Attaccamento e Coscienza Di Legame in Giappone - Takei Doi

March 27, 2018 | Author: VincenzoRicciardelli | Category: Empathy, Japan, Bonsai, Psychoanalysis, Clytemnestra


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Attaccamento e coscienza di legame in GiapponeRiflessioni psicoanalitiche CHIARA ROSSO Introduzione Gli osservatori occidentali che si sono interessati alla cultura giapponese sottolineano la presenza di qualcosa di misterioso ed ineffabile che sfugge allo studio più meticoloso. Ne fa un accenno il giornalista Federico Rampini (L’Impero di Cindia, 2006) nel suo saggio sulle «tigri asiatiche» o nuove potenze orientali emergenti. Jorge Canestri, nella sua prefazione al libro di Takeo Doi Anatomia della dipendenza (1973), ricordando la complessità della lingua giapponese e le difficoltà connesse al problema della traduzione, riporta un passaggio della conversazione tra il filosofo Heidegger (1959) e il conte giapponese Shuzo Kuki. Heidegger concludeva il dialogo con il suo interlocutore suggerendo l’idea che quanto più «Il mondo orientale traluceva… in luminosa chiarezza, più distinto emergeva il pericolo implicito» nei dialoghi giacché: «Il pericolo dei nostri colloqui si nascondeva nella lingua stessa, non in ciò che noi discutevamo, e neppure nel modo in cui cercavamo di discuterlo» (corsivo mio) poiché la lingua ha uno spirito e lo spirito della lingua giapponese può rimanere inaccessibile all’interrogante [occidentale] (Doi,1973, 8). Considerando alcuni aspetti propri alle due culture, tenterò di circoscrivere la mia riflessione ad un’area essenzialmente psicoanalitica. Tuttavia, addentrarsi nel territorio della psicoanalisi giapponese, per un occidentale, equivale al cimentarsi in una lingua straniera con tutte le difficoltà e insidie che questa operazione comporta dal momento che anche la «lingua» psicoanalitica condensa in sé un mondo intero e porta il sigillo della cultura a cui appartiene. Consapevole dei limiti della mia osservazione, traggo incoraggiamento dalle parole di Goethe «chi non conosce una lingua straniera non conosce la propria» (Doi, 1973, 8) e dirigo uno sguardo a «volo d’uccello» sulle dimensioni dell’attaccamento, della dipendenza e del legame nella cultura giapponese, sottolineandone differenze e similitudini con quella occidentale. Approfondisco la relazione precoce madrebambino e la peculiare funzione di «ponte» che la figura materna sembra esercitare per favorire il passaggio del piccolo alla comunità gruppale. A tal fine mi sono avvalsa di contributi psicoanalitici orientali che in parte elenco, come quelli offerti dai lavori di Heisaku Kosawa (1932) sul concetto di colpa e del mito di AJASE, di Takeo Doi (1973) sulla questione della dipendenza, di Keigo Okonogi (1977) sulla famiglia giapponese, di 1     le osservazioni di Freeman (2009). importa dalla Cina la religione e la scrittura. Per contestualizzare meglio le mie riflessioni. Sul fronte occidentale l’insegnamento di diversi autori mi ha. psicoanalista statunitense che si è interessato in modo approfondito alla psicoanalisi in Giappone. esso è ancora attuale e permea profondamente questa cultura. mentre lo Scintoismo sussume il politeismo preesistente. Menzionandone solo alcuni. In occasione degli ultimi eventi catastrofici che hanno funestato il Giappone. Diventato il «manuale –breviario» delle forze americane di occupazione in Giappone. Come altri popoli del Pacifico il Giappone possiede una «lingua del rispetto» (Benedict. Il Giappone del VI. accompagnata. rimane ancor oggi. elemento strutturale di questa società. oltre che delle differenze di sesso.     2     . la figura dell’imperatore giapponese è considerata di origine divina. essa regolamenta i rapporti interpersonali attraverso un raffinato cerimoniale interessante la postura e si declina in vari tipi di inchini e di manifestazioni gestuali. ho fatto riferimento. viene considerato una perfetta religione di stato poiché si sposa con la complessa teoria del legame e delle interazioni gruppali che caratterizzano il paese. Rivolgiamo brevemente il nostro sguardo alla storia del Giappone. interessando sia il nucleo famigliare che la collettività. avvalendoci del                                                                                                                         1  Il «Crisantemo e la spada» (1946) viene commissionato all’Autrice dall’ Office of War Information degli Stati Uniti e pubblicato all’indomani di Hiroshima. ho attinto preziose informazioni da un classico dell’antropologia sui modelli culturali giapponesi Il crisantemo e la spada (1946) di Ruth Benedict.1 Qualche cenno storico-sociale Il motto giapponese «Ogni cosa al suo posto» ci illumina riguardo al concetto di gerarchia. L’alone sacrale che lo avvolge ha un ruolo coesivo nei riguardi del corpo sociale. modificandole entrambe per adattarle alla sua matrice culturale. Il Giappone è dunque una società essenzialmente aristocratica che tiene conto della diversa posizione sociale occupata dagli individui.C. Malgrado le rivoluzioni interne attraversate dal Giappone nel corso dei secoli. un documento di impressionante attualità e di grande lucidità. rompendo una tradizione di estrema riservatezza. A differenza di ciò che accade per la Cina. malgrado la sua datazione. 58). VII secolo D. di età e del tipo di legami famigliari. sono state per me centrali.Osamu Kitayama (1985) per quanto concerne l’AMAE. al pensiero di Bion (1959). naturalmente. 1946. Il lavoro di Bolognini (2002) sull’empatia mi è stato di grande aiuto per sondare le possibili connessioni tra l’area del legame e il concetto di AMAE. l’attuale imperatore Akihito è comparso in via eccezionale agli occhi del suo popolo per un breve discorso televisivo (16 marzo 2011). Infine. a proposito delle teorizzazioni concernenti il legame. di Pichon Rivière e degli Scharff (2011). L’imperatore vive appartato e non si mostra pubblicamente. Il Buddismo già arrivato in Cina dall’India. conciatori di pelle. Questi due «poli» della società. 84). Si ridisegnano così gli equilibri interni senza tensioni eccessivamente critiche tra l’aristocrazia e la borghesia. sulla scia delle idee di Emil Kraepelin. il Giappone conserva la sua intrinseca organizzazione gerarchica e vede svilupparsi nel suo seno una progressiva «mobilità sociale» (Benedict. il paese attraversa una fase evolutiva particolare. nonché le particolari qualità dei legami interpersonali. infatti. Si verifica cioè una condizione assolutamente originale e propria del Giappone in quanto la casta dei mercanti «compra» una condizione sociale superiore stringendo alleanze coi samurai. al potere per un paio di secoli. Il «Complesso di AJASE» nella psicoanalisi giapponese La psicoanalisi arriva presto in Giappone innestandosi su un terreno fecondato da una solida cultura psichiatrica che si è diffusa. Con il crollo dei TOKUGAWA e la restaurazione del potere imperiale dell’epoca dei MEJI (1868) il Giappone subisce una nuova rivoluzione interna ed entra nell’epoca moderna. spazzini   3     . come in una sorta di rivoluzione silenziosa.contributo della Benedict (1946) e notiamo quanto segue. La regina. o comandante armato supremo. ragione per cui sono confinati a ruoli specifici. In seguito all’incontro di Marui con Freud. intorno al 1860. L’imperatore. Riportiamo la storia del mito indiano. pur costituendo una risorsa. famigliari e societari. In un antico regno indiano la coppia regale formata da Bimbisora e dalla regina Vaidehi non riusciva ad avere figli. Il Giappone feudale del ‘600 è suddiviso in caste. viene relegato ad un ruolo di pura rappresentanza mentre è lo SHOGUN. rappresentati dai becchini. è l’ambivalenza materna nei confronti del figlio che viene messa particolarmente in luce rispetto al versante edipico. a dominare la scena. considerato fino ad allora la massima autorità.2 Con l’avvento dell’era dei TOKUGAWA. In questo complesso. I TOKUGAWA vegliano sull’equilibrio omeostatico delle classi sociali: la casta dei commercianti è frenata nella sua espansione e quella dei samurai-guerrieri limitata nel suo potere militare. Mentre in occidente la crisi dei regimi feudali e i laceranti conflitti intestini creano le condizioni perché si sviluppi ed emerga il cosiddetto «ceto medio». garantiscono una transizione relativamente indolore verso l’era moderna e tendono a fondare ancora oggi la peculiarità delle interazioni giapponesi. temendo di perdere l’amore del marito se                                                                                                                         2  Vi è la casta privilegiata dei samurai-guerrieri. viene fondato nel 1933 il primo ramo dell’IPA a Sendai. 1946. quella dei contadini e quella degli artigiani. Il rispetto irrinunciabile e in qualche modo strutturante della gerarchia. possono anche rappresentare un pericolo. che trae origine dalla rielaborazione di un antico mito indiano. egli sottopone a Freud una rivisitazione del complesso di Edipo che chiama «Complesso di AJASE». Considerato il padre della psicoanalisi giapponese. È però Heisaku Kosawa (1932) la figura più intraprendente e feconda nel divulgare il messaggio freudiano. Segue la casta dei mercanti subito al di sopra di coloro che sono considerati gli «intoccabili» o gli ETA. Il neonato sopravvive riportando solo la frattura del dito mignolo (verrà per questo chiamato AJASE che significa: «il principe dal dito rotto»). Quando l’idealizzazione viene meno ed apre gli occhi sulla propria storia. La psicoanalisi giapponese riflette l’enfasi della relazione madre-bambino preedipica nei suoi aspetti legati all’oralità e all’ambivalenza. nutre vendetta e rancore verso una madre che è stata manchevole. gode della relazione fusionale e idealizzata con la madre. come manifestazione tardiva che segnala un difetto del contenitore primario (Bleandonu. 2002). Sia il senso di colpa che il desiderio di riparazione affondano le loro radici nella gratitudine o debito morale ON nei confronti della madre. AJASE viene però dissuaso dai suoi consiglieri dal procedere in questa intenzione omicida e successivamente. decide di perdonarlo e di occuparsi di lui. AJASE catalizza su di sé una linea di sangue: vi è il rancore del saggio assassinato e i ripetuti attentati materni nei suoi confronti ma AJASE sopravvive agli istinti figlicidi e. L’Autore riprende l’idea della Klein (1921-1958) riguardo al senso di colpa depressivo. sviluppandoli però in due tempi appartenenti a due età della vita distanziate tra di loro. I postumi della frattura resteranno il segno del «rancore prenatale» (MISHON) della madre nei suoi confronti. impaziente. Il suo corpo si riempie di pustole maleodoranti e nessuno può più avvicinarlo. In AJASE il desiderio di vendetta lascia però il posto alla vergogna per i suoi istinti matricidi e al senso di colpa associato al pentimento. Divenuto re. La regina. sostenuta dal Buddha ancora vivente.non gli avesse dato un erede. Subito dopo il parto infine. di cui aveva usurpato il trono. tenta invano di abortire. connesso all’istinto di morte. morente. Una profonda disillusione lo investe così come intensa era stata l’idealizzazione della madre durante la sua infanzia. non attende il tempo stabilito e fa uccidere il saggio. Costui. animato da un profondo senso di colpa. In questo mito l’aspetto del figlicidio precede quello del matricidio. alleviando le sue sofferenze. butta giù il neonato da un’alta torre. tormentata dalla maledizione. Solo la madre. consulta un indovino che le predice che nel giro di tre anni. sviluppa un conflitto a causa del quale si ammala. AJASE apprende la storia delle sue origini. Nella relazione diadica fusionale della madre con il bambino. Una volta adulto. legato all’istinto di vita e il senso di colpa persecutorio. 4     . Ella rimane incinta e. proferisce una maledizione secondo la quale egli si sarebbe sì reincarnato in lei ma un giorno suo figlio l’avrebbe uccisa. un saggio abitante in una foresta. La leggenda narra che AJASE guarisce divenendo in seguito un sovrano apprezzato e illuminato. diminuita l’ambivalenza materna. sarebbe morto reincarnandosi nel suo seno. Kosawa (1932) si basa su questa narrazione mitologica per illustrare due tipi di sensi di colpa: quello infantile legato alla paura della punizione (castrazione) e quello più adulto legato alla consapevolezza della colpa che conduce al pentimento e al desiderio di riparazione. Pensiamo al lancio dall’alto della torre e più tardi alla malattia del suo «involucro-pelle». come già Rascovsky (1974) aveva sostenuto in un lavoro sulla rivisitazione dell’Edipo e come ricordano Carloni e Nobili (2004) nelle loro riflessioni riguardo alla clinica del figlicidio. progetta di vendicarsi della madre e si accinge ad ucciderla come già aveva fatto col padre. come per esempio l’autocontrollo e la meditazione. Per Balint (1968). L’AMAE è identificabile come un formidabile motore del legame.l’ambivalenza assume in qualche modo un ruolo strutturante e contribuisce al ridimensionamento dell’onnipotenza della coppia preparando il terreno al successivo avvento della triangolazione edipica. L’AMAE affonda le sue radici nel rapporto madre-bambino. The basic fault (1968. Il concetto di AMAE descrive un ampio arco che abbraccia l’area emotiva connessa con l’attaccamento. L’AMAE sarebbe dunque una caratteristica psicologica dell’individuo giapponese. a differenza di ciò che avviene in occidente. le particolarità del concetto di AMAE e la 5     . Il Complesso di AJASE sembra quindi includere sia l’ipotesi kleiniana che quella edipica. La dipendenza d’altra parte. L’AMAE è a metà strada tra l’amicizia e l’amore benché esprima più della prima condizione e meno della seconda. un anelito o desiderio mai completamente soddisfatto. L’enigma dell’AMAE L’AMAE è un concetto della psicoanalisi giapponese di difficile traduzione. Ne fa cenno nel suo lavoro. si esperisce ma non si racconta. non ha una precisa corrispondenza nel pensiero occidentale. È una condizione della relazione che si esprime su di un registro non verbale. Potremmo avvicinare il concetto di AMAE anche a quello di una regressione attiva (a differenza della passività) al servizio dell’Io. tanto per citarne alcune. di una regressione influenzata e disciplinata dalle pratiche ispirate alla tradizione buddista. Potremmo anche dire che è un sentimento ineffabile che lega emotivamente due individui. L’attitudine alla riparazione che accompagna l’individuo durante tutto il suo percorso vitale potrebbe essere ricollegabile alla teorizzazione dell’AMAE. è considerata un valore. offre il rifornimento libidico di cui l’individuo necessita durante la sua vita e a cui può attingere nel corso delle sue molteplici interazioni con l’altro. Legami d’Oriente e d’Occidente: una trama complessa Riflettendo sul complesso di AJASE. l’alternarsi della ostilità con la gratificazione fa sì che la gratificazione non sia scontata divenendo in questo modo un’attitudine alla riparazione ed alla accettazione della dipendenza. questo concetto è assimilabile a quello dell’amore primario e alle sue trasformazioni nel corso dell’esistenza dell’individuo. essa consente l’interiorizzazione di un forte legame con la madre ed influenza più tardi la qualità del legame che il soggetto stabilisce coi membri del gruppo di appartenenza. la dipendenza e il desiderio affettivo che si sviluppa tra due persone. L’AMAE è quindi anche un tentativo di negare la separazione indulgendo nella relazione fusionale e regressiva con la madre. lo indica come un sentimento che nasce nella seconda metà del primo anno di vita del bambino quando questi comincia a reclamare la madre che riconosce esistere indipendentemente da lui. in seguito agli scambi avuti con Doi. Inoltre. Doi (1973).194). che persistono per tutta la vita». parte integrante di una rete più o meno vasta e complessa.. è un po’ come giocare al gioco dello 6     . geneticamente conculcato nella coscienza individuale e di massa che spesso e volentieri sovrasta il diritto ed influenza enormemente il comportamento» (tratto da Villa. E ancora: « […] Esiste in Giappone un quasi-diritto non scritto. Si tratta di una organizzazione globale alla cui fondazione concorrono tutti i partecipanti i quali a loro volta ne sono essi stessi organizzati. il gruppo assume un ruolo centrale e rappresenta l’equivalente della legge paterna nella cultura occidentale. 2002. Del resto. 14). In Argentina. Attraverso il legame infine. diamo uno sguardo alle sue definizioni. riduzione della frustrazione e della aggressione e gratificazione sessuale. vinculo (Berenstein. esso rinvia all’immagine del contenitore di Bion (1959). della famiglia e delle istituzioni. nel suo libro (2002. 2). Si tratta di un concetto complesso che include vari significati. riguardo alla storia dell’ ordinamento giuridico in Giappone scrive: «Il rispetto delle norme sociali è assunto come imperativo categorico e la coercizione risiede non nella minaccia di una sanzione di legge ma nella riprovazione sociale». e J. ritroviamo analogie con ciò che descriviamo sul piano psicologico. possiamo notare come lo svilupparsi del senso di colpa e l’attitudine alla riparazione si articolino tra di loro in modo complesso. Pichon Rivière approfondisce la teoria del legame. il legame è raffigurabile non solo come un anello che congiunge altri due anelli ma anche come una maglia. negli anni ’50. comprensione. anche nel campo del diritto e della organizzazione sociale del paese. dunque. Affrontando il tema del legame. Il legame indicherebbe quindi una struttura super-ordinata alimentata dall’interazione personale. «I legami si costituiscono a partire dai bisogni infantili di amore. Chiara Gallese. (Scharff D. Affrontare il tema dei legami in Oriente. Il legame esprime le relazioni oggettuali interne. e l’asse orizzontale che lo collega alla famiglia e al gruppo sociale di appartenenza. allo spazio transizionale winnicottiano (1958). 2010) in base alla quale la psiche individuale si sviluppa secondo due assi: quello verticale che collega l’individuo alla generazione precedente e alla cultura d’origine. Come sottolinea Maurice Pinguet (2002): «Se il Super-Io occidentale si basa sulla interiorizzazione della legge del padre. 2011. oppure ancora all’Io pelle di Anzieu come involucro gruppale (1985) e naturalmente al concetto di attaccamento sviluppato da Bowlby (1988). 157). Etimologicamente il legame significa «tenere insieme qualcosa» e nel contempo evoca l’idea di uno scioglimento. quello che è interattivo o interpersonale diventa intrapsichico e ciò che è psichico diventa interpsichico (Bolognini. Sul piano simbolico. le interazioni delle persone con l’esterno ed infine la zona intermedia. 2008). La teoria del legame completa ed estende quella delle relazioni oggettuali nello studio e nel trattamento degli individui. cura. Idealmente (pensando all’immagine di una catena). Queste dinamiche fondano a loro volta il legame tra l’individuo e il gruppo in un rapporto di reciprocità: l’individualità del singolo si legittima attraverso l’appartenenza al gruppo. delle relazioni umane. il Super-Io giapponese si basa sulla coscienza di legame».conflittualità tra madre e bambino. “tradizionale”. Mi sembra che il dettaglio di questa immagine rappresenti efficacemente il legame madrefiglio nella società giapponese. e fa appello alla nostra umiltà e ad un certo grado di illuminazione interna per essere compresa. il Giappone sembra esprimere una                                                                                                                         3   Questo gioco di società consiste nel gettare un insieme di stecchini lunghi . anch’esso di origine cinese (KO = pubblico e AN = regola) è una tecnica meditativa del culto buddista zen. Ella è il grembo che accoglie il piccolo e nel contempo si costituisce come un ponte di accesso alla dimensione gruppale. Il KOAN potrebbe attagliarsi all’immagine della madre giapponese cioè di una figura che nella relazione col bambino esprime l’apparente inconciliabilità di opposte dimensioni. Ad ogni modo. del colore scelto.245) ha definito il Giappone come la cultura della vergogna. allora. Ha il significato di un dilemma a cui non c’è risposta oppure può anche indicare una espressione paradossale (ne è un esempio l’idea de «l’applauso con una sola mano»). come una chiave di lettura del sistema etico-simbolico di questa cultura: il BONSAI e il KOAN. Nelle frequenti raffigurazioni della coppia madre-bambino ad opera dell’artista giapponese Utamaro (2009) possiamo osservare come il piccolo. che sono sopra o sotto di esso o semplicemente contigui. L’AMAE (dipendenza). senza muovere gli altri. Lo «stecchino-legame».«SHANGAI». il BONSAI risente dell’influenza buddista e rappresenta l’unione della natura con l’arte. la Benedict (1946. di diversi colori. Il KOAN.   7     .3 È però difficile estrarre un singolo stecchino dal mucchietto senza simultaneamente far precipitare gli altri che gli fanno da supporto. Il primo esprime «l’arte di coltivare un piccolo albero in un piccolo vaso». nella sua qualità enigmatica. si protenda verso il mondo esterno con la parte opposta del corpo. L’ HAJI la (vergogna) che concorrono a caratterizzare la ricchezza delle interazioni presenti in questa cultura orientale. Due concetti possono illustrare la «specificità» giapponese ed essere utilizzati. È solo con l’occidentalizzazione che si assiste ad una graduale transizione da una dimensione all’altra. il MISHON (risentimento). D’altra parte è proprio l’insieme degli stecchini che dà risalto al singolo e ne definisce la posizione. si presenta a noi sotto le vesti di un KOAN. paragonata all’occidente impregnato da una cultura della colpa. Vince chi riesce ad accaparrarsi il numero maggiore di stecchini affastellati. su di un piano orizzontale. Formato da due ideogrammi BON (contenitore) e SAI (educare/coltivare). pur aggrappandosi alle vesti materne con una manina. la dipendenza fusionale duale e l’accesso al rapporto «plurale». La madre intreccia un rapporto fusionale di lunga durata con il suo bambino per un tempo assai lungo rispetto ai canoni occidentali. ci appare in stretta connessione con una cascata di concetti tra cui L’ON (debito). Del resto anche la stessa cultura giapponese. a mio avviso. Secondo una espressione rimasta celebre. il BONSAI è qualcosa di più di una semplice tecnica botanica nata in Cina e perfezionata in Giappone. dall’altro sono trattate senza riguardo e.raffinata “cultura del legame”. L’ostilità è tuttavia contemplata ed accettata. seconda delle circostanze. marito che. da ultime arrivate. L’attenzione per la zona intermedia del legame. 1977). notiamo la presenza di un particolare investimento della zona intermedia del legame (Scharff. Adottare un sistema di pensiero analogico piuttosto che digitale ci avvicina maggiormente alla comprensione della circolarità dell’esistenza. non contempla l’opposizione dualistica tra bene e male. entrambi gli elementi sono costitutivi dell’essere umano e. 2011). l’idea di globalità. Questa pratica adottiva estende il concetto di legame ad una dimensione «parafamigliare» che ricorda il sistema clanico di devozione assoluta al signore del feudo Daimyo (Benedict. Ricordiamo. i giapponesi mancano totalmente di rispetto per i singoli componenti di essa e per il legame che li unisce tra di loro come individui». mangiano un riso ormai «freddo». Abbiamo colto questo fenomeno anche a proposito delle trasformazioni storiche avvenute in Giappone. In un casato con solo figlie femmine il padre «adottava» un marito per la figlia. Analogamente. Se da un lato esse vengono aiutate. modellato e adattato alla situazione specifica o all’esigenza del momento. la tecnica stessa del BONSAI offre un mirabile esempio di «addomesticamento» del legame. Nell’ambito delle relazioni socio-famigliari il legame può anche essere «moltiplicato». dove i desideri dell’individuo devono adeguarsi alle regole implacabili del gruppo. La forza del gruppo dunque. 1946. in occasione delle nuove alleanze tra samurai e commercianti dell’epoca post feudale. poiché si pensa che così facendo egli possa fortificare la sua personalità. rinunciando al suo nome. di un Sé cioè 8     . diventava parte integrante della famiglia (nell’eventualità che il marito si trovasse schierato in battaglia contro il proprio padre avrebbe dovuto essere fedele al nuovo casato). A questo proposito K. Il legame viene plasmato piuttosto. piuttosto che per l’oggetto del legame. ci porta ad associare con le osservazioni relative al concetto giapponese di Sé o JIBUN. Anche le forti rivalità tra fratelli e le conflittualità all’interno della parentela sono considerate normali. Da questa frase possiamo evincere che una certa quota di violenza animi le dinamiche intrafamigliari. Nell’infanzia si tollera che il bambino sfoghi la sua collera nei confronti della madre. 137). 1946) più che ai componenti della propria famiglia. esplorate fino ad ora. Nohara (1936) citato dalla Benedict (1946. trascende i vincoli famigliari originari. ad esempio. Okonogi. In campo botanico. ne è un esempio l’antica pratica dell’adozione del marito (Benedict. Riflettendo sui contributi psicoanalitici giapponesi relativi a questo tema. Nelle interazioni orientali. 138) così si esprime: «Proprio per l’alta opinione che hanno per la famiglia. del resto. La dimensione etico-simbolica giapponese. termine con cui vengono connotate le vedove in difficoltà accolte dalla parentela. potrà prevalere nell’individuo l’animo «nobile» o quello «rozzo». tenderebbe a trascendere l’unità del singolo individuo. le cosiddette parenti-del riso-freddo di cui parla la Benedict (1946. Cioè di quella parte che è connessa con la funzione del legame o funzione di collegamento in senso bioniano (1959) piuttosto che con l’oggetto stesso del legame. nella sua espressione più diffusa. un aspetto che accomuna le varie declinazioni del legame è rappresentato dal fatto che esso “non si recide”. di ispirazione buddista. espressa attraverso l’antagonismo tra Agamennone e la moglie Clitemnestra. sia la madre del principe AJASE che il figlio passano da uno stadio di violenza e di egoismo a quello successivo di pentimento e riparazione. Il legame madre-bambino Negli ultimi venti anni la società giapponese si è profondamente trasformata. a proposito del legame. Oreste ed Elettra erano i figli di Agamennone. Entrambi sono animati da reciproche intenzioni omicide in seguito non agite. la tragedia di Oreste segua il passo della transizione da una società matriarcale a quella patriarcale. a quella orientale di Ajase.265) – tra l’Io osservante e l’Io dell’azione non esisterebbe più neppure lo spazio di un capello. riportiamo le osservazioni di Okonogi (1977) relative alla distinzione dei vari tipi di legame nei gruppi. ucciso da sua madre Clitemnestra e dall’amante Egisto. Si toccherebbe un culmine in cui – sottolinea la Benedict (1946. Antiche tradizioni hanno progressivamente ceduto il passo a nuove configurazioni sul piano micro e macrosociale sfociando nella crisi dei legami abituali. L’Autore paragona la storia greca di Oreste. 1973). fondata sulla conservazione del legame e illuminata dall’AMAE. 135). scrive Doi. come ci ricorda Keiko Okonogi (1977) nel suo lavoro. In occidente nessuna lingua offre equivalenti corrispondenti a questa espressione» (Doi. governata dal principio di contrattualità. per Freud. Il vuoto o l’equilibrio interiore rinviano all’unione tra l’Io osservante (il nostro Super-Io occidentale) e l’Io dell’azione (il nostro Io).che tra le sue qualità annovera quella di poter «non essere» o di «sfumare» finanche a sparire. re di Micene. In questo stesso orientamento si collocano gli studi filosofici sul vuoto o MU di Nishida (Doi. La struttura della famiglia e l’insieme delle regole educative hanno subito modificazioni a contatto con l’occidentalizzazione. di essere cioè jibun ga nai e. Egli solleva un confronto interessante tra il legame contrattuale. Per vendicare il padre Agamennone. di vergogna od oscurato da scissioni interne. basato sulla legge del padre e tipico della tradizione giudaico cristiana e quello invece basato su una dimensione materna e riparativa. Infine. Si può pensare che la zona intermedia del legame e il Sé «sfumato» si armonizzino col pensiero buddista e con la tradizione zen secondo la quale il soggetto e l’oggetto si confondono finendo per coincidere. sia all’interno della famiglia 9     . Nel caso del mito di AJASE. Okonogi conclude sottolineando come. unione raggiungibile a costo di severe pratiche di autodisciplina zen. non più frenato da sentimenti di colpa. Oreste uccide a propria volta la madre. Nella mitologia. sposato a Clitemnestra. Doi ricorda infatti come esista un’espressione relativa all’eventualità di non possedere un Sé. questo fatto è: «probabilmente tipico ed esclusivo della lingua giapponese […] è tuttavia interessante chiedersi perché i giapponesi si siano presi la briga di sottolinearne la presenza o l’assenza. il matricidio è agito nell’intenzione di tener fede ad un principio contrattuale di ordine e giustizia. 1973. Nella situazione di Oreste invece. L’unità interiore si esprime allora attraverso un gesto divenuto fluido e spontaneo. caratterizzerebbero epoche più mature dell’individuo. nei momenti di non sintonizzazione di quest’ultima coi bisogni dell’infante. inoltre viene denegata finché il bambino non sia pronto a sopportarne le implicazioni emotive e l’ansia che essa comporta. nei suoi studi sulla psicoanalisi giapponese. Riguardo all’infanzia. Il bambino. all’interno di una simbiosi prolungata con la madre. L’Autore. Freeman (2009). che nei suoi primi passi si distacca dal corpo materno. la madre condivide lo sguardo verso l’esterno con il bambino. La parte concava della lettera coinciderebbe con la fatica e le responsabilità che invece investono l’adulto. Il processo di individuazione del bambino. ci fa notare come l’ambivalenza originaria tra madre e bambino non venga risolta completamente nella prima infanzia. dal bimbo e dagli oggetti esterni. contribuiscono ad introdurre le piccole separazioni che preparano il bambino agli stadi evolutivi successivi. costituito dalla madre. Il bambino. sottolinea la divaricazione temporale nel passaggio dalla prima alla seconda fase. pertanto il bambino si affaccerebbe sul mondo dal vertice di un «triangolo proto simbolico». Questo vincolo 10     .che nella collettività. del resto Freeman (2009) ci fa notare come il bambino impari prima a parlare che a camminare. si sviluppa così una fase transizionale di apprendimento «in sicurezza» che comporta anche la comprensione del linguaggio non verbale. riprendendo la teorizzazione kleiniana delle fasi schizo-paranoide e depressiva. Tuttavia alcune riflessioni della Benedict a proposito della distribuzione dei privilegi e dei doveri a carico dell’individuo giapponese. Parallelamente. Secondo un’immagine di Kitayama (1985. sia nei propri confronti che nei confronti degli interlocutori con cui ella interagisce. emerge come gli occidentali possiedano un ricco vocabolario di espressioni verbali indicanti l’area emotiva. infatti. offrendo un holding caldo e paziente al bambino si costituisce come un Io ausiliare che riduce al minimo la conflittualità. mantiene con la genitrice un legame verbale: è per così dire «a portata di voce». La madre. ci aiutano a comprendere qualcosa di più a proposito del legame madre-bambino. In altre parole è come se il piccolo dovesse maturare «nelle braccia della mamma». Le discontinuità che si presentano nel contatto con la madre. impariamo che l’allattamento è protratto e che vi è una sorta di «gestazione extrauterina» espressa attraverso un contatto continuo e duraturo col corpo materno. Attraverso le riflessioni di Freeman e di Kitayama che indagano le differenze fra la cultura giapponese e quella occidentale. percependo le contrazioni muscolari del corpo materno ne decodifica il linguaggio corporeo e trae indicazioni sullo stato mentale e affettivo della madre. mentre sono più esitanti rispetto al contatto corporeo e accordano meno attenzione alla comunicazione non verbale. La scena primaria. la fase depressiva in connessione col senso di colpa e la successiva riparazione. pur tenendolo stretto a sé. riportata da Freeman. L’Autrice prende come esempio l’immagine della lettera U dove i due poli estremi diretti verso l’alto indicano l’infanzia e la vecchiaia. in particolare. ella si offre anche come il supporto di un Super-Io che affonda le radici nel sentimento di gruppalità interna. Per il piccolo. le stagioni della vita in cui predominano la libertà e l’indulgenza. è incoraggiato mentre viene ritardata le separazione fisica e spaziale del bambino dal corpo materno. Il bambino. si sviluppi una «[…] intricata rete di comunicazioni connesse tra loro. 11     . riportando il pensiero di Pao. all’opposto. L’AMAE implica la presenza di una relazione tra due persone analogamente a ciò che avviene per l’empatia. Freeman si sentiva libero di attingere alle proprie capacità immaginative senza avvertire la necessità di illustrarle a Kitayama. associa l’empatia ad un «potenziale empatico» che «può essere imparato ma non può essere insegnato» (2002. Riguardo le connessioni tra empatia e creatività. tra i due [interlocutori] ma anche da interazioni mentali attive dentro ciascuno» (2002. 60). Infine Bolognini. corsivo mio) e ancora. 9). citando Pao. relative al legame tra frustrazioni sopportabili e l’emergere delle capacità riparative e sublimative. all’interno di uno scambio ricco di allusioni implicite. Lo stretto legame con la madre e l’addestramento al linguaggio non verbale. il legame empatico tra Freeman e Kitayama si sostituiva ad ogni ulteriore precisazione verbale che confermasse l’avvenuta comprensione tra i due. alimenta la fiducia nel seno buono ed impara a sviluppare il sentimento di gratitudine. scrivibile – che ogni esperienza ha» (2002. Del resto. L’empatia è dunque un’esperienza difficile da trasmettere o. se non insegnato. è «un’esperienza. Potremmo allora immaginare che questo potenziale empatico. ognuno è libero di «colorare» a suo modo il messaggio ricevuto al di là del limite rappresentato dalle parole. in grado di elaborare piccole frustrazioni all’interno di una relazione sufficientemente buona con la madre. complessità e articolazione» (2002. 9) riporta le impressioni di un suo dialogo con Kitayama in cui. in Giappone la comunicazione non verbale caratterizza gran parte delle interazioni tra gli adulti ed implica una quota di empatia affinché il messaggio veicolato sia compreso. esso si esperisce. 136-137.uditivo-verbale nella coppia madre bambino occidentale assume il ruolo che ha il contatto nelle interazioni madre-bambino orientali. con quel tanto di non completamente dicibile – e ancor più. Abbiamo descritto l’AMAE come una condizione della relazione che si esprime su di un registro non verbale. come scrive Semi nella prefazione del libro. La comunicazione non verbale si accompagna alla creatività. stimolano le capacità empatiche del bambino e ne incoraggiano la disposizione altruistica. non si racconta. perlomeno «trasmesso» nella relazione madre-bambino orientale e che si costituisca come una sorta di «kit formativo» a disposizione del bambino. 59). Bolognini (2002) scrive nel suo libro sull’empatia: «[…] l’empatia è […] una condizione di contatto conscio e preconscio caratterizzata da separatezza. ricordiamo qui le osservazioni della Klein (1957). Possiamo avvicinare l’area delle capacità empatiche e quella della comunicazione non verbale al tema dell’AMAE. composta non solo da un continuo scambio (verbale e non verbale). un’invidia eccessiva e quindi distruttiva verso l’oggetto non permette alla gratitudine di insediarsi e intralcia lo sviluppo dei processi creativi. A tal proposito Freeman (2009. possa essere. analogamente all’AMAE. egli sottolinea come nella comunicazione empatica. e la tendenza al masochismo. attitudine funzionale al codice etico-sociale dei giapponesi. La crisi dei legami famigliari nel Giappone odierno coincide con il cambiamento.113 e Nishizono. che può condurre ad atti di estrema violenza culminanti col matricidio o col parricidio. Il bambino che cresce. La rivoluzione dei costumi ha in parte intaccato la forza coesiva di certi riti tradizionali. nel secondo caso. 74) sottolinea come nella cultura giapponese vi sia un masochismo di fondo ed una certa indulgenza nei confronti del suicidio. entrambi ritenuti costitutivi dell’identità giapponese. è onnipresente e si intreccia saldamente con l’idea del legame all’interno del gruppo. la dimensione di gerarchia infiltra il tessuto culturale orientale. Egli cita un esempio che illustra la distinzione tra il cosiddetto Sé orbitale e il Sé nucleare. può attingere ad un rifornimento libidico attraverso l’AMAE. Nel primo caso il Sé sarebbe costituito dagli oggetti che lo rappresentano e «ospita il mondo oggettuale esterno interiorizzato». il senso del debito tra vergogna e masochismo Nel descrivere l’influenza del rapporto madre-bambino sullo sviluppo della psiche dell’infante. La collettività giapponese riconosce nell’individuo l’esistenza del Sé autentico e ne comprende le esigenze. La famiglia giapponese vive per i figli e con le separazioni di coppia si indebolisce la dimensione simbolica della genitorialità a vantaggio dell’identità femminile o maschile individuale. Doi (1962) parla di una «coscienza duale». ci rinvia alla descrizione offerta da Bolognini (2002. la scissione tra i due Sé. nell’ambito delle relazioni con l’altro. ultima via d’uscita onorevole in situazioni impossibili. il masochismo e l’aggressività si situano su di uno stesso asse e con lo sfaldarsi dei legami famigliari il masochismo. Il bambino impara a coltivare «due Sé». Nei figli si innesca così una sofferenza psicologica caratterizzata dal rancore (MISHON) verso i genitori. Tuttavia il Sé autentico rimane in secondo piano rispetto al Sé di rappresentanza e ciò genera sofferenza ed alimenta sentimenti ostili. Se. come il rito dell’ON che esprime il concetto di debito. il Sé nucleare sarebbe assimilabile al Sé più profondo o al «vero Sé» nel senso winnicottiano (1965). D’altro canto. anche quella del debito. Okonogi (1977. Potremmo indicare questa capacità del bambino come un «addestramento alla scissione». deve rispettare ed onorare il proprio ON per 12     . 2009). come è avvenuto altrove. figura diventata debole ed incerta (Okonogi 1977. da contenitore culturale può diventare il terreno di una aggressività esplosiva. ON. E proprio in una società che tenta di appianare i conflitti e di ridurre al minimo la competizione si possono osservare due fenomeni interconnessi: il sorgere dell’aggressività. Del resto il Giappone moderno affronta il doppio lutto: la perdita della madre. Parallelamente. dei ruoli maschili e femminili. gesti divenuti più frequenti in Giappone rispetto al figlicidio. tanto è vero che l’individuo. 2008). durante la sua vita. Da una parte vi è il Sé di rappresentanza (la maschera sociale) e dall’altra il Sé più profondo o il back side della personalità (Freeman. 81). così come l’abbiamo tratteggiata. come abbiamo visto. intesa come valore della maternità e quella del padre. In Giappone il ringraziamento ha il significato del “sentirsi in obbligo” per un favore ricevuto.ON. aspetto rilevante in questa cultura. sinuoso e sfuggente. Conclusioni Ho inseguito il legame e le sue vicissitudini come correndo dietro ad un serpente fiabesco. un serpente dalle molteplici teste e dalle mute frequenti. Riguardo alla vergogna ricordiamo che nella tradizione giudaico cristiana il senso di colpa. una delle caratteristiche dell’AMAE.4 Il senso del debito si associa naturalmente al sentimento di pietà filiale che appare molto sviluppato in Giappone: il miglior modo di onorare i genitori consiste nel dedicarsi appieno all’educazione della prole e il legame con essa è funzione di quello con gli ascendenti. l’emergere della vergogna turba l’equilibrio armonioso della «forma» o KATA. Inoltre. in tutte le sue espressioni. costituisce un «invisibile» travaglio morale per l’individuo. HAJI. si riflette «negli occhi dell’altro» e. La vergogna invece. oppure ancora i debiti d’onore verso il proprio nome o verso il lavoro. 81). così recita: «A chi assomiglia un individuo prima che suo padre e sua madre nascano?» ( Doi. Parallelamente aumenta il senso di colpa dei genitori che sostituisce. Nella cultura nipponica l’accento si pone perlopiù sul versante relazionale della vergogna. affetto patologico legato all’Io Ideale. rappresenta una angoscia sociale con due versanti: quello intrapsichico (angoscia di frammentazione) e quello relazionale (angoscia di esclusione dal gruppo). debito verso l’imperatore. come la Benedict (1946. Concludiamo a questo proposito con le parole di De Mente (2005. lasciando libero corso ad una crescente aggressività. Rispetto all’intento iniziale di dare un taglio psicoanalitico al mio lavoro ho certamente                                                                                                                         4   Tradizionalmente. verso i genitori e gli antenati. tende a sfilacciarsi sempre più. Non si può prescindere dalle figure del padre e della madre e ad esse si farà inevitabilmente ritorno. Un interrogativo Zen relativo al tema della pietà figliale e che pone l’accento sulla indivisibilità del soggetto dall’oggetto e del Sé dagli altri.tutta la vita.   13     .129) ricorda. esistono vari tipi di debito: il CHU. nei confronti dei figli. Il concetto di debito inoltre. il KO. connesso al Super-Io edipico. L’ON esprime un concetto ampio che può includere anche il sentimento di affetto ma non si sottrae ad una complessa contabilità.15): «Agli albori della loro storia i giapponesi svilupparono la convinzione secondo la quale la forma anticipava la realtà precedendo anche la sostanza […] fare le cose “in modo giusto” è sempre stato più importante che fare “la cosa giusta”». si connette profondamente con quello della dipendenza. 1973. A causa dei mutati legami tra i membri della famiglia la dipendenza. i GIRI. debiti limitati nel tempo e da ripagarsi con una equivalenza matematica. Possiamo pensare al KATA come «all’ultima mano di lacca» che racchiude in un velo di perfezione formale l’essenza giapponese. sottolinea Hermann (1929). il legame rappresentato precedentemente dalla vergogna. Essa ha una funzione di coesione sociale importante rinviando l’individuo al giudizio dell’altro ed evocando l’idea di una sanzione sia dal gruppo esterno che dalla «gruppalità interna». che suggella il valore dell’attaccamento reciproco tra genitori e figli. formassero un reticolo intrigante quanto affascinante. In qualche modo anche il processo psicoanalitico subisce la stessa sorte e analogamente al BONSAI è frutto di una tecnica sapiente che «coltiva» le trasformazioni. tra rancore e dipendenza. Ho tuttavia il sospetto che non ci fosse propriamente una «strada» quanto un insieme di sentieri che. il nuovo legame tra commercianti e samurai ha permesso di ridisegnare il profilo societario dell’epoca senza cruenti soluzioni di continuità. assuma caratteristiche specifiche quali la flessibilità. La rilettura che ho proposto di concetti psicoanalitici classici. lo spirito giapponese deve poterlo trasformare adattandolo alla propria cultura attraverso uno sviluppo creativo. ne sottolinea differenze e similitudini. L’Autrice si interroga in particolare sulle qualità del legame nelle interazioni giapponesi fondanti le dinamiche gruppali. e la presentazione di alcune teorizzazioni psicoanalitiche giapponesi. Ho camminato fuori strada e ai bordi del legame. figura che racchiude tre dimensioni apparentemente contraddittorie: quella della conservazione. nella contestualizzazione storica. schiudendosi l’uno nell’altro. Avvalendosi di contributi psicoanalitici orientali ed occidentali. l’adattabilità. Il BONSAI non è solamente un albero rimpicciolito ma rappresenta una nuova creazione. Complesso di AJASE). della trasformazione e della creazione.«sconfinato» nei campi affini. nelle sue varie declinazioni orientali. La pianta del BONSAI conserva le caratteristiche dell’albero originario. pur sempre appartenente ad un pianeta comune. nel 14     . rivisitati da colleghi orientali. Così è stato per la lingua. invitano tuttavia a riflettere sulla difficoltà di trovare tracce comuni lungo la via del sapere psicoanalitico. oppure ancora. soprattutto nella sua zona intermedia. Qualcuno potrà rimanere deluso o perplesso. Ho descritto l’evoluzione del legame comunicativo ed empatico nella relazione madrebambino. Un ultimo sintetico sforzo mi porta a ricorrere all’immagine del BONSAI. a proposito del Complesso di AJASE. la capacità di trasformarsi: esso si piega ma non si spezza. dirigendo uno sguardo «a volo d’uccello» sulle dimensioni della dipendenza. dell’attaccamento e del legame. Come infatti fa notare Doi (1973) per poter assimilare qualcosa di nuovo. il legame tra madre e figlio sopravvive alle tempeste dell’odio per accedere ad una dimensione riparativa attraverso l’AMAE. ho preso in considerazione gli aspetti masochistici del legame e di come esso sottostia alle leggi del debito. al tempo stesso quest’ultimo è trasformato rispetto alle sue proporzioni. Ho osservato come il legame.come quella relativa al Complesso di AJASE. ON . dipenderà di volta in volta dal vertice di osservazione adottato qualora ci si inoltri in una dimensione «altra». meravigliato o affascinato. SINTESI L’Autrice prende in considerazione alcune teorizzazioni della psicoanalisi giapponese associate a caratteristiche della tradizione culturale (AMAE. E così. Approfondisce la relazione precoce madre-bambino ed indaga sulla peculiare funzione di «ponte» che la figura materna sembra esercitare in Giappone. ON. per la religione e per tanti altri aspetti ancora. Milano. Doi T. (1974). 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