rinvenuti anche sui copertoni dell'auto. I carabinieri agli ordini del colonnello Antonio Cornacchia (p2). dove abitavano due giovani coniugi. quattro ore in più rispetto alla versione fornita da Moretti. dopo una segnalazione che forse proveniva dal SISMI. Anzi. fallirono nell'impresa. E Laura De Noia. il 16 settembre 1978 si recò con i suoi uomini all'interno 9. a quanto ci risulta mai rintracciata o perseguita. . con il pretesto di un controllo su eventuali abusi edilizi. L'appartamento aveva continuato a essere frequentato da un viavai di giovani. La portiera raccontò che durante i mesi del sequestro la coppia si era allontanata. è la figlia del proprietario. Sulle scarpe e sugli abiti dello statista furono poi trovati moltissimi frammenti di fibre tessili di vario colore. Non si esclude però che possa essere stata allontanata e magari aver trovato rifugio in Israele. che probabilmente la riguardavano. se identificati successivamente. Anna fu identificata con tale Anna Bonaiuto. terzo piano. Yinsula Mattei. è piena di negozi e di magazzini di tessuti e drapperie: in particolare c'è un grande deposito di stoffe in piazza Paganica con passo carrabile proprio alle spalle di Palazzo Caetani. ma di cui non è rimasta traccia al processo. per sottolineare in modo simbolico che lo statista era la vittima sacrificale di quel compromesso storico che non si sarebbe mai dovuto fare. come si poteva desumere dai passaggi successivi. Laura De Noia e Raffaele De Cosa. anzi era. molto vicina a Palazzo Caetani.PCI in via delle Botteghe Oscure. infine è entrata nel FUORI. Il maggiore Giraudo. a distanza di tanto tempo». tutto un gruppo di persone aderenti alle Brigate Rosse sulle quali già nel 79 esisteva un rapporto del SISMI. l'agente del SISMI detto Mezzo Ebreo: era un senatore del PCI (proprio come in Cristo nella plastica dello scrittore italoamericano Di Donato) che avrebbe riferito come in un locale di via Arenula venissero reclutati giovani della zona per essere poi addestrati. come Adriana Faranda e Valerio Morucci. di quei viaggi non parlava con nessuno. nel già citato rapporto alla Commissione Stragi. soltanto al marito confessò di essere entrata nella rete di Simon Wiesenthal. ideologicamente ma forse anche militarmente. avrebbe consentito di identificare chi fosse la misteriosa Anna di cui aveva parlato anche Elfino Mortati. introversa. almeno secondo un'altra ipotesi. come già sappiamo. evidentemente. ha gravitato per qualche tempo nei circoli femministi della Maddalena. indicato come uno dei capi delle BR. poi si è avvicinata ad Autonomia. lavorava come documentarista. il signore di Palazzo Caetani. E in questo rapporto si scopre anche quale fosse l'informatore di Fattorini. in cui veniva indicata l'origine israelita di alcuni appartenenti all'organizzazione e anche i possibili contatti delle stesse con il Mossad o organizzazioni limitrofe. alla ricerca di un'identità politica: espulsa dal PCI. I brigatisti dissociati. Lo stesso Markevitch. aveva avuto relazioni amichevoli e profonde con il governo israeliano. Il 6 . Del resto i dissociati. e per questo suo legame pericoloso era costretta ormai a circolare con una pistola. l'organizzazione di liberazione omosessuale candidandosi nelle liste del Partito Radicale. Dall'inchiesta emerge la figura di una donna inquieta. In questo periodo sembra che Laura abbia riscoperto il suo ebraismo e abbia cominciato a collaborare alla rivista «Shalom»: andava spesso in Israele dove viveva una sua cugina. a firma di Cogliandro. anche di uomini di Stato e dell'economia che vengono considerati tra i fondatori di Gladio. il brigatista toscano. Una tragedia. e non come semplice intermediario. se qualcosa non si è ancora scoperto riguarda qualche compagno. non hanno mai fatto i nomi di persone non note agli inquirenti (ad esclusione del povero Maccari!). specializzata nella caccia ai nazisti.All'epoca la De Noia. coinvolto marginalmente nel sequestro Moro. nella tenuta di Santa Ninfa. Fatto è che il silenzio riguarda. a differenza dei pentiti. vent'anni dopo. cioè non è stato indagato o arrestato. punto d'incontro. proprio l'oasi meravigliosa di Hubert Howard. e cioè il ministro Paolo Emilio Taviani e il presidente dell'ENI Enrico Mattei. diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia. ovvero la "rete parallela" organizzata in funzione anticomunista. Non vale la pena parlarne. sostiene che il Mossad usa reclutare i suoi agenti nella rete Wiesenthal. hanno sempre ripetuto una sorta di ritornello: «Tutto è chiaro. che se l'è cavata. Il governo Berlusconi ha ritenuto che sulle stragi d'Italia fosse stata fatta sufficiente chiarezza e la domanda più angosciosa che ci insegue fin da quel 16 marzo 1978.febbraio 1990. come i fratelli Settimio e Osvaldo Cecconi. il ghetto ebraico e la "cupola toscana". mettendo a rischio la verità accertata nei tre processi finora celebrati. o le prigioni. è uscito di scena stroncato da un infarto in una cella di . la prigione sul litorale Le ipotesi a questo punto sfumano nel fantasmagorico. che viene localizzato nella zona dei Monti Sabatini intorno a Bracciano. dove lo statista ha trascorso gli ultimi cinquantacinque giorni di vita. Mentre l'anello debole della catena. ha chiuso i battenti lasciando incompiuta l'indagine sul punto più controverso e più oscuro del caso Moro: la prigione. che possiedono una casa sul lago di Bracciano. nella nuova legislatura. suicidatosi con i gas di scarico. è destinata per ora a restare senza risposta. appunto: perché la versione dei brigatisti dissociati non può trovare né conferme né smentite. La Procura di Roma non sembra particolarmente interessata a riaprire il capitolo della prigione Moro. il presunto "quarto uomo". dal momento che in quell'appartamento gli inquirenti sono arrivati due anni dopo e quando l'alloggio era stato restaurato. Villa Odescalchi. per due volte le forze dell'ordine si erano dette certe di aver individuato una prigione e avevano predisposto un blitz. un altro commerciante di tessuti con negozio in via Arenula. Amico della Di Noia era Bruno Sermoneta. Anche lui era un frequentatore di via Sant'Elena. Sull'agenda trovata in tasca al suicida c'era il numero di Massimo Carloni. Un blitz che per misteriose ragioni non si è mai fatto. Fili di un'indagine che collegano le zone più in ombra dell'organizzazione. quando il presidente DC fu rapito. Nei risvolti dei pantaloni c'era invece della sabbia. Germano Maccari. ex appartenente al servizio d'ordine di Lotta Continua. tipica di una parte del litorale tirrenico. Elfino fu in seguito interrogato e disse che in effetti all'epoca Tirabovi era noto con il soprannome di "Anna". anche negli ambienti del Comitato Rivoluzionario Toscano.Assunto ipotetico. indagato dopo la scoperta di via Gradoli a causa di un mazzo di chiavi di una sua vecchia Jaguar ritrovate nel covo. per via dei capelli lunghi. È questa una zona dove nuovamente ci conducono le perizie del maggiore Giraudo: sulla suola delle scarpe di Moro c'erano tracce di un terriccio vulcanico. fu trovato il cadavere di Marco Tirabovi. Proprio in quell'area. poi confluito nelle BR e indagato nell'88 con esito negativo dalla Procura di Bologna nell'ambito delle indagini sull'uccisione del senatore Roberto Ruffilli. Anche perché la Commissione Stragi. all'interno di un'auto parcheggiata nei pressi di Chieti. Una villetta poco lontano da quella della Di Noia e del marito. secondo Carlo Alfredo e Giovanni Moro. che poggiano tutti sull'assunto ipotetico che l'unica prigione sia stata quella di via Montalcini. compresa tra la zona a nord di Focene e Marina di Palidoro. altri fino all'ultima settimana. scrivono i periti. rimasti finora senza nome. lungo la via Aurelia. E questo vale anche per i pneumatici dell'auto.]. La conclusione è la seguente: L'area di provenienza di parte del materiale componente queste incrostazioni è la regione occupata dai prodotti dei vulcani Sabatini.. Per il momento la Procura di Roma si è limitata a riaprire il fascicolo su Innocente Salvoni. variabile da pochi metri a un massimo.]. quando le BR avrebbero ceduto 1'"ostaggio" alla malavita perché non erano più in grado di gestire il sequestro. ma per accertare la presenza e il ruolo in via Fani di questo brigatista. proprio in . seppur autorevole conferma. compresa tra Roma e l'area del Lago di Bracciano o. il territorio dei Colli Albani [.Rebibbia nell'agosto 2002.. La sabbia trovata sulle ruote della Renault. che. in epoca anteriore a quella in cui è transitata sulla sabbia del litorale. è «reperibile a una distanza dal bagnasciuga molto ridotta. Un'ipotesi confortata dalla perizia sulla sabbia. quando forse si paventava che l'inchiesta sulla prigione di Moro potesse venire riaperta. La perizia sembra confermare l'ipotesi che Moro sia stato tenuto prigioniero fuori Roma.. Il materiale vulcanico non ha subito trasporto e quindi deve aver aderito ai parafanghi direttamente dalla sua ordinaria area di provenienza. come abbiamo detto. sarebbe di una qualità che conduce al tratto di litorale tirrenico che va dal settore nord di Focene a Marina di Palidoro: una decina di chilometri del lungocosta raggiungibili dalla capitale in non più di mezz'ora. Ma sono in molti a non rinunciare alle molteplici segnalazioni su una prigione vicino al mare. E il cerchio si chiuderebbe per sempre. ma solo di recente questa mia fissazione ha trovato qualche timida. non tanto per scoprire quali fossero i suoi rapporti con l'Hyperion. in via subordinata.. di non più di un centinaio di metri». ha camminato su un terreno vulcanico tipico delle zone interne e peritirreniche del Lazio: detto [materiale] per alcuni caratteri è simile a quello osservato sui parafanghi della Renault 4 [. ma solo per limitatissimi settori del litorale indicato. finora scagionato da Morucci. ad esempio nei dubbi manifestati in un'intervista su un numero di «Panorama» della primavera 2003 dal giudice Rosario Priore. Molti pensano che Moro sia stato in via Montalcini per un certo periodo: qualcuno soltanto per pochi giorni. In quali e quante prigioni è stato detenuto Moro? Personalmente ritengo che il Presidente in via Montalcini non abbia mai messo piede. che Salvoni possa essere identificato come uno dei due brigatisti a bordo della moto. anche se nulla è ancora trapelato dell'indagine.Ho la sensazione. sotto la suola delle scarpe di Moro e perfino nei risvolti dei pantaloni. Non resta dunque che fare un po' di fantastoria sulla base dei fatti accertati dal ROS. L'analisi peritale così prosegue: Una parte del materiale rinvenuto sotto la suola delle scarpe indica che la vittima. E sembra anche che dietro la nascita dell'oasi di Palo Laziale. come per Santa Ninfa. alla fine degli anni Sessanta. che si trovava all'interno di un terreno ancora di proprietà della nobile famiglia romana. questi ultimi. Hubert Howard (che ne fu anche consigliere nazionale dal 1962 al 1972). in base a un accordo con la Fondazione Caetani. dieci anni prima la residenza italiana di Paul Getty. che riconducono a Markevitch. Insomma quel luogo ricco di anfratti. a Palo Laziale. Per una di quelle coincidenze straordinarie tipiche dei misteri d'Italia. La pubblicità ne esaltava la collocazione: il nuovo albergo era situato su un promontorio. dotata perfino di una pista di atterraggio per elicotteri e velivoli privati. la brigatista che abitava in via Sant'Elena 8 ed era figlia del proprietario del negozio di tessuti che si trova alle spalle di Palazzo Caetani. . nel 1990 si scoprì che nei pressi di Marina di Palidoro. anche se le coincidenze che hanno condotto la Commissione Parlamentare d'Inchiesta a Villa Odescalchi restano molto suggestive. Procedendo si scoprì anche che Paul Getty aveva acquistato dalla famiglia Odescalchi un'antica stazione di Posta del Seicento. capanni. mentre nei sotterranei era possibile visitare un museo romano. era stata venduta a una catena alberghiera di proprietà della società svizzera Cobajar ed era stata trasformata nell'esclusivo hotel La Posta Vecchia. con i suoi numerosi nascondigli naturali era particolarmente adatto a occultare una prigione che poteva rimanere ignota perfino ai custodi della villa dove il magnate del petrolio si recava di rado. bisogna aggiungere che nel 78 Villa Ode-scalchi era ancora di proprietà di Paul Getty. come in via Montalcini. avevano dato in gestione al WWF il parco naturale trasformandolo in un'oasi protetta. a ridosso della spiaggia. che l'aveva trasformata in una residenza sfarzosa. provvidenziali lavori di restauro hanno completamente alterato la struttura dei luoghi dove Moro potrebbe essere stato tenuto prigioniero. Certamente Howard e Getty si conoscevano. edificata su ruderi romani. ed era circondato da uno splendido parco e da boschi protetti del WWF. Elena Croce e.. ruderi. Con un'ultima postilla che consente di chiudere il cerchio della fantastoria: il nome di Hubert era annotato anche sull'agenda di Laura Di Noia. si nasconda la passione naturista del dominus di Palazzo Caetani. Prima di tornare al Ghetto.. ma chiuso all'esterno. Due nomi.una zona del litorale compresa tra Focene e Marina di Palidoro. che è la prima associazione di tipo protezionista sorta attorno alla metà degli anni Cinquanta su iniziativa di Giorgio Bassani. già denominata Villa Odescalchi. vasto migliaia di ettari. ed è stato fondato nel 1966. il miliardario americano. Dopo la vendita dell'80. I vecchi proprietari. insieme al Gruppo Natura di Italia Nostra. Il WWF è la stessa associazione naturista che gestisce l'oasi di Ninfa. L'antica allusione di Pecorelli sul fatto che Moro potesse essere stato trasferito in elicottero troverebbe così una surreale giustificazione. Dunque avvisarono una pattuglia della Guardia di Finanza segnalando in particolare la presenza di una ragazza bionda che faceva parte del gruppo. notarono nei pressi dell'argine di Focene un gruppo di giovani. ma è evidente che la notizia dell'indagine trapelò già allora. L'UCIGOS metteva anche in dubbio il fatto che il gruppo di persone viste dagli "spalatori" sulla spiaggia fossero coloro che avevano seppellito i volantini. sulla presenza di brigatisti nella zona di Focene. forse due ragazze e due ragazzi.La località coincide con l'indicazione data dall'uomo della 'ndrangheta Rocco Varrone all'onorevole Cazora: la prigione nella zona Aurelio-Boccea che era. anche perché quasi subito la Guardia di Finanza entrò in conflitto con l'UCIGOS che non ritenne attendibile la testimonianza degli "spalatori" e anzi invitò le Fiamme Gialle a ritirare le pattuglie dalla zona perché. Nelle mie memorie di cronista questo episodio ha fatto riemergere un lontano ricordo: nell'autunno '78 lavoravo all'ANSA e il mio capo mi spedì a Focene perché aveva saputo da un amico della Finanza che in quella zona era stato scoperto un covo delle BR. Il 26 marzo 1978. sotto il controllo della Banda della Magliana:potrebbero essere stati proprio i boss della gang romana a proteggerla da intrusioni durante il sequestro. Appena si allontanarono. Non ne cavai molto. Ma della ragazza bionda non si è più avuta . Dalla nota emergeva che la bionda era stata identificata. così confermò l'uciGOS. «L'ufficio da atto che trattasi della fotografia di Mario Moretti». Nonostante la diffida del ministero dell'Interno. Prese avvio un'indagine alquanto strana. Al primo fu mostrato un album di un centinaio di foto di individui che gravitavano in ambito brigatista e l'uomo indicò nella foto numero 7 una delle quattro persone notate sul litorale di Focene. è scritto nel rapporto. C'è di più: com'è avvenuto per Palazzo Caetani. perché si trattava di una persona nota nella zona. la Guardia di Finanza continuò a indagare. Il sospetto è che i due operai abbiano riconosciuto la ragazza non dalle foto. Anche Pippo Calò abitava in quel periodo in una villa sull'Aurelia. anzi sosteneva la «completa estraneità ai fatti» della stessa perché «persona legata ad elementi al di sopra di ogni sospetto». e volutamente ignorate. ha raccontato Buscetta. dieci giorni dopo il rapimento Moro. ma de visti. potevano suggestionare altri eventuali testimoni e indurii a riconoscere erroneamente la ragazza. per la sua collocazione. due addetti al lavoro di ripristino dei canali. l'indagine del ROS ha portato alla luce una serie di segnalazioni fatte all'epoca. gli spalatori videro che dalla sabbia spuntavano volantini delle Brigate Rosse. i cosiddetti "spalatori". ma per qualche motivo FuciGOS riteneva non fondato il riconoscimento. intenti a seppellire qualcosa sulla spiaggia. Il 2 settembre 1978 il giudice Rosario Priore finalmente interrogò gli "spalatori" che confermarono la loro versione. Quale può essere stato dunque. L'indagine fu archiviata e fino al 2000 della presunta prigione sul litorale romano non si è saputo più niente. dal luogo dov'è entrata in contatto con il materiale descritto. intrecciate alle grandi connection evocate dal musicista Markevitch. a via Caetani dov'è stata ritrovata.se prendiamo per buona la fiction di Di Donato . cacciatori di teste e agenti segreti. la 132 con a bordo Moro arriva in via della Balduina. secondo questa ipotetica e ardita ricostruzione. a bordo di un furgone. esaminiamo la seconda parte della perizia del ROS: nella Renault 4 c'erano soprattutto filamenti tessili. dove . sovrastanti sia la sabbia che il terriccio. il percorso immaginario compiuto dal presidente DC dal momento della sua cattura in via Fani? Le perizie del maggiore Giraudo. Sono stati identificati [. A . presenti sia in elementi di alcuni centimetri di lunghezza sia dispersi anche nelle classi granulometriche più fini della frazione sabbiosa.notizia. Dopo la strage di via Fani. con lunghezze inferiori al decimo di millimetro. giallastro e arancione e bianco di diversi diametri e caratteri di dettaglio.] fibre e frammenti di fibre con caratteri di diametro. di pennello terminale e di superficie analoghi a quelli propri delle fibre artificiali. Tra le altre sono state osservate di colore rosso e azzurro.. Moro. avvolte in fitti aggregati.. molto sottili. gli vengono prestate le prime cure. Ma l'elemento più importante è che la presenza di questi filamenti sulle ruote e sul parafango è così massiccia da far ritenere che la vettura non abbia percorso più di cinquanta metri. Dopo una breve sosta nel garage. quando dell'ostaggio non c'è più alcuna traccia.nell'apposito locale attrezzato da più di un anno. a bassa velocità. e quindi deposti successivamente: Un assortimento di varie strutture filamentose a caratteri molto eterogenei. viene vista parcheggiare nei pressi di via Massimo. marrone. rosso di diametro maggiore.consentono di individuare alcune possibili tappe. lo statista avrebbe trascorso buona parte dei cinquantacinque giorni: l'assoluta sicurezza dell'ambiente avrebbe addirittura consentito ai suoi carcerieri di fargli compiere qualche passeggiata sulla spiaggia. da due uomini e una ragazza. Con l'inevitabile deduzione che Moro sia stato ucciso in un luogo molto vicino a palazzo Caetani. in questa sarabanda di brigatisti. Non solo: lo spalatore aggiunse di aver notato in quello stesso periodo una Renault parcheggiata lungo il canale con all'interno due giovani con i baffi. entra dal lato posteriore nella rimessa dello IOR di via Massimi 91. in via Licinio Calvo. Per tornare all'ipotesi che Moro abbia trascorso gli ultimi giorni di prigionia nella zona del Ghetto.zona che dista appena dieci minuti dalla sfarzosa residenza di Paul Getty dove. Ricordiamo che la 132 nella mezz'ora successiva al sequestro. sarebbe stato trasferito per vie secondarie in una villa nei dintorni di Bracciano. confortare quest'ipotesi. dell'ultima possibile prigione di Aldo Moro nella sua biografia: Una spia a Roma scritta negli anni Sessanta. E conosce bene anche Markevitch:si erano incontrati durante la guerra. visto che nel '43 vi aveva stabilito la sua base segreta. all'incomunicabilità tra poteri dello Stato e organi inquirenti. dove svolge la sua attività di intelligence in stretto contatto con alcuni comandanti partigiani. che ci da un'indicazione. erano già noti. Del resto Tompkins è un esperto di guerra psicologica e ha sempre mostrato di saper calibrare i suoi interventi nei fatti italiani di cui è grande conoscitore. nelle motivazioni della sentenza sull'omicidio Pecorelli. che raccontano di aver appreso in due differenti occasioni e da fonti diverse che le forze dell'ordine avevano individuato una possibile prigione di Moro vicino Palo Laziale e stavano preparando un blitz per liberarlo. ovvero Saragat e Pertini. Ma è un personaggio insospettabile che a un certo punto ci viene in aiuto: Peter Tompkins. e per questo l'ostaggio fu nuovamente trasferito per la terza e ultima volta nella zona del Ghetto? Di questa ricostruzione non c'è traccia nella versione data dai dissociati delle BR. Tra questi ci sono anche due futuri capi di Stato. Eppure i risultati delle indagini compiute dalla Commissione Parlamentare che ha pieni poteri d'inchiesta. ma recentemente ripubblicata con una presentazione. il servizio segreto della Resistenza. I misteri del Ghetto Non deve stupire la chiave surreale cui ricorriamo per tentare di forzare l'ultimo baluardo che si oppone alla piena comprensione di quella terribile primavera del 78. Nel libro di memorie Tompkins racconta un episodio avvenuto nel '43 in un interno di Palazzo Antici-Mattei (lo stabile fa parte dello stesso . che era per altro marito di Elena Croce. che ha dell'incredibile. La rete Craveri operò in stretto contatto con l'oss e dunque con il generale William Donovan. pari a quelli della magistratura. organizzato dall'avvocato torinese Raimondo Craveri. ma soprattutto con Peter Tompkins. rispettivamente fratello e figlio dello statista. manifesta rincrescimento per non essere riuscito a localizzare la prigione di Moro che Dalla Chiesa avrebbe scoperto quando propose di fare quel blitz che non gli fu consentito. le testimonianze di Carlo Alfredo e Giovanni Moro. agli atti della Commissione Stragi ci sono. da lui incaricato di organizzare la liberazione dal carcere nazista dei prigionieri politici. Il presidente Verrina. su consiglio di Carlo Sinigaglia. come Giuliano Vassalli. come abbiamo accennato. ancora una volta. vicecapo del Comando Alleato durante la Liberazione. Tompkins conosce bene Palazzo Caetani. Era stato Dalla Chiesa a scoprire il rifugio segreto. E soltanto la magistratura potrebbe riaprire questo capitolo di indagine. quando Igor. Perché la Corte d'Assise d'Appello di Perugia non ne ha tenuto conto? Gli atti non sono stati trasmessi? Forse dobbiamo rassegnarci. forse non del tutto casuale. In quel periodo la "spia americana" è già all'interno di Palazzo Caetani. entrò in contatto con l'ORI. ] varcato il pannello mi trovai in una piccola camera da letto dove tutte le porte erano state murate e coperte da carta da parati. assicurano che Moro non sapeva di essere stato condannato a morte. ove. l'unica finestra era celata da pesanti tendaggi [.. nei giorni successivi. come scriveva Pecorelli.. quando era ancora in corso l'ultima possibile trattativa prima che qualcuno. anno dopo anno.. in attesa di essere estradato. spostato un comodino apparvero i contorni di un pannello segreto largo circa quaranta centimetri e alto altrettanto. Anche Moro è stato trattenuto in quella stanza. non vuole che lo sappiano da altri. Una cosa è certa: Moro era costantemente informato di ogni decisione che lo riguardava. faccia come le ho detto. al contrario. che avevano scoperto il suo ultimo domicilio e premevano per intervenire? O erano altri i "carabinieri" che Moro temeva? E veramente difficile riuscire a immaginare quello che è accaduto negli ultimi giorni e soprattutto nelle ultime ore.». ma temeva di essere ferito in un conflitto a fuoco dei "carabinieri". io non mi posso trattenere a lungo.». vada subito da loro». che abbiamo ascoltato tante volte in tutte le commemorazioni. i saluti. era convinto che l'ultimo trasferimento avrebbe preceduto di poche ore la libertà. non ce la faccio. quando questa fu decisa. sono le volontà del . E perciò anche della condanna a morte. Ma anche la telefonata che fece Morucci al professor Franco Tritto. nella Renault rossa: «Lei deve informare la famiglia. Il professor Tritto. come i prigionieri liberati dai tedeschi? Scriveva il nostro Pecorelli in quei giorni: «Moro era certo di essere liberato.. Quella stanza così ben nascosta all'ultimo piano di Palazzo Antici-Mattei doveva servire come rifugio temporaneo per i prigionieri liberati dalle carceri tedesche in attesa di poterli estradare verso la salvezza.complesso occupato dagli alleati e chiude alle spalle Palazzo Caetani): Cervo mi fece salire i gradini che portavano alla terrazza: da qui per un corridoio tortuoso mi condusse in una piccola camera da letto.. ad esempio.. lo scambio di reciproci auguri. sono le ultime volontà del Presidente. «alzasse il prezzo e tradisse il patto». I brigatisti dissociati. piange al telefono. della fase finale del sequestro.. un amico dello statista. Un colloquio drammatico. Lo aprì e si cacciò dentro a carponi[. Ma credo che almeno Moretti abbia incontrato Moro.». Anna Laura Braghetti arriva a descrivere il commiato.. Morucci dice al professore che il corpo di Moro è in via Fani. sono usciti definitivamente di scena e l'ostaggio è stato consegnato ad altri protagonisti. I carabinieri di Dalla Chiesa.]. o almeno alcuni di loro... Lo conferma l'ultima straziante lettera alla moglie: «Mia dolcissima Noretta. Morucci insiste: «Professore. ancora sconosciuti. sussurra: «Non me la sento. a quando i brigatisti. Forse dobbiamo soltanto retrodatare di qualche giorno questa foto. un vecchio allievo dell'università. prima che il Presidente si calasse nella cesta per essere portato via. si è avviato verso l'estremo sacrificio dopo aver maledetto per l'ultima volta i nuovi nemici e i vecchi amici. troppo difficile: quegli antichi guerrieri costretti a scendere nelle arene erano i gladiatori. oramai. preferiva che fosse un amico di famiglia a portare la notizia. dunque. Morucci temeva che potesse essere localizzata la cabina da dove stava telefonando. immaginando la disperazione della moglie e dei figli. In assenza di ogni possibile certezza. Di fronte al muro dov'è parcheggiata la Renault con il corpo di Aldo Moro. ruolo del KGB Molti anni dopo il professor Franco Tritto è stato protagonista di un'altra . se davvero era all'interno dell'auto (ipotesi considerata molto improbabile) il killer che ha imbracciato la mitraglietta Scorpion. quella del ritrovamento del presidente DC. Anche la tragica pagina finale sembra tutta da riscrivere. visionari e sibillini di Pecorelli. quel sangue ricade anche su di noi. Non il presidente del Consiglio Andreotti. quel partito da cui aveva dato le dimissioni. Dunque a Moro era stato comunicato che la sentenza doveva essere eseguita.Presidente. Il passo è tra i meno conosciuti. in quella posizione scomoda e in quello spazio angusto. La perizia del ROS afferma che neppure la versione dell'esecuzione è compatibile con quanto ha rivelato l'autopsia: Moro era in piedi quando gli hanno sparato o. consapevole di essere stato tradito. sullo scenario dell'assassinio troviamo un altro degli scritti oscuri. aveva paura di essere arrestato. Il nastro della registrazione è pieno di fruscii: anche il brigatista sembra emozionato e sullo sfondo si sentono distintamente i singhiozzi di Tritto. aveva avuto il tempo di manifestare le sue ultime volontà e. la nobildonna ha come un'allucinazione e sussurra: Oltre quel muro ci sono i ruderi del teatro Balbo. forse perché soltanto da poco tempo è stato possibile coglierne interamente il significato. E nella sua solitudine. e immagina tra la folla una contessa romana che sull'onda dell'emozione si abbandona a sinistre riflessioni. per la particolare inclinazione dei colpi. La risposta all'ultimo rebus non è. Su «OP» del 23 maggio 1978. Chissà cosa c'era nel destino di Moro perché la sua morte fosse scoperta proprio contro quel muro? Il sangue di allora è il sangue di oggi. il terzo anfiteatro di Roma. Mino si avventura in un'altra fantacronaca. Ho letto in un libro che a quei tempi gli schiavi fuggiaschi e i prigionieri vi venivano condotti perché si massacrassero tra di loro. Esso suggerisce come il giornalista fosse tra i pochi ad aver capito immediatamente perché il corpo di Aldo Moro era stato abbandonato in via Caetani e quali segreti nascondessero quelle mura. nell'auto ci sono anche alcuni effetti personali da consegnare alla famiglia». doveva essere seduto al posto di guida e dunque doveva avere un'elevata capacità nel manovrare l'arma. non gli ex amici della DC. uomini che aveva accusato di averlo condannato a morte. L'episodio ha molto avvalorato la pista sovietica nel sequestro Moro ed è stata recentemente sponsorizzata dalla Commissione Parlamentare che si occupa delle liste Mitrokhin. ma era tornato in Italia nell'81. come il KGB fosse interessato al sequestro Moro. il professore si accorse che nell'elenco c'era un nome che gli suonava familiare: quello di Sergej Solokov. proprio il 15 marzo. Solokov di tanto in tanto chiedeva informazioni sugli spostamenti del presidente della DC o sulle misure di sicurezza adottate per proteggerlo. Per giunta. Detto questo. Il caso Solokov dimostra ben poco. in via Savoia era accaduto un fatto che aveva messo in subbuglio tutti gli apparati di sicurezza e aveva creato molto allarme tra gli uomini della scorta. leggendo le memorie dell'archivista Mitrockhin. Probabilmente lo studente russo era un informatore del KGB. abbiamo già visto. Cosa sia successo in via Savoia quel giorno con esattezza non si è mai capito: il capo della polizia Parlato andò sul posto assicurando che si trattava di semplici ladruncoli.testimonianza. dopo essersi intrattenuto a parlare con lo studente russo per qualche minuto. Qualche riflessione. uno studente russo che negli ultimi mesi aveva seguito assiduamente le lezioni di Aldo Moro all'università. oppure aveva informazioni molto imprecise: potrebbe aver mandato un agente al seguito del Presidente. dicendogli che poteva passare nel suo studio in via Savoia quel pomeriggio per ritirare l'invito. ma credo più probabile che si sia trattato di iniziative. in particolare nel maresciallo Leonardi che da tempo temeva potesse accadere qualcosa di molto grave. Ci fu un furto. com'è poi avvenuto. Con sorpresa il professor Tritto. il presidente DC. Ma sembra strano che il KGB. il giorno prima del sequestro. di un collaboratore esterno. come a sua volta temesse l'ascesa del PCI e il compromesso storico per i contraccolpi che . tra cui lui. familiarizzando con la cerchia di assistenti. o un tentativo di furto. Tritto ricordò anche che. comunque l'intrusione di due uomini nell'appartamento che avevano prelevato o tentato di prelevare documenti riservati. Il 15 marzo 1978. anche maldestre. tutt'al più che il KGB era all'oscuro di quanto stava per accadere. lo aveva invitato a presenziare all'insediamento del governo Andreotti previsto per il giorno successivo. Quando fu pubblicata in Italia la lista della rete di spie del KGB elaborata dall'archivista del servizio segreto sovietico Vassilij Mitrokhin. cosa che non rassicurò nessuno. si esponesse al punto da mandare un suo agente nello studio di via Savoia sapendo quel che bolliva in pentola per il giorno dopo. un'aspirante spia che cercava di raccogliere informazioni su personalità politiche per accreditarsi presso il servizio ed essere assunto quale agente. dov'era rimasto fino all'85 per svolgere attività di spionaggio sotto la falsa copertura di giornalista della TASS. scopriva che lo studente era partito da Roma il 24 marzo 1978. per quanto possiamo averne una cattiva opinione. pur essendo stato un funzionario della polizia segreta fascista di Mario Roatta. oltre Moro. risultò essere in contatto con il servizio sovietico fin dal 1930. persone che sembravano svolgere un ruolo di tramite tra Est e Ovest negli anni della guerra fredda. avvenuto a Verona nell'82 quando ormai le Brigate Rosse si erano spezzate in due: da un lato l'ala movimentista di Senzani. quasi mai usata dal servizio. Fonte molto attendibile riferisce: 1. Il PCI. gestita dall'Hyperion e pertanto dal blocco occidentale (anche se sono personalmente convinta che Yécole sia stata la casa madre degli agenti tripli). Uno scenario all'interno del quale sembra collocarsi perfettamente anche Markevitch. Igor. capeggiati da Antonio Savasta. per quel che ne sappiamo: persone come quel Giorgio Conforto che. quanto per boicottare quella linea politica di compromesso storico alla quale aveva lavorato. E certamente il KGB poteva contare su informazioni che venivano da uomini a lui legati da tempo. abbiamo di fronte personaggi di spessore più consistente di Solokov. Sappiamo anche che il KGB era certamente in grado di controllare almeno un nucleo di militanti delle Brigate Rosse.l'ingresso nell'area di governo del maggior partito comunista europeo poteva provocare nell'impero sovietico. Ma "Dario" era anche molto vicino ad ambienti del Viminale e in ottimi rapporti con uomini dell'apparato. Questi si chiamerebbe Igor e sarebbe figlio o nipote di Margherita Caetani. a quanto confermò il generale Demetrio Cogliandro alla Commissione Stragi il 12 luglio 1999. e dall'altro l'ala militarista formata prevalentemente dalle colonne BR del Nord-Est e da un gruppo di brigatisti romani. se leggiamo l'informativa scritta dal funzionario dei servizi segreti. Insomma. Penso dunque che non sia un caso che la fonte «altamente qualificata» del SISMI. fosse un senatore del PCI (proprio come 1 racconto dello scrittore italoamericano De Donato). anche Enrico Berlinguer. comprendiamo anche quale sofisticato scenario apra la comparsa del KGB nel caso Moro. . rafforzando il "comunismo democratico". non era nel 78 in rapporti idilliaci con l'URSS ed era molto preoccupato degli appoggi che potevano essere forniti dai paesi dell'Est a organizzazioni terroristiche non certo per sostenere l'insurrezione armata in Italia. come appare evidente dal rapimento del generale americano James Lee Dozier. accusato dalla destra di aver ricevuto finanziamenti dal KGB (non diversamente da quanto accadeva in quegli anni tra DC e CIA). Il SISMI lo considerava una fonte «molto attendibile»: era un'indicazione di affidabilità altissima. tra cui il memorabile capo dell'Ufficio Affari Riservati Federico Umberto D'Amato.all'interno della quale prevalevano le manipolazioni dei servizi segreti dell'Est. Un senatore del PCI (non identificato) sarebbe a conoscenza dell'identità del capo delle Brigate Rosse. Ma. già direttrice della rivista edita da Feltrinelli intitolata «Botteghe oscure». facente parte del gruppo in argomento. . Presso il Comune di Roma sono stati assunti molti fiancheggiatori delle Brigate Rosse. 2. due brigatisti sono tornati a sparare su un treno. marito di Caetani Topazia e nipote di Margaret Chapin in Caetani. Accertamenti. Forse qualcuno potrà dire che ad alimentare la leggenda del Grande Vecchio sono state le paranoie di un senatore comunista che aveva la cattiva abitudine di frequentare i servizi segreti. Gli accertamenti condotti hanno permesso di identificare Igor Markevitch. Accertamenti. in particolare nella tenuta di Ninfa e della «stanza del Cardinale» nel castello di Sermoneta. accusati degli omicidi di Massimo D'Antona e Marco Biagi. residenti in via Sant'Elena e i corrispondenti di Trevignano sono Cecconi Settimio. L'auto era appartenuta originariamente a tale Sermoneta. Questa l'informativa. le perizie del ROS. amico di una brigatista residente in via di Sant'Elena 8. che suddivisi successivamente in piccoli gruppi hanno dato vita a vere e proprie cellule eversive. già da oltre dieci anni. Al tempo della vicenda Moro. Ci sono in giro ancora schegge impazzite delle Brigate Rosse che ruotano attorno al Comitato Rivoluzionario Toscano. il 2 marzo 2003. I Caetani.] al momento non identificato.. dietro il quale si cela una centrale occulta che nessuno finora ha voluto scoprire. Pochi mesi fa. messo di fronte a fatti incontestabili. di tutte le informazioni cui è faticosamente giunta la Commissione Stragi venti anni dopo.. facevano capo ad un covo che non è stato ancora scoperto a Firenze. Franchini Antonio [. erano diretti ad Arezzo. Erano Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi. 701 [sic]. A questo indirizzo è stata più volte notata Buonaiuto Anna. A conforto di tale tesi [la fonte] ha citato la Balzerani e la Mariani Gabriella (inquisite per la vicenda Moro) e ha riferito che in via Gradoli fu trovata la chiave dell'autovettura Jaguar targata H via Aurelia n. avrebbe partecipato agli interrogatori del leader DC. Non si vuole processare il passato: solo ricostruire la verità utile a capire il presente. tanti altri piccoli e grandi indizi di cui abbiamo parlato perché questa storia non sia ignorata. Gli occupanti dell'appartamento sono stati identificati nei coniugi Di Noia. avevano un ufficio in via Arenula dove provvedevano al reclutamento di giovani che successivamente partecipavano a riunioni politiche nei possedimenti Caetani. la vecchia indagine della Guardia di Finanza. Quella delle Brigate Rosse non è una storia chiusa. Il SISMI era dunque già in possesso. tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1978. gli articoli di Pecorelli e tanti.coetaneo di Moro. Ma ci sono troppi riscontri incrociati: le ammissioni di Morucci.]. gli occupanti dell'appartamento si allontanarono da Roma per evitare perquisizioni e lasciarono il recapito di un bar di Trevignano. professore di filosofia [.. amplificate da uno scrittore americano cui qualcuno aveva raccontato questa storia.. Nelle sue memorie La verità di un generale scomodo. E la prima moglie del musicista. figlia di Jordan. tanto da dichiarare la sua totale adesione alla cultura e al destino della nazione ebraica. antenna del KGB in Francia. Il musicista era divenuto amico del nazista Dollmann mentre trattava con gli americani per la liberazione di Firenze. 1998). primogenito di Igor e Kyra Nizinskij. Una fase collaborativa che anticipava di un decennio lo scenario che sarebbe stato . Un'esperienza da cui era uscito furibondo e prostrato. Il cerchio si chiude: anche Markevitch faceva parte del Noto Servizio o perlomeno era in contatto con esso. mentre era in contatto con Tompkins per conto di Craveri. URSS e Israele in quel particolare periodo politico cui fu possibile assistere al gioco di opposti e coincidenti estremismi». ma fin dall'inizio è stato difficile districarsi tra i mille legami "importanti" della sua vita. ha esplorato anche l'altra carriera di Igor Markevitch. per dare una risposta a tanti interrogativi. Ma a Roma Markevitch. era stato amico fraterno di Michael Noble. Nel periodo in cui la sua malattia all'orecchio esordì. se era viscerale il suo legame con la Madre Patria. sotto la copertura di addetto culturale all'ambasciata sovietica di Parigi. È in questo periodo che vengono collocati i suoi primi contatti con l'intelligence sovietica. Markevitch frequentava intensamente Juri Borissov. era stata allontanata dalla polizia fascista come sospetta spia dell'URSS:perché il musicista non fu altrettanto indagato? Forse le sue "credenziali" erano già note. ha sposato nel '66 Vaslaw Markevitch. dobbiamo tornare ai suoi rapporti con il bulgaro Jordan Wessilinoff. Latjana (detta Kyra) Nizinskij. quando già il matrimonio con Topazia Caetani vacillava. che già conosciamo: un agente al servizio di molte bandiere. La conferma arriva dalla Francia: nel 76. Markevitch accettò per la prima volta di fare concerti in URSS. era entrato anche in confidenza con alcuni ufficiali sovietici accreditati presso il comando alleato. che avrebbe finanziato attraverso il Noto Servizio anche il MAR di Carlo Fumagalli allertando la Procura di Brescia. Claudia Wessilinoff. quella di uomo di intelligence che si era evidentemente intrecciata agli sviluppi della sua straordinaria ascesa di artista. altrettanto forti erano i rapporti che aveva stabilito con Israele. Scrive Giraudo che. Ma per comprendere il suo ruolo di straordinario doppiogiochista. a Parigi. russi e bulgari. il capo del PWB. la struttura che si occupò della rinascita della vita culturale in Italia dopo il fascismo: ci aveva addirittura coabitato. e l'americano gli aveva aperto le porte più importanti della sua carriera di direttore di orchestra. americani.Storia di un agente «triplo» Il maggiore Giraudo. il generale dei Carabinieri Francesco Delfino scriverà che il musicista Igor «era persona di grande esperienza nel campo dell'intelligence: è possibile decifrare l'affare Moro solo pensando all'interazione di interessi tra USA. che si agitano sullo sfondo di diverse bandiere. Vécole francese. in mezzo a questo marasma c'è o non c'è chi tira le fila. stilata nel 2001 per la Commissione Stragi dal giudice Silvio Bonfigli (poi autore con Iacopo Sce di un libro: Il delitto infinito. se il Grande Vecchio che ha attraversato la lunga stagione di sangue del nostro paese non ha la barba lunga di Noè o il pelo orripilante dello Yeti venuto dalle pendici dell'Himalaya.].] l'assassinio di Moro maturò al culmine di una parabola. ma anche quello dell'astrofisica Giuliana Conforto. all'interno della scuola erano senz'altro ospitati più cartelli». terzo file l'attentato alla questura di Milano di Gianfranco Bertoli. estremista di sinistra ma filoisraeliana: la presunta brigatista aveva sulla sua agenda il numero di Hubert. URSS e Israele. ultime notizie sul sequestro Moro) viene esplicitamente scritto che Markevitch è un "agente triplo". figlia come abbiamo già visto di quell'agente segreto "Dario" il cui nome compare contemporaneamente sulla lista Mitrokhin e in testa al fascicolo del Noto Servizio. Ebbene. il cui ruolo nella vicenda gli era probabilmente già noto. Nella Relazione sul musicista russo Igor Markevitch.. Primo file: una foto di Henry Kissinger. poco distante dal Ghetto. L'ennesima premonizione di Pecorelli non sembra riguardare soltanto Markevitch. quattro file. arancioni. ma una folla di protagonisti che in parte abbiamo incontrato. Il 1978 è l'anno cruciale del terrorismo [. un individuo che si professa anarchico. proprietaria dell'alloggio dove furono arrestati Morucci e Faranda. ripescati nel cestino della memoria. in parte ancora ci sfugge. gialli. rossi. E torniamo a Laura De Noia.. Era una dépendance della CIA? Lo stesso giudice Rosario Priore nutre qualche dubbio: «Difficilmente il governo francese avrebbe tollerato una simile ingerenza sotto il suo ombrello. perché ci riporta a un'altra delle tante premonizioni di Mino che durante il sequestro Moro scriveva: Siamo in presenza di agenti doppi. Partiamo dall'Hyperion. tripli. Ecco dunque i quattro file: USA. che nei quattro mesi del rapimento Moro aveva aperto una sede in via Nicotera. c'è o non c'è il Grande Vecchio in grado di muovere i fili del burattino Italia? La mia idea guida è il caso Moro del quale non mi sono mai occupato: mi si sono aperti nella mente in modo casuale. Una definizione che ci fa sorridere. mi sono detto. qualcuno alla fine sperando di poter ricavare anche qualche incarico ministeriale. L'astrofisica. amica a sua volta . Delfino più avanti spiega: Per capire la storia recente del nostro paese bisogna tornare al 78. Ma non proviene da Israele? Quarto file: il corpo dilaniato di Feltrinelli a trecento metri da uno dei covi di Carlo Fumagalli. secondo file un vocabolario russo-italiano.. potrebbe ritrovarsi nella storia dei rapporti internazionali tra queste tre potenze. da quel momento sarebbe iniziata la discesa [..determinato dalla fine degli equilibri stabiliti a Yalta nel 1945. ovvero seguaci di Pietro Secchia. Anche Dario. . morto avvelenato nel 73. Forse c'è davvero stato quel tacito accordo all'interno delle grandi potenze sul rapimento Moro di cui parlava Mino nel suo articolo Yalta in via Fani". di cui la resistenza antinazista appariva l'apprendistato». gli israeliani indignati per la sua politica filoaraba. essendo al tempo stesso angloamericano. poi spia del KGB. una passione che la figlia Giuliana ancora coltiva e che condivide con Tompkins: la "spia americana" negli anni è diventata uno dei massimi conoscitori dei misteri egizi. E di quello stesso periodo Markevitch racconta il forte legame che aveva stretto con Sinigaglia: «Appartenevo ogni giorno di più ad un nuovo mondo. che si riattiva la guerra di intelligence tra Est e Ovest. che non devono stupirci. con quella pluralità di suoni che gli viene dall'esperienza di direttore d'orchestra. Ognuna delle tre potenze. e che molti recenti indagatori dei misteri italiani danno ormai per certo. era a suo modo interessata a bloccare i disegni politici di uno statista troppo indipendente: gli americani contrari all'apertura del governo ai comunisti. i sovietici preoccupati dall'influenza che poteva avere oltre il Muro un modello di comunismo democratico. Gallinari e altri. sfuggito al controllo dei suoi molti committenti.. E nelle BR si moltiplica il gioco degli specchi. i cacciatori di teste e i gladiatori.politicamente si collocava tra gli ex comunisti "secchiani". Ed è dietro questo "autentico" profilo comunista delle Brigate Rosse che s'intravedono rapporti che possono aver accreditato l'autenticità" di Markevitch partigiano comunista. All'interno delle BR. Tutti e due frequentano l'associazione Uomo Natura Energia.della proprietaria dell'appartamento in via Gradoli. Ma è nel corso del sequestro. facemmo una riunione in cui furono assegnati gli incarichi [. come Markevitch. esisteva un nutrito gruppo di "secchiani": Franceschini. il dirigente espulso dal PCI di Togliatti per estremismo e stalinismo. indicate dal generale Delfino. Strane comunanze. Il musicista era entrato a far parte di un mondo circolare dove alla fine gli estremi si toccano. dominus di un interrogatorio che soltanto lui è in grado di dirigere. perché la Guerra Fredda è davvero finita..] il lavoro militare venne affidato al Sinigaglia quale responsabile principale». nella sua autobiografia Comunista non professionale racconta: «il 14 settembre 1943 venne a Firenze il compagno Secchia. Come nel caso di "Dario". che durante l'interrogatorio rivela segreti di Stato e militari. perché ognuna delle parti in causa ha i propri rappresentanti al suo interno: ci sono i secchiani. Forse è davvero lui 1'"intermediario". ma senza tralasciare rapporti con gli angloamericani. Gino Tagliaferri. era cultore di pratiche esoteriche. agente doppio e forse triplo: già in contatto con i russi da quando era nel Tovra. Il capo partigiano di Firenze. di fronte all'imprevedibile sviluppo di un Moro che decide di collaborare. Categorie che Markevitch nel corso della sua straordinaria vita tocca tutte. filosovietico e amico di Israele. soprattutto tra gli emiliani. timbri per falsificare documenti. rubato allo stesso ufficio postale. Parte terza L'Agenzia del Crimine Credo che esista un'organizzazione composta da pochi uomini che sono in grado di ricattare molte persone. in nome del quale tutto è stato fatto da così gran tempo. proprio come aveva intuito anche il generale "scomodo" Francesco Delfino. né se davvero ce ne sia uno [. ricca di elementi di informazione con i quali può influire su ambienti diversi ad ogni livello. a un terrorista rosso e a un guerrigliero dell'OLP. La Métaphysique de Piace de Ternes. ma alla richiesta di precisazioni avanzate da alcuni parlamentari Sica rispose con frasi altrettanto sibilline: «La destra? La destra è stata adoperata. piedi senza addome e molte teste senza corpi) sembrano manovrati senza sapere quale senso abbia l'azione.]. I servizi segreti? «Possono essere stati adoperati anch'essi». questi personaggi di Piace de Ternes (dove non c'è nessun uomo intero. nell'89. l'ex pm Domenico Sica.. Una struttura che assomiglia molto a quel Noto Servizio o all'Anello che abbiamo già incontrato nella strage di Brescia e durante il sequestro Moro. armi e munizioni per . ma gambe senza pensiero. La messa in ordine si svolge in nome di un personaggio principale che è presente solo se si crede in lui. perizie addomesticate. ma anche varie organizzazioni terroristiche e mafiose.i cui agenti sembravano in contatto con una centrale superiore all'interno della quale si parlavano più lingue straniere. Il prefetto ricordò che era stata proprio quella che lui definiva Agenzia del Crimine a fornire documenti con lo stesso timbro.. aerei dei servizi segreti. dalla mafia siciliana di Pippo Calò alla camorra di Cutolo: processi "aggiustati".Un piano che confessa poco prima di morire nella tarda revisione di uno scritto giovanile. L'organizzazione era dunque più forte dei servizi? «Sì». composta da un numero limitato di persone in grado di gestire le grandi linee del crimine. busti senza gambe. passaporti ai latitanti. Ora è questo il punto: essi credono ancora al Grande Vecchio. a Pippo Calò. che metaforicamente cita nelle sue memorie: Come gli attori delle antiche tragedie. era facilmente utilizzabile». ormai divenuto Alto Commissario per la lotta alla mafia. La dichiarazione destò scalpore. quindici anni funziona in Italia una vera e propria agenzia. o alla misteriosa struttura di cui l'anonima fonte del SISMT riferiva a Craxi. A fare questa strana rivelazione è stato. Sono più potenti dei servizi di sicurezza. Da dieci. Dal MAR di Carlo Fumagalli alle Brigate Rosse di Mario Moretti. Al vertice di questa agenzia sembra annidarsi un grande burattinaio in grado di manovrare organizzazioni terroristiche di diverso colore. ma i suoi ultimi anni alla Procura di Roma li aveva trascorsi occupandosi di inchieste che in un modo o nell'altro. "Saponetta "e "Zanzarone". che fino a quel momento si erano spartite in modo abbastanza pacifico i quartieri di Roma Sud: da Trastevere a Testaccio. che si trattasse delle BR di Senzani o di alcuni omicidi avvenuti nella malavita romana. Qual era la natura di questa strana e potente organizzazione? Nel fare le sue sconcertanti dichiarazioni Sica non lo ha precisato. per i loro rapporti con i luogotenenti di Cutolo. lo "sgarro" veniva . Ma dietro l'agenzia del crimine descritta da Sica s'intravede lo stesso patto tra massoneria e lobby criminali che aveva caratterizzato la P2. e il diffondersi sulla piazza romana della droga pesante. c'erano ormai "Er Negro". come venivano definite in gergo. Quando la Banda della Magliana ebbe il suo periodo di massimo splendore. qualche rapina. Quelli della Magliana e di Ostia "camorristi". I giovani lupi della Magliana erano riusciti a spartirsi la città. ma avevano anche cambiato pelle. quell'esercito clandestino finalizzato alla lotta al comunismo che con gli anni si era dilatato. Un'agenzia che aveva il compito di eliminare avversari scomodi e lanciare messaggi intimidatori attraverso attentati e stragi.la misteriosa gang della capitale divenuta potente tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta. con l'avvento dei Marsigliesi. la P2 aveva iniziato il declino che culminerà con la fuga all'estero del Venerabile.ogni uso. il capo della Nuova Camorra Organizzata: pronti a scannarsi per spartirsi le zone d'influenza. Ogni quartiere aveva i suoi boss e i contrasti si risolvevano ancora a coltellate. anch'essa destinata a finire in un bagno di sangue. fino a tutti gli anni Sessanta. aveva vivacchiato all'ombra di piccoli traffici: prostituzione. "paranze" o "batterie". contrabbando di "bionde". gangster italofrancesi come Turatello e Bergamelli trasferitisi nella capitale. E a un certo punto schizzarono alla conquista dell'intera città. cui la storia non riserverà altra gloria che morire ammazzati. riciclaggio. segno che si può cominciare a guardare a quel sanguinario periodo con gli occhi della memoria. In questi ultimi anni la saga della Banda della Magliana sta diventando oggetto di rivisitazioni narrative e cinematografiche. gli irruentiboss locali cominciarono a sentirsi stretti sul loro "territorio". dalla Magliana all'Ostiense fino al litorale romano da Ostia ad Acilia. portavano diritto a quella sorta di Spectre nostrana il cui braccio operativo era la Banda della Magliana. poveri gladiatori di serie B. Un'avventura che ricorda la nascita delle gang criminali nella Chicago anni Trenta. La Banda della Magliana La mala romana. grazie a un patto tra gang. A combattere "dietro le file". Da alcuni spezzoni di indagine emerge il sospetto che i criminali romani fossero stati arruolati in una particolarissima "rete parallela" di Gladio. I trasteverini e i testaccini venivano chiamati "mafiosi" per il loro legame con Pippo Calò. Ma all'inizio degli anni Settanta. a detta degli storiografi. E per questa strada che i lupi stringono relazioni politiche. Per quanto riguarda l'omicidio Pecorelli. dopo il supposto. che facevano . Raffaele Pernasetti. riuscirono a firmare altri delitti eccellenti: come quello di Roberto Calvi. Fioravanti. i "capoccia" della inala romana assumono l'iniziativa e decidono di proseguire nella strada dei sequestri di persona. Tre mesi dopo sarà arrestato.ormai punito con l'omicidio. che segna l'esordio di Calò e di Cosa Nostra nell'avventura stragista. ma l'arresto di Pippo Calò nell'85 può essere considerato un buon punto di riferimento per stabilire il declino della holding criminale. il 2 agosto 1980. A metà degli anni Settanta. come a Palermo. sul treno Napoli-Torino provocando quindici morti e un'ottantina di feriti. aveva avviato la sua collaborazione con Falcone e stava mandando in carcere centinaia di boss: sotto assedio era finita anche quell'ala della camorra che era in rapporti d'affari con la mafia siciliana e la stessa Banda della Magliana. La sua fine è più incerta: c'è chi fa sopravvivere la gang fino agli anni Novanta. l'ambigua armeria che abbiamo già incontrato. Vita e morte della gang romana La nascita della Banda della Magliana va collocata attorno alla metà degli anni Settanta. come il legame con i terroristi di destra (i vari Alibrandi. che si muoveva tra Trastevere e Testaccio. E un paio di stragi: la bomba alla stazione di Bologna. decaduta l'egemonia marsigliese. Stiamo parlando della "batteria". cominciato con un mutuo scambio di favori su armi e documenti e proseguito con la partecipazione dei neofascisti alle rapine (e dei malavitosi agli attentati). Marcello Colatigli. Jacques Be-renguer e Maffeo Bellicini uscirono dalla scena romana i Marsigliesi. e quella al treno di Natale del dicembre '84. Del primo nucleo della Banda della Magliana. da cui certamente è stata prelevata la pistola che lo ha ucciso. la Banda della Magliana continua a ricoprire un ruolo che la motivazione della sentenza non ha cancellato: chiunque sia stato a sparare in via Tacito quei quattro colpi di pistola contro Pecorelli è passato prima in via Liszt 34. Prima di essere eliminati. intrapresa dai colleghi d'oltralpe all'ombra della P2. il presidente dell'Ambrosiano. Enrico De Pedis detto Renatino. Enzo Mastropietro. Ma i rapimenti sono un capitolo perdente della holding. Ma c'erano variabili ancor più pericolose nell'avventura della Magliana. Calò aveva tentato di sottrarsi all'assedio mandando un segnale ricattatorio. tramite un telecomando molto sofisticato.Carminati). quando con gli arresti di Albert Bergamelli. fino a stabilire un patto scellerato con il nucleo più occulto dei servizi segreti. Al gruppo ben presto si aggregarono Maurizio Abbatino. Nell'84 Buscetta. come ormai sappiamo. Ettore Maragnoli e Danilo Abbruciati. La notte del 23 dicembre 1984. una bomba fu fatta esplodere a distanza. facevano parte Franco Giuseppucci. oscuro coinvolgimento nelle vicende Moro. massoniche e con ambienti dell'intelligence. si rivolge ai capi delle altre batterie. i contrabbandieri. a cominciare dalla camorra di Cutolo. passati dalle risse a base di vino e coltello alle sparatorie coi mitra nei ristoranti di lusso. due miliardi e mezzo. La seconda "batteria". un cutoliano di ferro trasferitosi a Roma proprio per allargare la sfera dei traffici napoletani. come Flavio Carboni. Paolo Bianchi. Una sorta di democrazia criminale. ma quanto basta al gruppetto per lanciarsi nell'avventura: acquistarono una grossa partita di droga per cominciare a trattare "alla pari" con altre gang presenti nella capitale. lo si diceva tra pochi intimi. c'era soprattutto lo spaccio di droga e la divisione degli utili a "stecca para" anche con i detenuti. i borseggiatori e i ricettatori era la grande occasione. Quello che distingueva la Banda della Magliana da una pura gang criminale erano gli intrecci con ambienti politici e imprenditoriali. Comincia così la scalata dei boss romani. Il primo camorrista che trasferì a Roma i suoi traffici fu Enzo Casillo. i fratelli Carnovale. Giovanni Girlando e Nicolino Selis. allibratore clandestino sospettato di essere un confidente della polizia. detto Franchino. e pone il problema di eliminare un "infame": Franco Nicolini. fu quella di Acilia-Ostia. grazie alle conoscenza di faccendieri ben introdotti al Vaticano. Alle spalle agivano società fantasma. approdò alla speculazione edilizia sulla Costa Smeralda. ma qualcosa non funziona e dopo' quattro mesi di violenze e vessazioni il duca muore.capo proprio alla zona della Magliana. Selis. e poi via via sempre più su fino alle holding finanziarie e ai santuari del riciclaggio in Svizzera. La fusione nasce con il consueto patto di sangue. Non è una gran cifra. La droga pesante facilitava i contatti con mafia e camorra. che garantiva la pace interna. Il pentito nero Rolando Battistini raccontò: «Nell'ambiente sapevamo. pure scatole finanziarie come la SOFINT. Poi la mala capitolina. esponente dell'antica nobiltà papalina: l'ostaggio viene dato in gestione a una "famiglia" di Montespaccato. la loro ascesa nell'Olimpo criminale: dalle rapine a mano armata ai sequestri di persona. La grande occasione arriva nel 77. uomo della NCO. in una delle sue brevi pause extracarcerarie. quando la banda rapisce Massimiliano Grazioli Lante Della Rovere. che si associò. Er Secco. proprio quella che aveva messo nei guai Giulio Andreotti per aver inghiottito nelle sue casse i «piccoli» assegni dati al Presidente da Nino Rovelli. i cui big erano Edoardo Toscano. Tutto era cambiato nel giro di pochi anni. Un altro terrorista. Alla base del patto tra le "paranze" malavitose. quando parte del riscatto era già stato pagato. disse: Il professor Aldo Semerari era una figura di . Er Banana. che c'erano avvocati. solo i nomignoli erano rimasti quelli tradizionali della Roma malandrina: Er Negro. magistrati e uomini importanti a fare da trait d'union tra ambienti politici e la Banda della Magliana». Per gli usurai. Er Rospo. Er Zanzara. luogotenente di Cutolo. al secolo Alessandro D'Ortensi. Il suo lavoro di perito psichiatra gli consentì di assicurare contatti tra la destra eversiva e grossi personaggi della mafia. organizzata dal massone Fabio De Felice (lo stesso che aveva sollecitato l'ex para Saccucci del golpe Borghese ad indagare sulle nascenti formazioni di sinistra). nell'affollatissimo studio di Franco Evangelisti. ma anche in un'altra straordinaria attività: pensate un po'. si accenna a una riappacificazione tra Nicoletti e il re delle acque minerali. Per fare un esempio. come si è sempre vantato. la testa fu trovata poco distante in un secchio. De Felice e Licio Gelli erano tenuti dal neofascista Paolo Aleandri. nel mandato di cattura del giudice Lupacchini. le ricchezze accumulate in maniera illecita erano talmente ingenti da richiedere l'intervento di veri banchieri ed esperti riciclatori di denaro sporco. ma partecipava anche a riunioni di vertice sull'organizzazione di attentati. Nel dossier legato all'operazione "Colosseo". ma senza spargere una goccia di sangue.a Ottaviano. I "corsi di formazione" si svolgevano in una villa del reatino. era costretto a seguire i corsi di studio: raccontò poi che i contatti tra Semerari. Rapporti tempestosi. Imprenditore e costruttore. Il migliore era Enrico Nicoletti che. Nell'80. Molto probabilmente era rimasto vittima di un regolamento di conti: nella sua qualità di psichiatra forense si era adoperato per la scarcerazione di un boss della NCO quando era già passato come consulente alla fazione contraria. fu definito detentore dei patrimoni della Magliana. poi grazie all'intervento del Gran Maestro Gamberini approda alla P2. Nicoletti era da sempre in affari con Giuseppe Ciarrapico. della camorra e della delinquenza comune. L'identikit di Semerari assomiglia molto a quello di un agente sotto copertura: comunista in giovane età. Anche il povero Zanzarone. lo troviamo impegnato a organizzare attentati con l'estrema destra. eccellente rapinatore che aveva al suo attivo ottantaquattro rapine a mano armata. amico di Andreotti. Sembra fossero presenti uomini dei servizi segreti. spiega il giudice nell'ordinanza con la quale ha rinviato a giudizio una novantina di boss. poco prima della tragica morte. personaggio di spicco della gens Giulia. Il 25 marzo 1982 Semerari venne decapitato davanti al Castello di Cutolo. Ma è ancora più probabile che sia stato eliminato perché a conoscenza dei loschi retroscena del sequestro Grillo. che ha portato in carcere il costruttore. «Nicoletti funziona come una banca. . Altri intrecci pericolosi conducono all'entourage andreottiano.spicco come ideologo e per le conoscenze che aveva con il mondo giudiziario e politico. che confermerà l'accusa. diviene massone negli anni Sessanta. in qualche caso. l'indottrinamento ideologico dei boss della Magliana. nel senso che svolge un'attività di deposito e prestiti e attraverso una serie di operazioni di oculato reinvestimento moltiplica i capitali illeciti dell'organizzazione». una vera scuola per quadri. un fiume di denaro sporco. Ma non è affatto escluso che "Er Negro" sia rimasto vittima dei suoi troppi segreti: sono in molti a pensare che sia stato lui a indicare la vera prigione di Aldo Moro agli intermediari di Benito Cazora. E l'ultimo grande boss della gang romana: trasteverino purosangue. aveva sempre contato su protezioni importanti. che avrebbe inteso sdebitarsi in questo modo per il favore ricevuto. fu ucciso in pieno giorno in via del Pellegrino. Secondo Fabiola Moretti. in uno scontro a fuoco. il 13 aprile. la pentita ondivaga del processo Andreotti. sterminati nei mesi successivi. poi reinvestito in affari e appalti resi possibili dagli appoggi politici. ovvero l'omicidio Pecorelli. fu ammazzato due anni dopo. Con lui può considerarsi esaurita la vecchia guardia della mala romana coinvolta nei misteri d'Italia. La morte non colse di sorpresa Renatino. che non accetta regole e neppure gerarchie:Renatino era considerato uno "sbirro". il boss era stato tanto previdente da organizzare per sé una sepoltura prestigiosa in una cripta nella chiesa di Santa Agnese in Agone. e sta ancora lì tra principi e grandi artisti.Ma in un rapporto dei Carabinieri dell'88 Nicoletti viene anche indicato come personaggio legato all'ultimo capo della Banda della Magliana. Enrico De Pedis. un pesce più piccolo. Il pesce grosso. Secondo la Procura di Perugia la fuga sarebbe stata organizzata da Vitalone. in piazza Navona. Danilo Abbruciati cadrà ucciso dalla guardia del corpo del vicepresidente dell'Ambrosiano Renato Rosone. proprietario di note trattorie. L'omicidio fu attribuito al clan rivale dei Proietti. in realtà. De Pedis era amico di Vitalone. Due anni dopo. Ma la cosa andò storta: l'evasione era stata organizzata a favore di Edoardo Toscano. ucciso nel febbraio '90. come tutti i veri big della Magliana. assassinato il 13 settembre 1980 in piazza San Cosimato. Toscano. Fuori del portone di piazzale Clodio c'era un'auto ad aspettarlo. appena uscito dal carcere. detto Renatino. ma quando venne il momento a guadagnare la porta fu Vittorio Carnovale. . A Renatino i soldi non mancavano: con l'operazione "Colosseo" la polizia sequestrò ai boss della Magliana ottanta miliardi di beni mobili e immobili. Molti rivali in affari sapevano che aveva rapporti con i servizi segreti. frutto del riciclaggio del traffico di armi e droga. alias Franco Giuseppucci. tra la folla del mercato di Campo de' Fiori. Il costruttore ebbe in eredità alcune proprietà immobiliari che appartenevano al boss. tanto che nell'86 lo avrebbe convinto a pilotare la fuga di un imputato dall'aula Occorsio di piazzale Clodio durante il processo. un pezzo da novanta. Il pesce piccolo fu scaricato senza troppi riguardi in aperta campagna. Quella di De Pedis è la storia più prodigiosa della gang romana: sembra che il privilegio di starsene sepolto tra i grandi della storia sia stato concesso al boss della Magliana da un cardinale che lo aveva in grande stima. Il primo della banda storica a cadere era stato "Er Negro". Roma è una piazza bastarda.Ma la Corte non ha ritenuto provata l'accusa. era stato prosciolto nel '91 dal giudice istruttore Francesco Monastero. quando Pecorelli fu ucciso. appartenenti a una partita rarissima in dotazione alla NATO. In seguito la gestione passò a Maurizio Abbatino. nell'81. Giusva è invece uscito di scena anche grazie a Buscetta che lo ha scagionato in base a un sillogismo: Cosa Nostra non ha bisogno di far ricorso a killer estranei all'organizzazione.che stava collaborando un po' troppo con Ambrosoli. l'ex terrorista nero che secondo alcuni pentiti dei NAR la sera del delitto era in via Tacito. Negli anni a venire. poiché è l'unico imputato comparso sia nella prima che nella seconda inchiesta. che poi fu prontamente ritrovato grazie a una falsa informativa che incolpava quattro neonazisti tedeschi di voler inaugurare una strategia del terrore compiendo attentati sui treni. è sopravvissuta grazie all'arresto. Non basta. quando la polizia fece irruzione all'interno dell'armeria di via Liszt. oggi pentito numero uno dell'organizzazione. Indagato insieme a Giusva Fioravanti come presunto killer di Pecorelli. Ma il suo nome è riaffiorato nel '93. Abbatino e Carnovale. il curatore del fallimento e meritava quindi una punizione. e la pattuglia di pentiti. Ma l'omicidio di Pecorelli. 11 armeria di via hiszt Il deposito di armi di via Liszt. che abbiamo visto sfilare al processo di Perugia. . Uno dopo l'altro i lupi del branco sono stati tutti fatti fuori. ma da molti anni è sparito dalla circolazione. Nonostante la raffica di assoluzioni. C'è poi il capitolo che lega l'armeria di via Liszt al Supersismi. i giovani lupi si sono sbranati senza riguardo. anche sulla base di voci fatte circolare ad arte dopo il delitto. doveva apparire all'esterno come un attentato terroristico e non come l'eliminazione di un giornalista pericoloso. come Mancini. dopo l'incriminazione di Andreotti. "Er Negro". Due anni dopo. era gestito da Franco Giuseppucci. una perizia balistica molto interessante inchioda il delitto Pecorelli a questa pista: per assassinare il giornalista furono utilizzati proiettili Gevelot. Chi è riuscito a sopravvivere della vecchia guardia? Forse soltanto Ernesto Diotallevi. ma le sue rivelazioni sui segreti dell'organizzazione non sono state sufficienti ai giudici di Perugia per condannare Massimo Carminati. sui bossoli recuperati in via Tacito c'erano tracce dei feltri utilizzati per attutire il colpo: un espediente inventato proprio da Carminati per silenziare le armi. L'ex terrorista di destra rappresenta il nodo irrisolto del processo Andreotti di Perugia. A detta dei pentiti era stato Carminati a fornire quel mitra Stern al generale Musumecie al colonnello Belmonte. ne furono trovati duecento esemplari. Le armi trovate nel gennaio '81 all'interno di una valigia collocata dal controspionaggio sul rapido Taranto-Milano provenivano proprio da lì. proprio a causa della pistola attutita. però. Fu Sica a imboccare questa pista. sempre con le mani in pasta in affari miliardari. come sempre indecifrabili. convinto che Fioravanti fosse legato a Musumeci e al Supersismi. mafiosi in trasferta. Gelli in affari con i boss L'ombra del Venerabile.. in particolare Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini. Pecorelli. e dunque le sue relazioni con i servizi deviati e 1'"Agenzia del Crimine". nella storia della Banda della Magliana. assieme a qualche boss superstite della grande gang. Sappiamo con certezza che sono sopravvissuti fino allo scioglimento della Loggia. come ai bei tempi della sua amicizia con Peron e Lopez Rega. il team dei servizi e i terroristi neri. malavitosi di grosso calibro. Gli assegni sono riciclati con la compiacenza di funzionari del . Il "Jachie 'O". Nella prima fase dell'inchiesta sul delitto Pecorelli fu esaltato soprattutto l'aspetto di "struttura di servizio" della gang. Forse ha pensato che se era già difficile congetturare un legame tra Andreotti e la mafia. venivano indottrinati i boss. pelliccerie e gioiellerie. ha fatto una fugace apparizione dietro il centro studi reatino del professor De Felice dove.Un depistaggio il cui scopo era allontanare i sospetti dai neofascisti romani. può considerarsi la base logistica dell'organizzazione. organizzazione brulicante di faccendieri senza scrupoli. forse per timore di dover sollevare il velo che copriva le responsabilità politiche: eventualità in quegli anni impensabile. Il giudice Verrina. Dieci anni dopo. toghe e rapporti fiduciari con i governi sudamericani. complessi. tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta. pochi giorni dopo l'omicidio di De Pedis. accusati dai magistrati di aver messo la bomba alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. troviamo ancora l'ineffabile Licio aggirarsi tra banche.. L'armeria era il punto di riferimento delle varie anime della Magliana. noto locale notturno della capitale. non ha creduto sufficientemente dimostrata l'ipotesi che nel delitto romano fosse coinvolta la Banda della Magliana e ha dimezzato la sentenza evitando di tornare su piste già battute senza esito. secondo la definizione di Sica. Prima che Buscetta li scagionasse. a Roma. ancor più complicato sarebbe risultato lo scenario inserendo anche la P2. Nel rapporto che il sostituto procuratore Franco Ionta ha inviato alla Commissione Antimafia nel marzo '90. all'ombra di mitra e svastiche. si legge: La malavita romana può definirsi mafia dei colletti bianchi per il suo ruolo di riciclaggio di ingenti somme di denaro in immobili. Giusva e Cavallini erano stati anche sospettati di aver assassinato a Palermo il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella e. ristoranti e locali notturni gestiti attraverso un reticolo di società a responsabilità limitata [.]. agenti segreti. Ma quali erano i rapporti tra Gelli e la Banda della Magliana? Molteplici. Ma proprio per questo la Procura di Roma fu accusata di non essere andata fino in fondo nell'inchiesta sull'omicidio Pecorelli. Anche i rapporti con la mafia. all'interno di un'immensa galassia di cui non riuscivano a distinguere i contorni. lo strano personaggio gli disse di avere amici molto importanti: magistrati. il numero tre di Cosa Nostra dopo Totò Riina e Bernardo Provenzano. Una ventina di anni dopo. di cui non siamo mai riusciti a scoprire l'identità. ma il cui nome de ve avere favorevolmente colpito il boss. Nell'83 fu denunciato per associazione mafiosa a causa dei i suoi rapporti con la famiglia palermitana Barbarossa. La mafia nelle stanze romane I boss della mala romana erano satelliti minori che ruotavano attorno a una stella di prima grandezza. Fu anche grazie a questi appoggi che i viddani riuscirono a vincere la guerra di mafia a cavallo degli anni Ottanta: ormai forti del loro coinvolgimento nei "grandi segreti". A fare da intermediario era uno sconosciuto. Appare più che evidente. quando Calò andò a cercarlo a Roma. tal Pasquale De Tornasi. come stiamo per vedere. i servizi segreti. De Tornasi (stando alla ricostruzione storiografica della Banda della Magliana fatta dal giudice Lupacchini)ancora costituiva «il canale più importante attraverso il quale la criminalità organizzata ricicla all'estero i miliardi delle attività illecite costruendo strade. che proprio in quel periodo aveva deciso di trasferirsi nella capitale. ovvero Stefano Bontate:cominciò così una singolare avventura che ha consentito al boss che "voleva Moro morto" di centuplicare il patrimonio mafioso. edifici e ponti in Argentina». non sono quelli di un semplice gruppo affiliato. Nel 1954 il boss palermitano aveva conosciuto in carcere Domenico Balducci. un faccendiere romano di origini siciliane. erano in grado di rilanciare la sfida nei confronti dello Stato. immobiliarista. infiltrando i tentacoli della Piovra nelle stanze più importanti della capitale. La stella era Pippo Calò. con il consenso di Totò Riina. Totò "'u Curto" voleva aprirsi un varco nei centri di potere romani. ma una struttura molto importante di un'organizzazione ben più vasta che godeva di ampie protezioni in Italia e all'estero grazie ai rapporti con i servizi segreti e la grande massoneria. a questo punto. uomini dei servizi segreti e una certa Eccellenza. quest'ultimo non era ancora il capo di Cosa Nostra ma studiava per diventarlo. detto '"o chiattone". . poliziotti. la malavita comune e il terrorismo.Banco di Santo Spirito e della Banca del Cimino. Ma il passo più interessante della relazione è il seguente: «L'organizzazione è in grado di investire negli appalti di grandi opere edilizie in Sudamerica e in Africa grazie al Venerabile Licio Gelli e nell'acquisto di grandi alberghi a Milano e a Roma». fino a quel momento esclusiva zona di caccia del Principe. che la Banda della Magliana non è stata soltanto una gang criminale. Ma nel '91. attraverso uno spregiudicato gioco di alleanze con la politica. cioè l'usuraio. nel colorito mondo che ruota attorno al Monte di Pietà. che ai magistrati dirà di lui: «Era un procacciatore di finanziamenti eccezionale.Il punto più alto della sfida fu la strage del 23 dicembre 1984. Carboni ebbe i suoi ottocento milioni. Balducci in quel periodo era noto. Tra frigoriferi e lavatrici spiccava un inequivocabile cartello: «Qui si vendono soldi». di ricucire i rapporti con la politica. Quando Calò approdò a Roma. Cosa Nostra ha tentato di tornare "invisibile". Mimmo era proprietario di un modesto negozietto di elettrodomestici. che salutò l'arrivo di Buscetta in Italia e l'inizio della sua collaborazione. Insomma. dove oltre al denaro venivano venduti argenteria. spregiudicato. frutto naturalmente di refurtiva. E da allora Cosa Nostra farà ricorso alle stragi ogni qual volta nello scontro tra mafia e Sta to salteranno le mediazioni. attorno al negozietto di Balducci si formò una connection molto potente e destinata a grandi successi. che gli servirono per acquistare un terreno edificabile nel siracusano a cui erano interessati anche personaggi in odore di mafia: oltre al costruttore Sansone (che molti anni dopo sarà arrestato con Totò Riina). ma il finanziere era fuggito all'estero nel '75 per una serie di reati finanziari e il boss era .Nella bottega di Mimmo. tappeti pregiati. ma a causa di operazioni affaristiche mal riuscite era finito in un vortice di protesti cambiari. un faccendiere sardo. un altro "cravattaro" amico di molti personaggi della mala romana poi confluiti nella Banda della Magliana. Danilo Sbarra. ex impiegato della Pubblica Istruzione e imprenditore discografico. Mimmo il "Cravattaro" Quali siano stati i patti tra Calò e Balducci nei primi anni romani non è del tutto chiaro. Di Cristina si trovava nella necessità di riciclarsi: fino a quel momento era stato guardaspalle di Graziano Verzotto. Allo "sportello" era di casa anche Flavio Carboni. preziosi. un boss nisseno molto potente. Soltanto dopo l'arresto di Riina. anche Giuseppe Di Cristina. di cancellare un lungo periodo di errori che si è concluso con la sconfitta del par tito armato. in una stradina adiacente a Campo de' Fiori. con un soprannome che tradisce le sue origini: Mimmo il "Cravattaro". Le cronache cominceranno a occuparsi di loro soltanto alla fine degli anni Settanta. che con Rosario Nicoletti costituiva il riferimento finanziario della mala romana. Il faccendiere era un personaggio brillante. uomo ignorantissimo quanto intelligente». Per Mimmo il Cravattaro trovare somme ingenti in breve tempo non era difficile: alle sue spalle c'era Calò che non aveva problemi di liquidità. raccontano gli ultimi pentiti: il passato molto probabilmente non tornerà. Oberdan aveva aperto un vero sportello bancario. Ad attaccarlo era stato Oberdan Spurio. Ma è un percorso molto difficile. Fu Sbarra a presentare Balducci a Carboni. che si era improvvisato speculatore edilizio e aveva perciò urgente bisogno di liquidi. A indirizzare Carboni al negozio di Campo de' Fiori era stato un imprenditore edile. Il vero asso nella manica di Carboni era un altro: vantava di essere socio d'affari del finanziere italosvizzero Fiorenzo Ravello (alias Florent Ravello Ley). società che faceva capo a Carboni. nell'estate '80. almeno in parte. cui era interessato il giovane Paolo Berlusconi. almeno così disse. che sappiamo come la pensava.ma rientravano anche in quella vicenda di "Assegni del Presidente" di cui Pecorelli. che le indagini sull'Italcasse s'intrecciarono con l'inchiesta sulla Banda della Magliana. nel tentativo di salvare la vita a Moro. di nome Mario Aglioloro o Mario Salamandra. All'epoca si spacciava per un uomo d'affari siciliano. Carboni si assicurò in questo modo la considerazione di Balducci e per tramite suo anche del potente Calò. e viveva in un'elegante villa sull'Aurelia. si accingeva a pubblicare la seconda puntata. nel volgere di pochi anni. hanno sottolineato che il giornalista aveva scoperto come «intorno alle . a seconda delle situazioni. che abbiamo già incontrato nella vicenda Italcasse. I magistrati romani. come sia potuto accadere che un personaggio modesto come il "Cravattaro" sia riuscito a diventare. Ma tutto questo spiega. si rivolse anche a Carboni. e una malavita organizzata interessata a investire quanto lucrato illegalmente». emessi dalla SIR di Nino Rovelli e girati alla SOFINT. L'ingresso di Carboni nel giro si era rivelato un ottimo affare: il faccendiere sardo era in buoni rapporti con alti prelati in Vaticano ed esponenti democristiani come Benito Cazora. Balducci e Florent Ravello Ley e dietro cui si celava come "socio occulto" Pippo Calò. ancora ufficialmente legale. la sera in cui è stato ucciso. Quando Di Cristina fu ucciso. un importante collettore di capitali: «Il tramite di un mondo imprenditoriale romano. «perché Moro intendeva aprire ai comunisti e la mafia era un'organizzazione molto anticomunista». come scrive il giudice Lupacchini nella sua ordinanza. dopo aver conosciuto Sbarra. addosso al cadavere del boss nisseno furono trovati due assegni di cinque milioni. nel chiedere l'autorizzazione a procedere nei confronti di Andreotti. Molto probabilmente non si era mosso da Roma: si era limitato a parlarne con Calò. Nel precedente capitolo. Gli assegni facevano parte di un'operazione legata all'acquisto di un terreno sulla Costa Smeralda in Sardegna. abbiamo tralasciato di raccontare che Cazora. In seguito Calò avrà una ricompensa: fu grazie a Carboni se il boss riuscì ad entrare nel giro immobiliare.momentaneamente disoccupato. gestore di grandi e oscuri patrimoni. Al ritorno da un viaggio in Sicilia. Ma fu proprio a causa delle strette relazioni tra le società di cui Balducci era prestanome e quelle di Ravello Ley. 0 faccendiere incontrò il deputato DC all'hotel Nazionale e senza troppi giri di parole lo informò che la mafia non avrebbe mosso un dito. Clelio Darida e Mauro Bubbico. Disse poi: «Sono andato di qui e di là. ma non sono riuscito a ottenere nulla». La mafia a Roma cominciò a investire nelle costruzioni e tutto andava per il meglio. una scatola finanziaria che aveva terminali nell'ufficio di Lugano di Florent Ravello Ley. Ma.. parte dei quali erano stati riciclati in società in odore di mafia. Dalle indagini è emerso che Andreotti aveva la disponibilità di questi assegni. Carboni e Balducci lo sollecitarono a versare un anticipo sulla somma complessiva di un miliardo. perché alla fine sia lui che la Loren . passava al primo distretto di polizia dove lo riceveva il vicequestore Pompò. perciò Balducci gli aveva chiesto aiuto. Balducci assicurava: «Dica pure che la cosa è fatta. Rimase soltanto la copertina con la foto di Andreotti. una bella villa sull'Aventino. quella del produttore. Ponti depositò un traveller'scheque di trecento milioni in una banca in Svizzera.. Mimmo continuava a vivere tranquillamente a casa sua. che sarà così riassunta da Emilio Pellicani. Prima di congedarci da lui. pattuita come compenso dell'interessamento». in piazza Pepine. Insieme si recarono a Parigi e alloggiarono all'hotel George V. Il 20 marzo 1979 Pecorelli stava per tornare sull'argomento. nell'austero palazzo che ospita la Procura Generale. Il direttore di «OP» sapeva che il Presidente aveva ricevuto finanziamenti in "nero" da Rovelli. ed era stato perfino raggiunto da un ordine di cattura. che negoziò personalmente cedendoli a diverse persone». ma stiamo risolvendo».. Quella di Ponti e della Loren fu una vicenda assai ingarbugliata. Fu una scelta prudente. il segretario di Carboni: «Carboni conosceva la famosa coppia. Non si trattava mica di delinquentelli: Balducci era in grado di "raccomandare" perfino il generale della Guardia di Finanza Donato Lo Prete perché venisse trasferito dal carcere in una clinica..]. per perorare la causa di qualche amico nei guai. poi è sparita anche quella. Il suo ruolo di boss della malavita romana era ormai di dominio pubblico. come la SOFINT.vicende Italcasse e assegni della SIR si fosse determinata la convergenza di gruppi mafiosi riconducibili a Giuseppe Calò e Domenico Balducci [. purtroppo c'è stato qualche intoppo perché ci sono giovani magistrati che non capiscono un e. Parlando al telefono con un intermediario del produttore.. ma l'articolo sparì. come avevamo già anticipato nel capitolo sullo scandalo Italcasse. sotto forma di assegni di piccolo taglio.dove era andato a stare con la famiglia: lì faceva le sue riunioni "di affari" e perfino feste alle quali partecipavano persone al di sopra di ogni sospetto. dove incontrarono Ponti. dobbiamo raccontare altri passaggi della sorprendente ascesa del "Cravattaro" ai piani più alti e insospettabili della città. con cui intratteneva rapporti cordiali. come niente fosse. Era Balducci il capo «visibile» della Banda della Magliana. con nuove travolgenti rivelazioni. sotto accusa per esportazione di capitali all'estero. L'ordine di cattura non aveva cambiato di una virgola le sue abitudini di vita: prima di recarsi nel suo negozietto di elettrodomestici. E si diede da fare per 1'"aggiustamento" dei guai giudiziari di Carlo Ponti e Sofia Loren. E almeno una volta alla settimana era a piazza Cavour. ma ben presto mi resi conto che era inaffidabile. ma a Carboni non piaceva granché: «Certamente era uomo dalle molteplici attività e dalle notevoli entrature nei più svariati ambienti. I rapporti con la Magliana rientravano probabilmente nei suoi compiti d'ufficio. l'inossidabile Federico Umberto D'Amato. inventò che si trattava di un nipote in vacanza di studio. In quel periodo era sulla cresta dell'onda. Pazienza ebbe la fortuna di entrare nelle grazie del capo del SISMI Giuseppe Santovito. Era un avventuriero della miglior schiatta. in uso al servizio segreto militare. L'amico americano Il "passaporto" di Balducci. Aveva effettivamente relazioni di primo piano sia negli USA che in Vaticano ed era meno sprovveduto di quel che si potesse pensare. sembra di capire). Appena arrivato. Una cautela necessaria. con i quali poteva muoversi senza rischio di incappare in alcun controllo. che lo accompagnò spesso nei suoi viaggi. con un borsone di coccodrillo che traboccava di documenti segretissimi. per giustificare la sua presenza invadente. raccontò a Lupacchini. non ebbi difficoltà a ritenere che avrebbe potuto promuovere le mie attività sia in Italia che negli Stati Uniti. Il personaggio vantava buoni rapporti con i servizi francesi e arabi. Appena arrivato in Italia. È il 1980 quando questo giovanotto approda a Roma dagli Stati Uniti. Ma il "Cravattaro" non se ne curò. sempre per conto di Calò naturalmente (e anche di Gelli. Il vecchio spione rimase impressionato dalla megalomania del giovanotto che andava in giro dicendo: «La CIA sono io».dove sperava di subentrare al ruolo che aveva . un interlocutore che sfuggiva a tutte le richieste prendendo tempo e mancando agli appuntamenti più importanti». a Zurigo e perfino in Argentina e altri paesi del Sud America per stringere non meglio identificati rapporti d'affari. Poi però dovette ricredersi. Il capo del SISMI. uno dei più oscuri e potenti faccendieri italiani. all'epoca diretto da Alexander Haig. visto che in quel periodo era latitante.furono condannati e Carboni se ne tirò fuori scaricando ogni responsabilità dell'insuccesso su Balducci. faceva molti viaggi all'estero: andava spesso a Parigi. al punto da usufruire di una scrivania nel suo ufficio. anche oltreoceano. Ma agli aerei di linea preferiva di gran lunga quelli del CAI. Pazienza puntò le sue carte sul Supersismi. ma anche con ambienti americani: a New York era amico dei boss della mafia italoamericana e a Washington di alcuni funzionari del dipartimento di Stato. era Francesco Pazienza. avendo saputo dai suoi amici americani che il sistema piduista stava per essere liquidato. che godeva di altolocatissimi protettori negli USA. Ma fu proprio Santovito a introdurlo in ambienti importanti della sicurezza: lo presentò anche all'ex capo dell'Ufficio Affari Riservati. di cui divenne in breve tempo il braccio destro. Di quel periodo ci resta la testimonianza di Tommaso Buscetta. contenente mitra ed esplosivo.] ma io. Un'imperdonabile disattenzione. e cioè fare da tramite tra servizio segreto e massoneria. dove per i suoi meriti tre mesi dopo venne insignito del III grado di Maestro. ed è proprio grazie a questa vacanza che abbiamo una testimonianza diretta dei rapporti che Calò aveva stretto con la mala romana. tra cui un quotidiano argentino che purtroppo Pazienza aveva sottobraccio la stessa mattina. Gli invitati? A . Racconterà al processo Andreotti: «Lui non mi disse niente. per depistare le indagini sulla strage alla stazione di Bologna. quella di Palermo centro. quel che è peggio. Quella sera avrebbe dovuto esserci una festa in casa sua. ma. Quello che stava per succedere era la guerra di mafia.. La famiglia di Don Masino fu sterminata: i corleonesi gli ammazzarono due figli.svolto Gelli (ormai in procinto di fuggire all'estero). Ma Badalamenti l'aveva messo in guardia: «Ritieniti espulso da Cosa Nostra. Alcune di queste armi provenivano dagli scantinati del deposito di via Liszt. ci vedo una strategia nel suo comportamento. Masino apparteneva alla sua stessa famiglia. ma era lui a tirare le fila delle molteplici attività delle Banda della Magliana.. ripensandoci ora. che nell'autunno '80 andò a trovarlo a Roma dove fu suo ospite per qualche tempo nella villa sull'Aurelia. Il 7 maggio 1980 si affiliò al Grande Oriente. Un'amicizia che gli costerà la condanna a dieci anni di carcere per il falso attentato sul treno Taranto-Milano. Un rituale inequivocabile che indicava l'uomo prescelto dalla mafia siciliana come capo della Banda della Magliana. Masino raccontò che il boss palermitano era diventato compare di Ernesto Diotallevi: aveva cioè tenuto a battesimo il primo figlio maschio del malavitoso romano. Fu ucciso il 21 ottobre 1981: due colpi sparati nel buio di fronte al cancello della sua villa all'Aventino. Ma l'estate dell'80 era scivolata in quella calma che precede la tempesta. Un segnale che avrebbe dovuto mettere in allarme Balducci. Calò conduceva invece una vita piuttosto riservata. visto che era lui in quel momento il leader della gang romana. Calò non apprezza che hai lasciato tua moglie e ti sei risposato». All'interno del STSMI i rapporti più stretti li strinse con Musumeci. al quale fu dato il nome di Mario in suo omaggio. ed era appena uscito dal carcere di Cuneo: l'incontro segnava una ripresa di rapporti. signor Salamandra Balducci era un personaggio quasi pubblico. la più sanguinaria e crudele che si ricordi. Forse Buscetta era venuto a Roma anche per chiarire la sua posizione. erano avvolte nelle pagine di alcuni giornali stranieri. Ma il "Cravattaro" non si rese conto che la sua sorte era segnata. due fratelli. un cognato. quando era stato fotografato all'aeroporto di Fiumicino. ormai numero due del servizio. anzi fu molto ospitale [. dove fu collocata quella valigia. forse sapeva quello che stava per succedere». Tra i primi ad accorrere sul luogo del delitto fu un magistrato. non in veste di inquirente ma come amico di famiglia: abbracciò la moglie in lacrime. Il "Cravattaro" era invece legato alla vecchia mafia. Anche perché. i "vincenti". boss di Altofonte emigrato a Londra. quella sera. per la cosiddetta "paciata" alla siciliana. come Vito Bosco e Raffaele Ganci. La morte di quest'ultimo ha forse un'altra spiegazione: dirà molti anni dopo Frank Di Carlo. boss di Acilia. un personaggio grigio che pochi ricordano. due palermitani legati ai corleonesi. Il processo Pecorelli ha fatto affiorare nuovi particolari sulla morte di Balducci. Balducci aveva appena finito di saldare il suo debito. sembra centocinquanta. E alla festa. scriveva il giudice Lupacchini.accampando come motivo un precedente credito. sarebbe dovuto arrivare anche Calò. in faccia ai giornalisti: «Adesso stai calma». Nei consigli di amministrazione delle società del "gruppo" erano entrati a far parte nuovi soci. Fu lei a spiegare a Sica che il prestigio del marito era legato alla misteriosa amicizia con la mai identificata "Eccellenza". Da tempo c'erano rapporti tesi tra Calò e Florence Ravello Ley. «Tutte le società che erano state fiduciariamente intestate a lui o alla moglie. servizi segreti e ambienti politici. Un movente "minimo". chiuse alle spalle la porta mentre le diceva. che non convince completamente. comprese le partecipazioni in società. L'omicidio del "Cravattaro" s'inserisce probabilmente in quel bagno di sangue fra clan che si svolse simultaneamente in Sicilia. Nell'81. cambiarono immediatamente intestazione». accusato di essere l'autore materiale dell'omicidio Calvi. non si è mai saputo quale sia il confine che separa il bene dal male. Per questo il napoletano doveva essere eliminato. Alla mattanza non poteva rimanere estranea la mala romana. furono uccisi più di mille uomini. che proprio in quel periodo aveva fatto un precipitoso rientro in Svizzera. ucciso dopo che era andato dai carabinieri a vuotare il sacco sui traffici dei corleonesi. ne aveva trattenuti per sé una parte. saltato in aria con un'autobomba. Balducci era il personaggio più vicino a Calò nella vicenda del riciclaggio degli assegni SIR. La donna fu poi costretta a recarsi a Palermo e per le molteplici attività finanziarie del marito fu liquidata con quaranta milioni. che era stato Casillo a strangolare il banchiere prima di appenderlo a una corda sotto il ponte dei Frati Neri. . nell'ottobre '81. e i primi a essere eliminati furono proprio gli alleati di Cutolo: Nicolino Selis.Roma. era amico di Di Cristina. e lo spettro dell'Italcasse torna anche in questo omicidio. Il movente ufficiale fu che Balducci sarebbe stato eliminato per uno sgarro: quando Carboni restituì a rate gli ottocento milioni che aveva avuto per il villaggio turistico. nella lotta tra Cutolo e i clan Nuvoletta e Bardellino legati ai siciliani. per un omicidio ai vertici di quel connubio tra mafia. in Campania e anche a Roma. ed Enzo Casillo. criminale e di intelligence.. Non lontano. tramite il Gran Maestro. che presentò a Calvi il consigliere economico di Andreatta. che per gestire i propri interessi aveva bisogno di una struttura occulta. Le perizie hanno dimostrato ciò che a tutti appariva logico fin dall'inizio. che stava per prendere le redini del Grande Oriente d'Italia. rischia di apparire una nobile istituzione. che costituiscono l'antefatto della tragica morte avvenuta il 18 giugno 1982. Balducci. la Procura di Roma ha finalmente riaperto le indagini sulla fine del banchiere.L'ultima estate di Roberto Calvi Nell'estate dell'81 Flavio Carboni era molto impegnato nello stabilire buone relazioni con Roberto Calvi (che aveva conosciuto l'anno prima). Tra i suoi desideri c'era quello di conoscere il Gran Maestro Armando Corona. c'era Flavio Carboni. addirittura sotto l'ombrello dei servizi segreti? Siamo in presenza di una situazione di assoluta illegalità. affermando per la prima volta che si trattò di omicidio. Frequentazioni innominabili. Ma al Monastero andavano e venivano anche Calò. appena reduce da un'opera di mediazione nel sequestro Grillo. Era stato Pazienza. e cioè che un uomo di oltre sessant'anni e dal peso superiore agli ottanta chili non avrebbe mai potuto . a presentare Calvi a Carboni e si adoperò anche per organizzargli una vacanza distensiva. Perfino la "rete parallela" del Supersid degli anni Settanta. in quel momento assillato da torme di creditori e alla ricerca di contatti importanti. Soltanto di recente. il 22 luglio gli era stata finalmente concessa la libertà provvisoria. di un braccio armato in grado di intervenire nei conflitti di interesse in un contesto di complicità e ricatti al più alto livello. ancora vivo. Passi per Pazienza e Carboni.. rispetto alla degenerazione di quest'intreccio politico. Carlo Binetti. una tenuta di proprietà dell'immobiliarista milanese Gian cario Cabassi a Porto Rotondo. Diotallevi e Balducci. ma questi ultimi. Il presidente dell'Ambrosiano era stanco e depresso: il 20 maggio 1981 era stato arrestato per reati valutari. Sarà lì che Calvi trascorrerà le ferie con la moglie in compagnia di Pazienza e della fidanzata di questi. Per qualche motivo Calvi riteneva indispensabile ottenere. nelle sua varie articolazioni fasciste e terroristiche. Marina De Laurentis. che dimostra come la mafia a Roma fosse riuscita a diventare parte integrante di un sistema di potere degenerato. in che mani era finito il povero Calvi? E come potevano tutti costoro muoversi in tanta libertà. a Porto Cervo. quelle di Calvi nella sua ultima estate. l'8 luglio aveva inscenato un tentativo di suicidio nel carcere di Lodi. l'appoggio della Loggia d'Inghilterra: si era poi convinto che il faccendiere sardo avesse relazioni politiche che potevano tutelarlo anche dall'intenzione di Carlo De Benedetti di impossessarsi della sua banca. ma non fu ritenuta all'altezza: la scelta cadde sul Monastero. dopo vent'anni. mise a disposizione la sua villa in Sardegna. l'editore Carlo Caracciolo e lo stesso Corona. Abbruciati. che forse doveva chiamare a cose fatte.arrampicarsi sull'impalcatura sul Tamigi. In un primo momento aveva pensato di riparare in Svizzera. il nuovo capo della Banda della Magliana. Ma non si trattava di un rapimento: il banchiere aveva intrapreso volontariamente quello che sarebbe stato il suo ultimo . il 27 aprile 1982. Proprio in questo periodo. Roberto Calvi seppe che erano in arrivo nuovi provvedimenti giudiziari nei suoi confronti. È molto probabile che anche quello di Calvi sia stato un delitto su commissione. Calò c'è dentro fino al collo». Roberto Rosone. rimase ferito alla gamba ma la sua guardia del corpo fu più veloce: estrasse la pistola e colpì a morte uno dei due uomini in moto. mi ha detto: «Lo scenario della morte di mio padre è lo stesso di Pecorelli: mandanti politici. A un certo punto Badalamenti. dopo vent'anni. Un mese e mezzo dopo l'attentato a Rosone. durante il processo Andreotti. con cui era entrato in contatto tramite Calò e Diotallevi». che meriterebbe un libro a parte. alla fine optò per Londra. la Banda della Magliana». il PM Luca Tescaroli è alle ultime battute: si attendono sensazionali sviluppi. il 2 settembre 1983. E l'inchiesta ha preso finalmente corpo. la sera che Dalla Chiesa fu ucciso a Palermo. inizio estate 2003. che ha impresso una svolta nelle indagini anche sull'omicidio del presidente dell'Ambrosiano. Disperato. Carlo Calvi. il figlio del banchiere. Il crack dell'Ambrosiano e il delitto Calvi sono una storia molto lunga. Ma perché un boss di prim'ordine era andato di persona a fare un attentato di quel genere? Maurizio Abbatino ha spiegato ai magistrati: «Dopo la morte ne chiedemmo conto ai testaccini. Ad esempio quando Danilo Abbruciati. Calò è stato certamente il tramite. Quando circolò la notizia della sua scomparsa. Il contesto è lo stesso dell'omicidio Pecorelli: il colloquio in Brasile tra Masino e Don Tano. su una scatola di fiammiferi aveva scritto il numero di telefono di Ernesto Diotallevi. dopo aver parlato dell'omicidio del giornalista. il Vaticano. andò a Milano a sparare due colpi di pistola contro il vicepresidente dell'Ambrosiano che stava uscendo di casa. Durante un recente viaggio a Roma. tutti pensarono che potesse essere stato rapito. gli confida: «Anche nella morte di Calvi. Nel '94 a Londra fu arrestato Frank Di Carlo che altri pentiti avevano indicato come l'esecutore dell'omicidio del banchiere. A terra rimase proprio Abbruciati. che aveva assunto le veci di Calvi dopo l'arresto. e tantomeno impiccarsi con complicate acrobazie. davanti alla televisione. ma anche fatti precedenti avevano portato a galla la terribile connection che circondava il banchiere. A noi interessa per il ruolo che vi ha giocato la Banda della Magliana e per quella rivelazione di Buscetta. decise di fuggire dall'Italia. De Pedis e Pernasetti si limitarono a dire che si era trattato di un'iniziativa personale di Abbruciati che doveva dei favori personali a gruppi di mafiosi siciliani. I delitti di Palermo Tra gli ultimi Settanta e i primi Ottanta. ma intervenne anche nella soluzione di contrasti "esterni" per assicurarsi protezione e impunità. il banchiere fu trovato impiccato sotto il ponte dei Black Friars. La maggior parte di questi omicidi fu compiuta dalla mafia in nome e per conto di un movente "politico": lo stesso copione che la Corte d'Assise d'Appello di Perugia ha individuato nell'uccisione di Mino Pecorelli. Del resto. Il segretario di Carboni. Dietro l'uccisione di Calvi c'è la mafia. sullo sfondo di un pacchetto di appalti pubblici. incontrerà la morte. come tra il '79 e l'82.Ma perché il banchiere è stato ucciso? Dicono i pentiti: «Una grande quantità di denaro dei mafiosi era stato investito in attività immobiliari e in operazioni di riciclaggio attraverso il Banco dell'Ambrosiano. Andava eliminato». Ma è anche vero che mai. giornalisti. I sospetti caddero su Vito Ciancimino. politici. ciò che la distingue da qualunque altra organizzazione criminale. intestato a Gianroberto Calvini.viaggio. Ad aspettarlo all'aeroporto di Ronchi dei Legionari c'era Ernesto Diotallevi. Don Vito in quel periodo . soldi che erano stati perduti. come dietro l'omicidio Pecorelli. Emilio Pellicani. che dopo un breve transito nella corrente andreottiana era entrato in forte contrasto con Lima e lo stesso Reina. gli disse Calvi. La mattina dopo. magistrati. Il 21 marzo 1979. poi l'aereo lo portò a Londra dove lo raggiunse Carboni al residence Chelsea Cloister. Quello è un bambino viziato: si è perfino dato da fare con Cutolo per liberare Cirillo a nome dei servizi segreti». che già all'inizio aveva l'aria di una faida maturata all'interno della DC siciliana. quando nel carcere di Novara bevve la sua tazzina di caffè al cianuro. nominato pochi mesi prima Alto Commissario Antimafia. E poi il banchiere sapeva troppe cose. i boss alzarono il tiro: sotto i colpi di lupara e kalashnikov caddero poliziotti. Cosa Nostra non si limitò alla gestione dei propri interessi criminali. La tappa successiva fu l'Austria. Qualcuno potrà dire che questo è nella natura stessa della mafia. in un vortice che culminerà con l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. fu ucciso a Palermo Michele Reina. le preoccupazioni giudiziarie lo avevano mandato fuori di testa e minacciava di parlare. che gli consegnò un passaporto falso. lo accompagnò a Trieste e durante il viaggio Calvi si confidò con lui: «Mettermi tra i piedi Pazienza è stato un errore di Piccoli. il 18 giugno. la guerra di mafia era alle porte e lo scontro di "interessi" contrapponeva le famiglie palermitane e corleonesi. Le indagini non sono mai riuscite a ricostruire fino in fondo la matrice di questo delitto. Proprio come accadrà a Sindona cinque anni dopo. un andreottiano amico di Salvo Lima: fu il primo omicidio politico in Sicilia. il delfino di Calò. per l'esattezza la costruzione di sei scuole. «Sono qui perché devo incontrarmi con importanti rappresentanti della massoneria inglese che mi hanno promesso almeno trecento milioni di dollari». il giorno dopo l'omicidio di Mino. Invece. sia pure per una dozzina di giorni: fu proprio Lima a farlo decadere dalla nomina. è dunque necessario parlare della nascita della corrente andreottiana. la corrente dorotea (cui fino a quel momento aveva aderito) si era frazionata in vari sottogruppi. tra "colombei" e "pontieri". con l'incarico di consigliere istruttore. ed erano passati appena tre giorni da quel colpo di pistola alla gamba che il chirurgo massone Miceli Crimi gli aveva sparato. a fare dell'Italia un caso unico al mondo e a giustificare la nascita di un «processo anomalo» come quello nei confronti di Giulio Andreotti. È stata questa stagione. Taviani cercava di spingerlo a destra. la sanguinosa estate del 79. era figlio di un barbiere. in cui Andreotti. deputato comunista e membro della Commissione Antimafia. L'omicidio del commissario Giuliano. quando fu assassinato Cesare Terranova. di ago della bilancia degli equilibri politico-mafiosi al Comune di Palermo. considerato non soltanto un grande leader nazionale della DC. Sindona era ancora a Palermo. L'ex pupillo di De Gasperi darà questa valutazione sul suo isolamento: «Avendo appreso a Bombay che nel governo indiano c'era un ministro paria. dirà Buscetta nell'84. A luglio fu ucciso il capo della Mobile Boris Giuliano. a ottobre Cesare Terranova. In realtà i tempi non consentivano che il posto di consigliere istruttore andasse a un magistrato di sinistra e impegnato nella lotta alla mafia. La nascita della corrente andreottiana Prima di affrontare il capitolo dei delitti politico-mafiosi. Lo uccisero i corleonesi e si disse che era una vendetta di Luciano Liggio. abbiamo già parlato a proposito di Sindona. Al suo rientro si accingeva a tornare in magistratura. che Terranova aveva fatto condannare al processo di Catanzaro. perché Ciancimino era nato a Corleone. La decisione di fondare una propria corrente seguì il X congresso di Milano. che è all'origine di tanti successi e tante sciagure di Andreotti. tornato a Palermo dopo due legislature durante le quali aveva svolto un ruolo di un ruolo di rilievo all'interno dell'Antimafia.era assessore agli Enti locali. e quello che poi ne è seguito. da giudice integerrimo e di grande competenza. forse per la prima volta. chiesi quanti ve ne fossero e . avvenuto a poche ore di distanza. Nel 70 era stato sindaco di Palazzo delle Aquile. del novembre '67. ma proprio grazie all'appoggio dei viddani per una lunga stagione politica assurse al ruolo di "signore degli appalti". apparve in difficoltà: la sinistra tentava di escluderlo dal vertice democristiano. Un sindaco «nelle mani dei corleonesi». Dei delitti avvenuti nell'estate successiva. come abbiamo già visto. s'intreccia con quello di Giorgio Ambrosoli a Milano. magistrato eletto come indipendente nelle liste del PCI. Era l'uomo di fiducia di Provenzano da sempre considerato la mente politica di Cosa Nostra. ma anche il responsabile politico della corrente siciliana del partito e pertanto responsabile di quell'inconfessabile connubio tra politica e mafia di cui ha finito per pagare il prezzo più alto. Andreotti era accanto a De Gasperi quando questi si congratulò con il ministro dell'Interno Scelba per la «brillante operazione». poi a sua volta avvelenato con la solita tazzina di caffè al cianuro. anche i retroscena della morte del presidente Enrico . Andreotti era consapevole di cosa comportasse l'accordo con Lima.appresi che dai tempi di Gandhi mai più un paria era stato ministro. a pregarmi di andare a vedere cosa stava accadendo tra Lima e Gioia. E non fu una questione di voti a spingerlo ad accogliere Lima nella sua nascente corrente. perché mai si sapesse chi aveva ordinato quel bagno di sangue. io avrei continuato la mia vita politica lo stesso». Fin dal primo maggio 1947. che stavano litigando per una questione di preferenze. proprio per la sua qualità di capocorrente della DC siciliana. Andreotti ha dato questa versione del viaggio siciliano: «Era stato Rumor. Il prezzo della democrazia). nella preparazione della strage (del primo si sapeva che era coinvolto nell'attentato a Togliatti del 14 luglio 1948). il famigerato 416 bis. Molto probabilmente non ignorava il ruolo di due deputati monarchici. se lui non vi avesse intravisto una personale opportunità politica. che il senatore andava condannato per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa. In realtà Rumor. ha gridato Buscetta durante il processo di Palermo. tutti i preti e le monache del Lazio avrebbero in effetti continuato a votarlo: il problema era il suo potere all'interno della DC. Gianfranco Alliata e il principe Leone Marchesano. Il 6 luglio 1950 il bandito fu ucciso dal luogotenente e cognato Gaspare Pisciotta. a capo di un governo debole. sapeva quali fossero i legami di questo vecchio amico dell'Azione Cattolica con gli ambienti americani fin dallo sbarco alleato gestito da Lucky Luciano. Conosceva tutti i grandi misteri siciliani. «È stato Bernardo Mattarella a volere Portella della Ginestra». Nel corso del processo. Se nel '68 fossero rimasti tutti e due nella corrente fanfaniana. non aveva alcuna autorità per imporgli quel viaggio. allora presidente del Consiglio. lui conosceva bene la realtà siciliana e gli antichi patti sotterranei che da sempre avevano caratterizzato questa particolarissima realtà politica. cioè l'omicidio di Giuliano. quando la mafia spostò voti a destra con la strage di Portella delle Ginestre. in una veemente requisitoria. Io mi trovai a essere il rappresentante dei paria in un governo globale di bramini» (la frase è citata nel recente libro di Giorgio Galli. Fu così che Andreotti decise di compiere il suo malaugurato viaggio in Sicilia. messo a rischio dallo scontro sotterraneo che da sempre lo contrapponeva a Moro e che si era ancor più radicalizzato negli anni del centrosinistra. guidata da Salvatore Giuliano. Andreotti conosceva bene anche Mattarella padre. alla vigilia delle elezioni politiche del 18 maggio 1968 che consentirà tanti anni dopo al pubblico ministero di Palermo Roberto Scarpinato di affermare. sancite in nome dell'anticomunismo. presidente della Regione siciliana. che gli consentì ancor-più di influire sugli equilibri di partito: insomma. fu la caduta del Muro di Berlino. per quanto sbrigativa. potente democristiano negli anni Cinquanta. Il neodeputato entrò nella sua corrente. evento di cui Franco Evangelisti darà in seguito questa versione: «Lima disse: "Se vengo con Andreotti non vengo da solo. Molti lo consideravano un erede di Moro. E quando venne la data fissata. l'omicidio di Mattarella è quello che più ci interessa non soltanto per il significato di spartiacque che questo delitto assume nella sentenza di appello di Palermo tra . Il pettine. erede di Dossetti e di La Pira. Lima battè Gioia di un buon numero di preferenze. In ogni caso il viaggio di Andreotti in Sicilia si concluse con l'elezione di Lima alle politiche del '68 come deputato nazionale nelle liste della DC. nell'ufficio di Andreotti a Montecitorio arrivò davvero alla testa di un esercito». Ma l'ala siciliana non poteva non entrare in contatto con la parte più compromessa di quella laziale. i colonnelli. cosa di cui Andreotti non si preoccupò né tanto né poco. aveva cercato di prendere le distanze dall'ingombrante eredità paterna. il presunto "mandante" di Portella della Ginestra. fino a quando sul finire degli anni Novanta i nodi non vennero al pettine. l'unico leader che nell'amministrazione regionale manifestava una linea di rinnovamento. con la nascita di un nuovo mondo dove le antiche alleanze. L'artefice del cambiamento era proprio lui. Moro non a caso attribuisce la spregiudicatezza di Andreotti in questo frangente politico alla conoscenza di «qualcosa di molto antico». le fanfare e le bandiere". per Andreotti. Aveva soltanto quarantacinque anni. ma era l'uomo di spicco della DC siciliana. dove gli esponenti della gens Giulia non disdegnavano accordi economici con boss mafiosi del calibro di Frank Coppola. il figlio di Bernardo. fu in grado di influire su alleanze e rotture tra le varie correnti e ottenne l'incarico di capogruppo della DC. ministro di tutti i governi regionali. Gli avversari lo accusarono di essere non il capo di una corrente. di apertura alla sinistra. Ma Piersanti faceva parte di una nuova generazione politica: allievo dei gesuiti. e non soltanto per lui. L'omicidio Mattarella Il 6 gennaio 1980 venne assassinato in via Libertà Piersanti Mattarella. individuò un legame tra il sabotaggio dell'aereo e il boss Carlos Marcelle Nel Memoriale. grazie al 18 per cento di tessere messe insieme dalla sua corrente.Mattei: aveva disposto la Commissione d'Inchiesta che. Italo Jalongo e Natale Rimi confinati nella zona di Latina. La prima conseguenza di questo accordo fu che Andreotti. Di tutti i delitti politico-mafiosi. ma con i miei luogotenenti. era di nuovo alla guida dei bramini. ma di una «carovana maleodorante». andavano spazzate via. quali nomi abbia fatto. . infiniti segnali stavano a indicare che era in pericolo. In verità erano molto complessi i rapporti tra Don Vito e gli uomini della sua corrente siciliana. Mattarella aveva avuto sentore di quanto stava accadendo. quali accuse abbia rivolto agli amici di partito con esattezza non si sa. Maria Grazia Trizzino: «Se mi dovesse accadere qualcosa si ricordi di questo viaggio». Salvo Lima lo considerava da sempre un rivale nella complicata rete di interessi politico-mafiosi della DC siciliana: fu lui nel 70 a farlo decadere dall'incarico di sindaco.l'Andreotti amico dei boss e l'Andreotti che gli dichiara guerra. i terroristi non c'entrano niente. ma anche perché nelle indagini fu coinvolto il terrorista Giusva Fioravanti. cose che fanno paura!». per una sorta di orgoglio mafioso. per raccontargli cosa stava avvenendo nelle file del partito in Sicilia. grazie all'accordo con la corrente di Gioia.Non a caso la difesa di Andreotti ha puntato a ridimensionare i rapporti tra il senatore e l'ex sindaco di Palermo: «Ho incontrato Ciancimino non più di due o tre volte e in occasione di alcuni suoi viaggi a Roma». ha certamente pesato nei confronti del senatore quel contributo di quaranta milioni offerto dai suoi amici romani che consentì al barbiere di Corleone di dare la scalata alla DC siciliana a metà degli anni Settanta. Prima di partire aveva detto alla sua segretaria. Ma cosa lega l'uccisione del presidente della Regione siciliana a quella di un giornalista romano troppo intraprendente e in cattiva fama? Il "movente politico". Ma ciò avvenne nel 77. non è stato disponibile ad accettare il fatto che omicidi compiuti da Cosa Nostra potessero essere stati commissionati a ragazzotti che agivano al di fuori dello stretto controllo mafioso: «Signor giudice. dopo soli dodici giorni. presunto killer di Pecorelli nella prima inchiesta della Procura di Roma. per questo i due omicidi dovevano essere camuffati come "terroristici". che. andate a vedere a chi furono affidati gli appalti dopo la sua morte. mi creda. prima che Don Vito giocasse il suo supposto ruolo nei delitti di Palermo. Nel corso del processo di Palermo. Uno scenario complicato. quello di Mattarella è stato fatto da Cosa Nostra. anche se a mettere un bastone tra le ruote a questa ricostruzione è stato proprio Buscetta. se vogliamo. era corso a Roma dall'amico Virginio Rognoni. Che cosa abbia detto Piersanti a Rognoni. Ma dietro lo scontro politico c'era anche uno scontro di interessi mafiosi: Lima era legato a Bontate e ai Salvo. sostiene una tesi: tutti e due sono delitti di mafia dove il mandante non doveva comparire. ma al centro dei suoi sospetti c'era ancora una volta Ciancimino. E i giudici d'appello gli hanno creduto. ma che regge all'usura del tempo. ciò che rendeva imbarazzante il riconoscimento di ogni possibile rapporto con lui. allora ministro dell'Interno. Ciancimino a Riina e Liggio. Da piccolo Fioravanti aveva raggiunto una certa notorietà come attore di uno sceneggiato televisivo. che aveva casa nelle vicinanze di via Libertà. Musumeci e Belmonte che si sono beccati una condanna a dieci anni di reclusione per quel depistaggio che doveva servire a coprire proprio lui e i suoi amici. Mangiameli era un .non è stato lui a uccidere Mattarella. Fioravanti è ormai in semilibertà. senza averne le prove. Nonostante la condanna all'ergastolo per la strage di Bologna. A convincere Falcone del coinvolgimento di Fioravanti nell'omicidio Mattarella. il ciuffo ribelle e quel naso schiacciato che lo avevano reso famoso durante i pestaggi davanti alle scuole di Monteverde.]. il modo di operare. Ma Giusva ci tiene a far sapere tre cose: non è stato lui a sparare a Pecorelli. Era consapevole dei rapporti che c'erano tra fascisti romani. A Palermo i collegamenti con ambienti massonici erano tenuti da Francesco Mangiameli». è difficilmente eliminabile. non è stato lui a mettere la bomba alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. all'interno di questi due delitti. sua collega di disgrazie: hanno un bimbo piccolo. non solo perché in quel periodo i NAR prendevano di mira redazioni e giornalisti. oltre alla somiglianza ravvisata da alcuni testimoni. Ma il ruolo della Banda della Magliana. a distanza di tanto tempo. Pazienza. Gabriele De Francisci.La pista nera Eppure. e questo non farebbe comodo a Gelli. ma gli era rimasta la faccia tonda. Di tutte le testimonianze contro Fioravanti. mi fecero intravedere qualcosa di molto familiare». che raccontò: «Non mi risulta nulla. anche i magistrati del processo Andreotti hanno preferito limitare lo scenario all'accordo tra il senatore e Cosa Nostra. E fu proprio la moglie. a riconoscerlo senza mai avere ombra di dubbio. fu il fatto che il terrorista nel periodo dell'omicidio era effettivamente a Palermo ospite di un camerata palermitano. a vent'anni maneggiava mitra e pistole con la rapidità di Tex Willer. Ammettere la partecipazione anche a uno solo di questi tre episodi equivarrebbe ad accettare la patente di killer al servizio del Supersismi. Cristiano parlò anche del delitto Mattarella: «Ho sempre avuto la convinzione. ma la zona del delitto. la più interessante è forse quella dello "stupratore del Circeo" Angelo Izzo. che a Valerio sia attribuibile l'omicidio di un personaggio siciliano. Tutti e due hanno chiuso con il passato: hanno commesso molti delitti. Valerio aveva detto che era stato lui a uccidere Mattarella [.. non sempre attendibile. come abbiamo già detto. Irma Chiazzese. Tra i primi ad accusare Giusva Fioravanti dell'omicidio Pecorelli fu il fratello Cristiano. ma quando appresi dai giornali del delitto ebbi la convinzione che a commettere questo omicidio fosse stato proprio Valerio. mafia siciliana e massoneria palermitana. si è sposato con Francesca Mambro. Del resto.. ma che stavolta ha raccontato retroscena interessanti: «Ancor prima di rivelarmi di essere l'autore dell'omicidio Pecorelli. i sospetti su Giusva sopravvivono. tutti confessati. che venne ucciso in una strada di Palermo in presenza della moglie». Se il senatore avesse accettato di ricostruire. ma è stato proprio il suo silenzio. in risposta alle accuse. allora capo di Cosa Nostra. aggiunse: «Mangiameli mi raccontò che l'uccisione del presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana era stata decisa a casa di Gelli per via delle aperture al PCI che stavano maturando in Sicilia in quel periodo e di cui Mattarella era il principale sostenitore». Quando lo riaccompagnò a casa.Un professore neofascista.ex di Avanguardia Nazionale legato alla massoneria. anche per gli omicidi politico-mafiosi sarebbe scattato l'ombrello di sicurezza teso a coprire il "livello superiore". Mannoia era il guardaspalle del boss: non partecipò al colloquio. Come per il delitto Moro. E non è un caso che la mafia abbia colpito servitori dello Stato. Concutelli mi disse che c'erano la mafia e ambienti imprenditoriali. Andreotti s'incontrò con Stefano Bontate. ma assicurò di aver visto arrivare Andreotti in macchina: era l'auto blindata che i Salvo mettevano a sua disposizione quando scendeva a Palermo. corrente andreottiana. ma non può escludersi alla stregua delle risultanze processuali che alcuni gruppi politici siano stati alleati a Cosa Nostra per un'evidente convergenza d'interessi. sotto il profilo politico. Racconta ancora Izzo: «Dietro la morte di Mattarella. Il boss non fornì molti dettagli sulla conversazione. erano entrati in contrasto con quelli massonici. e con gli interessi mafiosi che invece puntavano sugli appalti. in una villa alla periferia di Palermo. dal corposo capitolo sui presunti incontri tra Andreotti e i boss. secondo la tesi dell'accusa: mafia. L'incontro negato con i boss Un'appendice dell'omicidio Mattarella è costituita. alcune vicende che riguardavano i suoi rapporti con Gelli o la sua corrente siciliana e avesse raccontato cosa era realmente accaduto in quegli anni ora tutto sarebbe molto più chiaro. poi trovato morto con un sasso al collo nel lago di Nemi: qualcuno disse che si era voluto eliminare un testimone scomodo. sempre disperatamente negati dal senatore che. Valerio aggiunse che si erano fidati di lui perché aveva garantito la Banda della Magliana». siamo noi a decidere cosa dobbiamo fare». massoneria. ha fornito vari alibi. la sua totale negazione a consentire ai giudici di Perugia di scrivere a pagina 228 della motivazione della sentenza: Questa Corte non intende avventurarsi in analisi politiche. chiamando anche a testimonianza la sua scorta. ovvero l'apertura ai comunisti. Alberto Volo. che lo Stato non ha . contrari alla svolta. all'interno del processo di Palermo. ma anche esponenti romani della corrente democristiana avversa a quella di Mattarella. Nel delitto Mattarella si assommano componenti che troviamo in quasi tutti gli altri omicidi politico-mafiosi. il Padrino gli raccontò che avevano parlato dell'omicidio Mattarella. ma Bontate si vantò di una sola cosa: «Ho detto al Presidente che in Sicilia comandiamo noi. Gli interessi politici. Come sappiamo fu Francesco Marino Mannoia a raccontare che nell'estate dell'80. Poco prima di morire. Cosa Nostra. deputato comunista. come abbiamo visto. ma anche nel varo di una legge.. sa fare politica in maniera violenta assassinando gli uomini che danno fastidio a uomini politici [. A un certo punto Ciancimino. in caso di bisogno.]. La targa indicava un non meglio conosciuto «Centro Sociologico Italiano». di uno stile molto diverso da quello mafioso tradizionale. che non ne tenne conto. su ordine di Falcone. proprio con Don Vito e insieme riflettevano sulla catena di delitti che si erano scatenati in città. la polizia pedinava Giovanni Lo Cascio. Proprio in quel periodo andavano intensificandosi le indagini sulle logge massoniche che. e anche in seguito non ha mai cambiato opinione.]. Furono molti i delitti politici in quegli anni. Nicolicchia lo spedì a Londra. che gli fu indicato come possibile killer del marito. era all'epoca capo della Mobile. che prevedeva il sequestro dei beni mafiosi. poi approvata. sospettato di traffico di droga. amico di Gelli. Sono una sfida allo Stato e alla società civile. Ma la vedova disse che no. in giro per Palermo. Irma Chiazzese.. in un'intervista all'«Espresso». Bruno Contrada. impegnato contro l'installazione dei missili a Comiso. per fargli riconoscere in foto il boss Salvatore Inzerillo. Una sera il questore era in macchina. Il sistema mafioso è un sistema complesso e ha i suoi referenti anche nelle istituzioni e nei partiti per assicurare la propria sopravvivenza. Il segretario regionale del PCI intravedeva nei delitti siciliani una convergenza di interessi che andava al di là di moventi puramente mafiosi. La Torre dichiarò: Gli omicidi di Palermo sono stati decisi da un tribunale internazionale composto da gente di altissimo livello. dove si era rifugiata da parenti la vedova del presidente della Regione siciliana. Le connessioni tra politica "affaristica" e criminalità mafiosa sono ormai un dato storico come è altrettanto vero che la mafia ha controllato gran parte dei voti in Sicilia.. Ma era anche in buoni rapporti con Ciancimino. fiorivano in città. in seguito arrestato e processato per concorso in associazione mafiosa. se ne sarebbe uscito con una battuta che è poi diventata una sorta di macabro tormentone: «Secondo me sono state le Brigate Rosse». che circolava liberamente in città e provincia nell'estate del 79. imprenditore tessile. al numero 391. era piduista e. Da La Torre a Chinnici Il questore di Palermo. Mi rifiuto di pensare che un uomo politico del peso di Mattarella sia stato ammazzato per decisione di qualche costruttore mafioso. Un'indicazione poco gradita al questore.. non gli somigliava affatto. segretario regionale del PCI. parlando del delitto Mattarella. Nel febbraio '83. Giuseppe Nicolicchia. pare.adeguatamente protetto [. interno 4. convinta che il giovanotto che aveva sparato fosse Fioravanti. Nell'82 fu ucciso Pio La Torre. Forse per questo nessuno disturbò la "prigionia" del latitante Sindona. Sono omicidi pesanti. Gli agenti all'interno . Il trafficante entrò in un palazzo di via Roma. E invece fu ucciso. E dopo la sua morte quelle parole servirono ad alimentare i veleni di Palermo. I giudici lo accusarono di riciclare i proventi di Cosa Nostra. moglie del procuratore Gaetano Costa. venuto dalle arse colline di Corleone. per associazione a delinquere di stampo mafioso. era riuscito a costruire la sua fortuna a ridosso dei complessi equilibri di Palermo. non erano incomprensibili in una città che viveva lacerata dall'odio. Pochi giorni dopo fu arrestato il commercialista Giuseppe Mandalari. dove i servitori dello Stato cadevano come mosche in un'Italia ormai sudamericanizzata. Sono le vedove di Palermo a raccontarlo: Giuseppina Zacco. Un'esperienza traumatica per un uomo che. Eppure.scoprirono gli elenchi degli affiliati a ben sei logge diverse. con il fiato della mafia sul collo. che invece in quei giorni stava lavorando proprio attorno ai mandanti del delitto La Torre ed era arrivato a clamorose scoperte. moglie del segretario regionale del PCI. Nei diari del consigliere istruttore Rocco Chinnici la decisione fu commentata con disappunto: il giudice sospettava un intervento dall'alto. a spargere ingiusti sospetti su Falcone. Una strage annunciata. Cominciò così a Palermo l'era dello stragismo mafioso. una città che ha sempre considerato il centro del mondo. il caso La Torre è chiaro. rimase in carcere ai Cavallacci. per Don Vito seguì l'assoluzione in appello. assassinato nell'agosto '80: anche lui impegnato in indagini sugli omicidi politico-mafiosi. quella di via Pipitene: tre giorni prima Bou Chebel Ghassan. che era però silenzioso quanto lui era loquace. Il 29 luglio anche Rocco Chinnici saltò in aria davanti al portone di casa in via Pipitene Federico. e Rita Bartoli. per dirgli che era in preparazione un grosso attentato. dai sospetti. il sindaco nelle mani dei corleonesi. disse: "Siamo arrivati al punto. anche se errate. un autodidatta. della Criminalpol palermitana. Nello stesso stabile. Il suo nome era nell'elenco della Loggia Carnea trovato in via Roma. Il Memoriale di Ciancimino Vito Ciancimino non ha mai mandato giù l'arresto che ha messo fine alla sua carriera politica. Per molti lustri si sono contesi la città e la corrente andreottiana in Sicilia. libanese e informatore dei servizi segreti. Dopo la condanna al Maxiprocesso. il Signore degli appalti. ormai miliardario. ma Falcone non riuscì a trovare le prove e finì per scarcerarlo. ma aveva un'intelligenza acutissima e un fiuto politico che lo accomunava a Salvo Lima. le velate accuse di Chinnici. proprietario di numerose proprietà immobiliari a Palermo e anche in Canada. nel frattempo trascorse almeno un anno . c'era anche una sede dei servizi segreti. Racconta Zacco: «Chinnici ci venne a trovare. per una strana coincidenza. Ma nessuno pensò a Chinnici. Era stata usata la tecnica libanese dell'autobomba:ci furono quattro morti e diciannove feriti. Don Vito era culturalmente rozzo. aveva telefonato ad Antonio De Luca. Si tratta di qualche settimana e si saprà tutto"». Dica alla sua amica Irma Mattarella che queste novità riguardano anche lei. Dal novembre dell'84 alla fine dell'anno successivo. Ciancimino sembra dare per scontata l'esistenza di una Gladio siciliana: «Bisogna prestare attenzione al fatto che una base Gladio. La tesi che emerge dal memoriale di Ciancimino sugli omicidi di Palermo (di cui era considerato l'ispiratore) era più o meno questa: «L'aspetto peculiare che unisce questi delitti è che secondo mormoni validi e insistenti (vox populi) riteniamo che essi non siano classificabili come delitti di mafia e ciò a onta di tutte le indagini giudiziarie». mentre i depositi di armi belliche si sono volatilizzati. afferma in tono allusivo. ritenuta organizzazione intelligente e ben addentellata nelle stanze del potere. abbia ucciso La Torre sapendo che la sua morte avrebbe accelerato l'approvazione della legge da lui proposta sul sequestro dei beni ai mafiosi? Ma è sull'omicidio del generale Dalla Chiesa che il colluso Ciancimino manda messaggi consistenti: Cosa conosceva il generale Dalla Chiesa che potesse far tremare il Palazzo? Conosceva ad esempio le deviazioni dei servizi segreti e fino a che punto erano stati deviati? È possibile che siano stati deviati fino al punto da fargli compiere "interessati" delitti? Ma il generale poteva anche conoscere l'esistenza di Gladio [a lui evidentemente nota già nel '90] che per quarantacinque anni è stata nascosta al popolo italiano. un appuntato dei Carabinieri ha più poteri di un prefetto.al soggiorno obbligato.. da solo!». per combattere il comunismo. come quello di eliminare avversari scomodi?». che mandò in varie versioni alla Commissione Antimafia. Dopo una notte in carcere. Nel '91 fu nuovamente arrestato. Anche Don Vito distingue tra mandanti e pedine. Un altro interrogativo "allusivo" riguarda Dalla Chiesa: perché è stato mandato a Palermo a fare il prefetto? Risposta: Per combattere la mafia? Sciocchezze. ma per conto di entità superiori: «Chi ha sparato è solo un problema di polizia giudiziaria». Pure le pietre a Palermo sapevano che questi poteri al . che non è proprio filocomunista. senza mai riuscire a essere convocato per un'audizione. O serviva ad altri scopi. lasciando intendere che a sparare può essere stata la mafia. Qualcuno gli rispose che era accusato di aver manovrato. Si rivolse ai giornalisti che affollavano l'aula e chiese: «Cosa hanno scritto i giornali del mio arresto?». La cosa sembrò metterlo di buonumore e scoppiò in una sonora risata: «Io. Poi si disse che si sarebbe rimediato dandogli poteri speciali. su ordine del suo eterno nemico Falcone. fece la sua comparsa nell'aula del Tribunale di Palermo dov'era in corso il processo sugli appalti. Falso. appalti per decine di miliardi quando era assessore al Comune. Le argomentazioni sono del tipo: come si può pensare che la mafia. nell'interesse di alcune famiglie mafiose e di alcuni imprenditori. Fu dopo la scarcerazione che decise di mettere nero su bianco le sue trentennali memorie politico-giudiziarie.. è stata impiantata proprio in Sicilia dove si dice che governi la mafia. in un paesino sui Nebrodi. si erano entusiasmati per l'iniziativa di Mori: lo Stato aveva capito. Ci fu ancora qualche incontro con Mori: don Vito sapeva che Riina abitava a Palermo. Io questo discorso non lo posso fare a nessuno». venne un'idea: bisognava riaprire un dialogo con gli uomini di Cosa Nostra. c'era qualcosa di impazzito nelle dinamiche che si erano messe in moto con le stragi. seguito alle stragi di Palermo. Il Papello fu messo nel cassetto. disse: «Si può fare». chiudere quella terribile stagione facendo intravedere alla mafia una contropartita. lei mi vuole morto. Ciancimino disse a Riina che non erano i Carabinieri a poter garantire una cosa del genere. l'unica cosa è che i mafiosi si consegnino e noi tratteremo bene le loro famiglie». dopo aver capito il piano (del resto era sempre stato un fedelissimo di Provenzano). di pontiere tra politica e mafia. via la legge Rognoni-La Torre sul sequestro dei beni. Facciamo un salto. revisione delle sentenze già pronunciate. oggi capo del SISDE. Il memoriale aveva lasciato intuire che Ciancimino era un uomo in crisi: l'esperienza del carcere. in ogni caso bisognava far presto. ma all'epoca comandante del ROS. pochi giorni dopo la strage di via D'Amelio che si era portato via anche Borsellino.Generale non sarebbero stati concessi mai. queste erano le richieste: via il 41 bis (il carcere duro per i mafiosi). Ci sarebbero state le elezioni. e ormai anche l'avanzare degli anni sembravano averlo prostrato. E come si può pensare che la mafia tanto potente non sapesse quello che tutti sapevano? Perché doveva uccidere "un uomo morto"? Non è più lecito pensare che Dalla Chiesa sia stato assassinato per ordine di qualcuno del Palazzo per risolvere alcuni problemucci strategici? Ad esempio eliminare un uomo che sapeva troppo? Ma la sua rimase vox damantis in deserto. era disposto a trattare. Per prima cosa mandò il suo fedele aiutante. la fine del suo ruolo di signore di Palermo. agli incontri successivi partecipò anche Mori. e ancor di più Leoluca Bagarella. Soltanto due anni dopo. L'obiettivo di Mori era soprattutto mettere le mani su Totò Riina. finalmente si aprì un varco. alla Salita di San Sebastianello. L'avvio fu faticoso. via la normativa sui pentiti. alla terribile estate del '92. Mori sbiancò: «Ma questo non si può fare. in un contesto diverso e altamente drammatico. come egli stesso scriveva nel memoriale. lo sapevano tutti. quello che in seguito fu chiamato Papello. Al generale Mario Mori. l'emarginazione dalla politica (la DC lo aveva espulso nell'83). per un momento. Ciancimino. dove era la splendida casa romana di Don Vito. con Provenzano era forse possibile ragionare. Dalla Chiesa era un uomo liquidato. magistrati compresi. bisognava rivolgersi alle forze politiche: c'era qualcosa che si stava muovendo. Qualche tempo dopo ritornò con un foglietto pieno di appunti. ma riuscì a dare soltanto . ufficiale di grande esperienza investigativa. nei pressi di piazza di Spagna. A sbiancare è stato allora Ciancimino: «Generale. Totò Riina. anzi vuole morire anche lei. il tenente colonnello Giuseppe De Donno. dai giorni della scoperta del covo in via Montenevoso ai colloqui con il maresciallo Incandela. Nei mesi successivi. Morte di un generale Nei mesi successivi al delitto Moro. antica emergenza: la mafia. A settantasei anni lo aveva stroncato un infarto. Sono convinto che la mancata conoscenza del fenomeno [. Dalla Chiesa ci era apparso in preda a una grande agitazione: un"'inquietudine cospiratoria"sembrava averlo contagiato. Nella primavera dell'82 lo ritroviamo più sereno: era tornato se stesso. i fatti andarono come andarono e il 13 gennaio 1993. E il 30 aprile. di nuovo all'attacco. Non si sa mai. Sono stato molto chiaro e gli ho dato la certezza che non avrò riguardo per quella parte dell'elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori [. Il neoprefetto si riferiva a una battuta di Andreotti su un boss mafioso. il 20 novembre 2002. Inzerillo. Il generale aveva perfino accantonato. appena quarantott'ore dopo la sentenza di condanna di Andreotti a Capanne.] lo ha condotto e lo conduce a errori di valutazione e circostanze. avevano riportato a galla un'altra.qualche indicazione sulla zona: per ore furono studiate le mappe stradali dell'Uditore. date le sue presenze elettorali in Sicilia. si è manifestato per via indiretta interessato al problema. Nel frattempo il generale Delfino aveva arrestato Balduccio Di Maggio. ma ufficialmente appoggiò quella scelta. come si ricorderà. nel carcere di Cuneo. su indicazione di Di Maggio. Nei diari di Dalla Chiesa troviamo traccia di un incontro tra lui e il generale svoltosi nell'aprile '82. ma non tornò più in carcere: troppo anziano e malato. ucciso negli USA e trovato nella bara con una banconota da diecimila lire in bocca: un messaggio legato alla vicenda Sindona di cui aveva mostrato di non comprendere il significato. un ex fedelissimo di Riina. La Procura di Roma ha però disposto un'autopsia. il capitano Ultimo riuscì a bloccare il boss dei boss all'uscita dal cancello di casa. almeno nei rapporti ufficiali.. I successi che aveva ottenuto nella lotta al terrorismo lo avevano rimesso in sella.. Quale fosse in proposito l'opinione di Andreotti non è dato sapere. maturò nel governo la decisione di mandare Dalla Chiesa a Palermo. Un appunto che sarà poi oggetto di indagini. Per Ciancimino ci furono altri processi.]. L'emergenza terrorismo era scemata.. la morte lo colse nel sonno nella sua casa di San Sebastianello. Il Signore degli Appalti se ne era andato di notte da solo. politici e non. la forte diffidenza che aveva sempre manifestato nei suoi rapporti con Andreotti. come solo era rimasto negli ultimi anni. polemiche e interrogatori quando qualche mese dopo Dalla Chiesa cadrà sotto i colpi dei kalashnikov: Ieri anche Andreotti mi ha chiesto di andare e naturalmente. quando si accorse che i pieni poteri che aveva chiesto per far fronte alla lotta alla . ma i bagni di sangue in Sicilia.. dopo l'assassinio del segretario regionale del PCI Pio La Torre. Martellucci. Nei diari Dalla Chiesa scriveva: «Anche Catania sta diventando molto importante». l'unico che non apparteneva alla corrente andreottiana. Nel corso del processo. Dopo gli anni bui del terrorismo e della solitudine (era rimasto vedovo dell'adorata moglie). Ciancimino. Dalla Chiesa scrisse che la maggiore opposizione veniva proprio dagli uomini della DC siciliana: Lima. Il giorno della civetta. morì suicida o. per essere precisi. che molti hanno visto avverarsi (se non per le modalità) la profezia di Pecorelli. Per la sua morte sono stati recentemente condannati due boss di primo piano.mafia forse non gli sarebbero mai stati concessi. caro direttore. Il generale Anzà. nel quale il ministro aveva esaltato l'imprenditore Costanzo come salvatore dell'economia siciliana. il figlio Nando raccontò: «Di quell'incontro mio padre fece in famiglia una rapida menzione: "Sono stato da Andreotti e quando gli ho parlato della sua corrente in Sicilia è sbiancato"». fu trovato morto nel '77: la pistola era sulla scrivania e aveva sparato due volte. che aveva soltanto trentatré anni. sono stati oggetto di film. in via Isidoro Carini. essendo per sua natura molto pallido. Emanuela Setti Carraro. forte dell'esperienza dei corpi speciali antiterrorismo. libri. capitano in Sicilia. D'Acquisto. Rosario Nicoletti. Dalla Chiesa fu ucciso la sera del 3 settembre. Ma secondo Dalla Chiesa essere prefetto a Palermo doveva significare . aveva ispirato uno dei migliori romanzi di Sciascia. esponente della sinistra DC. con la moglie e un agente. Cento giorni a Palermo I cento giorni di Dalla Chiesa a Palermo. "precipitò" dalla finestra della sua abitazione al quarto piano di via Lincoln. a sessantatré anni. pubblicata nell'anonima lettera al direttore del 17 ottobre 1978: «C'è solo da immaginarsi. inchieste. Con sorpresa. chi sarà l'Anzà della situazione. Sappiamo ormai praticamente tutto delle speranze e delle inquietudini vissute in quei mesi dal generale che. Aveva meno di trent'anni quando. Giuseppe Marchese e Raffaele Ganci. Quest'ultimo. quale generale dei carabinieri sarà trovato suicida con la classica revolverata che fa tutto da sé». gli era difficile sbiancare. e quasi nello stesso periodo si erano create le condizioni per quell'incarico prestigioso cui aveva sempre aspirato. Ma è proprio in questo scorcio dell'82. in quei cento giorni trascorsi a Palermo da Dalla Chiesa. candidato al posto di comandante dell'Arma. era sceso in Sicilia con un ardore da seconda giovinezza. il generale annotava anche che il ministro Marcora. Andreotti ribattè in aula che. ma oggi la Procura di Palermo sta valutando l'ipotesi di riaprire nuovamente le indagini su possibili mandanti esterni. gli remava contro. Dalla Chiesa stava per cominciare una nuova vita: si era risposato con una bellissima ragazza. La nomina a prefetto di Palermo era un'investitura che gli consentiva di riprendere l'esperienza della lotta alla mafia dove l'aveva lasciata venticinque anni prima. dal 20 maggio al 3 settembre del 1982. E non gli era sfuggito un convegno a Catania. la Sicilia è sempre la stessa.assumere i pieni poteri nel coordinamento delle indagini e in ogni altra iniziativa di contrasto a Cosa Nostra. accetti gli inviti. se ne vada con la sua bella moglie a Mondello.. Sappiamo che a palazzo Whitacher il generale aveva fatto allontanare la sua scrivania dalla finestra. da dove temeva potesse entrare quel proiettile che. Negli ultimi giorni si era occupato soltanto di acquedotti. Fu subito chiaro che la legge non lo consentiva e questo rischiava di vanificare i suoi sforzi. La mattina del 3 settembre. gli venne un'idea: chiese e ottenne un incontro urgente con Ralph Jones. forse la peggiore delle trappole. All'inizio era entusiasta. dopo le promesse dei primi giorni ad agosto era calato il silenzio. Il primo settembre si decise a chiamare il suo amico Giorgio Bocca e concordò un'intervista che doveva essere uno squillo di tromba: «Sono stato mandato in Sicilia. in tanti anni di prima linea. il console generale degli USA a Palermo. di . trasformando quell'esperienza in un boomerang: lo stavano trattando come un pensionato che voleva chiudere la carriera con l'ultima medaglia al petto. ma si giustificava così: «In una città come Palermo non si sa mai a chi stringiamo la mano». mi trovo a essere richiesto di un compito davvero improbo e perché no pericoloso». davvero pensa ancora di sconfiggere Cosa Nostra?». La vettura sfreccia in via Roma. I corpi di Dalla Chiesa. «Generale. è altamente drammatico: «Soltanto il governo americano a questo punto può fare un intervento ad alto livello: io chiedo soltanto di poter lavorare seriamente». Di quella città aveva imparato a leggere i segnali. supera piazza Politeama. si goda la vita. Alle sette di sera di quello stesso giorno. Ma l'inquietudine era tornata: perché lo avevano mandato a fare il prefetto Antimafia se poi non era messo nelle condizioni di operare? Nei suoi diari appariva consapevole dei rischi che la sua nuova posizione implicava: «Io che sono certamente il depositario più informato di tutte le vicende di un passato non lontano. i sorrisi allusivi. la moglie lo raggiunge in Prefettura. ricostruito nell'ordinanza di rinvio a giudizio del Maxiprocesso. imbocca via Isidoro Carini. È solo un attimo: i kalashnikov cominciano a crepitare. via via subentrò il sospetto di essere caduto in una trappola. questa città non cambierà mai». ma lo Stato mi ha lasciato solo». di accettare inviti di società: forse era geloso. Di quei cento giorni sappiamo tutto. Il colloquio. quelle frasi a doppio taglio di cui diffidava: «Che vuole fare. rallenta perché c'è una moto e due persone in mezzo alla strada. generale. Ogni tanto voltava lo sguardo verso la cassaforte.. aveva sempre schivato. Ma non ce ne sarà il tempo. o addirittura pochi giorni. ma fu uno stato d'animo che durò poche settimane. quando ormai la sua sorte era segnata. A Roma i telefoni squillavano inutilmente. Salgono in auto: guida l'agente Domenico Russo. Sappiamo che impediva alla giovane moglie di stringere relazioni. erano lì i suoi segreti. Marcello Coppetti. in un bagno di sangue. Altri sono i responsabili dell'esecuzione di un uomo che si era impegnato a riportare l'ordine e la democrazia in Sicilia: mandare sul fronte un generale promettendogli mezzi che poi non gli vengono dati. un quarto e i documenti non sono venuti fuori.. poi un secondo.Emanuela e dell'agente Russo saranno trovati nell'auto con le portiere spalancate riversi sui sedili. hanno fatto un primo processo. È finita così la storia del generale.. perché l'irruento e generoso generale era diventato troppo ingombrante per le strutture centrali dello Stato. In quell'occasione. ma credo che domani o fra cinquant'anni il . Quella sera. Il documento fu il frutto di un lungo colloquio svoltosi durante un incontro a tre: il Venerabile. quando la polizia andò a prendere un lenzuolo per coprire quei corpi orrendamente massacrati. nella residenza del generale a Villa Pajno la cassaforte fu trovata aperta e vuota.. hanno arrestato i colpevoli. Ma si voleva davvero recuperare l'interrogatorio di Moro? Le spiegazioni sono due: o non li hanno trovati o non li volevano trovare. disse tremando che non c'era più la chiave: fu ritrovata sette giorni dopo in un cassetto già perquisito. scomparso di recente. Un giorno sapremo se si è trattato di un delitto mafioso o politico. In alcuni settori il suo arrivo a Palermo fu accolto con un sospiro di sollievo. l'inesauribile Licio inviò consistenti segnali anche sul possibile legame tra il delitto Dalla Chiesa e il caso Moro. a lui molto vicino. Nella richiesta di rinvio a giudizio del Maxiprocesso.. Coppetti e il maggiore del servizio segreto dell'aeronautica Umberto Nobili. ma anche Celli sostenne tra i primi che c'era un movente "politico" nell'assassinio di Dalla Chiesa: Artefice di quel massacro fu la mafia. come avrebbe dovuto essere. stando alla leggenda popolare. l'autorità dello Stato [. Era stata una trappola? L'ultimo atto di una storia cominciata tanti anni prima con la caccia a quei documenti di Aldo Moro mai più ritrovati? Carte che.. li hanno condannati.] era consapevole di essere stato destinato in Sicilia nelle condizioni peggiori [. Dalla Chiesa aveva portato con sé a Palermo. un terzo. Un carabiniere. tu sai dove trovare quello che ho messo nero su bianco». suo stretto collaboratore. ma non soltanto essa. Uccisi in auto da ignoti sicari come Pecorelli.]. Falcone e Borsellino tre anni dopo scriveranno: Di fronte a Cosa Nostra il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa impersonava soltanto se stesso e non già. a partire dalla scomparsa del Memoriale: Strano. è come mandare in guerra qualcuno senza munizioni [. in una Sicilia ambigua come in un romanzo di Sciascia. Una domestica riferì di aver sentito Dalla Chiesa dire alla moglie: «Se mi dovesse succedere qualcosa. La sorprendente affermazione è contenuta in un documento la cui stesura fu affidata a un giornalista dell'ANSA di Firenze..]. Venerabile accusa: «Non solo mafia» Potrà sembrare strano. lunga invece soltanto trentanove pagine.. non credo che lui si aspettasse di morire. ma non ho sparato». Secondo alcune malelingue.. dove il maresciallo Incandela lo avrebbe convinto a collaborare. ex segretario di Togliatti. il misterioso protagonista . E in una nota. convocò sia Coppetti che Nobili. Il primo si dilungò in una deposizione.materiale salterà fuori [. E il «Corriere della Sera». E poi loro erano abituati a filmare tutto. fin dall'estate del '78. costui [Dalla Chiesa] recuperò quel che doveva così il materiale è incompleto. sapeva che le BR avevano anche materiale compromettente di Moro. dopo l'arresto ufficiale. Corrado Guerzoni fece l'ipotesi che quei soldi potevano servire per pagare un taxi: le vere BR lo avevano rilasciato vivo e "altre br" lo avevano massacrato? Nel documento Gelli-Coppetti c'è una parte non virgolettata in cui il capo della P2 fa sapere: 11 caso Moro non è finito. Ne citiamo una riassuntiva: «Sia Gelli che le BR perseguono il comune interesse di destabilizzare il paese. di oltre cento pagine. il generale si sarebbe avvalso della collaborazione di Patrizio Peci (sì. La testimonianza del secondo. assunse forma di rivelazione in un articolo a firma del giornalista Massimo Caprara. proprio nei giorni in cui Gelli avanzava i suoi sospetti. su un periodico di sinistra. mi ha colpito il fatto che quella attribuita a Peci fosse la stessa frase del brigatista Francesco. la prima Commissione Moro. Dalla Chiesa aveva infiltrato un carabiniere giovanissimo nelle BR. L'affermazione fu smentita ma.]. l'avranno filmato anche mentre lo uccidevano. perché è segreto di Stato. nel quale si affermava che in realtà Peci era stato arrestato «due volte».Ma questa sarebbe soltanto una parte della verità. attribuì al brigatista pentito la seguente frase: «Anch'io ero in via Fani. Dalla Chiesa andò da Andreotti e gli disse che il materiale poteva essere recuperato se gli dava carta bianca. E. per questo ritengo che siano parenti prossimi. Il brigatista «Francesco» Il misterioso riferimento di Coppetti-Gelli sul "carabiniere infiltrato" sembra alludere a un altro grande segreto di Dalla Chiesa. anche se questa è soltanto una mia valutazione». Peci fu arrestato "ufficialmente" nel febbraio '80 e fu mandato nell'ormai famoso carcere di Cuneo. Nella tasca della giacca di Moro furono trovate poche migliaia di lire. che ci riporta ai misteri del sequestro Moro. totalmente evasiva. fu interrotta bruscamente forse a causa della gravita di alcune affermazioni. così mi hanno detto. nella ricostruzione dei misteri di Moro a cui in questi mesi mi sono dedicata. anche quello che ha la magistratura. proprio il primo pentito delle Brigate Rosse) per alcuni mesi prima di arrestarlo. L'ipotesi che il brigatista abbia agito da infiltrato dei carabinieri. Nel]'82. «Pagina». aggiunge: «Il materiale era stato preso dalle BR: è stato recuperato dall'infiltrato (il carabiniere) oppure il carabiniere è una scusa?». proprio a causa di questo testo. come ricordiamo. Sappiamo anche che "Francesco" era entrato in contatto con il giornalista di Radio Montecarlo la prima volta durante il sequestro Moro. E. ricordiamo. Segno che il generale stava battendo una pista purtroppo rimasta inesplorata. compare anche. Una pista che aveva preso avvio dalle anomale presenze in via Fani. l'appartenenza a una cosca calabrese e la successiva politicizzazione in carcere dov'era divenuto un simpatizzante delle BR. Mino scrisse su «OP» uno strano trafiletto dal titolo: «I capi delle BR risiedono in Calabria». aveva descritto il brigatista che lo aveva contattato come un giovane in crisi.del caso Viglione. e cioè Gustino De Vuono. Forse è soltanto una coincidenza. la sua cosca di appartenenza impose alla famiglia di un rapito di pagare un contributo di venti milioni. Musumeci asserì che la segnalazione proveniva dall'infiltrato "Francesco". Francesco. quando il capo dell'Ufficio Sicurezza del SISMi spedì il colonnello Guglielmi sul luogo della strage. era quel "legionario De" di cui Pecorelli aveva parlato nella sua ultima invettiva. nel periodo in cui Dalla Chiesa e Pecorelli avevano preso a frequentarsi. poliedrico soggetto criminale che aveva al suo attivo un periodo nella Legione Straniera. nelle sembianze di uno spazzino notato in via Fani nei giorni precedenti il rapimento. Non dobbiamo dimenticare che il brigatista "Francesco" spunta in quell'ultima fase del sequestro. anzi si scoprì che in seguito lo avrebbe mandato in Calabria. la seconda un mese o due dopo la sua tragica conclusione. "Vergogna buffoni". segnalate al DC Cazora dall'uomo della 'ndrangheta Rocco Varrone. molto. De Vuono era stato anche riconosciuto da alcuni testimoni. Una di queste presenze. cifra all'epoca rilevante. quando Dalla Chiesa avrebbe scoperto la vera prigione. Viglione raccontò che "Francesco" gli aveva confidato di non aver sparato in via Fani e che «quelli che avevano sparato temevano di essere riconosciuti dagli uomini della scorta e che l'intera operazione era diretta da due . nella soffiata ricevuta da Musumeci la mattina del 16 marzo. Non conosciamo il motivo. via via che affioravano. poco prima della strage di via Fani. hanno indotto nel tempo il sospetto che "Francesco" fosse in realtà proprio Gustino De Vuono e che Viglione sia stato usato da Dalla Chiesa come paravento per far emergere un pezzo di verità sulla vera regia del sequestro Moro coprendo al contempo la fonte. per concludere. molto spaventato. tuttavia è singolare che tutti gli infiltrati nelle BR si chiamassero Francesco e avessero la comune caratteristica di essere presenti in via Fani senza avere sparato. alla misteriosa Hyperion. Viglione. E questo nome. Un sospetto: dietro Viglione c'era forse Dalla Chiesa? Sappiamo che il generale difese strenuamente il giornalista dall'accusa di truffa. ma sembra volesse verificare in modo riservato alcune circostanze emerse dalle indagini sul rapimento Moro. Tutti questi elementi. Non dobbiamo dimenticare che nell'autunno 78. prima di esibire il povero Pascal Frezza. e cioè la scoperta della vera prigione mentre il presidente della DC era ancora nelle mani delle BR. Secondo tale versione lo 'ndranghetista sarebbe riparato in un paese straniero. né l'uno né l'altro». fu fortemente protetto da «altri carabinieri». si fonda naturalmente sull'assioma che la prigione Moro fosse quella di via Montalcini. in un periodo molto vicino alla strage di via Fani. almeno dal 76. che lo esclusero da ogni conseguenza giudiziaria grazie a un'informativa che garantiva la sua presenza all'estero durante il sequestro Moro. sostiene il giornalista: «Dalla Chiesa ne conserva la confessione [di Peci]. Fin dall'inizio il luogo dove Moro era stato tenuto prigioniero era considerato dunque «uno dei . avere informazioni di prima mano considerato che dal 75 non si occupava più di terrorismo? Ma devo dire che l'ipotesi che l'informatore di Dalla Chiesa fosse De Vuono non mi ha mai convinto. Ma se invece in quella strada. grazie alla lapidaria conclusione del generale: «Nulla di concreto è emerso». dopo l'evasione dal carcere. che farà calare un silenzio di due anni sul covo BR. Dalla Chiesa era dunque entrato in contatto con uno dei carcerieri di Moro durante il sequestro? Questa eventualità. Dopo l'arresto ufficiale. non può sbagliare: uno dei massimi segreti della Repubblica va tutelato. oltre che al Memoriale. in quel vecchio articolo. che porterebbe a riscrivere l'intera storia del processo. ne ha decifrato le conseguenze. nelle foto mostrate da funzionari dell'IGOS. sembra propendere per questa seconda ipotesi. dobbiamo sottolineare che l'intreccio Pecorelli-Dalla Chiesa potrebbe essere legato. ci fosse stata soltanto una base logistica delle BR. nonostante i molteplici indizi che portavano alla sua identificazione. Non era vero: alcuni inquilini avevano riconosciuto. eliminato a causa dei troppi segreti che aveva portato con sé a Palermo. datato 31 agosto. quelli del Supersismi. Di tutto questo abbiamo già parlato: ma nell'affrontare il capitolo dell'uccisione del generale. Un uomo coperto dal Supersismi difficilmente sarebbe passato di campo. né in via Gradoli né in via Montalcini. Peci disse che non era mai stato a Roma. ormai tristemente famosa. per una serie di motivi. del resto.uomini della DC e da qualcuno del Vaticano». altrimenti. un covo dove si fossero rifugiati brigatisti di altre colonne venuti a dare man forte durante il rapimento? Anche Caprara. era evidente: come avrebbe potuto. anche a questa zona oscura della regia del rapimento Moro. proprio Patrizio Peci che veniva indicato come il primo signor Altobelli della lista. ma per il ruolo che ricopriva all'interno delle BR la circostanza apparve poco credibile. coincide a livello temporale con le indagini svolte da Dalla Chiesa su via Montalcini e con quel rapporto. Che Dalla Chiesa avesse un informatore nelle Brigate Rosse. Il legionario. In nessuno dei due covi individuati. Alcune coincidenze avvalorano l'ipotesi che l'informatore fosse invece Patrizio Peci: la ripresa dei contatti da parte di Viglione con il medesimo "Francesco" nel corso dell'estate 78. c'è mai stata la prigione. Un particolare che avvalora i sospetti sul vero ruolo di "raccordo" del criminologo tra BR e altre entità. E a quanto sembra era subentrato nei suoi contatti parigini con l'Hyperion (sempre che non l'abbia preceduto!): il giorno dell'arresto era appena tornato da Parigi. fu ucciso il 3 agosto 1980 al termine di un "regolare" processo condotto dalle BR di Giovanni Senzani. Ma anche se in via Montalcini non c'era mai stata la prigione. nel gennaio '82.punendo un "infame". Meglio la gallina domani. a quanto si ipotizza. un articoletto in cui si affermava che a trasmettere l'ordine di uccidere Moro era stato Blasco. un nome di battaglia dietro il quale si nascondeva in quel periodo proprio Senzani. perché Dalla Chiesa non ha arrestato Anna Laura Braghetti nell'ottobre 78. il fratello di Patrizio. potrebbero essere stati oggetto di diverse trattative con i servizi di intelligence di vari paesi. Con la feroce esecuzione di Roberto Peci . per tutto il mese di settembre e forse anche dopo ha continuato a tenere il palazzo sotto osservazione. pur avendo firmato il rapporto conclusivo dell'indagine il 31 agosto. Roberto Peci. di uomo al di .una vendetta trasversale di stampo mafioso . registratori. a quanto sembra. mai ritrovate. In un servizio apparso su «Il Borghese» si disse anche che in quel baule c'erano le bobine girate durante l'interrogatorio Moro. Il fatto è che lui sapeva bene che in via Montalcini la prigione non c'era mai stata: era meglio archiviare l'intera vicenda per coprire un informatore che lo stava aiutando a smantellare le Brigate Rosse. Ultima appendice. Nel 79 apparve su «Metropoli». quando il criminologo fu arrestato in un appartamento di via Ugo Pesci a Roma. Se davvero è andata così. ha sempre sostenuto il generale che. dove aveva allacciato rapporti con Paul Baudet. L'esecuzione fu perfino filmata e diffusa tra i militanti per indicare quale potesse essere la pena per gli "infami".massimi segreti della Repubblica». Il film fu poi trovato in un baule. non soltanto aveva spaccato in due le BR. quando la brigatista fu libera di traslocare. Senzani voleva forse riconquistare una patente di verginità rivoluzionaria. ma aveva "recepito" i più importanti documenti del sequestro Moro che. vuoi dire che Senzani non soltanto era riuscito a sconfiggere Mario Moretti. Nei mesi successivi consentirà l'arresto di ottantacinque brigatisti: uscire allo scoperto equivaleva bruciare l'intera operazione. difficilmente Dalla Chiesa avrebbe consentito alla brigatista di fare fagotto. Credo che se in quell'appartamento a piano terra ci fossero stati pannelli insonorizzati. un funzionario del ministero degli Interni francese che si spacciava per estremista di sinistra e con quel Corrado Simioni che Franceschini descrisse così: «Mi ricorda l'Inglese del film Queimada. la rivista dell'Autonomia. nonostante le molte segnalazioni degli inquilini del palazzo? La risposta è semplice: Peci stava collaborando. cassette e quant'altro. che incita alla rivolta e poi la fa reprimere nel sangue». da qualcuno ben più importante del criminologo: «Attenzione a cosa dice il tuo "infiltrato" contro i nostri "infiltrati"». e non è mai stato indagato per il delitto Moro. ormai condivisa da parecchi: un mese prima. Dalla Chiesa scosse la testa: «Penso che ci sia qualcuno che possa aver recepito tutto questo». o . sotterfugi e depistaggi apparve chiaro. come De Vuono.sopra di ogni sospetto? E un'ipotesi. Dalla Chiesa concluse: «Dobbiamo anche pensare ai viaggi all'estero che questa gente faceva. dove sono le borse e dov'è la prima copia dei documenti Moro. L'altra è che l'omicidio Peci fosse in realtà un messaggio rivolto a Dalla Chiesa. Il vero obiettivo era uccidere Gheddafi. rispose. noi trovammo soltanto la battitura». Perché fu fatta esplodere quella bomba? Non si è mai chiarito. Pensa che siano in qualche covo? chiese Sciascia. Ma dopo vent'anni di indagini. Un rapporto sulle indagini condotte sul conto di Senzani dalla Commissione Stragi è stato inoltrato due anni fa alla Procura di Roma dal presidente Pellegrino. pochi giorni prima di morire. che. secondo una segnalazione. «Sono contento che le sia venuto questo dubbio». Una strage senza precedenti. Da Parigi. Come dopo anni di indagini. Per il SISMI era negli USA. Un'operazione top secret di cui il governo. nei cieli di Ustica era scomparso un aereo con ottantuno persone a bordo. alla luce di molte considerazioni. Moretti andava e veniva». sia le inchieste della magistratura sia quelle delle commissioni parlamentari. Lo scrittore siciliano gli chiese se davvero pensava che Moretti fosse il "cervello" delle Brigate Rosse. «In questi giorni mi è sorto un dubbio». il leader libico. In ogni caso il criminologo è oggi un uomo libero. ha scontato interamente la sua pena. naturalmente. in quelle ore sarebbe transitato con un piccolo velivolo sui cieli del Mediterraneo. ma. il 27 giugno. Le stragi di mafia degli anni Ottanta Il 2 agosto 1980 una bomba esplose alla stazione di Bologna mentre arrivava il treno proveniente da Roma: ottantasette morti e oltre duecento feriti. quando sosteneva che Moro aveva paura di rimanere ucciso durante una sparatoria tra "carabinieri": quelli che lo tenevano prigioniero e quelli che volevano liberarlo. diretto da Tripoli a Varsavia. «Mi chiedo. sono approdate a un'ipotesi non dimostrata. In una sala d'aspetto della stazione era stata lasciata una valigia con duecentocinquanta chili di tritolo. Ipotesi che ricalca lo scenario proposto da Pecorelli. ma a tutt'oggi non risulta che i magistrati abbiano riaperto il fascicolo sul criminologo del ministero di Grazia e Giustizia. la più grave mai commessa in Italia. Fu Leonardo Sciascia l'unico a cui il generale espresse i suoi dubbi sulla vera identità delle BR. durante l'audizione alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro. ancor più grave di piazza Fontana. l'aereo era stato abbattuto per errore durante "un'operazione di guerra" non ortodossa. replicò lo scrittore. oggi che sono da tempo un po' fuori dalla mischia e faccio in qualche modo l'osservatore che ha un po' di esperienza sulle spalle. all'estero. il 18 settembre. denunciata dall'alto commissario Domenico Sica e di cui è tornata a interessarsi la magistratura di Brescia. che avvalorava la pista anarco-tedesca. furono ritrovati sulla Sila assieme ai cadaveri dei due piloti. accompagnato da un'informativa del SISMI. furono inscenati mastodontici depistaggi. che ormai collaborava con i servizi segreti francesi. denominata "Terrore sui treni". dietro il quale sembra proprio si celasse la struttura operativa Stay Behind. Sergio Piccia-fuoco e Massimiliano Fachini. Fin dai giorni immediatamente successivi alla strage di Bologna. Le iniziative furono molteplici. Invece. Francesca Mambro. Un legame che affondava. neonazisti con collegamenti i più diversi. Quello che a noi interessa è che le sentenze su Bologna per la prima volta confermano la connessione tra neofascisti. ormai responsabile del misterioso Reparto 7 del SISMI. si fece il nome di Marco Affatigato. i servizi segreti si misero in moto per depistare le indagini anche su questo secondo. avvenuto nel corso dell'operazione militare più segreta e importante che fosse mai stata tentata dalla fine della seconda guerra mondiale. quasi due mesi dopo. per tentare di spostare la data dell'incidente. gravissimo attentato. E impegnato in quest'operazione troviamo ancora una volta il generale Pietro Musumeci. Attorno alla strage di Ustica. All'inizio si parlò di una bomba collocata a bordo. piduisti e uomini dei servizi segreti. forse da un terrorista di destra. un "caccia" libico. non doveva essere scoperta: bisognava camuffare l'abbattimento dell'aereo in attentato terroristico. dunque come sappiamo. Il depistaggio culminò nel gennaio '81. Un altro inquietante indizio della battaglia! Per coprirlo fu tentato di tutto: si disse perfino che un aereo militare andò a bombardare quella zona della Sila. con il ritrovamento di una valigia contenente mitra ed esplosivo sul treno Taranto-Roma. i resti di un altro aereo. . venivano citati anche Preda. come abbiamo già visto. non era stato informato. Ventura e Delle Ghiaie. Ma forse il più eclatante fu proprio la strage di Bologna: bisognava fare qualcosa. che si è concluso con la condanna all'ergastolo di quattro neofascisti: Giusva Fioravanti. complessa vicenda del processo sulla strage di Bologna. qualcosa di molto forte per distrarre l'opinione pubblica.perlomeno il Parlamento. Cosa c'era di meglio di ottantasette morti? Non staremo a ricostruire l'intera. la Procura di Bologna fu subissata di informative che segnalavano le piste più varie: anarchici. in quel groviglio di relazioni malavitose-mafiose-terroristiche che ruotavano attorno alla Banda della Magliana. La causa di quel tragico incidente. all'interno di quella strana Agenzia del Crimine. due romani e due bolognesi. I terminali del gran botto andavano cercati a Roma e proprio in quell'armeria di via Liszt che ormai conosciamo bene. tedeschi. c'era un mitra Mab con una lunga storia che riportava al centro studi reatino di Semerari e De Felice: il mitra faceva parte di uno stock. subito dopo la scoperta delle liste P2 a Villa Wanda. Il PM Sica dubitò fortemente della pista indicata dal SISMI.Ma tra le armi recuperate sul treno. A un certo punto sostenne che un legame tra Ustica e la strage di Bologna in effetti c'era. Poi la scoperta che i giornali utilizzati per avvolgere le armi ritrovate nella valigia appartenevano a Francesco Pazienza rese tutto più chiaro. Pazienza ha allora battuto un'altra strada. A quanto si . ma nel frattempo era riparato all'estero. Pazienza e Musumeci per il reato di depistaggio. Ma all'attentato di matrice libica i giudici di Bologna non hanno mai creduto: troppi elementi conducevano a una pista casalinga. inseguito da numerosi provvedimenti giudiziari. cui attribuisce le sue disgrazie. Ed è in definitiva l'ex dinamico giovanotto del Supersismi ad aver pagato il prezzo più alto: è tuttora in carcere e nel gennaio 2003. Il SISMI tentò anche di accreditare la tesi che la gestione dell'armeria era passata alla sinistra: si fece il nome di Egidio Giuliani. ha attuato un duro sciopero della fame. che era in realtà un provocatore con un passato marcatamente neonazista. l'ala del SISMI che faceva capo all'ammiraglio Fulvio Martini e al suo braccio destro Demetrio Cogliandro. La prima volta che si rese irreperibile fu nel marzo '81. Non a caso Pazienza. Una strage compiuta da terroristi neri. quando le indagini sulla Banda della Magliana portarono alla luce quella commistione mafia-terrorismo nero-servizi segreti che era all'origine della strage alla Stazione. dopo aver preso coscienza. perché erano stati proprio i libici a collocare la bomba alla stazione per vendicare il tentativo che si era consumato nei cieli di Ustica di uccidere Gheddafi. anche se aveva fornito armi e documenti falsi a un'organizzazione dell'estrema sinistra. ma inutilmente. con l'ausilio della mafia. con una serie di esposti. che lo aveva ripulito e collocato nell'armeria del ministero della Sanità. nei mesi e negli anni successivi. La Procura di Roma inviò il fascicolo a Bologna e furono emessi tre ordini di cattura nei confronti di Gelli. Ma i giudici hanno archiviato le sue denunce. evidentemente Gelli non gradiva dover rendere conto ai magistrati della sua attività in difesa dell'Italia dal pericolo comunista. Restava un dubbio: perché il servizio segreto si era tanto mobilitato per coprire quattro fascistelli? Il motivo sarà compreso meglio. in seguito alla condanna. quando la sentenza è divenuta definitiva. Anche il Venerabile finì nel calderone dell'inchiesta. ceduto anni prima dal boss della Magliana Franco Giuseppucci al neofascista Paolo Aleandri e poi finito nelle mani di Massimo Carminati. sostenendo che l'informativa trasmessa al PM Sica nell'84 era soltanto il frutto di una faida interna al controspionaggio. ha attaccato frontalmente. che per lui la partita era ormai persa. per coprire un affare internazionale. In questo attentato. Fatta questa premessa. dove tuttora vive tranquillo e in ottima salute. Nel frattempo. E Gelli. Giuseppe Saieva. a gestire direttamente un attentato terroristico siano stati proprio uomini di mafia. Guido Cercola. il 23 dicembre 1984. era imputabile soltanto per reati valutari e non per la strage di Bologna. che rivela l'ausilio tecnico di artificieri di altissimo livello. fu trattenuto fino all'11 aprile 1988 in un carcere costruito apposta per lui all'interno della Certosa di Parma. Comunque sia. che tentò di arrestarlo per il reato di procacciamento di documenti riservati. Le indagini portarono a una connection fra mafia-camorra ed estremismo neofascista: con Calò furono incriminati un camorrista. in nome di interessi superiori di cui la massoneria si faceva garante. accusato di aver fornito l'esplosivo. almeno non . la Cassazione aveva dichiarato gli imputati estradati da paesi stranieri perseguibili soltanto per quei reati riconosciuti validi nel paese di provenienza. non compaiono. se si esclude l'ordine di cattura firmato nel '98 da un magistrato romano.scoprì in seguito Gelli trascorse almeno un anno in Sud America. e un personaggio romano. Per qualche anno scomparve dalla circolazione. esplose un ordigno ad alto potenziale che provocò altri sedici morti e centotrentanove feriti. sulla base della sua estradizione. poi tornò in Europa. quando riuscì a corrompere un agente carcerario che l'aiutò a evadere. cui apparati dello Stato potevano far ricorso ogni qualvolta fosse necessario. per il quale era stato condannato definitivamente a tre anni. oltre alla leggina che rendeva facoltativo l'arresto per le persone di età superiore ai sessantacinque anni. è stato condannato a dieci anni con l'accusa di depistaggio insieme a Musumeci e Pazienza. Giuseppe Misso. in attesa di chiarire la sua posizione. Da quel momento in poi il Venerabile ha goduto di una totale impunità. ma fu di nuovo arrestato in Svizzera il 21 settembre 1987 da dove fu finalmente estradato in Italia il 17 febbraio 1988. Pasquale Abbatangelo. ricordiamo. non deve stupire che quattro anni dopo. Fu arrestato in Svizzera il 13 settembre 1982. coinvolti nella gestione di affari sporchi. Ma a volere quella strage era stato Calò. restò nel carcere di Champ Dollon fino al 10 agosto 1983. Quell'antivigilia di Natale. sul rapido Roma-Bologna gremito di gente che si spostava per le festività. un parlamentare missino. In ogni caso. il più potente e misterioso dei boss siciliani. per la quale. quello che non era stato possibile dimostrare con i delitti politico-mafiosi di Palermo appariva con tutta evidenza nello scenario della strage bolognese: attorno al mafioso Pippo Calò si era creata a Roma una "struttura di servizio". nella cui villa fu trovata una scatola con undici detonatori con comando a distanza: mancava il dodicesimo usato per il treno. Ma l'estradizione di Gelli era a prova di bomba: neppure questo reato poteva essergli contestato e dopo una breve fuga a Nizza fece ritorno a Villa Wanda. condannato poi a ventidue anni ma fuggito dall'Italia nell'88 mentre era al soggiorno obbligato. che mancava dalla scatola trovata nella villa di Cercola di Poggio Mirteto. così sembravano voler affermare nel loro messaggio. Il telecomando. la prima consistente minaccia nei confronti di quegli apparati che si stavano mostrando irriconoscenti nei confronti dei boss di Cosa Nostra (fra poco vedremo perché). e da molteplici indizi sembra essersi posto più volte obiettivi politici». Schaudinn era dunque un elemento di spicco di un'organizzazione internazionale. Socio di Schaudinn era un trafficante d'armi siciliano. non si erano tirati indietro quando si era trattato di «dare una mano» per risolvere intrighi di Stato: da Pecorelli al sequestro Moro. Friedrich Schaudinn. era diventato anche fuori dall'Italia un punto di riferimento dei "poteri forti". avevano introdotto in Italia ingenti quantitativi di armi non convenzionali ed esplosivo Semtex T4. lasciato all'interno di un vagone. nato a Zagabria. Forse per questo il boss. I mafiosi. in quegli anni. ne. cui faceva riferimento anche Pippo Calò. all'interno del quale operavano ambienti deviati dei servizi segreti e della massoneria. di produzione cecoslovacca. L'obiettivo "politico" di Calò L'ordigno. che poi ritroveremo anche nelle stragi dell'estate '93 di Roma.gli ultimi due anni. Milano e Firenze. In un rapporto della Guardia di Finanza del '92. Insomma la mafia attaccava perché si sentiva meno sicura: Andreotti .direttamente. uomini dei servizi segreti. era state fornito a Calò da un artificiere tedesco. fu fatto esplodere con un telecomando a distanza: una tecnica militare usata per la prima volta in Italia. che nelle azioni "eversive" della mafia c'era la preoccupazione di perdere le protezioni politiche di cui aveva goduto fino a quel momento. da Dalla Chiesa alla stazione di Bologna. Fu una strage voluta. ma anche della destra eversiva. scriveva il giudice istruttore Gianfranco Viglietta a conclusione dell'inchiesta sul treno di Natale «ha costituito non solo un livello di coordinamento della malavita romana. «Il gruppo ruotante attorno a Calò». a cavallo degli anni Ottanta. tolleranza dietro la quale ci sarebbero stati i buoni auspici della GIÀ e del Mossad. coinvolto in un mastodontico traffico di armi e droga da cinquanta milioni di dollari tra Israele. ma anche ben tollerati dalle autorità locali croate. Giovan Battista Licata. preparata e attuata interamente dalla mafia: era un segnale. a metà guado tra mafia e servizi segreti. Schaudinn veniva segnalato in Croazia e in Istria come uno dei punti di riferimento di trafficanti che. Un filo collega dunque le stragi di mafia degli anni Ottanta e quelle degli anni Novanta. Qual era il piano di Calò? Scriveva Sciascia. Italia e Croazia: sia l'artificiere tedesco che il trafficante siciliano risultarono legati a gruppi paramilitari fascisti Usta-scia. Ma è proprio sull'individuazione di questi obiettivi politici autonomi di Cosa Nostra che per anni ci si è interrogati inutilmente. quell'infame? Lo aveva battezzato lui. tra cui il conte Vittorio Guglielmi Lante della Rovere. Il 24 marzo 1983 era stato arrestato in Brasile Tommaso Buscetta. in Brasile. che lo avrebbe separato per sempre dalla sua amata Cristina. la giovanissima moglie brasiliana. pochi giorni dopo l'arresto in . il primogenito: come aveva potuto fare una cosa del genere. Buscetta decise che sarebbe vissuto. Contro Buscetta Un passo indietro: torniamo al movente della strage di Natale. La strage di Natale fu soprattutto un messaggio ricattatorio nei confronti di ambienti che mostravano di non essere in grado di garantire i "patti". almeno nei confronti di quanti avevano contribuito a risolvere qualche problema di Stato. l'infame Calò. Sarà una faida cruenta che si risolverà con la morte o l'arresto di tutti gli appartenenti alla gloriosa banda. il suo pupillo. e dall'ultimo figlio appena nato. gli furono vicini. era il suo figlioccio. appena tre mesi dopo la strage. Gli arresti provocarono un terremoto all'interno dei clan romani: si aggravò la frattura con i mafiosi che si era aperta con l'omicidio Balducci. Dirà Maurizio Abbatino: «Ci sentivamo coinvolti nei regolamenti di conti tra mafiosi. I testaccini con il loro comportamento avevano utilizzato la banda ai propri fini. aveva tentato due volte il suicidio. gli dimostrarono umanità. ma con lui finirono in carcere numerosi boss e alcuni vip dell'aristocrazia romana. lo aveva tradito: gli aveva ucciso due figli e il fratello. Mafioso era nato e mafioso sarebbe morto.non era più disponibile come un tempo. come poteva essere stato tanto feroce? Cos'era accaduto dentro «alla Cosa Nostra». La prima foto che abbiamo di Buscetta lo ritrae al suo arrivo a Roma. nella polizia. Pippo Calò. lo aveva cresciuto lui. scrivono i giudici d'appello di Palermo. ma da altri uomini di Stato . E dopo l'arresto. ma con un unico scopo: distruggere Cosa Nostra. avvenuto il 24 ottobre 1983. Non solo Calò sarà arrestato nel marzo dell'85. visto che non gli era riuscito di morire. Quali patti? Primo fra tutti l'impunità. che Masino considerava una sua creatura. ma la dovevano pagare tutti: soprattutto la doveva pagare lui. Un ricatto che verrà respinto non da coloro cui era diretto. si tagliò le vene: tutto inutile. Ingoiò barbiturici. nell'intelligence. come veniva chiamato in codice per la sua lunga permanenza oltreoceano. Nel carcere sudamericano "il boss dei Due Mondi". Ma a farlo disperare era soprattutto la morte di Antonio.che operavano nella magistratura. Lo salvarono i poliziotti italiani che erano andati a prelevarlo. come la chiamava Masino? Cosa aveva trasformato gli uomini d'onore in belve feroci? Il tradimento di Calò lo aveva portato a invocare la morte. adottammo la decisione di eliminarli non appena se ne fosse presentata l'opportunità».che in quello stesso periodo erano intervenuti per smantellare il nucleo dei servizi segreti più compromesso. davvero non voleva più vivere. conquistarne la fiducia. Masino a Porta Termini. ma bisognava rispettare i suoi tempi. senza che nulla trapelasse all'esterno della Procura. all'aeroporto di Ciampino. un codice. ci capivamo senza parlare. un linguaggio. nel novembre 1983.]. Era intuito. il suo viso da indio è gonfio. in un quartiere popolare di Palermo. ci ha fornito informazioni sulla struttura. Un'epopea durata vent'anni e che ha avuto forse il suo apice con la condanna di Andreotti nel bunker di Capanne. di quel braccio di ferro tra mafia e Stato che ha portato a grandi vittorie e ad altrettante sconfitte. sulle funzioni di Cosa Nostra nella società siciliana. Al suo fianco c'è il giovanissimo Antonio Manganelli. . con tono spocchioso mi rinfacciano «il teorema Buscetta» o il «teorema Falcone». allora funzionario della Criminalpol. Forse altri pentiti ci hanno fornito notizie più importanti. È stato per noi come un professore di lingua straniera. Ma soprattutto ci ha dato una chiave di lettura essenziale. Quel flash scattato per caso da un fotografo fece il giro del mondo: era l'inizio di una grande avventura. onestà e voglia di lavorare. Racconterà Falcone: Prima di lui non avevamo che un'idea superficiale del fenomeno mafioso. fece nomi e cognomi. Erano nati a poche centinaia di metri. mentre scende dall'aereo avvolto in una coperta: è un uomo distrutto. che sostengono di occuparsi di mafia e non hanno mai letto un verbale di Buscetta. sulle regole di reclutamento. all'arresto in massa di quattrocento mafiosi ma anche alla morte di Falcone e Borsellino. non ce la fa a stare in piedi. Ma parlavano la stessa lingua. Alcuni miei colleghi. alle spalle della stazione: Giovanni in uno dei palazzi borghesi primo Novecento di piazza della Magione. ci ha insegnato a parlare con i turchi passando dai gesti alla parola. Dirà di lui dopo la morte: «Era il mio faro. disegnò il vertice di Cosa Nostra. dove nessuno si era voluto avventurare [.. una zona popolare. Fu proprio Falcone il primo giudice che Buscetta incontrò a Palermo. gli stessi silenzi. in cambio di una protezione che il governo italiano in quel momento non poteva garantire a nessuno. E Buscetta parlò: per mesi e mesi. Con Buscetta ci siamo accostati all'orlo del precipizio. Io godevo a parlare con lui». fornì la prima mappa della più potente organizzazione criminale del mondo. Il magistrato intuì che quell'uomo distrutto era disposto a parlare. come sappiamo. soltanto di rispondere alle domande su mafia e politica «perché i tempi non erano maturi».Brasile. conoscevano gli stessi gesti. che per loro è la stessa cosa. Per indurlo a collaborare Falcone fece una sorta di accordo personale con gli USA: promise la collaborazione di Buscetta con l'fbi. e anche certi poliziotti. Nell'84 rifiuterà.oggi vicecapo della Polizia. ma solo lui ci ha insegnato 0 metodo per valutare quelle notizie.. Anche Masino era entusiasta dei colloqui con il "suo" giudice. intelligenza. Con lui abbiamo cominciato a guardarci dentro. per questo. al caveau dove disarmarono altri due agenti e senza sparare un colpo portarono via denaro liquido. a essere ancora vivo. di dare una risposta "forte". se Buscetta parlava voleva dire che qualcuno glielo aveva consentito: non restava che ricorrere alle bombe. che aveva le chiavi. Quattro uomini. quando ormai i suoi amici a Palermo erano finiti in carcere. finalmente faccia a faccia. in quel terribile scorcio degli anni Ottanta. Poi uno restò nell'abitazione per tenere a bada i familiari.62. come quello del figlio di Arturo Cassina. Ma la sua sconfitta era dietro l'angolo: Masino gli aveva preparato la trappola. Sei tu che hai attirato in un tranello i miei figli!». con il volto travisato. destinata a sparigliare per sempre le carte del gioco tra Stato e mafia. I ricatti della Magliana La sera del 23 marzo 1984 fu messo a segno il colpo del secolo. all'ergastolo per la strage di Natale. gli altri tre condussero la guardia giurata. è ancora un detenuto sottoposto al carcere duro. che aveva gestito per conto dei corleonesi i sequestri di persona. Due anni dopo. alla nascita della straordinaria "amicizia" tra un giudice e un boss. L'hai scannato con le tue mani.Poi le cose sono andate come sappiamo. Non fu una rapina qualsiasi: sul bancone gli ignoti lasciarono una serie di oggetti che stavano simbolicamente a rappresentare il vero significato dell'impresa. Ormai nella sua mentalità di spione. povero ragazzo. a ventiquattro per traffico di armi e droga. La bomba Energa era dello stesso tipo usato durante l'agguato al colonnello Antonio Varisco e proveniva dalla solita armeria di via Liszt. oro e preziosi per una cifra astronomica. La prima cosa che fece Buscetta fu accusare Calò dei delitti più infami: disse che era un boss sanguinario e senza scrupoli. sette piccole catene e sette chiavi. sette proiettili calibro 7. Una granata Energa. traveller's cheque. Calò non uscirà più dal carcere: condannato a ventitré anni per associazione mafiosa. regolato dal cosiddetto 41 bis. Ma all'inizio. che era stato capace di uccidere un uomo perché si era presentato tardi a un appuntamento. Negli ultimi anni si è fatto promotore di un cauto progetto di "dissociazione" dalla mafia. per capire cosa è accaduto dentro Cosa Nostra bisogna ritornare a quest'incontro. ha mandato una lettera per annunciare che non fa più parte di Cosa Nostra. nell'astronave verde".. che fu stimata intorno ai trentacinque miliardi. Le sette chiavi e le sette catene furono lette come un chiaro riferimento al falso Comunicato numero 7 sul Lago della . l'hai ucciso tu. lo condussero a casa. di fare il terrorista. Franco Parsi. l'aula bunker dell'Ucciardone dove si svolgeva il Maxiprocesso. Non deve stupire che l'anno successivo. lo tennero in ostaggio fino all'alba della mattina successiva insieme alla moglie e ai figli. Calò abbia deciso di scendere in campo. Ma continua a tacere e forse. Buscetta gli griderà il suo furore: «Te lo ricordi Giannuzzi Lallicata.. un deposito che faceva capo a una catena bancaria privata di Michele Sindona. prelevarono verso l'ora di chiusura una delle guardie giurate. Una rapina da trentacinque miliardi alla Brink's Securmark. specializzato nei falsi De Chirico. era proprio Chichiarelli. Forse era . identiche a quelle fatte ritrovare nel borsello sul taxi da Toni Chichiarelli una ventina di giorni dopo l'omicidio. durante la perquisizione aiutò la polizia nel repulisti: furono trovati anche documenti che sembravano provenire dalle Brigate Rosse. scattata con la Polaroid nel Carcere del Popolo. il cui significato era gravissimo: un uomo legato alla malavita romana e ai servizi segreti era entrato nella prigione Moro. sullo stile delle BR. che rimase gravemente ferita. informatore dei servizi segreti e dei carabinieri. quanto alla rapina però «gli sarebbe stata commissionata da un membro della P2. L'avvocato Pino De Gori. Il suo commercialista Osvaldo Lai mi raccontò che negli ultimi tempi Toni gli aveva confidato di essere entrato a far parte delle Brigate Rosse. era una ricompensa per il volantino del Lago della Duchessa. compiute nei mesi successivi. che proseguirono anche nei giorni successivi: furono fatti ritrovare nei cestini dei rifiuti. Un suo "amico". E comunque c'erano nelle mani degli investigatori quei due frammenti autentici di foto. legato a Flaminio Piccoli (che in quel periodo frequentava intensamente Pazienza). che poi riferirà al magistrato: «Toni era un pazzo di destra. scomparirono. che stavano a indicare lo stretto collegamento tra il delitto Moro e quello del giornalista. I sette proiettili calibro 7. era tornato alla carica con un'inesauribile gamma di ricatti. Luciano Dal Bello. mentre era vivo. che però non c'entrava niente in tutta questa storia. Furono riesaminati tutti i documenti trovati nel borsello cinque anni prima.Duchessa.62 riportano all'omicidio Pecorelli. a quanto si scoprirà. La moglie Chiara Zossolo non seppe dare una spiegazione: Toni era andato qualche mese prima in Sicilia per il matrimonio di un amico carabiniere. E in effetti uno degli autori del colpo. una ragazza di ventiquattro anni. con il filmato della rapina alla Brink's. alle sedi della Brink's Securmark di Parigi e Londra fanno pensare a un piano che va più in là della corruzione di qualche agente di custodia. altri a quanto sembra. fece un'altra sorprendente dichiarazione: «È stato il Mossad ad autorizzare la rapina. Nel corso di una perquisizione nell'attico dove la coppia viveva. frammenti autentici di volantini BR e perfino due frammenti di una foto di Moro. all'interno di una cassaforte. poi però l'hanno fatto fuori». Il falsario della Banda della Magliana. E in effetti altre due rapine. e la figlia di tre anni. altrettanto gravida di significati. A chi erano indirizzati quei messaggi e da chi realmente provenivano? Molte risposte a questi interrogativi verranno dopo la morte. se l'è andata a cercare». di Toni il Falsario. Il 26 settembre 1984 Chichiarelli fu ucciso in macchina: con lui c'era la giovane compagna. fu trovata una bobina. e c'erano anche le cinque schede. legato a Michele Sindona». Commenterà Dal Bello con un agente. e l'attenzione si appuntò su un biglietto del traghetto Reggio-Messina. etichettata «B-OK». E in Calabria si sarebbero recati sia il PM Infelisi. non capiva cosa volesse e aveva pregato il marito di non frequentarlo. ma il traffico di quadri De Chirico. Toni ad esempio era in contatto con l'impresario Ezio Radaelli. Sappiamo però che Franca Mangiavacca ritiene di aver visto Chichiarelli. Era allora Toni la fonte "molto vicina" alle Brigate Rosse che gli aveva fornito tante informazioni sul Carcere del Popolo? Questa del falsario delle BR è forse la storia più strana.che aveva messo nei guai anche Franco Evangelisti. il giorno prima dell'omicidio. non riguardava gli "Assegni del Presidente". Carabinieri. non meritava di morire». La Zossolo diffidava di Dal Bello e raccontò che aveva visto il marito in compagnia di una persona che parlava molte lingue straniere. La moglie di Chichiarelli sosteneva che Toni non aveva certo fatto tutto da solo. Ricordiamo che l'argomento di conversazione con Pecorelli alla "Famija Piemunteisa". confermò al giudice istruttore che era stato Toni a fotografare Aldo Moro con la Polaroid. il "faccendiere" della Magliana. Dall'agenda di Pecorelli risultano incontri frequenti con Radaelli. gli aveva anche promesso di mostrargli le foto e alcuni documenti. gestita da Calò. Calabria. era stato una volta in Calabria e l'altra a Catania. le era sembrato un personaggio pericoloso. evidentemente legato ai servizi segreti e alla Banda della Magliana. Quale ruolo ha avuto la 'ndrangheta nel sequestro Moro? Un interrogativo che si poneva anche Pecorelli quando scriveva su «OP»: «I capi delle BR risiedono in Calabria». sullo sfondo del sequestro Moro. Un estremista di destra. Di Pecorelli una volta Toni le aveva detto: «Era una brava persona. negli ultimi mesi di vita. sia Viglione per conto di Dalla Chiesa: una pista come altre rimasta inesplorata. due giorni dopo la morte di Moro. . L'idea della rapina alla Securmark dicono sia stata sua. Ma gli inquirenti non esclusero che il giornalista potesse averlo conosciuto e anche il commercialista Lai sostenne che si frequentavano. ma in realtà poteva far parte di una partita molto complessa di ricatti e ricompense. Un suo amico. Anche la storia del falso comunicato della Duchessa non poteva essere un'idea sua: lo aveva visto scrivere a macchina copiando da un blocchetto di appunti.e conosceva sia Mino che Chichiarelli. anche in compagnia di altre persone. poi sostenne di averli distrutti. più torbida dell'intera vicenda. sotto la redazione in via Tacito. Insomma siamo all'interno di un giro molto stretto: Radaelli era amico di Evangelisti.un messaggio: Sicilia. secondo la difesa di Andreotti. che gestiva una nota galleria d'arte ed era stato coinvolto in un commercio di falsi De Chirico (erano di Chichiarelli?). Anche Morucci e Faranda fecero un viaggio in Sicilia prima del 78. Gaetano Miceli. ma anche di Flavio Carboni. subito prima e subito dopo aver affittato l'appartamento di via Gradoli. Cosa voleva dire? I dissociati racconteranno che Moretti. aveva avuto contatti diretti con i carcerieri di Moro. Ancora la Calabria. anche in ampi settori della sinistra. Da De Mita a Craxi Ma davvero la corrente siciliana è stato il perno attorno al quale è ruotata l'ascesa politica di Andreotti? Il senatore lo nega. Un documento. colluso o partecipe che fosse. L'epiteto "capocorrente". Insomma. In ogni caso. Il Capocorrente Una delle accuse più pesanti che la magistratura di Palermo ha rivolto ad Andreotti in questi anni è che avrebbe accettato l'appoggio elettorale di uomini legati alla mafia per accrescere il suo potere personale e quello della propria corrente. Se all'inizio degli anni Settanta l'aver costituito una corrente personale gli aveva consentito di diventare per la prima volta presidente del Consiglio. Toni mostrava di sapere che il documento recuperato dopo la morte del giornalista era incompleto: «Purtroppo sprovvisto dei paragrafi 162. ma direttamente partecipe delle sue finalità eversive e delle sue decisioni criminali. in altri paesi occidentali. come Pecorelli confidò a un amico pochi giorni prima di morire. finito nelle mani di Mino. ma ebbe come conseguenza la trasformazione del capo d'imputazione. si disse. 177». che era sintomo dell'imbarbarimento della nostra giustizia. come aveva scritto nelle false schede BR trovate nel famoso borsello. Nella scheda su Pecorelli. fu nel periodo successivo all'omicidio di Dalla Chiesa che l'apporto risultò decisivo: in quegli anni la DC perdeva consensi elettorali. era legata a Nunzio La Mattina. 168. appreso che il capo di imputazione era stato modificato. Lo stesso Giovanni Pellegrino (DS). forse a dare l'autorizzazione ci avremmo pensato di più». al suo interno si rafforzava il "correntone" di De Mita. che nel '93 era a capo della Giunta delle Autorizzazioni a Procedere del Senato. da concorso esterno a partecipazione nel reato di associazione mafiosa: Andreotti non sarebbe colluso con la mafia. s'infuriò: «Se avessimo saputo che sarebbe stato contestato ad Andreotti il 416 bis. Una motivazione che. Disporre di una ciambella di salvataggio del 18 per . che era con lui la mattina in cui l'hanno ucciso. non era soltanto dispregiativo. Tutto ruota attorno al Memoriale Moro. 174. il trauma di avere un sette volte presidente del Consiglio indicato come mafioso agli occhi dell'opinione pubblica mondiale provocò malumori ovunque. all'esterno cresceva già l'astro Craxi. a suo tempo. Mentre qualcun altro a tutti i costi voleva impedirglielo. anche se alla fine sono in molti a pensare che il teorema dei magistrati non sia del tutto infondato. luogotenente di Calò. che qualcuno voleva che pubblicasse a tutti i costi. i politologi sono divisi. che è ricorso spesso nella requisitoria della pubblica accusa. provocò scalpore e furenti polemiche: nessuno sembrava ricordare che nella Procura di Palermo prevalse questa scelta quando altrettanto furiose erano le polemiche sul reato di concorso esterno: una tipologia di reato inesistente. il suo ruolo di ago della bilancia all'interno della DC e della vita nazionale lo avrebbe assunto grazie all'alleanza con Salvo Lima.Toni conosceva infatti il boss siciliano: la sorella della sua compagna. Il suo scudiero Ciarrapico. Calvi era stato trovato impiccato sotto il ponte dei Black Friars. neppure in altre parti d'Italia. Non era stato un anno tranquillo. il prezzo pagato per le sue "relazioni sicule" fu alto soprattutto dopo che la componente siciliana aveva riaccolto nelle proprie file. Fu lo stesso faccendiere del SISMI Francesco Pazienza. non era soltanto la famiglia Dalla Chiesa a provare risentimento verso Andreotti. I siciliani pesavano come non mai. per quanto in modo non organico. Anche se. L'aggressività dei toni. grazie al fallimento dell'Ambrosiano. riemerse di recente. 1999). preziosa per le sue miracolose proprietà diuretiche. andava letta come una replica alle accuse che Nando Dalla Chiesa gli aveva mosso in alcune interviste. disse che era stato minacciato di morte perché il presidente era legato a una fazione del Vaticano che si opponeva al salvataggio dell'Ambrosiano voluta dall'Opus Dei». nel periodo successivo all'omicidio Dalla Chiesa. inconsueta in Andreotti. visto che la località termale era una roccaforte strategica del feudo elettorale andreottiano. Respingiamo il falso moralismo di chi ha la bava alla bocca mentre voi aumentate i consensi». a dare una spiegazione alle inconsuete accuse della vedova in un suo libro di memorie ( disobbediente. Nella sala del Don Orione. l'82. Andreotti era molto soddisfatto perché la battaglia si era risolta a favore di monsignor Agostino Casaroli. che come sappiamo aveva seguito Calvi nel suo peregrinare a caccia di protezioni nei mesi precedenti la morte. fecero ottimi profitti. Andreotti replicò con durezza all'accusa: «Dalla Chiesa era uno dei tanti servitori dello Stato caduto nell'adempimento dei propri doveri. condizionarono scelte di governo. Se foste deboli nessuno se ne curerebbe. lo sappiamo. in cui ribadisce quanto aveva già raccontato ai magistrati: La vicenda dell'Ambrosiano finì per diventare uno strumento di potere in mano a persone e gruppi che attorno al crack strinsero alleanze. Vito Ciancimino. Ma alcune vicende. nelle quali affermava che i mandanti dell'omicidio di suo padre andavano cercati nella DC e soprattutto nella corrente andreottiana. Andreotti affrontò l'assemblea DC con un discorso memorabile: «Voi democristiani siciliani siete forti e per questo dicono male di voi. e il 29 ottobre.cento consentì ad Andreotti di restare alla guida del ministero degli Esteri per quasi sette anni e di condizionare fortemente le scelte della DC. hanno finito per interessare anche il processo . e perciò non monopolizzabile da nessuno». anche la vedova del banchiere non faceva che rilasciare dichiarazioni furenti: «Mio marito aveva paura di Andreotti. Il 18 luglio. in termini di immagine. nella sua prima apparizione pubblica a Palermo dopo la strage di via Carini. aveva messo le mani sull'Acqua Fiuggi. ma anche per l'ottimo business che ne derivava. Il crack dell'Ambrosiano e la morte di Calvi sono attualmente oggetto di una nuova inchiesta giudiziaria. Il partito si avviava verso una nuova primavera "correntizia": la novità fu sancita dalla nascita del "grande centro" nel quale confluiscono Forlani. non lo poteva prevedere. Nell'84 un'altra tegola per Andreotti. L'ex pupillo di De Gasperi era stato accolto alla Festa nazionale dell'Unità come un trionfatore. fino al famoso CAF (dalle iniziali dei tre animatori: Craxi. Se Andreotti in quel difficile frangente si salvò. dello IOR Vaticano. Vincenzo Calcara. ma soprattutto i segnali poco' rassicuranti che arrivavano dalla terra di Sicilia avrebbero messo in crisi qualsiasi leader politico. quando un ciclone spazzerà via la Prima Repubblica. Donat Cattin e la corrente del Golfo (Gava e Scotti) fino a sfiorare il 50 per . più giovani e aggressivi. secondo l'accusa Albano lo avrebbe consegnato per conto del senatore. palermitano residente a Roma. Intanto procedeva nella manovra di avvicinamento a Craxi. amico e sostenitore di Sindona dal 74».Andreotti. Il relatore di minoranza della Commissione P2. La comparsa sullo scenario politico di personaggi nuovi. della Banca d'Italia. Il notaio Albano è un personaggio di rilievo nella geografia delle accuse mosse ad Andreotti. che forse riuscì a superare i peggiori ostacoli restando fedele a se stesso in un mondo che andava rapidamente cambiando. Ma questo Andreotti. che li avrebbe persi in speculazioni sbagliate. ma perché sarebbe stato proprio lui a consegnare il famoso vassoio d'argento alla figlia di Nino Salvo andata sposa al medico Gaetano Sangiorgi: secondo la difesa si trattò di un regalo del notaio. Ma il maggior responsabile era proprio lui: «Il grande imputato è Giulio Andreotti. della Banca di Roma e da appendici della P2». Più tardi. Zamberletti. Fanfani. Andreotti perse centomila preferenze). motivo per il quale è stato ucciso». Invece nulla sembrava scalfirlo: la sua corrente andava irrobustendosi. Un pentito. lo deve all'astensione del PCI che gradiva la sua politica estera. «avrebbe riciclato i miliardi di Cosa Nostra affidandoli al presidente dell'Ambrosiano. che si trasformerà in un'alleanza strategica nella seconda metà degli anni Ottanta. Andreotti e Forlani).affermò che Sindona aveva «potuto contare su una banda costituita da settori della DC. come Craxi. la progressiva perdita di consensi elettorali (nell'83 la DC scese al minimo storico del 32 per cento. L'affare Sindona approda alle Camere e i radicali partono all'attacco chiedendo le dimissioni del ministro degli Esteri. anche per le collaudate capacità politiche del sempiterno Giulio. al XVIII congresso della DC del 1989. in quel momento. proprio all'inizio degli anni Novanta. per via di alcune dichiarazioni a favore dei palestinesi. ha raccontato che il notaio Antonio Albano. Gli anni Ottanta furono comunque un difficile banco di prova. Massimo Teodori. il ruolo di Andreotti fu decisivo per liquidare De Mita e la sua concezione "monocratica" di segretario DC. non soltanto perché era il notaio personale del senatore e al tempo stesso del boss Luciano Liggio e di Frank Coppola. che gli consentirà di tornare alla guida del governo. «noto agli organi di polizia che lo avevano più volte denunciato per i suoi rapporti con esponenti mafiosi. La risposta del pool antimafia Ma.nel luglio '91 al Palagranata di Trapani. Il passato con i suoi grandi scandali inseguiva il senatore. A ingrossare le file della sua corrente aveva contribuito l'operazione Fiuggi. All'interno di questo gruppo cominciò a emergere la forte personalità di un sostituto procuratore arrivato da Trapani. reso possibile dall'arrivo da Firenze del nuovo consigliere istruttore Antonino Caponnetto. fu ucciso a Palermo Rocco Chinnici. Il 4 agosto 1983 come sappiamo. Andreotti ripetè. nell'84 Sindona fu estradato in Italia. erano già presenti in nuce i germi che stavano erodendo le radici del potere andreottiano. manifestava una aggressività prima sconosciuta.alla chiusura della campagna elettorale di Giuseppe Giammarinaro. in senso inverso. Era Giovanni Falcone che. Una mafia che. non più fatto di silenzi. Ma era soprattutto la Sicilia a non dare tregua. garantendo un'amplissima maggioranza che affonderà De Mita. che stigmatizza la partecipazione di Andreotti . E nacque anche il pool antimafia. peraltro. con l'ingresso ufficiale di Ciarrapico. uomo estraneo ai condizionamenti e alle compromissioni della società palermitana. di omertà. come scrivono i magistrati. che era consapevole dei suoi rapporti con i cugini Salvo». L'arresto di Buscetta in Brasile fu la grande occasione per imprimere alle indagini un salto qualitativo fino a quel momento inimmaginabile: stava nascendo un mondo nuovo. già largamente attiva negli anni Ottanta. di logge coperte dove venivano sanciti patti di cui nessuno sarebbe venuto a sapere.cento. e fortissima si fece la tensione all'interno del tribunale di Palermo. Falcone andò a lavorare nel suo ufficio. candidato all'Assemblea Regionale. proprio con Chinnici. aveva avviato la prima grande inchiesta sul traffico di droga e sulle centrali di riciclaggio. una famiglia mafiosa appartenente alla nuova oligarchia corleonese. sospeso dalla direzione provinciale della DC. Questi omicidi accrebbero l'attenzione sul fenomeno mafioso e sul suo retroterra politico. a giudicare con il senno di poi. De Mita poteva contare sul 32 per cento: quel 18 per cento della corrente andreottiana fu ancora una volta decisivo. che stava indagando sulle relazioni politiche e imprenditoriali dei Minore. dove cominciò a prendere corpo il progetto di un gruppo di giovani magistrati che ritenevano finito il periodo dell'acquiescenza e del silenzio nei confronti della mafia. è dedicato un capitolo del processo di Palermo. Giammarinaro. alla presenza di 2500 persone . Proprio alla "corrente andreottiana" di Trapani. Il 29 settembre '84 la Procura di Palermo firmò 366 ordini di cattura. Un personaggio. basati sulle accuse di Buscetta: . Nel gennaio '83 era stato ucciso a Trapani il giudice Ciaccio Montalto. Nell'82 Gelli fu arrestato in Svizzera. l'operazione che aveva portato a termine nell'82. Dalla "guerra di mafia" dell'80-'81. Proprio in quei giorni era stato estradato Sindona dagli USA. capitali sporchi e tangenti ai politici. con il quale il presidente del Consiglio aveva chiesto e ottenuto l'apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato che aveva aperto un'inchiesta. Piero Patti e Giovanni Carbone. Pochi giorni dopo. su un traffico di armi e droga. per vendette legate ad appalti. e il mese successivo Caponnetto ratificherà altri 128 ordini di custodia cautelare. mentre rientrava a casa dall'ufficio. Tra febbraio e marzo '85 furono assassinati. Ferdinando Mach di Palmestein. i boss avvertivano che era cambiato il vento e che stavano cadendo le protezioni di cui avevano fino a quel momento goduto. furono prelevati e condotti in carcere. alla domanda sul perché i corleonesi non abbiano ucciso durante la guerra di mafia Lima e i . un altro magistrato di stanza a Trapani. la vendetta di Calò si abbattè sulle quindici vittime del "treno di Natale". il 23 dicembre. la mattanza proseguì con la "guerra della mafia" contro imprenditori. gli uomini più potenti della Sicilia. Il giudice era stato appena trasferito in Sicilia da Trento.fu arrestato anche Vito Ciancimino. di cui Falcone era il cervello e la Mobile di Palermo il braccio. nel quale risultava coinvolto anche il suo stretto collaboratore. azionata a distanza con la stessa tecnica usata da Calò nella strage di Natale. l'8 agosto fu assassinato il commissario Ninni Cassarà. tre imprenditori. Due omicidi che colpivano il cuore investigativo del pool antimafia. Un evento che segnava la fine di un'era e che naturalmente accrebbe l'attenzione sulla corrente andreottiana di cui i cugini erano considerati i grandi elettori. dove alla voce Giulio corrispondeva un numero riservato dell'allora ministro degli Esteri. in seguito a un esposto di Craxi al Consiglio superiore della Magistratura. Il 12 novembre anche Nino e Ignazio Salvo. da Giovanni Brusca a Nino Giuffrè. tesa a ridisegnare il nuovo gotha di Cosa Nostra. Dopo la strage di Pizzolungo. Roberto Parisi. Totuccio Contorno. Il 26 ottobre cominciò a collaborare un nuovo pentito. Ma l'obiettivo era Carlo Palermo. Non si può escludere che Cosa Nostra fosse intervenuta per ristabilire un'alleanza con gli antichi protettori: le indagini condotte dalla Mobile stavano portando alla luce compromissioni e complicità ad alto livello. uccise sull'autostrada all'altezza di Pizzolungo una donna e due bambini. Il 2 aprile una bomba. La guerra ''della" mafia La risposta di Cosa Nostra si fece ancora più cruenta e i suoi delitti assunsero una valenza "eversiva" proprio perché. Nel processo palermitano ad Andreotti si è parlato di un'agenda trovata in possesso di Ignazio Salvo al momento dell'arresto. magistrati e poliziotti. la mafia alzò ancora il tiro: a Porticello. la prima di quel genere. insieme all'agente Roberto Antiochia. I nuovi pentiti di mafia degli anni Novanta. dieci giorni dopo. il 28 luglio 1985 fu ucciso il commissario della Mobile Beppe Montana. come diceva Sciascia. i rapporti fra Italia e USA non degenerarono. sono state lette e rilette attraverso la lente del sospetto. Gli americani chiesero il rilascio di Abbas. perfino di semplice conoscenza. ma di un delitto mirato per quanto misterioso. negando non solo di essere a conoscenza del coinvolgimento di Lima con ambienti mafiosi. Craxi mostrò i muscoli. hanno risposto in modo univoco: «Era un tramite troppo importante per le questioni di Cosa Nostra che andavano risolte a Roma. con gli esattori siciliani. fu fatto atterrare alla base militare USA di Sigonella. e l'uccisione di un passeggero ebreo di nazionalità americana. ci fu addirittura un duro confronto tra carabinieri italiani e militari statunitensi. considerato un terrorista da americani e israeliani. neppure quelli che lo hanno assolto. Ma sarà necessario un quarto giudizio. i sospetti si sono alla fine concentrati su un alto funzionario della Polizia di Stato. tuttavia sembra che non si sia trattato di un incidente. Il leader del commando palestinese Abu Abbas. Leon Klinghoffer. cui gli americani stavano dando la caccia. quella dei veleni di Palermo. Per quel che riguarda la Mobile di Palermo. ma anche di ogni rapporto. furono all'origine di una frattura politico-diplomatica tra Italia e Stati Uniti che portò il governo Craxi sull'orlo della crisi. che viveva su una sedia a rotelle. Non si capì mai perché la furia dei palestinesi si accanì contro un uomo handicappato. era stato autorizzato a lasciare l'Italia a bordo di un aereo egiziano che.cugini Salvo. condannato in primo grado. Tuttavia i giudici non gli hanno creduto. per un momento sembrò che l'amicizia tra Italia e USA stesse per precipitare. Un'accusa che il senatore ha costantemente respinto. assolto in appello. arrestato a Natale del '92. i corleonesi non avevano gli agganci politici di Stefano Bontate. basti pensare che il palestinese Abu Abbas. Bruno Contrada. Per anni tutte le crudeli vicende. il sequestro della nave Achille Lauro da parte di un commando palestinese. è stato arrestato e consegnato a militari degli Stati Uniti dal governo siriano proprio nei giorni in cui sto ultimando il mio libro e cioè diciotto anni dopo Sigonella. che appartenevano allo schieramento contrario. come sappiamo. perché la Cassazione di recente ha annullato la sentenza chiedendo nuovi accertamenti. Per capire la portata dell'evento e il malumore che provocò in ambienti statunitensi l'episodio. in seguito alle pressioni provenienti da oltreoceano. speravano perciò di utilizzare Lima e i Salvo per arrivare ad Andreotti». che hanno anticipato gli omicidi di servitori dello Stato. l'incubo della talpa ha attanagliato la vita degli uffici giudiziari e investigativi. Sigonella Nell'ottobre '85. ma il decisionismo craxiano ebbe la meglio: Abbas ripartì con l'aereo egiziano. L'uccisione di Beppe Montana e Ninni Cassarà era destinata ad aprire una triste stagione. Insomma. Abbas sperava di trovare rifugio in Siria: anche in un diverso contesto . Costretto a fuggire da Baghdad dopo la caduta di Saddam Hussein. destinata a culminare nel '92-'93 con la loro liquidazione dalla scena politica. e i successivi avvenimenti. a partire dalla caduta del Muro di Berlino. citato nel processo di Palermo. ma Andreotti si schierò con Craxi. fino a paragonare i combattenti palestinesi ai garibaldini. disposti a salvarlo dagli scandali ma non fino al punto di eleggerlo capo dello Stato.politico e in presenza di una crisi bellica. va detto che in quel momento Andreotti era convinto che una crisi di governo avrebbe portato a elezioni anticipate. L'operazione non era andata in porto. sostenendo che faceva ricorso ai franchi tiratori per mettere in crisi il governo. se voleva riuscirci in futuro. che molti respingono perché attribuirebbe a un'ipotetica congiura internazionale la messa sotto accusa di Craxi e Andreotti. elezioni che la DC rischiava di perdere. Il 20 marzo a Vogherà "si suicidò" Sindona e anche le alleanze politiche cominciarono a traballare. i cui momenti più difficili riguardarono proprio i suoi rapporti con Dalla Chiesa. c'è chi ha individuato l'inizio dell'ostilità americana nei confronti di Craxi e Andreotti. A giugno il governo fu messo in minoranza su un provvedimento finanziario: Claudio Martelli. La conseguenza dell'episodio dell'85 fu che De Mita e Spadolini chiesero le dimissioni del governo. ospitare il leader palestinese sarebbe stato considerato ancor oggi dagli USA un atto di inimicizia troppo grave. Andreotti si era perciò reso conto che. avrebbero ancor più convinto gli alleati della necessità di favorire la nascita di nuove forze politiche. Il 27 febbraio 1986 al Maxiprocesso. lanciò una durissima accusa alla DC. accolto con consenso entusiastico perfino dall'MSI. E non era questa l'unica preoccupazione: nel '91 De Mita rivelerà di aver candidato Andreotti al Quirinale nel 1985. prima ancora di Cossiga. che il 17 ottobre pronunciò un discorso galvanizzante alla Camera. che avevano fatto venire meno il pericolo del comunismo. oltretutto l'appoggio della sinistra lo tutelava dai contraccolpi provocati dalle vicende siciliane. Ma per tornare al motivo che lo spinse a schierarsi con Craxi. e non all'inevitabile risultato di una degenerazione ormai intollerabile del sistema politico italiano. doveva consolidare i suoi rapporti con PSI e PCI. È una lettura un po' dietro-logica. che rimanevano preoccupanti. In questa crisi diplomatica senza precedenti. in realtà Craxi riuscirà a ricucire lo strappo con gli USA in maniera del tutto irrituale. il delfino di Craxi. troppo filoaraba. per l'opposizione del PRI ma soprattutto per la diffidenza dei socialisti e dei comunisti. Andreotti vide . Come scopriremo tra poco. gli avvocati di parte civile avevano chiesto l'audizione di Andreotti quale «persona informata dei fatti». Insomma Sigonella sarebbe stata per i due leader l'inizio della fine: gli USA da quel momento non si sarebbero più fidati della vecchia classe politica italiana. Il senatore fu ascoltato il 4 marzo in Cassazione: un interrogatorio drammatico. temeva particolarmente la crisi del PCI sul cui appoggio aveva puntato molto in vista delle elezioni al Quirinale. Di doman non v'è certezza. Alle amministrative del '90 le cose andarono peggio: un oggetto misterioso. Ad agosto Craxi ricostituì il governo. ma soprattutto su di lui. che più di altri si rendeva conto della freddezza degli USA per la sua politica estera e che. detto lo Squalo. sfondò a Milano con il 15 per cento e diventò di colpo il quarto partito italiano. in verità. L'Italia. Insomma apriva a destra in politica interna. Le previsioni di Andreotti sembravano confermate. Alla Festa dell'Unità dell'87. su basi precarie. presa com'era dai grandi scandali e dalle sue guerre di mafia. Il settennato di Cossiga scadeva nel 1992. dove era stato acclamato come un trionfatore. mentre a sinistra faceva il "feddayn" e diffidava De Mita da ogni progetto di elezioni anticipate. aveva già detto: «Voglio tanto bene alla Germania che preferisco che ce ne siano due». in cui oltremodo confidava come trampolino per la massima carica dello Stato. Andreotti era talmente infastidito dai mutamenti del quadro internazionale. ma furono cooptati anche i giovani di Comunione a Liberazione. da cui temeva potessero venirgli soltanto guai. chiuse simbolicamente l'era della guerra fredda.in pericolo la sua poltrona di ministro degli Esteri. e riconfermò Andreotti agli Esteri. Della sua corrente entrò a far parte lo spregiudicato Vittorio Sbardella. in quel frangente. L'unica possibilità che aveva di diventare presidente della Repubblica era arrivare alla scadenza come . a novembre dell'89. le elezioni europee avevano dato ragione al suo pessimismo: la DC non era più in grado di grandi sussulti. il PSI era in crescita. che fece perfino una gaffe dichiarando di essere contrario alla riunificazione della Germania «perché poteva essere pericolosa». Forse la sua fu un'intuizione. Quest'ultima cosa non gli dispiacque particolarmente. Era il primo effetto del dopo Muro. e da quel momento in poi cominciò a mostrare una grinta e un dinamismo eccezionali. Qualcuno cominciò ad accorgersene. perché metteva in crisi la coalizione di De Mita e lui ambiva a prenderne il posto. ma al momento la situazione era salva. ma Andreotti capì che era assolutamente necessario accelerare i tempi. la Lega Nord. data che coincideva con la fine della legislatura. ma l'alleanza PLI-PRI-PSDI era franata. Questa del resto era una sua vecchia convinzione. Epilogo Il tramonto della Prima Repubblica Prima e dopo il Muro La fine del decennio culminò nella caduta del Muro di Berlino che. non sembrò neppure accorgersene. una premonizione di quanto stava per abbattersi su tutti noi. ad esempio il PCI che dopo la "svolta" del segretario Achille Occhetto crollò al 24 per cento. nei quali si potevano intravedere i primi segnali di future catastrofi. mentre sul fronte internazionale l'impero sovietico cominciava a scricchiolare sotto i colpi della perestrojka e della glasnost di Gorbaciov. La rottura di quella sorta di "patto" elettorale sancito nel '48 tra DC e mafia. un accordo fatto nell'86 al quale Ghino di Tacco. soprattutto. e alle elezioni di giugno Cosa Nostra spostò un pacco consistente di voti dalla DC ai socialisti e ai radicali (impegnati nella promozione di un referendum sulla responsabilità politica dei giudici da cui la mafia sperava di trarre benefici). anzi sull'orlo del sorpasso. nell'estate '89. di cui parlano decine di pentiti. E quando a maggio del '92 stava forse per riuscirci. il «gran botto» di Capaci mise per sempre fine alle sue ambizioni. e. sia nel breve governo Fanfani che nel successivo governo Goria. La manovra numero uno fu dunque liquidare De Mita.3 per cento. perché avrebbero inevitabilmente prodotto nuovi equilibri politici: i comunisti sarebbero stati molti di meno e i leghisti molti di più. anno cruciale Il 1987 fu un anno molto difficile per la politica italiana. sono tre gli eventi che ci interessano. La seconda manovra. dicevano i boss. in breve. non ebbe però successo. a quanto raccontano i pentiti di mafia. con il vecchio Parlamento. Fu un anno di bizantini mutamenti. il 1987 fu anche l'anno del braccio di ferro tra DC e Cosa Nostra. il governo Craxi entrò in crisi e Andreotti a stento salvò la sua poltrona di ministro degli Esteri. Quest'ultimo fu il risultato di un durissimo scontro tra Craxi e De Mita: l'oggetto della lite fu la mancata "staffetta" alla guida del governo. quando fu il momento. Nonostante la vittoria elettorale dei socialisti. che anzi uscì rafforzato e raggiunse il 14. La sua maggiore preoccupazione erano le elezioni anticipate. Ma. e invece scese al 26. dando vita al proprio sesto governo grazie a una rinnovata alleanza con Craxi e Forlani (il già citato CAF). Dal nostro modesto osservatorio. I vecchi referenti non erano in grado di garantire niente. da tragici eventi destinati a cambiare il corso della vita pubblica italiana. e certamente vide impegnato Totò Riina nella difficile battaglia del Maxiprocesso: la sentenza era prevista per la fine dell'anno e si annunciava durissima. bisognava cambiare cavallo. le previsioni davano il PCI vincente. si sottrasse con un colpo di coda: «Il patto della staffetta è un abuso». che secondo i più malevoli consisteva nel provocare le dimissioni anticipate di Cossiga per essere eletto capo dello Stato. il quadro politico del turbolento tramonto della Prima Repubblica: gli anni fra l'87 il '92 furono per questo segnati. che De Mita reclamava a gran voce.ministro degli Esteri o come capo del Governo. Il documento di .6 per cento. Il 1987. però. La DC alle elezioni non riuscì a sbaragliare il PSI. Questo. E non ci fu niente da fare. come vedremo nei prossimi capitoli. ma a causa di un'aspra lotta. non a torto. restando stabilmente sopra la soglia del 30 per cento. creando condizioni di forte instabilità. Dall'analisi si evince che gli USA. Scrive l'anonimo osservatore: «Sebbene le elezioni non dovrebbero produrre drammatici cambiamenti di equilibri politici.alcuni analisti della CIA che. su chi doveva essere il premier». PSI. PLI e PRI) non era caduto per ragioni di tipo politico. definita bizzarra. trattandosi di un conflitto «non concluso e segnato da violenti attacchi personali». Nel giudizio sfavorevole verso la DC pesava il fatto «che il Pentapartito (DC. PSDI. L'analisi della CIA Sono quindici pagine dattiloscritte datate 8 giugno 1987. che la lite Craxi-De Mita mettesse a rischio la realizzazione di un nuovo pentapartito. al quale però i giudici non hanno creduto. È stata insomma la crisi della "staffetta". per 0 quale una coalizione con il PSI sarebbe più attraente. Il documento. alla vigilia delle elezioni italiane. il PCI potrebbe emergere come il maggior partito se la DC dovesse cedere molto». ma presero in esame anche la possibilità che il PCI conquistasse nuovi spazi elettorali (cosa che poi non avvenne). Nel documento viene apprezzata la decisione favorevole all'installazione degli euromissili in Sicilia (contro cui si era inutilmente battuto il segretario del PCI siciliano Pio La Torre. i cui rapporti finiscono ogni giorno sulla scrivania del Presidente. per motivi del tutto diversi. e a vantaggio del PCI di Natta giocavano altri fattori: «Fra gli italiani si sta diffondendo un'opinione . fu redatto da alcuni analisti del Directorate of Intelligence. di cui ha parlato il pentito Balduccio Di Maggio. dal titolo Italy: The Election and its Implications. tra DC e PSI. ucciso nell'82. dall'altro permetterebbe al PCI di aspirare nel lungo termine a guadagnare voti nel centro moderato. recentemente desecretato. continuava l'analista della CIA la soluzione sarebbe in gran parte in mano al PCI. Gli USA non sembravano dunque sfavorevoli a un cambio di guardia al governo italiano. E. il surreale incontro che sarebbe avvenuto tra Andreotti e Totò Riina ad agosto. Sulla base di questo ragionamento la CIA prevedeva che la consultazione elettorale potesse penalizzare la DC e premiare il PSI. In questo scenario. giunsero alla stessa conclusione di Totò Riina:Craxi era meglio di Andreotti (in questo caso perché dava agli USA maggiori garanzie filoccidentali). Di conseguenza nel dopo voto ciascuno dei due partiti avrebbe potuto valutare la possibilità di dar vita a un governo sostenuto esternamente dall'elettorato comunista. secondo Ciancimino dalla Gladio siciliana). erano sostanzialmente favorevoli a una riedizione del pentapartito di centrosinistra. i quali temevano. per concludere. ad aver innervosito gli americani. perché da un lato consentirebbe di escludere la DC dal potere politico per la prima volta dalla seconda guerra mondiale. analisi. in cui ha rivelato a sorpresa di essere stato per circa un anno . Il mistero di come fosse mai possibile che Craxi. Giulio Andreotti. «Un simile tipo di governo sarebbe assai meno in grado di moderare l'influenza dei comunisti su questioni come il programma di difesa spaziale e la spesa pubblica. L'unica possibilità alternativa. ce lo ha spiegato Giuliano Ferrara in un lungo articolo pubblicato il 14 maggio 2003 su «Il Foglio». . a loro dire. La prospettiva. come lui stesso ama definirsi. incredibilmente. l'Elefante. Dopo questi incontri. si profondeva in dettagli. ma ora sembra appoggiarsi alle posizioni di Giovanni Spadolini. Erano interessati a capire la sua logica politica e F. Così la racconta Ferrara: Era l'anno di Sigonella. diversamente sarebbero andate le cose se a farlo fossero De Mita o Andreotti. salirono alle stelle e quelle di Andreotti evidentemente crollarono al minimo storico. a poco più di un anno da Sigonella. a Craxi sembrava essere stata perdonata la vicenda Sigonella: «Una volta era sensibile al corteggiamento della Libia e dell'OLP. aiutò l'intelligence americana a "capire la politica" in Italia compilando dietro compenso alcune schede informative sui maggiori leader di DC.benevola nei confronti dell'URSS. perché i suoi leader politici non hanno la forte capacità di Craxi». avesse riconquistato la fiducia degli americani e fosse tanto risalito nella loro stima da poter essere considerato l'unico leader politico italiano in grado di garantire gli interessi atlantici. che hanno contribuito a cambiare l'immagine pubblica del PCI». per le riforme e le iniziative sul disarmo di Mikhail Gorbaciov. un «simpatico» agente americano. presa in considerazione dalla CIA. Ma la questione centrale era la politica internazionale e. che si interruppero con l'ingresso di Ferrara in televisione. gli americani erano avidi di sapere chi cavolo fosse questo omaccione che gli aveva mandato i carabinieri contro in una base USA. Durante alcuni incontri al Pincio con il suo misterioso contatto. persino se si fosse alleato con i comunisti. PSI e forse anche PCI. cui Ferrara era già legato da affettuosa collaborazione. Nessun grosso problema dunque se fosse stato il segretario del PSI a traghettare il PCI verso l'area di governo. molto scettico su queste forze nell'area del Mediterraneo». Fatto sta che le quotazioni di Craxi. a quanto sembra il problema vero per gli americani era come liberarsi di Andreotti. sarebbe quella di un'Italia instabile e incerta dentro la NATO: «Uno degli effetti dell'alleanza potrebbe essere una politica più attiva e indipendente sul conflitto arabo-israeliano». il quotidiano che dirige.dalla fine del 1985 alla fine del 1986 .un informatore della CIA. Scrive ancora l'analista della CIA: «Il principale esperto di politica estera dei democratici cristiani. interpretazioni dalla parte di Craxi. dicendogli quanto era fico e quanto era occidentale. è a favore di questi orientamenti e verosimilmente si unirebbe con entusiasmo ai comunisti con i quali condivide ampiamente posizioni filoarabe». La sfida elettorale di Totò Riina Il problema di Andreotti non erano soltanto gli americani: la pubblica accusa di Palermo ha sostenuto che il senatore dovette affrontare la questione elettorale anche con Totò Riina durante uno storico incontro che è stato il vero colpo di teatro del processo. tre mesi dopo le elezioni di giugno. In ogni caso. se non volete cancellare completamente la DC dovete fare come diciamo noi. perché la DC. contestati ad Andreotti nel corso del processo. e di aver visto entrare Andreotti. Fu il presidente Cossiga a risolvere la crisi piazzando nel ruolo di presidente del Consiglio un uomo di sua fiducia. altrimenti vi leviamo i voti della . Non tutti. quando. ma cinque sono stati segnalati da pentiti come Angelo Siino. come sappiamo. a dire del pentito Francesco Marino Mannoia. Questo con Riina è uno degli otto incontri. nel settembre '87.leader di piccolo calibro. Parliamo del presunto incontro con "bacio" tra Andreotti e Totò Riina. Ed è questa l'ipotesi finalmente azzeccata dagli analisti della CIA. che era agli arresti domiciliari. Risparmieremo al lettore la furibonda battaglia processuale che è seguita alle dichiarazioni di Di Maggio. che non sono stati in grado di dare indicazioni precise sulla data o hanno riferito questi episodi de relato. In definitiva gli incontri importanti sono soltanto tre. riuscì comunque a restare partito di maggioranza relativa. ora di nuovo in carcere con l'accusa di aver commesso vari delitti durante uno dei suoi permessi premio. All'epoca Balduccio era autista e guardia del corpo di Totò Riina (che contribuirà a far arrestare nel gennaio '93). pochi mesi dopo l'omicidio Mattarella.era che la DC riuscisse a formare un governo con l'appoggio dell'MSI. e cioè Francesco Goria. Il dopovoto. A quel punto 'u Curto gli sarebbe andato incontro stampandogli due bei baci in faccia. e proprio in quel lasso di tempo si sarebbe recato all'appuntamento con il Capo dei Capi. risale all'estate dell'80. Riina a casa di Ignazio Salvo. fu gravido di liti e di incognite nel pentapartito. pur perdendo voti rispetto alle precedenti elezioni. A raccontarlo fu il poco affidabile Balduccio Di Maggio. come negli anni Cinquanta. ma non viene messo in dubbio l'incontro: il 20 settembre 1987. Il pentito disse di aver accompagnato. com'era stato previsto dal documento. neppure tra i magistrati della Procura. con boss mafiosi. ma al termine del processo la pubblica accusa ha mantenuto la sua tesi. gesto che stava a rappresentare un segno di riappacificazione. credono al folcloristico bacio. se la DC fosse riuscita a ribaltare i pronostici. Il primo. Andreotti avrebbe subito un arrogante altolà da parte di Stefano Bontate: «Qui comandiamo noi. ma si trattava di un'ipotesi poco probabile «per le connessioni fra l'MSI e il terrorismo e i residui legami con il fascismo». ma evidentemente gradito agli americani. e l'ha riproposta in appello. a diventare premier potrebbero essere Goria e Martinazzoli. vi sarebbe un vuoto tra le quattordici e le diciassette e trenta negli impegni che il ministro degli Esteri ebbe quel giorno a Palermo. almeno quando il Maxiprocesso fosse arrivato a Roma in Cassazione. per rendere ancor più convincente la sua descrizione. Racconterà nel 2002 l'ultimo pentito. in grado di raccogliere una consistente parte dell'elettorato democristiano. Nino Giuffré. la Procura ha riproposto in appello. alle elezioni dell'89. si era rivelata sbagliata. Lima. ha aggiunto un aneddoto: «Negli anni Cinquanta un comunista cercò di salire sul camion perché non aveva altro modo per andare a votare. dove sono tutti comunisti». l'incontro del bacio. talvolta senza successo: «Siamo dovuti andare casa per casa a discutere con la gente umile. fu eletto in un collegio del Nord-Est con un buon risultato: dunque era ugualmente forte anche senza l'appoggio dell'elettorato siciliano. E a conti fatti l'ipotetica minaccia di Bontate. non aveva avuto esito: la mafia non sembrava in grado di portare a termine alcuna determinante "punizione". sostenendo la seguente tesi: «Cosa Nostra tornò a sostenere elettoralmente i suoi antichi referenti ma quando si videro traditi uccisero Salvo Lima». mentre "Leoluca 'u sinnaco" sfilava alla testa di cortei dove si gridava: «Andreotti belzebù. giovane boss della zona. Il secondo incontro sarebbe invece avvenuto nell'85 a Mazara del Vallo. poteva al massimo spostare qualche migliaio di voti. Orlando aveva avuto con Caponnetto e Falcone un . Potete contare sui voti del Nord. Un episodio che. Un rito che si ripeteva a ogni elezione. ma all'indomani lo trovarono morto». che il cambiamento del cartello elettorale impegnò non poco i capibastone. Il terzo sarebbe questo. il capo della mafia sei tu».Sicilia. latore di un messaggio di Totò Riina. in compagnia di Andrea Manciaracina. a tre mesi dalle elezioni. come quella della CIA. alle elezioni europee dell'89. O forse il boss dei boss non era riuscito a spostare "i propri elettori" a sinistra. In quegli anni era nato a Palermo il movimento di Leoluca Orlando. non l'hanno creduto. Giuffré. nel quale. L'analisi di Riina. come sappiamo. La Procura di Palermo ha teorizzato dunque che Andreotti abbia fatto in quell'occasione qualche promessa esaudibile. almeno nel contesto degli anni Ottanta. messa in atto da Riina. nell'hotel Hopps: secondo l'accusa Andreotti sarebbe rimasto per una decina di minuti. i contadini che non capivano quello che dovevano fare. riuscì a essere eletto ma perse un terzo dei voti. se non nell'immediato. di Reggio Calabria e di tutta l'Italia meridionale. si sarebbe discusso proprio di voti. Il vero problema di Andreotti era in realtà l'indebolimento della corrente siciliana della DC. quando andavamo a prenderli con i camion in campagna». Va detto che Andreotti. sempre avevano votato DC e questa era stata la nostra indicazione. Ma i giudici d'appello. in una saletta privata. che non impediva alla DC di restare partito di maggioranza. come abbiamo detto. Erano passate poche settimane dalla sentenza del Maxiprocesso e i boss tornavano in campo con lupare e kalashnikov. in Sicilia. nella stessa zona era stato ucciso il magistrato Alberto Giacomelli. Erano passati oltre tre anni dalla strage al treno di Natale. al governo e al suo ministro». Nel momento in cui Parisi scese in campo. Vincenzo Parisi. ma già operativi. ma che impegnava il governo e le istituzioni. Per spiegarmi come ciò potesse essere accaduto. che sopraggiunse improvvisa la notte di Capodanno del 1994. aprendo una nuova stagione antimafia non più delegata ai magistrati siciliani.vero e proprio feeling. Il giorno dopo. a presentare una drammatica relazione alla Commissione Antimafia. fino a poco tempo prima della morte. considerato che le indagini su di essa gli furono scippate dal SISMI. Era stato capo del SISDE nei primi anni Ottanta ed era divenuto capo della Polizia quando il futuro presidente Scalfaro era ancora ministro degli Interni. di cui rimase a capo per sette lunghi anni. fu pronunciata la prima sentenza del Maxiprocesso: diciannove ergastoli e centinaia di condanne pesantissime. Il giudice era stato nominato presidente del collegio al processo d'appello contro i quattrocento boss. fu davvero un settembre rosso sangue. una volta mi disse: «Io sono un uomo dello Stato. ma le ultime iniziative di Cosa Nostra sembravano confermare che i Corleonesi non intendevano recedere da azioni "eversive". spinsero nella primavera successiva il capo della Polizia. dai cui microfoni quotidianamente attaccava l'imprenditoria e le collusioni politico mafiose. anch'esso per una vendetta di mafia. che successivamente s'incrinerà. ma che sarà in quella stagione all'origine del rinnovamento culturale di una Palermo che viveva finalmente la sua "primavera". E pochi giorni prima. La tregua era finita. Una fosca vicenda che Parisi ben conosceva. e sorprendentemente era stato affidato il ministero degli Interni all'esponente della DC napoletana coinvolto nel "sequestro Grillo". Parisi era considerato il Fouchet della polizia italiana. Nel settembre successivo. che ubbidisce alla legge. speaker di una locale radio privata. ex leader di Lotta Continua. il 13 dicembre 1987. Quello dell'88. sulla superstrada Palermo-Caltanissetta caddero il giudice Antonino Saetta e il figlio. In questo clima. in cui la mafia veniva definita per la prima volta un'organizzazione "antistato". fu ucciso anche Mauro Rostagno. Nel giugno '88 la prima decisione fu quella di ridare . Nel marzo dell'88. a Trapani. la sfida della mafia che si respirava nell'aria e altri segnali ancora invisibili. il governo Goria aveva lasciato il passo a De Mita. I "teoremi" di Buscetta avevano vinto per la prima volta. La nuova stagione antimafia fu purtroppo contrassegnata dalla diffidenza e dagli scontri tra apparati che finirono per penalizzare Falcone. l'attentato all'Addaura Gli ultimi omicidi. La reazione sarà durissima: il 12 gennaio 1988 sarà ucciso l'ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco. il suo ministro era Antonio Gava. Quella domenica era in compagnia di alcuni colleghi venuti dalla Svizzera per un convegno. Fu una vicenda per molti aspetti fantasmagorica. un giallo nazionale dagli accenti iperbolici. concedendo alla struttura un ruolo d'intelligence e quei pieni poteri che Dalla Chiesa non aveva avuto. preferendogli Antonino Meli per motivi di pura anzianità: un pretesto per tenere fuori il giudice italiano più famoso del mondo da ogni incarico direttivo. anzi un vero disastro: l'Alto Commissariato e la Procura di Palermo scesero in guerra. arrivarono a vari uffici. furono trovati cinquantotto candelotti di dinamite inesplosi sotto le finestre della villa all'Addaura. Falcone aspirava a quell'incarico. incautamente lasciata dal magistrato su un bicchiere d'acqua bevuto all'Alto Commissariato). Lo scenario si spostò rapidamente a Caltanissetta. che purtroppo precedeva di pochi anni eventi ben più drammatici. per la conoscenza di molti retroscena. come apparve chiaramente nell'estate dell'89 con l'eclatante vicenda del "Corvo". che fu rinviato a giudizio come autore degli anonimi istituzionali. a causa di un frammento d'impronta carpito su una delle lettere (che sembrava combaciare con un'altra impronta. molto seguito dai media che enfatizzavano la vicenda con titoloni del tipo: «Il Corvo. un capitolo tristissimo di veleni. Fu una piccola guerra d'intelligence. all'indomani delle elezioni. in cui s'inserì abilmente la mafia che dalla delegittimazione della magistratura trasse profitto. dagli aspetti rumorosi e casarecci. dove Falcone si trasferiva d'estate. fra cui lo stesso Alto Commissariato. che con l'ausilio dell'Arma riusci a sconfiggere l'asse De Mita-PCi che appoggiava Falcone. Ma per l'Alto Commissariato spuntò la candidatura di Domenico Sica che innescò il primo aspro scontro di potere dentro l'antimafia. dove la Procura aprì un'indagine a carico del magistrato. Per questo i sospetti si rovesciarono ben presto sul povero magistrato della Procura palermitana Alberto Di Pisa. L'inchiesta era tra le più scottanti: riguardava una "centrale" di . Non fu una scelta felice. la Talpa e il Falcone». dopo che il CSM aveva bocciato la sua nomina a capo dell'ufficio istruzione. non poteva che essere stato un addetto ai lavori. Una serie di lettere "anonime" sull'illegale presenza a Palermo del pentito Contorno (cui venivano attribuiti omicidi di mafia). Ma all'inizio dell'estate c'era stato un altro episodio. fra cui anche il futuro procuratore federale Carla Del Ponte: i magistrati avevano approfittato dell'incontro per lavorare a una rogatoria internazionale. ancora più grave. E purtroppo avevano tutta l'aria di provenire da un apparato informativo: a scriverle. Il 18 giugno 1989. Attorno al PM romano si coagulò il fronte andreottian-socialista. accusato di tutto."ossigeno" all'Alto Commissariato Antimafia. perfino di coprire gli omicidi compiuti dai pentiti. Quelle lettere avevano l'evidente scopo di delegittimare il pool antimafia: erano un durissimo attacco a Giovanni Falcone. grazie all'ingresso di Pomicino. «chi tocca quei fili muore». Ci riuscì Andreotti. non voleva che corresse i suoi rischi e disse alla sorella Maria: «Io ormai sono un cadavere che cammina». Acque tempestose e non soltanto all'interno del Palazzo: all'esterno si aggravavano gli scandali. Sbardella e altri colonnelli dislocati al Centro-Nord. ce ne sono un paio strettamente legate ai grandi misteri che ci hanno accompagnato lungo tutto il libro: la struttura militare segreta denominata Gladio e il Memoriale di Aldo Moro. Baruffi. come sappiamo. come diceva Falcone. ora la mafia lanciava un altro pesantissimo avvertimento. Nell'estate '89 Andreotti aveva ripreso le redini del governo. uno di quei santuari di cui è proibito scoprire i terminali. Craxi si era fatto più aggressivo e al suo fianco era comparso un uomo nuovo. Riina fece mettere in giro la voce che quell'attentato se l'era organizzato da solo per poter ottenere l'incarico di procuratore nazionale antimafia. che seguì l'omicidio dell'ex presidente delle Ferrovie dello Stato Ludovico Ligato. pari a due miliardi e . che proprio in quel periodo contendeva a De Benedetti il controllo della più importante casa editrice italiana. molto coinvolto nell'accordo segreto con la NATO. Manine e manone Tra le complicate vicissitudini dell'estate 1990. Ignazio D'Antona. Silvio Berlusconi. aveva autorizzato il magistrato Veneto Felice Casson a prelevare dalla sede del SISMI tutto il materiale relativo all'organizzazione Stay Behind. mentre Andreotti aveva bisogno di congelare la situazione politica. forse vittima anche lui del clima da congiura di quella terribile estate. De Mita si era dimesso e non era riuscito a formare una nuova coalizione. In quel periodo la corrente andreottiana era più forte che mai. Il giorno prima Lima aveva perso un terzo dei voti. perché. fino alla maxitangente Enimont (2 milioni e 212 mila dollari. Anni dopo sarà condannato a dieci anni per il fallito attentato un poliziotto dell'Alto Commissariato. Alla fine di luglio era cominciata a circolare la voce che Cossiga stava per dimettersi. perché il presidente del Consiglio.riciclaggio individuata in alcune banche svizzere. ovvero Andreotti. Per il momento si dovette accontentare di essere promosso dal CSM viceprocuratore aggiunto al fianco di Pietro Giammanco. Era evidente che l'affare si sarebbe abbattuto sul capo dello Stato. Come riveleranno alcuni pentiti. rimandò la moglie Francesca a casa. un'alleanza che resisterà fino alla fine della legislatura e della Prima Repubblica e che sarà alla base del suo sesto e settimo governo. Un ufficio che era ancora nella sua mente e che cominciò a funzionare soltanto dopo la sua morte. dopo che fu siglato il patto del CAF. Tentativo che Andreotti riuscì a stoppare attraverso Ciarrapico. Ma in realtà troppe cose si stavano muovendo. Antefatto. la Mondadori. Falcone lo capì immediatamente. con il quale non c'era alcuna sintonia. da quello delle "lenzuola d'oro". In ogni caso. in preda all'agitazione si lasciò sfuggire: «C'erano diecimila persone in armi e io ero il solito presidente di merda che non ne sapeva niente». come ormai ben sappiamo. dov'erano in corso lavori di ristrutturazione dell'appartamento. saltarono fuori da dietro un pannello una settantina di pagine manoscritte. non seicento. le rivelazioni di Andreotti scatenarono durissime reazioni politiche. La frase non era presente nel dattiloscritto diffuso nel 78 e. l'accenno fu più che sufficiente per sollevare una bufera attorno a Cossiga. Ma proprio mentre divampavano le polemiche. che rappresentavano la versione originale del Memoriale di Aldo Moro. mai informato dell'esistenza di Gladio. il presidente del Consiglio rivelò il sistema della Gladio pur dandone una versione molto riduttiva: disciolta a suo dire nel 72. Sappiamo già che il 3 agosto. che reagì con vigore sostenendo che qualcuno lo voleva screditare per costringerlo alle dimissioni. Il vero obiettivo di quella postuma versione del Memoriale sembrava proprio attizzare il fuoco sulla storia di Gladio. la struttura sarebbe stata composta da poco più di seicento persone. In quelle pagine. (facente parte dell'altrettanto misterioso Ufficio R. L'ex presidente Giovanni Leone. dopo il 72. anzi sembrava intenzionato a essere rieletto. Pochi si accorsero che le accuse rivolte da Moro ad Andreotti erano più esplicite di quelle divulgate dal ministero degli Interni dodici anni prima: ormai l'Italcasse era infatti uno scandalo morto e sepolto. disse Leone. lo statista non aveva soltanto accusato Andreotti e altri amici di partito. in quel frangente. cominciò a "esternare" e "picconare": a dare le dimissioni non ci pensava per niente. Ma Andreotti non se ne curò e il 9 novembre tornò alla carica rivelando a sorpresa che Gladio. Un vero colpo di teatro. L'intera vicenda finì per innervosire Craxi. in via Montenevoso. nell'ex covo BR. da cui dipendevano i RUS che abbiamo già incontrato durante il sequestro Moro) di cui non si è mai capita la natura. ma non di Cossiga. Ma il presidente della Repubblica reagì molto vivacemente.mezzo) che come affermerà la sentenza molti anni dopo fu versata a esponenti romani della DC facenti capo proprio alla corrente andreottiana. Diecimila. perché nessuna spiegazione ufficiale è stata mai data su chi avesse ereditato i suoi compiti. a Milano. che fece anche un'aperta allusione alla "manina" che . ma aveva rivelato alle BR l'esistenza di quei "reparti antiguerriglia" che proprio in quei giorni erano oggetto di rovente polemica politica. Andreotti era riuscito a liberarsi di De Mita. era stata in realtà riassorbita all'interno del SID e poi del SISMI e dunque era tuttora attiva: forse si trattava di quel misterioso Reparto 7. e non soltanto dell'opposizione. cui diede l'assalto nell'estate successiva dando prova ancora una volta della sua straordinaria spericolatezza. su richiesta della Commissione Stragi. l'I 1 ottobre. Il vero mistero di questo primo scorcio degli anni Novanta resta proprio il comportamento di Giulio Andreotti.avrebbe nascosto il Memoriale. ricorda tanto quella con cui Andreotti provvide a mandare all'aria i servizi quando voleva riassumerne il controllo completo (Miceli-Maletti).. Il Comitato di Controllo sui Servizi conferma che Andreotti era il ministro della Difesa nel giugno 1959. negli uffici di Craxi in via Boezio. quando il SID entrò a far parte dello Shape e nel 1964 quando fu creato in ambito europeo l'ACC.].. ovvero le dimissioni del capo dello Stato. contrastando il potere di Andreotti. i piani segreti NATO per contrastare un'eventuale invasione da parte russa e gli uomini che hanno seguito questo aspetto. Craxi dunque sapeva che Andreotti "sapeva". Non sappiamo come siano andate in realtà le cose. già allora comparso di fronte al Tribunale dei Ministri una ventina di volte. e quell'allusione sulla "manina" non poteva che rivolgersi a lui. c'è anche un appunto. i giudici del Maxiprocesso che gli avevano . uomo come sappiamo accorto e assai abile nello sgusciare tra le maglie di ogni segreto. che come sappiamo lo informava che Andreotti perseguiva l'antico scopo di riappropriarsi dei servizi segreti per danneggiare l'ammiraglio Martini. finché l'ammiraglio Martini non provvide a sostituirli con persone diverse [. peraltro del tutto marginale dell'attività dei servizi. L'on. il Comando Clandestino Alleato. L'appunto è citato nella relazione al Parlamento del COPACO del 26 ottobre 1995 sui documenti trasmessi dalla Procura di Milano dopo il ritrovamento dell'archivio di Craxi.. capace di fronteggiare nell'aula magna della Cassazione. lapidarie battute: «Manina? Forse una manona». Andreotti sottoscrisse infatti già all'inizio degli anni Sessanta. Un superservizio è in realtà sempre esistito. per quanto audace. non fu una buona idea e non sortì i risultati sperati. L'anonimo elogia il capo del SISMI per l'autonomia dimostrata e al contempo informa Craxi che era stato proprio Andreotti a sottoscrivere all'inizio degli anni Sessanta gli accordi con la NATO. appena tre anni prima. sia pure sotto nome di codice diverso.. Proprio in quel periodo si era intensificato il carteggio tra il segretario del PSI e l'anonima fonte del SISMI. lasciando al contrario intendere che si trattava di un'operazione dei "poteri forti" rivolta contro di lui. reo di aver rimosso all'inizio degli anni Ottanta tutti gli ufficiali compromessi con la P2 e le trame del terrorismo. sono sempre stati uomini a lui legati. Tra le carte trovate nel '95. databile tra la fine del '90 e l'inizio del '91.]. titolato "Operazione Gladio": Tale presunta operazione [le rivelazioni su Gladio] che è prevista peraltro fin dal 1949. quale ministro della Difesa. ma non è quello di cui si parla e aveva e ha compiti non certo assegnati agli uomini della Gladio [. ma se davvero l'idea del fortunoso ritrovamento del Memoriale era stata sua. Ma Andreotti non se la prese e replicò con una delle sue solite. contestato alcuni duri passaggi del diario di Dalla Chiesa sulle sue frequentazioni siciliane. alla quale difficilmente avrebbe rinunciato perché in sintonia non soltanto con i molteplici interessi del governo italiano ma anche con l'indirizzo ecumenico di papa Wojtyla e con quel "partito" del Vaticano dei cui interessi è sempre stato il portavoce. Andreotti in quel periodo non aveva evitato di manifestare le sue simpatie europeiste per ingraziarsi il PCI. L'Andreotti che conosciamo era persona assolutamente in grado. Qualcuno doveva averlo informato che stavolta poteva essere lui la vittima da immolare sugli altari dei nuovi equilibri mondiali che si andavano ricostituendo con la nascita della nuova Europa. a distanza di tempo. lo aveva fatto a ragion veduta e per ottimi motivi. ma quali fossero la ragione e gli ottimi motivi ancora oggi. considerati peccatucci durante la "guerra fredda". anche se per far ciò bisognava negare ogni coinvolgimento della struttura segreta nella strage di Peteano e in ogni altra strage. a parte Kissinger. sospetto che Andreotti abbia intuito che qualcuno oltreoceano gli stesse preparando qualche "piattino" e abbia perciò deciso di giocare d'anticipo. e in altre occasioni se l'era cavata benissimo. fornendo una versione ben più ridotta dei fatti o facendo leva sul segreto di Stato. se non dalla scena politica. Di questo almeno erano tutti convinti. resta un mistero. e se aveva deciso di parlare a viso aperto di fronte alla Commissione Stragi. qualcuno di questi doveva averlo messo sull'avviso su quanto si andava preparando in Italia dopo il crollo del Muro di Berlino. Non era la prima volta che Andreotti veniva interpellato sul ruolo dei servizi segreti nelle stragi d'Italia. vincendo le forti resistenze degli apparati. Personalmente. Per giunta. e questo era un altro valido motivo per volersi liberare di lui. da incarichi istituzionali e di potere per via di quei vecchi scheletri nell'armadio. da valido alleato. Non doveva rassicurarlo neppure il . ma che rischiavano di diventare ora un insormontabile scoglio per la sua ascesa al Quirinale. Il timore degli amici americani era che il vecchio continente potesse trasformarsi. come la mafia e Xaffane Moro. se aveva autorizzato il magistrato veneziano a violare gli archivi di Forte Braschi. se avesse voluto. che lo aveva sempre preferito di gran lunga a Moro. E già sappiamo come nell'87 Andreotti era poco amato dagli analisti della CIA per la sua politica filoaraba. Dunque. anche se in quella fase soltanto alcune menti finissime riuscivano a prevedere gli eventi che di lì a poco si sarebbero scatenati mettendo fine alla Prima Repubblica e ai vecchi partiti. nella gestione dei rapporti con l'ex URSS e i paesi arabi. La "vecchia volpe" doveva aver fiutato che il vento stava cambiando e probabilmente temeva che sarebbe avvenuto quanto poi è realmente avvenuto: la sua liquidazione. Sappiamo che aveva amici nella CIA e. in pericoloso rivale nella ricostruzione dei paesi dell'Est. di far fronte anche alle richieste del giudice Casson e del senatore Gualtieri sulla vicenda Gladio. come sosteneva invece Casson. dopo la sua esternazione in Commissione Stragi. Non ignorava la sua amicizia di vecchia data con il generale Edgardo Sogno. la prima rete civile di Gladio. Ma. Nella relazione a Gualtieri. che il 3 agosto. a soli 38 anni. proprio con il governo Moro. a differenza di lui. anche se dichiararono di non aver mai saputo che la Gladio potesse aver avuto diretta relazione con organizzazioni terroristiche e stragi. o magari anche di ripulire le cantine. mentre in molti paesi europei i vari capi di governo e ministri della Difesa si trovavano a fronteggiare la bufera scatenata dalle rivelazioni su Gladio. ogni soffio di vento a Palermo conquistava la prima pagina sui giornali: se qualcuno voleva la sua pelle.che aveva commesso l'errore di chiedere le elezioni anticipate. Anche il presidente della Repubblica qualche scheletruccio nell'armadio ce l'aveva. era stato il più giovane sottosegretario alla Difesa. Andreotti aveva scritto che dell'esistenza della struttura segreta erano stati informati tutti i presidenti del Consiglio nominati negli ultimi quarantacinque anni: dunque certamente anche Craxi e Spadolini. E se era venuto il momento di aprire gli armadi. Anche perché. con il passare delle settimane e dei mesi. sia il segretario del PSI sia il presidente del Senato ebbero qualche reminiscenza. sul finire dell'anno. Così. Cossiga. Cossiga non aveva mai fatto mistero delle sue buone relazioni con gli "spioni" e forse era venuto il momento di presentare il conto. sostenitore e organizzatore della Rosa dei Venti. scese in campo e reagì molto vivacemente alle contestazioni che stavano montando attorno a lui: imprevedibilmente decise di cavalcare la tigre a viso aperto. l'avrebbe venduta a caro prezzo. al quale non doveva essere sfuggito il vero significato della sortita andreottiana. erano stati rafforzati e ristrutturati con il suo ausilio.nuovo corso "antimafia" impresso dal capo della polizia Parisi dopo il Maxiprocesso: tutto quello che avveniva in Sicilia era ormai un tormentone insostenibile. Falcone di qui e Falcone di là. avevano fatto orecchie da mercante mostrando di cadere dalle nuvole. Dopo essersi liberato di De Mita. a fronte della nascita del centrosinistra e della crescita elettorale del PCI. Fu una corsa contro il tempo e Andreotti ben sapeva che ne era rimasto poco. Ma bisognava appunto fare presto. Andreotti sapeva che a contribuire alla sua crescita politica e di potere erano state proprio certe relazioni che aveva coltivato in quel periodo con gli apparati Stay Behind che. in Italia i contraccolpi furono assai più pesanti. Fino a quel momento era stato definito . l'unica cosa da fare era risolvere il problema di Cossiga. Nel '66. allora sarebbe stato lui a guidare l'operazione. l'ex mitico capo dell'Organizzazione Franchi durante la Resistenza (che Dalla Chiesa sospettava essere l'area di provenienza dei partigiani che avevano infiltrato le Brigate Rosse). girando l'Italia per pubblici dibattiti. Cominciò così un'ampia pubblicistica degli ex gladiatori. In Parlamento esponenti dell'opposizione cominciarono a chiedere le dimissioni del capo dello Stato. quando il generale Paolo Inzerilli pubblicò Gladio. Io non sono matto. in quell'occasione chiese scusa «per essere andato un po' sopra le righe». in visita privata. Invece. Cossiga in due o tre occasioni rischiò l'"impeachment".il "presidente notaio". quando l'unica colpa di cui si erano macchiati era stata quella di aver difeso l'Italia dal pericolo comunista. patrioti al servizio dell'Italia. In tanti accusavano Andreotti di aver messo a repentaglio la loro reputazione e sicurezza. Gli veniva contestata soltanto l'estrema pignoleria di marca leguleia. Il 1991 fu un anno memorabile. per arginare l'autodafé di ministri e capi di governo. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno». ma si difese duramente e al suo fianco scese anche il generale Sogno. La sinistra manifestava in piazza: il 17 novembre il PCI di Achille Occhetto organizzò a Roma una manifestazione di circa trecentomila persone che protestavano contro l'ancora fantomatica Gladio. fino al '91. aveva posto il segreto di Stato internazionale sull'attività e i fini di Gladio. che proseguì fino al 1995. Cosa che fece anche durante il messaggio al paese alla vigilia di Natale. Inzerilli fu tra l'87 e l'89 l'ultimo responsabile conosciuto della "tecnostruttura" nella sua qualità di capoufficio centrale della Sicurezza alle dipendenze dell'Autorità Nazionale della Sicurezza. che in quel periodo pubblicò un libro di memorie sull'Organizzazione Franchi. i "patrioti" si costituirono addirittura in associazione. la mancanza di trasparenza sulle stragi e in definitiva puntavano il dito contro di lui. spiazzò tutti dicendo: «In realtà io non esterno. il cui unico scopo era quello di difendere le istituzioni da nemici esterni». Ma era una falsa promessa: al ritorno annunciò che intendeva levarsi qualche "sassolino" dalle scarpe. diede avvio al nuovo corso di "presidente picconatore" che caratterizzò la fase finale del suo settennato. Sotto la guida del principe Francesco Gironda. io comunico. Quando a fronte delle sue ripetute esternazioni. Il 19 dicembre Cossiga era in Germania. e poi. si cominciò a dubitare della sua sanità mentale. e anche in seguito alla minaccia di revocare il mandato alla Commissione Stragi. durante una visita ufficiale in Scozia. io faccio il matto. E pensare che proprio il 23 dicembre la NATO. rilasciando dichiarazioni di questo tenore: «Sono fiero e orgoglioso di aver contribuito alla nascita di un'organizzazione interamente formata da uomini di valore. E diverso. la verità negata. Affermazioni che non placarono affatto gli animi. e i caricaturisti lo raffiguravano come il "signor nessuno" che si aggirava per le stanze del Quirinale. soprattutto a partire dal febbraio '91. promise di non parlarne più. incarico al quale avrebbe dovuto seguire quello . quando divennero pubblici gli elenchi dei 622 gladiatori ormai quasi tutti in età avanzata. come capo di Stato Maggiore del SISMI. la crisi istituzionale e di governo non tardò ad esplodere tra il Parlamento e il Colle. La nomina a senatore a vita ha certamente aiutato Giulio negli anni a venire. dichiarando la piena legittimità di Gladio. e tutto poteva fare il presidente del Consiglio ma non certo guidare apertamente la fronda contro un presidente della Repubblica democristiano. Il picconatore insorse: «Dico come Aldo Moro: non ci faremo processare nelle piazze». secondo la quale il perfido Cossiga si sarebbe in realtà vendicato del brutto tiro di Andreotti . Una solidarietà che Andreotti non poteva certo negargli.di generale di divisione. Una decisione di cui all'epoca furono date varie letture: la più semplice fu che Cossiga intendesse sdebitarsi con Andreotti per la solidarietà offerta. la seconda era che in previsione di quanto stava per accadere nel paese (e nelle aule giudiziarie). composto da cinque presidenti della Corte Costituzionale. Per tornare a Cossiga. a quel punto. Per lui seguì il prematuro pensionamento di cui il generale approfittò per fondare la Commissione Storica dell'Associazione degli Ex Appartenenti alla Gladio. ovviamente in senso ironico. Con Andreotti fu pace fatta o così almeno sembrava: e in effetti il primo giugno 1991 lo nominò senatore a vita. anche perché. A innervosire Cossiga erano soprattutto le dichiarazioni dei socialisti: i ministri del psi avevano posto la loro riserva e Craxi aveva dichiarato di «non avere alcuna intenzione di difendere l'infallibilità di Cossiga e Andreotti». Andreotti. di cui divenne presidente. invece al momento bastò e le dimissioni rientrarono. Ma Craxi continuava a pestare i piedi: a Cossiga sarebbe stata sufficiente la sola dichiarazione del presidente del Consiglio? Non era affatto scontato. considerata la piega che avevano assunto le esternazioni del capo dello Stato. Ma quando nei dibattiti alla Camera qualcuno cominciò ad accusarlo di alto tradimento minacciò di autosospendersi se il governo non gli avesse rinnovato la fiducia. Ma non mancò la terza ipotesi. Fu un terremoto senza precedenti e la crisi sembrò inevitabile quando prese piede la proposta socialista che a interrogare il capo dello Stato fosse un "comitato di saggi". intanto cominciò a definire Craxi "il nuovo amico". naturalmente dietrologica. Il capo dello Stato reagì sarcasticamente consigliando ad Andreotti di mettersi da parte anche lui e di cedere lo scettro ai socialisti. fece il gran gesto e alle Camere espresse a Cossiga la solidarietà del governo. come Inzerilli tenne a precisare nella fascetta del suo libro di memorie. tramontata l'ipotesi delle dimissioni anticipate. si fosse stabilito un patto di mutua assistenza. La richiesta di Casson di interrogare il Presidente su una vicenda così delicata lo aveva offeso e Cossiga reagì prendendosela con quanti a destra e a manca facevano dichiarazioni «imprudenti e impudenti». era sempre più chiaro che dimissioni spontanee non ce ne sarebbero mai state. Ma la nomina fu bloccata da Andreotti in relazione al caso Gladio. . ma la gente non avrà i miei scrupoli [. ma ruppe il silenzio dal!'autoesilio e. ma nel frattempo Cossiga aveva maturato l'idea di cavalcare l'onda della protesta e di interpretare l'uomo nuovo. fino all'epilogo finale. Pomicino e via dicendo. Il 23 aprile ebbe inizio la nuova legislatura. per parlare con la gente e possibilmente rappresentarla e tutelarla». Forlani è un ipocrita. Dopo le dimissioni. durante il processo. Polemiche ed esternazioni proseguirono per mesi e mesi. diceva Cossiga ormai accusato di qualunquismo e di cercare consensi emotivi. Io non li ho buttati giù dalle scale. ora speriamo anche all'Ovest». C'era stato un precedente: il 17 febbraio era stato arrestato Mario Chiesa. Era accaduto proprio quello che Andreotti aveva a lungo temuto e cercato di evitare: tutti i partiti tradizionali uscirono travolti dal voto. non l'hanno pubblicata perché era più importante la seduta della sezione Garbatella. Il PSI non sarebbe stato più d'ostacolo. e vinsero i partiti della protesta.]. da dove tornò profetizzando: «Sono successe tante cose all'Est. nasconde la verità [."sollevandolo" dalla gestione elettorale della corrente che gli aveva consentito fino a quel momento di tenere a bada i capitribù. Ho scritto al «Popolo» una lettera in cui spiegavo perché non mi sarei più iscritto al gruppo DC del Senato. pianse nell'apprendere dei primi arresti di Mani Pulite. fatto che diede inizio all'era di Tangentopoli. dichiarò: È la DC il nemico che ha tradito. incapace di modificare la sua arroganza. Era venerdì primo maggio 1992: i balletti per l'elezione del presidente erano appena cominciati e . forse nella speranza di essere rieletto presidente della Repubblica e comunque per ritagliarsi un futuro politico nella nuova Italia che stava nascendo: così in effetti è stato. Il 26 novembre '91 mise in atto la minaccia che si protraeva da ormai un anno: Cossiga si autodenunciò chiedendo che gli fosse contestato il reato di cospirazione politica in riferimento alla vicenda Gladio. Due giorni dopo con un messaggio televisivo Cossiga annunciò le sue dimissioni con dieci settimane d'anticipo rispetto alla naturale scadenza del mandato.. Il 5 e 6 aprile si svolsero le elezioni politiche in un clima pesante e destabilizzato. lanciandosi in un'ultima pesantissima esternazione. In effetti.. De Mita è il meglio.]. i vari Evangelisti. In autunno andò in Germania. Il 23 gennaio 1992 con una lettera annunciò le sue dimissioni dalla DC e il 2 febbraio chiese lo scioglimento delle Camere.. Cossiga partì per una vacanza a Dublino. Ma la magistratura aveva ormai altro da fare e la Procura di Roma archivierà l'indagine. chiedendo anche di essere interrogato da tutti i Tribunali. I dirigenti DC la gente li prenderà a sassate per la strada. lui non mente. sono stati proprio alcuni degli ex andreottiani a infierire nelle testimonianze contro di lui. «Io sarò in strada tra la gente. Sbardella. allo sbando. e neppure di Andreotti: ma esalta il principale rivale del senatore. ma certamente non a torto la rivelazione di Andreotti sulla struttura segreta. Una simpatica gita. In che modo si è concluso il duello per la presidenza lo vedremo tra poco. Dopo anni di lotte intestine in Procura. Livatino stava indagando su un boss che abitava nella sua stessa strada e ne aveva ordinato l'arresto. la sua uccisione fu una feroce vendetta della stidda. sede operativa di Gladio. Un episodio sul quale i nemici di Falcone hanno molto speculato. Soltanto nel '93. ma il PM aveva spiccato nei suoi confronti un ordine di cattura per calunnia: il pentito aveva indicato un paio di esecutori materiali. Nella lettera non parla del "nuovo amico" Craxi. quindi le sue accuse erano destituite di fondamento. Ma tanto ormai la guerra fredda era finita. Ciriaco De Mita e attacca Forlani che gli è invece rimasto accanto. Dimenticare Palermo Fallita l'ipotesi di mandare a casa Cossiga. privati di macchine fotografiche e registratori. accusata di tanti misfatti. Andreotti capì finalmente che era venuto il momento di prendere le distanze dalla realtà siciliana: doveva dare un segnale forte del suo impegno antimafia. nel segno della nuova era. Nel giro di pochi mesi. Sandro Rovetta e Francesco Vecchio. quando Ciampi divenne presidente del Consiglio. le manovre di Andreotti per il Quirinale non si erano certamente esaurite. A ottobre a morire per questioni di appalti saranno due imprenditori catanesi. La Sicilia intanto era sempre terra di sangue: nel settembre '90 ad Agrigento fu ucciso il magistrato Rosario Livatino. e ministro della difesa era Fabio Fabbri. durante la quale dopo essere scesi dal pullman. era la prima concreta occasione che si presentava a Falcone . C'era stato un episodio che aveva contribuito ad alleggerire il clima: un pentito. viene da molti considerata l'atto ufficiale della fine della Prima Repubblica. Giù. il "giudice ragazzino": aveva solo trentadue anni. la mafia della zona. fu consentito ad alcuni giornalisti tra cui la sottoscritta di visitare la base militare di Capo Marrargiu. con l'aiuto del ministro della Giustizia Claudio Martelli e del fedele Vitalone riuscì a convincere Falcone a dimenticare le antiche ostilità e ad andare a Roma come direttore degli Affari Penali. aveva accusato Lima di essere il mandante dell'omicidio Dalla Chiesa. tanto ormai era liquidato. uno dei quali era in carcere il giorno del delitto.seppe Pellegriti. scortati a vista anche per raggiungere la toilette. senza mai poterci allontanare.Cossiga lanciò la sua ricandidatura in questo modo. quanto basta per far capire a chi era veramente diretto lo strale «contro il nemico che ha tradito». In ogni caso il magistrato accettò la proposta di Martelli. né ci fu modo di capire dove sarebbero stati condotti durante i progettati golpe gli enucleandi della Lista E. Non avemmo la sensazione che si trattasse di una base in via di smantellamento. fummo condotti in una sala conferenze. Ma era davvero soltanto un progetto di Cosa Nostra? Il 17 gennaio. attraverso tutti i filoni di indagine che aveva individuato. la Cassazione emise la sentenza confermando tutti gli ergastoli nei confronti dei capimafia. gli intrecci tra narcotraffico ed economia legale. oppure un traditore. La sua fissazione restavano i canali finanziari di Cosa Nostra. Perché la mafia uccide un potente? Perché è un nemico. Ma ritengo che gli avvenimenti di . Dunque quella di Runa. anche dei "vincenti". Falcone intuì che stava accadendo qualcosa di terribile. convinto che avrebbe potuto sedere su quella poltrona come soltanto lui sapeva fare. le accuse sui suoi elettori siciliani. imprenditori e politici a Milano. Se dobbiamo fare un'analisi obiettiva. «Spaccheremo le corna a tutti». era una scelta "politica". Falcone. il 12 marzo.per uscire dal Palazzo dei Veleni. Anche Andreotti era soddisfatto. i boss della Cupola. E naturalmente continuava a sperare che di lì a poco. Il 22 dicembre 1992 il primo avviso di garanzia metterà fine alla carriera di Craxi. com'era stato ribattezzato in quegli anni il Tribunale di Palermo. Come nell'87. una manovra a tenaglia contro DC e PSI per liquidare il sistema politico italiano per volontà di forze internazionali. pochi giorni prima della maxisentenza. era stato il grido di guerra di Totò Rima. il suo era un ambizioso progetto di ricostruzione dell'intera rete del crimine organizzato. Non era passato neppure un anno dall'arrivo di Falcone a Roma quando. per quella strada sarebbe riuscito a ottenere l'incarico di Procuratore Nazionale e così a coordinare le indagini antimafia di tutte le Procure. C'è chi vede negli omicidi e nelle stragi siciliane e nella messa sotto accusa di faccendieri. la mafia non si sentiva più garantita. e per vendetta aveva deciso di scendere nell'agone politico con un suo progetto autonomo: impedire ad Andreotti di diventare capo dello Stato. quattro mesi prima della richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Andreotti e Gava. non possiamo far finta di pensare che quegli interessi non esistessero. assassinando Salvo Lima. vedo un motivo che va oltre la spiegazione giudiziaria». Borsellino e Ignazio Salvo. Ma ricordiamo come Buscetta sia andato più in là: «Lima è stato ucciso per screditare Andreotti. che diventavano visibili nelle centrali del riciclaggio. condizionandolo. dove confluivano anche tangenti e affari sporchi. la collaborazione di Falcone lo aiutava a cancellare i fantasmi del passato. In quell'anno lavorò con grande energia. vista con gli occhi di un uomo che apparteneva allo stesso mondo. Una settimana prima a Palermo la Corte d'Appello aveva confermato la condanna a dieci anni nei confronti di Ciancimino. Quando mise in atto la minaccia. E quella primavera-estate Cosa Nostra ucciderà nemici e traditori: Lima. senza farsi condizionare dal potere politico: al contrario. Il 21 febbraio 1991 si trasferì armi e bagagli in via Arenula. fu arrestato Mario Chiesa. il 15 gennaio 1992. faccendiere craxiano: da quest'indagine prenderà avvio Mani Pulite. Anche il giudice e la moglie avrebbero potuto salvarsi. all'altezza di Capaci. Gli altri si aggiravano nervosi tra gli alberi. Era Gino La Barbera. di vedetta al bar Johnny Walker. mise in moto e prese a inseguirle sulla strada parallela in modo da poter calcolare la velocità: ottanta chilometri. finì in quel groviglio di lamiere contorte. Sette uomini in tutto. Capaci. però quel giorno non era venuto. orrendamente carbonizzati. 23 maggio 1992 Gli uomini sulla collina erano in attesa. vestiti come operai o contadini. «No. I sette sulla collina aspettavano in silenzio. una Croma bianca. maturata. Nino Gioè fumava una sigaretta dietro l'altra. Erano le diciassette e cinquantasei del 23 maggio 1992 sull'autostrada A-29. un amico. La prima auto si impennò come un cavallo impazzito nello stesso istante in cui il boato spezzò l'aria: i corpi di Montinaro. centodieci. Era il segnale. la seconda macchina. dove c'era un piazzale da cui si potevano vedere perfettamente le auto che sfilavano sull'autostrada sottostante.quel periodo furono anche il risultato di una crisi endogena del nostro sistema politico. parlottavano. se solo la vettura fosse stata poco più lontana dalla prima o se avessero allacciato le cinture: invece cessarono di vivere due . Francesca Morvillo. L'arciere aveva sbagliato di un istante. Brusca si posizionò a gambe aperte. lungo la parallela della Palermo-Trapani. quando la violentissima deflagrazione spalancò il manto stradale disintegrando una Fiat Croma blu. la Croma bianca dove viaggiavano Falcone. Il cellulare suonò di nuovo. «Pronto. prese la mira puntando il telecomando con la iattanza di un arciere del re. irriconoscibili. si schiantò contro il muro di sassi e cemento provocato dall'esplosione. quindici. cento. All'altezza di uno svincolo il boss deviò in direzione di Partinico: ormai mancava poco più di un chilometro.Di Cillo e Schifani uscirono dall'impatto a pezzi. seduta al suo fianco. guardava un punto fisso all'orizzonte dove le onde del mare si infrangono sugli scogli neri dell'Isola delle Femmine. un'altra Croma blu. Giovanni Brusca sembrava tranquillo. Passarono altri minuti: dieci. racconterà ai magistrati. venti. che era al volante. nel corso di lunghi anni: certamente l'occasione arrivò al momento giusto. «Non ho neppure sentito il botto». Pietro Rampulla era un estremista di destra. ha sbagliato». in bilico sulla bocca d'inferno che si era aperta all'improvviso sulla strada. l'aereo era atterrato a Punta Raisi. La prima telefonata era già arrivata. e l'autista Giuseppe Costanzo che era sul sedile posteriore. un tubo del diametro di circa un metro che correva sotto il manto stradale. Il cavo era stato già allacciato e anche il materasso era ormai posizionato in fondo alla condotta dell'ENEL. Fu l'unico che si salvò. Mario?». perché il vero obiettivo era la seconda vettura. e questi lavori li sapeva fare bene. come abbiamo visto. che sembravano prendere il fresco attardandosi in campagna alla fine di una giornata di lavoro. Il corteo delle Croma si avvicinava: quando le avvistò Gino risalì in macchina. aveva preferito starsene per i fatti suoi. la terza. dov'era nato. la moglie. il compagno di lavoro cui Falcone era più legato. c'era anche una sede "coperta" del SISDE. anzi la guerra di Cosa Nostra era appena cominciata e avrebbe reso ancor più evidente la sua folle strategia nella primavera-estate dell'anno successivo. fuori dal territorio dove si sentivano protetti. siciliano tra i siciliani. . anzi quel posto che Giovanni non aveva mai avuto: voci consistenti davano per imminente la sua nomina a Procuratore Nazionale Antimafia. un altro terribile boato scosse la quiete domenicale della città ferita: un'autobomba esplose poco dopo le quindici. a Roma. non in mare. a Roma. L'auto era stata parcheggiata sotto un palazzo dove. a quanto sembra. E chi è morto ha perso. Ma era un'altra mattanza quella che lo accolse. Non ci aveva voluto rinunciare alla "tonnara". per dare l'impressione di essere divenuti ormai onnipotenti e invincibili. come Buscetta. quando i boss riuscirono a portare l'attacco al cuore dello Stato fuori dalla Sicilia. quando i pescatori al largo della costa trapanese escono con le barche e vanno a pesca di tonni. ripeteva spesso. cinquantasette giorni dopo. Perché fu ucciso Borsellino? Per un motivo urgente. Paolo si accingeva a prendere il suo posto. Ma non era finita. portandosi via anche Borsellino. Falcone è morto a Palermo. anche se ormai viveva a Roma: aveva deciso di scendere giù nella sua terra. Firenze. ma su quel grigio asfalto che per tanti anni è rimasto dipinto di rosso. Sono morti così il giudice. Gli uomini che avevano imbottito la condotta ENEL di cinquecento chili di tritolo e Semtex T4. che va cercato nelle pieghe dell'inchiesta sui mandanti occulti delle stragi: Borsellino "aveva capito" cosa c'era dietro l'omicidio di Falcone. E morto a Palermo. in memoria del sangue versato dai servitori dello Stato. perso per sempre. il caposcorta e due agenti. si apprese poi. avevano azionato il telecomando ed erano rimasti impassibili a guardare. Il 14 maggio 1993 esplose un'autobomba in via Fauro. all'ultimo minuto. in via D'Amelio. che per Giovanni ogni anno segnava l'inizio dell'estate. perché in Sicilia vince chi è vivo. Quella sera tutte le campane hanno suonato a lutto.ore dopo all'Ospedale Civico di Palermo. nelle celle dei boss che festeggiavano la vittoria. a due passi dal teatro Parioli dove Maurizio Costando aveva appena finito di registrare una puntata del suo show serale. come il bottone di una giacca». con quella lunga scia di sangue che arrossa l'acqua del mare. Uno spettacolo magnifico e cruento. l'amico fraterno. Sono morti in una splendida giornata di maggio. Morti come Falcone aveva sempre saputo che sarebbero morti: «Quelli come noi possono saltare in aria da un momento all'altro. come gli uomini appostati sulla collina. ma ai rintocchi si contrapponeva l'eco delle bottiglie di champagne che venivano stappate all'Ucciardone. Il 19 luglio. Milano. lasciando sul tavolo di via Arenula tanto lavoro da sbrigare. la sua e dei suoi uomini. a Firenze. alle spalle dei Fori Imperiali. Che cosa era successo? Cercheremo di capirlo nelle pagine che seguono. frequentato da uomini che avevano a che fare con le cose siciliane. l'eco della terrificante esplosione di Capaci arrivò a Roma nel giro di pochi minuti. alle ore ventitré e venti del 27 luglio. dopo la scissione. e fu danneggiata anche Villa Reale. anche se alla fine è prevalsa la convinzione che la bomba fosse destinata a Costanzo e alla moglie Maria De Filippi. È rimasto questo dubbio. quando a Roma. e quella di Vassalli. sede della Galleria d'arte moderna.Il libro nero della Prima va consumando l'ultimo atto di quell'"ingorgo istituzionale" che da giorni bloccava l'elezione del capo dello Stato. non era più tempo di . cognato del maresciallo Lombardo e stretto collaboratore del giudice Borsellino. tritolo. sotto la Torre delle Pulci. quindici miliardi di danni. T4 e nitroglicerina) esplose in via dei Georgofili. statue.Non è mai stato chiaro in realtà quale fosse il vero obiettivo dell'attentato: quello in via Fauro era un ufficio particolare. erano già state bruciate un paio di candidature ufficiali: quella di Forlani. quasi in mezzo alla strada. Ma a due passi c'era anche la Galleria degli Uffizi: sono volate statue e sono andati distrutti tre dipinti del Cinquecento. dopo aver allontanato i passanti. Altri cinque morti: i quattro vigili e un marocchino che stava attraversando il parco colpito da un pezzo di copertone trasformato in un proiettile. altri trenta per ristrutturare gli edifici. Poi. era sceso al 16 per cento. che per protesta si era dimesso anche lui da segretario della DC. nelle stanze dove si sta. come il maggiore Antonio Canale. quasi contemporaneamente. esplosero altri due micidiali ordigni nei pressi della Basilica di San Giovanni e alla Chiesa del Velabro. Il governo si era ufficialmente dimesso il 24 aprile. Andreotti non era ufficialmente candidato e in realtà aveva pochissime chance: un abboccamento con il PDS di Occhetto aveva dato esito negativo. i vigili del fuoco. Il 27 maggio un altro ordigno ad alto potenziale (pentrite. quadri: ma perché la mafia ce l'aveva con le opere d'arte e i monumenti? Una domanda che si ripropose un'ora dopo. sede di un'importante accademia artistica. I boss posero fine alla guerra che avevano unilateralmente dichiarato allo Stato: non ci sono state più bombe né omicidi eccellenti. Due mesi dopo a Milano. E ci sono stati altri cinque morti: la famiglia del custode e uno studente che passava per strada. Altri miliardi di danni. si avvicinarono per aprire il cofano e la vettura esplose. perché quando è esplosa erano da poco passate le diciotto e i due noti conduttori televisivi erano appena usciti dal teatro Parioli. L!elezione di Scalfaro Quel pomeriggio del 23 maggio 1992. socialista. all'improvviso. un'altra esplosione: c'era un'auto fumante in via Palestro. che in quel momento avevano altro per la testa: il partito. Nessun leader del CAF sarebbe stato votato dagli ex comunisti. Le fiamme investirono i saloni del Padiglione d'Arte Contemporanea. ex ministro della Giustizia. è calato il silenzio. e con il senso che ormai fosse anche inutile. La sua risposta fu: la presidenza del Consiglio non è un incarico istituzionale. il . Ma lui. La tragedia che si era consumata a pochi chilometri da Palermo dava il senso della precarietà di ogni decisione. Quella strage si era abbattuta sul vuoto di idee.». La DC puntò invece su Scalfaro. presidente del Consiglio. soprattutto sospettava che dietro le manovre tangentizie che lo stavano affondando ci fosse proprio lui. fu eletto al primo voto e quasi all'unanimità. di segreterie e di futuro dei tre maggiori partiti: DC. uno alla volta. Alle diciassette del giorno dopo. ma come candidato di partito. dei suoi poteri trasversali e dei suoi dossier. Pomicino si fece sotto e propose di aggiungere anche Andreotti. alla fine a farcela poteva essere proprio lui.. di candidati. servivano a «screditare Andreotti».. a scrutinio già indetto. Oscar Luigi Scalfaro. piccola agenzia bene informata. C'era solo da aspettare che. vicina ai servizi segreti. pronto a cogliere il momento giusto. perfino con l'entusiastico consenso di Marco Pannella. com'era ormai palese. In queste riflessioni consumava l'attesa Andreotti. Forse era davvero la fine. PCI e PSI.. se la DC voleva presentare Andreotti lo facesse pure. Era una notizia terribile. fossero bruciati tutti i candidati ufficiali. anche per gli altri non sarebbe stato facile. ormai lacerati da contrasti e reciproci sospetti. diretta da Landò Dell'Amico. Ma Craxi si oppose: in quella situazione di emergenza il partito trasversale alla fine avrebbe vinto e lui non voleva. il 24 maggio. come se a tirare i fili della scelta che deputati e senatori stavano per compiere ci fosse qualcuno al di sopra di loro. secondo Buscetta. non ci aveva rinunciato del tutto e rimaneva in attesa: se non poteva essere eletto. Se nessuna delle candidature ufficiali veniva avallata. cioè a impedire che venisse eletto capo dello Stato. il grande escluso. e Scalfaro. si muovevano come fantasmi uomini su cui il mondo stava franando addosso. Era l'agenzia Repubblica. alla ricerca di una mediazione impossibile. Lima era stato ucciso soltanto da due mesi e ora la tragedia di Palermo stava a indicare quale fosse il segno di quegli spari a Mondello che. A ventiquattro ore dalla strage di Capaci il nuovo presidente. Alla fine fu partorita una proposta "istituzionale": i candidati non potevano che essere Spadolini. presidente del Senato. Era circolata nel pomeriggio precedente un'agenzia di stampa che aveva fatto uno strano lancio: «Un gran botto nelle prossime ore potrebbe accelerare l'elezione del capo dello Stato. presidente della Camera. Un partito che appoggiava Andreotti del resto c'era: andava dall'MSI agli ex comunisti. Il CAF si era frantumato e il segretario del PSI ormai diffidava di Andreotti. era il partito "personale" del Presidente che alla fine lo aveva sempre sostenuto. che sembrava riportare l'Italia indietro di anni. La mattinata era trascorsa all'antica. La notizia della strage si diffuse nelle stanze del Palazzo attorno alle diciotto. sullo stile di «OP». la "vecchia volpe".accordi trasversali. nel bene e nel male. . e neppure se ne era parlato alla riunione di Enna nel marzo '92. uno dopo l'altro. Calogero Ganci. Il fatto che il magistrato fosse consigliere del governo. la 41 bis. Gioacchino La Barbera e Santino Di Matteo. in una villa nelle campagne di Enna: lì fu deciso che bisognava uccidere sia Falcone che Lima. puntandogli addosso i «riflettori tramite agganci politici». aveva chiesto Salvatore Cancemi a Rina. All'odio e al rancore di sempre.laico "mangiapreti" che aveva appoggiato il più "confessionale" dei candidati possibili. sul movente della strage in via D'Amelio. E dure furono le reazioni dei capimafia in carcere. loro sono d'accordo». che non riusciva a emergere. Il gran botto di Palermo era servito a seppellire Andreotti? Dopo Falcone anche Borsellino Non è difficile capire perché la mafia abbia voluto la morte di Falcone: era il nemico storico di Cosa Nostra. «Ma proprio la guerra allo Stato dobbiamo fare?». al «gran botto» che aveva anticipato il voto sul Quirinale per impedire l'elezione di Andreotti. gli stessi pentiti hanno detto che era stata preparata in fretta. ben conoscendo la terribile repressione che le si sarebbe abbattuta addosso. Durante una riunione. Ma il boss dei boss si mostrava sicuro. si erano dunque aggiunti motivi più recenti. La stessa notte della bomba in via D'Amelio. tutti i boss furono trasferiti nelle carceri speciali e all'isola di Pianosa. c'era stato anche chi dentro la Commissione aveva tentato di frenare il progetto. gli consentiva di essere informato in tempo reale di qualsiasi progetto "coperto" del genere e di intervenire per bloccarlo. La prima volta che si era parlato di fare la guerra allo Stato era stato nel febbraio del '92. almeno così la pensava '"u Curto". perfino Calò era insorto: «A cu ci vinne 'sta bella pensata?». per poi eliminare. come hanno raccontato i pentiti che hanno partecipato alle stragi: Giovanni Brusca. tutti coloro che si fossero rivelati inutili o pericolosi per Cosa Nostra. pochi giorni dopo la sentenza in Cassazione. ancora loro: ma chi sono loro? C'era qualcosa in più. a meno di due mesi dalla prima strage. rispondeva con quel lampo satanico negli occhi che ogni tanto gli illumina la faccia di pacifico contadino della Coldiretti: «Non vi preoccupate. per ordine del ministro degli Interni Nicola Mancino. Totò Riina aveva anche dato una spiegazione "contingente": era stato Falcone a impedire ad Andreotti qualsiasi iniziativa di intervento sulla Cassazione. la mafia abbia proceduto nel suo piano di attacco al cuore dello Stato con un altro eclatante attentato. Qualcuno all'interno della mafia lo aveva previsto. che non faceva parte del piano elaborato alla fine del '91. poi ratificato da una norma speciale. contro cui i boss stanno ancora inutilmente combattendo. i "traditori" e i "nemici". Loro. Uccidere Falcone rientrava nel "gioco grande": l'odio della mafia si era saldato al progetto dell'ignoto stratega. Meno facile è spiegare come sia potuto accadere che. il suo più pericoloso avversario all'interno delle istituzioni dello Stato.La strategia delle bombe aveva avuto come unico frutto il carcere duro. Un sospetto era che la fonte delle informazioni di cui Falcone era in possesso potesse essere il ministro Martelli. e in tal modo poteva intervenire sui contatti che l'organizzazione per tale via instaurava con appartenenti alle istituzioni». anche nei confronti degli imprenditori e dei politici con i quali la mafia andava a trattare. all'interno di Cosa Nostra. ad esempio. Racconta ancora Siino che anche Salvatore Montalto. per via di quella campagna elettorale dell'87 in Sicilia che il Corsaro aveva finanziato e che aveva fatto decollare la carriera politica del delfino di Craxi. dove si annidavano gli intrecci tra narcotraffico ed economia legale ma anche i rapporti tra politica e imprenditoria mafiosa. nel precipitare degli eventi. era stata una dichiarazione pubblica di Falcone: «La mafia ormai è entrata in borsa». era molto . responsabile del settore edilizio. Il Tavolino Quella battuta sulla mafia quotata in borsa alle orecchie dei boss stava a dire che Falcone sapeva "chi stava seduto al tavolino". A cosa si riferiva? Racconteranno i pentiti che a creare grande allarme. grazie ai suoi colleghi in Svizzera (Carla Del Ponte e gli altri che erano con lui all'Addaura nell'89) poteva finalmente accedere al sancta sanctorum dei conti coperti delle banche elvetiche. La frase era stata pronunciata poco tempo dopo la quotazione in borsa del gruppo Ferruzzi. Dirà al processo il pentito Siino che il boss nisseno Giuseppe Madonia. si salderebbe con quella di via D'Amelio sul nodo dei grandi appalti. ai primi di luglio: «La pista da seguire parte dall'importanza delle indagini che Falcone stava compiendo sugli appalti poco prima di essere ucciso». il PM Luca Tescaroli sostiene: «Falcone seguendo questo filone aveva la possibilità di indagare.C'era qualcosa di poco chiaro. nell'apprendere quello che aveva detto Falcone. nell'accelerazione che avevano assunto i piani di morte degli uomini di Cosa Nostra. le indagini sul riciclaggio del denaro sporco si erano invece intensificate e. dunque. In realtà. disse il magistrato. oltre che sul fronte economico. Così la mafia definisce il tavolo di trattativa tra politici. Il tavolino era in quel momento oggetto di scontro anche all'interno di Cosa Nostra: Pino Lipari. il faccendiere di Provenzano. La strage di Capaci. Nella requisitoria sulla strage di Capaci. aveva detto poco tempo prima di morire. Una delle ipotesi è proprio questa: Falcone doveva essere indotto a lasciare Palermo perché si arenassero certe indagini che stavano portando alla luce i nuovi referenti politici e finanziari di Cosa Nostra. che aveva contatti diretti con Raul Gardini. sembrava preoccupato: «Ma a chistu cu ci 'u pur-ta a parlare di determinate cose?». da quando era arrivato in via Arenula. era saltato su una sedia: «Ma allora questo ha capito tutto!». imprenditori e capimafia. La strage di via d'Amelio sembra sia stata decisa dopo un intervento di Paolo Borsellino alla Casa Professa.delegato a sovrintendere alla gestione di tutti gli appalti in Sicilia. dove guarda caso c'erano camorra. Falcone aveva trovato un importantissimo alleato nella sua battaglia: Antonio Di Pietro. l'allora PM di Milano impegnato nelle nascenti indagini su Tangentopoli. al di sotto no perché lì ti ammazzano». aveva detto a Di Pietro: «Non bisogna perdere tempo. due o tre giorni prima della strage. astro nascente di Mani Pulite. E io mi chiedevo: ma come mai questi pagavano tutto fino a metà Italia e nell'altra metà. Tra maggio e aprile. Ma l'idea di come fare la rogatoria fu di Falcone. 'ndrangheta. i Buscemi erano in grado di raggiungere Raul Gardini». in tandem con Di Pietro. e su queste sono stati istruiti decine di processi a Milano. mi dici tutto ciò che c'è su questo conto corrente con riferimento all'imprenditore X e all'appalto Y». mi chieda tutto quello che vuole. il garante della pax. perché in questa storia ci sono sfaccettature diverse: una cosa è Mani Pulite del '92. che si erano intensificati nei giorni precedenti la strage. E anche quando Salvatore Buscemi fu arrestato non fu possibile liberarsi di loro. Nella maggior parte dei casi la formazione della provvista avveniva estero su estero. mi hanno dato la garanzia». tramite le società CISA e COGEFAR: «Attraverso l'ingegner Panzavolta [un manager del gruppo]. «Gli imprenditori stavano parlando. arrivare ai nuovi referenti di Cosa Nostra. anche dopo la sua morte: le indagini non s'interruppero. Fu allora che cominciai a capire il meccanismo tangentizio: la scoperta. quello che stabilisce chi nelle imprese lavora e chi no. Le banche risponderanno. la Ferruzzi. proprio lui. perché i fratelli avevano rapporti antichi proprio con il gruppo emergente. un'altra Mani Pulite del '93. Sacra Corona Unita e mafia. .infastidito dall'onnipotenza dei fratelli Antonino e Salvatore Buscemi. Falcone sapeva che attraverso quei canali avrebbe potuto smantellare "il tavolino". le rogatorie furono centinaia. il presunto killer di Pecorelli. documentazione estera delle operazioni». Falcone. anche quelli contro Previti e Berlusconi. di mazzette non se ne parlava? Il motivo me lo spiegò un imprenditore: «Dottò. È stato Di Pietro a parlare dei contatti avviati nella primavera del '92 tra lui e Falcone. e poi del '94 e '95. ha raccontato Di Pietro. Perché non c'è soltanto il politico e l'imprenditore. La rogatoria andava personalizzata. occorre formulare domande precise da girare alle autorità in Svizzera. Spiegò Di Pietro al processo di Capaci: Quello era l'inizio. davano indicazioni. spiegherà Angelo Siino. Autorità Svizzera. perché Nino si farà appoggiare nella gestione delle imprese da Angelo La Barbera: sì. nell'ultima telefonata. Ma Riina sosteneva che non si potevano toccare.]. le risposte dalla Svizzera arrivarono puntuali.. lì i soggetti sono tre: c'è anche il mafioso. E così fu. «tenevano in mano questo gruppo imprenditoriale in maniera molto forte». la presa d'atto è della primavera '92 [.. attraverso società estere e off-shore. Ho anche uno scritto di Falcone in cui mi dice: «individua l'appalto in modo che tu. sopra Napoli. Un progetto al tempo stesso misterioso e palese. c'era una grande tensione: «Bisogna fare presto. attraverso uomini vicini a Berlusconi: un progetto meno rivoluzionario. Dietro Capaci. facendolo partecipare al "tavolino". come tutte le stragi d'Italia. dietro la rabbia di Cosa Nostra c'è sempre qualcuno capace di muovere i fili dei burattini di turno e di trasformare i loro scomposti piani di morte in disegni strategici. In quella terribile estate molti si resero conto che bisognava colpire duro su questo fronte. Una storia finiva e un'altra cominciava.Una sola volta Di Pietro vide Borsellino. Ma non tutti erano d'accordo. la Lega Calabra. Scrive il PM Luca Tescaroli. in via Fani. L'intreccio mafia-appalti poteva portare lontano. Bernardo Provenzano. via D'Amelio. anche se non escludeva che fosse necessario ricorrere ad azioni che facessero "più rumore possibile". forse ai nuovi referenti o ai mandanti stessi delle stragi. lo stesso che abbiamo incontrato a piazza Fontana. che si presentò alle elezioni del '94. pochissimi conoscevano. la Lega Laziale e Sicilia Libera. Firenze e Milano c'era chi inseguiva più importanti progetti di destabilizzazione politica. aveva piazzato un suo uomo. non si fidava di queste leghe e neppure sembrava convinto che l'Italia andasse frantumata in mille pezzi. Nei folli contatti tra il capitano De Donno e Ciancimino. le cui linee direttive erano state definite nel settembre-ottobre '91. dopo la morte di Falcone. portano l'oscuro segno di un "lucido superpotere". molto presto». Leoluca Bagarella. nella seconda metà degli anni Ottanta. . E in effetti in quel periodo ci fu un pullulare di nuove formazioni politiche di tipo leghista: la Lega Italiana Pugliese. la mente "politica" di Cosa Nostra. le bombe di Roma. gli aveva detto il magistrato. spuntò addirittura l'idea di "infiltrare" l'ex sindaco di Palermo nel sistema mafia-appalti. lui doveva attuare soltanto una parte del piano. "Binnu 'u Tratturi" inseguiva l'obiettivo più modesto e concreto di agganciare Craxi. la Lega Nazional-Popolare. cose terribili. Ciancimino si tirò indietro: troppo pericoloso. I mandanti occulti Le stragi di Capaci e via d'Amelio. dietro l'utopia rivoluzionaria delle Brigate Rosse. dietro cui s'intravede ancora una volta l'ombra sfuggente del divino Licio. Lo andò a trovare a casa. cognato e delfino di Riina. Dietro la violenza neofascista. A tirare le fila delle varie leghe ci avrebbero pensato le logge massoniche. ancora incensurato. Poi non se ne fece più nulla. che in pochi. Quello doveva essere soltanto l'inizio: poi sarebbero successe altre cose. che abbiamo visto radicarsi al Sud dopo lo scioglimento della P2. Tullio Cannella. alla stazione di Bologna. Non era un'idea tutta sua. In quest'ultima formazione. Racconta il pentito Leonardo Messina che il progetto prevedeva la nascita delle leghe al Sud Italia. di Totò Riina. la Lega Centro Sud Isole. un suo progetto meno ambizioso. Ad esempio l'artificiere Pietro Rampulla. come abbiamo già accennato. L'ala più moderata di Cosa Nostra. dialetti. Ma ci sono altri segni. quella che faceva capo a Totò Riina e Bagarella.nella requisitoria al processo sulla strage di Capaci: «La linea dell'attacco ordito. almeno inizialmente sembrava puntare alla separazione della Sicilia. portare . E sarà quello che accadrà dopo le bombe dell'estate '93. raccontano i pentiti. L'esigenza di Cosa Nostra di trovare nuovi referenti politici potrebbe essersi saldata con la necessità. nella strage di Capaci. Alle elezioni del marzo '94 uscì vincente Forza Italia e Berlusconi riuscì a formare il suo governo. ma a una cesura protesa alla creazione di nuovi equilibri e alleanze che garantissero nuovi referenti politico-istituzionali-finanziari». in vista di una ridefinizione dei confini del mondo dopo la caduta del Muro di Berlino: quello che oggi chiamiamo «riequilibrio geopolitico». da parte di ben altre forze e ben altri interessi. Ma stavolta la separazione della Sicilia andava collocata nell'ambito di un più vasto progetto di frantumazione regionale. Insomma il dopo Yalta in Italia era cominciato con le stragi siciliane. sembra affondare le radici nel sogno americano della "sinarchia". non mirava a produrre una rottura fine a stessa. tentazione ricorrente ad ogni giro di boa della storia d'Italia. che lasciano intravedere l'intervento del "lucido manovratore". ma ex terrorista di destra. guardava con interesse a questa forza politica dopo aver rotto con la DC. diceva. legata a Provenzano. quando diceva che l'omicidio Lima e le stragi facevano parte di un unico disegno che andava ben al di là della "sconfitta giudiziaria" della mafia: «Vedo altre cose oltre queste». Sul luogo della strage fu rinvenuto un bigliettino di questo tenore: «Guasto numero 2. Cosa Nostra. come sarebbe accaduto un paio di anni dopo nella ex Jugoslavia. il governo globale. senza più ostacoli costituiti da altre potenze mondiali o altri governi: solo piccole realtà regionali da poter muovere agevolmente sullo scacchiere del mondo. è un elemento tutto sommato esterno a Cosa Nostra e non è l'unico. I due obiettivi non erano inconciliabili e forse aveva ragione Masino. Che è anche il sogno di alcune tra le più potenti massonerie internazionali. legato alla cosca dei Santapaola. come abbiamo visto nel dopoguerra con Salvatore Giuliano e alla fine degli anni Settanta con Sindona. catanese. che daranno l'ultima picconata alla Prima Repubblica. in nome di diversi culture. a far data dal 1991. Nel "gioco grande" degli anni Novanta una parte della mafia. inseguiva invece. di dare una spallata al sistema politico italiano. Un piano del genere non poteva essere farina del sacco di Totò Riina: appare ispirato da persone che hanno una più ampia capacità di analisi e di progettazione politica. che puntava al ricambio di alleanze politiche e finanziarie. etnie. interessi economici. liquidando Totò Runa. il 22 dicembre 1994. Cosa sia accaduto davvero nessuno lo sa. è subentrata una coalizione di centrosinistra che ha visto. Forse perché la mafia aveva pagato un prezzo troppo alto alla strategia di "attacco al cuore dello Stato" e ha detto basta. Storia di Nino Gioè La sera del 28 luglio 1993 un uomo se ne stava da solo. in nome dell'alternanza politica. chiamando attorno a sé con il cellulare gli uomini fidati delle istituzioni. il "ribaltone" ha portato alla caduta del governo Berlusconi e. sì. il primo afferma: «Falcone deve essere trasferito a Roma. quella sui mandanti occulti della strage di Capaci. Ma non ci sono state altre bombe: come mai? Forse per colpa dei pentiti che stavano parlando. In una telefonata tra il massone Salvatore Spinello. come il RUS del sequestro Moro. al più presto. ma che quelle bombe sarebbero esplose. come ogni giorno. La notte precedente era stata una notte di bombe. Però a un certo punto le stragi si sono fermate e anche i progetti di frantumare l'Italia non hanno avuto seguito. lo sapeva benissimo. come il futuro capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. Nell'inchiesta bis. Quella notte ci fu un misterioso blackout telefonico a Palazzo Chigi: Ciampi scese in piazza Montecitorio per dare agli italiani un segnale di mobilitazione. evoca sigle dietro cui sembrano celarsi gli ex reparti speciali Gladio. Eppure. molto vicino a Craxi. via Selci 26. e il tesoriere di Cosa Nostra Angelo Siino. il falco Bush senior era uscito imprevedibilmente sconfitto alle elezioni dell'autunno '92. non contrario all'ipotesi di un governo di sinistra in Italia. consentendo l'elezione del democratico Clinton. a rimuginare cupi pensieri. Forse perché ci sono stati uomini che non si sono arresi. l'ingresso degli ex comunisti al governo. GUS. alle prime luci dell'alba. Lui non sapeva quale sarebbe stata la notte delle bombe. Forse per capirlo può essere interessante riaffacciarsi per un attimo sul cratere di Cosa Nostra. Per . ormai stabilmente inglobati nel nostro servizio segreto. quando la televisione si era accesa da sola.assistenza settore numero 2. ha tenuto duro contro le bombe di Milano e Roma. forse per colpa dei magistrati che hanno spedito in carcere migliaia di boss. se no lo ammazzano». ascoltare dalla viva voce dei protagonisti come hanno vissuto quei due terribili anni che hanno cambiato la storia d'Italia. che la notte dei fuochi del 27-28 luglio 1993 quando era presidente del Consiglio. ma lui lo aveva scoperto soltanto la mattina dopo. legati al Grande Oriente d'Italia. chiuso nella sua cella di Rebibbia. emergono anche tracce di forti pressioni da parte di ambienti massonici. sul trasferimento a Roma di Falcone. che hanno saputo dare una risposta incisiva. Forse siamo stati anche un po' fortunati: nel frattempo c'era stato un mutamento nello scenario internazionale. Gruppo Unità Speciali. nientemeno. via Pacinotti»: accanto c'è il numero di un'utenza intestata a un funzionario del sisde. Il GUS. anche se era in carcere da quattro mesi. Santino Di Matteo. che spero possano servire a salvare degli innocenti e dei plagiati che solo per la mia mostruosità si troveranno coinvolti in vicende giudiziarie. lo aveva visto trasandato. Giovambattista Ferrante. indagando sul suo conto. il cugino prediletto di Frank. abbassava gli occhi. Quell'uomo era Nino Gioè. in quei due metri per due. lo sguardo allucinato. l'uomo del bar Johnny Walker. uno dei sette che il pomeriggio del 23 maggio 1992 si trovava sulla collina di Raffo Rosso.tutto il giorno non uscì dalla cella. sembrare sicuro di sé anche quando non lo è. con i capelli in disordine. irriconoscibile. Anche gli sbirri se ne erano accorti. come un leone in gabbia. non usciva quasi mai dalla cella. Pietro Rampulla. Giovanni Brusca. uno che contava. l'uomo accusato di aver strangolato a Londra Roberto Calvi. La sua sarà l'ultima storia. fedelissimi di Gianni De Gennaro. Due ore dopo lo troveranno impiccato alle inferriate della finestra: si era strangolato con i lacci delle scarpe. Nino Troia. E Nino Gioè non era uno qualsiasi. ma lui se ne stava abbastanza tranquillo nella cella accanto. La Barbera. gli agenti lo videro andare avanti e indietro. quel 28 luglio continuò a scrivere: Io rappresento la fine di tutto e penso che da domani o a breve i pentiti potranno tornarsene alle loro case. con la sua calligrafia grande e tonda. Gino gli aveva mandato un biglietto: «Perché non ti curi un po'?». sopra Capaci. il braccio di massima sicurezza. preferibilmente a gesti. il 23 marzo. io sono stato un mostro e lo sono stato fino a quando non ho preso la penna per scrivere queste due righe. Tra i pensieri che tormentavano Nino c'era quello che la polizia ce li aveva tutti nelle mani. Era preoccupato per Nino. Salvatore Biondino. certamente con . Al G7. Dietro la copertura della pompa di benzina. la barba lunga. Nove mesi dopo la strage di Capaci un pool di investigatori della DIA. come se una segreta malattia lo stesse rodendo. Per colpa sua. che ad Altofonte al nome di Gioè la gente chinava la testa. l'ultimo grande giallo che chiuderà la carrellata dei misteri legati all'ascesa e alla caduta di Giulio Andreotti. incrociandolo durante l'ora d'aria. E proprio per colpa sua. c'era anche Gino La Barbera. gestita dai cognati. era un capo. C'erano pensieri che da giorni tormentavano Nino: agli amici era parso inquieto. un parente dei Di Carlo. Una volta. curvo sul tavolo. curare il suo aspetto. era riuscito a identificare l'intero commando entrato in azione a Capaci: lui. Un uomo di Cosa Nostra in carcere deve mostrarsi in ordine. non perché si era pentito. c'era un uomo di "rispetto". ma perché aveva parlato troppo e un uomo d'onore invece deve parlare poco. Poi si mise seduto al tavolo e cominciò a scrivere: Stasera sto trovando la pace e la serenità che avevo perduto circa diciassette anni fa. lo avevano arrestato tre giorni dopo Gioè. Così. Perse queste due cose. passavano ore e ore a discutere. però. il pensiero che logorava Nino. Poi Nino. Quel pomeriggio. in via Ughetti. i boss del suo mandamento. e Gino non aveva mai pensato che lo avrebbe fatto davvero. i compaesani. dopo aver letto il mandato di cattura. Quelle che aveva scritto erano frasi all'apparenza senza senso. quando la sera da soli in quella maledetta mansarda dove si nascondevano. dietro le quali s'intuiva il desiderio di scagionare i suoi fratelli. all'inizio non . succederanno cose terribili». non direttamente. Ma perché diceva che era stato un mostro? Perché diceva che lui era la fine di tutto? Cos'era. quando erano scesi sotto il tunnel a sistemare l'esplosivo. L'attentatuni Anche gli uomini della DIA. commentare i fatti del giorno. A pensarci bene. oppure possiamo legarci i lacci delle scarpe al collo». Racconterà La Barbera ai magistrati che. Che Nino si era ucciso lo scoprì la mattina dopo. per uno come Nino. Forse. Il futuro del mondo è degli esseri normali e dei pentiti veri e questi ultimi se sono davvero onesti non possono far altro che confermare quanto ho scritto. l'unica scelta che abbiamo è finire all'ergastolo o ammazzati in un conflitto a fuoco con la polizia. sentì un gran trambusto nella cella accanto: rimase in attesa per capire cosa fosse successo. quanta gente avevano cacciato nei guai. aveva cercato di tranquillizzarlo: «Quando mai abbiamo perso un processo per delle intercettazioni?».molto più onore del mio che non ho. ma attraverso le chiacchierate con La Barbera. e La Barbera non ha mai creduto. Perché ad accusarli era stato lui. era tornato serio e aveva aggiunto: «Questo non è che l'inizio. che Gioè si fosse davvero ucciso. dove si parlava di intercettazioni telefoniche e ambientali. Queste ultime parole le aveva dette ridendo.lo avevano fatto in silenzio. Era stato lui a chiedergli: «Ma cosa stiamo facendo? Dove andiamo a finire in questo modo?». rievocare il passato. Ricordatelo. non sembrava più lui. "tutto"? Tutto non poteva che essere Cosa Nostra: era l'unico mondo che conosceva. giorno dopo giorno. come due cornuti. lì sotto il tunnel. Prima di andare chiedo perdono a mia madre e a Dio perché il loro amore non può avere ostacoli. E ora lui non riusciva a ricordarsi quello che avevano detto. quella lettera che scrisse non era proprio una lettera d'addio. o da Cosa Nostra se ci rifiutiamo. quando aveva cominciato a scrivere la lettera. poco dopo mezzanotte. il desiderio che lo animava era soltanto quello di rimediare a un errore. dopo Capaci. che gli sbirri potevano sentire tutto. Tutto il resto del mondo non potrà mai perdonarmi. Senza pensare. i suoi amici. Era questo il rimorso. oppure non ha voluto crederci. l'unico al quale sentiva di appartenere. Ma come potevano essere stati così cornuti Quella sera Gino. la Direzione Investigativa Antimafia. Nino gli aveva risposto con una voce che non sembrava neppure la sua: «Noi non possiamo fare niente. Anche lui si era chiesto in quei giorni cosa agitasse la mente dell'amico. Eppure era stata un'indagine vecchio stile. Di Petrillo decise che non bisognava avere fretta. dove Gioè andava a dormire. Neppure lui però credeva che ci sarebbe arrivato così presto. Per oltre un mese un furgone della DIA era rimasto parcheggiato nei pressi di quella mansarda. ma aveva giurato che li avrebbe presi. E se il cognato di Bagarella diceva una cosa del genere bisognava crederci. ddocu. e da Francesco Gratteri. era andato a Pianosa in elicottero. «Attento. tutti con la foto di Leoluca Bagarella e intestati a vari "Franco". Un pizzico di fortuna ci vuole sempre. gli affari.riuscivano a capacitarsi di tutto quel ben di dio che. che aveva l'officina dove facemmo l'attentatone'). al bar. Riuscirono a scoprire chi fosse quando fecero irruzione nell'appartamento: c'erano numerosi documenti falsi. mentre vedevano in televisione Colpo Grosso. in pizzeria. dicendo che voleva parlare soltanto con lui. le tangenti. parlavano: i discorsi più svariati sugli appalti. nominavano spesso anche "Franco". Non fu difficile identificare il covo di via Ughetti. Vedevano sbirri da tutte le parti: sull'autostrada. Le intercettazioni erano fitte di nomi. a Capaci. avia l'officina» ('Ti ricordi il carrozziere. Il capo della Polizia in quel periodo dirigeva la DIA. un uomo dell'aristocrazia mafiosa. i delitti. classica. l'attuale capo dello SCO. la partita era troppo importante. De Gennaro aveva antenne sensibili: lo sospettava già. scoprirono dopo che si trattava di La Barbera. è vero. ex dirigente della Mobile di Milano. C'era tutta la storia di Cosa Nostra degli ultimi anni: le liti. qualcuno in codice. ma non lì. lì no. dal questore Pippo Micalizio. la moglie di Leoluca Bagarella. vicino a dove rimasi ad aspettare. di polizia giudiziaria. Santapaola e "'u Malpassotu". che ormai si sentivano braccati. che aveva deciso di pentirsi sette giorni dopo la strage di Capaci. Un pezzo da novanta. perché ora toccherà a lei». «Seguite Nino e li troverete». Una sera. nella casa. Era Filippo Marchese. Quel nastro fu ascoltato e riascoltato decine di volte: . unni ci fidino 'u attentatuni. era l'unico posto dove si sentivano tranquilli. dai nastri ripuliti della Scientifica pioveva sul loro tavolo. e non era andato ai funerali del suo amico Falcone proprio per questo motivo. gli incontri. c'era stata la soffiata di un giovane mafioso. Vincenzina si ucciderà qualche anno dopo per la vergogna di quel tradimento. La squadra che indagava era formata dal maggiore Domenico Di Petrillo. appena Marchese gli aveva fatto avere il messaggio. Con lui quasi sempre c'era anche un altro. giorno dopo giorno. uno che sembrava decidere tutto. le liti interne al mandamento di San Giuseppe Jato. dove c'erano cimici piazzate dappertutto. il Servizio Centrale Operativo. All'inizio. altri no. Gino quasi distrattamente aveva detto a Gioè «Ti ricordi 'u carruzziere vicinu unni aspittati a Capaci? Ddocu. i contatti con i boss catanesi. E parlavano. dove avevano trovato rifugio i due boss. aveva detto Marchese a Gianni De Gennaro. lo aveva messo in guardia. fratello di Vincenzina. : Garantiamo che saranno centinaia. Marchese aveva detto la verità. che si sarebbero trasformati in micidiali proiettili al momento dell'esplosione.S. Nino Gioè sapeva quello che doveva succedere. E per gli uomini della strage di Capaci fu l'inizio della fine. Dopo queste ultime bombe. come fossero le Brigate Rosse. o meglio scrivevano un comunicato di rivendicazione. almeno apparentemente. Se non è esplosa. era terrorismo mafioso. raccontano i pentiti. La trattativa tra Stato e boss Questo è soltanto un pezzo della storia di Nino. Doveva esplodere al passaggio del pullman con i carabinieri. La macchina. poi compattati insieme da nastro adesivo. Mentre scriveva la sua ultima lettera. suo cognato Bagarella sembrava uscito fuori di testa. tra la gente. racconteranno poi i pentiti. . parodiava i comunicati delle Brigate Rosse degli anni Settanta. o forse no. e da tempo non capiva più niente di niente. P.non c'era dubbio. Ma c'è un altro pezzo di questa storia che è meno comprensibile: Gioè si è impiccato la sera dopo le bombe. alla fine della partita. forse fu una semplice coincidenza. È la storia di un boss in crisi. E ancora una volta. erano loro. fuori gli uomini di Cosa Nostra ne stavano scrivendo un'altra. informiamo la nazione che le prossime a venire saranno collocate solo di giorno in luoghi pubblici. i numeri dei cellulari erano gli stessi che si erano incrociati tra le 17 e le 22 del 23 maggio. diceva. con questo rudimentale ordigno. boss di Altofonte. tutto e subito. non perché era un pentito vero. Un breve messaggio. ma pensava che quella non era più mafia. Poi arrivarono i tabulati telefonici. Il linguaggio era scherzoso. Il 14 gennaio del 1994 doveva esserci un'altra strage senza precedenti. di cui due copie arrivarono a «Il Messaggero due al «Corriere della Sera». li avevano trovati. Cose da pazzi! Tutto quello che è accaduto è soltanto il prologo. è stato un miracolo. dentro erano stati mescolati anche pezzetti di piombo. perché lui di quelle bombe era il vero responsabile. era stata collocata davanti allo Stadio Olimpico. La parte più comprensibile. L'avventura era cominciata quando un uomo della DIA di Palermo aveva mandato a Roma questo telex: «Oggi un nucleo armato della nostra organizzazione ha fatto irruzione nel covo nemico». Se non è esplosa è stato soltanto perché quella volta il telecomando non ha funzionato. Saranno esclusivamente alla ricerca di vite umane. Dopo l'arresto di Totò Riina. ma perché era un coglione. ma per leggerezza. senza volerlo. Bisognava fare pressione sullo Stato per ottenere quello che avevano chiesto. ma il significato era importante: gli uomini della struttura investigativa erano riusciti a entrare nella mansarda dei boss e a piazzare cimici e microfoni senza che nessuno se ne accorgesse. che aveva perduto l'onore e la faccia non per scelta. Un enorme quantitativo di esplosivo era stato pressato dentro sacchi della spazzatura. che in quel periodo collaborava con il Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico dei Carabinieri . Dieci anni dopo. un gladiatore.Gioè era ormai morto da sei mesi. parlando di un personaggio di secondo piano ma che in quel momento era impegnato in una trattativa pericolosa e delicatissima. Forse sospettava che ne sapessi qualcosa: giocherellava. una volta mi diede un appuntamento promettendomi grandi rivelazioni. Bellini chiese a Gioè di aiutarlo. Cosa Nostra era in possesso di altre opere d'arte rubate. ma che quella sarebbe stata la strada da percorrere era già chiaro la sera in cui si è ucciso. Bernardo Brusca. Bellini-Da Silva riferì al maresciallo Tempesta che. ha precedenti per svariati reati. era minaccioso. poi si erano persi di vista. Il maresciallo Roberto Tempesta lo aveva incaricato di fornire indicazioni su alcune tele scomparse dalla Pinacoteca di Modena.andò a cercare Gioè. cercò di vendersi al meglio. cercava di uscirne vivo. a Sciacca. Non è un boss: è un avventuriero. dopo qualche tentennamento. Insomma prendeva tempo. era responsabile. risulta nato a Reggio Emilia nel '54. sudamericano. In quel periodo aveva preso l'abitudine di telefonarmi al giornale. del tutto inconsapevole del danno che potevo aver provocato. forse un agente provocatore. chissà. più di altri. di questo progetto non sapeva ancora niente. Bellini è un ex di Avanguardia Nazionale. Bellini-Da Silva . Nei primi anni Ottanta era un collaboratore del SISMI. una volta è stato perfino in carcere sotto falso nome. ma da quel momento scomparve. e così propose uno scambio: le tele in cambio degli arresti ospedalieri per alcuni boss come Luciano Liggio. E la . il direttore delle carceri Ugo Sisti lo stipendiava come informatore. Bellini capì di essere andato troppo avanti. tal Roberto Da Silva. non ricordo più a quale proposito avevo citato il suo nome in un articolo. Lì avevano fatto amicizia. che si pensava fossero state rubate dalla criminalità organizzata. Il suo vero nome è Paolo Bellini. lui ne parlò con i capi ed è a questo punto che scattò l'idea. Gioè lo aveva conosciuto in carcere. Pippo Calò. forse era possibile ottenere gli arresti ospedalieri ma soltanto per Brusca. ma è uno di quelli che girano con tanti nomi diversi e documenti diversi. Quando il 28 luglio scriveva: «Io sono la fine di tutto». risulta coinvolto nella strage di Bologna. rimasta fino a quel momento avvolta nel buio. disse di no: non poteva essere aperta una trattativa del genere. Dopo l'are » resto Bellini ha deciso di vuotare il sacco confessando la sua partecipazione a numerosi omicidi fin dai lontani anni Settanta. disse che ci stavano pensando. nel '91. nell'81. Per raccontare il secondo pezzo di questa storia dobbiamo introdurre un altro personaggio. Giovan Battista Pullarà e Giuseppe Gambino. Tra questi anche l'uccisione di Alceste Campanile. un ragazzo di 22 anni militante di Lotta Continua. forse pensava a tutte le carneficine che ci sarebbero state e di cui lui. ad aprire il discorso.storia di uno scoop mancato: forse sono stata fortunata. per colpa sua. già allora. gli chiesero anche se poteva dare indicazioni utili su chi potesse collaborare al progetto. come uccidere un'intera città!». Ma ormai era fatta. però ha raccontato un bel po' di cose utili a ricostruire la fine del banchiere. ad esempio. insomma c'ero interessato a questo discorso [. In quell'occasione era stato Nizzar Hindawi. dodici al massimo». diventa via via meno nitida. i monumenti. quando venne a interrogarmi. di origine palestinese ma agente dei servizi siriani. Il primo contatto tra il boss e agenti stranieri risale agli inizi del Novanta. Gli incontri segreti di Frank Di Carlo Ma dentro alla storia del suicidio di Gioè ci sono altre storie. Dio mi perdoni. E come aprire una matrioska: dentro una storia di mafia ce n'è un'altra e poi un'altra ancora. Perfino il giudice. ha ammesso Di Carlo. per il fatto di essere stato ingiustamente condannato a venticinque anni di carcere. «Ho indicato mio cugino Gioè». ormai collaboratore di giustizia tenuto in gran conto: ha negato di essere stato lui a strangolare Roberto Calvi. poco tempo dopo il fallito attentato all'Addaura. Bellini fece un salto: «Sarebbe una cosa terribile. rivelando retroscena interessanti. Parlando parlando. perché era odiato un po' da tutti. E io ci risposi: «È andata così». tanto per saggiare le reazioni. quando è persa. dov'era recluso. parlai a Hindawi che se c'era quest'idea potevano rivolgersi a mio cugino Gioè. i boss avevano capito che le opere d'arte. Così. un'opera d'arte no. Agli atti del processo sulle stragi del '92. dieci. nel Nord dell'Inghilterra.]. sapendo del suo rancore nei confronti del giudice a causa della condanna a venticinque anni che stava subendo. E anche io. E mi risulta che questo avvenne: dissero a mio cugino che volevano fare fuori il giudice con un finto reporter imbottito di tritolo. E Gioè lo sapeva. Ma il boss di Altofonte ha parlato anche della tragica fine del cugino. Racconta Di Carlo: Hindawi mi disse che da tempo si parlava in Italia di fare fuori Falcone. . disse Falcone. «Io ho fatto il mio dovere». disse Gioè. ci dissi.. quella iniziale. Bellini disse a Gioè una frase che fece scoccare una scintilla di luce nella mente di Bagarella offuscata dalla rabbia: «Una persona per quanto è importante può essere sostituita. agli arresti per l'attentato a un aereo con trecento persone a bordo avvenuto in Inghilterra. Ma io ce l'avevo con Falcone. che sarebbero successe cose terribili. potevano essere un obiettivo migliore di tanti altri. Di Carlo avrebbe avuto due incontri con agenti segreti di varie nazionalità che gli parlarono della possibilità che Falcone venisse ucciso e. «Dottore lei ha fatto bene così». E se facessimo saltare la Torre di Pisa.. che appariva chiarissima. mi disse che non se l'aspettava una condanna così pesante: «Non pensavo che ci dessero tutti questi anni. mentre stava infilato nel tunnel di Capaci insieme a La Barbera. c'è la testimonianza del cugino Frank Di Carlo. nel carcere di Fut-ton. Tra il '90 e il '91. è persa per sempre». capo di Cosa Nostra gli rispose abbastanza rapidamente: «Non preoccuparti. è venuta fuori proprio per una sollecitazione del Capo dei Capi. di Riina: è stato uno dei suoi avvocati a chiedere a Di Carlo. Anch'io avevo una certa esperienza di servizi segreti. Volevano sapere dell'omicidio Calvi. ma è sicuro che si è impiccato? Io dico una cosa.. più avanti non vorrei andare. gli fecero capire di essere andati a trovarlo per tutt'altro motivo: dopo aver parlato con Nizzar avevano pensa to che lui potesse indicare qualcuno interessato a organizzare un attenta to contro Falcone. anche persone che non c'entravano niente con Cosa Nostra. Ma le sorprese nel racconto di Di Carlo non finiscono qui: quello con Hindawi non fu un incontro organizzato.Questa storia del kamikaze mafioso. Poi cambiarono tono. di notte gli piombarono in cella quattro agenti segreti: uno soltanto era italiano. per quanto assurda possa sembrare. Ma io gli feci dire di andare cauto. Non si sarebbe trattato di un palestinese. se mi succede qualcosa. raccontata da Di Carlo. anche lui mi ha detto: «Hanno mezza Italia nelle mani. trova conferma nel racconto di un altro pentito. Di questo secondo incontro ritenne di dover informare Totò Riina. se non raccontava tutto lo avrebbero fatto sparire: questo fu l'inizio. forse mi voleva . anche lui doveva tirarsi indietro. che prima di Di Carlo aveva raccontato ai giudici di averne sentito parlare da Salvatore Biondino.. ma il giorno dopo andò a protestare con il direttore: «Mi rispose che quando si tratta di certe presenze. Un'idea campata per aria. non poteva fare niente». sicuramente. La cosa interessante è che la storia. Ma è stato dopo questo primo contatto che. un altro dei sette sulla collina. minacciarono. gli altri quasi certamente angloamericani. che non divenne mai operativa neppure a livello di progettazione. però visto come camminano le cose. ma del figlio di un uomo d'onore di Santa Maria del Gesù. Un messaggio da non sottovalutare. al quale inviò una lettera tramite alcuni parenti che erano andati a trovarlo a Futton. ma poi in sede istruttoria è stato più esplicito: Questa è la storia. e loro mi fecero sapere di non preoccuparmi «perché presto finirà questa situazione». almeno all'apparenza. Francesco Onorato. non morirò per mano di Cosa Nostra. nel '91. Di Carlo fece nuovamente il nome del cugino Gioè. in aula. Come è morto mio cugino Gioè. con il quale Frank si era ritrovato dopo un periodo di separazione. se era vero che a Londra aveva subito minacce dai servizi segreti. avendo avuto per amico un generale che comandava i servizi segreti a Roma. presto tutto andrà a posto». Io feci avere per tramite di mio fratello una lettera a Nino. Nizzar era in realtà un ex compagno di cella.. perché informasse Riina. Di Carlo all'avvocato rispose in modo evasivo. Poi mio cugino Gioè mi ha fatto sapere di aver avuto degli incontri. malato terminale. possiamo fare tante cose». Questi mi vengono a dire che a Falcone non lo poteva vedere mezz'Italia.. nell'estate '93. però vedi che al minuto opportuno scaricano. tramite lui. come la strage al treno di Natale di Pippo Calò.. L'altra gestita con emissari dei servizi segreti. Persone appartenenti a vari servizi segreti internazionali. Tre giorni dopo. che si era appena . Il boss suicida era dunque al centro di una duplice trattativa: quella avviata con Bellini e i carabinieri. il 20 luglio 1993. s'intuisce dalle ultime parole del cugino Frank. erano entrate in contatto. che finalmente rendevano possibile quello che mai i boss avevano sperato di poter fare.. il Corsaro della Ferruzzi. il maggiordomo di Palazzo Belgioioso trova riverso sul letto Raul Gardini. dimostra che a Cosa Nostra erano state fatte promesse. Il tormento che lo logorava. Quella frase che Di Carlo attribuisce al cugino: «Hanno mezz'Italia nelle mani. Poi erano stati scaricati: i boss venivano arrestati uno dopo l'altro. Altri suicidi di mezz'estate Quello di Nino Gioè non fu l'unico suicidio di quella tragica estate. ma era una persona per bene. in nome di "cointeressenze" ad altissimo livello. Il lungo racconto di Di Carlo si conclude così: Io non so se mio cugino si era esposto tanto o poco. era precedente alla scoperta di essere stato intercettato dalla DIA ed era legato alla preoccupazione di essere stato usato e scaricato: qualcuno non si era più presentato agli appuntamenti dopo la strage di Capaci. nasconde cupi sogni di vendetta da parte di chi. Ricapitoliamo. iddi. L'unica cosa che potevo dire era questa. però l'ultima volta che l'ho sentito. sono d'accordo». di varie nazionalità. potevano uccidere chi volevano: «Iddi. Ecco io. forse per agganciarmi. era molto giù ed era preoccupato. Il folle progetto della strage allo Stadio Olimpico. con Nino Gioè. i favori li fanno. nei bagni del carcere di San Vittore dov'era andato per farsi la doccia. a mio cugino cercavo di guidarlo un po'. possiamo fare tante cose». non c'erano andati più. con i quali Nino si incontrava per conto di Toto riina prima delle stragi di Palermo. Potevano «fare tante cose». che ha innescato la strategia degli attentati contro il patrimonio artistico provocando. gli dicevo: «Beh. aveva detto Totò Riina a Cancemi.agganciare. finiva per pagare da solo l'amaro prezzo della punizione. Appena una settimana prima. con in testa un sacchetto di plastica. Poi so che è stato arrestato e ha fatto la fine che ha fatto. loro. stai attento sempre». il presidente dell'ENI Gabriele Cagliari viene trovato morto per soffocamento. non l'avevo più visto all'appuntamento. cosa c'era in Italia. Ammesso che il boss non abbia mentito. e ammesso che io sia riuscita a capire bene il significato di un lungo verbale di interrogatorio in siciliano stretto. per questa mia esperienza. ma a quanto sembra operanti a Roma. alle sette del mattino. come racconta Frank. dieci morti e danni per decine di miliardi. però era il capo dei servizi segreti e mi aveva raccontato più o meno. dalle parole di Di Carlo emerge uno scenario inquietante. dopo essere stato coinvolto in operazioni segrete. sul tardi. quando era stato estromesso dalla gestione della Ferruzzi e gli erano subentrati il cognato Carlo Sama e l'amministratore Giuseppe Garofano. Cagliari da giorni sperava di essere scarcerato. ma il 19 luglio era stato arrestato Ligresti che aveva fornito una versione diversa rispetto a quella del presidente dell'ENL. più o meno consapevolmente. Gardini ha già fatto la doccia. Certamente. E gravissime furono le polemiche che travolsero i magistrati di Milano: il procuratore capo Saverio Borrelli. ma lui sperava di evitarlo mostrandosi disposto a una piena collaborazione. Quella mattina. eccellente. nel '91. Una decina di giorni prima aveva scritto alla moglie e ai figli una lettera disperata. provocò nel presidente dell'ENl una profonda prostrazione. non appena lo seppe. scoppiò a piangere in ascensore. Un suicidio a prova di bomba. ed è proprio mentre si accinge a fare colazione che l'occhio gli cade su un titolo di prima pagina della «Repubblica»: "Tangenti. buona parte dei quali versati ai partiti a conclusione di un accordo esclusivo tra Peni e la società assicuratrice SAI di Salvatore Ligresti: grazie al mazzettone era stata esclusa l'INA. Appena settantadue ore dopo. ecco un altro suicidio. Ma non era finita. la delusione per la mancata libertà. Il manager reagì male: l'arresto lo aveva particolarmente provato. in cui chiedeva perdono per un «nuovo grande dolore» che si accingeva a dare alla famiglia. per far pressione sui giudici. Lo scandalo che aveva travolto il top-manager socialista riguardava una maxitangente da diciassette miliardi. estrae la Walter ppk e si spara un colpo in testa. avvenuto quarantot-t'ore prima. tornato in libertà. eccellentissimo. Gardini è l'unico dei tre compagni di sventura a non lasciar lettere che possano spiegare il motivo .sparato un colpo alla tempia con una Walter ppk. Alle sette di mattina. così almeno aveva lasciato intendere il PM Fabio De Pasquale. avrebbe dovuto incontrare i magistrati per definire la sua situazione: c'era nell'aria un ordine di cattura. Ma è anche vero che le lettere di disperazione e le minacce di suicidio fanno parte del bagaglio di manovre cui ricorrono tutti i detenuti. A preoccuparlo era stato l'arresto di Garofano. Aveva scritto anche un testamento nel quale chiedeva di essere cremato. che a un certo punto era sembrata imminente. è ancora in accappatoio quando gli portano i giornali. il cappuccino e un croissant.Garofano accusa Gardini". Una storia che Garofano conosceva benissimo. ed è probabile che sia andata proprio così. Per il Corsaro Gardini la discesa era cominciata l'anno prima. Partiamo dal primo suicidio. apre il cassetto della scrivania. Al centro delle accuse che riguardavano lui e la Ferruzzi c'era la maxitangente Enimont. potesse inquinare le prove e l'ordine di scarcerazione non fu emesso. Il Corsaro capisce che è finita (questa almeno è la spiegazione più semplice). La Procura di Milano temette che Cagliari. quei due miliardi e mezzo versati alla DC. Il reggente sono loro. non è più Totò Rima. ma anche da una lunga fase di odi e lacerazioni politiche che hanno spaccato in due il paese. Già. potrebbe racchiudere la soluzione del mistero della loro morte: tutti e tre si sono uccisi subito dopo essersi fatti una doccia. Ma come mai si trovava lì. quella seconda metà del Novecento che ci appare già tanto lontana.. stanno fumando una sigaretta. è vero. E La Barbera: «'U reggente su' iddi. Gardini sono uomini lontani tra loro.Fantasie di un giorno di mezza estate di tanti anni fa. hanno però in comune due elementi. Gioè risponde sottovoce: «Gente pericolosa sono». siamo arrivati alla fine della nostra storia. Le loro storie.del suo gesto. quando tre uomini potenti e diversi se ne sono andati per sempre portandosi via i loro segreti. e al tempo stesso il sottile stratega delle trame occulte.. apparentemente stranissimo. diviso da ideologie e schieramenti che affondavano le loro radici nella Resistenza antifascista. La Barbera dice: «C'è un certo discorso politico da fare. consapevoli di essere al centro di vicende per le quali l'Italia in quel momento stava franando. Il primo è la Sicilia con i suoi tentacoli. ma può servire a cancellare tracce. ad esempio di cloroformio. il cui fallimento rischiava di travolgere le rispettive famiglie. diciamo pure omicidio dopo omicidio e strage dopo strage. Sono Gioè e La Barbera. i cui destini non avrebbero mai potuto essere accomunati. lui è soltanto un «pupo». chiusi nella solitudine del covo di via Ughetti. Tornano alla mente le voci basse di due boss di Cosa Nostra. O subito prima. iddi. Iddi chi? Conclusioni Passo dopo passo. noi non abbiamo un reggente. attutite dai microfoni nascosti della DIA. avevano deciso di togliersi la vita. se non dal fatto che hanno deciso di togliersi la vita nella terza settimana del luglio 1993. ma si scoprì poi che risaliva al Natale precedente ed era la risposta a un regalo che aveva ricevuto dalla moglie. dicono i boss. abbiamo un pupo». in bella vista? Tre uomini in crisi. Sul comodino fu trovato. forse sono sdraiati. risponde la "vocina". Il Reggente. mentre l'Italia stava saltando in aria tra scandali e bombe. replico io. nelle aule giudiziarie. La storia di Andreotti che. così diverse. È stato un periodo caratterizzato da profondi cambiamenti e rivoluzioni sociali che hanno trasformato la nostra Italietta provinciale e contadina in un paese moderno e industrializzato. si è via via trasformata nel processo a un'intera epoca.». e al termine di un'altra dura giornata da latitanti si confidano tra loro in siciliano stretto. Tutto qui. lo . Un morto non si fa la doccia. Gioè. In questo scenario Andreotti è stato l'uomo che ha rappresentato la crescita economica e il progresso sociale dell'Italia. Cagliari. il capo che può prendere le decisioni. mi fa notare una "vocina" amica. un bigliettino con scritto sopra un semplice «grazie». tra i fruscii del nastro registrato che scorre lentamente. Il secondo. che arrivano da una lontananza infinita. Quando il processo fu spezzato in due. ma verranno fuori prima o poi. come l'Italia. visto che dall'armadio di Andreotti aveva tirato fuori a colpo sicuro il grande scheletro dell'affare Moro. Per ora il Memoriale. Per questo magistrati e politologi sono da tempo concordi nell'affermare che a giudicare Andreotti ci penserà la Storia. Ma è pur vero che la storia giudica su documenti e per Andreotti non potrà prescindere dalle migliaia e migliaia di pagine prodotte dai tribunali di Palermo e Perugia. come un Borgia o un papa nero. dopo dieci anni di processi nelle aule giudiziarie. la maggior parte degli osservatori aveva guardato con maggiore preoccupazione all'accusa rivolta ad Andreotti dai magistrati di Palermo che sembrava voler colpire. anzi il fantasma del Memoriale. Ma per Andreotti. il legame tra mafia e politica. Il giudizio storico è una categoria rassicurante. era stata accolta con scetticismo e a moltissimi era sembrata non soltanto "inaccettabile". Tanto che. non erano in ballo il voto di scambio o altri piccoli traffici tra mafia e potere che coinvolgevano in quegli anni gran parte del mondo politico. nel suo punto più alto e simbolico. ma i patti strategici tra Cosa Nostra e Stato e quei grandi misteri italiani di cui lui. era da sempre ritenuto il geloso custode. che lo indicava come il mandante del delitto Pecorelli. ma soprattutto contro di lui. Andreotti. La morte di Pecorelli e quei fogli scomparsi sono stati una perenne arma di ricatto e di minaccia nella vita politica italiana. Probabilmente sono ancora ben al sicuro dentro qualche cassaforte blindata. che hanno osato mettere sotto accusa l'uomo più potente d'Italia. depositario degli inconfessabili segreti del potere temporale. L'altra. cioè il Memoriale. da confessionale e non da aula giudiziaria. da cui è derivato l'inquinamento della vita politica italiana e quella diffusa cultura dell'illegalità che hanno caratterizzato la Prima Repubblica. già lo sapevamo. dove a determinare assoluzioni e condanne sono le alchimie dei codici o ciò che viene definito il «libero convincimento dei giudici». Quella cinquantina di pagine brucianti di accuse del presidente DC contro i compagni di partito. ma anche assai difficile da dimostrare. Anche lui. Se c'era un "lucido manovratore" doveva essere assai abile. è stato il legame . Sono documenti che confermano la forte presenza nella sua corrente politica di uomini legati a Cosa Nostra. su cui nessuno dei vivi può più testimoniare. come ha sempre profetizzato Licio Gelli. dislocato com'è nel tempo e a debita distanza dai fatti che è chiamato a valutare. l'innocenza o la colpevolezza del senatore sono ancora in bilico sulla bilancia della giustizia: forse perché l'innocenza o la colpevolezza sono valori assoluti. insieme alle bobine dei film o alle registrazioni dell'interrogatorio nel Carcere del Popolo. diviso in due tra Bene e Male.spregiudicato assertore di un Potere chiamato a rispondere soltanto a se stesso. Nel processo Andreotti. Il canto di Mino era notturno e solitario come quello di un uccello impazzito. Il giudice di Andreotti si rammarica però di non essere riuscito a individuare la prigione Moro. in cui gli ebrei hanno raccolto nel tempo i loro depositi di tessuti. E poi il ruolo degli "agenti tripli". Parlava di una trattativa segreta tra Stato e BR di cui nessuno era a conoscenza. Ebbene. che l'ultima prigione era certamente nel Ghetto. nelle motivazioni. sono apparsi molto più comprensibili di un tempo. e si è trasferito lì. Nel primo se ne è parlato poco. e «altri» che lo volevano morto. dove Moro sarebbe stato ucciso. sono state celebrate tutte le tappe del rapimento e dell'omicidio del presidente D( . vent'anni dopo. Moro fu ucciso la mattina del 9 maggio. riletti a distanza di tanti anni. Il presidente della Corte d'Assise d'Appello Lino Gabriele Verrina. quando Cossiga al Viminale aspettava da un minuto all'altro la notizia della sua liberazione. a non più di cinquanta metri da via Caetani. che a suo dire si nascondeva dietro le mura di Palazzo Caetani. scriveva. oppure l'ostaggio era passato di mano. invece se n'è parlato molto. come credo. vero? Peccato che il documento dei ROS non sia mai stato trasmesso ai giudici di Perugia! Se è vero. dove temeva di rimanere ucciso in un conflitto a fuoco tra carabinieri: quelli di Dalla Chiesa. ritiene di aver dimostrato che il documento che Pecorelli si accingeva a pubblicare fosse proprio il Memoriale: e che questo è stato il movente del suo omicidio. una perizia dei ROS agli atti del Parlamento. di fatto. come sappiamo. ha confermato. della mafia e della fantomatica Gladio. in una sede giudiziaria impropria. diceva. almeno nell'ultima settimana di vita. Che storia straordinaria.. l'unico vero processo sui mandanti occulti del più grave delitto politico della Prima Repubblica. come poi ha raccontato tante volte. Dove? Forse nelle segrete che circondano Portico d'Ottavia. ma anche la prigione dove lo statista è stato segregato. e soltanto per negarne l'esistenza. due anni prima della sentenza."inconfessato" tra due processi: quello Moro e quello Andreotti. ma in un"'altra prigione". quando all'improvviso qualcuno «aveva alzato il prezzo e tradito il patto». una dopo l'altra. grazie ai segreti che il giornalista Pecorelli aveva fatto in tempo a rivelare mentre era in vita. consegnato a sconosciuti mercenari? Nei suoi scritti corsari il giornalista avanzava questi sospetti: l'ostaggio negli ultimi giorni non era più nelle mani delle BR. Il Memoriale. quella rete sotterranea di cunicoli e passaggi fatta costruire da Bonifacio Vili. proseguita fino all'ultima ora: perché la liberazione di Moro era stata decisa. Nel frattempo le Brigate Rosse avevano "eseguito" la sentenza. Il processo di Perugia ha riportato alla luce questi frammenti di verità che. Ma furono davvero le Brigate Rosse a uccidere Moro. che lo volevano liberare. In questo tribunale di provincia. che l'intreccio Dalla Chiesa-Pecorelli . in quegli stessi giorni viene allestita la mastodontica messa in scena del Lago della Duchessa che sono in molti a interpretare come un segnale di morte. ha detto Buscetta spiegando che l'omicidio Lima e la strage di Capaci facevano parte di un unico piano finalizzato a impedire che fosse nominato capo di Stato. Il complotto. Per liquidare Andreotti è bastato tirare fuori un vecchio scheletro dall'armadio. Ma perché qualcuno ha voluto che tornassimo su questa sporca faccenda. come gli interessati sostenitori di questa teoria nell'ultimo periodo del processo sono sembrati propensi a sostenere. può essere considerato un complotto. in quel penitenziario del Nord che nel 78-79 ospitava sia boss che terroristi. i capi di Stato che lo avevano omaggiato? Tutti al suo fianco. semmai la logica conseguenza. come il senatore Vitalone. Neppure il ritorno di Masino in Italia. o quanto ha detto nelle aule giudiziarie. rivelato da Buscetta. Quello dell'intreccio Pecorelli-Dalla Chiesa. anche se il senatore dice: «È una parola che non mi piace». a cui personalmente credo. Dov'erano gli amici di un tempo. all'improvviso era diventato una semplice pedina dello scacchiere internazionale. induce a riflettere: perché mai a un certo punto uomini vicini ad Andreotti. invece. Frammenti di verità. Ma non un complotto giudiziario. bisogna capire meglio le "semplici" verità di Buscetta. cioè il Memoriale. Proprio lui. Più che un intreccio. hanno tentato di avviare un canale con i brigatisti. Le sue parole hanno molti strati di lettura: me ne sono resa conto ogni volta che a distanza di tempo mi sono ritrovata a leggere i suoi verbali. pronti a testimoniare in suo favore: da Kissinger a Gheddafi. Così era stato detto all'inizio del processo.conduceva a una rilettura del caso Moro. Allora è stato un complotto? Forse sì. Quando Buscetta ad esempio racconta di essere stato coinvolto nella trattativa che si era aperta nel carcere di Cuneo. ha assunto . non se n'è fatto niente. il grande vecchio della politica italiana. un invito alle Brigate Rosse a seppellire ogni speranza di trattativa? La risposta a tutti questi interrogativi può essere semplice: non si voleva affatto liberare Moro. non ci si rende subito conto che questa affermazione apre uno scenario che capovolge l'intera ricostruzione dei fatti: questa storia della caccia al Memoriale da parte di Dalla Chiesa e Pecorelli. allora. se il governo non era disposto a concedere alcuna contropartita in cambio della liberazione di Moro? Allora bisogna credere che il presidente del Consiglio non fosse poi così inflessibile. quando la ferita infetta dal terrorismo si era ormai rimarginata? A cosa serviva? Semplice: «A denigrare Andreotti». attraverso la malavita. soltanto recuperare i verbali dell'interrogatorio. che dietro la linea ufficiale della fermezza qualcosa si stava muovendo per salvare Moro: come affermano i giudici d'appello di Palermo! Perché. un abisso di misteri all'interno del quale il pentito ci ha guidato per svelare il fondale del sequestro Moro e il ruolo della mafia nei segreti d'Italia. gli eventi che hanno caratterizzato la fine degli anni Ottanta. come tutte le stragi d'Italia. ma un lungo periodo di destabilizzazione che avrebbe trasformato il mondo in un immenso campo di guerra. abbiamo indicazioni ancora troppo esigue per dirlo. che faceva parte di un piano d'intervento di cui a tutt'oggi non si riesce a definire per intero le finalità ma che certamente era destinato a riequilibrare i poteri in un paese che manteneva un ruolo strategico nel destino del Mediterraneo. oltre che sul suo personale destino. Cosa sia avvenuto nell'ultimo decennio. Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta. a partire dal '94 abbiamo visto realizzarsi almeno parzialmente quel progetto che conoscevamo come Piano di Rinascita Nazionale. neutralizzandola. Un piano che prevedeva la fine dei partiti e la nascita di un'Italia bipolare e presidenziale cui erano interessate forze italiane e straniere. ancor più che nel passato: non c'erano più spazi per manovre trasversali. nell'era post democristiana. La strage di Capaci. Con la caduta del Muro di Berlino non stava affatto per cominciare la nuova era della pace mondiale. Dunque. proprio quello che il divino Licio. Montinaro. la politica estera dell'Italia doveva restare fortemente ancorata agli interessi americani. a partire dallo "strappo" di Sigonella fino alle imprevedibili rivelazioni di Andreotti sul ruolo di Gladio. ha avuto l'accortezza di farci ritrovare nella valigia della figlia Maria Grazia. Un paese a sovranità limitata. i contrasti con la comunità europea. In questo nuovo contesto. Schifani e Di Cillo. Sì. già prefigurano il tramonto della Prima Repubblica. è stata un'operazione di guerra non ortodossa. dal suo rifugio all'estero.come sempre la forma della strage: è il "gran botto" di Capaci in cui hanno perso la vita Giovanni Falcone. com'era stato dalla fine della seconda guerra mondiale e come continuava ad essere. Un evento nefasto per i nuovi equilibri internazionali o per i nuovi "assetti geopolitici". uomo troppo accorto e informato per non capire che la fine della guerra fredda avrebbe avuto conseguenze immediate sulla politica italiana. anche la nuova sinistra democratica. Quando in un giorno di mezz'estate del 1990 ha svelato i piani e gli apparati della guerra segreta. quando Andreotti ancora rischiava di diventare il capo dello Stato. E la fine del comunismo era un'ottima occasione per assimilare nel progetto. come si dice oggi. Certo. con la nomina anticipata a presidente della Repubblica. il 23 maggio 1992. e in questi ultimi tempi il ruolo dell'Italia nella guerra in Iraq. e cosa stia avvenendo oggi. quelle leve di comando che avrebbero potuto dare un corso diverso agli eventi. Ma non gli è stato . il sostegno ad ogni operazione bellica del governo Bush dimostrano come il "lucido manovratore" avesse visto giusto. Andreotti aveva forse intuito cosa si stava preparando e il suo pragmatismo lo aveva spinto ad agire nell'immediato progetto di assumere lui. Una partita titanica che ha visto per protagonista proprio Andreotti. che alla fine degli anni Novanta. da lui presieduta. per oltre vent'anni. Nella veste di presidente della Commissione Stragi ha ricostruito gli avvenimenti che per decenni hanno insanguinato l'Italia. in più occasioni. Allora. per due legislature consecutive. sono sopravvissuti e scalpitano alla ricerca di nuovi spazi. fin quando gli è stato consentito. Ma con Andreotti metà assolto e metà condannato non c'è per ora il rischio che il passato ritorni. Una vicinanza al Senato che sottolinea lo stretto legame che esiste ancora per lui tra l'impegno politico e quello professionale. è stato almeno incrinato quel "muro di gomma" che ha impedito. In questi undici anni è stato presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato e poi. Appendice Misteri e certezze Intervista a Giovanni Pellegrino L'avvocato Giovanni Pellegrino è stato senatore dei DS dal 1990 al 2001. va alla ricerca del loro significato più profondo. Come presidente della Giunta si è trovato a decidere se concedere o meno l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Molti ex democristiani. o invece in una nota a pie di pagina. Se ne andrà in silenzio. per via di alcuni strani delitti di fine millennio che non hanno mai trovato soluzione. gli hanno imposto di occuparsi di Andreotti o di vicende collegate ai processi di cui è stato protagonista in questi anni il senatore a vita. Quanto alla Storia. Nel concludere la sua esperienza . con i suoi piccoli passi felpati. di dare una spiegazione a molti misteri. E grazie al lavoro della Commissione Stragi. direte. nell'affrontare le emergenze della vita e della politica. Nel 2001 non si è ripresentato alle elezioni ed è tornato a fare l'avvocato amministrativista nel suo studio a pochi metri da piazza del Pantheon. forse di lui parlerà in un breve paragrafo. Due incarichi che.possibile. dal 1994 al 2001. poi anche a lui è toccato il ruolo di pedina? Se fu un abile e cinico impostore o un grande politico vittima della Ragion di Stato. dal caso De Lorenzo fino al delitto Moro. Il dopo Andreotti non è stato così lineare per chi in questi anni ha preso il suo posto. Andreotti alla fin fine è innocente? È stato un grande manovratore. Il senatore Pellegrino ha saputo maneggiare questo materiale incandescente con spirito garantista e con l'intelligenza di chi. Vicende all'interno delle quali il nome del sette volte presidente del Consiglio è ricorso più volte. non lo sapremo mai. ha presieduto la Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulle Stragi e sul Terrorismo. le infinite trame che hanno avvolto il nostro paese. sia a destra che a sinistra. di gran lunga i più capaci all'interno di una nuova classe dirigente scadente e rappezzata. verso il giudizio di Dio. Sono però personalmente convinto che il pubblico ministero dovrebbe comportarsi come un attomey americano: se l'indagine al suo termine non offre circostanze probatorie che diano una ragionevole possibilità di successo per l'accusa. Il processo ad Andreotti non è stato un teorema. di piena colpevolezza o di piena innocenza. Presidente.parlamentare ha detto di voler consegnare il risultato del suo lavoro sulle stragi. questi erano comunque insufficienti a fondare una condanna e tali. È rimasto deluso? No. attraverso la ricostruzione di vicende storiche e politiche così complesse e lontane nel tempo. La vicenda si è conclusa con sentenze e giudizi contrastanti che non hanno fatto ancora chiarezza sulle responsabilità del senatore. Poi in aula. La responsabilità tornava alla magistratura. In che modo i PM avrebbero potuto fare ricorso ai pentiti. Ripeto: gli atti erano sufficienti a giustificare e a rendere dovuta l'apertura di un'indagine. Non poteva il Senato impedire il processo perché questo avrebbe assunto un significato politico negativo. allora dovrebbe avere il coraggio di concludere per l'archiviazione. dopo le polemiche seguite alla vicenda Craxi. il processo ad Andreotti è finito o almeno è finito il processo di merito. che è stato sette volte presidente del Consiglio e più volte ministro della Difesa. Ma avrebbe avuto rilevanza politica anche una decisione rinunciataria da parte della magistratura. che dovevano essere approfonditi e chiariti. ma neppure la rifiutò. in altri processi. e la sua proposta di una nuova chiave di lettura del caso Moro. è talmente mafioso da fidarsi più di Cosa Nostra che di tutti gli altri poteri che controlla. dopo indagini lunghissime. lo dico subito: nelle carte che arrivarono da Palermo venivano contestati degli elementi fattuali. era in parte scontato che sarebbe stato molto difficile arrivare a una verità giudiziaria. In qualche modo disse a noi della Giunta: decidete voi. più alla storia che alle aule di tribunale dicendosi convinto che per chiudere quella stagione di sangue è necessario garantire il perdono e l'impunità a quanti finora hanno taciuto o mentito perché solo in questo modo sapremo finalmente la verità. da sconsigliare persino una richiesta di rinvio a giudizio. allora il reato di cui è responsabile non è associazione mafiosa. quando ritenemmo che. se c'erano elementi che portavano a escludere il carattere persecutorio dell'inchiesta. quello che si è svolto in questi dieci anni nelle aule di giustizia. Anche se non è confortante pensare che. i giudici siano arrivati a una valutazione poco diversa da quella che avevamo dato noi. ma alto tradimento nei . se per Andreotti non fossero stati creduti? E come potevano ignorare la chiamata in causa da parte di Buscetta per omicidio? Quando è arrivata questa seconda accusa ho pensato: se un uomo come Andreotti. prese la parola per primo e chiese che l'autorizzazione a procedere venisse concessa. dieci anni fa. per mettere a tacere un giornalista. forse. D'altro canto il senatore almeno inizialmente non si avvalse dell'immunità parlamentare. mettendo insieme il caso Italcasse. l'uno a Palermo. Quest'ultimo aveva fatto il nome del custode dello stabile. Per il processo di Perugia. per valutare l'attendibilità della testimonianza di Di Maggio. ma questo nome nelle carte a noi inviate era coperto da un omissis. Tuttavia la sentenza d'appello del Tribunale di Palermo potrebbe riservare delle sorprese. La Giunta a stretta maggioranza chiese a Caselli di conoscere quel nome. quando il procuratore di Palermo. E va giudicato in unico grado dalla Corte Costituzionale. e quindi per regolamento veniva a formarsi automaticamente una proposta di autorizzazione a procedere. che in aula fu approvata con pochissimi voti contrari. Per questo misi ai voti per primo il diniego all'autorizzazione. l'altro era più romano. e la vicenda Moro indicata da Buscetta. che si chiamava Paolo Rabito. Giancarlo Caselli. con il risultato singolare che dell'omicidio Pecorelli si conoscerebbero soltanto le responsabilità di Andreotti e Badalamenti mentre resterebbero ignoti i passaggi ulteriori e persino l'identità degli esecutori. coinvolgeva Vitalone e la Banda della Magliana. l'altro a Perugia. avevo letto a suo tempo con attenzione la richiesta di rinvio a giudizio del PM di Roma Giovanni Salvi. ha messo tutto insieme. La Corte d'Assise d'Appello ha ritenuto che per lo scenario romano non sussistessero prove. che si sono chiusi in appello con due statuizioni gravemente contraddittorie. ci inviò gli atti relativi al famoso incontro tra Andreotti e Totò Riina in casa di Ignazio Salvo e cioè la deposizione di Balduccio di Maggio. La Procura di Perugia decise di unificarli all'interno di un'unica ricostruzione dei fatti. Ricordo che ci fu un duro scontro all'interno della Giunta sulla decisione di autorizzare il processo palermitano nei confronti di Andreotti. quando leggeremo le motivazioni. Riuscii a convincere la DC della necessità che l'eventuale prosecuzione dell'indagine fosse frutto di una scelta palese. mentre ha salvato lo scenario siciliano credendo a Buscetta. La Procura umbra non ha privilegiato alcuna ipotesi.confronti dello Stato. Come andarono le cose? Fu una decisione lacerante per tutti. Sulla stessa non si formò una maggioranza. dopo che lo stesso Andreotti chiese per primo che la proposta della Giunta venisse approvata. Caselli ci inviò il nominativo in una busta . Si vedrà. Si sarebbe così evitata la schizofrenia dei due processi. Ci furono altri momenti di tensione all'interno della Giunta? Sì. che per il delitto Pecorelli delineava due scenari. che conosco meno di quello di Palermo. costituita in Alta Corte. in qualche modo contrapposti: uno si fondava sull'asse Andreotti. Badalamenti. I fatti contestati erano particolarmente gravi e la scelta di impedire l'indagine giudiziaria nei confronti di Andreotti avrebbe avuto ricadute su altre richieste nei confronti di altri politici. dal quale emergeva che erano in corso trattative di carattere economico (per evitare che Pecorelli pubblicasse alcuni articoli). i cugini Salvo. Bisognerà leggere attentamente la motivazione. Andreotti è colpevole o innocente? L'interrogativo non sembra aver trovato risposta nel processo. che non ho mai rivelato. di cui in questo momento non conosciamo ancora le motivazioni. ritenendoli comunque coperti da prescrizione. C'è però un ulteriore particolare. però. la donna metteva sull'avviso il figlio. Dalla sua intestazione. questo particolare aspetto indagativo nel processo palermitano non è mai venuto in luce. ha confermato l'esistenza di episodi. Certamente la prescrizione del reato è per l'imputato . dove non vengono soltanto contestati rapporti e incontri che il senatore ha sempre negato. al processo di Palermo. Appresi poi dalla stampa che era stata registrata una telefonata tra Rabito e la madre che lo scongiurava dicendogli: «Scappa che sono arrivate le carte». Sarebbe come dire che la giustizia è arrivata in ritardo. se il nome fosse stato rivelato. Perché? Perché la verità giudiziaria ha dei limiti ben precisi costituiti dalla prova. ovviamente impegnandoci al segreto. e gli consigliava di fuggire. confermando la sentenza assolutoria per gli anni successivi. Anche se la risposta giudiziaria su Andreotti. quella del presidente Ingargiola. Insomma. perché ritenevo che.sigillata. a mio avviso. Nella sentenza d'appello. Personalmente vissi quel momento con grande preoccupazione. che viene dopo la mafia contadina. ma non è ancora la mafia della droga. in trentaquattro. ma si esprimono giudizi severi sulla sua condotta processuale quantificando il numero delle sue bugie. risultava che la stessa conteneva una planimetria dei luoghi palermitani circostanti la casa di Ignazio Salvo. mi sembra. A quanto rammento. Ingargiola lo ha assolto. potrebbe aver dato soltanto una qualificazione diversa agli stessi fatti che motivavano i dubbi del presidente Ingargiola. il giudice Scaduti ha spezzato in due il verdetto: ha prescritto il «reato commesso» fino alla primavera dell'HO. la busta sigillata che racchiudeva il segreto di quel nome. Riuscii a convincere i colleghi della Giunta che non era il caso di assumerci questa responsabilità e quindi li convinsi a restituire alla Procura di Palermo. informandolo che gli atti erano arrivati al Senato. Rabito potesse correre qualche rischio. senza averla aperta. neppure nelle sentenze assolutorie. Ma potrebbe al contrario aver riconosciuto provato che Andreotti ha avuto rapporti con esponenti della mafia "palazzinara" degli anni Settanta. Nonostante ciò. e quindi forse dei possibili itinerari per raggiungerla. di relazioni che rendono ambiguo il suo rapporto con il ceto politico siciliano. di intrecci. come quelli con i Salvo e con Sindona. Caselli ci aveva inviato un'altra busta che ugualmente non aprimmo e gli restituimmo. perché evidentemente anche i fatti dimostrati non erano sufficienti a motivare una condanna. Sono rimasto particolarmente colpito dalla durezza di una quarantina di pagine della sentenza di primo grado. Cosa significa questa decisione? La Corte. La mia preoccupazione non era infondata. Gli americani. a partire dal «Corriere della Sera». secondo gli ex DC. propone una lettura inedita e intelligente delle vicende italiane di fine millennio. È cosi? Non voglio delineare grandi scenari. Titoli a nove colonne. L'ex parlamentare socialista. Certo è un'analisi molto complessa. ma l'intera Democrazia Cristiana che. E condivisibile questa equazione? Uno dei libri più interessanti che ho letto recentemente l'ha scritto Ugo Intini. sul presupposto che questo non ha bisogno di essere diretto dalle scelte discrezionali della politica. Tanto è vero che Berlusconi propone a Mani Pulite un nuovo patto. Il processo Andreotti ha assunto in questi anni un significato storico di assoluzione o di condanna. La messa sotto accusa della politica consentiva a entrambe le parti di assumere un ruolo più attivo nel mondo del mercato globalizzato.. che decide di farsi protagonista. a seconda del verdetto finale della Cassazione. che non riguarda più il senatore.. che era molto vicino a Bettino Craxi. I grandi gruppi economici vedevano di buon occhio la messa sotto accusa della classe politica. la . Un patto che Di Pietro rifiutò. assoluta attenzione dei telegiornali. Guardiamo come i media hanno seguito le vicende di Tangentopoli: le televisioni di Berlusconi. inserendole in un processo di ridefinizione geopolitica mondiale: la liquidazione della classe politica della Prima Repubblica andrebbe letta alla luce di un tacito patto tra magistratura e grande impresa dal quale sarebbe scaturita anche in altre parti del mondo la stagione "giustizialista". Allora parliamo del complotto. erano tutte schierate con Di Pietro e la Procura di Milano. Lei sembra propendere per uno scenario interno: la nascita di una nuova classe politico-imprenditoriale. Questo teorema arriva a mettere in discussione l'impianto dell'accusa che. Ma anche le imprese furono penalizzate da Tangentopoli: non è stato un prezzo troppo alto da pagare alla liquidazione della politica? Non mi sembra che la grande impresa abbia pagato prezzi alti. quando chiede a Di Pietro di entrare nel suo primo governo. come ho sempre pensato. che presiedono al rispetto delle regole. era volto a colpire non soltanto Andreotti ma l'intera classe politica della Prima Repubblica. ma necessita soltanto di poteri arbitrali. Andreotti ha più volte alluso nel corso del processo a un piano per eliminarlo dalla scena politica. almeno nella prima fase. che qui ho soltanto abbozzato e che meriterebbe una riflessione ulteriore. non diversamente dai giornali della grande stampa. potrebbe risorgere o non risorgere. di gestire i propri interessi direttamente scavalcando i partiti.peggiorativa rispetto all'assoluzione con formula dubitativa. perché sottolinea il significato di Appendice «non punibilità» rispetto a quello di «non colpevolezza». Comunque resta confermato che il giudizio su Andreotti dovrà darlo la storia. che la magistratura ha messo sotto tiro anche lui perché in qualche modo aveva rotto il patto anteriore. quando Berlusconi è entrato in politica. E stato dopo. ma tra Nord e Sud: allo scontro ideologico tra sistemi politici si è sostituito quello sulla gestione delle risorse economiche. A quali conclusioni arrivò la Commissione Stragi? Alcuni testimoni che abbiamo ascoltato. Ed è questa una linea ampiamente condivisa in alcuni ambienti del mondo cattolico. non hanno però portato elementi che possano farci dire con certezza che fu la CIA a organizzare il sequestro o a volere Moro morto. a un diverso equilibrio tra i poteri dello Stato. voluto dalla CIA perché Kissinger osteggiava fortemente il presidente DC. Non è un fenomeno che ha interessato soltanto l'Italia: se guardiamo ai conflitti che sono in atto nel mondo vediamo che le guerre. non a caso l'ammiraglio Fulvio Martini ci ha assicurato che l'ingresso del PCI nel governo italiano veniva sì vissuto. anche se è possibile . nonostante alcuni interessanti sviluppi. attraverso un esponente socialista . Al mondo arabo.. e cioè gli Stati o i governi che le rappresentano. si sono detti convinti che il sequestro Moro sia stato un sequestro in appalto. Il movente del sequestro Moro. ma soprattutto il movente dell'omicidio Moro: buona parte del processo di Perugia ci induce a cercare nei segreti che Pecorelli conosceva e che hanno motivato il suo omicidio addebitato ad Andreotti. la caduta del Muro di Berlino. Dico più per la politica filoaraba che per il compromesso storico.che durante il sequestro Appiedici-: i servizi americani. Corrado Guerzoni ad esempio. non sono interessate le Grandi Potenze nell'accezione che abbiamo sempre dato a questa definizione.CIA. lo stesso Andreotti non è andato al di là di qualche allusione. quelli NATO come anche il KGB si siano messi in contatto con i brigatisti direttamente o attraverso intermediari. portatore di immense ricchezze come il petrolio.. che dovrebbero produrre il nuovo equilibrio mondiale. piuttosto dobbiamo guardare ai gruppi economici che sono dietro gli Stati. Che Moro fosse inviso a una parte dell'amministrazione americana e ad ambienti dell'oltranzismo atlantico è fuor di dubbio. Diciamo che è più semplice individuare la nascita di forti interessi. Resto convinto che le Brigate Rosse siano state un fenomeno autenticamente italiano. Il mutato quadro internazionale ha certamente fatto da sfondo ai cambiamenti radicali avvenuti in Italia nei primi anni Novanta. Era odiato per la sua politica filoaraba e di apertura al PCI: anche questa non è una novità. ma occorrerebbero elementi più concreti per ipotizzare un complotto ai danni di Andreotti o della DC o dell'intera classe politica. in ambito NATO. E un discorso che si era già aperto con il sequestro Moro: ritengo che la sua politica filoaraba apparisse a molti già alla fine degli anni Settanta.anzi mi stupirei del contrario . più pericolosa del compromesso storico. Anche nei primi anni Settanta il Mossad contattò le Brigate Rosse. I risultati della nostra indagine. che avevano bisogno per affermarsi di arrivare a un nuovo ordine istituzionale. ma poteva essere sufficiente a risolverlo una riforma della Presidenza del Consiglio. come un problema. non sono più tra Est e Ovest. Una seconda torsione della vicenda fu determinata con il Comunicato numero 6 del 15 aprile 1978. Parliamo del secondo movente: perché è stato ucciso? Il problema si è posto il 29 marzo 1978 quando le BR nel Comunicato numero 3 pubblicano la lettera di Moro a Cossiga in cui l'uomo politico prigioniero segnalava al Governo l'opportunità di una trattativa. che ne avevano determinato la condanna a morte.A. Il generale Dalla Chiesa quando fu sentito dalla Commissione Moro sottolineò l'importanza del ritrovamento nel covo delle BR in via Montenevoso a Milano di documentazione relativa al sequestro.d. La prima sulla possibile liberazione del condannato. l'altra sulla consegna della documentazione. è più realistico pensare allo stato delle acquisizioni attuali a un "doppio ostaggio" nelle mani delle BR: la vita di Moro e i segreti che Moro avrebbe potuto rivelare alle BR. negli apparati. cui era sottoposto quale presidente della DC. ma sarebbero rimaste nella disponibilità esclusiva dell'organizzazione clandestina. poteva essere indotto a rivelazioni che avrebbero potuto ledere il prestigio del partito o anche determinare rischi per la sicurezza dello Stato. É a quel punto che la vicenda subisce una evidente torsione. N. sarebbe stato il permanere in Italia di una situazione di instabilità. visto che nel "processo". dopo l'esecuzione di Moro. perché ciò che al Mossad interessava. nel mondo politico per ciò che Moro avrebbe potuto rivelare alle Brigate Rosse. Chiaramente si lancia una doppia trattativa. che è quello con cui le BR da un lato annunciano che il processo si era concluso con la condanna a morte del prigioniero.A. che agli occhi dell'alleato americano avrebbe esaltato l'importanza strategica di Israele nello scacchiere del Mediterraneo.]. perché è comprensibile che un allarme sorgesse nelle istituzioni. non sarebbero state rese pubbliche.] ovvero al doppio delitto [delle BR e di mandanti esterni. Per questo. Per questo più che al doppio sequestro [di Moro e delle Carte. dall'altro comunicano che contrariamente a quanto precedentemente annunciato le rivelazioni di Moro. cui erano affidati i segreti che Moro aveva rivelato ai suoi carcerieri. Il Comunicato numero 3 si apre con l'affermazione che il processo continuava con la piena collaborazione del prigioniero. a detta di Franceschini. N. Il generale sottolineò anche che tale documentazione non era completa e pose in termini interrogativi il problema di «chi aveva .d.milanese: a quanto ci ha raccontato l'ex capo BR Alberto Franceschini il servizio segreto israeliano offrì appoggi senza alcuna contropartita affermando: «A noi basta che esistiate». per il sistema divenne importantissimo recuperare le carte dello statista e cioè sia i documenti contenenti le risposte che Moro aveva dato alle domande delle BR. che restano ipotesi possibili ma non ancora verificate. sia i documenti riservati che Moro aveva con sé al momento del sequestro o che a Moro potevano essere pervenuti durante il sequestro attraverso il cosiddetto "canale di ritorno". cosa che invece Moretti fece subito. bulgari. ma si trattò di un palese espediente di disinformazione certamente giustificato dalla delicatezza del momento. chiosò dicendo: «Sono contento che Lei si ponga questo interrogativo». visto che è stato così controproducente per la sua salvezza? Moro era convinto che la sua lettera a Cossiga non sarebbe stata divulgata all'esterno. perché se Moro aveva detto qualcosa di pericoloso andava neutralizzato rapidamente. Sappiamo che il servizio segreto bulgaro era abbastanza attivo e che già negli anni precedenti aveva tentato un approccio con i brigatisti. L'ammiraglio Fulvio Martini. che non era al corrente di segreti sensibili. di fatto ostacolando la trattativa o meglio rendendola più complessa. acquisendo tutte le carte senza lasciarne in giro neppure una. Dalla Chiesa invece è stato ucciso. Un mistero che è ricaduto su Andreotti. Si trattava certamente di documentazione sensibile e cioè tale da allertare i timori dei servizi segreti occidentali e gli appetiti del KGB e di altri servizi segreti dei paesi del Patto di Varsavia: cecoslovacchi. La strategia fu duplice: da un lato i servizi segreti orientali che si posero l'obiettivo di carpire questi segreti. gli originali dei documenti scritti da Moro. E Sciascia. Quale idea si è fatta del loro contenuto esplosivo? Più o meno quella suggerita da Dalla Chiesa.potuto recepire tutto ciò». e questo è il mistero dei misteri del delitto Moro. Il fatto che alcuni documenti non siano più stati trovati fa pensare che buona parte del materiale sia stata recuperata almeno da una delle due parti in causa. le registrazioni filmate e quelle vocali. Credo che se Dalla Chiesa fosse stato ancora vivo ci avrebbe aiutato a far chiarezza su questo aspetto della vicenda. assai più di altri leader democristiani. una sera a casa sua. dall'altro l'intelligence occidentale che tentò di coprirli. oppure soltanto quelle meno pericolose. Certamente sono sparite le bobine e i nastri. Sul punto si accese tra Martini e Ruffiniun . di fronte a un abbondante bicchiere di whisky. Le istituzioni reagirono affermando che Moro non aveva grandi rivelazioni da fare. Recentemente Cossiga in un'intervista televisiva ha ammesso esattamente il contrario. come Pecorelli. rumeni. anche se neppure il processo di Perugia è riuscito a farci sapere con esattezza quali fossero le carte che il giornalista stava per pubblicare. o almeno in parte da entrambe. mi confidò un segreto dal quale mi sentii svincolato solo dopo che Martini ne parlò anche a Maria Antonietta Calabrò in un'intervista apparsa sul «Corriere della Sera»: durante i cinquantacinque giorni dalla cassaforte del ministro della Difesa Attilio Ruffini sparì un fascicolo importantissimo che conteneva i piani di Stay Behind. quando ha riconosciuto che Moro. era in possesso di segreti sensibili. che era membro della Commissione. un segreto sensibile che riguardava non soltanto l'Italia. perché da quel momento in poi necessariamente riguardava entrambi gli ostaggi. Per quale motivo Moro ha parlato. ma tutti i paesi NATO. che in seguito molti altri hanno fatto propria. visto che non le sappiamo usare. come Calabresi. In altri passaggi Curcio si domanda: «Perché ci sono tante storie in questo paese che vengono taciute e che non potranno essere chiarite per una specie di sortilegio? Come piazza Fontana. Cosa intendeva dire? Questa era una convinzione di Dalla Chiesa.. Martini si domandava se qualcuno li avesse fotocopiati e se quelle carte fossero state recapitate ai carcerieri di Moro. cosa che avvenne nei mesi successivi. Curcio ha sempre avallato l'autenticità delle Brigate Rosse fino a rivendicare dal carcere l'uccisione di Moro che definì. Come lo spiega? Curcio non ha mai voluto essere interrogato. se ben ricordo. raccontò un episodio significativo che ben descrive le personalità dei due brigatisti messe a confronto: Moretti una volta disse: «Il nostro animo rivoluzionario è così forte che nelle nostre mani le pistole sparano da sole». Nonostante il sospetto che Moretti sia sfuggito. ne parla come di un uomo dallo spessore culturale notevole. Certo. era più operativo. Lei ha sempre distinto tra le Brigate Rosse prima di Moretti e le Brigate Rosse dopo Moretti.contrasto così aspro che fece maturare nell'Ammiraglio la decisione di lasciare il SISMI.. tra questi anche Dalla Chiesa. ma culturalmente rozzo. ma che tutti sappiamo». un cervello fine oltre che un capo militare.». che impediscono ai poteri e a noi di dire cosa è veramente successo [. ovvero Silvano Girotto. non del tutto casualmente.. E un errore: chi lo ha conosciuto. I documenti di Stay Behind dopo un poco misteriosamente ricomparvero nella cassaforte del ministero. lascia intravedere una sorta di patto implicito tra le BR e altri poteri. ma nei suoi scritti manda qualche segnale. In Commissione abbiamo fatto di tutto per far luce su quelle che il capo delle BR definisce «cose che noi non riusciamo a dire perché non abbiamo le parole o le prove per dirlo. Il famoso Frate Mitra che Dalla Chiesa infiltrò nel nucleo nascente delle Brigate Rosse. La seconda disegnava Moretti come una figura ambigua del terrorismo rosso. dove terrorismo rosso e terrorismo nero finivano per incrociarsi. Sorta di complicità tra noi e i poteri. che sono andate in un certo modo e che per venture della vita nessuno può più dire come sono veramente andate. La frase poteva significare almeno due cose: la prima era che Mario Moretti fosse un rivoluzionario di spessore superiore. rispetto a Curcio. E Curcio ironicamente replicò: «Peccato che qualche volta sparano sui nostri piedi. all'arresto in cui invece incapparono sia lui che Franceschini.. il «più alto atto rivoluzionario mai compiuto da un'organizzazione comunista». La fama che circonda Moretti è quella di un capo militare efficiente. e quindi un personaggio in grado di elevare la capacità offensiva delle Brigate Rosse. l'uomo di contatto con qualcosa che stava al di sopra delle BR: i servizi segreti o quella tecnostruttura che nei misteri italiani incontriamo sotto vario nome.] in quella parte degli . Credo che proprio sul sequestro Moro gravi ancora quel patto del silenzio tra le BR e i settori dirigenti del paese. Oggi sappiamo . L'Hyperion fa parte di quest'area di opacità e di indicibilità che avvolge le relazioni esterne delle brigate Rosse? L'Hyperion è uno dei grossi nodi con cui in Commissione ci siamo misurati per sei anni. ma aveva uno stretto rapporto con Mario Moretti fin dall'inizio. Il personale dell'Hyperion sembrava avere una matrice di sinistra. ma a un livello superiore di responsabilità è possibile che sia stata gestita quella tecnostruttura. per capire se vi fu un'utilizzazione dell'organizzazione terrorista e di quale tipo.che il KGB avrebbe avuto un ruolo nella campagna che tendeva ad addebitare l'intera responsabilità dell'operazione delle BR ai servizi segreti occidentali. L'archivista del KGB sostiene che non si trattò di un'operazione di controinformazione sulle presunte responsabilità della CIA. Erano Vanni Mulinaris. insomma più delle Brigate Rosse. Gli stessi fondarono il Superclan. Sappiamo che la scuola francese era stata fondata anche su impulso di personaggi che avevano partecipato al convegno di Chiavari. in cui denunciava il rischio che le BR potessero rinascere sotto la direzione di uomini di maggior peso culturale. Ad esempio uomini di Prima Linea e delle . un esponente di primo piano del PCI. senza giungere a risultati soddisfacenti. genero di Alberto Malagugini. nel '69. Detto questo. E qual è stato il ruolo del KGB e dei paesi dell'Est nella nascita delle BR e nel sequestro Moro? Appendice Anche su questo punto molti dubbi e nessuna certezza. Silvano Russomanno. politico. fece filtrare la notizia sui giornali. di cui facevano parte elementi che avevano poco a che fare con la sinistra. E credo che facesse riferimento proprio all'Hyperion. Quando il giudice Guido Calogero andò a Parigi per indagare su questa struttura ottenendo la collaborazione della polizia. uomini inseriti nel mondo economico. come la chiama Franceschini. di invisibilità che deriva dal permanere di una sua "indicibilità". ma di una vera e propria campagna di disinformazione che serviva ad allontanare i sospetti dal proprio operato. non solo italiani. C'è un'area di opacità. organizzato dal Collettivo Politico Metropolitano che segnò la nascita delle Brigate Rosse.anni Settanta. Corrado Simioni e Duccio Berio. Forse per capire a cosa Curcio allude dovremmo conoscere il nome dei tanti intellettuali altoborghesi. tra le BR e le-istituzioni. il numero due di Federico Umberto D'Amato. quella parte di storia che tutti ci lega e tutti ci disunisce». continuo a nutrire una serie di dubbi e nessuna certezza: Yécole ha certamente goduto della protezione di apparati istituzionali. ma a prezzo di mutare considerevolmente la propria matrice politica. Il generale Maletti ha rivelato l'esistenza di un vecchio rapporto che risale al '75-76.la conoscenza ci viene dalla lettura del dossier Mitrokhin . e questo è importante: Franceschini ad esempio ha raccontato che l'Hyperion non guidava le BR. imprenditoriale. Certamente i vertici del PCI avevano contatti riservati con settori dei servizi d'intelligence. sia pure a prezzo di qualche bugia: aveva ragione Rossana Rossanda a sostenere che le BR facevano parte dell'album di famiglia. rapporti che erano tenuti dai senatori Pecchioli e Arrigo Boldrini e che consentivano loro di essere tempestivamente informati quando. Tutti tranne uno: l'interrogante. anche la Cecoslovacchia come l'Italia soffriva di un limite di sovranità. Il primo a sospettarlo fu il PCI. Signorile. seguendo un proprio disegno politico (cosa che Signorile non escludeva affatto). che seppe creare un argine attorno alle Brigate Rosse. Mosca si mostrava preoccupata per le eventuali ripercussioni che notizie del genere potevano avere sul PCI e sulla sua area di consenso. In un'analisi assai lucida Signorile aggiunse che il compromesso storico era stata la risposta alla strategia della tensione e che la morte di Moro mise in crisi quella risposta. questo . sarebbe stato colpevolmente ingenuo credere che tutti i servizi del mondo non si fossero attivati una volta che in una frontiera delicata come l'Italia un gruppo terrorista aveva rapito e teneva in ostaggio il più importante uomo politico del paese. Le "intelligenze" interessate ad avere risposte erano dunque molteplici.. disse. soprattutto quelle relative ai segreti militari e a Stay Behind. non era dovuto alla necessità di proteggere l'interlocutore di Moro. È pur vero che il terrorismo rosso fu sconfitto anche per la capacità di tenuta del PCI. il PCI lo sapeva bene ma Berlinguer. conveniva dormire fuori casa. in occasione dei tentati golpe. nel famoso fumetto pubblicato su «Metropoli». Vuoi dire che con la caccia alle carte segrete si era aperta una partita che non poteva essere chiusa fin quando tutte le parti in causa non avessero dal loro punto di vista risolto la questione? Esattamente. isolandole politicamente.Brigate Rosse erano stati addestrati in Cecoslovacchia: non ci è noto chi siano. ma di un'entità collettiva. se voleva togliere acqua al loro mulino. tutti i protagonisti del sequestro Moro avevano un volto che consentiva di identificarli. che come sappiamo è stato uno dei protagonisti della trattativa avviata da Craxi con il leader di Potere Operaio Franco Piperno.. anche a voler credere che le BR rapirono Moro di propria iniziativa. l'ex ministro socialista Claudio Signorile. Nel periodo del sequestro il ruolo del KGB si è davvero limitato alla disinformazione? No. Questa attività dei servizi cecoslovacchi non era gradita al KGB. Fu ancora Signorile a farci riflettere sul fatto che. durante la sua audizione. si è detto convinto che il sequestro sia durato tanto a lungo perché tutti i servizi d'intelligence furono in qualche modo coinvolti. ma è certo che sia avvenuto. Il motivo. Una delle osservazioni più interessanti le ha fatte. erano evidentemente molto interessati alle rivelazioni fatte da Moro. Ci disse che. una persona in carne e ossa. doveva sostenere che i brigatisti erano fascisti rossi. ma al fatto che non si trattava di un soggetto unico. L'appartamento era quello messo a disposizione del Comitato Esecutivo delle BR dall'architetto Giampaolo Barbi. Per la verità in Appendice una recente polemica con Sofri il magistrato milanese Spataro ha reso noto che. il quarto uomo di via Montalcini. scandali e segreti di Stato di cui gli appartenenti all'organizzazione terroristica non erano neppure a conoscenza. nel corso delle indagini sulle BR toscane. Resto convinto che tra le due discordanti versioni quella . Conoscendo Bonaventura. perché non avevano un registratore professionale. È stato Maccari. per cui le fotocopie consegnate a Dalla Chiesa sarebbero state fatte dopo e non prima del sequestro. dei retroscena politici indagati. così decisero di chiedere a Moro delle risposte scritte. a raccontarci come in una prima fase l'interrogatorio fosse soltanto registrato. e cioè senza essere pressato. ma riguardavano problematiche. escludendo che le carte di via Montenevoso fossero state rimosse dal covo prima di essere state sequestrate da Pomarici. Erano lui e la Braghetti a trascriverne il testo dattilografandolo. in via Barbieri.spiega anche la pluralità degli argomenti affrontati. Anche Pomarici. i membri del Comitato Rivoluzionario Toscano. identificato negli ultimi anni.. ed era stato già scoperto. interrogato dall'autorità giudiziaria. purtroppo recentemente scomparso. Sappiamo che la Commissione è riuscita a identificare il luogo dove Moretti si recava settimanalmente: era a Firenze il luogo di incontro tra il capo delle BR e il "livello superiore" dell'organizzazione. che poco o nulla interessavano alle Brigate Rosse.. di suo pugno. fossero uscite da via Montenevoso per poi tornarci. avrebbe rettificato sul punto la deposizione resa alla Commissione Stragi. abbia consegnato alla Commissione un proprio falso ricordo. E così. dal PM Gabriele Chelazzi. Il fatto che questa scoperta strategica non sia stata comunicata ai magistrati romani non deve stupire: in quegli anni mancava ogni sorta di coordinamento nelle indagini sul terrorismo. che aveva condotto il clamoroso ritrovamento delle carte di Moro in via Montenevoso. a me sembra abbastanza strano che di propria volontà. perché le carte interessavano l'inchiesta romana: a lui sembrò più importante che fosse stata smantellata la base logistica della colonna milanese. prima che Pomarici le acquisisse. il colonnello Bonaventura. uno degli uomini di Dalla Chiesa che fece irruzione nel covo. Ma la trascrizione risultava difficoltosa e imprecisa. come ci riferì il colonnello Umberto Bonaventura. purtroppo scomparso. non sembrò consapevole del significato di questa scoperta. Non sarà perché l'Entità interrogante non si fidava delle loro rielaborazioni? Morucci ha più volte detto che Moretti arrivava con le domande già scritte e portava i verbali con le risposte di Moro all'esterno: per la complessità degli argomenti trattati forse il committente considerava i giovani brigatisti non all'altezza del compito e preferiva risposte scritte direttamente da Moro. Così non diede particolare rilievo al fatto che le carte. nei confronti di qualunque organo giudiziario e parlamentare cercasse legittimamente di capire come erano andate le cose. appare evidente che Moro aveva parlato della strategia della tensione e del ruolo di Stay Behind. come ci fa sapere la Banda della Magliana attraverso le schede di Toni Chichiarelli. Quelli sullo Stay Behind o sul ruolo di Andreotti nella strategia della tensione? Se è così. È giusta questa ricostruzione? È possibile. sino alla nota rivelazione che Andreotti fece appunto nel '90. può o forse deve sottrarli all'autorità giudiziaria per proteggere la sicurezza dello Stato. Vediamo: l'inchiesta aveva come punto di partenza l'omicidio di Mino Pecorelli e l'intreccio tra la tragica fine del giornalista e quella del generale. Fino al 74 Andreotti fa certamente parte. il dossier che aveva Pecorelli era stato censurato: mancavano alcuni paragrafi. che fu un segreto rimasto per decenni gelosamente custodito. Secondo quei giudici le carte furono esaminate da Dalla Chiesa. Ci incrociamo nuovamente con il processo Andreotti. ha compiuto un atto legittimo compatibile con il nostro ordinamento e con i poteri eccezionali di cui il Governo lo aveva dotato. Non è questa la ricostruzione della magistratura di Perugia. ma ha l'obbligo di riferirli all'autorità politica e cioè al presidente del Consiglio che in quel momento era Andreotti. Andò così? Non fu necessariamente un atto illegittimo quello di Dalla Chiesa. che Pecorelli stava per pubblicare e che. E un servizio segreto. soprattutto da parte del figlio Nando. anche se è stato più volte ministro della Difesa. credo che l'intervento di Dalla Chiesa sia stato quello di secretare la parte relativa agli apparati di sicurezza NATO: se si è limitato a ciò. per qualcosa che riguardava proprio lui. Ma. il giornalista è stato ucciso perché a conoscenza non di segreti di Stato. sottoposte a Evangelisti e poi al presidente del Consiglio. Ecco. avrebbe distrutto la carriera politica di Andreotti. anche se ci sono state notevoli polemiche. ritrovata dietro il pannello in muratura in via Montenevoso. sembrano dedurre i giudici. Al generale erano stati conferiti poteri speciali che normalmente vengono attribuiti a un servizio segreto. mentre avviene quello che avviene? Il problema sta qui. recuperato nel carcere di Cuneo. come ha detto Buscetta. nel momento in cui si imbatte in informazioni che riguardano la sicurezza dello Stato. Nel testo che conosciamo Moro si limita a fare delle allusioni. Uno di questi segreti riguardava la prigione scoperta da Dalla Chiesa. portate a Roma.riferita alla Commissione sia quella vera. L'altro era in quel centinaio di fogli del Memoriale. Ma può un ministro della Difesa non avere rapporti con i servizi segreti. entrambi a conoscenza dei segreti Moro. ma Andreotti ci ha detto di non aver mai intrattenuto rapporti troppo intensi con i servizi segreti. ma di segreti che riguardavano soprattutto Andreotti: forse le coperture offerte ai generali golpisti durante la strategia della tensione. dal confronto tra la versione del Memoriale del 78 e quella del '90. Del resto. se . lasciando la briglia sciolta agli uomini dei servizi che dice di aver frequentato sempre poco. Andreotti spiana il terreno alla riforma dei servizi segreti in nome di una nuova glasnost. nel ventennale della morte di Moro. quando i regimi di destra erano l'espressione di una determinata scelta internazionale nell'area del Mediterraneo. Del re. queste erano collettive. Molti hanno ritenuto che fosse Andreotti il vertice di quella Piramide indicata dalla Commissione P2 di Tina Anselmi. allora aveva bisogno soltanto di un comandante in grado di gestire il traffico dei natanti. secondo problema: quali erano i rapporti tra Getti e Andreotti? A Palermo non gli è stato difficile dimostrare che lui non rappresentava l'intera DC e neppure l'intera classe politica. insomma riesce a fare quello in cui l'apprendista stregone normalmente fallisce. qualche volta conflittuali. liquida Miceli e poi Maletti. Poi nel 74 c'è la svolta: Andreotti capisce che l'aria è cambiata e interviene. Preferiva restare nell'ombra. Appare in grado di muoversi con disinvoltura nei difficili frangenti di quegli anni. almeno degli "indulgenti" nei confronti delle trame golpiste e stragiste. non intervenire. se ci furono responsabilità politiche. Quando nel '98. che gestiscono il sequestro BR.. Cossiga e Craxi erano convinti che Gelli non fosse il vertice politico della P2. il presidente Scalfaro fece quella strana allusione ad «altre intelligenze» che andavano cercate nella gestione del sequestro Moro. ma soltanto il segretario amministrativo. Torniamo al Comitato Rivoluzionario Toscano. Quanto a Gelli e alla P2. noi . debolezze o peggio connivenze con la mafia. Io ritengo che rapporti possano esserci stati.. Forse perché non era un apprendista. lui non aveva alcun bisogno di dare ordini precisi. riassume il controllo delle forze cui aveva lasciato mano libera. Seconda fase. sembra annidarsi ancora il "cervello" mai scoperto delle brigate Rosse. ma che evidentemente interpretavano il suo silenzio come un preciso segnale politico. Bastava Gelli.. tutti iscritti alla P2. proprio a Firenze. e insomma. ma lo erano quasi tutti i politici italiani.». E ci ritroviamo con lo staff di "incompetenti".. Del resto conosciamo la sua finezza politica. ma che non richiedevano l'avallo di alcun intermediario. penso che Andreotti ne fosse perfettamente informato. Vediamo: nel '74 comincia l'operazione pulizia nei servizi d'intelligence. ma non credo siano ormai più individuabili o perseguibili penalmente: se la P2 era davvero il grande porto dell'oltranzismo atlantico.Appendici-: sto Andreotti aveva rapporti diretti con gli USA.non dei "conniventi". Un intermediario del quale peraltro sembrava avere non troppa stima. non avrebbe mai fatto come il cardinale Richelieu nei Tre moschettieri: «È per mio ordine e per mia disposizione che il latore della presente ha fatto ciò che ha fatto. al covo di Firenze e ai suoi segreti: credo sia importante sottolineare che. che uscì di scena pagando un piccolo conto alla giustizia. forse anche gli originali del Memoriale. Ma l'esito dell'audizione si rivelò deludente. di età superiore ai trent'anni. Erano in realtà degli "irregolari". a Roma le Brigate Rosse spararono a D'Antona e si scoprì che il nucleo tornato in azione era legato agli ultimi attentati compiuti dalle BR. livello superiore delle Brigate Rosse? Questo almeno era il sospetto. Scoprimmo che tra questi ventisette irregolari c'era anche Paolo Baschieri. che in quegli anni erano però davvero inarrivabili. i fondi cui attingevano le Brigate Rosse. denaro che forse ha consentito all'organizzazione di sopravvivere fino a oggi. noti professionisti. E un gruppo di intellettuali . partendo proprio dall'interesse costituito dal materiale cartaceo divenuto via via una ulteriore rilevante materia di scambio nella trattativa con le BR. Nelle cassette in Svizzera c'era insomma il prezzo del silenzio imposto alle Brigate Rosse.chiedemmo di incontrarlo e andammo al Quirinale. Fatto sta che. quasi tutti appartenenti all'alta borghesia fiorentina. figlio di un luminare della medicina. Quell'autobus faceva un certo percorso e scoprimmo che passava molto vicino a un covo delle BR. Dall'incontro con il magistrato venne alla luce che la Procura di Firenze aveva individuato l'appartamento di via Barbieri come il possibile luogo d'incontro del vertice esecutivo delle BR durante il sequestro Moro: Morucci ne aveva parlato ma non conosceva l'indirizzo. così si era fatto l'idea che si fossero presi soltanto i colonnelli e non i generali. Cosa avremmo potuto trovare nelle cassette di sicurezza? Chissà. anche se era risultato intestatario di alcuni conti di credito e cassette di sicurezza in Svizzera. Forse anche quelli che avevano ottenuto in cambio di una copia del documento nel corso delle molteplici trattative avviate durante il sequestro. Ma certamente c'erano molti soldi. Quel covo era l'unica base a disposizione del Comitato Rivoluzionario Toscano. il Presidente si limitò a dire che aveva rilevato un forte divario tra la personalità dei brigatisti arrestati e il livello di chi poteva aver gestito l'interrogatorio.. Ma da quel momento.. che in realtà raccoglieva un gruppo di ventisette militanti il cui identikit era piuttosto diverso da quello dei brigatisti che conoscevamo. che riconducevano alla colonna toscana. la cui preparazione culturale e la cui collocazione sociale erano di gran lunga superiori a quella dei personaggi a noi noti. Il procedimento fu più o meno questo: le carte erano state trovate in via Montenevoso grazie al borsello che il brigatista Lauro Azzolini aveva lasciato su un autobus della linea 28 a Firenze. proprio mentre indagavamo sul covo di Firenze. perquisito dal PM Chelazzi nel dicembre 78. insieme alle bobine. lavorammo quasi esclusivamente sui misteri del sequestro Moro. Sono convinto che anche il KGB ne abbia avuta una copia. per oltre due anni. ovvero gli omicidi di Roberto Ruffilli a Forlì e Landò Conti a Firenze. Ce lo disse Chelazzi. Negli stessi anni risultava residente a Roma. Insomma è un capo BR molto particolare. Non solo un "padrone di casa" che abbiamo individuato nell'architetto Barbi. Il sospetto che Senzani. e per questa ragione è stato processato e condannato dalla Corte d'Assise di Firenze. Ma non c'era anche Giovanni Senzani all'interno di questa "struttura irregolare" dell'organizzazione terrorista? Senzani è la figura più atipica nel panorama del terrorismo italiano. sin dal suo ingresso nelle BR databile attorno alla metà degli anni Settanta. Ma Morucci ci ha chiaramente detto. fosse protetto da settori deviati del SISMI. Laureato in Legge a Bologna. Senzani era borsista del CNR all'Università californiana di Berkeley. sia pure senza fare nomi. Perché? Senzani è certamente stato il capo.non ha mai chiesto che questo viaggio in America fosse in qualche modo documentato. ma anche da una precedente informativa all'autorità giudiziaria avanzata da un funzionario di polizia di buon livello come Arrigo Molinari. emerge non soltanto dalla sospetta cogestione tra BR e servizi del sequestro Cirillo. e a quanto ha raccontato dopo l'arresto un giovane brigatista.all'epoca vicequestore di Genova. il leader del Comitato Rivoluzionario Toscano. Roberto Buzzati. che è stato docente di Letteratura italiana all'Università di Genova. In quel periodo è stato consulente del ministero della Giustizia e ha avuto rapporti intensi anche con le realtà periferiche dell'amministrazione della Giustizia. aveva relazioni con l'Hyperion e faceva numerosi viaggi a Parigi. per Moro. Un vuoto che Appendice la magistratura non ha riempito perché . ma anche un "anfitrione" e un «irregolare che batteva a .almeno a quanto ne so . ma nel caso Moro è stato tenuto provvidenzialmente fuori da un'informativa del SISMI secondo la quale in quei mesi il criminologo era negli USA per un corso di formazione. il cognato. Noi in Commissione siamo riusciti a ricostruire un quadro della vicenda Moro dal quale emerge come il leader militare del sequestro fosse Moretti. Anche se. ha insegnato nelle Università di Siena e di Firenze fino al gennaio 79 per poi trasferirsi a Londra. Sappiamo che è stato il leader dell'ala più sanguinaria delle BR. dov'è rimasto fino all'ottobre '80. Come Moretti. in un appartamento in via della Vite. Come Enrico Fenzi. Senzani non è mai stato processato.dell'alta società fiorentina aveva un tale peso da partecipare alle riunioni del Vertice esecutivo delle BR dirigendo dall'alto il sequestro Moro. quelli legati alla P2. si incontrava anche con il generale Musumeci. che nella casa di Firenze a guidare il processo al presidente DC e a gestirne politicamente i risultati vi erano altre presenze che andrebbero identificate. che divideva con un collaboratore del SISMI. F un personaggio di alto livello culturale. le cui relazioni nazionali e internazionali potrebbero chiarire anche molti retroscena del caso Moro. ha una vastissima rete di relazioni negli ambienti criminologici e universitari italiani ed esteri. divenuto poi suo cugino. ripartendo proprio da qui. Non deve comunque stupire che Senzani abbia goduto di alcune coperture. né sul musicista né su Howard. ci rispose ironizzando: «Non saprei.macchina i comunicati delle BR che venivano distribuiti in tutta Italia». E l'ipotesi che l'"anfitrione" fosse Igor Markevitch? Non può darsi che il musicista russo abbia avuto un ruolo diverso da quello di semplice intermediario e abbia partecipato alle riunioni del Comitato Esecutivo? Personalmente non credo. . Riprenderebbe così quota l'ipotesi del "delitto in appalto": Moro sarebbe stato rapito e ucciso perché la sua politica verso il PCI e la sua politica filoaraba ne consigliavano l'eliminazione. cioè il Senzani». e andando al di là dei limiti dell'inchiesta ancora in corso sui due possibili brigatisti o appartenenti all'Autonomia che irruppero in via Fani sparando da una moto.dove invece alloggiava Hubert Howard. Né so quali sviluppi abbia avuto l'inchiesta giudiziaria che la Commissione Stragi ha reso possibile. dalla prigione nel Ghetto. Noi abbiamo pensato che il riferimento fosse a Senzani e informazioni riservate successive mi hanno confermato che Morucci intendesse in questo senso orientare il nostro sospetto. alla domanda se in quel periodo erano più preparate le forze dell'ordine e la magistratura o le Brigate Rosse. con i mezzi che avevano i quarantuno parlamentari della Commissione non si poteva andare molto più avanti rispetto ai risultati che abbiamo raggiunto. dai rapporti che il musicista poteva avere sia con il Mossad che con il kgb. Di tutto questo abbiamo informato la Procura della Repubblica di Roma. Tindari Baglioni. Sia che l'anfitrione fosse quest'ultimo sia che fosse Senzani. Il capitolo che abbiamo aperto è molto complesso. certo è che sia noi che le BR avevamo gli stessi consulenti.che ha sede in quel palazzo. Personalmente non credo che Markevitch abbia mai abitato a Palazzo Caetani. Un nostro consulente ha indagato negli archivi della Fondazione Caetani. che è una figura molto complessa e molto importante. ma anche a uno dei personaggi dell'Hyperion. Per sottolineare l'ambiguità e lo spessore del personaggio basti pensare che l'attuale procuratore di Pistoia. si è aperta una pista indagativa che potrebbe porre in luce un collegamento tra le BR e alcuni apparati nazionali o esteri. Ma dello sviluppo delle indagini nulla si è saputo. Se Senzani effettivamente nell'aprile '78 era negli USA si è trattato di un depistaggio. che lascia però aperto il problema di individuare soggetti diversi. fosse un punto di contatto con i servizi segreti occidentali. dal ruolo di Markevitch. Quando i giudici bresciani ci portarono sulle tracce del direttore d'orchestra ci domandammo se l'ex generale. se non che una comunicazione di garanzia sarebbe stata inviata non solo all'architetto Barbi. Qualcuno forse ci aveva preceduti. ma stranamente non abbiamo trovato nulla. particolare che potrebbe non aggiungere molto alla ricostruzione che è stata fatta finora. dove Moro parla della sua prigionia al passato prossimo. Sono pagine di una chiarezza estrema. Se rileggiamo l'audizione di Maccari si possono notare le contraddizioni e i dubbi. Come siete arrivati a questa conclusione? Sull'ultima fase del sequestro e sull'esecuzione dello statista i brigatisti hanno mentito e raccontano fatti inverosimili. ora «avrà un partner [Andreotti. sia nella parte finale. se assunto nei confronti delle BR. per grazia. Moro sapeva invece che sarebbe stato ucciso perché dell'esecuzione parla in due drammatici passi autografi. soprattutto sui tempi.d. visse ancora un po' di tempo dopo gli ultimi colpi: i brigatisti non potrebbero non essersene accorti.. anzi. dunque. che gli era stata annunciata come imminente la liberazione. che è apparsa fin dall'inizio poco credibile.. potrebbe aver trascorso qualche giorno in quella zona ed essere stato ucciso lì.]. Moro parla dunque da uomo . Da esso viene la certezza documentale più forte che c'era stata una trattativa e che questa si era conclusa positivamente. abbastanza lungo. che ho passato come prigioniero delle BR.] molto versatile in ogni politica [. Mentre i brigatisti.Parliamo dei misteri del Ghetto. Non solo: sia Maccari che Moretti anticipano di circa quattro ore l'esecuzione per giustificare il fatto che sia avvenuta all'alba quando nel garage non c'era nessuno. essendo ormai lui fuori dalla scena politica. quando hanno descritto il trasporto di Moro in una cesta di vimini dall'appartamento di via Montalcini al bagagliaio della Renault 4 posteggiata nel box dell'immobile. Pensi che per poco soltanto rischiava di inaugurare la nuova fase politica lasciando andare a morte lo stratega dell'attenzione al Partito Comunista». forse hanno raccontato una scena realmente avvenuta. Moro ritiene evidentemente che questo rischio fosse ormai superato. Moro. nonché l'impegno a non accettare più candidature e a non far più commenti sulla sua personale vicenda. come qualcosa di già compiuto («Il periodo. sia nell'incipit. A parte l'assurdità di uccidere Moro in un garage condominiale e poi di attraversare Roma con il cadavere nel bagagliaio. la salvezza della vita e la restituzione della libertà». l'autopsia ha dimostrato che Moro non morì subito. E un impegno che non ha senso.A. ma che assume senso se rivolto a coloro che con le BR stavano trattando. Seguono le sue dimissioni dalla DC e la richiesta al presidente della Camera di essere iscritto al gruppo misto. N. Moro invece è stato ucciso attorno alle dieci del mattino. formula i suoi auguri a Berlinguer che. Come è arrivato a questa certezza? Riflettendo sulle ultime lettere di Moro e su quel suo autografo (circa tre pagine) che a torto è stato ritenuto la parte finale del suo Memoriale..»). Ma soprattutto mentono. quando.quando affermano che al Presidente non avevano annunciato la condanna a morte. tanto è vero che subito dopo ringrazia le BR: «Desidero dare atto che alla generosità delle Brigate Rosse devo. dopo aver espresso la più dura delle condanne nei confronti di Andreotti. ma qualche giorno prima di quel fatale 9 maggio.. perché Andreotti ha più volte accennato. e che ritiene di essere ormai in luogo più sicuro e in mani più sicure e di dover attendere pochi giorni prima di essere liberato. e cioè per un mandato di cattura emesso dall'autorità giudiziaria con riferimento a una imputazione su cui non si era formato . che la Besuschio non poteva essere liberata perché detenuta per altra causa. I contenuti della trattativa (nata dall'iniziativa del PSI e sviluppatasi attraverso Piperno. Non fa parte del Memoriale. Dobbiamo chiederci quali erano le fonti del cauto ottimismo di cui Moro scrive nella lettera alla moglie del 5 maggio considerandolo ormai perduto. Si tratta dell'ultimo comunicato delle BR. Personalmente daterei l'autografo di cui sto parlando tra il 6 e l'8 maggio del 1978. E infatti il 5 maggio Moro indirizza alla moglie una lettera in cui si dice informato della sua condanna a morte: «Ora improvvisamente. per citare ancora Pecorelli? Avvenne qualcosa che fece precipitare la situazione. Paola Besuschio. perché questo è l'insieme delle risposte date all'interrogante collettivo che conduceva il processo. Il 3 maggio Andreotti aveva ribadito il rifiuto del governo a ogni trattativa e gli appelli alle BR del papa (21 aprile) e di Waldheim (26 aprile) avevano lasciato le BR del tutto indifferenti. e il processo si concluse il 16 aprile con la condanna a morte dell'imputato. Ma nell'autografo di cui sto parlando. che lasciava ancora aperta un'esile finestra a una trattativa. E anche questo può ritenersi non più misterioso. e che per questo fu chiamato il «comunicato del gerundio». Morucci e Faranda) che Moro riteneva conclusa possono così essere agevolmente ricostruiti. Datare questo scritto di Moro sarebbe molto importante e forse non è tanto difficile.che non è più nelle mani delle BR. erano pronti il 9 maggio a discostarsi dalla linea della fermezza. forse soltanto per la soluzione di questioni pratiche o in attesa del momento giusto. quando Moro doveva aver saputo. quello in cui i brigatisti annunciano di concludere l'operazione «eseguendo» la condanna pronunciata con il comunicato del 16 aprile. come noi oggi sappiamo. quando si profilava qualche esile speranza. che è appunto del 5 maggio. evidentemente pour cause. giunge incomprensibile l'ordine di esecuzione». Dunque stava per concludersi la trattativa: chi allora a questo punto «tradì il patto e alzò il prezzo». Pace. che Leone era pronto a firmare la grazia per una brigatista in difficili condizioni di salute. e che autorevoli personaggi della DC. degli stessi faceva parte l'impegno di Moro di uscire dalla scena politica e di astenersi. a valle della sua liberazione. tra cui Fanfani. Moro esprime la certezza della sua liberazione e perciò dato quell'autografo in giorni successivi al 5 maggio. Ma il 4 maggio Moro aveva indirizzato una lettera al capo dello Stato e su questo probabilmente fondava il cauto ottimismo di cui scrisse nella lettera del 5 maggio. da dichiarazioni che avrebbero potuto destabilizzare il già fragile quadro istituzionale. E il suo se.. se non per rapidi intelligentissimi . il cosiddetto Piano Victor. Ma qualcuno deve averlo sconsigliato di far intervenire Dalla Chiesa. Sarebbe stato dunque necessario un concorso alla trattativa della magistratura.Appendice greto. Ritiene che l'uccisione di Moro fosse frutto di uno scontro all'interno della DC sulla linea da seguire? Non lo so. il segreto che da anni lo logora. Le perizie dicono molte altre cose. cancelleria di un processo. Non c'era problema: Moro sarebbe uscito comunque vivo. Bozzo le avrebbe detto che Dalla Chiesa sospettava che un'altra cordata di carabinieri fosse riuscita a concludere la trattativa e a impadronirsi della documentazione. Rosario Priore e Ferdinando Imposimato. Quando lo ascoltammo in Commissione Stragi il suo comportamento fu molto aggressivo: esordì utilizzando le sue apparenti mattane. senza restituire la vita a Moro. qualcosa che se si sapesse farebbe soffrire ancora molte persone.A.un giudicato di condanna e per la quale una grazia non era quindi possibile. Ricorse alle parole di Moro quando difese la DC in Parlamento dalle accuse per lo scandalo Lockheed: «Non ci faremo processare né nelle piazze. Moro ebbe comunque notizia dell'esecuzione. zona che era già stata oggetto di indagine da parte dei giudici del caso Moro. Maria Antonietta Calabrò. quando vergò in fretta un ultimo drammatico biglietto. E fu questa complicazione a far saltare la trattativa che avrebbe portato la salvezza di Moro. cioè Cossiga.d. In molti in Commissione ci eravamo convinti che Moro fosse stato trasferito nel ghetto ebraico. né nelle commissioni d'inchiesta». che non ha destinatario e in cui è scritto: «Ormai è fatta. Una giornalista. Ebbene.] e comunque l'uccisione del primo. Credo che Cossiga si sia fidato e forse dopo si è pentito. Hanno promesso che faranno ritrovare il corpo e alcuni ricordi». come sapete.. Per questo credo non parlerà mai. perché bisognava prima recuperare le carte che certamente non erano in via Montalcini. ma che indubbiamente complicava le cose. che avrebbe dovuto concedere alla Besuschio la libertà provvisoria. di cui lei ha già parlato nel suo libro. Posso soltanto dire che il governo. anzi per questo era stato predisposto un piano. voleva salvare Moro. mi accorsi che dietro doveva esserci un autentico rovello. ma non si dovevano correre rischi. portò con sé té e caffè. Un ostacolo non insormontabile. Penso che durante la vicenda Moro lui abbia sofferto moltissimo e che sappia molto più di quanto ha raccontato. ci ha riferito alcune confidenze che avrebbe ricevuto dal generale Bozzo che. motivandola con le sue condizioni di salute. dicendo che il caffè della Commissione poteva essere avvelenato. e a far probabilmente concludere una trattativa diversa in cui forse rientravano la consegna del secondo ostaggio [il Memoriale N. nella persona del ministro degli Interni. Poi man mano che andavamo avanti il tono di Cossiga diventò dolente. era uno dei più stretti collaboratori di Dalla Chiesa. perché la prigione non coincide mai con la. Tiriamo le conclusioni: è possibile? Non ce ne sono. a cui ha partecipato. Ora credo al contrario che per sapere cosa sia veramente successo bisogna prima perdonare. il figlio. fosse necessario conoscere la verità.che la Corte di Cassazione annullerà senza rinvio la sua condanna per l'omicidio Pecorelli. di segreti sensibili. La mafia collabora con gli agenti segreti USA infiltrati in Sicilia per preparare lo sbarco alleato. Per molto tempo ho pensato che. È come un cardinale accusato di eresia che corra il rischio di finire sul rogo. molti momenti politici fondamentali nella storia d'Italia. Gennaio-febbraio. ha sostanzialmente convalidato la teoria del "doppio ostaggio". il cui prezzo. Un'operazione di verità. Anche Giovanni Moro.accenni. . Questo "meccanismo" potrebbe valere anche per Andreotti? Non penso. Già Andreotti è convinto e ritengo fondatamente . Dall'accusa palermitana è stato già assolto. queste sono soltanto le linee di un'inchiesta che potrebbe essere sviluppata dalla magistratura per tentare di chiarire definitivamente i contorni di una vicenda che continua a gravare sulle coscienze del paese. Direi attraverso un meccanismo che esenti oggi dalla pena delitti che hanno avuto una motivazione politica e dalla cui attuazione ci separa lo spazio di una generazione. 9 luglio. prima di perdonare. dichiarando che Moro era in possesso. ne sono ormai definitivamente convinto. Questa cronologia ha l'unico scopo di aiutare il lettore a districarsi fra i tanti episodi raccontati in questo libro. per come l'ho conosciuto. sia pure con i limiti che sappiamo. E poi di lui. Attraverso l'impunità? Non esattamente. ma che fino all'ultimo giorno leggerà il breviario e celebrerà messa. non può che essere la soluzione politica degli anni di piombo. 9 maggio 2003 Cronologia essenziale Nota. Così da ultimo quando. più di altri. Ne sono dunque esclusi. al provvido intervento dello Spirito Santo. continuando ad attribuire l'elezione del papa. mi sono fatta un'idea precisa. che ogni tanto riemerge dalle ombre del passato. come risulterà ovvio a chiunque. pensa che una verità più completa possa essere raggiunta soltanto neutralizzando le conseguenze penali. Fare chiarezza è necessario anche per chiudere definitivamente con il capitolo delle Brigate Rosse. I soldati americani occupano la Sicilia. e nemmeno al fine di assicurarsi l'impunità parlerà mai dei segreti dell'ultimo conclave. costituitosi in Italia nel dopoguerra. La rivolta di Palermo. Valletta e Falk) finanziano un fondo per la lotta al comunismo. Il nome in codice della struttura era originariamente DUCA. e del successivo.indicato come l'autore materiale dell'uccisione di Giuliano. ma impegnato a sedare i tumulti seguiti all'attentato a Togliatti come risultò dalle foto. Le indagini accertarono che quel giorno in paese non ci fu alcuna sparatoria. cui l'oss aveva dato mandato di preparare il terreno in vista dello sbarco americano. il maresciallo Antonio Perenze. macroscopico sviluppo della criminalità organizzata nel Sud sotto l'egemonia di Cosa Nostra. Questi avvenimenti sono la chiave di lettura del particolarissimo rapporto tra mafia e politica. 14 luglio. leader comunista: un gruppo di maliosi guidati da Calogero Vizzini gli spara durante un comizio. Non fu l'unica repressione sanguinosa delle masse popolari. l'esercito spara sulla folla affamata: 100 tra morti e feriti. lo aveva ucciso nel cortile di una vecchia casa rurale. Stragi a Bellocampo e Melissa: Giuliano torna a sparare contro manifestanti e occupanti di terre. scrisse il giornalista Tommaso Besozzi. Fu Luciano a . rispondendo al fuoco di Giuliano. 6 dicembre. l'allora capo della mafia siciliana. Gaspare Pisciotta. 1 maggio. ottobre. ma quella con il maggior numero di vittime. Calogero Vizzini. partecipa alla prima riunione clandestina del movimento separatista in difesa dei feudi agrari. 11 comando militare USA insedia mafiosi e massoni come sindaci nel 90 per cento dei comuni in Sicilia. Uccisione di Salvatore Giuliano. assassinato per ordine superiore molto probabilmente dal suo luogotenente. «L'unica cosa certa è che è morto». Gli industriali (Pirelli. Nei primi mesi del 1943 è presente in Sicilia il gangster Lucky Luciano. in ambito NATO. che assumerà aspetti da guerra civile negli anni Ottanta e Novanta. quel giorno non era a Castelvetrano. alla guida di un gruppo di banditi. settembre. 18 aprile. spara 800 colpi di mitragliatrice contro i contadini che manifestano per il Primo Maggio: 11 morti e 71 feriti.Agosto. Del resto. Attentato a Girolamo Li Causi. Nel corso dell'anno viene siglato l'accordo che costituisce l'atto di nascita ufficiale della struttura clandestina Gladio. Settembre. Piaggio. un maresciallo lo aveva inseguito per le strade di Castelvetrano e. Costa. Attentato a Togliatti. Strage di Portella delle Ginestre. Elezioni con vittoria della DC (48 per cento) e sconfitta delle sinistre (31 per cento). Il bandito Salvatore Giuliano. Giuliano era stato condotto nel cortile già cadavere. Secondo la versione dei carabinieri. Ottobre. come Calogero Vizzini. lo hanno catturato. che avrà un ruolo di grande rilievo nella strategia della tensione. in base a un accordo diretto tra la CIA e il SIFAR di De Lorenzo. 9 febbraio. quello che conta sono i risultati». Sul piano elettorale. Gaspare Pisciotta viene ucciso con un caffè al cianuro. i capimafia inizialmente appoggiarono i movimenti separatisti finanziati dagli agrari. organizzati da socialisti e comunisti cui i contadini avevano aderito in massa. che il bandito portava sempre con sé una lettera: «Caro Giuliano. John Di Bellis. Lucky Luciano) e i rappresentanti di Cosa Nostra Vito Vitale e Genco Russo. lo hanno ucciso. poi sospettato di essere l'esecutore materiale della sua uccisione. Ottobre. Grand hotel delle Palme: storico incontro tra i capi delle famiglie americane (Joe Bananas. ministro dell'Interno. a 28 anni. Il fascismo aveva utilizzato gli uomini della mafia come "campieri" o "guardiani". un'organizzazione anticomunista finanziata dagli industriali del Nord che precede di un decennio la nascita della misteriosa struttura clandestina Rosa dei Venti. Nasce Gladio. noi siamo sull'orlo della sconfitta del comunismo. 1956 Febbraio. Firmato Mario Scelba. Fra i sostenitori anche il giovanissimo Michele Sindona che esordisce con un commercio di armi. 28 novembre. All' indomani dell'occupazione della Sicilia esplosero le lotte contadine. Andreotti tornando sulla vicenda Giuliano dirà: «Era un assassino. il fondatore della Pro Deo. Nel frattempo coltiva ottimi rapporti con la Santa Sede. Joseph Palermo. un prelato legato alla CIA che aveva collaborato alla ristrutturazione dei servizi segreti vaticani. qualora la vittoria sarà nostra voi avrete l'immunità su tutto». che diverrà il gestore di due .riattivare i vecchi boss. Nei cinque anni che vanno dal '41 al '48. Ottobre. in carcere: aveva fatto rivelazioni sui mandanti di Portella delle Ginestre e sembrava sul punto di vuotare il sacco sulla morte del bandito di Montelepre. diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio. in questo periodo Giulio Andreotti è considerato il delfino di Alcide De Gasperi. veri corpi speciali in difesa dei latifondisti. Il protagonista di questa fase fu Salvatore Giuliano. Mezzo secolo dopo. in particolare con Felix Morlion.Subito dopo la strage di Portella. Il meeting costituisce l'esordio pubblico di Sindona. Con il vostro e con il nostro aiuto noi possiamo distruggere il comunismo. la mafia continuerà a svolgere il suo ruolo di paladina delle vecchie strutture agrarie contro i "granai del popolo". Raccontò Gaspare Pisciotta. Il generale Edgardo Sogno fonda Pace e Libertà. Sindona apre la collaborazione con le famiglie americane tramite il boss Joe Adonis. La lettera non è mai stata trovata e non si sono mai scoperte le modalità dell'uccisione di Giuliano. Il ministro dell'Interno ha fatto tutto quello che poteva fare. che lo aiuteranno a creare una rete d'appoggio agli Alleati. 1960 Primavera. rappresentanti di un emergente ceto medio siciliano interessato a progetti economico-imprenditoriali di sviluppo dell'isola. Il deus ex machina di queste relazioni è. un patto clandestino che pianifica in ambito NATO l'accordo tra i paesi aderenti allo Shape. in funzione antinvasione da parte dei paesi del Patto di Varsavia o per contrastare eventuali sommosse interne fomentate dai partiti comunisti. luglio. Una delle linee di difesa dei sostenitori di Andreotti è che il rapporto mafia-politica in Sicilia è sempre esistito. A Corleone viene ucciso il medico Michele Navarra. Il presunto assassino è Luciano Liggio. Ottobre. Anche in quest'occasione è Andreotti.il fanfaniano Giovanni Gioia. al suo fianco ci sono i suoi pupilli: Bernardo Provenzano e Totò Runa. che negli anni Sessanta diverrà anche ministro della Marina Mercantile. che sancisce la collaborazione dei servizi segreti dei paesi europei in ambito NATO e l'ampliamento delle varie "strutture antiguerriglia". ma è stato gestito localmente da uomini politici siciliani all'insaputa o con il tacito consenso dei referenti politici a livello nazionale. Licio Gelli fa il suo ingresso nella massoneria. Negli anni Cinquanta la mafia siciliana sembra abbandonare i vecchi progetti separatisti e appoggia a livello elettorale i partiti di centrodestra. Liggio era stato il "campiere" dei latifondisti della zona. Autunno. un monocolore DC sostenuto da PSDl. A metà degli anni Cinquanta. cui interessava meramente il risultato elettorale. Aprile. L'uccisione di Navarra segna la fine della vecchia mafia e l'inizio del potere del suo "braccio armato". Il nuovo tramite è Daniel Porgo. la rottura del blocco agrario consente a Gioia di convogliare verso la DC esponenti liberali e monarchico-qualunquisti. stabilendo un asse preferenziale con la DC. i giudici d'appello hanno invece sancito che il coinvolgimento di Andreotti nelle relazioni con i boss è stato diretto e lo "scambio di favori" è andato ben oltre l'accordo elettorale. L'Italia aderisce allo Shape. ancora ministro della . L'Italia entra a far parte dell'ACC. PRl e PLI. allora capo dei corleonesi. Fanfani vara il suo terzo governo. È l'anticamera del centrosinistra. La loggia prescelta dal futuro Venerabile è quella di Giandomenico Romagnosi. A conclusione del processo di Palermo. A firmare l'accordo è il ministro della Difesa Andreotti. il suo potere si era accresciuto nel dopoguerra grazie ai rapporti che era riuscito a stabilire con i servizi segreti italiani e americani. Sindona apre uno studio a Milano e uno a New York per seguire gli interessi economici della mafia americana. per circa vent'anni.milioni di dollari messi a disposizione da Luciano. e con l'astensione del PSI. denominate Stay Behind. cioè Cosa Nostra. 2 agosto. dove ha già organizzato un nucleo "coperto". Lo scandalo. che prevedeva l'internamento di esponenti politici e sindacali della sinistra nella base militare di capo Marrargiu in Sardegna (Gladio). in lite per una . Gelli diventa Gran Maestro della loggia di Palazzo Giustiniani. 2 febbraio. Pochi mesi dopo De Lorenzo viene rimosso dall'incarico e prende avvio l'inchiesta giudiziaria. che ha largo spazio sui giornali. ottobre. uomini d'impresa e intellettuali. Cosa Nostra scioglierà la "commissione". 30 giugno.Difesa. Marzo. Il presidente della Repubblica Antonio Segni. Molti fanno risalire a questa data la ristrutturazione del superservizio con il nome in codice Anello. Torino. Andreotti. Subito dopo avvia la riorganizzazione dell'intelligence e in particolare della struttura più operativa nella "guerra dietro le linee". per contrasti interni. tramite la Finabank. colpito da ictus il 7 agosto. Enrico Mattei muore in un incidente aereo. Lo scopo era quello di porre fine all'esperienza del centrosinistra e dar vita a un governo forte. Mino Pecorelli fonda l'agenzia «op». illegittimamente raccolte dai servizi segreti. il primo governo Moro DO PSI entra in crisi. un colpo di Stato militare cui avrebbero dovuto partecipare soltanto i carabinieri. A Ciaculli due ufficiali e cinque agenti dei CC vengono attirati da una telefonata che segnala un'auto rubata: la vettura esplode all'arrivo dei carabinieri. Agosto. che segna la nascita della P2. nella sua relazione il segretario del partito avvia la politica del centrosinistra. che ha origine dalla scoperta di contornila "schede" informative su esponenti politici e sindacali. Scoppia la protesta studentesca con l'occupazione simultanea delle università di Roma. Trento e Pisa. per riconquistare la maggioranza all'interno della corrente dorotea. 6 dicembre. 27 dicembre. da le dimissioni. denominato Propaganda 2. Sindona finanzia i colonnelli greci. scende in Sicilia. parlando di «cauti connubi». Gennaio. Giugno. Andreotti è convinto che l'intesa DO PSI sia infausta. a firmare l'accordo. che sembra avesse appoggiato il progetto De Lorenzo. porta alla luce il progettato golpe del 1964. il capo del Sil'AR Giovanni De Lorenzo progetta il Piano Solo. Ma lo schieramento "Amici di Fanfani e Moro" risulta vincitore e dunque si accoda. in vista del colpo di Stato del 1967. E la prima strage di mafia: racconteranno i pentiti che subito dopo. Aprile. All'ottavo congresso della DC che si svolge a Napoli. Giuseppe Saragat viene eletto presidente della Repubblica. Scoppia lo scandalo SIFAR. Il motivo addotto è la pacificazione tra il ministro Gioia e Salvo Lima. al termine della quale si contano 4 morti. La mafia da tempo non si faceva sentire quando a Palermo viene ucciso Michele Cavataio. Manes muore per malore. dopo aver incaricato il generale Giorgio Manes di indagare sul Piano Solo. in piazza Fontana. 25 giugno. Esplode una bomba ad alto potenziale nella Banca dell'Agricoltura. facendo 17 morti e un'ottantina di feriti. l'agente Antonio Annarumma viene ucciso da una bomba a mano durante scontri di polizia. nel corso di un'irruzione in un appartamento di via Lazio. Gli italiani ricordano gli anni Sessanta come un 'era felice. Il massacro chiude la sotterranea guerra di mafia in atto da alcuni anni. Vengono fermati il ballerino Pietro Valpreda e il ferroviere Giuseppe Pinelli. Lima viene eletto deputato nazionale. La ricostruzione e lo sviluppo economico sono in pieno atto. Lima entrerà a far parte della sua corrente. prima di deporre sul Piano Solo. che si era manifestata fino a quel momento in scontri di piazza tra estremisti di destra e di sinistra. Invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia. fa un salto di qualità il cui scopo è seminare il terrore tra la gente comune. X e 9 agosto. Roberto Calvi viene presentato a Sindona. Negli incidenti di piazza. Scoppiano bombe su otto diversi convogli (12 feriti). È questa anomalia politica a preoccupare la NATO e il governo USA. Nei mesi successivi.questione di preferenze in vista delle imminenti elezioni. La strategia della tensione. indicato dalle piazze come il responsabile della morte dell'anarchico Pinelli. 12 dicembre. 27 giugno. Il commissario Calabresi. Le indagini sulla strage di piazza Fontana imboccano quasi subito la pista anarchica. Per i familiari fu omicidio. Muore il generale dei Carabinieri Carlo Ciglieri in un incidente d'auto. si suicida in circostanze sospette alla vigilia della sua deposizione sul Piano Solo. Renzo Rocca. Sono gli anni del boom economico e del centrosinistra. 21 agosto. non era in ufficio. colonnello del sii). che ventiquattr'ore dopo "si suicida" precipitando dal quarto piano della questura di Milano. Era uno degli uomini di li-duci a di De Lorenzo. 10 dicembre. 27 aprile. ma il PO di Togliatti resta il maggior partito comunista occidentale. il paese sembra risorgere dalle macerie in cui l'aveva lasciato la seconda guerra mondiale. Novembre. Tre sono gli eventi di maggior rilievo che costituiscono il terreno di coltura per la nascita del . 19 maggio. 15 dicembre. ma mette in allarme l'opinione pubblica moderata e gli apparati di sicurezza. L'apertura al PSl decisa da Aldo Moro tende a isolare i comunisti. La DC raggiunge il 40 per cento dei consensi elettorali. Anche la mafia siciliana si ristruttura: dopo la strage dì via Lazio l'ala moderata dì Cosa Nostra. Ma il tentativo di golpe rientra in nottata per un misterioso contrordine. . Morte sospetta di altri due testimoni di piazza Fontana e di tre anarchici calabresi in vari incidenti di auto. e le tensioni sociali trovano sfogo in grandi manifestazioni di piazza che divengono teatro di violenze e provocazioni. Il principe Junio Valerio Borghese. cui quest'ultimo risponderà rafforzando la propria corrente con l'ingresso di Lima. Primo: la riorganizzazione dei reparti antiguerriglia e la nascita di un superservizio segreto che. 25 settembre. Muore Armando Calzolari. Terzo e ultimo evento: la nascita di un conflitto interno alla DC tra il "gruppo Moro" e il "gruppo Andreotti". Di li a poco. dopo il fallimento dell' ipotesi golpista di De Lorenzo. nel corso della quale si discute di un Piano di Rinascita il cui cardine è l'accentuazione dell'impegno anticomunista della massoneria. 22 luglio. 3 maggio. Compaiono i primi volantini BR alla Sit-Siemens di Milano. 14-15 luglio. Lino Salvini viene nominato Gran Maestro di Palazzo Giustiniani. Aprile. stabilendo tramite Lima e i cugini Salvo un dialogo con la corrente andreottiana. Secondo: l'esplodere della contestazione giovanile si salda alle lotte sindacali nell'autunno caldo del '69. 6 settembre. Al Parco dei Principi si svolge un convegno che vede ampia partecipazione di politici e intellettuali: è la prima uscita pubblica della Loggia P2. Attentato al treno Freccia del Sud: 6 morti e 139 feriti. comandante della X MAS. 28 gennaio. A Palermo scompare il giornalista Mauro De Mauro. 20 settembre. alla guida di alcune centinaia di uomini occupa il Viminale: al putsch sembra abbiano partecipato anche reparti dell'esercito. attua nuove forme d'intervento che hanno il loro banco di prova con la strage di piazza Lontana e i primi attentati ai treni. A Palermo la mafia si fa viva e uccide il magistrato Pietro Scaglione. che nel decennio successivo finirà per coinvolgere ampi strati giovanili sia di destra che di sinistra. dirigente del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese: il suo corpo viene trovato in un pozzo.terrorismo politico come fenomeno di massa. È conflitto tra il ministro della Difesa Andreotti e la Commissione parlamentare sul Piano Solo. Gelli sarà nominato segretario della P2. Febbraio. testimone di piazza Fontana. dei Bontate e dei Badalamenti. conquista l'egemonia e ricostituisce la Commissione. tra cui Stefano Delle Chiaie. 5 maggio. Esplode la rivolta di Reggio Calabria: a guidarla ci sono anche neofascisti di Avanguardia Nazionale. 8 dicembre. 15 marzo. 18 febbraio. 12 aprile. grazie a un patto con Arnaldo Forlani e al ruolo giocato nell'elezione di Giovanni Leone al Quirinale. nel corso di un comizio a La Spezia. In una prima fase. Accorrono quattro carabinieri. Il suo obiettivo è un governo a breve termine. 31 maggio. come si scoprirà. denuncia l'esistenza di una trama reazionaria. Il boss Pippo Calò si trasferisce a Roma e prende contatto con Domenico Balducci. stava indagando sui mandanti della strage di piazza Fontana e su una particolare struttura eversiva che si celava dietro attentati di destra. Giugno. Nuovi attentati ai treni. Molte tracce conducono a sospettare un intervento di Gladio: il traliccio si trova in un terreno di proprietà di Carlo Fumagalli. un "governo elettorale". . Salgono a 9 le morti sospette. ex partigiano bianco. l'indagine condurrà alla scoperta dell'esistenza di una "rete parallela" dei servizi segreti che fa capo a Gladio. l'auto esplode uccidendoli: è la strage di Peteano. camuffati come attentati di sinistra. ai piedi di un traliccio dell'ENEL. L'editore Giangiacomo Feltrinelli muore a Segrate. testimoni di piazza Fontana. Indicato dall'estrema sinistra come il responsabile della morte di Pinelli. Edgardo Sogno fonda i Comitati di Resistenza Democratica che. Ottobre. Il commissario Luigi Calabresi viene ucciso da un commando di due giovani a bordo di un'auto. Parole gravissime che indicano precise responsabilità della destra nella strategia della tensione. 5 novembre. neofascista e collegato al superservizio. Ancora quattro attentati ai treni in Calabria. 17 maggio. 12 ottobre. che gode di solidarietà «interne e internazionali». viene ucciso l'agente Antonio Marino. A Milano. Settembre. Il governo durerà invece fino al 73. dilaniato da un ordigno. durante incidenti di piazza. Una telefonata anonima segnala una FIAT 500 imbottita di tritolo. A 53 anni Andreotti diventa per la prima volta presidente del Consiglio. Proseguono gli attentati a Milano e sui treni.Molti anni dopo. si suicidano. Il segretario della DC Arnaldo Forlani. La Procura di Milano incrimina alcuni funzionari di polizia per aver depistato le indagini su piazza Fontana. considerato il primo capo della Banda della Magliana. fu sospettato del delitto il "nero" Gianni Nardi. Roberto Calvi viene nominato direttore del Banco Ambrosiano. entrano a far parte della Rosa dei Venti. che prepari l'uscita del PSI dall'esecutivo e apra a destra. Dicembre.Giugno e luglio. L'avvocato Vittorio Ambrosini e Edgardo Ginosta. Vito Ciancimino viene eletto sindaco di Palermo. 21 e 22 ottobre. Aprile-ottobre. Una morte oscura. Settembre. ucciso da una tazzina di caffè. Renato Curdo e Alberto Franceschini vengono arrestati. il capo dell'Ufficio D. 14 maggio. da quel momento. dove si stava svolgendo una cerimonia in memoria del commissario Calabresi: 4 morti. 94 feriti. Sindona è nei guai: uno dopo l'altro si registrano i crack della FranklinBank e della Banca Privata. il cosiddetto "golpe bianco". Il 1974 è considerato uno spartiacque nella strategia della tensione. dove si addestravano i reparti Stay Behind. 18 aprile. il nuovo capo delle BR. nel 1990 risulterà iscritto in un elenco di 620 gladiatori. A Brescia. 28 maggio. A Milano viene arrestato il boss Luciano Liggio. Settembre. Strage sul treno Italicus: 8 morti. arrestato in flagranza. Bankitalia ordina la prima ispezione del Banco Ambrosiano. Giugno. ma la defenestrazione dei due alti in grado del servizio segreto provoca malumori e lotte intestine che trovano eco su «OP». protagonista nei mesi precedenti di un fallito golpe. esplode una bomba che provoca decine di morti e feriti. novembre. La sindoniana Finabank finanzia la Rosa dei Venti. 8 giugno. La sua fuga dal carcere di Catanzaro e la successiva latitanza all'estero sono favorite dai servizi segreti. Muore Junio Valerio Borghese a Gaelice. E il più grave attentato dopo la strage di piazza Fontana. Sarà lo stesso Vita Miceli ad annunciarlo al giudice Giovanni Tamburino. Gianfranco Bertoli. Dicembre. durante una manifestazione sindacale. 14 marzo. L'aereo dei servizi segreti Argo 16 precipita dopo il decollo: muoiono cinque militari. Sarà lui. Mario Moretti manca all'appuntamento. Quest'ultimo. L'attentatore. La Cassazione toglie l'inchiesta sulla strage di piazza Fontana al giudice D'Ambrosio. Andreotti torna al ministero della Difesa in una situazione difficilissima:il capo del SID Mario Miceli è sotto inchiesta per il golpe Borghese.17 maggio. L'ipotesi del giudice Mastelloni è quella del sabotaggio: l'aereo riforniva la base di Capo Marrargiu in Sardegna. Al processo di piazza Fontana vengono incriminati Massimiliano Facchini e Guido Giannettini. Gianadelio Maletti. Nel giro di un paio di anni Andreotti si libera di entrambi. agosto. neonazista. l'agenzia di Pecorelli che apre la guerra contro il Divo Giulio. Novembre. Una bomba esplode di fronte all'ingresso della questura di Milano. si trova nei guai per la fuga di Giannettini. che avrebbe dovuto concretizzarsi in una riduzione delle libertà politiche e sindacali e nell'appoggio a un governo forte. che indagava sulla Rosa dei Venti e sul golpe . risulterà essere un informatore del SiD o forse qualcosa di più. 4 agosto. Le Brigate Rosse rapiscono a Genova il giudice Mario Sossi. si vanterà il gangster al momento dell'arresto. negli attentati sui treni e nelle provocazioni di piazza. Nello stesso periodo il Venerabile fonda l'organizzazione internazionale massonica OMPAM. 5 giugno. uccide due agenti di PS che tentano di arrestarlo. 30 aprile. Negli USA il presidente Richard Nixon è sottoposto a impeachment. 9 maggio. sia nella galassia del terrorismo. Il cambio della guardia è simultaneo sia negli apparati di sicurezza. Sindona viene arrestato a New York e condannato per la prima volta in Italia per il crack dell'Ambrosiano. Le Brigate Rosse compiono il primo assassinio politico uccidendo a Milano l'industriale Carlo Saronio. Lo scrittore Pier Paolo Pasolini viene ucciso a Ostia durante un incontro "privato". Mario Tuti. moglie del capo BR Renato Curcio. Le BR uccidono a Genova il magistrato Francesco Coco. è il regime di Salazar in Portogallo. Attentato sulla linea Firenze-Roma. Celli esce da Palazzo Giustiniani e fonda la v2 come loggia autonoma: tra i nuovi iscritti Roberto Calvi. ampiamente utilizzati nei tentativi di golpe. Pochi giorni dopo toccherà a Minghelli. Ma il vento era cambiato. 8 settembre. 15 aprile.segretario della P2: «Se qualcuno mi ha tradito la pagherà cara. Ma c'è il sospetto che dietro il delitto si nasconda la volontà di eliminare una voce scomoda che in quel periodo. Gli ex di Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo. da adesso in poi sentirete parlare soltanto delle Brigate Rosse». viene ucciso lo studente Luigi De Rosa. viene uccisa in un conflitto a fuoco con i carabinieri di Dalla Chiesa. 22 novembre. perché appartengo a una grande famiglia». dalle prime pagine del «Corriere della Sera». in aprile. ricercato per la strage dell'Italicus. 7 gennaio. Arrestato Albert Bergamelli. ma . La brigatista Mara Cagol. Dicembre. A parlarne per primo è Mino Pecorelli su «OP». seguirà quello dei colonnelli in Grecia. Scoppia lo scandalo Petroli. 8 giugno. compromessi nelle trame nere. Non e considerata una coincidenza che in questa fase Andreotti sia di nuovo al ministero della Difesa. non c'era più spazio per la destra eversiva. 24 gennaio. A Sezze Romano. Il primo a cadere. il nuovo presidente dell'Ambrosiano. 28 maggio. attaccava la De e i mandanti delle stragi. erano in difficoltà per la fine dei regimi di destra nel Mediterraneo. Eppure il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva appena arrestato Curdo e Franceschini.Borghese: «Il terrorismo di destra è finito. durante disordini di piazza provocati dalla destra. Nuova ondata di contestazioni studentesche che tornano a occupare le università e manifestano per le strade. ottobre. muore colpita da un "proiettile vagante" mentre partecipa a una manifestazione indetta dal Partito Radicale per i referendum. il figlio del segretario del PSI. Anche l'agente Antonino Custrà cade a Milano durante una manifestazione dell'autonomia operaia. sarà aperta soltanto un anno dopo la morte del giornalista. La morte dei tre giovani terroristi. febbraio e marzo. che nel '70 aveva tentato di coinvolgere i boss nel golpe Borghese. febbraio. 15 maggio. Di recente è stata avanzata l'ipotesi che la sua fuga sia stata organizzata dalla segretissima struttura del superservizio denominata Anello. il 12 agosto si suicida a Roma Antonino Anzà. Il giornalista Carlo Casalegno viene . che diverrà la prima pista imboccata come movente dell'omicidio di Mino Pecorelli. Il settimanale «Tempo» pubblica un servizio sulla base militare di Capo Marrargiu. 14 agosto. Guido De Martino. aveva dato ampio spazio alle rivelazioni sui "fondi neri" elargiti dalla pubblica banca a politici e imprenditori. organizzazione terroristica molto vicina alle Brigate Rosse. il 30 ottobre il generale Enrico Mino muore in un incidente di elicottero sulla Sila. Esplode lo scandalo Italcasse. ma c'è chi appoggia la linea dura della Germania. nei mesi precedenti la morte. 5 aprile. 28 aprile. 16 novembre.l'inchiesta che porterà all'arresto dei generali Raffaele Giudice e Donato Lo Presti. 20 agosto. Le BR uccidono l'avvocato Fulvio Croce a Torino. affinchè lasciasse la guida del partito socialista per far posto a Craxi. resta per tre giorni nelle mani di un'anonima banda di rapitori che manda strani messaggi. che criticano le BR ma predicano la lotta armata a "livello di massa". Lo scandalo coinvolgeva Andreotti. Un rapimento che destò viva apprensione per il sospetto che si trattasse di un messaggio intimidatorio nei confronti del padre. il colonnello Pasquale Giansante si suicida a Messina. Il giornalista. Muoiono in circostanze sospette tre ufficiali dei Carabinieri: il 18 luglio. A fare da raccordo tra il "movimento" e le organizzazioni terroristiche sono soprattutto esponenti del l'autonomia operaia. suscita in Italia grande emozione. Il criminale nazista Herbert Kappler evade dall'ospedale militare Celio e scompare nel nulla. esprimendo un livello di violenza assai superiore rispetto al '68. che ha le caratteristiche di un'esecuzione. studentessa. In Germania vengono uccisi tre esponenti della Baader-Mein. La mafia uccide a Corleone il colonnello Giuseppe Russo. Giorgiana Masi. della cdf. tanto che Vitalone aveva offerto un contributo da 300 milioni in contratti pubblicitari al direttore di «OP».hof. 12 maggio. Luglio-ottobre. in affari con la Banda della Magliana. fino alla nomina del nuovo ministro Virginio Rognoni. A Palermo viene ucciso il boss Giuseppe Di Cristina. Gli succede papa Albino Luciani che morirà d'infarto quaranta giorni dopo.consulente del ministero e capo dell'ala movimentista dell'organizzazione terroristica: era lui la talpa. la scomparsa della versione originale del Memoriale. la trattativa aperta da settori della DC. 30 maggio. In questo interregno scompare tutta la documentazione sul sequestro Moro. a partire dal luogo dove Aldo Moro avrebbe trascorso i 55 giorni di prigionia. A mezzo secolo dal più grave delitto politico dell'Italia repubblicana. È il terzo magistrato che lavora in via Arenula a morire sotto il fuoco brigatista. Gli subentra ad interim il presidente del Consiglio Andreotti che manterrà l'incarico per 50 giorni. Il corpo di Moro viene ritrovato in via Michelangelo Caetani. febbraio. facendo trovare il cadavere imbottito di tritolo sui binari della ferrovia. Le BR uccidono a Genova il sindacalista Guido Rossa. Tre anni dopo sarà arrestato Giovanni Senzani. restano ancora molte zone d'ombra nell'intera strategia del sequestro. Il colonnello della GDF Salvatore Florio muore in un incidente d'auto: aveva ordinato un'inchiesta ad Arezzo sul Venerabile. Il giudice Riccardo Palma viene assassinato a Roma dalle Brigate Rosse. le modalità dell'esecuzione. il papa che aveva scritto una lettera agli uomini delle Brigate Rosse per invocare la salvezza di Moro. In via Fani Aldo Moro viene rapito dalle Brigate Rosse. 12 gennaio. a partire dai verbali del Comitato di Crisi. . Dicembre. Il ministro dell'Interno Cossiga si dimette dall'incarico. all'interno di una Renault Rossa. a Cinisi. Assassinato dalle BR Girolamo Tartaglione. maggio. Nello stesso giorno dell'assassinio di Moro. viene trovato morto Giuseppe Impastato. un giornalista che dai microfoni di una radio libera attaccava Tano Badalamenti. Moro stava andando alla Camera per assistere al giuramento del nuovo governo Andreotti che apriva la strada al "compromesso storico". Giovanni Leone si dimette dalla presidenza della Repubblica. 10 ottobre. 6 agosto. giugno. Un delitto che annuncia la guerra di mafia. funzionario del ministero di Grazia e Giustizia.ucciso a Torino dalle BR. maggio. 16 marzo. Bankitalia trasmette al giudice Emilio Alessandrini il dossier sull'Ambrosiano. 26 luglio. nonostante numerosi brigatisti abbiano deciso di collaborare con la giustizia. Nell'ordinarne l'uccisione il boss non tralascia la macabra messinscena del finto attentato. Nel conflitto a fuoco vengono uccisi 5 agenti di scorta. Muore Paolo VI. a Roma. In via Tacito. 23 luglio. con attentati che vanno dalla bomba all'omicidio politico. Agosto-settembre. Un killer solitario uccide a Milano Giorgio Ambrosoli. 9 marzo. comandante del Nucleo traduzioni del tribunale di Roma. magistrato e docente universitario. parlamentare ed ex membro della Commissione Antimafia: con lui muore anche l'autista Lenin Mancuso. Soltanto tra il '78 e il '79 si contano 23 morti. che si accingeva a pubblicare ampi stralci della parte sconosciuta del Memoriale Moro: ad amici avrebbe confidato che il dossier avrebbe dimostrato che Andreotti era un criminale. un ignoto killer assassina Mino Pecorelli. magistrato.14 gennaio. La mafia uccide a Palermo il giornalista Mario Francese. A Catania la mafia uccide Giuseppe Calderone. 24 marzo. compiuto con modalità che fanno sospettare l'intervento della malavita: il sospetto è che sia stato lui a consegnare a Pecorelli il documento segreto per conto di Dalla Chiesa. 23 settembre. Il vicepresidente di Bankitalia Mario Sarcinelli. 3 maggio. Per il suo omicidio. Per cinquanta giorni Michele Sindona. Boris Giuliano. amico di Moro. capomafia e fratello del futuro pentito Antonino. L'unica certezza è che il proiettile appartiene a uno stock rinvenuto in un'armeria della Banda della Magliana. Michele Reina: è il primo delitto politico-mafioso. marzo. Andreotti e Tano Badalamenti sono stati condannati a 24 anni dai giudici del la Corte d'Assise d'Appello di Perugia. viene ucciso a Palermo men tre indagava sugli investimenti della mafia nelle banche sindoniane. si trasferisce a Palermo dove tramuta la sua fuga in un finto rapimento che utilizza per avanzare pesanti ricatti nei confronti di Andreotti. di rettore di «OP». Un delitto anomalo. A Palermo viene assassinato il segretario provinciale della DC. che si era opposto al salvataggio dell'Ambrosiano. 29 gennaio. Dal '74 al '79 si intensifica l'ondata di violenza che scandisce la vita degli italiani. Ancora a Palermo la mafia uccide Cesare Terranova. Un commando di Prima Linea uccide il giudice Alessandrini: indagava sulla strage di Milano e sull'Ambrosiano. un'ottantina . vicequestore di Polizia. il curatore del fallimento dell'Ambrosiano. viene ucciso dalle BR che rivendicano l'attentato. Sindona è accusato di essere il mandante del delitto. Antonio Varisco. viene arrestato dopo una riunione della loggia di Montecarlo che ordina la sua "punizione". dopo aver riottenuto la libertà su cauzione a New York. dimissionario dell'Arma. 12 luglio. Le BR uccidono il professor Vittorio Bachelet. luglio. 12 febbraio. come la Commissione Parlamentare d'Inchiesta. forse convinti che le violenze avrebbero favorito la sconfitta del Partito Comunista. Gli apparati di sicurezza nei confronti del terrorismo rosso sembravano aver adottato la politica del lais. Marzo. . È in seguito a questo omicidio che. Il giurì del Senato assolve Toni Bisaglia per i suoi rapporti con Mino Pecorelli. A Palermo viene ucciso il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella: un delitto compiuto dalla mafia. il cui esito fu la condanna a morte del prigioniero. 6 gennaio. la crescita delle imprendibili Brigate Rosse è facilitata dall'inefficienza degli apparati investigativi. 4 maggio. 27 luglio. nel corso di un conflitto aereo nel Mediterraneo. 28 maggio. Fu un missile o una bomba? L'inchiesta giudiziaria. esploso per una collisione. Nell'ultima fase del sequestro Moro sembra essersi creata una sorta di sinergia tra le varie componenti politico-criminali. Dalla Chiesa era stato rimosso dall'incarico di capo dell'Antiterrorismo e mandato a gestire la Securpena. ha matrice politica è quasi sempre di sinistra.di feriti e oltre tremila attentati. Le BR uccidono il magistrato Girolamo Minervini: prosegue la mattanza nel ministero di via Arenula. A Monreale la mafia uccide il capitano dei CC Emanuele Basile. Ma alla crescita del terrorismo politico si affianca quella della criminalità organizzata: la presenza di Sindona a Palermo rivela l'esistenza di una mafia "riorganizzata" che gode di altissime protezioni. Il giornalista Walter Tobagi viene assassinato a Milano dal gruppo 24 Marzo: un omicidio che i militanti dell'organizzazione hanno attuato nella speranza di essere accolti dalle Brigate Rosse. Andreotti prende coscienza della pericolosità criminale della mafia e avvia il suo graduale distacco dai boss di Cosa Nostra. che agisce con la protezione di agenti segreti e di Cosa Nostra. Dopo l'arresto di Curdo e Franceschini. perché il PCI di Berlinguer nel '76 raggiunse il suo massimo storico con il 36 per cento dei consensi elettorali. in alternativa. ma che potrebbe avere un movente politico. Nel cielo di Ustica scompare l'aereo di linea Bologna-Palermo: 87 morti. mentre a Roma si realizza una sorta di simbiosi tra malavita e terrorismo nero all'interno della Banda della Magliana. 4 luglio. 18 marzo. Il calcolo si rivelò sbagliato. sembra propendere per la prima ipotesi: l'aereo sarebbe stato abbattuto da un missile o. Così ha preso corpo il sospetto che la crescita indisturbata delle Brigate Rosse avesse come scopo l'eliminazione dalla scena politica di Aldo Moro. nel '74. il cui scopo era uccidere Gheddafi. per i giudici d'appello di Palermo.sez faire. A Milano la polizia ritira il passaporto a Roberto Calvi. esplode alla stazione di Bologna: 85 morti. 23 novembre. Il capo di Cosa Nostra. 500 chili di Semtex T4 stipati in una valigia. 23 aprile. Sindona viene condannato per il crack della Franklin Bank. Dicembre. viene ucciso a Palermo dai . L'ala movimentista. Le Brigate Rosse uccidono a Milano il magistrato Guido Galli. cui parteciparono soprattutto imprese legate alla camorra. Una feroce vendetta trasversale. 13 settembre. giovane estremista turco. capeggiata da Giovanni Senzani. Le BR sequestrano a Roma il magistrato Giovanni d'Urso. uccide Roberto Peci. Ali Agca. agosto. fratello di Patrizio. Un'ordigno ad alto potenziale. Per la bomba di Bologna sono stati condannati a dieci anni anche Licio Gelli. coinvolto nelle indagini sull'omicidio Mattarella e amico di Giusva Fioravanti. Ma perché è esplosa quella bomba? Due le alternative: un attentato libico in risposta al tentativo di abbattere l'aereo su cui era Gheddafi. A Castelvetrano viene ucciso l'assessore Vito Lipari. Negli anni Novanta. dall'inchiesta sulla strage di via d'Amelio emergerà che l'impresa Ferruzzi concedeva in Sicilia appalti alla mafia. Esplode lo scandalo Petroli con l'arresto dei generali Raffaele Giudice e Donato Loprete. Viene recuperato nel lago di Nemi il corpo del neofascista palermitano Francesco Mangiameli. Ottobre.500 morti e danni per migliaia di miliardi. Per questo attentato sono stati condannati all'ergastolo quattro neofascisti. Il terremoto in Irpinia provoca 2. la residenza di Licio Gelli. 15 agosto. Ad Arezzo. dicembre. detto Er Negro. 11 marzo. Anni dopo esploderà lo scandalo della "ricostruzione". Stefano Bontate. 1 agosto. detto il Padrino.2 agosto. il generale Musumeci e il colonnello Belmonte. settembre. In piazza San Pietro. spara a Giovanni Paolo Il. A Palermo. suocero di Raul Gardini. il primo capo della Banda della Magliana. la Procura di Milano sequestra gli elenchi della P2 custoditi a Villa Wanda. Novembre. Cosa Nostra uccide il consigliere istruttore Gaetano Costa. marzo. tra cui i romani Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. 6 agosto. il primo pentito delle BR. In un bar di Trastevere viene assassinato Franco Giuseppucci. uno dei capi dell'ala moderata di Cosa Nostra. In un incidente aereo sospetto muore Serafino Ferruzzi. dietro cui s'intravede il messaggio nei confronti dei pentiti di tacere sui misteri del sequestro Moro. Viene assassinato il boss Salvatore Inzerillo. 17 marzo. o un depistaggio che avvalorasse la pista terroristica anche per Ustica. che sarà liberato dai NOCS con un'irruzione nel covo. Anni dopo la Procura scoprirà che il terrorista era in contatto con il Noto Servizio.corleonesi la sera del suo quarantunesimo compleanno. capo della Mobile di Napoli. la cellula dei servizi segreti delegata alla gestione degli affari sporchi. si suicida dopo essere stato convocato dalla Procura di Milano: aveva indagato ad Arezzo sul passato di Licio Gelli. agli arresti per la strage di Brescia. 3 settembre. luogotenente di Cutolo. Dicembre. dov'era fuggito in compagnia di Flavio Carboni. 15 luglio. Roberto Calvi viene trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. colonnello della GDF. su ordine di Cosa Nostra: la mafia nel crack dell'Ambrosiano aveva perduto ingenti ricchezze. Secondo Frank Di Carlo a inscenare il delitto sarebbe stato Vincenzo Casillo. 9 luglio. Alessandro Alibrandi. legato ai NAR. figlio del giudice istruttore di Roma. 17 dicembre. ma dietro Giovanni Senzani s'intravede la mano della camorra interessata a contrattare la gestione degli appalti post-terremoto. viene assassinato dalle BR. A Palermo la mafia uccide il segretario regionale del PCI. Agosto. A Verona le BR rapiscono il generale USA James Lee Dozier. che per l'occasione nomina consulente dell'Ambrosiano. che si era battuto contro l'installazione dei missili Cruise a Comiso. muore in un conflitto a fuoco. Muore a Milano Danilo Abbruciati: lo uccide la guardia del corpo del vicepresidente dell'Ambrosiano Roberto Rosone che risponde al fuoco aperto dal boss della Magliana. nel sequestro sarebbe sceso in campo il famigerato Anello. che indagava sul sequestro Cirillo. Roberto Calvi trascorre in Sardegna un periodo di riposo in compagnia di Francesco Pazienza. 28 aprile. 1 aprile. Secondo recenti rivelazioni. la cellula segreta del Supersid. 30 aprile. Pio La Torre. l'abitazione di Raffaele Cutolo: dietro l'omicidio la vendetta di un clan rivale o l'eliminazione di un uomo che "sapeva troppo". 17 giugno. A Palermo vengono uccisi Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro. 27 aprile. Luciano Rossi. Il criminologo Aldo Semerari viene trovato decapitato di fronte al castello di Ottaviano. Roberto Calvi tenta il suicidio nel carcere di Lodi. Tre mesi prima il generale era stato nominato Alto commissario per la lotta alla mafia. ma . Antonio Ammaturo. Rapito a Napoli dalle BR l'assessore Ciro Grillo. 5 giugno. Nel carcere di Novara viene assassinato il terrorista di destra Ermanno Buzzi. Siamo all'apice della guerra di mafia che ha già provocato centinaia di morti. 12 settembre. . anni dopo. Il colonnello Amos Spiazzi. 12 febbraio. che non aveva mai creduto alla tesi dell'incidente. A Monreale cade il capitano dei carabinieri Giuseppe D'Aleo. Scivola dalla barca il leader DC Toni Bisaglia. Cosa Nostra uccide il consigliere istruttore Rocco Chinnici. vicecapo della Nuova Camorra Organizzata. Viene assassinato a Roma dalle BR il generale USA Leamon Hunt. gennaio. viene assassinato il giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto. novembre. 13 settembre. Mario. Ottobre. Bisaglia era stato inquisito dal giurì del Senato per i suoi rapporti con Pecorelli. 22 luglio. A organizzare il colpo sarebbe stato Toni Chichiarelli. 26 giugno. sul la quale si sono accresciuti i sospetti quando. lo accompagna a Palermo e lo consegna al giudice Falcone con il quale il pentito aveva chiesto di parlare. esponente di Ordine Nuovo. Era coinvolto in gravi episodi della strategia della tensione. gennaio.l'ipotesi emersa dal processo Andreotti è che sia stato eliminato perché in possesso di documenti relativi al caso Moro. autore del falso comunicato sul Lago della Duchessa: sul bancone vengono lasciati messaggi che collegano la rapina al delitto Moro e all'omicidio Pecorelli. l'istituto di sicurezza che fa parte di una catena di proprietà di Sindona: alcuni uomini incappucciati penetrano all'interno e si appropriano di denaro e gioielli per circa 35 miliardi. 13 luglio. 5 gennaio. Gelli evade dal carcere svizzero di Champ Dollon. La polizia italiana. Ancora a Palermo vengono assassinati gli agenti di polizia Mario Trapassi e Salvatore Barlotta. Rapina alla Brink's Secur Mark. muore dopo la cattura in Argentina da parte dei nostri servizi segreti. annegherà in un laghetto del Cadore anche il fratello prete. Albert Bergamelli viene assassinato nel carcere di Ascoli Piceno. Pierluigi Pagliai. 29 luglio. William Aricò.in procinto di risolvere alcuni omicidi politici: forse aveva individuato i mandanti dell'omicidio Mattarella. A Palermo la mafia uccide l'agente Calogero Zucchetto. Tommaso Buscetta viene arrestato in Brasile. Tenta il suicidio ma sopravvive. A Valderice. giugno. indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla Rosa dei Venti. Il presunto omicida di Calvi è legato alla Banda della Magliana ed è a conoscenza di molti segreti del sequestro Moro. A Catania viene ucciso il giornalista Giuseppe Fava. settembre. Salta in aria con un'autobomba Vincenzo Casillo. 24 marzo. 24 ottobre. ottenuta l'estradizione. Muore a New York. Una morte oscura. il presunto killer di Giorgio Ambrosoli. Le BR uccidono a Torino il magistrato Bruno Caccia. frazione di Trapani. cadendo dal nono piano del carcere. A Palermo. impresario farmaceutico. aprile. amico di Bisaglia e del colonnello Varisco.viene rinviato a giudizio. agosto. Muore suicida a Londra anche Ugo Niutta.marzo. 27 marzo. Si conclude a Roma. viene ucciso il commissario Beppe Montana. Muore una donna con i suoi due bambini. che hanno individuato a Roma. l'alto prelato coinvolto nel crack del Banco Ambrosiano. 1987 2 febbraio. Sindona muore in carcere a Vogherà. Il prefetto Vincenzo Parisi viene nominato capo della Polizia. 8 agosto.un ordigno fatto deflagrare con un comando a distanza . È la più grave crisi tra Italia e USA del dopoguerra. Con Musumeci. 30 marzo. legato alla Banda della Magliana. La Mobile in quel periodo era considerata il braccio operativo del giudice Falcone e aveva operato centinaia di arresti su indicazione di Buscetta. 10 febbraio. Il sindaco di Firenze. Inizia il maxiprocesso a Palermo. giugno. Su ordine di cattura del PM Domenico Sica viene arrestato a Roma il generale del SISMI Pietro Musumeci: è accusato di aver tentato di depistare le indagini sulla strage di Bologna. 28 settembre. 19 ottobre. la lunga latitanza di Pippo Calò. I palestinesi di Abu Abbas sequestrano la nave Achille Lauro e uccidono un cittadino americano.la mafia tenta di far saltare in aria l'auto del giudice Carlo Palermo. vicino a Palermo. Gli USA chiedono la testa di Abbas. Esplode una bomba sul rapido Napoli-Torino: 15 morti e 80 ferì ti. . 19 febbraio. viene ucciso dalle Brigate Rosse. ma il presidente del Consiglio Craxi e il ministro degli Esteri Andreotti si oppongono. a conoscenza di troppi gravi segreti. 7 ottobre. Muoiono in un attentato anche il capo della Mobile. 22 marzo. Francesco Pazienza viene arrestato a New York su ordine di cattura dei magistrati di Bologna. Le BR uccidono l'economista Ezio Tarantelli. novembre. e l'agente Roberto Antiochia. A Porticello. quasi tutti in carcere: è il primo processo alla mafia come organizzazione criminale. Arrestato il conte Vittorio Guglielmi. con l'arresto in un elegante appartamento della Balduina. Mandato di cattura per Paul Marcinkus. La mafia scopre il terrorismo e ricorre alla strage per inviare segnali e minacce: è la risposta del boss Pippo Calò alle rivelazioni di Buscetta. settembre. A Trapani. L'ex sindaco Vito Ciancimino viene arrestato a Palermo. In un agguato viene ucciso Chichiarelli. A Sigonella i carabinieri italiani si fronteggiano con i soldati americani. Gli imputati sono più di quattrocento. Belmonte e Gelli anche lui è chiamato a rispondere di depistaggio nelle indagini sulla strage alla stazione. dopo aver bevuto un caffè al cianuro. Ninni Cassare. giugno. Landò Conti. con la stessa tecnica usata per la strage sul treno . Francesco Pazienza viene estradato dagli Stati Uniti. Sindona viene estradato dagli Stati Uniti. novembre. Francesco Cossiga viene eletto presidente della Repubblica. febbraio. dicembre. 16 aprile.18 marzo. 16 gennaio. 3 agosto. dove Giovanni Falcone trascorre il periodo estivo. 12 gennaio. Assassinato a Palermo l'ex sindaco Giuseppe Insalaco. giugno.vengono arrestati per l'omicidio del commissario Calabresi su indicazione del pentito Marino. agente di polizia. verso una degenerazione senza ritorno. la fine dell'emergenza terrorismo coincide con la crisi della P2 di Lido Gelli: con il Venerabile escono di scena gli uomini più compromessi nelle trame . Le BR uccidono il generale Licio Giorgieri. insieme a tutto il sistema dei partiti. Un pacco contenente esplosivo viene ritrovato nella villa all'Addala.Sofri. La Procura di Palermo spicca un mandato di cattura nei confronti di Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini per l'omicidio di Piersanti Mattarella. A Canicattì viene assassinato con il figlio il presidente della Corte d'Appello. Maggio. In una rapina in via Prati di Papa vengono uccisi due agenti: ad agi re sono ancora una volta le Brigate Rosse. cui era stato assegnato il maxiprocesso. 11 settembre. Nuovo omicidio BR: a Forlì un commando uccide il senatore Roberto Ruffilli. Antonio Saetta.mento al giudice a non proseguire nelle sue indagini sui santuari del riciclaggio nelle banche svizzere.coinvolto nel falso rapimento Sindona dell'estate 79. Scompare a Palermo Giacomo Vitale. Nell'81 e '82. A Palermo viene ucciso Antonio Agostino. la DC appare incapace di trovare un nuovo leader che riassuma in sé le capacità di progettazione e le finalità etiche proprie dello statista e si avvia. Cade il Muro di Berlino. 19 ottobre. 26 agosto. Agosto. un evento che annuncia grandi cambiamenti negli equilibri mondiali e che avrà ripercussioni sulla classe politica italiana non più protetta dall'alibi dell'anticomunismo. Luglio. Un minaccioso segnale dei boss affinchè siano annullate o ridotte le pesanti condanne di primo grado. A Trapani viene ucciso il giornalista Mauro Rostagno. Gli inquirenti non credono che si tratti di un attentato di mafia. La mafia uccide anche l'agente Natale Mondo. Arrestato a Roma Flavio Carboni. A Reggio Calabria la 'ndrangheta uccide l'ex presidente delle Ferrovie Ludovico Ligato. Scompare l'economista Federico Caffè. Dopo la crudele scomparsa di Moro dalla scena politica. settembre. marzo. Pietrostefani e Bompressi . cognato di Stefano Bontate. settembre. Gli anni Ottanta sono contrassegnati dalla crisi istituzionale e politica che precede i grandi mutamenti del decennio successivo. piuttosto di un avverti. I tre ex leader di Lotta Continua . 5 agosto. massone. e appaiono sempre più inseriti nel mondo anche legale degli affari. Pippo Calò (un boss poco conosciuto. Cossiga definì "patrioti" i 620 gladiatori e diede inizio a furibonde esternazioni. Con la strage al treno del dicembre '84. 1? marzo. in vista della nomina cui aspira di capo dello Stato. cioè la struttura Gladio. il quale reagisce vigorosamente minacciando di ordinare la secretazione dei documenti raccolti dalla Commissione Gualtieri. ora è la mafia che comanda la politica». come il generale Musumeci. 9 aprile. approfitta dell'indebolimento della politica per presentare il conto. Un "tradimento" cui la mafia risponderà. si sono riorganizzati sotto il dominio di Cosa Nostra. da cui dipende il reparto VII. o non si è voluto. in realtà assai potente e ben inserito) da inizio a quel terrorismo mafioso che sta a dire che ora è Cosa Nostra a dettare le regole. così falcone riassume la situazione alla fine degli anni Ottanta. che si concretizzerà in forti misure antimafia. forte del suo coinvolgimento nei segreti di Stato. soprattutto alla fine degli anni Ottanta quando. una nuova emergenza è alle porte: la criminalità organizzata. I clan della camorra. Ma a ispirare tale condotta è anche il suo eterno pragmatismo: Andreotti vuole cancellare le ombre del passato. da Portella delle Ginestre al caso Moro. nei confronti delle cosche. Lo scopo di Andreotti di provocare le sue dimissioni per giungere alla . Ucciso a Palermo Giovanni Bonsignore. Gli attentati si diradano anche se le Brigate Rosse. coinvolto nella vicenda Gladio negli anni Sessanta. funzionario della Regione. La Corte d'Appello di Firenze conferma le condanne per la strage di Natale: ergastolo a Pippo Calò.sostengono i giudici d'appello dì Palermo ha preso coscienza della pericolosità criminale di Cosa Nostra e attua una linea di sbarramento.rosse e nere. coincide con il cambio della guardia al vertice dei servizi segreti. resa possibile dalla scoperta delle liste P2 a Villa Wanda. dopo un lungo periodo al ministero degli Esteri. nei primi anni Novanta. Agosto. giungendo a ventilare il suo scioglimento. mostrano una capacità di sopravvivenza ancora attuale. Le rivelazioni di Andreotti provocano una bufera attorno al capo dello Stato Francesco Cossiga. far luce sul "livello superiore" dell'organizzazione terroristica e sulle sue protezioni. con una feroce vendetta. ridimensionate a piccolo gruppo armato. forse dovuta al fatto che non si è mai riusciti. La macchina repressiva dello Stato riprende a funzionare: decine di capi BR vengono arrestati e collaborano con la giustizia. della 'ndrangheta e della Sacra Corona usciti vincenti dalla guerra di mafia. torna alla guida del governo. Alla sconfitta del terrorismo concorre comunque la capacità di organi dello Stato di fare pulizia al proprio interno: l'arresto di alcuni ufficiali del SISMI. «I ruoli si sono invertiti. Andreotti in questo periodo . che dal '77 dirige l'ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI. Ma i guai non sono finiti. concreta minaccia messa in atto da Totò Riina:gli ergastoli devono essere annullati dalla Suprema Corte. in via Montenevoso. è fallito: Cossiga non si dimette. viene ritrovata la fotocopia dell'originale del Memoriale Moro. 9 agosto. un commerciante palermitano che si era rifiutato di pagare il rachet. È la prima. 17 novembre. in risposta a una richiesta del presidente della Commissione Stragi Libero Gualtieri. 21 settembre. conferma con un documento di dodici pagine l'esistenza di reparti Stay Behind e di un Supersid cui erano delegate funzioni "antinvasione e antisommossa" nell'azione di contrasto al comunismo. che contiene una trentina di pagine in più rispetto alla fotocopia diffusa nel 1978. Uno dei tanti giudici "ragazzini" che operano in Sicilia.nomina di un nuovo capo dello Stato. Oltre a più esplicite accuse ad Andreotti. viene ucciso a Reggio Calabria in un agguato della 'ndrangheta. 9 novembre. durante lavori di ristrutturazione. Una richiesta di impeachment viene avanzata dall'opposizione nei confronti del . Nell'ex covo delle BR. 11 ottobre. Rosario Livatino. viene assassinato in pieno centro a Palermo. avevano finanziato azioni terroristiche in Italia e il traffico di armi e droga. nonostante la NATO avesse dato ordine di secretare ogni informazione. Uno dopo l'altro i governi di vari paesi. furono costretti ad ammettere l'esistenza di reparti Stay Behind. Il presidente del Consiglio Andreotti. Andreotti torna alla carica su Gladio: in un primo momento aveva sostenuto che la struttura antiguerriglia era stata disciolta nel 72. Trecentomila persone partecipano a una manifestazione indetta dal PCI di Achille Occhetto per chiedere la verità sulle stragi e lo smantellamento di Gladio. Novembre. svanita la possibilità che il capo dello Stato rassegnasse le dimissioni. a soli 32 anni viene massacrato in un agguato di mafia. Gravi ripercussioni in tutta Europa per le rivelazioni sull'esistenza di una struttura segreta finalizzata alla lotta al comunismo. a partire dalla Grecia di Papandreu. 3 agosto. il PG di Cassazione che stava istruendo la requisitoria per il Maxiprocesso. ora precisa invece che in seguito era stata stabilmente inglobata nel servizio segreto militare. il Memoriale contiene informazioni su Gladio. Antonino Scopelliti. il presidente del Consiglio gli aveva rinnovato la fiducia del governo. Novembre. Scoppia il caso Gladio. 1 giugno. tramite la P2. 29 agosto. prima delle elezioni politiche previste per il '92. Andreotti viene nominato senatore a vita da Cossiga: tra i due è pace fatta dopo che a febbraio. Libero Grassi. In un'intervista al TGl l'agente CIA Richard Brenneke sostiene che gli USA. 14 maggio. 12 marzo. Le procure di Roma e Palermo chiedono l'autorizzazione a procedere nei confronti di Giulio Andreotti. 17 febbraio. europarlamentare DC. annuncia Totò Riina. La Cassazione rigetta le richieste di annullamento dei boss e conferma tutte le pesanti condanne della prima sentenza del Maxiprocesso. cioè dimostrare che aveva rapporti con la mafia. Sull'onda dell'emozione per l'eccidio di Capaci viene eletto capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro. viene ucciso davanti alla sua abitazione a Mondello. accusato di associazione mafiosa e come mandante del delitto Pecorelli. appena usciti dal . in Friuli. con la stessa tecnica del comando a distanza. sull'autostrada che collega l'aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Ad Agrigento viene ucciso il maresciallo dei CC Giuliano Guazzelli. A Gorizia. 19 luglio. Salvo Lima. vengono fatti esplodere 500 chili di tritolo collocati in un viadotto: muoiono il giudice Giovanni Falcone. viene fatta esplodere una Fiat 126 imbottita di tritolo: muoiono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. esplode attorno alle 18 un'autobomba che devasta gli stabili circostanti. 20 marzo. maggio. Possibili obiettivi: Maurizio Costanzo e la moglie Maria De Filippi. ormai libero cittadino americano: per rendere giustizia a Falcone ha deciso di rivelare tutto quello che sa sui rapporti tra mafia e politica. «Spaccheremo le corna a tutti». 12 febbraio. 4 aprile. 22-25 aprile. La seconda strage di mafia non sembra collegata all'esito del Maxiprocesso. febbraio. vengono scoperti numerosi arsenali bellici della Gladio. con un comando a distanza. L'arresto di Mario Chiesa fa esplodere Tangentopoli. La Cassazione annulla anche le assoluzioni del processo di appello sulla strage di Bologna. Chiesta l'autorizzazione anche per l'ex ministro dell'Interno Antonio Gava. In una villa nelle campagne di Enna un summit di mafia decide la rappresaglia dopo le condanne in Cassazione. luogotenente di Andreotti a Palermo. In via Mariano d'Amelio. maggio. ma decisa successivamente perché il giudice sarebbe stato sul punto di scoprire i mandanti del massacro di Capaci. 31 gennaio. In via Fauro. Spiegherà Buscetta: «L'obiettivo è screditare Andreotti».presidente Cossiga per il caso Gladio. la moglie Francesca Morvillo e cinque agenti di scorta. a Roma. e forse anche per impedire che Borsellino venisse nominato procuratore nazionale antimafia. A Capaci. Torna in Italia il pentito Tommaso Buscetta. Settembre. mentre si accinge a partecipare a un riunione elettorale: è la prima vendetta dei boss. il neofascista Paolo Bellini. un ordigno ad alto potenziale viene fatto deflagrare sotto la Torre del Pulci. viene trovato morto nei bagni del carcere di San Vittore. Il terrorismo mafioso sembra aver imboccato una strada senza ritorno: i boss chiedono l'abolizione delle leggi speciali e la revisione dei processi. forse già in nuce in quel piano di Rinascita Nazionale che Lido Gelli ha fatto ritrovare in . l'1 aprile. per uccidere Falcone. 14 gennaio. Il presidente dell'ENl.Teatro Parioli. salta in aria un'auto parcheggiata vicino al Padiglione d'arte contemporanea: muoiono quattro vigili del fuoco e un marocchino. a due passi dalla Galleria degli Uffizi: 5 morti. Vincono nuove formazioni come Forza Italia e la Lega Nord. Anche il PSI di Craxi. alle spalle dei Fori Imperiali. uno dei boss della strage di Capaci. travolto da Tangentopoli. informatore dei carabinieri. Alle elezioni politiche viene sancita la fine della Prima Repubblica e del suo sistema politico. in via dei Georgofili. In via Palestra. non c'è più. o una sede del SISDE sotto copertura presente in quella stessa strada. Nessuna vittima. La DC è uscita di scena e si presenta al confronto elettorale spezzata in due tronconi. una trattativa tra Stato e boss. In seguito avrebbe aperto. 20 luglio. 27 maggio. a Milano. Un'autobomba. Gabriele Cagliari.Ma il telecomando non ha funzionato. Racconta il cugino Frank Di Carlo che era stato contattato da agenti di servizi segreti stranieri. A ordinare la strage. altri ordigni sul retro della Basilica di San Giovanni e a San Giorgio al Velabro. 23 luglio. ma soprattutto un pullman di carabinieri che si stava allontanando al termine del servizio di vigilanza. in rapida successione. Appena un'ora dopo la strage di Milano esplodono a Roma. L'ex presidente della Ferruzzi Raul Gardini si spara un colpo di rivoltella alla tempia nella sua residenza di Milano. imbottita di tritolo e cubetti d'acciaio stipati in sacchi dell'immondizia. a Palazzo Belgioioso. luglio. ancora un volta. È l'ultima strage di mafia. su sua indicazione. Questo primo scorcio degli anni Novanta porta a compimento un progetto che sembra avere radici lontane. La mafia ha deciso di colpire monumenti e opere d'arte. per conto di Runa e Bagarella. da questo momento le bombe tacciono. A Firenze. luglio. si suicida nel carcere di Re bibbia la stessa notte delle bombe. sarebbe dovuta esplodere nei pressi dello stadio Olimpico investendo la folla al termine della partita. per fortuna non attuata. il sanguinario Leoluca Bagarella. tramite un suo ex compagno di cella. Nino Gioè. Il delitto infinito. La verità di un generale scomodo. - Lo spionaggio politico in Italia. Il boss è solo.M. non può considerarsi concluso il periodo di transizione. Bonfigli . - Mi dichiaro prigioniero politico. Il lato oscuro del potere. Mondadori. mentre era agli arresti in Svizzera. Di Giovacchino. Dal fascismo alla seconda repubblica. dopo la scomparsa di Gelli. Bibliografia G. L. Napoli. Milano. e che costituiva il progetto politico della P2. Il misterioso intermediario. Per questo. dieci anni dopo. F. Mani Pulite. Ultime notizie sul sequestro Moro. La vera storia. anche nei confronti della DC e dell'intero sistema politico italiano. Kaos Edizioni. Ma gli anni seguiti al '94 sono stati contrassegnati da un'instabilità politica che in Italia sembra dura a morire.M. 1985. . Milano. G. Biscione. Anche la nuova classe dirigente appare in gran parte compromessa con il passato.G. Editori Riuniti. 2003. Travaglio. Canfora. Un progetto che negli anni Settanta aveva come scopo prioritario la sconfitta del PCI e dello schieramento di sinistra e che è andato evidentemente sviluppandosi. 1998.J. Storie delle Brigate Rosse. 1993. Torino. Fasanella . Editori Runiti. Roma. Biagi. Cipriani. R. Pellegrino). Il Memoriale di Aldo Moro rinvenuto in via Montenevoso a Milano. G. Baldini e Castaidi. che poneva fine all'esperienza del blocco comunista. See. L'attentatuni. Associazioni politiche e strutture paramilitari segrete dal 1946 a oggi. Palermo. Sestieri (con G. 1994. Tre eventi hanno accelerato questo disegno: la caduta del Muro di Berlino. Savatteri. 1998. E Delfino.P. Editori Riuniti. Editori Riuniti. mafia e poteri politici. 1998. Sellerio. e reca con sé i vizi della corruzione e dei poteri occulti che hanno caratterizzato la Prima Repubblica. IET. Editori Riuniti. 1993. - I servizi segreti in Italia. Verona. Roma. La sentenza. 2003. 1998. E. Einaudi. Roma.G. Roma. Torino. Segreto di Stato. la nascita della nuova Europa e il conflitto arabo-israeliano. Coletti Editore. 1996. Milano.una valigia della figlia. Igor Markevitch e il caso Moro. Rocca. Scoop mortale. G. De Lutiis. Gomez . Roma. Il patto strategico tra massoneria. S. 2002. La verità da Gladio al caso Moro. Roma. G. Storia di sbirri e di mafiosi. 1986. 1989-1991. Fasanella .C. I mandanti. Bianconi . 2002. Einuadi. Barbacetto . Tullio Pironti. G. 1993. Milano. Editori Riuniti. Napoli. Kaos Edizioni. La tela del ragno. - Il prezzo della democrazia. testimonianze. Dalla Andreotti alla Zeta. Rubbettino. Piazzesi. Garzanti. N. Odissea nel caso Moro. Napoli. V. 1993. Torino. 2000. Il partito armato. 1995. Milano. Il ciclo mafioso. Bari. 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Atti giudiziari Richiesta di archiviazione delle indagini sull'omicidio di Mino Pecorelli della Procura di Roma. 64-65. 127. Tindaro 401 Balducci. 300. 230. Sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Perugia.257. 293. 235. 1991. mons. Gianfranco 297 Aloja. 147-148. 385-390. 265-266. Ricorso di Andreotti in Cassazione. 239 ANSA (Agenzia Nazionale Stampa Associata) 79. Joseph 168-169 Assemblea Regionale Siciliana 301. 329 Autonomia Operaia. 306-308. 320-321. 162. 345-355. 108-109.132. 1993.315. 151 Arcaini. 301. 91-93. 325-329. 397-399. 311. 50-51. 160. 153.261. 81-87. 156. 290. 293. 166.160. 47-48.158. 181. 27-53. 142. 320 Balestrieri. 369-370. Wladislaw 99 Andreatta. 164 Banco . Carlo 202 Alessandrini. Pasquale 319 Abbatino. Giuseppe 150-151. 225226. 290.280. Federico 232 Arcaini. 287.253. 359-360. 120425. 86. Fiorenzo 37 ANIPE. 181. Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulle stragi e il terrorismo e sulla mafia. 61. 293.371 Azzolini. 186 Amati.401 Avanguardia Nazionale 120-121. Fabrizio 141 Angelini. Rino 111 Ardizzone. 179. Giorgio 152 Balzerani.402-405 Andreotti.112 Affatigato. Gaetano (detto Tano) 29-30. 136. Giuseppe 102. 306. 73. 378-382.372 Baglioni. 69-70.276 Alliata. 214. 112.162. Leoluca 74. 331-333. Giovanna 141 Ambrosoli. 392.58-66. 185-186. 337-343. 189-199. 160.68-83. 134. 364.281. 367. 59. 53-55. Pippo) 286 Albano. 202-203. 133. 42. Giorgio 157. Lauro 48. 84-86. 279-283. 168-170. Marco 317 Agate. Richiesta di autorizzazione a procedere alla Giunta per le Autorizzazioni a Procedere del Senato nei confronti di Giulio Andreotti. 286-292. 317 Alemi. 292-293 Abbas. 243-244. 175-176. 168. Barbara 213. 105-110. Roberto 331 Appel. 162-163. 219-223. 281-282. 165-166. Domenico (detto Mimmo) 284. 152. Tina 92. Maurizio 278. 212. Sentenze di primo grado di Palermo e di Perugia. Paolo 120. Giulio 7. 15-18. Emilio 134 Alibrandi. 214. Livia 31 Andreuzzi. Antonio 328 Aleandri.296 Anders. Paolo 162 Bagarella. 399 Badalamenti. Indice dei nomi Abbatangelo. Antonio 162. 242-243. 328 Banca del Cimino Banca Nazionale dell'Agricoltura 115 Banca Privata 156-157.268 Banca d'Italia 108. Ricorsi contro le assoluzioni. 148. 247. 251. 128-136. 296-299. Tommaso 102. 159. 398 Antiochia. Mariano 152 Aglioloro. Sentenza della Corte d'Appello di Palermo. 162.387 Baffi. 11-12.Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul caso Moro. 155-156. 111-112. 320 Abbé Pierre 180 Abbruciati. Berniamino 292 Andreotti. 55-56. 114-116. Mario (alias Calò.310 Anselmi. 138-139.242. 71.130. . 197 Borghi.152.91.243. 240-248. Tommaso (detto Masino) 17. 219-221. 83. 185.389 Berteli.405 Braghetti. Anna 256 Bonamico. 285. Saverio 376 Borruso. 242-243. 216. 193. 169-170. Aldo. Junio Valerio 117-119. 226. 297. Paul 315 Bellicini. 233-234. Carlo 292 Beolchini. 218-220. 222-223. 300-301. 354. 175-177. 150. Pierluigi 142 Bulgari. Umberto 396 Bonfigli. Emanuele 71 Brusca.398-403. 282.61. 116 Biondino. 66-75. 198. 161. 58. Salvatore 368.346. Ottimar 112 Berenguer. 346. 138. 179-180. Mauro 287 Buffa. 112-113.40-53. 160.357-358. 401 Battoli. Marco 268 Bianchi. Salvatore (detto Totò) 152 Bonisoli. 357. 79-87. Giampaolo 240-242. 34. Edgardo 125 Bentrami.331. Giorgio 196 Battistini. Stefano 241 Bonaiuto. 35.-62.193 Bocca. 208. 136. 286-290. Enzo 71 Brusca. Ugo 201-202.375 Bellucci.189. George 16. Anna Laura 223-228. 201. 395. Giorgio 260 Battistini. 190. 279 Baudet. Niccolo 204-206. 228. 370-371. Arialdo 208 Benz.125-127. 189.360. 349.193 Bongiovanni. 393-396. 219. Antonino 362 Buscemi.135. Enrico 183. Gianfranco 133. 50-52. 76-77.368. 206. 404 br (Brigate Rosse) 8-9. 47-48.56. 55.356.43. Maffeo 278 Bellini. Ivano 201 Bongiovino.321. 323-325. Luciana 211 Bozzo. 64. 66. 104. 386-387. 295.277-278 Berio. 373 Bisaglia. Paolo 287 Berlusconi.Juri429 Borrelli. 78. 200.372 Bubbico. Paolo 17. 310. 327-328 Banco di Santo Spirito 283 Banda della Magliana 55-56. 86-87. Paolo 279 Binetti. 50. 160. 182-183. Luciano 241 Belmonte. Jacques 278 Berenson. 321-323. 97. Mario 371. Franco 181. Indice dei nomi 292-294. 235. 221. 402 Berlusconi.191-192. 202. 80.299. 168-169. 66-71.342 Booth Luce. Rolando 201. Giuseppe 282.41. 119. 396 Bush. Claire 116 Borghese. 75-77. 264.387. 290.81. 396 Brenneke. 275-276. 105. 54. Bernardo 372 Brusca. 373 Borissov. 366 Buttafuoco.176.-210.317-318.Ambrosiano 158.331. Antonio (detto Toni) 171 Biscione. 261. 271. Paola 403-404 Biagi.325.360-361. Giovanni 141. 390-391. 363. 292-293. Joseph 161 Bonaventura. Luigi 345 Baschieri. 261.136. Paolo 241. Francesco Maria 109.323. 380-381. 302. 311-315. 330. 223-238.218-220 Bosso.200. 207. 73. Salvatore 362 Buscetta. 278. Luigi 201-202 Bou Chebel Ghassan 303 Bozzi. Giulia 30. 32-33. 267-269. 191. Albert 141-142. Francesco 85 Brusca. Giovanni 46.278. 396. Richard 149 Brink's Securmark 323-324 Brugnano. 343.305. 267.55-56.301.27. 142.153 Buscemi. 261. 99-100. 245 Bontate.58-59. 42. 354. 300 Beltrametti.285.184.397 Barbi. 133. 263. Domingo 85 Buscetta.96-97.299. Paolo (alias Roberto Da Silva) 371-372. 314. 97. Bernard 248 Bergamelli. Vito 291 Bossi. 48. 360. 11-13. 213-220. 270 Besuschio.363-365.363 Bosco. Duccio 394 Berlinguer. 293. 281. 201. Andrea 191 Borsellino. 77-78. Arrigo 395 Bombaci. 200. Silvio 270 Bongiorno. 59. 195-196. Rita 303 Baruffi. 84. Giorgio 309 Boldrini. Stefano 34. Silvio 37-38. 399 Bassani. 250-259. 38. 276-284. 288. 219. Irma 300. 329. Guido 394 Caltagirone. 204.131-132. 123. Cioppa. Tullio 364 Caponnetto. 329 CIA (Central Intelligence Agency) 31. Massimo 257 Carminati. 249-250. 290-294. 258 Caetani. Vincenzo 328 Calderón de la Barca 184 Calderone. Cassarà. 152.363 Ciarrapico. Martin 184 Ceausescu. Cannella. 171.277. Vittorio 281 Carobbi. 365 Cianci. Maria Antonietta 392. 176. 327. 275. 184 Cecconi.113. 394 Indice dei nomi . Antonino 330. Luigi 234 Cirillo. Albert 23 Canale. Elisabetta 152 Chapin. 252. 261. Vittorio 237. Carlo 292 Carbone. Vito 42. 233.0212 Cipriani. 220-221. 161. Antonio 136. 239 Cesqui. Gabriele 375 Calabresi. Luigi 134.136. Vincenzo (detto Enzo) 219. 257. Italo 143 Carter. Guido 319-320 Cervetti. 222. Settimio 268 Cederna. 127. Marcello 278 Collettivo Politico Metropolitano 180. Jean 248-249 COGEFAR362 Cogliandro. 132.375 Calogero. 152 Calderone. Giovanni 330 Carboni. 267. 212. 325.318 Colatigli. 149-150.390.93. 213. Giovanni 150-151 Cervone. Roberto 18. 104-105. Osvaldo 258 Cecconi. 143. Salvatore (detto Totò) 55. Toni 169. 121. 155. 241-242. 302-303. Chiesa. Massimo 29-30. Franco 108 Calvi.55-56. 387-388 Casillo. 361. 278. Rocco 152. 201-202. 101. Margaret 268 Chelazzi.312 Ceausescu. Arturo 322 Casson. 142.320. 361. 73-74.345. Noretta 182. Felice 127.354. Benito 179. Mario 123 Casaroli. Margherita 250. Antonio 358 Cancemi. Fausto 47-48. 214 Chiazzese. Gabriele 240. Carlo Azeglio 353. 116.268-269 Caetani. 372. 289. Ninni 331 Cassina. 92. Eugenio 151 Centro Sociologico Italiano 303 Centro Sperimentale di Cinematografia 256 Cercola. Mario 352. 270. Agostino 327 Caselli. Massimo 312 Caracciolo. 71. 327. 330. 319-323. 279. 216. Cardella. 339. 344. 299. 261.368. 292-293. James Earl (detto Jimmy) 190 Casardi.287. 138. 291-294. 280. 219. 323-325. 206. 277-278. 400 ClSA 362 Ciucci. 140. fratelli 279 Carnovale. Guido 151 Carloni. Ermanno 208 Cabassi. Gilberto 282 Cazora.394 Calabrò. 100. 308.Nino 151 Buzzati. Roberto 241. 295. Elio 142. Camilia 101 Cefis. 404 Calcara.348. 93. Giancarlo 35-36.102 Carli. Giuseppe 138. 205. 285. 354 Chinnici. Michelangelo 241 Cagliari. 302-306. Dante 241 Ciancimino. 86 Cardellini. 330. Alberto 214 CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) Cobajar 260 Cocteau. 291-294. 221. 396. Romolo 101 Carenini. 136. Pippo 29-30. 399-400 Chiavarelli. 48. 158-159. 348. 280. 118. 55. 205-206.373 Camus. Egidio 53. 281. Flavio 279.48.317 Carnovale.400 Indici: dei nomi Buzzi. 327. 193. Roberto 207 Cavallini.339-342. 184. Nicolae 153. 302 Chichiarelli. 267.77.328. Topazia 247.282. Ciro 8. Giancarlo 292 Caetani. 343 Caprara. 351 Cavallaro. 180. 286-289. 128. Sandro 243 Ciò. Demetrio 247.395 Ciampi. Giuseppe 152 Calò. 327.159-160. 78 Coppola. 203. Landò 400 Continental Illinois Bank 158 Contorno. Giorgio 129. 282. 200-202. Carlo 292.91-92.151.260.160.53. John 143. 325 De Cosa.169. 344. Gaetano 303 Costanzo.277. Antonio (detto Totuccio o Totò)86. 161 Conti. 346-347. 67. 27.317 De Ficky. 337-338. 330. 76-77. Giuseppe 357 Costanzo. 279-280. Elena 253.319. 319-323. 161 Comitato di Liberazione Nazionale di Arezzo 144 Comitato di Liberazione Nazionale di Pistoial05 Concutelli. 359-360. 211. 138. 219-220. 81-82. 255. 133.46-48. 295-299. 368-369. 136. 222. 29. 248.346. De Boccard. Alcide 328 De . Adolfo Beria 204-205 Darida. 305. 194-199. Antonio 169. 362. 13. 293 D'Acquisto. 34.134. 192. Angelo 56. 328 Cornacchia. 289. 355. 87. Mario 308 Dal Bello. Bruno 302.102 Cosmic 202 Cossiga. 195. 156.254 De Francesco. 396-397. 32-38. Giuliana 211.227.397 D'Amato. 239.149.176.154.315. Marina 141 Dalla Chiesa. Pierluigi 138. Luigi 234.148. 269 Craxi.263 Cuccia. 106.127. 326-329. Giorgio 60. 200-201. 237. 353. Franco 30. 330-331. delio 287 Davi.71.321 Croce. 97.249-251. 171. 142. 115. 387.165. 404 Dalla Chiesa. 108-109. 391-392. Raimondo 263. 344 Contrada.125-126.398 Cresci. 352-353.365. 79. 181. Raffaele 133. Agostino 150-151.303. 105-106.141 D'Antona. 230. 304-305. 328. Gabriele 300 De Gasperi. 338-340. 291. 398. 249-250. 331 COPACO (Comitato di Controllo sui Servizi Segreti) 251. 62. Massimo 268.51. Marcello 310-311 Coppi.55. 307.181.57-59. 213-218. 298. Raffaele 256 De Donno.59-60. 115.76. 371-372.185-191. 219-220. Francesco 54. 394 Danesi. 130.77. 48. 237-238. 354. 312-313.401. 28.50.376. 39. 271 Connally. Ignazio 345 D'Antona. Enrico 125 De Carolis.137. 354. 33. Gherardo 155. 218-220. 256 Corona.326-328.363 De Felice. 151-152. 337-343. 346. 41-44. Renato 135. 309-310. 374-375.379. Giuseppe 247 Cosa Nostra 11-12. 242. 175-177. 225-226. 69. 267. 183. 218 Coppola.181. 404-405 Costa. 389.275.112. 342-343. 380.128. 231. 290. 278. 330-333. 323. 208-210. Giuseppe 305. 222-224. 300 Conforto. 275. Nando 327. 308. Armando 292 Corrado. 16. 159. Enrico 151. 263-264. 197. Luciano 324-325 D'Alessio. 100-101. Emanuele 214 De Francisci. 287. Stelio 191 De Cataldo. 379.162 Cummings. 386. 64.400 D'Argentine. 348-349.253. 72-74. 201-206. 333.81-82.395. 245. 351. Samuel 152 Curcio. Frank 150.41. 265-268. 137.386 Cosentino.205-206.403-405 De Benedetti. 189. 332-333. 305.Colombo. 338.102. 357. 50-51.398. 258. Francesco 71 oc (Democrazia Cristiana) 11. 243. 235. 349. 220-222. Emo 102.50. 241-242. 252-253. 341. Carlo Alberto 46-48.120.324. 228-231. 185. 91. 233-236. 53-54. 262. 119. Maurizio 358 Craveri.393-394 Cutolo. 364-365. 193. 161. Fabio 280. 286. 148. 220. 359. 234-235. 391-393. Benino 148.170. Franco 108 De Chirico. 355.377-379. 293. 349-353. 210. 171. 347 Coppetti. 345-346. 389-391. 140-141. 133. 360-366. Giampaolo 102 Criminalpol 81. 299-303. 295. 267 Conforto. 332. 73. 18. Federico Umberto 102.190. 295.381. 207. Giangiacomo 129. 292-293 Di Petrillo. Laura 256. 150-151. 306. Pietro 253. 102. 310.397 Fabiani. 339. Gianni 368-369 De Gori. Salvatore 155 Foligni.257. Edoardo 211 DIGOS (Divisione Informazioni Generali Operazioni Speciali) 169. Carla 345. 194.315 Dewey. 67. Giuseppe 286-287. Formisano.215 De Mauro. 124. 236. 290. 49.352.270 De Pasquale. 376 Evangelisti. Luigi 155 Dell'Ulti. 293 Democrazia Nazionale 60 De Tornasi.270 Fenzi. Enrico 400 Ferrante. 86. 249 Fattorini. Antonio 303 De Lutiis. 38 De Lorenzo. 165. Eugen 248. 124. 159. 45. 357. 154.293. 283.387 Di Matteo. Giusva 104. 343-345.325. Gianni 181 De Mita. 93. 300. 268.282. 349. 271.168. 179. Francesco 179 Delle Ghiaie. 203. William 263 D'Ortensi.353 De Noia. Paul Roberto 112 Indice dei nomi .242 Di Maggio.262263.257 FBI (Federai Bureau of Investigation) 40. Giovanni 93.329.Gennaro. Romolo 150 Di Giovanni. Domenico 370 Di Pietro.215. 328-329.135 De Martino.211.315. Frank 74-75. 368-370. Giovambattista 368 Ferrara.257.291 Di Donato.313.343-346.134. 182.381 Di Cristina. 403 Faranda. Giovanni 179 Ferrara. Adriana 181. 257. James Lee 229. Allenilo ENEL (Ente Nazionale per l'Energia Elettrica) 207-208. Arnaldo 134. 205207. 166.317 Flaminia Nuova 112-113 Florio. 375-376 Enimont 346. Cristiano 300 Fioravanti.393-394 Francese.193. 159 Fioravanti. 368 Diotallevi. 87. 133. Enrico 278.363. 353.129. 40-45. Giovanni 102. 192. Paolo 142 Donovan. Franco 60.331. Antonio 362-363. Ernesto 281. 360. Carlo 329 Dongo. 312.302. Sereno 98. Antonio 229.207.391. Mario 160 Franchini.368. Marina 292 Indice dei nomi Delfino.377 Di Carlo.280. Giustino 180-181. Giovanni 17. Giuliano 340 Finabank 157. 278. Pasquale 284 De Vuono. 152. 69.385 Del Ponte.375. Edoardo 200 Francescani. Giuseppe 8. 298-300.166 Freato. 361 De Luca. 77.170. 158 DIA (Direzione Investigativa Antimafia) 87. 322 Feltrinelli. Luigi 232 Fasanella.252.186. 332-333.225-227. 116-117. 338. Aloisio Paul 112 Frey. 237. 291.262 Diecidue. Roberto 129 De Matteo.271.211. Alberto 344 Dollmann. 280-281.298. Alberto 135. Mauro 151 De Michelis. Antonio 268 Franciosi. Roberto 151 Fachini. Ciriaco 326-327. 119.190. 341. 221.369. 82. 338. 356-357 ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) 136. Marcelle. 53. 267 Dulles.372-375 Di Cillo.277.208. 317 Frei. 56. 303-304. Balduccio 37. 329. Franco 115.373-374. 162. Thomas E. Rocco 357. Felice 141 Franco Bahamonde. 107. Santino 360. Amintore 127. 353-354. 329. Massimiliano 317 Falcone. 321-322. Fabio 375 De Pedis.324. Guido 142 De Martino. Mario 106-107 Fondazione Caetani 260. 32. Giovanni 205. Alessandro 280 Dozier.139.349. 389 Di Pisa.197. Stefano 120-121.403 Fanello. Dell'Osso.208. 402 Forlani. Francisco 121 Franklin Bank 158-159. 170 Freda.269 Donat Cattin. Pino 324 De Laurentis.381 Falcone. Maria 345 Fanfani. 337-340. Alexander Meigs jr 161. 246.271 Gallucci.131. 97.John 159.390 Guglielmi. Vito 151 Guccione. 125. 312 Guglielmi Lante della Rovere. Franco 201. 281-282. Licio 11. Angelo 53. Giuseppe 372 Gambino.270. 207. Boris 160.226. Luciano 149. Raul 362. Cìiovanni 279 Girotto. 304-305.348 Giraudo.211.257. Ezio 152-153 Giuseppucci. 92. 388 . 161 Ganci. Giusto 85 Giannettini. 104. Ernest 159 Genovese. Vito 159 Getty. 249. Calogero 360 Ganci.224-225. 318-319.169-170. 233. Luciano 102. 283.129.343 Grado. 62. Hubert 246-249. 239.135.315.152.205-206. 331 Giuliani. 134. 329. Giuseppe 81 Imposimato. 91-93. 42. Giuliano 119 Gaspari. Muammar 316. 329. 308 GAP (Gruppi di Azione Partigiana) 118.206. 193. Giovanni 116.398 Gengarella. Francesco 370 Grazioli Lante della Rovere. 232-234. Daniela 33 Gioè. 250. 220. Antonio 15. 338. 108.312 Melisi. Massimo 246. 145 Galvaligi.176. 227. 340 Goria. Giovanna 85 Giammona. 85. 375-376 Garofano. 37. 251. Michele 151-152 Greco. 93. 300-302.296 Giuliano. 165.133.257-258.150-151. 208-209.262 Gheddafi. 139-148.155. 343. Gnocchi. Carlo 163 Gorbaciov. Indice dei nomi 197-204. Guido 120-121. 242. 402 Flyperion 180-181.258. 318. 365. Marco Tullio 81 Giovanni Paolo il (Karol Wojtyla) 242.150. 253 Cardini. 123-125. 262. 365 Grassini. 111. Giorgio 296 Gallinari. 135-138.127. 288-289.307. Raffaele 106-107 Giuffrè. Enrico Riziero 196 Gamberini. 280.116. Francesco 338.270. 339. Ferdinando 224. 100-102. 223 Gava. 364 Giunchiglia. Giulio 214 Grasso. Paul 260. Giuseppe 329 Giammona. Alberto 343 Giammarinaro. Pascal 238. Marco 85 Graldi.297.400-401 IMI (Istituto Mobiliare Italiano) 109 Immobiliare Savellia 254 Impastato. Carlo 129.175.379. 317 Gladio 81. 244.105.341. 177. 280 Gambino. Philip 163 Guarrasi.375-376 Guarino.170. Salvatore 151 Grimaudo. Heinrich 248 Howard. 216. 76. 289. 345-353. Camillo 179-180.394.Frezza. Bob 252 Guerzoni.56-59. 289 Helleniki Tekniki 159 Himmler. Achille 108. 150. Nino 356.100. 355 Gawronsky. 152 Fronte Rivoluzionario 112 Fumagalli. Giuseppe 376 Gasca Queirazza. 138. Ben 249 GUS (Gruppo Unità Speciali) 365 Guzzi.242. 292. 404 Incandela. Salvatore 136. Rodolfo 163 Haig. 276. Paolo 110 Grande Oriente d'Italia 143. Pietro 35 Gratteri. 179.260. Silvano 393 Giudice. Jas 116 Celli. 278. 367-377 Gioia. 253-255.255. 269. Corrado 311. 379. 248. Prospero 181-182. 312 Frittoli. Francesco 33. 310-311. Egidio 317 Giuliano. Vittorio 320 Gunther 208 Gurion. Nino 38. 257.249. 117-119.313. 275 FUORI 257 Galesi. 267. 159-163. 186 Giglio.235. Massimiliano Greco. Mario 268 Galli. Giovanni 152 Gronchi. Raffaele 291. Mikhail 184. 381 Giacomelli. Ingargiola. 168.153 Gruppo Ferruzzi 361-362. 107. Remo 37.269 Girlando.147. Giovanni 297-299 Giordana. Giordano 150. Nadia 243 MAR (Movimento Armato Rivoluzionario) 129. 125 Mancino. Giovanni 150.342 Mannucci Benincasa. Emanuele 135-136 Maccari. 304. 299. 284. Franciscus 150 La Barbera. 377 La Barbera. 252. Ralph 309 Kafka. Federico 140. Ionta. Antonio 102. Guido 193 Loggia Carnea 151.275 Maragnoli. Mach di Palmestein.358 Lebole. 102. 41-46.141. 289. 107-112. 283 Loren. Francesco 300-301 Mangiavacca.208.253. 153. 238. 104. 158. 360. Giacomo 121. Francesca 300. 217 Lai. 182-183. 302-304. Giuseppe 303 Manfra. 161. 391-392. Sofia 288 Lotta Continua 134.75. Angelo 300 Jalongo. 271. 394. 331. Ligotti. Giuseppe 343 Inter Arms 152 Inzerillo. Alberto 394 Maletti.365.195 Lega Calabra 364 Lega Centro Sud Isole 364 Lega Italiana Pugliese 364 Lega Laziale 364 Lega Nazional-Popolare 364 Lega Nord 337 Leonardi. Ettore . Leon 331 Konig. Henry 46. 99-100. 343. 317 Manciaracina. Nicola 360 Mancuso. 191. Giorgio 163.217. Franca53.267.106-107. Nadia Desmenona 268 Lipari. Carlo Maria 115 Malagugini. Otello 201.121-123. Primo 253 Licata. Giuseppe 176-179. 347.301.219. 302. 193-194. 196. 297-299. 269. Ludovico 346 Liggio. Francesca Paola 161. 55. 403 Levi. Franco 212 Mannino. Osvaldo 324-325 Lallicata. 99. 358 Lombardo. 184 Le Carré. Giuseppe 361 Madre Teresa di Calcutta 163 Maggi.269. Salvo 11. Franz 18 Kennedy.134. Gino 357.121. 66. Pino 64. Fabio 84 Lombardo. 372 Lucky Luciano (Salvatore Lucania) 136. Giannuzzi 323 La Mattina. 405 Lo Forte. 106-107. Antonio 321 Mangia. Franco 130. Italo 298 Jones. Luciano 133. 191.387 Izzo. Francesco 152 Madonia. Gioacchino 360 La Barbera.381 Lioce.209 Loggia Orion 151 Loggia Scontrino 151 Lo Giudice.189.171. 74. 243-244 Mantovani.Insalaco. 266 Leone. 66-71. 297 Lupacchini. 362 Livatino. 252. Anna Maria 33 Leone. 153. Francesco Marino 16. 165. 354. 400. 306-307.362 La Bruna. 280.262. Salvatore 47. 180. 257.291 Macaluso. John Fitzgerald 177 KGB (Komitet Gosudarstvennoi Bezopa. 296. Donato 60.183. Rossella 84 Longo. 325 Manni.262. 287-288. Giovanni 101-102.328 Italcasse 60. 345. 372. 328.125. 339. Lenin 160 Mandalari. 394-395. 326. 266. Andrea 342 Mancini. 144.396. 53. Giovambattista 320 Ligato.346. 291. Germano 225-227. 189-190.101. 288 Lombardo. 69. 251.348. Pio 161-162. 342-343. 283 IOR (Istituto Opere Religiose) 157-158. Giuseppe 84 Lombardo. 298 La Torre. 71.34. Michelangelo (detto Angelino) 29-30. John 147. 367-370. 398 Mambro. 221. 153. Alfredo 199 Indice dei nomi Manganelli. 69-70.110. 308. Ferdinando 330 Madonia. 164 Lopez Regajosé 143. 214. 287. 72. Antonino 83-87. Salvatore 375-376 Lima. Nunzio 325 La Pira. Raffaele 102 Lo Prete. 213.390 Klinghoffer. 97. Luigi 87 Ligresti. 121. Rocco 213-214 Mangiameli. 211. 185.212. 184. Calogero 37 Mannoia.401 Kissinger. Rosario 353 Lockheed 193.snosti) 176.270.381. 295. 150. 76-77. 347.257-258.242. 77. 147.55. Gianadelio 98. 135. 252-253. 125-130.135. Mario 178. 258 Moro. 254-256. 135.400 NAP (Nuclei Armati Proletari) 231 -232 NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) 139. 278. 213-214.392-394. Totò 152. 246.289.271. 392-393 Massaro. 161. 310-315.282. Gaetano 325 Miceli. Roberto 82 Mastella. 281. 138. 208. Francesca 357. 275. 235-236. Benito 128. 268.396. 181-182. 298-302. 107. Arrigo 400 Monastero. 351. 185. 224-227. 362 Martellucci.399.300.208. Eugenio 97 Mazzola. Giuseppe 170 Merzagora. Carlo Alfredo 182. 268-270. Aldo 7-8. Mattei.54. 65. Igor 246-250. 270-271. 395 Mobkel. 320. 319.168-170. 401 Markevitch.153-154 Minghelli. 121-122. 399-405 Moro. Francesco 234 Mele. Piersanti 11. 241-242. 165. Richard 45 Martinazzoli. 300 NATO (North Atlantic Treaty Organization)92-93. 348-349. 48-51. 257. 251. 118-119. Graham 118 Martin. 91-93. 150.227 Moretti. 287. Carlos 297 Marchesano.257. 296 Miceli. Antonino 344 Melzi. 251-268. 161 Marcora. Vittorio 84. 210-247. 249. 114-115. .350. 324.359 MSI-DN (Movimento Sociale Italiano . 101. Gian Antonio 141-142. Leone 297 Marchese.209. 211.312. 353-354. Lucia 212 Molinari.401. 264-265. 387. 301. 42. 264. Pippo 370 Micciché. 205. Ciaccio 329 Montalto. 39. 345-346. 206. 237. 132.257 Morucci. Irma 303 Mattarella. 218. Bernardo 297 Mattarella. 347. Carla 224. 189. Valerio 178.205.278 Marcello.403 Morvillo.157-158. 119. Moreno 152 Miceli Grimi. 282. 364 Micalizio. Antonio 44. 170. Osvaldo 141 Mino. 254. Joseph 161.390-391. 297 Mauro. 233. Elfino 253-255. 305-306 Moro. Giuseppe 319 Mitrokhin. Cesare 150 Messina. Paul 155. Giovanni 308 Mariani. Girolamo 245 Minghelli. Enrico 123 Minore. 18. 347. 117.398 Minervini. 164. 246. 112. 263. Gioacchino 86 . 247. Vito 11. 282. 365. 100. Vanni 394 Indice dei nomi Muscato. 324. 275. 206. 340. 106-107. 57-60. 148. 333. Leonardo 152. 224-225. 282 Montalto. Fulvio 126. 241. Francesco 140.329 Mintoff. 74-77. 242.381 Mosca. 160-161. 314-315. Filippo 369-370 Marchese. 385. Pietro 102. 261. 401 MSI (Movimento Sociale Italiano) 60.324. 318.397 Natoli. 121-123. Giovanni 258 Morris (ammiraglio) 161 Mortati. 282. 345. 317-318.133. Nello 308 Martin. 81. 10-16. 123. Enrico 136. 118. 121. 381 Morabito. Giuseppe 308 Marchesi. 230 Musumeci. 357. 79. 259. 250-252. Don 106 Misso. Mario 85. Maurizio 30 Mussolini. 307. 285. Clemente 38 Mastropietro. 171.159. Saverio 179. 323-325. 257. 390-397. 297-298. Gabriella 268 Markevitch.395 Mossad 176. Giuseppe 141 Marcinkus. 104 Meli.400-402 Mori. 175-204. 266. 390. 211. Vaslaw 269 Martelli. 347. 126-127. Claudio 68.Destra Nazionale) 154 Mulinaris.271. 205. 150. 391. Renzo 178 Martini. 34.396. 153. 102. Enzo 278 Mattarella. Liva 254 Marchisella. 181. 379-381. 109.341. Beppe 331 Montinaro. Mino 341 Martinelli.332.393. 104-105. Vassilij 211. 131-132. 179-180. 98. Fabiola 281 Moretti. Salvatore 361 Montana. 324. 314-315 Pecorelli. 126.Natta. 260. Franco 279 Nigro.390.392. 127. 13.326. 247. 219-220. 147. 344. 215-217. 312-314 Peci. 203. 255. 347. 348-350. 158-160. Stefano 96. 176. 192.362 Nenni. 278. 46-61. 251. 327 Ordine dei Cavalieri di Malta 252-253 Ordine Nuovo 120. 398. 162. Alessandro 340 NCO (Nuova Camorra Organizzata) 133. 319. 147. Riccardo 245 Pannella. 283. 400 Pecchioli.324.204. 359 Occorsio. 214.404-405 Pecorelli. 132-133. Remo 119. Umberto 107. 11. Franco 82 Nicoletti. 349 Parsi. 234-239. Pier Paolo 114 Patrizi. 205. 195-199. 95-96. 311 Noble. 127. 153-154 Ortona. 208. 99 Pellegrino. 87. 333. 153-155. 143. 222. 99 Pecorelli. 131. 403 Parisi. 135. 296. 213. 143-147. 180-187. Francesco 162. 308. 390. 318. Giuseppe 302 Nicolini. Richard 10. 364. 359. 82-83. 76-80. Giuseppe 354 . 107. 217. 362. 310.171 Nixon. 117-119.279-280 'Ndrangheta 42. 298. Ugo 395 Peci. Cannine (detto Mino) 7. 219. 271.300. 213. 100-105.50. 28. 145. 287. 227. 312-313.403 PCUS (Partito Comunista dell'Unione Sovietica) 185 P2 8. 240. 134. 315. 119. 278. Roberto 330 Parisi. 184. Ludovico 193 OSS (Office of Strategie Services) 136. Patrizio 57. 308 Nicolicchia. 168 Patti. Danilo 146 Nicolazzi. 260. 281 OMPAM (Organizzazione Mondiale per l'Assistenza Massonica) 142 Onorato. 138. Giovanni Battista) 187. 72. 197. 349-350 Orlandini. 191. 42. 165. 167.312. Franco 323 Partito Armato Europeo 108 Pasolini.277. Giovanni 19. 276. Vittorio 139-142. 137-138. 15-16. 328. 123 Orlando.234 Nuovo Partito Popolare 106 Occhietto. 204. 291. Marco 118. 97-115. 324. 34-35. 148.247. 189. 250. Indice dbi nomi 293-295. Umberto 140. 176. 307. 246.158. 112. 267-268.385 Pellegriti. 270-271. Vincenzo 343-344. 91-93. Leoluca 84. 350.142. 139-140. 181-182. Achille 337. Enrico 280 Nicoletti. Rita 110 Pazienza.315. 179-181.263 Otimski (ufficiale polacco) 209 OVRA211. 147-154. 203-204.317. 11. 243. 18. 281.118. 256.286. 263-265. 227 Niutta. 268. 280. 236. 69-70. 337-340. 193.394-395. Pietro 117 Niccolai.327 PCI (Partito Comunista Italiano) 13.318. 211. 139-141. 64-65. Latjana (detta Kyra) 269 Nizzar Hindawi 373-374 Nobili. Rosita 57. 311. Lorenzo 362 Paolo VI (Montini. 143. 212. Ugo 102. 392 Pavone. 129. 167-171. Salvatore 84 Palermo. 189. 255-257. 101 Pecorelli. 343 Ortolani. 159. Paolo 96. 323-325.397-398. 243. 122-125. Michael 269 NOCS (Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza) 229. 227-232. Amedeo 142 Ortolani. 301-303. 133. 360 Panzavolta. 387. Arturo 86 Nirta. 249-250.271 Palazzolo. 300. 130. 379-381.183-187. 38-39. 242. Roberto 242. Piero 350 Patto di Varsavia 209. 328.401. Antonio 179-180. 289-290.121 Nianskij. 201. 242. 149-150. 30. 200. 230.60. 248. 253-254. 281-283. 97-98. Organizzazione Franchi 134. Carlo 330 Palma. 292-293. 91-93. Francesco 373 Opus Christi 214 Opus Dei 249. 146. Andrea 96. 169-170. Rosario 201. 245. Isabelita 154 Peron. 338-339. 223. Franco 211. Pippo) . 293 Peron. 341. 324 Pieczenik. 285-286.287-288. 368 Rao. Gianfranco 95. 297 RUS (Raggruppamenti Unità Speciali) 232. 82-83 Rino. 46. Giovan Battista 372 Rabin.153. Benito 214 Pullarà. Proietti 111.149 Reno. Pino 124-125.Rovetta. Theodore 247 ROS (Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri) 85.246. Ugo 241-242. Paolo 387-388 Radaelli. 346. 359 Ponti. Teddy 110 Restivo.254.234 Ravasio. Francesco 256 Russo. Antonio 247 Saccucci. 332.123.403 Puccinelli. 82-83 'Rimi. 74. Carlo 288 Porgo. Lopez 143. Antonino 343 Saieva. Giuseppe 196. 100. William 152 Rosini. Flaminio 102. 364-365.291 Rega. 110 Rosone. 261-262. 333. 189.305. EziollO. 234.160. Roberto 258. Gaspare 167. 285. Pino 118 Roosevelt. Domenico 309-310 Russo. 365 Russo. Paolo Cirino 37.339 Prodi. 84.263 Pesci.133 Ravasio. 74. 364 PSDI (Partito Socialista Democratico Italiano) 82.359. 360-362. Alessandro 243 Pianetti Lotteringhi della Stufa.Pellicani. Virginio 115. 152. Nino 60.283 Reina. Mauro 343 Rovelli.133-134. Daniel 159 Potere Operaio 211-212. Umberto 233 Ravello. Giovanni 150 Pomarici. 66. 371. Antony 45 Pianetti Lotteringhi della Stufa. 363 PRI (Partito Repubblicano Italiano) 131.380 Rosa dei Venti 133-136. Sandro 120. Valerla 254 Rossi. 305. 232 Roatta. 268. 148. 278. Yitzhak 27 Rabito. Augusto 154 Piperno. 349. 293. 190 Rostagno. 237.377.165.141. 108-110. Giuseppe 85. Renato 281 Rosone. Ferdinando 396-397 Pomicino. 249 Rognoni. Luciano 154. Filippo 69. Natale 298 Rimi.'Sandro247. Mario (alias Calò. 305-306. 400 Indice dei nomi Ruffini. Gaetano 152 Picchiotti. Luigi 150-151 Previti. 347. 374-375. 349 Rosa. Raffaele 278.342. Cesare 32. Kermit 247 Roosevelt. 280 Saddam Hussein 332 Saetta. 295. Mario 129. Mariano 124. 354. 35.295 Remondino. Pietro 356. 314 Petrucci. 337.250. 298.325 RAI (Radiotelevisione Italiana) 120 Rampulla. 352. 394 Rossi di Montelera. Silvano 394 Ruvolo. 365. 179. 395 PR (Partito Radicale) 257 Preti. Fiorenzo (alias Ravello Ley. Romano 214 Provenzano. Juan Domingo 15. Florent) 112-113. Emilio 288. 237. 395.387 Rimi. Paul 163 Rauti. Attilio 126.392 Rumor. Romualdi. Giuseppe 134 Pinochet Ugarte.236 Pinelli. 403 Pisciotta. Antonio (detto Totò) 37. 339 PSI (Partito Socialista Italiano) 68-69. Roberto 293 Rossanda. 297 pli (Partito Liberale Italiano) 337 Podestà.266 Rocca. 362. Rossana 224. 287. 220-221. Bernardo 243-244 Piazza. 264.258. Giuseppe 318 Salamandra. 351-352.256. Michele 72-73. 337-340. 165. 195. 345.208. Vincenzo 69. 298-299. 293 Pernasetti.355. Roberto 186 POE (Partito Operaio Europeo) 252 Pofferi. Ennio 83. 113. 283 Pertini.136 Russomanno. 42. Bernardo 42. Franco 102 Picciafuoco.205-207. Mario 120 Rosati. 68-69. Sergio 317 Piccoli. 345. Steve218. Sandro 353 Ruffilli. Pierluigi 179-180.181. Franco 119 Riina. 364. Francesco 85 Saragat. 301. 291. 44. 208. 135. 204-205. 387 Salvini. 191 Selis.279.276. 188.107. 308. 291 Semerari. Addano 134.287. Emanuela 192. 106-107. 244. 232-233. Roberto 34. 271 SIOS (Servizio Informazioni e Operazioni Speciali dell'Esercito) 118 SIR (Società Italiana Resine) 60. 205 Spadaccini. 142. 267. 151. 242. Mario 108. 360. 250-253. 140. 250. 70. 328. 65. 102-105. 212-214.162 Savasta. 79. 305. 255. 167.202 Segni. Gioacchino 33 Sbardella. 100. 388 Scalfari. 362.386. 55. 317-318. 296. 100. 196. Guido 115. 64-65. 207. 193. 79.388 Salvoni. Michele 84 Santovito. .44. 126-127. Sergej 266-267 Sorrentino. 55. 123. 282-283. Scarpinato. 299. 312. 127.286. 70. 159. 349. Vincenzo 329 Scottoni. 77. Antonio 116. 150 Salvo. 152. 241-245. 287-288 Sofri. 93. 302. 77. Severino 182 Santillo. Eugenio 196 Scalfaro. Friedrich 319-320 Schiavone. 294. Oscar Luigi 237. 152. Salvatore (detto Totò) 32. 267 Sbacchi. 358-360. 219. 42. Corrado 205-206. 340. 151-170. 146 Signorile. Ignazio 16. 308 Sica. Antonino 42-44 Scotti.42. 151. 329-331. 279-280.Indice dei nomi 347. 119. Claudio 395-396 Siino. 343. 388 Sinigaglia. Larry 87 Schwarzenberg. 256-257. 127. 185. 50. Aldo 201. 315. Giuseppe 119. Giovanni 332. Gerardo 177 Setti Carrara.393. 352 Sbarra. 147.331. 333. 247. Teodoro 232 Spadolini. Nicolino 279. 98. 136. 129. 308. 323-324. Antonio 169.400-401 Sérac. 101-102. 344.354. 108.52-53.365 SISMI (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) 114. 297 Schaudinn. 317 Senzani. 100. Lino 119. 137 Salvini. 118-125. 109.371. Franco 140. 299. 62. 365 Silvestrini. 114. Pietro 271 Securpena 181. 116-117. Giovanni 128. 219. 142 Secchia. 204. 314. Guérin 124 Sermoneta. 246. Mario 253. Domenico 93. 68. 289 Saporito. 114. Vittorio 333.392 SCO (Servizio Centrale Operativo) 370 Scopelliti. 81-82. Giovanni 80. 133. 52-53. Bruno 258. 263. 143. 50. 297 Sce. 198. 46-48. Mario 182. 310. Carlo 376 Sangiorgi. 263 Sarchielli. 180. 290 Salvatore. Giuseppe 232. Leonardo 16. Emilio215 Santoro. 344 SID (Servizio Informazioni Difesa) 11.100. Pasquale 234 Schifarli. 46-48. 73-74. 181. Achille 37 Simeone. 343. 131. 221. 107-108. 61-62. 381 Schoenbach.400 Sisti. 221. lacopo 270 Sceiba.314-315. 258-259 Sama. 289. 81. Danilo 286 Scaduti. 212.358. 250-251.Solokov. Innocente 180. 349. 345.241-242. costruttore 286 Santiapichi. Johannes 252 Sciascia. 68. 268 Serravalle.244.330. 317-318. Nino 16. 143. 340. 139-140. Luigi 112 Salvi.351.386-388 Salvo. Armando 161 Sossi.320. 301. Gaetano 328 Sansone. 179. Vito 357. 328-330.291 SISDE (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica) 114. Franco 125 Simioni. 267-268. 77. 97. 206. Ugo 371 Soffiantini. 247-248. 61-62. 237-238. 140. Giuseppe 179 SOFINT 112. 397 Sogno. Michele 34. 64-65. Angelo 52. 394 Sindona. Edgardo 134. 346-347 SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate) 100. 73-74. 327. 275. 314.193. 112. 341. 79. 206. Carlo 248. 275-276. Wilfredo 220 Volo. Claudia 269 Wiesenthal. Luciano 41 Vitale. 77.271 Toscano. 161. 121. 65. 129-130. Graziano 286 Viezzer. 328 Termini. 109 Tigani. Renzo 99 Trisolini.263.269 Wessilinoff. 170. Giovanni 115. Vincenzo 164 Spiazzi. Harry Spencer 86 Turatello. Carmelo 151 Spataro. Jordan 209. Delio 115 Zossolo. Giacomo 152. 364 Testi. Girolamo 245 TASS (Telegrafnoje Sovietskovo Sojusa) 266 Taviani. 200-203. Stanfield 161 Tuscher. 132. 102. Cesare 160.144-145.313 udc (Unione Democristiana e di Centro) 37 Ugolini. 47. 147 Viglietta. 281 Trionferà. 99. Lino Gabriele 25-30. Giancarlo 204-205. Verner 116 Wessilinoff. 213. 181. Paolo 97 Tompkins.55.359 Spagnolo. Antonio 97 Uomo Natura Energia 271 UTIF (Ufficio tecnico di Finanza) 106 Valori. 312 Tomaselli.395. Francis 142. Rocco 213. 220. Tempesta. Randolph 152 Straullo. 72.281. 257. 200. 64. Vittorino 194 Verrina.349. 139.223-224. 123. Antonio 102. Simon 257 WWF (World Wildlife Fund) 260 Zaccagnini. Giuliano 263. Carlo Adriano 60. Massimo 107. Francoise 180 UC1GOS (Ufficio Centrale per le Investigazioni generali e le operazioni speciali) 210. Gino 271 Tamburino.353.161 Vitalone. 126-127.393. Benigno 189-190 Zaccagnino.380. Oliver 19 Stone.323 Varrone.380 Verzotto.232. Armando 397 Spatola. 169-170. 359 Vecchio. Chiara 324-325 Zupo. 237-239. 296 Tescaroli. Claudio27. Angelo 59 Zacco. 106. Maria Grazia 299 Troia. 218. Franco 264-266 Trizzino. Domenico 215 Spinello.38. Salvatore 365 Spurio. 136. 147.324 Vigna. 247.201. 250. Gaetano 162 Stay Behind 92. Amos 134 Spinella. Oberdan 286 Stammati. Peter 263. Giancarlo Elia 102 Varisco.261. Giovanni 134-135 Tartaglione.397-398 Stone. Alberto 301 Volpe. 269. 312-313. Nino 368 Truman. 297. Roberto 82 Terminio. 116. 317. Gianfranco 320 Viglione. Giuseppina 303 Zamberletti. 170. 361.219. 160.29-30. 317 Veronese. Pierluigi 118 Violante. Paolo Emilio 216-217. Turner.199. Rosario 159. 207-208.261. Roberto 372 Teodori. Francesco 353 Ventura.220. Giuseppe 161 . 153-154 Tritto. John 158 Waldheim. Kurt 403 Walters. Giuseppe (detto Nik) 102. 56. Marco 257 Togliatti. 164 Spatola. Antonio 169-170 Tagliaferri. Giuseppe 329 Zorzi.112. 216. Giovanni 87 Tirabovi. 312 Vassalli. Nicola 152 Terranova. Antonio 139.282. Palmiro 271. 60. Luca 293.345. 109.387 Vitalone. Edoardo 279. Claudio 141 Tinebra.
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