DATI E CONSIDERAZIONI SULLA COLONIZZAZIONE NEOLITICA DEL TERRITORIO AUGUSTANO « In anni recenti si è venuta sempre più affermando l‟esigenza di fare dell‟archeologia preistorica una scienza sociale : è apparso cioè necessario sviluppare tutte le potenzialità insite nello studio delle società del passato prive di scrittura per ricavare dalla documentazione archeologica, anche con l‟apporto di discipline naturalistiche, il massimo delle informazioni sul contesto ambientale, le attività economiche, l‟organizzazione politica e sociale di questi gruppi umani » (A. CAZZELLA, Manuale di archeologia. Le società della preistoria, Laterza 1989)
Monte Amara (Augusta). Punzoni di argilla neolitici.
1. PREISTORIA
P
oiché l‟argomento di cui tratteremo non è frutto della consultazione di documenti “scritti” dall‟uomo (e per verità di cose, ogni documento scritto da un uomo seppure condivisibile- è opinabile), ma è frutto dell‟analisi di documenti preistorici che sono di norma “rifiuti” di una muta attività industriale o artigianale, quale può vedersi nelle pietre scheggiate in assenza di metalli, o nelle ossa decorate, o nei rifiuti dei pasti, raramente in un‟opera d‟arte, o nella organizzazione “urbana” quando sufficientemente leggibile tra le pieghe del tempo e della terra, la ricerca di una radice comune per le genti che tali rifiuti hanno lasciato va fatta per tentativi. Ma va fatta, benché si tratti di uomini vissuti prima di noi in un momento della Storia, non registrata sulla carta, che noi chiamiamo Preistoria. Ma la Preistoria, seppure ricca di documentazione, è avara quando la si vuole inserire in un flusso temporale univoco o in itinerari che si vorrebbe facili da seguire, ma non lo sono. L‟archeologia preistorica, quella che, per ricercare le comuni radici, non può disporre delle preziose unità stratigrafiche quali possono essere considerati le di Erodoto, i LIBRI AB EXCESSU AUGUSTI di Tacito, o la di Senofonte, ma può avvalersi solo di poche pietre scheggiate o di pochi muti ruderi, difficilmente segnala radici definibili. Segnala presenze: presenze umane. I rifiuti sono dati storici, sono un modo di leggere la storia; sono dati, insomma, talvolta i soli dati, che con il loro muto linguaggio ci permettono di penetrare e spaziare all‟interno di una prima forma di organizzazione, rudimentale cellula staminale, che col tempo si specializzerà in organismi sociali, politici od economici, complessi ed autosufficienti. Già dal Neolitico l‟uomo ha sentito la necessità di costituirsi in organismo politico complesso ed autosufficiente, di costituirsi in Terra; questo è possibile inferirlo proprio dal tipo di
organizzazione urbana e quindi politica che si legge nei ruderi che ci sono pervenuti. Perché l‟uomo, che è animale gregario, uscito dall‟esperienza familiare, e aggregatosi nella tribù e quindi nel villaggio, era naturalmente destinato a costituirsi in Terra, in civitas, e conseguentemente in area culturale. Dalle vicissitudini della famiglia c.d. nucleare, poi di quella estesa, dai primi tentativi di diversificare l‟economia, in origine di predazione e di sussistenza, in una economia produttiva, diversificata, capace di varcare i confini del villaggio, è stata scritta la stupenda avventura umana, sulla spinta di necessità quelle che oggi, se registrate con l‟ invenzione della scrittura, diciamo storiche. Non vi è dubbio che le sparse tribù, lasciate le grotte di Monte Tauro o del Maccaudo, erano inevitabilmente indirizzate a realizzare il sinecismo, l‟aggregazione politica per eccellenza. Perché l‟uomo di ottomila anni addietro doveva essere diverso da quello attuale? Per la fragilità delle fonti, tuttavia, ci soffermeremo in maniera marginale sui processi di sviluppo che hanno caratterizzato la società neolitica pervenuta per diverse vie sul nostro territorio, come in maniera marginale ci soffermeremo sui processi evolutivi e di aggregazione che hanno permesso alle varie tribù neolitiche di costituirsi in comunità più complesse, autosufficienti, in grado di gestire il territorio secondo modelli di sviluppo che la nuova economia produttiva richiedeva.
2. IL TERRITORIO PREISTORICO
A
seguire Paolo Orsi, ed i passi della ricerca successiva, sui sentieri archeologici della provincia siracusana, si è costretti a prendere coscienza della centralità di tale area quando si voglia definire la colonizzazione preistorica del sudest dell‟Isola già dalle ultime pulsazioni dell‟Era dei ghiacci. La letteratura specializzata ci insegna che con l‟Orsi, e dopo l‟Orsi, alla già cospicua toponomastica classica dell‟area provinciale, che annovera Siracusae, Mégara Hyblæa, Leontini, Akrai, Casmene, Eloro, Stiella, si è affiancata un‟altra toponomastica, quella preistorica, che comprende le località di Stentinello, Castelluccio di Noto, Cassibile, Thàpsos, Finocchito, e ancora Pantalica, Valle del Marcellino, Monte
Tauro, Gisira ecc., in alcune delle quali gli scavi, iniziati nell‟ultimo decennio dell‟ottocento e ancora non tutti ultimati, hanno permesso di leggere per terra fatti accaduti già prima che la storia incisa sulla pietra o vergata sulla carta potesse registrarli. I fatti si sono accumulati nella memoria letteraria man mano che dagli strati profondi sono stati portati alla luce e affidati prima alla scienza per la loro interpretazione e poi, a mezzo dei musei e dell‟editoria specializzata e non, al vasto pubblico, sì che oggi la loro lettura è accessibile a tutti: esiti impensabili ancora agli inizi del recente decorso secolo, quando la ricerca preistorica era appannaggio di pochi ed il suo inserimento nei fatti di scienza stentava a definirsi. Oggi, se i termini Stentinelliano, Castellucciano, Cultura di Thàpsos, Facies di Cassibile, Cultura del Finocchito, sono utilizzati per i confronti che lo studio dell‟archeologia preistorica ritiene utili, lo dobbiamo proprio a Luigi Bernabò Brea, il quale negli strati profondi che precedono la storia scritta ha riletto organicamente un‟altra “storia” che, talvolta, conferma avvenimenti già registrati dai primi storici (si legge in Tucidide e l‟archeologia ha evidenziato, come i Siculi della Metapiccola a Lentini e quelli di Ortigia abbiano dovuto subire la perfidia e la violenza dei “coloni” greci). (1) Stentinello, Castelluccio, Thàpsos -ora isola Magnisi e già
Gazirat Mismar, o Isola Chiodo in Edrisi-,(2) Cassibile, Finocchito ed altri: eponimi di altrettante culture preistoriche e protostoriche, identificano ormai nella letteratura specializzata e non, altrettanti siti archeologici della nostra provincia, ricchi di testimonianze materiali e culturali le quali ci permettono di definire, talvolta nei dettagli, i rapporti intercorsi tra Oriente ed Occidente già dagli ultimi secoli del terzo millennio a.C. Non vi è dubbio che la carta archeologica preistorica pubblicata nel 1957 dal Bernabò Brea nella sua Sicilia prima dei Greci si sia arricchita, col trascorrere dei decenni, di una straordinaria serie di nuovi insediamenti che vanno dal Paleolitico Superiore, all‟età dei metalli, alla Precolonizzazione lungo un arco di duecentocinquanta secoli-, la maggior parte dei quali ricadono sul territorio augustano. Basti citare, fra i più importanti, il Monte Tauro, il Maccaudo, il Cozzo Telegrafo, la Gisira, il Petraro, Cava Baratta, Valle del Marcellino,
Curcuraggi, Frandanisi, il più recente Casitte di S. Calogero. Proprio le scoperte nella Valle del Marcellino hanno “..contribuito a chiarire il tipo di rapporto tra genti greche e indigene in Sicilia” nell‟VIII secolo a.C., all‟alba della colonizzazione storica . (3) Il Petraro del Molinello, oggi territorio di Villasmundo, con i suoi c.d. „ossi a globuli‟,(4) rinvenuti anche in altri siti castellucciani della cuspide sud-orientale della Sicilia, ci porta a stabilire confronti puntuali con una vasta area del Mediterraneo, da Malta alla Puglia, da Lerna in Peloponneso a Troia, mentre la sua cinta fortificata a torri semicircolari trova riscontri convincenti nelle cortine murarie preistoriche della penisola iberica, della Francia Meridionale, dell‟Egeo, meno o non affatto nella cinta muraria di Thàpsos, che non evidenzia, a nostro parere, dati strutturali ed organizzativi così come sono visti nella struttura del Petraro; né vi si riconoscono in netta connessione altri indizi (forte presenza di residui antropici quali industria litica e fittile, o ancora tipologie tombali) così usuali e fortemente caratterizzati nei villaggi castellucciani della cuspide sud orientale dell‟ Isola. E ancora, le piattaforme calcaree risparmiate nella roccia in Gisira di Brucoli, che abbiamo interpretato come Tavole delle Offerte, o Altari Sacrificali, unici fino ad ieri in Sicilia, ma oggi confrontabili con altra Tavola che abbiamo localizzato in territorio di Lentini e con un‟altra ancora scoperta in territorio di Enna, (5) e sempre in area castellucciana, ci suggeriscono di verificare i rapporti intercorsi tra la Sicilia della prima età del Bronzo e l‟area mesopotamica, dove il culto che le tavole implicano, connesso alla Levata del Sole, è attestato ancora nel XII sec. a.C. da un documento, per la precisione un modellino di Tavola in bronzo, che reca inciso il nome del re mesopotamico Šilkhac-in-Šušinak, il quale data il documento. (6) A sud di Siracusa la colonia maltese dell‟isolotto di Ognina evidenzia e conferma, secondo il Bernabò Brea, i rapporti tra Malta e la Sicilia già dalla fine del terzo millennio a.C. Ma tali rapporti hanno interessato anche il territorio augustano per come è possibile leggere in alcuni frammenti di ceramica maltese rinvenuti lungo la costa del Tauro. (7)
A voler tralasciare la serie di insediamenti paleo - mesolitici della marina augustana e dell‟agro lentinese, ci piace ancora dirigere l‟attenzione sulla necropoli del Bronzo antico di Cava Baratta nel bacino del Cantera, con la sua architettura funeraria monumentale che trova riscontri, talvolta puntuali, in altre necropoli, anch‟esse di complessa architettura e cultura, sempre dell‟area provinciale, ma anche dell‟arcipelago maltese.(8) Impossibile invece il confronto tra le tombe a prospetto monumentale della cuspide sud-orientale dell‟Isola, che evidenziano pilastri o semipilastri a pianta quadrangolare, con una delle tombe della necropoli castellucciana di Timognosa, in territorio di Melilli, che con il suo prospetto a colonne a sezione circolare, sembrerebbe un unicum su suolo siciliano. (9)
3. NEOLITIZZAZIONE
L
a neolitizzazione è, certamente, il processo per il quale un gruppo sociale evolve, sul piano culturale, da uno stadio pre-neolitico ad uno stadio neolitico” . Abbiano evidenziato, altrove, e qui riproponiamo, quanto
enunciato da Alfred Muzzolini,(10) circa il processo di neolitizzazione che si è svolto in alcune grandi aree geografiche che vanno dal Vicino e Medio Oriente, al Nordafrica, alla Cina, all‟America del Sud. Notiamo che è possibile trasferirne il significato all‟area litoranea, ben più ristretta, che vogliamo definire „augustana‟, dal S. Cusumano ad Agnone, e all‟immediato hinterland, proprio per l‟importanza strategica che in ogni tempo tale area ha rappresentato per le culture che in essa si sono stanziate, comprese le colonie greche di Mégara Hyblaea e di Leontini. L‟assunto del Muzzolini può essere ulteriormente precisato, e messo a confronto principalmente con tutte le emergenze culturali post-glaciali, mesolitiche e neolitiche, che da un trentennio a questa parte hanno sollecitato un ampio e mirato intervento nella ricerca archeologica sul territorio comunale augustano. Un approccio più incisivo con la problematica che ne è derivata, sollecitato da alcune scoperte particolarmente
significative, ci ha permesso di chiarire aspetti nuovi (e sostanzialmente positivi ai fini della soluzione del problema che ci siamo posti), presenti nell‟archeologica di casa nostra, per cui è stato anche possibile anticipare in alcuni nostri contributi altri dati, utili anch‟essi alla comprensione di elementi di sostrato e del processo che hanno favorito lo stanziarsi dell‟uomo neolitico nell‟area provinciale, ed in special modo nel territorio che oggi chiamiamo augustano. Quest‟ultimo territorio non a caso si presenta ricco di acque dolci per i molti fiumi che lo percorrono, e per le varie sorgenti che interessano il suo sviluppo costiero, ed ancora per la determinante presenza del mare visto in ogni tempo come preminente fattore economico, ma anche come ponte proteso verso altri mondi. Pratiche „neolitiche‟, ancora non normalizzate nei canoni che noi riconosciamo al c.d. Neolitico arcaico presente nella cuspide sud-orientale dell‟ Isola, sono già intuibili in quelle culture le quali, sebbene inserite attivamente nell‟Olocene, si attardano in attività, quali la caccia, la pesca e la raccolta di prodotti spontanei della terra, che di norma sono attribuite in modo preminente a culture tardo-pleistoceniche. Ci riferiamo alla cultura mesolitica, presente nella realtà archeologica augustana, realtà che è molto complessa e ricca di testimonianze già dalla fine delle glaciazioni. Per l‟assunto del Muzzolini, conviene ricordare che ci si è sempre chiesti quale sia in effetti il confine temporale che divide il Neolitico da altre più antiche culture preistoriche, e se è da ritenersi esatto il termine di Neolitizzazione. Noi non tenteremo di risolvere il problema, la cui soluzione è lasciata ai paletnologi, ma ci limiteremo a riconoscerne l‟esistenza per le molte altre problematiche che sono state sollevate e solo in parte risolte. È comunque possibile riconoscere nell‟agricoltura e nella domesticazione di alcune specie animali lo spartiacque che divide le culture fiorite nell‟era dei ghiacci dalle culture preistoriche oloceniche. Altre cause è possibile porre ad indice del mutato rapporto dell‟uomo con la natura: tra queste la lavorazione della pietra dura (selce, ossidiana, quarziti, diaspri, basalti ecc.), in un quadro economico che vuole lo sfruttamento intensivo e razionale della materia prima, preminentemente dell‟ossidiana e della selce, riconosciute ormai come bene primario economicamente da tutelare, e già soggette alle leggi
del mercato;(11) l‟ulteriore razionalizzazione dell‟attività di caccia con l‟uso intensivo dell‟arco il quale, già presente nello strumentario dell‟uomo nelle fasi finali del Paleolitico superiore, sembra sostituire o in ogni caso rendere marginale l‟uso della lancia o del giavellotto, ma anche superare lo strumentario microlitico geometrico che ha caratterizzato l‟attività di predazione nel Mesolitico di casa nostra. Noteremo più avanti come il Neolitico siciliano, comprese le presenze neolitiche del territorio che abbiamo messo a confronto per la stesura del presente lavoro, abbia tuttavia ignorato o sfruttato in modo marginale il tipo di cuspide triangolare, forma canonica in ogni tempo ed in ogni luogo, prediligendo altre forme più rozze e tuttavia non meno micidiali. (12) E non vanno trascurati l‟invenzione ed il largo uso della ceramica, un prodotto questo che tanto peso ha avuto nella meravigliosa avventura evolutiva dell‟uomo, da quando, con il ritiro dei ghiacci e lo stabilizzarsi della temperatura ai valori attuali, ha scoperto la sedentarietà e l‟utilità di organizzarsi in villaggi, ma non per questo abbandonare del tutto le grotte lì dove la natura ne aveva favorito la genesi. Emblematiche a tal proposito le numerose grotte del litorale del territorio augustano, tutte di origine marina, le quali, ancora prima del consolidarsi della nuova forma abitativa riconosciuta nei villaggi neolitici di Stentinello, Ognina, Mégara Hyblaea, Matrensa, forma abitativa che, secondo l‟Orsi, anticipa lo status urbano che favorisce un embrione di organizzazione politica, il , erano state tali grotte intensamente abitate prima dall‟uomo paleolitico e poi dalle prime esperienze neolitiche, le prime trapiantate sul nostro territorio. Per le amichevoli e cordiali sollecitazioni del †Bernabò Brea, abbiamo cercato di integrare i dati culturali emersi dagli scavi condotti dallo studioso sull‟isolotto di Ognina, a sud di Siracusa, e dall‟Orsi a Mégara Hyblaea, pubblicando, su cortese autorizzazione della Soprintendenza ai Beni Culturali, alcuni rilievi tipologici e tipometrici effettuati sull‟industria litica conservata nei depositi del Museo “P. Orsi” di Siracusa.(13) I dati, che non esauriscono per intero il problema, sono tuttavia indicativi del tipo e grado di cultura acquisito dai gruppi umani che in tali aree si sono insediati. Un confronto con i dati relativi
agli insediamenti di Stentinello e di Matrensa, conferma come nell‟area provinciale, nel tardo Neolitico a ceramiche impresse e incise, si sia attestata e consolidata una cultura che conosce l‟organizzazione “urbana” e la sua difesa da eventuali alluvioni, tant‟è che il perimetro del villaggio viene di norma circoscritto da un valloncello. È, questo, indice sicuro di una acquisita identità etnica, che si manterrà ed evolverà quando alla capanna di forma poligonale, decisamente a perimetro irregolare, spesso costruita senza alcun apparente riferimento a canoni estetici o di funzionalità si sostituirà, con l‟avvento dei Metalli, prima la casa a pianta perfettamente rettangolare e poi, nel Bronzo antico, quella a pianta circolare, come in Gisira, o a pianta ovoidale come nelle Eolie. Non è superfluo ricordare che la forma poligonale verrà riproposta quando si avrà bisogno di razionalizzare gli spazi, sia essi pubblici che privati, nella prima organizzazione funzionale sia alle necessità urbanistiche che mercantili della collettività, come si osserva a Thàpsos nel Bronzo medio, in piena espansione “commerciale” micenea nel Mediterraneo occidentale. Ma la capanna a pianta circolare non sarà subito abbandonata, rimanendo ben inserita nella struttura urbana. (14) Se analizziamo l‟enunciato del Muzzolini, notiamo come alla base di ogni processo evolutivo si ponga la cultura, intesa sempre quale insieme di fattori che determinano ed evidenziano la nascita ed il susseguirsi di aspetti di vita collettiva(15) riconosciuti utili per le etnie che li promuovono, ed ancora ricostruibili nella memoria storica e quindi trasmissibili. Quanto possa valere l‟enunciato di Democrito di Abdera, che individua nella mano il progresso dell‟uomo e non nella mente, non è dato di sapere, ma in proposito non bisogna ignorare che la cultura, per autodefinirsi nel tempo e nello spazio, non può prescindere dal c.d. “pollice opponibile”, specializzazione questa che ha proiettato l‟uomo in una dimensione estranea al resto del mondo animale. Per quel che riguarda il Neolitico stricto sensu, alcuni di tali fattori si possono identificare: - nell‟economia, che non è più di mera predazione, ma anche produttiva, rimanendo tuttavia di sussistenza. Pur non esistendo per il territorio augustano particolari ricerche e studi
che aiutino a definire l‟impatto dell‟attività umana nello sfruttamento della terra in una ipotetica economia alla zappa, (16) lo strumentario recuperato in stratigrafia, ma anche al di
fuori da ogni contesto stratigrafico, non esclude una tale attività la quale, al contrario, si manifesta in modo talvolta preminente; ne fanno fede gli elementi di falce presenti in notevole quantità tra i materiali litici di Ognina e Mégara Hyblaea, che abbiamo avuto modo di studiare, ma anche di Gisira, di Campolato e del Petraro. Analoga condizione è ipotizzabile per i villaggi di Matrensa e Stentinello, a sud e a nord di Siracusa, esistendo in tali località le stesse condizioni ambientali e culturali viste negli altri villaggi c.d. “trincerati” del siracusano; - nella tecnica di taglio e lavorazione della pietra dura (selci, ossidiana etc.) e nell‟economia ad essa connessa. Vogliamo sorvolare sulla attività diretta a levigare alcune pietre, tra cui le pietre eruttive, attività che secondo il Voza, così come sarebbe stato visto al Petraro di Villasmundo, già dal Bronzo antico svilupperà e consoliderà commerci,(17) per meglio puntualizzare la lavorazione della più dura selce (durezza 7 della scala Mohs, equiparabile a quella del quarzo) e dell‟ossidiana. Quest‟ultima pietra, questo vetro vulcanico, che non è presente in Sicilia ma in alcune sue isole maggiori (Pantelleria, Lipari), necessariamente ha sollecitato l‟insorgere e l‟instaurarsi di una fitta rete di commerci, trasmarini e terrestri, che molto probabilmente hanno favorito e razionalizzato tecniche nautiche, sia per quanto attiene alla costruzione di natanti che alle analisi delle rotte, ma forse anche all'invenzione della vela, tecniche impensabili o ancora non perfezionate nello Epigravettiano finale siciliano e nel Mesolitico. (18) Ma anche la selce, con lo sfruttamento intensivo dei giacimenti iblei, (19) viene inserita nei campionari ed in rotte commerciali che raggiungono anche Malta. Viene ridimensionato (ma in alcuni insediamenti, come ad esempio la nostra Mègara Hyblaea, viene ignorato) lo sfruttamento della selce presente lungo i greti dei torrenti e sulle spiagge sassose del mare (attività dei primi nuclei umani stanziatisi nell‟era post-glaciale sul suolo comunale augustano), che forniscono arnioni piccoli ed inadatti
a favorire la costruzione di grandi lame: strumenti che la nuova economia richiede perché utili a supportare le nuove esigenze; - nella definizione e standardizzazione di nuove e più razionali forme nello strumentario litico, che perfezionano tuttavia in alcuni tipi le industrie leptolitiche del Paleolitico superiore, ma rigettano altri tipi legati ad una preminente attività di predazione. Si assiste così al proliferare dell‟ industria laminare mentre l‟industria su scheggia viene ridimensionata, o scompare del tutto come si osserva a Mégara Hyblaea; - nel rito della sepoltura dei morti, che sostituisce il bòtros, una comune buca, con una grande tomba, di forma molto regolare, ellissoidale, circoscritta da pietre e, come nel caso di Gisira, da falsi „ortòstati‟; - nella probabile domesticazione di alcune specie vegetali; attività questa che comunque non è documentata sul nostro territorio per assenza della ricerca, ma non può essere esclusa; - nella domesticazione di alcune specie di animali. Tale attività, preminente nell‟economia dell‟uomo neolitico dell‟area provinciale, è evidente in tutti gli insediamenti che sono stati sufficientemente esplorati. In Strobel, citato da Orsi, abbiamo una rassegna della fauna presente tra i rifiuti dei pasti del villaggio neolitico di Stentinello a nord di Siracusa. Furono recuperati dall‟Orsi, e sottoposti allo studio dello Strobel: Capra (Hircus ægagrus), Pecora (Ovis aries), Bue (Bos brachyceros Rütimeyer (?), Bos taurus, Bos primigenius domestico), Porco (Sus palustris Rütimeyer), Cane (Canis Spalletti, Canis palustris Rütimeyer), un Mustelide. (20) E‟ utile sottolineare che uno studio organico sulla fauna, sia domestica che selvatica, che ha caratterizzato l‟economia dell‟uomo neolitico presente sul territorio provinciale, e di riflesso su quello comunale augustano, non è stato ancora completato; - nelle attività legate alla pesca, decisamente rivierasca, come si rileva dai rifiuti dei pasti che contengono in prevalenza malacofauna del , sia séssile che vàgile, (Patella cae., Monodonta turbinata, Hexaplex trunculus, Cerithium vulgatum, Dentalium, Tellinidi, Arca Noe, Ostrea edulis, Cardium), ma anche vertebre di pesci, e chele di una pregiata varietà locale di granchio (Eriphia verrucosa o granchio peloso). A Mégara Hyblaea l‟Orsi notò un “rilevante ammasso”
di conchiglie di Solen siliqua Linn., note sui mercati con il nome di cannolicchi.
4. AREE DI POPOLAMENTO NEOLITICO NEL TERRITORIO AUGUSTANO (fig. B).
1
-MONTE TAURO, situato da
Claudio Tolomeo ( ‟) tra la foce del fiume Alabon e quella del fiume Pantakyas, è un toponimo instabile. Già il traduttore della edizione veneta del 1623 della alterando il toponimo e la progressione tolemaica, stranamente lo chiama, "Isola de' Magnisi peninsola" e lo situa tra la "colonia di Siracusa" e la "bocca del fiume Alabo", nel quale vede l'Alabas, ovvero "Alfeo con la fonte Aretusa, oggi l'Occhio della Zilica" (sic!). Non è da escludere che potremmo trovarci in presenza di una errata composizione tipografica; ma sorprendentemente riconosce nel fiume Marcellino (il Mylas, di cui Livio XXIV 30?) il fiume Pantacchio (Pantakyas tucidideo), che pone tra l'Alabas e Catana Colonia. Stranamente, il traduttore non segue il Tolomeo il quale, dopo situa l‟ , quindi il , la , e quindi , secondo una visione che rispecchia infine la più parte della critica moderna. Molta confusione, come si può notare, la quale nel passato ha ingenerato altra confusione, eliminata in parte dagli studi recenti che hanno attinto sì alla ricerca in campo, ovvero agli esiti della ricerca archeologica ed a quelli suggeriti dal buon senso, ma non hanno perso di vista, quanto possibile, i classici e la letteratura rinascimentale, Diodoro Siculo, XIV, 58, che lo cita per primo, dà fortunatamente al "così detto" una posizione geografica: lo pone a centosettanta stadi (25/27 km ca.) da Siracusa. Altro Tauro, ovvero il “monte Tauro”, da cui Tauromenion o Taormina, è nei pressi di Nasso, che è ancora in Tucidide, XIV, 59,2 passim. La lezione "così detto Tauro" in Diodoro, riferita al Tauro augustano, fa ritenere che il toponimo abbia avuto in loco
una genesi ed una notorietà che lo storico ha potuto registrare e tramandarci. Il nostro "Monte Tauro", sulla cui geologia si rimanda a
Bordonaro et Alii, (21) si estende in direzione NO-SE per poco più di 8 km.; delimitato a sud da Punta Izzo e a nord da Capo Campolato o Punta Tonnara, è caratterizzato da una debole copertura umica, la quale ha favorito nel passato, molto prima della sua massiccia, disorganica e disordinata urbanizzazione, l'impianto di colture specializzate (vigne, carrubi, olivi, mandorli). Quando l‟ humus non sia trattenuto da opere di contenimento (muri a secco, siepi di fichidindia), o da avvallamenti naturali, la platea calcarea, per l'accentuata pendenza verso nordest, tende a denudarsi, favorendo nel tempo la formazione di una resistente crosta stalagmitica. I rilievi orografici registrano una massima altitudine di 81 metri in contrada Pecoraro, ai limiti con la contrada Amara, sulla spalla di ovest che si affaccia su Quarantamigliara. Largo da 1.500 a 2.000 metri, l'horst, costretto tra il graben di Palma e lo Ionio, si esaurisce, con pendenza intorno a 10°, in una falesia di calcari pre-pliocenici sovrapposti a marne del Terziario. Caratteristica del Tauro è l'esistenza, sulla scogliera di est, che si presenta molto frastagliata, di numerose incisioni fossili, dette in loco “vaddruni” (valloni), le quali seguendo la prevalente pendenza SO-NE del massiccio calcareo lo incidono profondamente prima di sboccare in mare. Nel loro tratto terminale, alcuni dei valloni sono stati invasi dal mare per effetto dell'attuale Trasgressione Flandriana. Sono noti, in quanto più appariscenti, i valloni di Campolato, Amara, Cavalera, Vetrano, Punta Izzo, ed altri di più modesto sviluppo. Prevalentemente nel loro tratto terminale, lì dove le numerose trasgressioni e regressioni marine ne hanno favorito la genesi, si aprono nelle pareti dei valloni, in corrispondenza di antiche linee di costa o solchi di battente, alcune grotte, la cui morfologia è stata rilevata e descritta da Bordonaro et Alii cit. in nota (21). Qui si vuole solo evidenziare che, ad eccezione della grotta detta del Monaco tra Punta S. Elìa e Cala Spezzanténnola, che ha apertura gemina ed un più ampio e diversificato sviluppo, sono relativamente piccole (da pochi a trenta metri di lunghezza) ed hanno il tetto basso. Altre grotte,
che presentano la stessa morfologia e presuppongono eguale genesi, si aprono alla base dell‟alta falesia, da Punta Izzo a Capo Campolato, ma al di fuori del contesto dei valloni. All'interno di alcune di tali grotte, o nelle loro immediate adiacenze, si è installato l'uomo preistorico già dal Paleolitico superiore e fino alla prima età del Bronzo. Ma la presenza dell'uomo sul Tauros acron è stata rilevata anche in un contesto areale in cui non si notano ingrottamenti né valloni. Campolato 1-1: Area di diffusione antropica, esterna ad una grotta, attinente ad una presenza neolitica a ceramiche impresse e incise. La grotta fu abitata già nel Paleolitico superiore. 1-2: Insediamento neolitico, a ceramiche impresse e incise, sotto roccia, sovrapposto ad un insediamento attribuito al Paleolitico superiore. 1-3: Insediamento neolitico a ceramiche impresse e incise, in grotta e sotto roccia, adiacente a quello di cui al precedente punto 1-2. Vallone Amara nord 2-1: Insediamento neolitico a ceramiche impresse e incise, in grotta e sotto roccia, con chiare presenze del Paleolitico superiore. Vallone Acquasanta 3-1: Insediamento neolitico a ceramiche impresse e incise, in grotta, sovrapposto ad un insediamento del Paleolitico superiore. 3.2: Piccolo insediamento a capanne esistente sulla spianata sinistra che si affaccia sul vallone, nel suo sbocco a mare. Punta Tonnara 4-1: Esteso villaggio neolitico a ceramiche impresse e incise, adiacente ad un insediamento mesolitico sotto roccia.
Punta Izzo 5-1: Insediamento evidenziato da una estesa area di diffusione di materiale antropico meso-neolitico, in confusa mistione. (22)
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-BACINO DEL MEDIO E BASSO CORSO DEL TORRENTE PORCARIAIl torrente Porcaria, altrimenti chiamato Porcheria, Polcheria, Porcari, Parcari, Porcaro, ancora Bruca, Assia, Gisira, Pantagìa dai Romani a seguire certa storiografia, in Tucidide e ancora Wâdî Zaydûn (fiume Zaydûn) dagli Arabi, si versa nel Canale di Brucoli, al di sotto dell'omonima stazione ferroviaria, dopo ca. 10 chilometri dalla sua sorgente, così come ci rapporta il Fazello (Oritur Pantagias in agro Leontino inter Leontinum, & Augustam, ex fonte, cui Alviri nomen est hodie, p.m. ferme sex ab ostio recedenti...). “Nasce il Pantagia nella campagna di Lentini, tra Lentini e Augusta, da una sorgente oggi chiamata Alviri, lontano dalla foce circa sei miglia”. (23) Nel suo basso corso, attraversata l‟alta forra del Maccaudo e bagnate con corso tortuoso le località di Occhiali, Xirumi e Samperi, lambisce la spalla meridionale dell' horst di Gisira e quindi si getta nel Canale. Dal Fazello in poi, molti hanno visto nel Porcaria il Tucidideo fiume Pantakyas, il fiume cioè nei cui pressi si troverebbe la località Trotilon, prima tappa dei coloni megaresi prima della fondazione di Mégara Hyblaea. Gli esiti della ricerca archeologica tuttavia non hanno mai suffragato tale interpretazione; gli scavatori, in mancanza di risultati archeologici, si sono affidati di norma agli storici e ai geografi, e naturalmente alla fantasia.(24) Altri ancora, già nell'antichità, hanno riconosciuto il fiume tucidideo nel Marcellino, (25) ed in tal caso sarebbe possibile ipotizzare sul Curcuraggi il Trotilon, anche alla luce delle nuove scoperte archeologiche nella Valle del Marcellino. Ma l‟evidenza scientifica tuttora manca. L'insieme dei problemi connessi alla identificazione dei due toponimi tucididei, ed una originale proposta, sono stati da noi evidenziati in Academia.edu: Intorno a due controversi toponimi della kora megarese. Trotilon e Pantagia, cui si rimanda. (26)
Cozzo Telegrafo 6-1: Insediamento del neolitico a ceramiche impresse e incise, desumibile da una estesa area di diffusione esterna ad una grotta, che ha restituito materiali databili dal Paleolitico superiore all‟èra attuale. Brucoli 7-1: Esteso villaggio neolitico a ceramiche impresse e incise. Gisira 8-1: Esteso villaggio neolitico a ceramiche impresse e incise. Vallone Maccaudo 9-1: Insediamento sotto roccia con evidenze culturali databili al Paleolitico superiore, al Mesolitico, al Neolitico a ceramiche impresse e incise. Piano Camera 10-1: Area di diffusione attinente ad una presenza neolitica a ceramiche impresse e incise. Frandanisi di Sotto 11 -1: Area di diffusione di materiali attinenti ad un villaggio neolitico a ceramiche impresse e incise . (27)
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-BACINO DEL MEDIO E BASSO CORSO DEL FIUME MULINELLOIl Mulinello, o fiume di S. Giuliano (Yaddeda o Yadeda per gli Arabi), che nasce a sud di Carlentini, è forse il Damyrias ; secondo altra lezione: - (Plutarco: Vita di Timoleonte 31), che vide una splendida vittoria del generale siracusano su Iceta di Leontini. "Dopo Augusta -scrive il Fazello- e dopo il suo istmo, andando lungo la riviera, segue la bocca del fiume Jadeda, nome saracino, che fra terra è chiamato di S. Giuliano. Questo fiume nasce quattro miglia sopra Leontino, verso mezzogiorno, ed ha principio da due
fonti, un miglio lontani l'un dall'altro, l'un de' quali si chiama Salcio, e l'altro Cuppo...". Il suo bacino imbrifero è modesto: un poco più esteso di quello del Porcaria, ma circa la metà del bacino del Marcellino. Il 30 luglio 1906 vi si registrava una portata di m³ 0,040 al 1”, misurata sotto il ponte della ruotabile Augusta-Melilli, contro la portata di m³ 0,120 al 1” rilevata, per il Marcellino, sotto il
ponte della stessa strada. (28) L'archeologia del Mulinello, fino agli anni '50, era nota per la necropoli di Cozzo del Monaco, riferibile alla cultura di Thàpsos, per la catacomba cristiana esistente sotto lo stesso cozzo (entrambe scavate dall'Orsi), per generiche notizie sulla necropoli “castellucciana” esistente in contrada Mangano a monte di Cozzo del Monaco, e ancora per altre generiche notizie sulla Timpa Ddieri in territorio di Villasmundo; la Timpa Ddieri in particolare, la quale, con la sua parete a picco sul Mulinello, alta circa 100 metri, con le sue numerose grotte disposte anche su più piani, e per un corridoio scavato nella roccia, nel quale l'Orsi aveva visto un acquedotto greco, (29) aveva suscitato interesse tra i viaggiatori (30) e gli studiosi. (31) Lungo il Mulinello, ad ovest del ponte sulla vecchia ss 193, si ritiene sia stata la località di ( è il bastone con manico ricurvo dei pastori greci), dove appunto Iceta, che fuggiva verso Leontini, fu raggiunto e vinto da Timoleonte. (32) Cozzo del Monaco 12-1 : Villaggio del tardo Neolitico a ceramiche impresse e incise. Petraro 13-1: Villaggio trincerato neolitico a ceramiche impresse e incise sovrapposto ad un villaggio “castellucciano”. (33)
4
-BACINO DEL MEDIO E BASSO CORSO DEL FIUME MARCELLINOL'identificazione del Mylas nel Marcellino (come quella del fiume Damyrias nel Mulinello) oggi è incerta. Il toponimo è
noto solo da Livio XXIV, 30,3 in relazione alla campagna di Marcello in Sicilia: “Syracusanis, octo milia armatorum agmine profectis domo, ad Mylan flumen nuntius accurrit, captam urbem esse...” - "Ai Siracusani, che erano partiti dalla loro città con un esercito di ottomila uomini, venne incontro al fiume Mylas un messo, che li avvertì che la città (di Leontini) era stata presa...". "Il qual tratto -puntualizza il nostro Strazzulla-, (34) per le operazioni militari del console Marcello, à relazione col seguente” (Livio,XXIV,31,14): “ut Syracusas perferret nuntium convenientem eis quae ad Mylan falso nuntiata erant,...” "...perché portasse a Siracusa una notizia uguale a quelle che falsamente erano state date presso il fiume Mylas". Adolfo Holm, nel capitolo dedicato ai fiumi di Sicilia, si rimette all'opera dello Schubring, il quale crede che il Marcellino sia il Mylas, ma non è inutile ammettere che tutte le possibili congetture fatte dai numerosi autori, che hanno studiato la toponomastica relativa ai fiumi che si versano nel golfo megarese, affondano le loro radici in poche e talvolta confuse notizie tramandateci dai classici. Il Bernabò Brea, che era un archeologo, preferì segnare un punto interrogativo accanto ai nomi di Pantakyas (Porcaria), Mylas (Marcellino), Damyrias (Mulinello), Teryas (S. Leonardo); il che conferma come incerta sia stata ed è ancora oggi la identificazione dei corsi d'acqua citati dalla letteratura classica. Come abbiamo detto più sopra, sia il bacino imbrifero che la portata del Marcellino, sia prima che dopo la confluenza del Belluzza nel suo corso, sono notevolmente superiori a quelli del Mulinello; entrambi i corsi d'acqua oggi sono navigabili, per rigurgito del mare, per più di un chilometro dalla foce, ma è da escludere che tale condizione si sia verificata nella preistoria, proprio per la particolare tettonica che caratterizza il nostro territorio. La valorizzazione archeologica del Marcellino ha avuto inizio alla fine degli anni '60, quando furono iniziati scavi sistematici nelle estese necropoli esistenti nell‟area della Valle (contrade Fossa, Torracchio, Pantalone di Sopra, Pantalone di Sotto, Curcuraggi) . (35)
Torracchio 14-1:Tracce di un insediamento neolitico a ceramiche impresse
e incise. (36)
5
- BACINO DEL BASSO CORSO DEL TORRENTE CANTERACantera, dall'arabo 'al qantarah (il ponte) è il nome correntemente riconosciuto al torrente che mette foce a nord di Mègara Hyblaea. Sul Cantera la letteratura ha costruito castelli di congetture che non hanno portato ad alcuna soddisfacente conclusione. Il Fazello vi riconosce il fiume Alabon (Alabi), appoggiandosi a Diodoro Siculo e a Tolomeo; quest‟ultimo, come abbiamo già visto, posiziona la foce di un tra ed il , dove però vi mettono foce il Marcellino ed il Mulinello, ma non vengono menzionati altri corsi d'acqua, Diodoro Siculo IV, 78 invece lo menziona in connessione con la mitica dedalica. La critica moderna non esclude che l'Alabon possa essere il S. Cusumano, ma anche il Modione di Selinunte. L'Holm, che segue lo Schubring, rileva che in Manni: "Intorno all'Alabon e ad altri fiumi vi è grande confusione". Il bacino imbrifero del Cantera equivale all'incirca a quello del Mulinello, ma il suo regime è quello torrentizio. Mégara Hyblaea 15-1 : Villaggio trincerato neolitico a ceramiche impresse,
incise e dipinte. (37)
5 ANALISI DEGLI ELEMENTI DELL‟AMBIENTE NATURALE
D
iciotto insediamenti neolitici distribuiti lungo la fascia sublitoranea e litoranea che va da Punta Castelluccio a Mégara Hyblaea, attribuibili a momenti e movimenti diversi, sia spaziali che temporali, testimoniano di una vivacità culturale preistorica egemone sul territorio provinciale; e ancor
più se si considera che lungo la stessa fascia di territorio sono stati individuati e sufficientemente definiti altri sei insediamenti preistorici del Paleolitico superiore e una ventina di insediamenti dell‟età dei Metalli, la cui genesi, per le peculiarità industriali che vi si intuiscono, fa supporre anch‟essa uno status culturale che in Sicilia ha pochi riscontri. E infine, la presenza in tale area di una presenza mesolitica che in Sicilia sembrerebbe non trovare confronti puntuali in nessuno dei bacini preistorici noti, testimonia anch‟essa una ricchezza culturale che soltanto una particolare condizione ambientale può aver favorito. Un veloce excursus sugli elementi dell‟ambiente naturale ci dice intanto come il territorio di Augusta si presenti ricco di acque dolci, sia per il notevole numero di corsi d‟acqua che lo percorrono (S. Leonardo, che condividiamo con Lentini, S. Calogero o Castelluccio nel suo basso corso, Porcaria, Mulinello, Marcellino, Cantera, S. Cusumano), che per le numerose sorgenti che sgorgano, per la particolare geologia del territorio, sia lungo lo sviluppo costiero che nell‟entroterra. Una di tali sorgenti, esistente nei pressi della foce del Cantera („a cantra, alla quale, prima della costruzione del primo funzionale acquedotto, attingevano gli abitanti di Augusta, che vi si recavano con barche), veniva utilizzata dalla colonia greca di Mégara Hyblaea in uno con i numerosi pozzi scavati all‟interno della ; ma è certo che anche l‟insediamento neolitico identificato dall‟Orsi nei pressi di un tempio greco arcaico nell‟area della città megarese abbia sfruttato la sorgente della cantra; altra sorgente, la Claradea, che sgorgava a Terravecchia, può aver dissetato anche una comunità preistorica neo-eneolitica insediatasi molto probabilmente sulla punta sud del Χερσόνςος.(38) Non possiamo allora non ricordare ancora una volta quanto ebbe a scrivere Tullio Marcon circa l‟importanza che la presenza d‟acqua dolce assume per lo stabilimento di un insediamento abitativo. (39) Non è comunque necessario attingere alla letteratura odeporica del settecento per scoprire come il territorio agricolo di Augusta, proprio per la notevole presenza d‟acqua dolce, sia stato nel passato uno dei meglio coltivati di Sicilia, il che ha
fatto sì che proprio tale condizione divenisse vanto di una classe contadina la quale, riscattandosi da una obsoleta realtà post-feudale, era riuscita a ristabilire un contatto intimistico con un ambiente privilegiato, e apprezzato fin dall‟antichità, prodigo di prodotti della terra e di bellezze naturali. Ma tale ambiente è stato purtroppo frantumato, e dissolto, in uno con molti suoi tesori archeologici e paesaggistici, dalle ruspe e dalle ciminiere. Attingiamo ora ai dati che ci fornisce una veloce, parziale, ma significativa, analisi dell‟ambiente naturale. I dati climatologici ci dicono come la temperatura raramente superi i 40 °C, e sempre nel mese di agosto, mantenendosi la media annuale in agosto intorno a 31 °C; la temperatura minima assoluta, che a gennaio raramente scende sotto lo zero, ha una media che va dagli 8 °C a gennaio ai 22 °C in agosto. Questi dati bilanciano naturalmente quelli relativi alle precipitazioni le quali, sulla media mensile di ca. 36 mm (poco meno di 430 mm annui), raggiungono il culmine a ottobre registrando più di 100 mm, contro i 5 mm a luglio. Circa l‟umidità relativa media, rilevata alle ore 13, si nota che non scende mai oltre il 55% nei mesi di luglio-agosto (Siracusa = 58%) e difficilmente supera nei giorni di più intensa piovosità novembre/febbraio- il 60% (62% nel mese di gennaio). La nuvolosità media annua è tipica di una zona temperata, registrando una prevalenza del sereno (42,70%) contro il 33,89% di nuvoloso e il 23,25% di coperto. Il dato relativo alla invisibilità è appena dello 0,16% (40). Estrapoliamo dal PIANO REGOLATORE, citato in nota (40) che riassume gli “Elementi dell‟ambiente naturale di Sirac,usa e Augusta”: “Vari fattori climatici influiscono sul clima dell‟area. Tra essi, oltre alla posizione astronomica espressa dalla latitudine, situata in piena zona temperata, e alla posizione geografica, a breve distanza dall‟Africa settentrionale e dal Sahara, spicca il notevole grado di marittimità, derivante dal fatto che la Sicilia è al centro del Mediterraneo, mare tiepido che determina la formazione di un particolare clima, detto appunto mediterraneo...”. Ne consegue che, se la Sicilia è al centro del Mediterraneo, il territorio che da Siracusa va ad Agnone vi mantiene un posto privilegiato per la sua centrale posizione di sudest, per le capaci insenature naturali e per la
varietà dello sviluppo costiero e dei fondali, che hanno sempre favorito un ecosistema, marittimo e terrestre, fra i più ricchi, complessi e invidiabili in Sicilia. I dati, e quindi il giudizio complessivo, derivati da rilevamenti fatti negli anni 1947-1955, è possibile che non siano molto dissimili da quelli che avrebbero potuto essere registrati circa settemila anni addietro da una cultura neolitica che ne avesse avuto la possibilità. In altre parole, una maggiore o minore piovosità o un clima più o meno rigido non avrebbero tolto la Sicilia e quindi il territorio di Augusta dalla posizione astronomica e geografica in cui si trovano. È allora doveroso ammettere e fortemente sottolineare, per evitare che sul nostro territorio gravi un eventuale pregiudizio generato da una autonoma sopravvalutazione del problema, come ci manchino, proprio per la insufficienza di estese prospezioni archeologiche nei livelli preistorici, gli esiti confortanti di una ricerca esaustiva, rivolta su 360°, e quindi quegli elementi (che in altre aree geografiche è stato possibile definire) utili a chiarire anche la reale distribuzione numerica, seppure approssimativa, dei gruppi umani presenti nei diversi tempi sul territorio augustano. In fin dei conti la presenza neolitica su tale territorio non è un dato che si possa evidenziare con un sol tratto di matita. Eterogenee presenze, spesso poco armonizzabili, succedutesi diversi millenni addietro non ce ne danno facoltà. Indipendentemente dal numero degli insediamenti localizzati e sufficientemente analizzati, non si può intanto ignorare, visti i “reperti” antropici restituiti fin ora da ognuno di essi, più o meno abbondanti, più o meno significativi, che la loro presenza è diluibile lungo un arco di tempo che va probabilmente dalla fine della prima metà del VII agli inizi del IV millennio. Insediamenti neolitici sono nati e morti sul nostro territorio in tempi che noi non siamo ancora in grado di definire, e quindi sostituiti da altre comunità anch‟esse morte e oggi difficilmente quantizzabili nelle funzioni essenziali. Ma quanti fuochi ha potuto accogliere ogni singolo villaggio in ogni tempo della sua esistenza, e per quanto tempo si può ipotizzare stabile la presenza umana in ogni villaggio? Giulio Beloch,(41) che attinge ai classici, confortato dai numeri in essi contenuti, fornisce per la Sicilia antica (classica) dei dati che indifferentemente possono o non possono essere
considerati attendibili. Ma sono dati che comunque sollecitano particolare attenzione. Partendo da una data di riferimento, la Sicilia del 1881, assegna per la seconda metà del V secolo a.C., a Siracusa da 60 a 75.000 abitanti, 20-25.000 a Selinunte e 10.000 a Catania. Naturalmente si può ammettere che il Beloch abbia visto giusto e quindi fornito numeri congrui, se non tutti, almeno in buona parte, ma non può essere escluso che i suoi dati siano distanti le mille miglia da quella che era stata la reale consistenza numerica degli abitanti nelle varie città ed in quel preciso momento storico. Se già il dubbio nasce in presenza di dati reali, tramandatici per iscritto da storici che non avevano motivo di alterarne la consistenza, non altrimenti è da vedersi per le comunità preistoriche presenti sul territorio augustano nel Neolitico, anche quando la presenza umana può essere già inserita in un quadro i cui contorni (estensione del territorio utilizzato, numero delle capanne, presenza di altri villaggi sui territori limitrofi etc.) siano sufficientemente leggibili e definibili. La preistoria è muta e sta al ricercatore indurla a balbettare qualche parola; parafrasando il Bernabò Brea, si è costretti ad ammettere che, in assenza di fonti scritte, ogni argomento (che non è mai definitivo) deve essere tirato fuori dal silenzio dei tempi in cui un avvenimento si definisce. E riconoscergli una funzione univoca, dargli una voce cristallina, non sempre è possibile. Ma talvolta è possibile. Anche ad ammettere che un villaggio possa essere portato alla luce in tutta la sua reale estensione, che si possano definire gli spazi occupati da tutte le singole abitazioni, che possano essere scoperte tutte le tombe e contati tutti gli inumati, che si possa identificare tutto il territorio gestito dalla comunità, sia quello agricolo che quello di più incerta identificazione utilizzato da una attività di predazione all‟interno dello stesso spazio neolitico, difficilmente si potrebbe affermare che tutte le capanne siano state occupate contemporaneamente e per lo stesso periodo di tempo, o che ognuna abbia ospitato lo stesso numero di persone. Difficilmente si potranno identificare e definire altre strutture, sparse e provvisorie sul territorio, ma utili per determinate attività svolte lontano dal centro abitato, talvolta stagionali, limitate nel tempo e nello spazio.
Prendiamo ad esempio il villaggio neolitico a ceramiche impresse e incise di Punta Bonìco, sulla estrema punta settentrionale di Gisira. Qui, su un‟area di circa 15.000 mq., sono state rilevate numerose serie di buche che portano a stabilire senza ombra di dubbio come in tale area siano state costruite numerose capanne. Poiché le capanne erano fatte principalmente con legno ed altro materiale deperibile, di esse non è rimasta traccia se non quella evidenziata dalle buche dove venivano allogati i pali portanti. Di altri legni è rimasta talvolta l‟impronta nell‟argilla utilizzata quale intonaco i cui frammenti si è avuta la fortuna di rinvenire. Ma di un eventuale alzato non vi è fin ora testimonianza. I materiali antropici recuperati in superficie, nelle buche ed in alcuni piccoli saggi stratigrafici, ci confermano che le capanne furono costruite nella preistoria, in un indefinibile periodo di tempo chiamato Neolitico. Le capanne non sembra che abbiano avuto struttura regolare, e si ha difficoltà a considerarle tipi definibili se non nella misura che ci perviene dalla analisi di altre strutture più o meno leggibili individuate sia sul nostro territorio che altrove, anche fuori dalla Sicilia. Abbiamo accennato più sopra ai residui antropici presenti nei villaggi neolitici del territorio augustano, che infine per la definizione di un insediamento sono leggibili tanto quanto le strutture abitative e talvolta di più. Selci, diaspri, basalti, quarziti, e ancora ossidiane importate da Lipari o forse da Pantelleria, ossa di animali domestici da cui trarre punteruoli o spatole o piccoli oggetti d‟art mobilier, vasi di argilla fittamente decorati, ma anche le immondizie che contengono residui della caccia e della pesca oltre che di attività artigianali... un complesso microcosmo antropico all‟interno del quale è possibile leggere uno status culturale unico, caratteristico di ogni villaggio e comunque suscettibile di favorire confronti, puntuali e non, ma sempre utili, con altri insediamenti vicini e lontani.
6. I TEMPI DELLA COLONIZZAZIONE NEOLITICA SUL TERRITORIO AUGUSTANO
U
na cultura, già definita, sottopone sempre all‟attenzione del ricercatore un complesso di elementi-guida che la rendono inconfondibile. Tali elementi-guida assumono talvolta la funzione di “fossili”. Provengono da Punta Bonìco, in Gisira, dei particolari strumenti microlitici geometrici di forma trapezoidale: vi si riconoscono delle cuspidi di freccia altrimenti dette trancianti trasversali. In Sicilia, di insediamenti neolitici che hanno restituito tale tipo di cuspide se ne conoscono otto, di cui ben cinque localizzati da chi scrive in territorio di Augusta: Grotta dell‟Uzzo in provincia di Trapani, il Riparo della Sperlinga di S. Basilio nei pressi di Novara di Sicilia, Grotta Corruggi in territorio di Pachino, Punta Tonnara e Campolato a Monte Tauro, Punta Bonìco in Gisira, Cozzo Telegrafo e Vallone Maccaudo lungo il corso del Porcaria. Il tranciante trasversale è noto in vaste aree geografiche di Europa, Asia, Africa, ma la tipologia fortemente specializzata non permette di pensare ad una germinazione spontanea dello strumento in punti diversi all‟interno dello stesso spazio temporale, ma ad una sua diffusione per la migrazione di popoli e di idee. Si presume che le frecce armate di tranciante trasversale “fossero utilizzate per la caccia a determinate specie di animali, ovvero fossero legate a determinati metodi venatori. Le cuspidi di freccia a tagliente trasversale causavano ferite di maggiori dimensioni, che determinavano una maggiore perdita di sangue rispetto alle punte di freccia; queste a loro volta presentavano il vantaggio di penetrare più facilmente nel corpo della preda”.(42) È significativo un frammento di stele del periodo di Uruk (la biblica Erech, ed oggi Warka) in Mesopotamia, in cui un arciere che caccia il leone scaglia una freccia armata con un tranciante trasversale; eguali raffigurazioni provengono dall‟Egitto. Ma è pure noto alla ricerca archeologica siciliana come nell‟Isola, durante il Neolitico, le cuspidi di freccia nella loro forma canonica, triangolare, con o senza peduncolo, sembrano praticamente assenti, (43) come se il tipo vi fosse sconosciuto. La cuspide sub triangolare si affermerà poi in Sicilia dall‟età del Rame, e non
verrà più abbandonata. E‟ stato però accertato che il Neolitico a ceramiche impresse e incise augustano, nella sua fase culturale tarda, stentinelliana, ha fatto uso di rudimentali schegge di selce di forma sub triangolare -e non di trancianti trasversali-, che si suppone abbiano armato aste di frecce, come si rileva a Mégara Hyblaea, nel Vallone Amara, al Petraro, dove la facies stentinelliana è accertata. Altro elemento-guida per la definizione di una cultura è naturalmente la ceramica, la quale è utile sia per le forme con le quali si presenta che per la sua eventuale decorazione. Una analisi delle forme per il territorio augustano manca. Le prospezioni archeologiche, pressoché complete per l‟area di Mégara Hyblaea, tali non sono per il resto del territorio augustano, proprio per l‟assenza di una ricerca estesa e mirata. Malgrado i numerosi insediamenti neolitici riconosciuti in tale territorio, alcuni dei quali di notevole importanza per la loro organizzazione urbana, ma anche per la quantità e la qualità dei materiali fittili e litici restituiti (Petraro, Punta Bonìco, Vallone Amara, Punta Tonnara), la ricerca ha dovuto segnare il passo. L‟eventuale assenza di progetti e di fondi (una ricerca, purtroppo incompleta, nell‟area in Gisira è stata possibile per l‟aiuto economico della proprietà privata) non favorisce la ricerca in quei settori dell‟archeologia che non possono sottoporre all‟attenzione (morbosa?) dei media, e delle fasce d‟interesse da questi rappresentate, strutture visivamente spettacolari. Sebbene le forme riconosciute siano poche, gli insediamenti augustani presentano nella decorazione della ceramica delle peculiarità, suscettibili di favorire confronti, che ne permettono perfettamente il loro inserimento temporale. Si nota ad esempio che ad una facies a trancianti trasversali riconosciuta lungo il corso del Porcaria, nella località del Maccaudo, facies che noi riteniamo prestentinelliana, in cui compare poca ma significativa ceramica a brevi motivi lineari incisi (ved. fig. 9-2), segue sul Tauro, da Punta Tonnara a Campolato, ed in Gisira, una decorazione che evidenzia ancora l‟incisione lineare in maniera preponderante, ma anche altra decorazione il cui svolgimento sintattico anticipa quello che poi, nel tardo neolitico a ceramiche impresse, incise e dipinte, sarà il motivo conduttore a Stentinello, a Megara Hyblaea, ad Ognina e a
Matrensa; ma anche nel Vallone Amara e al Petraro di Villasmundo. Qui i motivi, che ora coprono tutta la superficie del vaso, quasi si fosse condizionati da un horror vacui, si sviluppano in una complessa sintassi geometrica (chevrons, rockers, linee ondulate, spezzate, losanghe, cerchi, quadrati ma anche in motivi a unghiate e a pizzicato e in svariati motivi cardiali sia a sviluppo semplice che a palmetta, che già sono tardi. E non si dimentichi la stilizzazione del volto umano con la realizzazione di anse a forma di naso poste tra due occhi (di norma losanghe, ma anche cerchi) muniti di ciglia. È significativo il confronto puntuale che si può fare tra la decorazione della ceramica neolitica di Campolato con quella dell‟Isola di S. Domino (Tremiti) , (44) ma suscita altrettanto interesse la concordanza stilistica riconosciuta nei motivi che decorano i vasi del Vallone Amara con quelli di Piana di Curinga in provincia di Catanzaro; (45) e ancora motivi di riflessione pone il confronto tra la ceramica di Mégara Hyblaea con quella del Petraro. Dati relativi alla cronologia degli insediamenti neolitici riconosciuti sul territorio augustano sono purtroppo inesistenti. Si potrebbe attingere, per la determinazione di una data che sia valida per alcuni insediamenti augustani, seppure con larga approssimazione, ai dati forniti dalla Grotta dell‟Uzzo, in provincia di Trapani; (46) qui un Neolitico aceramico, che ha fornito la data di 7910 ± 70, e ancora un Neolitico a ceramica impressa pre-Stentinello, datato a 6750 ± 70, possono essere proposti quale elemento di confronto per gli insediamenti neolitici augustani rispettivamente del Vallone Maccaudo e di Gisira, dove ricorrono le stesse condizioni stratigrafiche e sintattiche viste in quelle di Trapani. (47) Abbiamo accennato al sostrato mesolitico visto in alcuni insediamenti neolitici del territorio che abbiamo preso in esame. Tale sostrato è stato visto nel Vallone Maccaudo, da dove si sarebbe irraggiato verso la costa, a Punta Tonnara e a Punta Izzo, che evidenziano una industria litica a geometrici segmentiformi compatibile con quella del Vallone. Diversa evoluzione e forse diversa genesi avrebbe avuto il Neolitico di Campolato, dove alle semilune di più rifinita fattura si associano
i trancianti trasversali ed una ceramica la cui decorazione porta a stabilire, come abbiamo detto, puntuali raffronti con un insediamento neolitico delle isole Tremiti. Bisogna convenire, per una puntuale analisi del Neolitico augustano, che la sintassi decorativa della ceramica proveniente dall‟insediamento di Campolato e, per larghe concordanze, di quella del Vallone Amara sud, sul nostro territorio è unica. Altro insediamento che sul territorio provinciale trova poche possibilità di confronto, è ancora quello di Punta Bonìco, la cui industria, che evidenzia il microbulino ed il tranciante trasversale in netta associazione, si accompagna ad una ceramica d‟impasto la cui decorazione incisa e impressa degli strati inferiori porta a cercare confronti in Nordafrica, e solo più tardi e con i materiali degli strati superiori il confronto può essere esteso alla produzione degli insediamenti del Vallone Amara nord, del Petraro e di Stentinello, e sempre con larga approssimazione. Si delinea così, come si era detto in principio del presente lavoro, uno status culturale che solo una ricerca estesa, continua e mirata può evidenziare in tutta la sua apparente complessità. Ma anche in assenza di una più esaustiva ricerca, non si può sottacere come il territorio che ora chiamiamo augustano, dal S. Cusumano al S. Leonardo, abbia accolto nel Neolitico flussi migratori i quali, favoriti da una condizione ambientale più che positiva, hanno qui costruito le loro “civitates”. Molti millenni prima che altra gente, anch‟essa proveniente per varie vicissitudini da altri luoghi, ne riscoprisse i vantaggi e vi si fermasse stabilmente.
Note 1 - TUCIDIDE, Le Storie, VI,3-2, 3-3; sulle disavventure dei megaresi a Leontini, cfr. anche POLIENO, Stratagemmi, V, 51,2 2 - Thàpsos, in greco ( ) è il nome di una pianta, il sommacco, ricca di una sostanza detta tannino, la quale viene (o veniva?) utilizzata per la colorazione e la concia delle pelli. L‟Orsi dedusse dal nome di Thàpsos, che riteneva un vocabolo di origine semitica, la presenza di una colonia fenicia della quale si era persa ogni traccia, in ciò confortato da Tucidide il quale VI, 2-6 recita: “Abitarono anche i Fenici tutto intorno alla Sicilia, dopo aver occupato i promontori sul mare e le isolette adiacenti per favorire il loro commercio coi Siculi”. 3 - Cfr. G. VOZA, La necropoli della Valle del Marcellino presso Villasmundo, Atti 2ª R. S. Scuola Perfezionamento Arch. Classica dell‟Università di Catania, 1980. 4 - “L‟osso a globuli, certamente importato dall‟Asia, conferma l‟esistenza di una corrente commerciale agente dalle coste asiatiche fino alla Sicilia...”. Cfr. in proposito P. ORSI., Scarichi del villaggio siculo di Castelluccio, BPI XIX, Roma, 1893. B. BETTI-A. ZANINI, L‟Antica età del Bronzo in Italia, Atti del Convegno di Viareggio, 1995, hanno elencato per la Sicilia orientale ben 21 ossi a globuli, uno ad Altamura in Puglia, uno a Malta, uno a Lerna in Peloponneso e quattro a Troia. Proprio quelli di Troia si confrontano, per la loro rozza fattura, con quelli del Petraro del Molinello. 5 - Cfr. I. RUSSO, Su alcuni “altari” preistorici di pietra localizzati nella regione “castellucciana” della Sicilia sudorientale, Archivio Storico Siracusano, s.III, XIII (1999). L‟esistenza in territorio di Enna di un altro manufatto, simile a quelli di Gisira, ci è stata gentilmente segnalata da L. Guzzardi. 6 - Cfr. A. PARROT, I Sumeri, Milano, 1981. 7- Cfr. L. GUZZARDI, Ricerche archeologiche nel siracusano, Kokalos, XXXIX-XL, Palermo, 1993-1994.
8 - Cfr. R. LANTERI, La necropoli di Cava Baratta sul medio corso del Cantera, Archivio Storico Siracusano, s.III,VIII (1994). 9- Cfr. I. Russo, P. Gianino, Megalitismo Ridotto Mediterraneo. Nuove acquisizioni sull‟architettura funeraria monumentale della prima età dei Metalli nella cuspide sudorientale della Sicilia, Archivio Storico Siracusano, s.III,VI (1992). 10- Cfr. Néolithisations, a cura di O. AURENCHE E J. CAUVIN, in B.A.R. International Serie 516, 1989, per conto della Maison de L‟Orient Méditerranéen- C. N. R. S.- Université Lumière - Lyon 2. Cfr. W. BRAY, D. TRUMP, Dizionario di archeologia, Milano, 1990, il quale alla voce NEOLITIZZAZIONE, così recita: Da Neolitico, “neogrecismo inventato da lord Avebury Lubbock nel 1865, per indicare quel periodo del passato umano, secondo la classificazione del SISTEMA DELLE TRE ETÀ, nel quale l‟uomo si procacciava il cibo per mezzo della coltivazione di cereali e l‟addomesticamento di animali, ma faceva ancora assegnamento sulla pietra come materiale per i suoi strumenti e le sue armi..-”. 11 - Cfr. D. H. TRUMP, Contatti siculo - maltesi prima dell‟ età del Bronzo, KOKALOS, XXII-XXIII, Palermo1976-77. 12 - Cfr. I. RUSSO, Contributo alla conoscenza della preistoria del territorio intorno ad Augusta. Evoluzione della cuspide litica nelle armi di offesa, Archivio Storico Siracusano, s. III,VII (1993). 13 - Cfr. P. ORSI, Mégara Hyblaea (1917-1921), Villaggio neolitico e tempio greco arcaico, MAL, XXVII, Roma, 1921; cfr. inoltre L. BERNABÒ BREA, Abitato neolitico e insediamento maltese dell‟età del Bronzo nell‟isola di Ognina (SR), e i rapporti fra la Sicilia e Malta dal XVI al XIII sec. a.C., KOKALOS, Palermo, 1966; di I. RUSSO, cfr. L‟industria litica del villaggio neolitico di Mégara Hyblaea, (scavi Orsi 19171921). Alcuni dati tipologici e tipometrici, Archivio Storico Siracusano, s.III,X (1996); ib. Industria litica degli insediamenti preistorici dell‟isolotto di Ognina, Archivio Storico Siracusano, s.III,XII (1998). 14 - Cfr. G. VOZA, Thàpsos, Archeologia nella Sicilia sudorientale, Centro J. Berard, Napoli, 1973.
15 - Cfr. M. SELENE CASSANO et Al., PaletnologiaMetodi e strumenti per l‟analisi delle società preistoriche. Fonti di conoscenza, NIS, Roma, 1981. 16 - Sulla economia di caccia e su quella agraria alla zappa, cfr. P. LAVIOSA ZAMBOTTI, L‟economia nella preistoria e nella storia arcaica, Rivista di Scienze Preistoriche, Firenze, 1963. 17 - Cfr. G. VOZA, Villaggio fortificato dell‟età del Bronzo in contrada Petraro di Melilli, Atti della XI e XII Riunione Scientifica. I.I.P.P., Firenze, 1967. 18 - Cfr. O. HÖCKMANN, La navigazione nel mondo antico, Milano, 1988, il quale scrive: “Il più antico documento archeologico che dimostri che l‟uomo fosse in grado di costruire mezzi natanti risale a non oltre gli albori dell‟attuale razza umana, il Paleolitico superiore (prima dell‟8000 a.C.): si tratta di una costa intagliata in corno di renna, ritrovata ad Husum”. 19 - Cfr. P. ORSI, Miniere di selce e sepolcri eneolitici a Monte Tabuto e Monteracello presso Comiso (Siracusa), BPI, XXIV, Roma, 1898. 20 - Cfr. P. ORSI, Stazione neolitica di Stentinello (Siracusa), BPI XVI, Roma,1890. 21 - Cfr. S. BORDONARO, A. DI GRANDE, W. RAIMONDO, Lineamenti geomorfostratigrafici pleistocenici tra Melilli, Augusta e Lentini, Acc. Gioenia Scienze Naturali, Catania, 1984. 22 - Per Campolato, Punta Tonnara, Vallone Amara sud, Punta Izzo, cfr. I. RUSSO, P. GIANINO, R. LANTERI, Augusta e territori limitrofi - I - Preistoria. Dal Paleolitico superiore alla Precolonizzazione, supplemento n. 5 all‟Archivio Storico Siracusano, 1996; ancora per il vallone Amara nord, cfr. I. Russo, Il vallone Amara nord a Monte Tauro: cenni su contesto, strutture, materiali, NOTIZIARIO n. 21, dicembre 1998. 23 - Cfr. T. FAZELLO, De rebus siculis decades duae, Palermo, 1558. 24 - Cfr, L. BERNABÒ BREA, Il crepuscolo del re Hyblon, La Parola del Passato, Rivista di Studi Antichi, Napoli,1968. 25 .- Cfr. Cl. Mario AREZIO, De situ insulae Siciliae, Panhormi, M.D.XXXVII. Ancora sul Curcuraggi insiste Giulio
Filoteo degli Omodei da Castiglione (1557), il quale scrisse: “...perciocché, passando Lami greco da Megara dell‟Acaia, edificò una terra (nel tempo che i Naxii edificarono Catania e Lentini), chiamata Protile e da Tucidide nominata Trotilo ed oggi Curcurace, già ruinata, che appena se ne vede il segno sopra il fiume allora detto Pantagia (...) Vi è opinione che questo fiume (quello citato da Ovidio in Eneide III, 689) non fosse Pantagia , ma che già quello che mette nel porto di Augusta chiamato Marcellino...”. H. Goltz di Warzburg (Sicilia et Magna Græcia, 1576), in una sua cartina topografica della Sicilia, conservata presso la Biblioteca Comunale di Siracusa, pone la foce del fiume Pantaxos (Pantakyas) nel porto megarese, in corrispondenza del fiume Marcellino. 26 - Cfr. I. RUSSO, P. GIANINO, Problematica storicoarcheologica di Trotilon e del torrente Pantakyas, NOTIZIARIO n. 18, ottobre 1995. 27 - Per Cozzo Telegrafo, Brucoli, Vallone Maccaudo, Piano Camera, cfr. I. RUSSO, P. GIANINO, R. LANTERI, cit.; per Gisira, cfr. I. Russo, P. Gianino, Archeologia del basso corso del Porcaria: preistoria di Gisira di Brucoli, Archivio Storico Siracusano, s.III, IX (1995); per Frandanisi, cfr. I. Russo, Frandanisi (Augusta, prov. di Siracusa), Rivista di Scienze Preistoriche, XLVIII, Firenze, 1997. 28 - Cfr. E. PERRONE, Corsi d‟acqua della Sicilia, Roma, 1909. 29 -Cfr. P. ORSI, Periegesi archeologia, Timpa Ddieri, in Notizie degli Scavi, Roma, 1902. Conviene precisare che il manufatto è in effetti un camminamento a mezza costa, che unisce le varie grotte che si aprono anche su più piani nell‟alta parete. 30 - Cfr. J. HOUEL, Voyage pittoresque des îles de Sicile, de Malte et de Lipari, Paris, 1782. 31 - Cfr. I. SCHUBRING, Umwanderung des megarischer Meerbusens, Berlino, 1866, e A. HOLM, Storia della Sicilia nell‟antichità, Palermo, 1896-1901. 32 - Plutarco, Vita di Timoleonte. 33 - Per Cozzo del Monaco, cfr. I. RUSSO, Cozzo del Monaco sul Mulinello tra leggenda e archeologia, NOTIZIARIO n. 23, ottobre 2000; per il Petraro, cfr. I. Russo, P. Gianino, R. Lanteri , cit.
34 - Cfr. V. STRAZZULLA, Storia di Trotilon, Xiphonia e altri siti presso Augusta di Sicilia, Palermo, 1899. 35 - Cfr. G. VOZA, cit. in nota (3). 36 - Per le emergenze neolitiche del Torracchio, cfr. I. RUSSO, P. GIANINO, R: LANTERI, cit. 37 - Per Mégara Hyblaea, cfr. P. ORSI, cit. in nota (13); cfr. inoltre I. Russo, cit. in nota (13). 38 - Leggiamo in un ms. inedito di ZUPPELLO SANTANGELO (1723-1812), Memorie storiche della città di Augusta. Vestigie di antichità trovate in Terravecchia, custodito in F. B. presso la Biblioteca Comunale di Augusta,: “ ...E sino nell‟anno 1765 nel cavar le pietre per le Reali Fortificazioni, si trovavano in detto luogo parecchi pozzi d‟acqua dolce, di quali non se ne aveva memoria, e nei massi di pietra molti cadaveri, coltelli di selce, antichi sepolcri, lagrimieri, vasi antichissimi di Samo...”. 39 - T. MARCON, Acquedotti di Augusta, NOTIZIARIO n. 15, settembre 1987. 40 - Dati tratti da: ITALCONSULT - Piano Regolatore dell‟area di sviluppo industriale della Sicilia orientale - zona sud. SIRACUSA e AUGUSTA. 41 - Cfr. G. BELOCH, La popolazione antica della Sicilia, Palermo, 1889. 42 - Cfr. H. MÜLLER-KARPE, Storia dell‟età della Pietra, Roma, 1992. 43 - Cfr. L. BERNABÒ BREA, La Sicilia prima dei Greci, Milano, 1958. 44- Cfr. S. SQUINABOL, Ritrovamenti preistorici alle isole Tremiti (Notizie preliminari), BPI, XXXIII, Roma, 1907, dove l‟A. nota “la mancanza assoluta di frecce”. 45 - Cfr. A. J. AMMERMAN, S. BONARDI, Ceramica stentinelliana di una struttura a Piana di Curinga (Catanzaro), Rivista di Scienze Preistoriche, XL, Firenze, 198586. 46 - Cfr. A. GOB, Chronologie du Mésolithique en Europe. Atlas des dates 14C, Liegi, 1990. 47 - Cfr. S. TUSA, La Sicilia nella Preistoria, Palermo, 1983; sulla grotta dell‟Uzzo cfr., inoltre, M. Piperno, S. Tusa, I. Valente, Campagne di scavo 1977 e 1978 alla grotta dell‟Uzzo (Trapani), Sicilia Archeologica, 42 XIII, Trapani, 1980.
Figure Se non diversamente indicato, le foto e i disegni sono di Italo Russo
Lentini, area ex Biviere: elemento di falce. A
B
C Campolato: Grotta: prospetto, pianta e sezione.
Campolato 1-1
Campolato Riparo sotto roccia 1-2
Campolato, Riparo sotto roccia 1-3: dai livelli neolitici
Campolato neolitico 1-4. Fittili.
Campolato neolitico: 1-5
Campolato Neolitico 1-6. Litica.
Campolato neolitico 1-7. Grotta: pianta e sezione.
Vallone Amara nord 2-1. Grotta: pianta e sezione.
Vallone Amara nord 2-2. Forme vascolari.
Vallone Amara nord 2-3: Punteruoli di osso e Punzoni di argilla.
V. Acquasanta 3-3: cuspide in diaspro sanguigno. Paleolitico superiore.
V. Acquasanta 3-4: litica paleolitica.
Punta Tonnara 4-1: industria neolitica.
Punta Tonnara 4-2: sistema di buche di capanna.
Punta Tonnara 4-3: litica tardo-pleistocenica.
Punta Izzo 5-1: litica dalla superficie. Essendo l‟area di Punta Izzo soggetta a vincolo militare, non sono state fatte ricerche che comportassero interventi sul terreno. Qui si ringrazia ancora l‟Autorità Militare, per aver permesso una vasta ricerca superficiale.
Cozzo Telegrafo 6-1: fittili nelitici.
Cozzo Telegrafo 6-2: litica neolitica a trancianti e microbulini.
Cozzo Telegrafo 6-4: litica ancora da definire, per il particolare debitage, luogo di ritrovamento e tipo di selce. Una prima analisi consiglia di non escludere l‟appartenenza ad una comunità tardo-aurignaziana.
Brucoli 7-1: litica e sistemi di buche per pali.
Brucoli 7-2: ossidiana.
Gisira 8-1: ceramica neolitica.
Gisira 8-2: Ceramica
Gisira 8-3: ansa a forma di naso umano.
Gisira 8-4: punzone di osso con incisioni.
Gisira 8-5: microliti (trancianti trasversali) con relativi microbulini.
Piano Camera-Precettora: 10-1: probabili materiali di riporto da sbancamenti.
Piano Camera-Precettora 1o-2: litica neolitica, da sbancamenti vicini.
Piano Camera –Precettora 10-3/4: industria siceliota. 1. Peso per telaio. 2. Frammento impugnatura di coltello (o pugnale) in bronzo decorata con tralci di vite.
Piano Camera-Precettora 10-5: fittili -sigillata e frammenti neolitici
Piano Camera- Precettora 10-6: percussori basaltici.
10-7: Monodonta turbinata; 2. Eriphia verrucosa.
Frandanisi 11-1: litica neolitica (9,16,19 e 20: ossidiana).
Frandanisi 11-2: Scheggia di ossidiana; 2.frammento di piccola ascia in pietra verde; 3. Cardium.
Frandanisi 11-3: della ceramica non disponiamo di figure, per cui ci limitiamo ad una veloce descrizione: CERAMICA prevalentemente spessa, lucidata: -lunghe incisioni lineari parallele, a coppie, triple, orizzontali o verticali, profonde, anche riempite con pasta bianca; -impressioni ungueali semplici o con trasporto laterale di argilla (numerose); -impressioni a pizzicato (numerose); -lunga serie di impressioni a brevi incisioni a tacche; -bugne semplici; -incisioni diagonali, che si partono da una incisione che circoscrive il bordo del vaso (ceramica fine); -serie di quadrati legati ai vertici disposti su più file parallele; -incisioni sottili multiple parallele; -un solo frammento a chevrons; -frammentini con pasta bianca; -un frammentino con nastro a zig zag tratteggiato. BORDI: sia spessi che sottili: -in prevalenza piatti; -arrotondati; -pochissimi gli elementi con bordo assottigliato.
Nota L‟insediamento fu identificato e segnalato da Giuseppe Cacciaguerra, CNR.
Torracchio 12-1: neolitico.
Mégara Iblea 13-1: litica.
Mégara Iblea 13-2: litica
Mégara Iblea 13-3: litica
Mégara Iblea 13-4: litica.
Mégara Iblea 13-5: basalti.
Cozzo del Monaco 14-1: A-B-C Sistemi di buche per pali; D: litica, con elementi basaltici e in ossidiana. La decorazione della ceramica, i cui disegni sono andati perduti, si richiama a quella definita a Mégara Iblea.