ATTI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA (SERIE III)
RENDICONTI VOLUME LXXXIX ANNO ACCADEMICO 2016-2017
TIPOGRAFIA VATICANA
2017
COMITATO DI REDAZIONE Marco Buonocore, Danilo Mazzoleni, Letizia Pani Ermini, Paolo Liverani, Federico Guidobaldi, Maria Pia Muzzioli, Gian Luca Gregori, Maria Letizia Lazzarini, Margherita Bonanno Aravantinos. Curatore delle stampe: Giuseppina Pisani Sartorio Le comunicazioni scientifiche sono sottoposte a peer-review.
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ISSN 1019-9500 © Città del Vaticano 2017 - Pontificia Accademia Romana di Archeologia Via della Conciliazione, 5 - 00193 - Roma - tel. 06 85358444
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INDICE
Elenco degli Accademici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III Consiglio Accademico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Verbali delle adunanze pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . .
XI
XIII
COMUNICAZIONI SCIENTIFICHE B. Frischer, Edmund Buchner’s Solarium Augusti: new observations and simpirical studies . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
Appendix 1: J. Fillwalk, Overview of the virtual meridian of Augustus and the celestial engine . . . . . . . . . . . . . . . . .
74
Appendix 2: P. A lbèri Auber, Un riscontro indipendente dei risultati ottenuti dalla simulazione Frischer-Fillwalk . . . . . . . . .
76
Appendix 3: D. Dearborn, The shadow of the obelisk . . . . . .
78
Appendix 4: M. K ajava, Chronology of the inscriptions on the meridian
80
Appendix 5: S. Floris, A new core through the meridian of Augustus
81
O. Dally, Manipolazione e restauro di statue nel tardo antico . . . . .
91
M.G. L auro, Nuovi scavi in Quirinale . . . . . . . . . . . . . . . 111 F. D’A ndria, “Hierapolis alma Philippum”. Nuovi scavi, ricerche e restauri nel Santuario dell’Apostolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 Appendice 1: M.P. Caggia, Gli impianti idrici della Chiesa di San Filippo 178 Appendice 2: F. Guizzi, Graffiti sulle pareti del vano di accesso al nartece
186
P.G. Guzzo, Sepolture devianti in pozzo a Vibo Valentia . . . . . . . 203 L. Spera, Disiecta membra della Porticus Pauli . . . . . . . . . . . .
215
Appendice: P. Giacovazzi, Catalogo delle tombe . . . . . . . . . . . 255 A. Mura Sommella, Un frontone di età arcaica per il tempio di Giove Capitolino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277
REND. DELLA PONT. ACCAD. ROM. D’ARCH. – VOL. LXXXIX
V. Fiocchi Nicolai, A. Vella, Nuove ricerche nella basilica di papa Marco sulla via Ardeatina: la tomba “dei gioielli” e il riuso di un acquedotto romano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299 M.D. Gentili, M.C. Somma, F.R. Stasolla, Ad locum optimum valdeque munitum: nuovi dati sulla fondazione di Leopoli-Cencelle . . . . . 367 I. Romeo, La fine del ritratto antico ad Ostia . . . . . . . . . . . .
407
R. Meneghini, Fori Imperiali e restauro. Gli interventi della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale nell’ultimo decennio (2006-2017) . . 429 B. Kuhn-Forte, Winckelmann a Roma. I primi anni, il concetto di libertà, la Biblioteca Vaticana e il Museo Profano . . . . . . . . . . . 463 P. Pensabene, J.Á. Domingo, P. Baldassarri, Foro Traiano: organizzazione del cantiere e approvvigionamento dei marmi alla luce dei recenti dati di Palazzo Valentini I. P. P ensabene, J.Á. Domingo, Il cantiere, l’approvvigionamento dei marmi, il trasporto e i costi dei grandi monoliti in granito del Foro e in sienite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 523 II. P. Baldassarri, Templum divi Traiani et divae Plotinae: nuovi dati dalle indagini archeologiche a Palazzo Valentini . . . . . . . . .
599
P. Z ander, Il restauro della tomba “degli Aelii” nella Necropoli di San Pietro alla luce dei recenti restauri . . . . . . . . . . . . . . . 649
G. Colonna, L’uso epigrafico dell’etrusco nella Roma dei Tarquini . . . 689 F. M arcattili, Inversione della norma ed integrazione sociale: per un’interpretazione dei templi a cella trasversale . . . . . . . . . 705 G. Tarasco, Due bronzetti di Ercole da Carlantino (FG) e la problematica della presenza sannitica nel suo territorio e nella Daunia . . . . . . 745
COMMEMORAZIONI I. Di Stefano M anzella, Silvio Panciera (1933-2016) . . . . . . . . .
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FORI IMPERIALI E RESTAURO. GLI INTERVENTI DELLA SOVRINTENDENZA AI BENI CULTURALI DI ROMA CAPITALE NELL’ULTIMO DECENNIO (2006-2017)* 1
DI
ROBERTO MENEGHINI
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Nell’ultimo decennio la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale ha realizzato il restauro del pavimento in opus sectile di età tetrarchica del portico meridionale del Foro di Cesare e degli intonaci con graffiti antichi della c.d. Basilica Argentaria insieme al restauro del pavimento marmoreo della piazza e dei portici del Foro di Augusto. Nel Templum Pacis è stata effettuata l’anastilosi di sette colonne del portico occidentale mentre, nel Foro di Traiano, si sta completando il progetto per l’anastilosi di parte della Basilica Ulpia ed è stato iniziato lo scavo del tratto settentrionale di via Alessandrina. Parole chiave: Fori Imperiali, restauro, scavo, anastilosi. Over the past decade, the Superintendence at BBCC of Roma Capitale has completed the restoration of the marble floor in opus sectile of the tetrarchic age of the southern portico of the Forum of Caesar and of the plasterwork with antique graffiti of the c.d. Basilica Argentaria together with the restoration of the marble floor of the square and the arcades of the Forum of Augustus. Templum Pacis has been subjected to anastilosis of seven columns of the western porch while in the Forum of Trajan completing the project for anastilosis of part of the Basilica Ulpia and the excavation of the northern section of the via Alessandrina has begun. Keywords: restoration, excavation, anastilosis, Forum of Caesar, Basilica Argentaria, Forum of Augustus, Templum Pacis, Forum of Trajan.
* Letta nell’Adunanza pubblica del 30 marzo 2017.
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Nell’ultimo decennio la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale, che con un apposito ufficio gestisce l’area archeologica dei Fori Imperiali, ha realizzato alcuni importanti restauri su settori degradati dei Fori di Cesare e di Augusto oltre a un intervento di anastilosi su di un tratto del Templum Pacis. Le opere sono state tutte realizzate con fondi della legge 396/90, per Roma Capitale e chi scrive ha normalmente svolto, nell’ambito dei gruppi di lavoro, il ruolo di responsabile unico del procedimento o di direttore scientifico.1 Foro di Cesare. Restauro del pavimento in opus sectile del portico meridionale 2 Durante gli scavi realizzati dalla Sovraintendenza Capitolina, negli anni 1998-2000, venne scoperto quasi completamente il portico meridionale della piazza del Foro di Cesare, visibile sino ad allora soltanto per una piccola porzione retrostante la Curia Senatus, messa in luce durante i lavori condotti da Alfonso Bartoli tra il 1934 e il 1938 per l’isolamento dell’edificio (fig. 1).3 Il portico fu profondamente modificato dalla ricostruzione seguita all’incendio del 283 d.C. durante la quale venne eliminata la fila di colonne centrale (si trattava, in origine, di una porticus duplex) e il vasto ambiente mono-nave così ottenuto fu pavimentato con un ricco tappeto in opus sectile di marmi colorati già preliminarmente presentato nel convegno AISCOM di Lecce del 2004 da Massimo Vitti.4 Per le lastre colorate del pavimento furono usati solo il granito grigio e il cipollino (il pavonazzetto solo per la lastra centrale) oltre al giallo antico per le bordure e vari tipi di bianco per il fondo mentre il porfido appare singolarmente assente (figg. 2-3). 1 Questo saggio costituisce la versione ampliata di una comunicazione presentata alla Pontificia Accademia di Archeologia il 30 marzo 2017 su richiesta dell’amico Paolo Liverani. Si deve ricordare che gli interventi descritti in questo saggio si sono svolti durante i mandati di tre Sovrintendenti che si sono avvicendati alla guida della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale: Eugenio La Rocca (2006-2008), Umberto Broccoli (2008-2012) e Claudio Parisi Presicce (2012-2017). 2 Il testo che segue è in parte tratto dalla comunicazione di: C. Bernardini, R. Meneghini, B. Pinna Caboni, Foro di Cesare. Restauro del pavimento in opus sectile tardoantico del portico meridionale, presentata al XVII Colloquio AISCOM, svoltosi a Teramo il 10-12, marzo 2011 e rimasta inedita. Molte note di carattere tecnico sono inoltre ricavate dalla relazione consegnata da Cecilia Bernardini alla Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale al termine dei lavori. 3 A. Bartoli, Curia Senatus. Lo scavo e il restauro, Roma 1963, p. 63 e tavv. LXI, 2 e LXXXI; E. La Rocca, La nuova immagine dei Fori Imperiali. Appunti in margine agli scavi, in E. La Rocca, S. Rizzo, R. Meneghini, R. Santangeli Valenzani, Fori Imperiali. Relazione preliminare degli scavi eseguiti in occasione del Grande Giubileo del Duemila, in RM CVIII, 2001, pp. 171-213, in part. p. 180. 4 M. Vitti, Un pavimento in opus sectile nel Foro di Cesare, in C. Angelelli (cur.), Atti del X Colloquio AISCOM (Lecce, 18-21 febbraio 2004), Tivoli 2005, pp. 693-706; vedi anche C.M. Amici, Il Foro di Cesare, Firenze 1991, pp. 143-157.
M. MENEGHINI – FORI IMPERIALI E RESTAURO NELL’ULTIMO DECENNIO (2006-2017)
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Fig. 1. Foro di Cesare. Aree evidenziate in rosso: in basso: pavimento in opus sectile del portico meridionale; in alto: Basilica Argentaria, intonaci con graffiti antichi (dis. d. a.)
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Fig. 2. Foro di Cesare. Ripresa aero-fotografica del pavimento in opus sectile del portico meridionale dopo il restauro (foto M. Letizia)
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Fig. 3. Foro di Cesare. Rilievo del pavimento in opus sectile del portico meridionale. A sin.: stato attuale; a d.: ricostruzione (dis. R. Meneghini, B. Pinna Caboni)
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Nel 2006, visto lo stato di grave degrado in cui versavano i marmi, fu deciso di affidare ai restauratori della società Zetema, guidati da Sabina Marchi, un primo intervento che ha permesso di salvaguardare la parte centrale del pavimento di mq 28 mentre, nel 2010, è stato realizzato un secondo intervento di restauro sulla parte rimanente, pari a mq 68, dalla ditta Cecilia Bernardini.5 L’analisi muraria delle strutture relative alla ricostruzione tardoantica, realizzata da Elisabetta Bianchi, ha consentito di datare con maggior precisione la ricostruzione del portico meridionale del Foro (e quindi del pavimento stesso che risulta, a tutti gli effetti, in fase con le mura perimetrali) agli anni di regno di Massenzio.6 Questa precisazione cronologica, che trova peraltro riscontro nel confronto già proposto da Vitti con il pavimento della Basilica Nova, permette di inserire l’intervento all’interno di una politica di recupero dei valori tradizionali e degli edifici classici di Roma nel quadro dell’ultimo progetto di valorizzazione della città condotto, appunto, da Massenzio e proporzionato al suo ruolo storico di capitale dell’impero. I marmi e le malte della pavimentazione si presentavano in cattivo stato di conservazione a causa della crescita di materiale biologico, dei depositi di particolato e terriccio nelle zone non planari, dell’esposizione all’aperto del manufatto e della qualità delle pietre inadatta agli esterni. La prima fase dell’intervento è consistita nella pulitura superficiale dei resti pavimentali e della loro preparazione seguita da un trattamento biocida. Il risarcimento dei difetti di adesione tra le lastre e l’allettamento originale è stato realizzato mediante infiltrazioni con malte idrauliche sia per iniezioni attraverso le fratturazioni della pietra sia, nei casi in cui le lastre erano completamente distaccate dall’allettamento o presentavano difetti di planarità, rimuovendo la lastra e ricostituendo il piano attraverso un nuovo allettamento (operazione eseguita su circa il 25% della pavimentazione).7 Non è stato possibile eseguire 5 In entrambi i casi il progetto di intervento è stato elaborato dall’arch. Virginia Rossini della Sovrintendenza Capitolina. 6 E. Bianchi, L’opus latericium nel Foro di Cesare. Nuovi dati e osservazioni per le fasi costruttive del II e IV secolo d.C., in ScAnt, XVI, 2010, pp. 379-402. 7 Per il risarcimento dei difetti di adesione delle lastre al supporto in malta è stato eseguito lo smontaggio delle lastre che mostrano difetti di planarità mediante sollevamento meccanico con uso di strumenti quali zeppe, piedi di porco, etc. a seconda delle necessità. Rimozione del terriccio accumulato sotto il frammento e consolidamento del calcestruzzo originale di allettamento a pennello con Primal B60 al 5% in acqua. Costituzione di un massetto in malta idraulica eventualmente con elementi di sostegno per la lastra (foratini) composto da: 1° strato: calce Saint Astier NHL 3,5, cocciopesto rosso 10/30, sabbia di fiume, pozzolana nera in proporzioni 2:2:1:1; 2° strato: calce Saint Astier NHL 3,5, sabbia di fiume setacciata in proporzioni 1:2; 3° strato: calce Saint Astier NHL 2, pozzolana superventilata, Ledan TA1 in proporzioni 1:1:1. Ricollocazione lastre con l’uso di martelli in gomma per favorire la buona adesione al nuovo allettamento. Ove le lastre non siano state smontate si è proceduto al consolidamento attraverso infiltrazione di adesivi: 1ª fase infiltrazione di Primal B60 al 20% in acqua per bagnare e stabilizzare il terriccio sotto la lastra; 2ª fase infiltrazioni con Ledan TA1 fino a rifiuto. Laddove la cavità fosse di grandi dimensioni si è proceduto con infiltrazioni di una malta di calce Saint Astier NHL 3,5 e sabbia di fiume setacciata in proporzioni 1:2.
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questa operazione in tutti i casi che lo necessitavano: in particolare la condizione delle lastre di cipollino non ne consentiva lo smontaggio. Durante questa fase di consolidamento sono stati ricollocati i frammenti erratici recuperati durante la pulizia dell’area. Questa operazione ha privilegiato i frammenti che presentavano attacchi compatibili con le lastre in situ ma si è ritenuto opportuno ricollocare anche esemplari che non presentavano attacchi certi al fine di evitarne la dispersione.8 Tale operazione è stata condotta tenendo conto della qualità della pietra e dello spessore della lastra. Alcuni frammenti fratturati sono stati incollati con una resina epossidica bicomponente previa protezione dei bordi con superficie di sacrificio di resina acrilica. Dopo il consolidamento è stato eseguito il bloccaggio dei bordi delle lastre con un cordolo di malta idraulica con cocciopesto e la chiusura delle grandi lacune con la medesima malta eseguita a livello per evitare l’accumulo di acqua e terriccio.9 La stuccatura di lacune, fessurazioni, scagliature, microfessurazioni è stata eseguita con una malta idraulica e polveri di marmo idonee per granulometria e colorazione.10 Al termine dei lavori, una rilettura analitica dell’insieme dei resti, pur confermando sostanzialmente la precedente proposta ricostruttiva di uno schema pavimentale a grande modulo con una tessitura rettangolare reticolare in marmi bianchi e colorati, ha stimolato alcune riflessioni. 8 I piccoli frammenti che lo necessitavano sono stati incollati con colla UHU Plus bicomponente sia 5 minuti che a 12 ore previa protezione dei bordi con Paraloid B72 al 3% in acetone. Le scaglie di piccola dimensione sono state fatte riaderire con infiltrazioni di Primal B60 al 10% in acqua. Successivamente sono state stuccate con una malta idraulica a base di calce idraulica Saint Astier NHL 2 e polveri di marmo setacciate con setaccio 180 mesh nero ebano, giallo mori, bianco Carrara, verde Alpi in proporzioni 1:2 9 Il cordolo di contenimento delle lastre è stato eseguito in due fasi per permettere la corretta essiccazione delle malte. Nell’esecuzione del cordolo si è tenuto conto della pendenza (minimo 3‰) verso l’esterno onde evitare il deposito di acqua e terriccio sulle superfici. 1° strato: calce idraulica Saint Astier NHL 3,5, pozzolana nera, cocciopesto 10/30, sabbia di fiume in proporzioni 2:2:1:1. Il primo strato del cordolo è stato armato con barrette di vetroresina Ø 0,4 o 0,3 a rinforzare la tenuta dei bordi. La stessa malta è stata utilizzata per eseguire il primo strato di massetto a colmare le grandi lacune all’interno della pavimentazione. 2° strato: calce idraulica Saint Astier NHL 3,5, pozzolana rossa, pozzolana nera, sabbia, pozzolana superventilata in proporzioni 2,5:2:2:1:1. Le grandi lacune sono state colmate a livello, al di sopra del massetto eseguito durante l’esecuzione del primo strato di cordolo, con una malta idraulica composta di calce idraulica Saint Astier NHL 2, pozzolana rossa, pozzolana nera, cocciopesto 3/10 in proporzioni 2:1:1:1. 10 Nell’esecuzione della stuccatura si è tenuto conto di una pendenza verso l’esterno per evitare il ristagno delle acque meteoriche sulle superfici. Le fessurazioni sono state colmate a livello con una malta idraulica di calce idraulica Saint Astier e polveri di marmo setacciate con setaccio 180 mesh nero ebano, giallo mori, bianco Carrara, verde Alpi, a seconda delle necessità, in proporzioni 1:2
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Dal punto di vista più tecnico lo stato di fatto ha permesso di evidenziare alcune anomalie compositive che non sembrano potersi interpretare come imprecisioni e che riguardano essenzialmente varianti nella regolarità della griglia e nell’allineamento delle lastre (fig. 3). Ad esempio è significativo il dettaglio del riquadro in granito entro una cornice di giallo che appare accostato direttamente al tappeto di grigio come è ipotizzabile anche per l’attigua lastra di bianco, egualmente bordata di giallo. Risulta così un’interruzione della griglia nella fascia mediana che differenzia visibilmente lo schema in questo settore specie rispetto alle fasce laterali dove i listelli verticali risultano fuori asse. Anche il filo delle lastre in cipollino lungo il margine del muro meridionale, rientrante rispetto a quello più esterno delle altre in granito, troverà forse una spiegazione con l’approfondimento degli studi sulle murature e sugli accessi qui presenti. In realtà dunque lo schema generale del pavimento appare più articolato e suscettibile di diverse letture: in senso longitudinale, per esempio, emerge l’originalità della sequenza mediana rispetto a quelle laterali che invece si somigliano e appaiono speculari. La sola fascia mediana infatti si caratterizza per l’interruzione della griglia, per la presenza delle cornici in giallo antico, anche nel riquadro centrale in pavonazzetto, e infine per la presenza delle rotae in granito grigio. Appare proponibile anche una lettura alternativa dello schema compositivo in gruppi di tre moduli, divisi in un nucleo centrale, più articolato, ricco e nettamente differenziato rispetto agli schemi che compongono i moduli laterali caratterizzati da una bicromia più rigida tra il bianco dei listelli e il grigio del granito dei tappeti. Sembra quasi che questo pavimento offra un accostamento originale di modelli diversi, piuttosto che uno schema ripetitivo composto dalla regolare reiterazione di un unico modello, serrato in una rigida griglia geometrica come avviene ad esempio nei pavimenti della Basilica Nova e della domus sopra le Sette Sale. Si sono notate anche altre anomalie compositive di tipo metrico e cromatico che, visivamente, non dovevano essere apprezzabili a fronte delle notevoli dimensioni dell’ambiente. Sono indicative in tal senso, sul limite occidentale, le diverse dimensioni dei tre riquadri così come, sul lato opposto, la lastra in cipollino è diversa da quella speculare in marmo bianco. Forse a restauri successivi è poi attribuibile la presenza del granito invece della fascia bianca sopra il riquadro nell’angolo meridionale del pavimento nonché di listelli in cipollino come parte della fascia mediana.
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Dal punto di vista architettonico, colpisce la raffinata corrispondenza tra i marmi delle colonne, alcune delle quali sono state trovate in posizione di crollo, e quelli usati nei tappeti pavimentali e, in effetti, al fusto in cipollino corrisponde per simmetria il tappeto in cipollino mentre ai tre fusti in granito grigio, nella metà più orientale del portico, corrispondono due tappeti di granito grigio. Il restauro ha confermato che le lastre sono tutte di riuso, come dimostrano i diversi spessori, le rilavorazioni dei bordi e la picchiettatura delle superfici oltre all’assemblaggio di pezzature diverse per raggiungere la metratura richiesta dal tappeto e dalle bordure. Il reimpiego pone senz’altro un quesito sulla provenienza dei marmi ma, in questa sede, ci si limita a citare i significativi esempi di lastre che, sulla faccia inferiore recano incorniciature modanate a dimostrazione dell’utilizzo parietale del precedente impiego (fig. 4).
Fig. 4. Foro di Cesare. Restauro del pavimento in opus sectile del portico meridionale. Lastre pavimentali con resti di incorniciature modanate sulla faccia inferiore (foto C. Bernardini)
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Una ipotesi suggestiva, ma tutta da dimostrare, è che il materiale possa provenire dal precedente rivestimento delle pareti dell’ambiente stesso. Infine anche la rota superstite è stata realizzata con pezzi di granito di riuso ed è notevole l’individuazione, al centro del sottostante strato di allettamento, del foro da compasso per la realizzazione del profilo del cerchio sulla malta fresca. La percentuale del pavimento andata perduta è purtroppo assai alta, poco più del 75% su una superficie complessiva originaria di mq 535, considerando anche i ritrovamenti del Bartoli. Il pavimento sembra rispondere con evidenza a criteri di precisa progettualità e si inserisce in una superficie rettangolare molto allungata, poco più di 11,5 x 46,5 metri, che occupa il lato breve meridionale solo fino all’allineamento con i portici laterali. Qualunque sia stata la destinazione di questo vastissimo ambiente a navata unica, forse sede dell’Atrium Libertatis tardo antico,11 appare singolare la soluzione di continuità tra il nostro opus sectile e il pavimento ancora visibile sul retro della Curia che costituisce la prosecuzione di quello cesariano-augusteo in marmo bianco del portico dove si è notata una originale progressione dimensionale delle lastre rettangolari dal centro verso i lati. Recenti scavi per l’inserimento di un ascensore per disabili hanno permesso di scoprire un lembo dell’analoga pavimentazione del portico opposto, confermandone la trama. Foro
di
Cesare. Restauro
silica
Argentaria
degli intonaci con graffiti antichi della c.d.
Ba-
Nell’estate del 2013 è stato realizzato un intervento urgente di restauro sugli intonaci, che ancora rivestono in parte le prime quattro campate della parete perimetrale occidentale della c.d. Basilica Argentaria, costruita in età traianea, ormai quasi del tutto distaccati a causa di forti infiltrazioni di acqua piovana12 (fig. 1). La superficie intonacata, scoperta con il resto di questo settore del Foro nel 1932, risultò letteralmente ricoperta di graffiti antichi, studiati e pubblicati da Matteo Della Corte, nel 1933.13 A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Roma-Bari 1999, pp. 175-217. L’intervento è stato eseguito dalla ditta Carlo Usai su progetto dell’arch. Marisa Fochetti della soc. Zetema. 13 M. Della Corte, Le iscrizioni graffite della “Basilica degli Argentari” sul Foro di Giulio Cesare, in BCom LXI, 1933, pp. 111-130. 11 12
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Nel corso dei decenni successivi una serie di infiltrazioni piovane ha provocato il progressivo degrado degli intonaci che hanno iniziato a gonfiarsi e a distaccarsi dalla parete. Per sanare la situazione si è realizzato un intervento di diserbo e disinfestazione in parete seguito dalla rimozione delle stuccature dei precedenti interventi di restauro e dal consolidamento degli intonaci stessi con ripetute spennellature di soluzione di urea e idrossido di calcio in polvere in acqua deionizzata. L’intonaco è stato poi fatto ri-aderire alla parete con iniezioni di malta premiscelata e diluita in acqua stuccando contestualmente i bordi del rivestimento per evitare la fuoriuscita del preparato (fig. 5). Infine la superficie è stata ripulita con spugnature di acqua deionizzata restituendo alla parete e ai graffiti incisi su di essa buona parte della leggibilità originaria. In corso d’opera è stato possibile osservare che l’intonaco con i graffiti è relativo a una fase successiva alla costruzione dell’edificio (ma precedente ai restauri di età tetrarchica), quando fu creato un piano ammezzato nella navata interna della c.d. Basilica, poggiato su di una serie di volte a crociera impostate su nuovi pilastri addossati alla parete e ai pilastri traianei contrapposti. La cronologia di questo intervento architettonico sembra collocabile, anche per le caratteristiche delle murature, tra la fine del II e la metà del III sec. d.C. abbassando dunque anche la cronologia delle iscrizioni graffite che il Della Corte datava in età traianea (fig. 6).
Fig. 5. Foro di Cesare. Basilica Argentaria. Intonaci con graffiti antichi. Mappa degli interventi eseguiti durante il restauro del 2013 (dis. C. Compostella, C. Usai)
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Fig. 6. Foro di Cesare. Settore settentrionale del Foro e Basilica Argentaria. Fasi costruttive delle strutture rinvenute nel 1932 (dis. d. a.)
Foro
di
Augusto. Restauro
del pavimento marmoreo della piazza e dei portici
Nel 2016 si è concluso un intervento di restauro realizzato sulla pavimentazione marmorea del Foro di Augusto.14 L’intervento, iniziato nel 2012, è stato finalizzato a sanare il grave stato di degrado delle lastre marmoree colorate dei portici, staccate e ricollocate su supporti di cemento armato già poco dopo la scoperta da parte del Governatorato, e di quelle in marmo bianco lunense della piazza conservate per larga parte soprattutto nello spazio tra il tempio e il portico N15 (figg. 7-8). 14 Il restauro è stato realizzato dalla soc. Re.Co. anche stavolta su progetto dell’arch. Marisa Fochetti della soc. Zetema. 15 L’intervento non ha coinvolto la pavimentazione marmorea policroma della c.d. “Aula del Colosso” che sembra trovarsi in buono stato di conservazione.
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Fig. 7. Foro di Augusto. Planimetria generale (I. Gismondi)
Fig. 8. Foro di Augusto. Pavimentazione in marmo bianco conservata fra il tempio di Marte Ultore e il portico settentrionale della piazza (foto d. a.)
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La pavimentazione si presentava in cattivo stato di conservazione, con tutta la tipologia del degrado del materiale lapideo esposto all’aperto: dalla diffusa presenza di piante infestanti e di un notevole attacco biologico, tale da alterare cromaticamente l’aspetto dei marmi, ai depositi di incrostazioni (particellato atmosferico più o meno aderente alle superfici), oltre a una diffusa e totale alterazione delle superfici marmoree che si presentavano porose e in parte decoese, grazie alle condizioni ambientali esterne. Inoltre vi era una notevole presenza di terra compattata sopra alle lastre e all’interno degli avvallamenti formatisi tra di esse. In generale, inoltre, lo stato delle singole lastre presentava innumerevoli fratture e scagliature (queste ultime in particolare nel giallo antico) Le lastre di marmo colorato (africano, bardiglio e giallo antico) sono in gran parte frammentarie e di dimensioni variabili. Esse si trovavano allettate su supporti in cemento armato con tondini di ferro a seguito dell’intervento eseguito negli anni ’30 per la sistemazione dell’area. Invece le lastre di marmo bianco, tuttora in situ nell’allettamento originario, presentavano numerose disomogeneità nel piano, con alcuni elementi disallineati e con dislivelli notevoli, che favorivano il ristagno dell’acqua con conseguente proliferazione di microorganismi. Le lastre e i frammenti presentavano le tracce degli interventi di restauro succedutisi in più epoche. In particolar modo, oltre all’allettamento di cui si è già detto, i frammenti apparivano circondati e ‘contenuti’ da grandi stuccature in malta cementizia, che formavano una sorta di gradino in discesa tutto attorno. Un discorso a parte riguarda i tratti pavimentali realizzati in graniglia colorata, inserti che si possono reputare come delle vere e proprie stuccature di raccordo e integrazione. Questi, poiché sono in perfetto stato di conservazione e non solo non disturbano ma forniscono un eccellente supporto alle lastre originarie, sono stati lasciati in situ. Diversamente, invece, è risultata dannosa la presenza di innumerevoli stuccature di cemento, che sono state a suo tempo realizzate tra i frammenti delle lastre marmoree e che sono state rimosse. L’intervento ha permesso di ripulire e rivedere, oltre che documentare ex novo, anche i resti della fondazione e di qualche lacerto di spiccato del pilone settentrionale dell’arco di Druso, eretto da Tiberio nel 19 d.C., dove sono ancora al loro posto alcune delle grappe originarie di ferro, affogate nel piombo, che tenevano fermi i blocchi di travertino della fondazione (figg. 9-10).
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Fig. 9. Foro di Augusto. Resti del pilone settentrionale dell’arco di Druso (foto d. a.)
Fig. 10. Foro di Augusto. Grappe di ferro, affogate nel piombo, ancora in situ nella fondazione del pilone settentrionale dell’arco di Druso (foto d. a.)
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Templum Pacis. Anastilosi
di sette colonne del portico occidentale
Durante le indagini realizzate dalla Sovrintendenza Capitolina, nel 19982000, è stato in parte scavato il settore occidentale del Templum Pacis con una porzione di una trentina di metri del corrispondente portico16 (fig. 11).
Fig. 11. Templum Pacis. Planimetria ricostruttiva del monumento con i settori rimessi in luce tra il 1867 e il 2011 (dis. d. a.)
Quest’ultimo era sostenuto da colonne di granito rosa di Assuan i cui spezzoni sono stati ritrovati in gran numero nello scavo e che sono attribuite alla ricostruzione del monumento promossa da Settimio Severo dopo l’incendio che nel 192 d.C. lo danneggiò pesantemente. 16 I risultati degli scavi nel monumento sono raccolti in AA. VV., Il templum Pacis. Un centro di cultura nella Roma imperiale, in R. Meneghini, R. Rea (cur.), La biblioteca infinita. I luoghi del sapere nel mondo antico, Milano 2014, pp. 241-342.
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È bene sgombrare subito il campo dagli equivoci che hanno generato le polemiche legate alla presunta distruzione delle basi delle colonne asserita in modo inesatto e strumentalmente diffusa a mezzo stampa durante i lavori.17 La fondazione continua del colonnato è stata infatti ritrovata, negli scavi del 1998, totalmente svuotata a causa delle ruberie medievali e nessun frammento certo di base marmorea è giunto sino a noi (fig. 12). Rimanevano unicamente due blocchi di peperino che in origine riempivano gli spazi tra le sottobasi in travertino nella fossa di fondazione oltre al cordolo continuo in calcestruzzo della fondazione stessa sul fondo della fossa svuotata.
Fig. 12. Templum Pacis. Sezione stratigrafica (sopra) e veduta generale (sotto) del tratto terminale del portico occidentale scavato nel 1998-2000. In entrambe le immagini si nota la fossa di fondazione del colonnato del portico ritrovata svuotata delle strutture di base e sotto base dei fusti (dis. Archivio Uff. Fori Imperiali. Foto d. a.) 17 Ci si riferisce ad es. agli articoli di P. Fallai a p. 2 della Cronaca di Roma de “Il Corriere della Sera” del 7.4.2015, di C.A. Bucci e T. Montanari a p. 21 de “La Repubblica” del 7.7.2015, di A.C. Quintavalle a p. 33 de “Il Corriere della Sera” dell’8.7.2015 e di G.A. Stella sul “Corriere della Sera” del 17 e 18.8.2015 a p. 21. La polemica portò a una interrogazione firmata da sette parlamentari del Movimento 5 Stelle al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (n. 3-02036, pubblicata il 7.7.2015 nella seduta n. 478). I parlamentari inoltrarono anche un esposto alla Procura di Roma che non ebbe, naturalmente, alcun esito.
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La Direzione dei Lavori di allora scelse, per una maggiore comprensione dei resti, di posizionare alcuni parallelepipedi in cemento armato in corrispondenza della dislocazione originaria delle basi ricostruita dopo un accurato rilievo (fig. 13).
Fig. 13. Templum Pacis. Veduta generale dell’area scavata nel 1998-2000 dopo la fine delle indagini. Si notano i plinti delle basi delle colonne del portico ricostruiti in cemento armato (foto d. a.)
Anche in questo caso va chiarito però che i basamenti in cemento non furono poggiati direttamente sulla fondazione antica ma inseriti all’interno di alvei in tufelli che fungevano da ‘distanziatori’ fra i basamenti stessi e la superficie del cordolo in cementizio e garantivano la reversibilità dell’intervento. Vista la notevole disponibilità di materiale relativo alle colonne, pari a circa il 70% del totale, fu deciso di procedere alla anastilosi di alcune di esse per sgombrare l’area dai trentacinque spezzoni di fusti ivi accatastati e per restituire, almeno in parte, l’originale senso spaziale dell’architettura del portico. Il progetto, realizzato dall’ing. Mario Bellini, è stato avviato nel marzo del 2015 dopo le necessarie procedure di aggiudicazione18 ed è stato condiviso con 18 La gara di appalto è stata vinta dall’impresa Blasi Costruzioni srl. La Direzione Scientifica dei lavori è stata affidata alle colleghe Beatrice Pinna Caboni e Antonella Corsaro.
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la Soprintendenza di Stato.19 Esso proponeva l’anastilosi di sette colonne oltre alla ricomposizione di una sezione dell’ordine architettonico sino al tetto, con l’inserimento di elementi originali della copertura costituiti da tegole e coppi di marmo bianco ritrovati negli scavi (fig. 14). Il progetto di anastilosi riprendeva stilemi classici con la ricomposizione materica e cromatica delle lacune e inseriva nelle parti di ricostruzione alcuni elementi tecnologici atti a garantirne la stabilità anche in caso di eventi sismici secondo le normative vigenti e come si è poi effettivamente verificato con le forti scosse dell’agosto e dell’ottobre del 2016 con epicentro ad Amatrice. Gli spezzoni da ricomporre sono stati in parte individuati su base archeologica, analizzando le sequenze di crollo dei fusti e la loro posizione originaria nella documentazione di scavo oltre che sulla base di indagini petrografiche20 e del loro rilievo geometrico che ha permesso di documentare tutto il materiale disponibile mediante tecnologia laser scanner con la possibilità di ricreare copie tridimensionali, in scala ridotta, di alcuni degli elementi più problematici.21 Il rilievo ha individuato alcune anomalie nella lavorazione dei fusti, come l’ovalizzazione della sezione di alcuni di essi o un profilo del fusto talvolta impreciso con presenza quasi di una doppia èntasis. Si è tentato di spiegare queste anomalie con degli accorgimenti ottici ma tutte le verifiche effettuate sul monumento e sulla carta sembrano indicare che esse sono semplicemente frutto di una lavorazione poco curata. Tale caratteristica sembra quasi anticipare temi più tardi di almeno un secolo, legati all’architettura tardoantica le cui realizzazioni prevedono spesso la ‘disinvolta’ messa in opera di materiali di recupero o dalla lavorazione incompleta o approssimativa. La riduzione di capacità portante dei fusti frammentati imponeva la compensazione mediante un tirante metallico verticale interno di ridotte dimensioni, inserito carotando per 7 cm di diametro gli spezzoni lungo l’asse originario, che tenesse uniti questi ultimi anche durante un forte terremoto. La perforazione degli spezzoni in granito ha anche permesso una migliore valutazione dello stato di conservazione del materiale, in tutti i casi mediamente cattivo, e la conseguente possibilità di un consolidamento capillare con l’irrorazione del consolidante a pressione, anche dall’interno (fig. 15). 19 Colgo l’occasione per ringraziare i tre soprintendenti: Angelo Bottini, Maria Rosaria Barbera e Francesco Prosperetti con i quali è stato un piacere confrontarsi. 20 Le indagini petrografiche sono state eseguite dall’Impresa Perfor srl e hanno permesso di chiarire che le colonne del portico, pur provenendo tutte da Assuan, afferiscono a due gruppi diversi: una varietà di granito rossa a grana media e una da rosa-rossastra a rossastra a grana grossa. 21 I rilievi sono stati realizzati dalla soc. Azimut srl, soprattutto nella persona del dott. Luca Fabiani, che ringrazio per la sua disponibilità a operare spesso anche fuori dai limiti contrattuali dimostrando un profondo interesse scientifico verso l’intera operazione.
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Fig. 14. Templum Pacis. Una delle tavole del progetto di M. Bellini per l’anastilosi di sette colonne del tratto terminale del portico occidentale (ottobre 2014) (M. Bellini, Archivio Ufficio Fori Imperiali)
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Fig. 15. Templum Pacis. Anastilosi di sette colonne del tratto terminale del portico occidentale. Irrorazione di consolidante a pressione all’interno di uno degli spezzoni in granito rosa di Assuan destinato a essere rimontato (foto M. Fochetti)
Nelle basi delle colonne, all’interno del volume da riproporre, sono stati inseriti isolatori per ridurre, in caso di sisma, le forze agenti orizzontalmente sulla colonna. Per questo sono state abbassate di livello le basi in cemento armato realizzate nel 1998-2000 e ad esse sono stati ancorati gli isolatori saggiando con ciò la reversibilità del cemento che è risultata notevolmente elevata (fig. 16). All’interno degli isolatori è inserito ovviamente un sistema di ricentraggio automatico post-sisma ed essi sono caratterizzati dalla presenza di una superficie di scorrimento posta tra la base della colonna e la fondazione che non altera la percezione di insieme né quella di dettaglio dell’architettura. Gli isolatori sono connessi ai dadi di base che a loro volta insistono sulla fondazione originale che continua ad assicurare la stabilità globale del sistema. A tal proposito sono state realizzate indagini geognostiche per determinare, attraverso l’esecuzione di carotaggi, la profondità della fondazione in opus caementicium del colonnato che è risultata di ben 13 metri.22 22 Anche i carotaggi sono stati eseguiti dall’Impresa Perfor srl. La profondità della fondazione appare veramente notevole ove la si confronti con le fondazioni delle “Colonnacce” nel Foro di Nerva e del muro perimetrale settentrionale della Basilica Ulpia che, indagati con lo stesso metodo da Roma Metropolitane per la realizzazione del tracciato della linea C della metropolitana di Roma, hanno mostrato una profondità compresa tra i cinque e i sei metri.
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Fig. 16. Templum Pacis. Anastilosi di sette colonne del tratto terminale del portico occidentale. Montaggio di un isolatore sismico (foto M. Fochetti)
Questo dato permette di ipotizzare che già nell’età flavia fossero note le nefaste proprietà di conduzione delle onde sismiche e di incoerenza statica tipiche dei letti degli affluenti e del paleo-Tevere, colmi di strati sovrapposti di detriti melmosi sui quali poteva essere molto pericoloso fondare un grande edificio.23 Nel sottosuolo del settore settentrionale del Foro della Pace e sotto il Foro di Nerva corre, infatti, il letto di un antico affluente del Tevere, talvolta identificato con lo Spinon, che fu forse imbrigliato nella Cloaca Maxima di età regia.24 E. Boschi, A. Caserta, C. Conti, M. Di Bona, R. Funiciello, L. Malagnini, F. Marra, G. Martines, A. Rovelli and S. Salvi, Resonance of Subsurface Sediments: an Unforseen Complication for Designers of Roman Colums, in Bulletin of the Seismological Society of America LXXXV, 1995, I, pp. 320-324. 24 Vedi L. Lombardi, Geologia, idrogeologia e idrologia del bacino dello Spinon, in E. Bianchi (cur.), La Cloaca Maxima e i sistemi fognari di Roma dall’antichità ad oggi, Roma 2014, pp. 69-72. 23
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L’eccezionale profondità raggiunta dalla fondazione del portico non bastò però a metterlo al riparo dai cedimenti che si verificarono comunque e in un periodo non precisabile e che fecero inclinare di alcune decine di centimetri verso nord il primo tratto del portico, per una lunghezza di circa trenta metri. Per compensare gli effetti di questo cedimento rispetto alla anastilosi dei sette fusti in granito di Assuan e non essendo possibile, per ovvie ragioni, rialzare l’intero portico, è stata progressivamente ma anche impercettibilmente aumentata l’altezza delle colonne di una trentina di cm tra la prima a sud e la settima a nord. Tutti i materiali impiegati per i componenti strutturali che formano i riempimenti delle lacune sono inossidabili per garantire la massima durabilità e le malte dei ripristini realizzate a imitazione del travertino per il blocco fondale, del marmo lunense per le basi e del granito di Assuan per i fusti delle colonne, sono state formate con calce idraulica naturale con additivi adesivizzanti. Vi era, senza dubbio, un consistente campionario di integrazioni superficiali negli episodi di anastilosi dell’area dei Fori a cui riferirsi in questo caso come: le colonne del Tempio di Venere Genitrice, le colonne del Foro di Traiano, quelle del Foro Romano e quelle del Tempio di Venere e Roma, rialzate perlopiù dal Governatorato di Roma negli anni Trenta dello scorso secolo. La maggior parte di esse recava integrazioni in mattoncini rifiniti a gradina inserite però nelle lacune di marmi chiari come il lunense, il pavonazzetto e il cipollino. Stante la tonalità piuttosto scura del granito di Assuan, contro la quale i mattoncini sarebbero apparsi ben più che evidenti, si decise di rapportarsi alla tecnica adottata nella anastilosi delle colonne del Tempio di Venere e Roma, dove le integrazioni del granito grigio furono realizzate in cemento,25 utilizzando malte premiscelate, applicate con un leggero sottosquadro, che si sarebbero distinte dal materiale originale anche per la diversa granulometria. Ad avvenuta maturazione delle malte è stato effettuato l’adeguamento cromatico delle superfici. In alcuni punti di possibile criticità sono state applicate delle fasce al titanio allo scopo di assicurare la stabilità delle colonne e, una volta completata l’operazione di rialzamento dei sette fusti questi sono stati tensionati e fissati, alla sommità, da un dado filettato, protetto da una piastra di piombo (fig. 17).
25 Il metodo utilizzato nel Tempio di Venere e Roma è considerato opportuno anche nella manualistica ‘storica’ del restauro, vedi ad es. L. Crema, Monumenti e restauro, Milano 1959, p. 90 e tav. XLV.
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Fig. 17. Templum Pacis. Anastilosi di sette colonne del tratto terminale del portico occidentale. Completamento del montaggio di una colonna e posa in opera delle fasce al titanio (foto M. Fochetti)
Infine gli isolatori sono stati coperti da placche rimovibili per rendere l’idea del volume del plinto di base e per l’ispezione dei meccanismi stessi. Terminata l’anastilosi dei fusti l’opera ha ricevuto, suo malgrado, un collaudo ‘naturale’ con le scosse del sisma del 2016, che hanno mostrato la validità degli isolatori sismici collocati nelle basi (fig. 18). Da parte della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale vi è la volontà di riprendere i lavori appena possibile per completare il progetto originale che prevede la ricomposizione della sezione capitello-trabeazione-tetto proposta sull’allineamento visivo originale ma riportata alla quota dell’orizzonte visivo del visitatore stazionante lungo il margine dello scavo per poter direttamente apprezzare gli elementi marmorei della copertura che costituiscono un altro tratto di grande interesse (fig. 14). Dagli scavi provengono infatti numerose tegole e coppi marmorei oltre ad alcuni frammenti di trabeazione.26 26 Vedi B. Pinna Caboni, Tegole e coppi, in F. Coarelli (cur.), Divus Vespasianus, Milano 2009, p. 444. I frammenti di trabeazione sono stati ritrovati di recente e sono ancora inediti.
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Fig. 18. Templum Pacis. Le sette colonne del tratto terminale del portico occidentale a intervento di anastilosi completato (foto d. a.)
Il capitello che verrà utilizzato è quello che era stato collocato ‘artisticamente’ nel 1936 in Largo Corrado Ricci,27 rimosso nel 2010, ricoverato nell’area archeologica e restaurato. Le parti dell’ordine totalmente o parzialmente perdute verranno riproposte “a filo di ferro” mostrandone la silhouette in filo inox sabbiato a sezione quadra e, infine, la gradinata alla base delle colonne verrà restaurata e ricomposta sui livelli di posa dei rivestimenti. Foro
di
Traiano. Progetto
di anastilosi di parte della
Basilica Ulpia.
Nel 1932 il Governatorato di Roma realizzò uno scavo archeologico di grande estensione, in corrispondenza del settore occidentale della Basilica Ulpia, nel più ampio quadro di demolizioni e sterri finalizzati all’apertura della attuale via dei Fori Imperiali. 27 Il capitello fu rinvenuto nel 1936 durante i lavori di Antonio Maria Colini per l’isolamento della Torre dei Conti ed è probabilmente pertinente al colonnato del portico orientale, vedi A.M. Colini, Forum Pacis, in BCom LXV, 1937, pp. 7-40, in part. p. 27.
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Nell’area della navata centrale della Basilica furono rinvenuti numerosi spezzoni della decorazione architettonica del monumento crollato in età medievale. Si trattava principalmente di spezzoni di colonne monolitiche a fusto liscio in granito grigio egiziano del mons Claudianus, detto “del Foro”, appartenenti al primo ordine della Basilica che in antico era divisa in cinque navate da file di colonne di questo tipo. Assieme agli spezzoni in granito se ne trovarono numerosi altri in marmo bianco, pertinenti a trabeazioni, oltre ad alcuni capitelli corinzi dello stesso materiale. Due di quelli in marmo bianco, un frammento e un grosso spezzone di fregio-architrave, recavano i resti di una decorazione continua con immagini di Vittorie tauroctone alternate a coppie contrapposte di altre Vittorie raffigurate nell’atto di ornare dei candelabri con ghirlande.28 La rappresentazione, carica di simbologie, era pertinente alla decorazione della trabeazione del primo ordine e alcuni frammenti di essa, rinvenuti nel passato, risultavano già conservati presso musei italiani e stranieri. Assieme ai frammenti di questo tipo furono anche rinvenuti, nello scavo del 1932, diversi spezzoni di colonne monolitiche lisce in marmo cipollino, di dimensioni leggermente inferiori a quelle in granito. Lo studio dei ritrovamenti stabilì che queste colonne in cipollino dovevano essere pertinenti a un secondo ordine della Basilica e, mentre i fusti in granito grigio furono rimontati in corrispondenza del loro originario posizionamento, quelli in cipollino vennero riassemblati a formare tre colonne poi collocate presso l’angolo orientale del recinto dell’intera area, fuori da qualunque possibilità di comprenderne l’originaria sistemazione.29 L’intervento del Governatorato si limitò a riposizionare sulla sommità di alcuni fusti in granito i rispettivi capitelli e a montare il frammento di fregio-architrave con Vittorie in corrispondenza dell’angolo ovet del colonnato meridionale della navata centrale dell’edificio, su di un basamento in mattoni posto a terra, tuttora visibile nell’area sotterranea della Basilica Ulpia. Gli archeologi e i tecnici dell’epoca dunque non vollero o non ebbero modo di procedere a un intervento di ricomposizione dell’architettura interna della Basilica per il quale mancava ancora, probabilmente, una conferma scientifica del reale aspetto originario30 (fig. 19). C. Ricci, Esplorazione archeologica delle cantine a Macel de’Corvi, in BCom LIX, 1931, pp. 117-122. C.M. Amici, Foro di Traiano: Basilica Ulpia e Biblioteche, Roma 1982, pp. 37-43. 30 Come risulta dagli schizzi ritrovati fra le carte di Amleto Paroli, assistente di Corrado Ricci, dei quali viene dato un significativo esempio a fig. 19, risulta chiaro che gli scavatori del Governatorato dovevano essere pervenuti a conclusioni simili a quelle odierne. Paroli, e forse il Ricci con lui, immaginava infatti le navate laterali della Basilica coperte con volte a botte oltre alla presenza di un secondo ordine, affacciato sulla navata centrale, analogo a quello ipotizzato da Carla Amici nel 1982, vedi nota prec. 28 29
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Fig. 19. Foro di Traiano. Basilica Ulpia. Schizzo ricostruttivo per una sezione delle navate laterali meridionali a partire dalla navata centrale (a sin.) sino al propileo centrale di accesso (a d.) (appunti di A. Paroli 1932, Archivio Ufficio Fori Imperiali)
Con il progredire degli studi si è ora relativamente certi del posizionamento dei diversi elementi decorativi e la situazione sembra matura per rimuovere le colonne del secondo ordine dalla loro incomprensibile ed ectopica collocazione per ricomporre l’originario partito architettonico a due ordini. Una recente donazione in denaro a Roma Capitale31 ha permesso di attivare le procedure necessarie per la realizzazione dell’anastilosi da parte della Sovrintendenza Capitolina. Al momento attuale è stato affidato l’incarico di progettazione dell’intervento e sono state realizzate tutte le opere conoscitive preliminari necessarie alla redazione del progetto definitivo quali rilievi e indagini geognostiche.32 L’anastilosi è finalizzata alla ricomposizione di parte dell’ordine interno della Basilica Ulpia e, specificamente, di quattro colonne in granito grigio “del Foro”, pertinenti al primo ordine della navata centrale, e di tre del secondo ordine, sovrapposte alle precedenti, in marmo cipollino. Da parte del magnate Alisher Usmanov. Il progettista è l’ing. Alessandro Bozzetti. Il progetto, diretto scientificamente dall’autore di questo saggio assieme a Claudio Parisi Presicce e a Lucrezia Ungaro, si avvale della collaborazione scientifica di Elisabetta Bianchi, Marina Milella e Simone Pastor oltre che di un gruppo di ‘saggi’ composto da: Giorgio Croci, Eugenio La Rocca, Claudio Parisi Presicce e Francesco Prosperetti. 31 32
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Si è scelto di intervenire su colonne già rialzate nel 1932 all’estremità orientale del c.d. “recinto di Pio VII” visto il minore impatto visivo che tale operazione avrebbe nei confronti di chi si muove verso Piazza Venezia provenendo da via dei Fori Imperiali (fig. 20).
Fig. 20. Foro di Traiano. Progetto di anastilosi di parte della Basilica Ulpia. In alto: prospetto ricostruttivo della Basilica (in verde) con l’indicazione del settore oggetto dell’anastilosi (in rosso) contro il prospetto del moderno palazzo Roccagiovine (in nero). Al centro e in basso: planimetria ricostruttiva (in nero) sul tessuto urbano moderno (in rosso) con evidenziazione delle colonne oggetto dell’intervento (dis. d. a.)
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Intervenendo sulle prime colonne orientali piuttosto che su quelle occidentali della stessa fila, l’impatto visivo per chi guarda da sud verso nord risulta molto ridotto poiché interferisce solo con l’immagine della settecentesca chiesa del SS. Nome di Maria, invece che con quella della vicina S. Maria di Loreto, vero palinsesto di architettura rinascimentale e barocca. Sulle quattro colonne già esistenti andranno sovrapposti altrettanti capitelli e una ricostruzione della trabeazione antica con il fregio delle vittorie tauroctone; sopra di essa andranno ricollocate le tre colonne frammentarie in cipollino che sono state arbitrariamente rimontate fuori posto negli anni ‘30 dello scorso secolo in corrispondenza dello spigolo orientale del “recinto di Pio VII”. Un quinto fusto in granito, disponibile tra quelli scavati negli anni Trenta dello scorso secolo, sarà posizionato in corrispondenza della strada esterna al recinto monumentale per mostrare il proseguimento della navata verso est. In particolare risulta di grande importanza il rapporto della sezione architettonica che si intende ricostruire (in verde nel prospetto) con la facciata del palazzo Roccagiovine (in nero) contro la quale essa si staglia dando la precisa percezione delle sue dimensioni colossali e del suo sviluppo in altezza (fig. 20). È evidente infatti come le sommità delle colonne del secondo ordine raggiungerebbero la quota del quinto piano del palazzo e come la progettata struttura andrebbe a costituire un segno molto forte, destinato a incidere sul paesaggio urbano in modo duraturo e determinante. Foro
di
Traiano. Scavo
del tratto settentrionale di via
Alessandrina.
In conclusione sembra utile fornire anche le prime informazioni riguardanti un importante intervento che si sta svolgendo sotto la direzione della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale: lo scavo del tratto settentrionale di via Alessandrina33 (figg. 21-22). L’argomento non esula, in realtà, dal tema del saggio, poiché si dovrà procedere al restauro della superficie antica di appoggio delle lastre marmoree della piazza non appena rimossa la soprastante stratigrafia. 33 Sotto la Direzione Scientifica di chi scrive e di Claudio Parisi Presicce. Allo scavo collaborano con diversi ruoli: Nicoletta Bernacchio, Antonella Corsaro, Beatrice Pinna Caboni e Massimo Vitti, funzionari della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale, Ufficio Fori Imperiali, oltre ad Alessandro Delfino. La Direzione dei Lavori è stata affidata all’arch. Sebastiano La Manna, mentre l’impresa appaltatrice è l’ARAN srl di Genova.
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Lo scavo è stato finanziato con una donazione del Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica dell’Azerbaigian ed è finalizzato alla rimozione archeologica del tratto stradale per ottenere la riunificazione delle due parti scavate del Foro di Traiano.
Fig. 21. Foro di Traiano. Scavo del tratto settentrionale di via Alessandrina. Rilievo a scansione laser dell’area in corso di scavo e delle zone limitrofe (dis. Azimut srl)
I lavori, iniziati già dal 2016, hanno subìto numerose interruzioni a causa del tempo necessario a rimuovere un gran numero di cavi di ogni tipo presenti nel sottosuolo: da cavi elettrici a media tensione a cavi telefonici ancora in uso.
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Fig. 22. Foro di Traiano. Scavo del tratto settentrionale di via Alessandrina. In alto: prospetto delle case demolite nel 1929-1931 con i relativi numeri civici (dis. arch. A. Mascanzoni). Al centro e in basso: planimetria dell’area di scavo con evidenziazione delle parti superstiti delle abitazioni demolite nel 1929-1931 e tuttora in corso di scavo (dis. d. a.)
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Lo scortecciamento e la rimozione dei primi strati di demolizione hanno comunque sinora rimesso in luce i resti delle abitazioni corrispondenti ai numeri civici 31-34a di “Foro Traiano”34 e ai nn. 110-117 di via Alessandrina, tutti abbattuti dal Governatorato di Roma nel 1929-1931 per l’apertura di via dell’Impero/via dei Fori Imperiali oltre a un tratto di pavimentazione basso medievale della strada realizzato con basoli romani di recupero. I resti, rasi al suolo al livello di spiccato dei muri, mostrano sinora strutture databili a partire dal XII sec. con rifacimenti progressivi che giungono a ridosso delle demolizioni. Risulta molto chiara la presenza di una linea continua di facciata che, in origine, era costituita da portici colonnati poi tamponati mentre gli accessi alle abitazioni erano aperti nei muri in posizione arretrata. L’evidenza archeologica mostra infatti i resti della base di una colonna in corrispondenza dei civici nn. 110-111 dove, già in occasione delle demolizioni, era stato individuato il prospetto di una casa porticata basso medioevale con meniano (figg. 23-24). Al centro della facciata di questa casa si trovava murato uno stemma marmoreo di Sisto IV che fu traslato, dopo la demolizione, sul fianco della c.d. “Loggia Domizianea” o dei Cavalieri di Malta, lungo il tratto superstite di via di Campo Carleo.35
Fig. 23. Foro di Traiano. Scavo del tratto settentrionale di via Alessandrina. Resti di una base di colonna del portico bassomedievale incluso nei resti della facciata dell’abitazione di via Alessandrina 110-111 (foto d. a.) 34 Era questa la denominazione della piazza nel cui centro campeggiava l’area scavata nel 1812-14 della Basilica Ulpia sino alle demolizioni degli anni Trenta dello scorso secolo. 35 R. Leone, A. Margiotta (curr.), Fori Imperiali. Demolizioni e scavi. Fotografie 1924/1940, Milano 2007, n. 2.138 a p. 226, n. 2.151 a p. 234, n. 2.478 a p. 358 e n. 2.518 a p. 373.
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Fig. 24. Foro di Traiano. Abitazione di via Alessandrina 110-111, con resti di portico bassomedievale e stemma marmoreo di Sisto IV, in corso di demolizione nel 1929 (Archivio Fotografico Comunale di Palazzo Braschi)
La vicina casa compresa fra i nn. civici 33-34a, che fino al 1929-1930 ospitava un panificio (fig. 25), è identificabile con l’abitazione di proprietà, nel sec. XVI, dalla famiglia Cuccini che, come sappiamo dalle fonti, realizzò dei grandi scavi nell’orto alle spalle della casa stessa fra il 1543 e il 1555.36 L’orto corrispondeva a quasi la metà dell’emiciclo del Foro e gli scavi, finalizzati al 36 R. Meneghini, Roma – Ricerche nel Foro di Traiano – Nuovi dati archeologici e d’archivio riguardanti le vicende medievali del monumento e la chiesa di S. Maria in Campo Carleo, in AMediev XIX, 1992, pp. 409-436, in part. p. 429 e n. 27; vedi anche R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, II e III, Roma 1990 e 1998, rispettivamente alle pp. 136-137 e 206.
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recupero dei marmi, dovettero essere talmente capillari e accurati da svuotarlo sino al livello della pavimentazione romana in marmi colorati che fu tutta asportata, come è ben visibile nella pianta dell’area (fig. 22).
Fig. 25. Foro di Traiano. Abitazioni dal n. 31 al n. 34 di “Foro Traiano” durante le demolizioni del 1929 (Archivio Fotografico Comunale di Palazzo Braschi)
Le altre case delle quali si sono trovati i resti e per le quali si dispone di dati storico-archivistici sono quelle ai nn. civici 31-32 e 115-117 che, tra il Cinquecento e il Settecento, erano di proprietà, rispettivamente, dell’Arciconfraternita del Gonfalone e dell’Ospedale di S. Maria della Consolazione.37
Meneghini, Roma – Ricerche nel Foro di Traiano, cit. nota 36, pp. 431-434.
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