Aterrano M.M., Gli uffici di collegamento tra le Forze armate italiane e le autorità anglo-americane nella cobelligeranza, in La ricostituzione del Regio esercito dalla resa alla cobelligeranza, 1943-1945, Roma, Rodorigo, 2017, pp. 83-112

June 9, 2018 | Author: Marco Maria Aterrano | Category: Documents


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L’ARMADILLO Collana di studi militari e geopolitici

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La ricostituzione del Regio esercito dalla resa alla liberazione 1943-1945 Introduzione di Francesco Anghelone a cura di Marco Maria Aterrano

La ricostituzione del Regio esercito dalla resa alla liberazione, 1943-1945

Introduzione di Francesco Anghelone a cura di Marco Maria Aterrano

La realizzazione della ricerca e la pubblicazione del presente volume rientrano nell’ambito delle attività scientifiche dell’area di ricerca storico-politica dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” di Roma

Indice

Sigle e abbreviazioni

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Francesco Anghelone, Introduzione Giuseppe Conti, L’Esercito italiano tra ricostruzione e liberazione Andrea Ungari, La ricostituzione del Comando supremo italiano Marco Maria Aterrano, Gli uffici di collegamento tra le Forze armate italiane e le autorità anglo-americane nella cobelligeranza Giovanni Cecini, Le unità ausiliarie Nicola Della Volpe, L’attività di intelligence Filippo Cappellano e Alessandro Gionfrida, Morale e disciplina dell’Esercito italiano di liberazione Cristiano Maria Dechigi, 1° squadrone da ricognizione Folgore Maria Teresa Giusti, Le truppe italiane in Jugoslavia Emilio Tirone, La resistenza dell’Esercito italiano nella Francia metropolitana

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Indice dei nomi

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Gli uffici di collegamento tra le Forze armate italiane e le autorità anglo-americane nella cobelligeranza Marco Maria Aterrano

Introduzione Il contributo delle Forze armate italiane alla guerra di liberazione dall’occupazione tedesca della penisola, benché spesso posto in secondo piano dall’ingombrante presenza della Resistenza clandestina nel discorso pubblico e nella storiografia, è stato al centro di diversi studi nei decenni scorsi1. Durante la fase post-armistiziale della cobelligeranza, l’Esercito, la Marina e l’Aviazione, o meglio ciò che rimaneva delle Forze armate regie a seguito dello sbandamento del settembre 1943 e della sconfitta militare subìta per mano delle potenze anglo-americane, mettevano a disposizione degli occupanti quasi un milione di uomini nello sforzo antitedesco2. La collaborazione dello Stato italiano con i paesi vincitori non aveva seguìto, tuttavia, un percorso né agevole né coerente. Gli ostacoli alla piena partecipazione italiana alle attività belliche della campagna d’Italia erano infatti diversi: da una parte, le precarie condizioni in cui versavano gli organi istituzionali e militari dello 1

Le attività delle Forze armate italiane nel periodo della cobelligeranza sono analizzate in dettaglio da una serie di lavori a cura dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, in particolare S. LOI, I rapporti tra alleati e italiani nella cobelligeranza: MMIA-SMRE, Ussme, Roma 1986. Si vedano inoltre in merito gli atti di due convegni sul tema, Le divisioni ausiliarie nella guerra di liberazione: atti del Convegno, 8-9-10 ottobre 1994, Scena illustrata, Lucca 1994, e Il secondo risorgimento d'Italia: riorganizzazione e contributo delle forze armate regolari italiane, la cobelligeranza: atti del Convegno, 28-29-30 aprile 1994, Associazione nazionale combattenti della Guerra di liberazione inquadrati nei reparti regolari delle Forze armate, 1996. Sulle vicende dell’occupazione tedesca in Italia nella fase conclusiva della guerra si veda il fondamentale L. KLINKHAMMER, L’occupazione tedesca in Italia, 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1993. 2 Degli uomini utilizzati, 400.000 facevano parte dei tre rami delle Forze armate (300 mila provenienti dall’Esercito, 70 mila dalla Marina, 30 mila dall’Aviazione), 150.000 erano i patrioti impegnati in attività di resistenza nelle aree occupate, e 380.000 i prigionieri di guerra. Particolarmente importante era stato il ruolo delle unità ausiliarie, come si evince dal saggio di Giovanni Cecini in questo stesso volume; i dati sono tratti dalla relazione inviata dal capo di Stato maggiore generale Giovanni Messe al presidente del Consiglio dei ministri, Ivanoe Bonomi, il 31 dicembre 1944, Contributo italiano alla guerra delle Nazioni Unite in quindici mesi di cobelligeranza, in Aussme, fondo L-13, b. L(13).

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Stato italiano, ridotto alla fine del 1943 ad un distaccamento brindisino di quanto era sopravvissuto alla fuga da Roma e al crollo delle strutture tradizionali di comando3; dall’altra, la forte volontà dei vertici politici anglo-americani di limitare il coinvolgimento, a qualsiasi livello, delle autorità italiane nelle operazioni militari che accompagnavano la risalita della penisola delle truppe alleate4. Ciononostante, la partecipazione del ricostituito Regio esercito alle operazioni alleate in Italia aveva costituito un importante passaggio della legittimazione cui i governi di Badoglio e Bonomi avevano aspirato. Tra gli esponenti della classe politica e militare italiana che aveva ereditato le redini del Paese a seguito della caduta del fascismo ferma era la convinzione che esistesse uno stretto legame fra l’inclusione delle forze italiane nella lotta contro i tedeschi e la concessione di un tanto agognato status di alleato, e di tutto era stato fatto in quei mesi per garantirsi un’apertura sempre maggiore da parte dei governi anglo-americani e del comando alleato in tal senso5. 3

La letteratura sui problematici inizi del Regno del Sud e del governo Badoglio è ricca, ma presenta ancora diverse lacune. Mancano infatti studi approfonditi sulla ricostruzione delle strutture governative e amministrative all’indomani del crollo delle istituzioni tradizionali e del loro controllo sul territorio dovuto al sovrapporsi dell’occupazione militare alla crisi interna dello Stato. Per una prima panoramica sulla bibliografia esistente si rimanda a L’altro dopoguerra: Roma e il Sud 19431945, a cura di N. GALLERANO, Franco Angeli, Milano 1985; R. CIUNI, L’Italia di Badoglio, Rizzoli, Milano 1993; A.G. RICCI, Aspettando la Repubblica: i governi della transizione, 19431946, Donzelli, Roma 1996. 4 Diverso è invece il discorso per il supporto amministrativo chiesto al governo italiano nella gestione delle aree occupate. A termine di un lungo dibattito sull’opportunità di servirsi delle preesistenti strutture amministrative nelle regioni sotto il controllo dell’Allied Military Government, le potenze alleate adottavano di fatto una soluzione che permettesse loro di poggiare il governo militare sugli organi e sugli uomini che avevano rappresentato gli enti locali anche nel periodo fascista; si veda in merito M.M. ATERRANO, Unconditional Surrender? La pianificazione istituzionale angloamericana e la genesi dell'amministrazione alleata nell'Italia occupata, 1943, «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», vol. 49, 2015, pp. 167-90, e, per una panoramica sul tema della mancata epurazione, H. WOLLER, I conti con il fascismo: l'epurazione in Italia, 1943-1948, Il Mulino, Bologna 2004. 5 Significativo a tal proposito un telegramma inviato da Badoglio all’ambasciatore italiano a Madrid Giacomo Paulucci di Calboli il 30 novembre 1943, in cui si dichiarava in modo inequivocabile un “firm desire to concentrate our efforts for reconstruction of country and participation in war”, in Documenti Diplomatici Italiani (DDI), Serie X, 1943-1948, vol. I, 9 settembre 1943-11 dicembre 1944, a cura di P. PASTORELLI, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, doc. 84, pp. 99-100. Sulla volontà italiana di contribuire maggiormente allo sforzo bellico nella penisola e, più in generale, sul difficile rapporto esistente tra i governi alleati e l’esecutivo brindisino si vedano i Verbali del Consiglio dei ministri: luglio 1943-maggio 1948, voll. I-IV, a cura di Aldo Ricci, Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma 1994-1995.

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Il saggio che qui si introduce intende concentrarsi, piuttosto che sugli aspetti meglio conosciuti di questa collaborazione, su un elemento che, per quanto apparentemente marginale perché lontano sia dai campi di battaglia sia dagli uffici dei vertici politico-militari dell’alleanza, rappresentava un ingranaggio essenziale nella macchina delle relazioni tra l’Italia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti nell’ambito della cobelligeranza, in particolare tra le componenti militari dei tre paesi. Il coordinamento di un simile sforzo doveva infatti necessariamente passare attraverso un’enorme attività di collegamento tra le Forze armate italiane e quelle alleate. Protagonisti di questo saggio sono dunque i numerosi nuclei incaricati dal Comando supremo e dallo Stato maggiore del Regio esercito di garantire tale collegamento presso i comandi militari anglo-americani e gli organi creati dagli Alleati all’indomani degli armistizi del settembre 1943 per soprintendere al controllo del territorio italiano occupato. Questi andavano a costituire un composito sistema di relazioni all’interno del quale la confusione amministrativa tra i diversi comandi e la sovrapposizione di appartenenze divenivano prodotti inevitabili della provvisorietà caratterizzante la fase che seguì l’armistizio. Gli elementi che compongono la storia dei collegamenti italo-alleati nell’ambito della ricostruzione del Regio esercito e del più ampio quadro della cobelligeranza sono molteplici, dalla provenienza e dalle prerogative che spesso si confondevano, andando ad accavallarsi. Avvalendosi di documentazione proveniente prevalentemente dai fondi del Comando supremo e dello Stato maggiore del Regio esercito, questo saggio intende dunque ricostruire la ragnatela di uffici, distaccamenti, nuclei dalle funzioni più disparate che un ruolo tanto centrale avevano svolto nel coordinamento delle attività di italiani e anglo-americani durante gli anni della cobelligeranza.

1. Gli inizi del coordinamento: lo scambio di missioni militari L’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre, il contemporaneo sbarco di un contingente anglo-americano nel golfo di Salerno e il rocambolesco trasferimento delle autorità italiane a Brindisi aprivano un nuovo capitolo nelle relazioni tra l’Italia e le potenze alleate, fino ad allora impegnate su versanti opposti del conflitto europeo. I termini di resa, presentati in due occasioni separate ai rappresentanti italiani il 3 e il 29 settembre, imponevano allo Stato italiano la cessazione delle ostilità e la sospensione effettiva della propria sovranità. Con il duplice scopo di avviare 85

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il controllo sulle istituzioni governative e militari italiane in Puglia e di incentivare l’avvio di una pur timida collaborazione nell’ambito della campagna d’Italia, il Comando interalleato avviava uno scambio di missioni militari sull’asse Brindisi-Algeri6. Il 12 settembre, a pochi giorni dall’insediamento dell’avanguardia dell’esecutivo italiano nella città pugliese, l’Allied Forces HeadQuarters (Afhq) inviava a Brindisi la Military Mission Italian Army (Mmia), una missione militare presso le autorità politiche e militari italiane capeggiata dal generale britannico Noel Mason-MacFarlane, accompagnato nel suo compito di controllo e consulenza dal suo capo di Stato maggiore, il generale statunitense Maxwell Taylor, e dai due consulenti politici del Comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, il ministro britannico Harold Macmillan e il rappresentante americano Robert Murphy7. L’invio di siffatta missione era il risultato di una precisa richiesta proveniente dal capo del governo italiano, preoccupato di avviare quanto prima una collaborazione effettiva con le potenze alleate nella speranza di poter assicurare per sé e per il proprio Paese un trattamento meno intransigente di quanto fosse trapelato dalle condizioni armistiziali. L’11 settembre, infatti, il maresciallo Pietro Badoglio aveva pregato Dwight Eisenhower affinché questi inviasse un ufficiale qualificato per il collegamento tra le autorità italiane e il comando alleato, ritenendo “indispensabile […] che le nostre azioni siano coordinate poiché abbiamo lo stesso avversario da combattere”8. Accomodando le richieste italiane, il generale statunitense aveva prontamente acconsentito al trasferimento in Puglia di 16 ufficiali e 28 sottoufficiali e soldati con il compito di presentare alle autorità italiane le istruzioni dell’Afhq nei limiti previsti dall’armistizio9. 6

Imprescindibile sulle vicende relative agli armistizi del settembre 1943 E. AGA ROSSI, L’inganno reciproco. L’armistizio tra l’Italia e gli anglo-americani del settembre 1943, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Roma 1993, ed EAD, Una nazione allo sbando. 8 settembre 1943, Il Mulino, Bologna 2002 [3° ed.]. 7 Sull’innesto della missione e gli avvii della collaborazione si vedano su tutti A.N. GARLAND, H. MCGAW SMYTH, Sicily and the Surrender of Italy, Office of the Chief of Military History U.S. Army, Washington, D.C. 1965, pp. 510-54, H.L. COLES, A.K. WEINBERG, Civil Affairs: Soldiers Become Governors, Office of the Chief of Military History U.S. Army, Washington D.C. 1964, pp. 217-47, e S. LOI, I rapporti tra alleati e italiani nella cobelligeranza cit., passim. 8 Cfr. Aussme, I-3, b. 119, 11 settembre 1943, Badoglio a Eisenhower, anche in DDI, X, 1, doc. 4, p. 5. 9 I-3, b. 119, 12 settembre 1943, Eisenhower a Badoglio, anche in DDI X, 1, doc. 6, p. 6; si vedano anche ivi, 18 novembre 1943, Comando supremo, Missione alleata presso Comando Supremo italiano, e le riflessioni del ministro inglese in H. MACMILLAN, War Diaries. Politics and War in the Mediterranean: January 1943-May 1945, Macmillan, London 1984, pp. 214-23. Informato

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La missione, con le sue ampie funzioni garantite dall’atmosfera di incertezza e di improvvisazione che caratterizzava la fase post-armistiziale, avrebbe costituito il nucleo embrionale della futura Allied Control Commission, istituita, dopo una lunga pianificazione, il 10 novembre 1943. All’interno di quest’ultima, le funzioni di collegamento tra il Comando supremo alleato e l’Esercito italiano sarebbero state acquisite dalla sottocommissione esercito (Land Forces Subcommission), le cui attività saranno approfondite in dettaglio nel prossimo paragrafo. Tra i compiti della Mmia figuravano la trasmissione e interpretazione degli ordini alleati e delle richieste alle competenti autorità militari italiane, la gestione dell’amministrazione e dei rifornimenti dell’esercito italiano, il controllo di nomine, promozioni, disciplina e chiamata alle armi del personale militare italiano, il collegamento tra il ministero della Guerra e le formazioni alleate che impiegavano militari italiani, e, soprattutto, la rappresentazione presso il Comando alleato delle istanze presentate dalle autorità militari italiane10. Il controllo esercitato dalla Mmia veniva tuttavia descritto come “molto severo” dai comandi italiani. Particolarmente “irritante” risultava l’azione delle British Liaison Units (Blu), costituite presso ogni unità di combattimento italiana come “primaria via di comunicazione fra il comando italiano e le formazioni superiori”11. Come ricordava il generale Paolo Berardi, capo di Stato maggiore del Regio esercito, alcune Blu “si comportarono come se fossero veri comandanti titolari, sovrapponendosi addirittura ai comandanti italiani, e per conseguenza, esautorandoli”, evidenziando l’insorgere di problematiche legate alla sovrapposizione di competenze che saranno analizzate più in avanti12. Sciolta di fatto la prima missione militare presso l’Esercito italiano, confluita a seguito del riordinamento delle strutture di controllo alleato nell’Italia occupata all’interno dell’organico assai più articolato della Commissione di controllo, se ne formava una seconda il 6 novembre, distaccata non più dall’Afhq di Algeri, bensì dal Comando del XV Gruppo di armate anglo-americane, guidato dal generale Harold Alexander e attivo nell’Italia meridionale. Capeggiata dal generale Cyril Collier Duchesne, con sede a Lecce e un distaccamento a Napoli, tale missione era incaricata di coordinare le attività delle forze alleate presenti nella penisola con dell’invio della missione anglo-americana, il Maresciallo se ne compiaceva, parlando di “inizio coordinamento”, in I-3, b. 119, 12 settembre 1943, Badoglio a Eisenhower. 10 L-13, Stato Maggiore Generale, Ufficio operazioni, Esercito Italiano, 10 marzo 1945. 11 Cit. S. LOI, op. cit., p. 104, documento n.15. 12 Ivi, doc. n. 16.

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quanto rimasto della VII Armata italiana in Puglia, Lucania e Calabria, poi sciolta, e con il comando delle Forze armate della Campania13. La missione si componeva di una ventina di ufficiali e di circa 80 tra sottufficiali e truppa. La sua funzione di collegamento consisteva principalmente nella ricezione di tutte le richieste italiane riguardanti l’impiego delle Forze armate, limitandosi quindi a mansioni di corriere. Agli inizi di novembre, una direttiva alla Missione su come gestire le relazioni con l’esercito italiano, diviso in quel momento nei due comandi della VII Armata al Sud e le truppe in Campania, stabiliva che tutte le questioni relative alla politica delle operazioni, l’organizzazione delle truppe e le questioni locali nelle zone di sua competenza sarebbero spettate al comando di Alexander. La compresenza nei territori occupati di Allied Military Government, Allied Control Commission, Comando del XV Gruppo d’armate e distaccamenti del Comando supremo interalleato non poteva che ingenerare una situazione di confusione amministrativa e di sovrapposizione di prerogative tra le diverse agenzie alleate, alle quali dovevano aggiungersi le strutture in via di ricostituzione dell’amministrazione italiana14. Questo era vero con particolare evidenza nel caso dei conflitti di competenze che si manifestavano nei rapporti tra i vari uffici di collegamento alleati con le Forze armate italiane: come aveva modo di sottolineare lo stesso Comando supremo italiano, ad esempio, “il fatto che la missione Duchesne possa muovere qualunque reparto delle FF.AA. italiane crea interferenze con la CAC e lo SMRE”15. La missione agiva alle dirette dipendenze di Alexander, senza l’obbligo di dover passare per i tradizionali canali di comunicazione con Algeri prima di interagire con i comandi italiani. In aggiunta alla responsabilità del coordinamento dei movimenti delle truppe italiane con le competenti autorità alleate16, la missione alleata adempiva a compiti di intermediazione tra i due versanti della lotta antitedesca: tutte le comunicazioni riferentesi all’Esercito italiano avvenute tra autorità alleate e il ministero della Guerra 13

Cfr. I-3, b. 119, 6 novembre 1943, XV gruppo armate (Brig. Martin) alla missione militare alleata (Duchesne, Brindisi), Missione militare presso l’esercito italiano. Sulle sorti della VII Armata e delle truppe italiane al Sud dopo l’armistizio si veda, tra gli altri, M. DE PROSPO, Resa nella guerra totale. Il Regio esercito nel Mezzogiorno continentale di fronte all’armistizio, Mondadori Education, Milano 2016. 14 Sulla complessa strutturazione del controllo alleato nell’Italia occupata imprescindibili rimangono D.W. ELLWOOD, L’alleato nemico: la politica dell’occupazione anglo-americana in Italia, 1943-46, Feltrinelli, Milano 1977, e B. ARCIDIACONO, Le ‘précedént italien’ et les origines de la guerre froide. Les Alliés et l’occupation de l’Italie, 1943-1944, Bruylant, Bruxelles 1984. 15 I-3, b. 230, 4 dicembre 1943, Comando supremo – Ufficio operazioni, Missione militare presso l’esercito italiano. 16 Si veda in merito il documento in nota 10.

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dovevano infatti essere fatte per il tramite o alla presenza di un ufficiale della missione, e tutte le comunicazioni ricevute dal ministero da parte di autorità alleate che non fossero la missione stessa dovevano a questa essere riportate17. La presenza in territorio occupato di agenti alleati era il risultato inevitabile di un’operazione volta alla gestione e all’integrazione quanto meno parziale delle forze militari italiane nello sforzo bellico nella penisola. Le due missioni militari che si erano susseguite nei primi mesi dell’occupazione avevano potuto, supportate dall’impalcatura istituzionale prevista dai termini di resa e pressoché senza limitazioni di sorta, lavorare all’organizzazione della collaborazione militare italo-alleata. Lo stesso armistizio che lasciava carta bianca ai rappresentanti anglo-americani attivi a Brindisi, tuttavia, prevedeva la concessione alle autorità italiane di una rappresentanza presso il Comando interalleato di Algeri. Nasceva così, nel settembre 1943, il primo nucleo di collegamento italiano con gli Alleati: la Missione militare italiana presso l’Allied Forces HeadQuarters, affidata a chi era stato incaricato di relazionarsi alle autorità alleate già nella fase pre-armistiziale, il generale Giuseppe Castellano18. La missione nasceva infatti con il compito di condurre le trattative armistiziali e acquisiva in seguito le mansioni di collegamento con lo stesso comando alleato, presso il quale rappresentava le istanze militari provenienti dal governo e dal Comando supremo italiani. Già agli inizi dell’ottobre 1943 questa si era fatta carico di presentare ai vertici anglo-americani una serie di questioni a breve, medio e lungo termine che interessavano gli sviluppi dell’opera di ricostituzione delle Forze armate italiane. Di queste, ben poche trovavano facile soluzione in una armoniosa comunione di intenti con gli Alleati, e diverse tra le problematiche esposte erano destinate a ricevere una conclusione negativa anche dopo mesi di negoziati. Nei primi mesi delle discussioni con Algeri, Castellano concentrava la propria attenzione prevalentemente su tre assi: la richiesta di materiali per gli usi più disparati; la restituzione di armi, munizioni e naviglio; l’avvio effettivo della partecipazione del Regio esercito alla guerra contro la Germania. Le Forze armate italiane, per il tramite di Castellano, richiedevano il censimento e la messa a disposizione

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I-3, b. 230, 5 ottobre 1944, Min. Guerra a Smg, Relazioni con la MMIA. La comunicazione alle autorità italiane era avvenuta il 27 settembre. 18 Sulla sua composizione si veda Comando supremo, Uff. op., Composizione della Missione Militare Italiana presso il Comandante delle Forze Alleate, Aussme, Ds, b. 4209. Al servizio di Castellano vi erano sette ufficiali, tra cui un interprete e ufficiali di collegamento con la Marina, l’Aviazione e l’Esercito.

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dell’equipaggiamento bellico rinvenuto dalle truppe anglo-americane in Libia, Tunisia, Sicilia e Calabria, l’utilizzazione dei propri militari detenuti come prigionieri di guerra, l’invio di rifornimenti per la popolazione civile e militare e di materiale propagandistico antitedesco19. La missione fungeva inoltre da principale mezzo di comunicazione con l’esterno per il governo italiano. Nel quadro previsto dalla supervisione istituzionale imposta a partire dalla formazione dell’Acc, le relazioni dell’esecutivo provvisorio brindisino con il mondo esterno e le comunicazioni d’ufficio tra Brindisi e le legazioni italiane all’estero dovevano passare attraverso il vaglio della commissione di controllo20. Per questo motivo il capo del governo tentava, nel novembre 1943, di ampliare le competenze della missione Castellano trasformandola in un ente non più strettamente militare, bensì in un organo di coordinamento e rappresentanza tout court21. Badoglio riteneva “vantaggioso, nell’interesse comune, se alla Missione italiana in Algeri potesse essere aggregata una persona atta a svolgere sul posto una proficua attività di chiarimento e di informazioni anche in materia civile e finanziaria in particolare”. Questo avrebbe provveduto ad “integrare utilmente la sfera esclusivamente militare in cui la predetta Missione attualmente opera”22. L’allargamento a funzioni politiche della missione doveva dunque avvenire, secondo la proposta di Badoglio, con l’inclusione all’interno del suo organico di un membro civile, la scelta del quale era caduta su Dino Philipson, ex deputato liberale nelle legislature del 1919 e 1924, di provata fede antifascista. Il palesarsi della necessità di fornirsi di una componente politica nei compiti di rappresentanza presso il comando algerino nasceva in stretta connessione con la prevista formazione di una Commissione mediterranea che, nei piani sovietici, avrebbe dovuto occuparsi delle vicende politico-istituzionali italiane, garantendo la partecipazione dei paesi coinvolti nella guerra contro l’Italia ma non inclusi nella struttura dell’Afhq di Eisenhower. Riscontrata l’opposizione anglo-americana in 19

I-3 b. 47, 3 ottobre 1943, Comando supremo, Uff. op., a Castellano, Elenco questioni già rappresentate alla parte anglo-americana e tuttora insolute. 20 Un’analisi delle misure diplomatiche e amministrative adottate dai governi italiani nel tentativo di liberarsi parzialmente dai vincoli armistiziali si trova in M.M. ATERRANO, Una difficile coesistenza. I governi italiani e l’occupazione anglo-americana, 1943-1944, «Italia Contemporanea», n. 282, 2016, pp. 180-96. 21 I-3, b. 119, e DDI X, 1, 27 novembre 1943, Badoglio a Prunas e Comando supremo, doc. 80, pp. 95-6. 22 DDI X, 1, 27 novembre 1943, Badoglio a Joyce, vicepresidente Acc, doc. 81, pp. 96-7.

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merito, Stalin era stato accontentato soltanto parzialmente con l’istituzione dell’Advisory Council for Italy, preposto alla trattazione degli affari politici italiani con funzione esclusivamente consultiva. La missione Castellano teneva aggiornato, sin dai suoi inizi, il Comando supremo sugli sviluppi riguardanti la creazione di questa commissione e, più in generale, sulla ricezione della cobelligeranza italiana presso il comando alleato di Algeri. Nei suoi rapporti inviati a Brindisi, Castellano dedicava pagine intere a considerazioni dall’intonazione e fors’anche dalle finalità politiche. Esemplare, fra tutti, il caso delle relazioni con il Comitato francese di liberazione nazionale (Cfln), dettagliate dal generale in tutte le loro sfaccettature, riflessioni e suggerimenti di natura politica compresi23. Di opinione differente era invece Renato Prunas, segretario generale del ministero degli Affari esteri, poco convinto “che la Missione come tale [potesse] avere troppo vasti sviluppi in campi diversi da quello militare”. A seguito dell’istituzione e dell’ampliamento della commissione di controllo, “le maggiori questioni economiche, e amministrative [sarebbero state] trattate infatti a Brindisi, non ad Algeri”. Piuttosto che sulla Missione di Algeri, continuava Prunas, “il nostro interesse dovrebbe, credo, essere concentrato sulle Commissioni predette [la commissione europea in formazione a Londra e il comitato consultivo per l’Italia], per ottenervi appena possibile una qualunque forma di rappresentanza. La Missione militare potrà esserci utile oltre che per i suoi scopi specifici anche come uno dei mezzi per giungere a tali fini”24. Per il governo italiano la missione di Algeri costituiva “una delle poche finestre che ci rimangono aperte su determinati settori: potrebbe cioè essere cautamente utilizzata per i nostri primi approcci e contatti con la Russia e col Comitato francese di Liberazione, essendoci da parte alleata preclusa finora ogni altra strada diretta”. Agli occhi degli italiani, infatti, l’Allied Forces HeadQuarters di Algeri non era, “salvo che per le questioni militari, che una grande stazione di smistamento di carte”, una “barriera burocratica fitta, disordinata e inefficiente” imposta dagli Alleati che bisognava necessariamente scavalcare al fine di ottenere un canale di comunicazione diretto con Washington e Londra25.

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Ds, b. 4212, 20 ottobre 1943, Castellano a Comando supremo, Commissione Mediterranea. DDI X, 1, 29 novembre 1943, risposta di Prunas a Badoglio, doc. 83, pp. 98-9. 25 Ibidem. 24

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La risposta negativa ricevuta dall’Acc alla richiesta di aggregare Philipson alla missione era riconducibile ad una differente interpretazione delle funzioni che questa avrebbe dovuto svolgere. Secondo il Comando alleato, infatti, la missione aveva “caratteri e scopi esclusivamente militari”. Per tutte le altre vicende non confinate alla sfera militare la Commissione di controllo era invece “il solo organo competente e sufficiente”. Il forte disappunto manifestato dal governo italiano era riconducibile alla sensazione che ogni nodo politico, militare o amministrativo venisse sottoposto ad una interpretazione restrittiva delle clausole contenute nell’armistizio che “ne aggrava[va] senza ragione le condizioni già pesantissime”26. I termini di resa, d’altronde, parlavano di rappresentanza degli interessi italiani ad Algeri senza “specifica[re] affatto che [dovesse] trattarsi di rappresentanza esclusivamente militare”. Il comando interalleato in Nord Africa, d’altra parte, era un “centro di informazioni e di contatti [con altre rappresentanze] che, nell’ermetico isolamento dall’esterno in cui il Governo italiano è costretto dagli Alleati a vivere, era perfettamente logico ed umano supporre ci fosse lasciato aperto”27. La missione Castellano sarebbe poi stata rimpatriata e riassorbita dai diversi ministeri in data 18 luglio 1944, a seguito dell’avanzamento delle operazioni in Italia, della presa di Roma e dello spostamento a Caserta del quartier generale alleato28. Le operazioni di collegamento si sarebbero spostate su un piano diverso, più empirico e meno diplomatico, con l’avvio della collaborazione militare tra occupati e occupanti.

2. Gli uffici di collegamento italiani presso le armate alleate Il tema della partecipazione italiana alla lotta contro l’invasore tedesco era al centro della scelta del governo brindisino, pur dietro notevoli pressioni alleate, di abbandonare ogni remora, dichiarare guerra alla Germania nazista e avviare ufficialmente la cobelligeranza il 13 ottobre 1943. In quei giorni Badoglio suggeriva al

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DDI X, 1, 1 dicembre 1943, Prunas a Badoglio, doc. 85, pp. 100-101. Le stesse argomentazioni vengono poi esposte da Badoglio a Joyce, con tutto il suo disappunto, il 2 dicembre 1943, doc. 87, pp. 102-3. 27 Ibidem. 28 Cfr. Prunas a Stone, 27 luglio 1944, b. 4209. Messe aveva dato parere favorevole al suo ritiro da Algeri il 5 luglio, cfr. Messe a Ministero della Guerra, Missione Militare Italiana ad Algeri, in ibidem.

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Comandante supremo alleato Eisenhower l’uso di truppe italiane nel proseguimento della campagna di risalita della penisola29. L’atteggiamento alleato in merito, tuttavia, si manteneva tra lo scetticismo e la sfiducia: come sottolineato dallo studioso statunitense Charles O’Reilly, “although the Allies sought Italian cooperation, they wanted the Italians to keep out of their way insofar as combat troops were concerned”. D’altra parte, il generale statunitense Taylor spiegava come, “because of command problems and support problems, the use of Italian forces on a large scale is not anticipated”, un atteggiamento definito, in un memorandum di ottobre, “illogico” da Ambrosio30. La resistenza opposta dai comandi militari alleati ad una piena inclusione delle truppe italiane presenti nella penisola dopo l’armistizio era in forte contraddizione con le promesse fatte a Badoglio sia dai leader politici anglo-americani che da Eisenhower in occasione dell’incontro di Malta31. Non era tuttavia incompatibile con lo sfruttamento delle stesse a fini di supporto logistico, ed è proprio in questo ambito che la partecipazione delle Forze armate italiane sarebbe risultata più consistente e apprezzata. Come si accennava in precedenza, le complesse dinamiche intrinseche nello sviluppo di una collaborazione militare efficace necessitavano di una fitta rete di sostegno che potesse garantire una comunicazione fluida e affidabile tra le parti a tutti i livelli. Come le missioni di alto profilo diplomatico-militare guidate da Castellano e MacFarlane avevano instaurato e intessuto i primi legami ai vertici delle gerarchie politiche e militari coinvolte nella vicenda della cobelligeranza, così gli uffici di collegamento avevano lavorato all’integrazione effettiva dello sforzo italiano all’interno di quello alleato nella penisola. La vicenda del collegamento con gli Alleati si snodava in due grandi categorie, una riguardante le questioni di ordine generale fra il Comando supremo e lo Stato maggiore di Eisenhower − le missioni MacFarlane e Castellano per l’appunto − e un’altra concernente le questioni di ordine particolare facenti riferimento agli Stati maggiori di ciascuna forza armata e agli organi corrispondenti.

29

Lettera del 12 ottobre, citata in C. O’REILLY, Forgotten Battles. Italy’s War of Liberation, 19431945, Lexington Books, Lanham MD 2001, p. 119. 30 Ibidem. 31 Si veda in merito il Verbale di Malta conservato in Archivio storico-diplomatico del ministero degli Affari esteri, Segreteria generale 1943-1947, vol. II.

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Diversi gruppi appartenenti alla seconda categoria erano dislocati sul territorio italiano e dediti non soltanto alla rappresentanza istituzionale, ma anche alla gestione degli aspetti più tangibili della collaborazione con le forze anglo-americane. Oltre agli elementi del servizio informazioni distaccati dal Comando supremo Sim presso le due armate britannica e statunitense operanti nel teatro italiano, le cui attività saranno analizzate nel prossimo paragrafo, numerosi uffici di collegamento erano attivi presso le autorità alleate nell’Italia occupata. La prima e più importante missione militare di collegamento distaccata dallo Stato maggiore del Regio esercito già prima della dichiarazione di cobelligeranza si insediava presso il quartier generale del XV Gruppo di armate alleato sotto il comando di Harold Alexander, a capo delle operazioni militari nella penisola. Composta di tre ufficiali dell’esercito (di cui un capo, uno proveniente dal servizio informazioni, e uno dallo Stato maggiore) e uno della Regia aeronautica, la missione veniva costituita il 18 ottobre 1943 e dislocata a stretto contatto con il quartier generale delle armate in Italia, spostandosi quindi da Bari, in villa Amendoni, al palazzo Reale di Caserta, e infine all’ex palazzo del ministero dell’Aeronautica a Roma, risalendo la penisola al fianco del comando alleato32. La missione, affidata prima al generale Umberto Utili, poi a Giorgio Negroni, costituiva il canale ufficiale attraverso il quale ottenere aggiornamenti sull’andamento della guerra al fronte e nei territori occupati33. Grazie al giornaliero scambio di notizie con gli Alleati, con i quali si avviava una discussione sugli argomenti più vari, dalle esigenze pratiche alla conduzione delle operazioni militari, la missione si trovava nella posizione ideale per fornire alle autorità italiane aggiornamenti sulla situazione bellica nei territori non amministrati dagli italiani34. Dal suo quartiere generale giungevano infatti a Brindisi resoconti quotidiani delle interazioni con il comando alleato in Italia, utili nella formazione di un quadro di riferimento sulla base del quale costruire le iniziative tanto politiche quanto militari dei governi italiani. Un secondo e altrettanto fondamentale nucleo di collegamento veniva stabilito dallo Smre con la sottocommissione Esercito della Commissione alleata di controllo, incaricata di gestire ogni aspetto della partecipazione delle truppe italiane alle operazioni alleate. I rapporti con la Land Forces SubCommission, inizialmente 32

I-3, b. 230, 7 ottobre 1943, Comando supremo, Collegamento con il 15° Gruppo Armate anglo americano. 33 20 ottobre 1943, Cs, Uff. op. a Smre, Missione Utili, b. 4209. Missione formata dal Cs il 7 ottobre e dipendente dallo Smre. 34 La missione, che come primo incarico avrebbe visitato nell’ottobre 1943 il quartier generale di Mark Clark a Napoli, sarebbe stata sciolta il 27 luglio 1945 con la reintegrazione nello Smre.

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in veste di Mmia, avrebbero costituito il fulcro di ogni discussione sulle questioni militari che intercorrevano tra lo Stato maggiore dell’esercito italiano e le autorità alleate incaricate di supervisionarne la rinascita. In una prima fase della cobelligeranza, il lavoro a stretto contatto con l’ufficio del capo di Stato maggiore Maxwell Taylor e del maggiore James Angleton costituiva la pietra angolare del tentativo, tanto italiano quanto alleato, di superare le incomprensioni reciproche e giungere ad una dinamica razionale ed efficace nella collaborazione militare fra le due parti35. Nel luglio 1944, tuttavia, a seguito del ricongiungimento di tutti gli organi militari e informativi nella Roma liberata, la sezione italiana di collegamento presso la Commissione di controllo non aveva più motivo di esistere e veniva pertanto sciolta. La compresenza delle agenzie italiane e alleate nella capitale rendeva superflua l’opera di collegamento nell’ambito di un progressivo facilitamento dei rapporti tra i ministeri italiani e i rappresentanti del controllo alleato. Le operazioni di collegamento non si limitavano al raccordo tra i vertici delle Forze armate italiane e alleate, ma si diramavano capillarmente verso il basso nei quadri militari anglo-americani al fine di garantire un contatto ampio e profondo con tutti i poli del potere alleato. Numerosi erano infatti gli ufficiali italiani distaccati dal ministero della Guerra in funzione di tramite presso varie unità e agenzie alleate, dalla Commissione alleata di controllo (capitano Pietro Apostolo) all’Office of Strategic Services (s.tenente Di Francesco), dal centro Balcani di Bari (ten.col De Luca) al Rome Allied Area Command (s.tenente Mario Bolaffio), con un’espansione del raggio d’azione che procedeva parallelamente alla penetrazione delle truppe alleate nella penisola36. A questi andavano aggiunti i nuclei destinati a gestire gli aspetti più minuti della collaborazione, le liaison tra le singole unità di combattimento e i comandi regionali alleati. Esemplare in questo caso è l’istituzione di una sezione collegamento all’interno del Comando truppe italiane per la Peninsular Base Section (Pbs, poi Comando italiano 212)37. La formazione dei nuclei di collegamento all’interno delle Forze armate italiane faceva generalmente seguito ad una richiesta specifica da parte degli Alleati. La penuria, tra le fila delle armate anglo-americane, di personale qualificato che fosse in grado di assolvere ai compiti derivanti dall’occupazione di un territorio straniero – 35

Fino al 2 febbraio 1944 l’ufficio era gestito dal colonnello Edoardo Rossi, cfr. Stone a Messe, 18 luglio, riportato in S. LOI, op. cit. 36 Smg, Esercito Italiano cit. 37 Il 5 agosto 1944 si costituiscono il Comando truppe italiane Pbs I zona, Napoli; II zona, Civitavecchia; III zona, Piombino.

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dai servizi di traduzione alla manutenzione delle reti telegrafoniche – spingeva le diverse unità anglo-americane operanti nel Mezzogiorno ad avvalersi dell’aiuto fornito dalle truppe italiane, permettendo così di rendere concreto quel supporto logistico che già le autorità alleate avevano immaginato alla base della collaborazione con la controparte italiana. Erano dunque spesso gli Alleati stessi a richiedere l’invio di ufficiali di collegamento per sopperire ad alcune lacune o svolgere compiti specifici. Ai comandi e agli uffici di collegamento italiani già in attività presso le unità alleate giungevano numerose richieste di invio di ufficiali da parte di diversi distaccamenti delle truppe anglo-americane attive nel territorio occupato. Tali richieste venivano poi girate al Comando supremo, che a sua volta si incaricava, in caso di approvazione, dello smistamento del personale alla volta della destinazione finale. Sin dagli albori della collaborazione militare le armate alleate sollecitavano, attraverso i canali più disparati e con una marcata insistenza, l’assegnazione di missioni militari che potessero fornire un supporto ai gravosi impegni previsti sia dalla lotta al fronte che dall’occupazione. A titolo esemplificativo si fa qui riferimento a due petizioni che evidenziano quanto, a seconda delle necessità contingenti, le richieste potessero concentrarsi su degli specifici profili di ufficiali o limitarsi a parametri assai più generici: la prima, proveniente dal Distretto 2 (Fortbase) al comando del generale Dowler e di stanza a Bari, al quale era stata inviata in ottobre 1943 una missione capeggiata dal generale Vallone e composta, dietro esplicita richiesta alleata, da sette ufficiali38; la seconda, giunta dalla V Armata statunitense, chiedeva l’assegnazione di due ufficiali del genio per compiti di organizzazione, manutenzione e sfruttamento di tutta la rete telegrafonica nazionale, sulla base di quanto già accadeva presso la VIII Armata britannica39. Allo stesso tempo, una posizione simile era tenuta da una parte dei comandi italiani coinvolti nelle attività di collegamento, interessati a loro volta a posizionarsi nelle vicinanze dei centri di potere alleati al fine di accelerare il processo di affrancamento giurisdizionale e di ricavare informazioni più dettagliate sull’andamento della guerra. Agli inizi di ottobre, già prima dell’avvio effettivo della cobelligeranza, il capo di Stato maggiore generale Giovanni Messe lamentava che il contatto con le

38

Ds, b. 4209, 28 ottobre 1943, Comando VII Armata a Smre, Ufficiali per il comando distretto N. 2, con riferimento alle lettere di richiesta del 14 e del 17 ottobre. 39 Ds, b. 4209, 16 ottobre 1943, Smre a Cs e comando VII Armata italiana, Ufficiali per i collegamenti delle retrovie inglesi.

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autorità civili e militari alleate veniva stabilito da parte italiana “con ritardo ed inorganicamente”, né, continuava, poteva essere altrimenti, “perché non siamo informati direttamente dello spostamento del fronte, e gli ufficiali e funzionari inviati in avanti – non essendo accreditati presso i comandi anglo-americani – incontrano difficoltà”. La soluzione al distacco che vedeva imposto dagli Alleati consisteva, stando alle sue valutazioni, nella costituzione di un centro italiano di collegamento, composto “da ufficiali e – se possibile – anche da funzionari civili, presso i comandi anglo-americani di gruppo di armate, di armata e dei CdA di prima linea”. Questi centri proposti avrebbero dovuto al più presto prendere contatto con le autorità alleate nelle località liberate, informarle della situazione generale e ricevere da queste le prime disposizioni per le autorità centrali italiane, agevolando i contatti fra il governo militare e le autorità italiane nei centri liberati al fronte. In aggiunta alle funzioni di tramite tra le due parti, i nuclei di collegamento avrebbero dovuto lavorare attivamente alla ricostruzione del Regio esercito, indirizzando verso i punti di raccolta delle forze italiane quei soldati italiani che si fossero presentati dopo l’armistizio presso i comandi alleati al fronte. Soltanto seguendo un’impostazione simile, concludeva Messe, “le nostre autorità centrali politico-militari potrebbero, assai meglio che non attualmente, assumere il contatto coi territori liberati, farvi sentire il loro influsso, ed essere al corrente delle loro condizioni”40. Sulla stessa linea si schierava Negroni, a capo della missione presso il comando del XV Gruppo di armate alleate. Questi proponeva con forza al Comando supremo l’invio di un ufficiale di collegamento presso ogni unità alleata, e che tutti questi ufficiali fossero poi organizzati in una struttura unica presso la Missione militare presso il comando alleato41. La proposta di Negroni aveva il neanche troppo nascosto obiettivo di porre l’intera rete di collegamento dispiegata dal Comando supremo e dallo Smre sotto il controllo del proponente. Una simile posizione, tuttavia, non era dettata esclusivamente da interesse personale, ma rientrava in un più ampio desiderio dei comandi italiani di sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla presenza di propri distaccamenti nel cuore dei centri decisionali anglo-americani in Italia. Lo stesso Smre insisteva a partire dall’ottobre 1943 affinché si aumentasse il numero e approfondissero le competenze dei nuclei di collegamento con le diverse branche delle Forze armate impiegate sul territorio occupato, lontane dal fronte. La missione presso il comando di Alexander non era difatti in grado di soddisfare tutte le multiformi esigenze del collegamento, in quanto soltanto le forze di 40 41

I-3 b. 119, 5 ottobre 1943, Capo di Stato maggiore al Comando supremo, Centri di collegamento. I-3, b. 230, 13 marzo 1944, Cs, Uff. op., Ufficiali di collegamento presso i comandi operanti alleati.

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terra impiegate nella striscia di fronte occupata dal XV Gruppo di armate faceva riferimento a quel comando, lasciando il resto dei territori occupati sotto il comando del quartier generale alleato di Algeri42. Una tale coincidenza di interessi risultava in un inevitabile fiorire di uffici, nuclei, missioni, che si incrociavano in direzioni opposte, si sovrapponevano frequentemente e si contendevano prerogative, diritti e priorità nella gestione delle limitate sfere di autorità che riuscivano a guadagnarsi. Allo stesso modo, il numero di organi che ne gestiva la creazione e ne distribuiva le competenze era tanto elevato da generare quasi automaticamente conflitti di appartenenza. Negroni, con un atteggiamento tipicamente polemico, metteva in dubbio l’utilità stessa dei gruppi di raccordo tra italiani e alleati e denunciava lo scarso controllo che gli stessi comandi italiani esercitavano sul numero e sulle funzioni degli ufficiali attivi presso le truppe anglo-americane. Molti degli uffici dislocati dalle Forze armate, stando alla sua interpretazione, “non ten[evano] il collegamento con nessuno”, producendo soltanto un ulteriore strato di confusione amministrativa. A supporto delle sue conclusioni, Negroni citava il caso piuttosto clamoroso del nucleo I attivo presso la V armata americana e stanziato a Caserta, il quale si era “autonominato ‘Missione Militare Italiana’ e tuttora mantiene la denominazione, creando confusioni ed interferenze” con la missione che affiancava il comando del XV Gruppo di armate alleato, anch’esso con sede nella Reggia di Caserta43. La confusione amministrativa all’interno delle strutture di collegamento non era dovuta alla sola sovrapposizione di competenze tra organi simili con appartenenze diverse, ma era il prodotto dell’incertezza nella quale le Forze armate italiane si trovavano ad operare. Il rientro problematico di soldati dalle zone sottoposte ad occupazione tedesca rallentava le operazioni e costringeva i comandi italiani ad una costante attività di aggiornamento delle liste. Come sottolineava Negroni con un pizzico di frustrazione, alcuni di questi soldati “sono stati raccolti dalle stesse unità alleate nel loro procedere dal sud al nord e poi trattenuti senza che nessuno sappia chi sono. […] Ma quanti sono? Dove sono? La missione sa soltanto di quelli per i quali ha veduto passare le carte”44.

42

I-3 b. 119, 17 ottobre 1943, Smre al Comando supremo, Missione Utili. I-3, b. 230, 11 marzo 1944, Smre, Missione militare di collegamento presso il Comando Forze Alleate Mediterraneo Centrale, Col. Giorgio Negroni, Promemoria personale per il Signor Generale Infante. 44 Ibidem. 43

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Nella grande babele di denominazioni, compiti, provenienze e appartenenze, i vari organi ai vertici della catena di comando tentavano di legittimare la propria autorità imponendo un controllo totale sulle comunicazioni. Nel settembre 1944, quando il quadro del collegamento si era ormai consolidato, il ministero della Guerra provava a ristabilire il pieno dominio sulle relazioni con la sottocommissione Esercito della Commissione alleata di controllo (Asc) avocando a sé il diritto di conoscenza su tutte le comunicazioni in entrata e uscita che coinvolgevano in maniera diretta o indiretta l’esercito italiano. Tutte le richieste poste alla Asc, al pari di tutti i rapporti sulle attività svolte dagli uffici di collegamento, dovevano essere trasmesse al ministero, che poteva così formarsi un preciso quadro della situazione45. Già dal marzo 1944 il ministero rilevava la tendenza da parte di comandi di unità minori a formulare direttamente alla sottocommissione per l’esercito proposte e richieste varie, senza passare attraverso il vaglio del ministero stesso. In una serie di direttive il dicastero interveniva perché fosse chiarito definitivamente che “tutto quanto interessa la vita ed il funzionamento dell’Esercito deve essere sempre rappresentato a questo Ministero”. L’affermazione di autorità era ulteriormente supportata dalla volontà della sottocommissione in questione, la quale aveva “ripetutamente notificato che non terrà in alcun conto richieste che potessero giungerle senza il tramite del Min. della Guerra”46. Simile la posizione adottata dalla missione militare anglo-americana presso l’esercito italiano, forse ottenuta mutuando lo schema approvato dal ministero italiano e riproponendolo in campo alleato. La Mmia deliberava infatti che tutte le comunicazioni scritte o verbali intercorse tra le autorità alleate e il ministero della Guerra facenti riferimento all’esercito italiano dovessero essere distribuite per il tramite o alla presenza di un ufficiale della missione; Allo stesso modo, i trasferimenti o le assegnazioni non potevano essere effettuati senza previa autorizzazione della missione, alla quale spettava autorità assoluta in termini di approvazione di richieste e smistamenti di personale e mezzi47. La corsa alla centralizzazione della catena di comando degli uffici di collegamento era motivata dalle difficoltà che insorgevano a causa dell’arrivo di richieste 45

Ds, b. 4209, 19 settembre 1944, Smre, Relazioni con la Commissione Alleata di Controllo per l’Esercito (ASC). 46 I-3, b. 230, 21 marzo 1944, Ministero della Guerra (Pelligra) ai comandi militari delle FF.AA., Rapporti con la sottocommissione per l’esercito, MMIA. 47 Ds, b. 4209, 5 ottobre 1944, Min. Guerra a comandi militari e Smre, Relazioni con la MMIA.

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di ogni tipo dalle più svariate fonti. Questo aveva creato una situazione insostenibile che comportava inevitabili ritardi e mancanza di chiarezza su chi dovesse intervenire, in quali termini e con quali tempistiche. La missione alleata, ad esempio, come viene denunciato in diverse lamentele giunte ai comandi italiani, riteneva “opportuno e di competenza l’intervento dell’ufficio collegamento solo se d’ordine del Capo del Governo, del Comando Supremo o dello SMRE”. Delle questioni cui si era tentato di porre rimedio, diverse erano risultate di impossibile soluzione per il ritardo con cui l’intervento dell’ufficio era giunto, mentre in altri casi “il capo di SMG, di SM, e il capo del governo hanno dovuto intervenire personalmente e talvolta quando era troppo tardi”48. La soluzione adottata dallo Smre per limitare gli squilibri provocati dall’eterogenesi delle richieste e di possibili enti da coinvolgere nelle risposte prevedeva una divisione dei compiti piuttosto lineare: le richieste di importanza ridotta, dalla portata locale, potevano essere assolte dagli ufficiali di collegamento senza che questi fossero costretti a risalire la linea gerarchica per ottenere un’approvazione formale; le richieste riguardanti invece la cessione di reparti e mezzi dovevano sempre essere indirizzate allo Smre, al quale competeva la decisione finale in merito. La direttiva di comportamento generale imposta dall’alto agli ufficiali di collegamento voleva che si facesse “a riguardo […] ogni riserva verso la parte alleata circa l’accettazione delle richieste stesse”, manifestando una certa reticenza nell’accettare senza caute riflessioni le richieste/imposizioni alleate49. Un ulteriore terreno di conflitto era costituito dalla divisione delle competenze tra il Comando supremo, lo Stato maggiore del Regio esercito e le missioni inviate al fianco dei comandi alleati. In diverse occasioni era ancora Negroni a sollevare la questione della dipendenza istituzionale della missione da lui gestita. Dopo aver proposto al Comando supremo una ristrutturazione gerarchica che prevedesse il passaggio al suo ufficio delle competenze riguardanti il controllo e la gestione di tutti gli uffici di collegamento esistenti50, Negroni suggeriva che tale missione dipendesse direttamente dal Comando supremo anziché dallo Smre, smarcandosi in questo modo dal controllo dell’Ufficio informazioni dipendente dallo Stato maggiore dell’esercito. Il Comando supremo stesso, tuttavia, giudicava la proposta di 48

I-3 b. 119, Appunto per l’Ecc. il Capo di Stato Maggiore Generale, s.d. (ottobre 1943). Ds, b. 4209, 8 dicembre 1943, Smre ai comandi italiani, Direttive di massima agli ufficiali italiani di collegamento presso gli organi territoriali alleati. 50 Cfr. il promemoria al gen. Infante dell’11 marzo citato in nota 43. 49

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Negroni contraria al desiderio degli Alleati e neppure necessaria, oltre che non rispondente alla realtà della situazione51. Difficile risultava per i comandi italiani − nella confusione derivante dalla fluidità del fronte, dalle incerte delimitazioni delle aree di competenza dei diversi eserciti e dal disordinato rientro di soldati nei mesi successivi all’armistizio − anche mantenere il pieno controllo dei propri agenti in territorio occupato, al di fuori degli angusti confini della “King’s Italy”. Il problema della regolarizzazione della posizione degli ufficiali italiani che svolgevano servizio di collegamento presso le divisioni anglo-americane al fronte, privi però di alcun riconoscimento formale o informale che fosse da parte dello Stato maggiore italiano, era al centro delle attenzioni del Comando supremo e si intrecciava non soltanto al disordine normativo regnante nell’Italia occupata ma anche e soprattutto alle difficoltà affrontate dalle Forze armate italiane nel tentativo di riaffermare la propria autorità sulle truppe disperse a nord della linea del fronte al tempo dell’armistizio. Nel dicembre 1943, Messe chiedeva di inviare alle missioni presso le armate alleate delle precise indicazioni su come riportare la situazione, ormai giudicata fuori controllo, alla normalità, attraverso l’uniformazione delle cariche e delle mansioni52. La soluzione, tuttavia, non sarebbe stata né immediata né definitiva e avrebbe caratterizzato gli sviluppi delle attività di collegamento fino alla loro conclusione. Ancora nel marzo del 1944 il nucleo di collegamento presso la V Armata statunitense, ad esempio, lamentava in un rapporto al Comando supremo la presenza di soldati italiani, vestiti di uniforme italiana o inglese con distintivi di grado italiani, che prestavano servizio come interpreti pur senza aver mai fatto rientro presso i loro comandi. Nonostante la posizione irregolare, questi ricevevano una retribuzione di 200 lire al giorno dagli inglesi. L’ufficio di collegamento non poteva esimersi dal richiederne la regolarizzazione o la rimozione, ponendo i vertici militari italiani di fronte ad una scelta complessa quanto frequente53. L’importanza del ruolo svolto dai nuclei di collegamento era attestata dalla richiesta di ufficiali di “primissimo ordine” che il Comando supremo avanzava agli Stati maggiori di forza armata sin dagli inizi della cobelligeranza. La complessità dei 51

I-3, b. 230, 13 marzo 1944, Cs, Uff. op., Ufficiali di collegamento presso i comandi operanti alleati. In origine, il capo dello Smre chiedeva che la missione Utili fosse considerata come organo di collegamento tra lo Smre e il comando anglo-americano, in aggiunta ai compiti che questa aveva ricevuto dal Comando supremo, cfr. I-3 b. 119, 17 ottobre 1943, Smre al Comando supremo, Missione Utili. 52 Cfr. I-3 b. 119, 19 dicembre 1943, Messe allo Smre, Collegamento con unità del XV Gruppo Armate. 53 Si veda I-3, b. 230, 1 marzo 1944, Ufficiali italiani presso unità inglesi.

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compiti affidati a questi enti, veri e propri prolungamenti dei comandi militari italiani a stretto contatto con le forze alleate, spingeva le autorità brindisine a selezionare con grande cautela gli uomini destinati ai ruoli di vertice nelle missioni presso gli anglo-americani54. La selezione del personale avveniva pertanto sulla base delle esigenze contingenti. Tra i requisiti graditi ad inglesi e statunitensi figuravano naturalmente la conoscenza della lingua inglese − talvolta anche di quella tedesca −, il possesso di competenze tecniche in materia di censura postale, comunicazioni radio, ingegneria civile. Questo dipendeva dalla natura della collaborazione che i nuclei avrebbero dovuto offrire agli Alleati. Le attività degli uffici di collegamento erano variegate e toccavano diversi settori delle operazioni condotte dalle forze alleate in Italia. La loro opera, tuttavia, era assorbita perlopiù dalla “urgente necessità di appianare continue e moltissime questioni” tra i comandi militari, “per requisizioni disordinate di fabbricati, locali, materiali e mezzi di trasporto, come pure di appianare incidenti derivanti da atti di predonaggio, di prepotenza etc.”55. Parte consistente del compito degli uffici di collegamento consisteva infatti nell’occuparsi della ricezione di richieste di ufficiali italiani e gestirne la distribuzione, fungendo da organo di intermediazione tra lo Stato maggiore italiano e quello alleato, ma anche nel risolvere la discrepanza esistente tra le richieste di mezzi, uomini e locali provenienti dalle truppe anglo-americane e le esigenze delle autorità e delle popolazioni locali italiane. Le relazioni compilate dagli uffici dedicavano puntualmente la maggior parte delle attenzioni ai problemi inerenti alla cessione di materiali, alla gestione della manovalanza, alle requisizioni di immobili e di abitazioni private. Motivi di frizione con le autorità alleate emergevano principalmente dalle requisizioni non autorizzate e arbitrarie e dall’impegno in favore dell’aumento delle razioni di viveri e del salario a 20 lire giornaliere ai militari italiani impiegati dalle unità alleate in compiti di manovalanza56. Le attività dei vari nuclei di collegamento attivi nei territori occupati non si limitavano al mero supporto logistico o alla trasmissione delle direttive militari. Tra le più apprezzate dai comandi alleati figurava infatti l'opera sistematica di raccolta di informazioni sulle condizioni militari, economiche e sociali delle regioni sottoposte all'occupazione anglo-americana. Tale opera nasceva dalle esigenze del 54

I-3 b. 119, 8 ottobre 1943, Comando supremo (capo di Stato maggiore generale) a capi di Stato maggiore delle forze armate, Collegamento con il 15 gruppo armate anglo-americane. 55 Cit. l’appunto per Messe in nota 48. 56 I-3, b. 230, 6 marzo 1944, Cs, Uff. op., Ufficiali italiani presso unità inglesi.

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governo e del Comando supremo italiani di avere a disposizione un quadro quanto più chiaro e dettagliato possibile della situazione nei territori liberati dal controllo nazifascista, e rientrava in un più ampio programma di recupero di prerogative istituzionali e amministrative lanciato, seppur in termini incerti e asistematici, dai gabinetti Badoglio prima e Bonomi poi. Il recupero di informazioni sui territori nelle mani delle autorità occupanti era ritenuto una condizione imprescindibile in vista del prossimo passaggio di consegne che avrebbe restituito alle autorità italiane una parziale sovranità su quelle regioni. A beneficiarne maggiormente, tuttavia, erano i comandi militari e i governi alleati, contenti di poter contare sulle infrastrutture governative e sulle reti informative italiane per le loro esigenze di controllo e di conoscenza del territorio occupato. A partire da inizio novembre del 1943, ad esempio, e fino alla conclusione delle operazioni in Italia, la sezione Zuretti del ricostituendo Servizio informazioni militare curava un ‘Bollettino informazioni giornaliero’ con le informazioni ricevute dalle sue cellule presenti sul territorio. Questo, oltre a risultare utile al Comando supremo italiano, veniva apprezzato dalle autorità alleate e inoltrato in più copie a Londra, Washington e Algeri57. Tra le notazioni che punteggiavano le relazioni mensili sulle attività degli uffici si trovano anche delle considerazioni che andavano oltre il banale resoconto degli stabili requisiti o degli automezzi riparati, avventurandosi in valutazioni di tipo politico che rendevano evidente l’eclettismo cui questi uffici, per diretta impostazione dall’alto e per propria natura, si ispiravano. Approfonditi rapporti sulle attività comuniste in diverse aree del Mezzogiorno affiancavano la denuncia della presenza di agenti sovversivi intenti a disseminare propaganda antimonarchica58. Gli uffici di collegamento italiani producevano anche rapporti più sostanziosi in cui si discuteva delle problematiche esistenti offrendo qualche possibile soluzione. È il caso di alcuni dossier stilati durante la cobelligeranza e fortemente apprezzati dagli Alleati. Notevole, ad esempio, fu l’impatto di un esauriente documento sulla situazione economica in Italia, distribuito in oltre 150 copie presso tutte le agenzie alleate59. Ancora nel gennaio 1945, la Zuretti compilava

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L-13, Stato maggiore dell’esercito, Ufficio informazioni, Roma, 31 gennaio 1946, L’“Ufficio I” nella guerra di liberazione. 58 Si veda la documentazione in merito conservata nei Diari storici, b. 4212. I maggiori contatti fra gli uffici e autorità militari alleate si sono verificati a Bari e Brindisi nei primi mesi dell’occupazione, per la concentrazione dei centri principali del potere alleato in Puglia. Più limitata era stata invece l’attività degli uffici di collegamento presenti a Salerno e Napoli. 59 L’“Ufficio I” nella guerra di liberazione cit., p. 61.

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un’ampia panoramica sulla “situazione nell’Italia occupata”, poi diramata capillarmente tra le autorità politiche e militari sia italiane che alleate60. La presenza di organi militari alleati in Italia si protraeva ben oltre la chiusura delle ostilità, con l’occupazione che, sebbene in crescente distacco dalle forme più opprimenti del controllo manifestatesi durante la prima fase e lamentate dagli italiani, si sarebbe esaurita soltanto nel febbraio 1947 con la firma del trattato di pace. La necessità di coordinare i residui dell’ingombrante apparato militare alleato con il sempre più solido governo italiano e le sue autorità militari dopo la chiusura delle operazioni militari nella penisola era dunque ancora presente. L’opera dei nuclei di collegamento non si era quindi ancora esaurita. In aggiunta alla conservazione di alcuni distaccamenti che si erano distinti agli occhi delle armate britanniche e statunitensi per la loro utilità, nuovi gruppi venivano creati nei mesi successivi alla liberazione del Paese per facilitare la collaborazione e le comunicazioni tra gli eserciti ancora attivi nella penisola. Agli inizi dell’agosto 1945, la missione capeggiata dal colonnello Negroni riceveva ordine dal generale statunitense Clark di seguire il comando americano in Austria con il compito di facilitare il rimpatrio di civili e militari italiani61. Similmente a quanto tentato con la missione Castellano in Algeri, le autorità italiane avevano affidato a Negroni compiti propri che divergevano da quelli ufficiali assegnatigli dal comando alleato. A Negroni e ai suoi uomini si chiedeva infatti, godendo questi di una prospettiva privilegiata, più vicina al cuore delle decisioni alleate, di raccogliere informazioni e trasmetterle al governo italiano su diverse questioni politiche e militari ritenute della massima importanza in prospettiva futura. Di particolare interesse risultavano aggiornamenti sulla linea di demarcazione tra gli eserciti alleati e quello sovietico; sui movimenti politici austriaci tendenti a rivendicazioni territoriali; sulle non dissimili rivendicazioni jugoslave e sul futuro di Trieste; sulla pianificazione alleata e sovietica per il futuro ordine postbellico e la collocazione al suo interno dell’Italia. Nell’incertezza dei primi mesi di dopoguerra, il governo italiano tentava naturalmente di ottenere, in un contesto che lo vedeva ancora sottoposto ad una piena supervisione giurisdizionale, un quadro quanto meno intelligibile e realistico dei piani alleati sul suo futuro e sul suo posizionamento nell’ordine mondiale che stava per essere imposto in Europa.

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Ivi, Situazione nell’Italia occupata, pp. 72-3. Ds, b. 4209, 3 agosto 1945, Promemoria missione, e ivi, 19 luglio 1945, Smre, Missione di collegamento con il comando 15° gruppo armate anglo-americano.

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Le funzioni espletate dai gruppi di raccordo fra i comandi italiani e alleati nel corso della cobelligeranza non si esaurivano dunque con la conclusione delle operazioni militari sul territorio nazionale ormai liberato interamente dalla presenza nazifascista. Le nuove sfide presentate dalla situazione a partire dalla primavera del 1945 conducevano le autorità militari anglo-americane a richiedere la creazione di ulteriori unità ausiliarie che potessero affiancare le formazioni ancora attive nella penisola. In ottobre, ad esempio, per decisione della Mmia veniva costituito l'861° centro ufficiali di collegamento, formato da interpreti impiegati dai comandi e reparti britannici e incaricato di svolgere mansioni di raccordo con la popolazione locale e le truppe italiane integrate nelle attività delle formazioni britanniche nelle zone di frontiera62.

3. La ricostituzione dell’Ufficio I e l’opera di collegamento63 La partecipazione alle attività di collegamento tra il Comando supremo italiano e le autorità alleate in Italia non si limitò alle missioni militari analizzate nel primo paragrafo di questo saggio, né ai nuclei distaccati dai comandi italiani toccati nel secondo. Un terzo importante contributo giungeva infatti dall’Ufficio informazioni dello Stato maggiore del Regio esercito, ricostituito nel settembre 1943 in sostituzione del disciolto Servizio informazioni militare (Sim)64. L’ufficio I partecipò alle operazioni fornendo un apporto diretto alle Forze armate alleate presenti nella penisola, svolgendo importanti compiti di tramite fra le Forze armate italiane e i corrispondenti organi alleati, ma ebbe notevole rilievo anche nell’assistenza alle bande irregolari e nell’organizzazione delle attività partigiane. Le storie dell’ufficio I e del contributo italiano allo sforzo bellico alleato nel periodo della cobelligeranza sono infatti indistricabilmente legate fra loro. A seguito della caduta del fascismo, il generale Giacomo Carboni era stato nominato commissario straordinario a soprintendere al lavoro delle varie centrali del servizio informazioni militare italiano. Dopo lo sbandamento dell’armistizio, alcuni dei 62

Cfr. Ds, b. 4209, 9 novembre 1945, 861° centro ufficiali di collegamento italiani. Le informazioni e i dati contenuti in questo paragrafo sono in larga parte recuperati dal dettagliato studio sulle vicende del Sim durante la cobelligeranza eseguito dallo Smre a guerra appena terminata, il già citato L’“Ufficio I” nella guerra di liberazione. 64 Un buon punto di partenza per la storia del Sim durante la guerra è l’opera di G. CONTI, Una guerra segreta. Il SIM nel secondo conflitto mondiale, Il Mulino, Bologna 2009; si veda anche il saggio di N. DELLA VOLPE, L’attività di intelligence, contenuto in questo volume. 63

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membri di questi servizi giunsero alla spicciolata in Puglia, dopo aver attraversato le linee nemiche; altri invece andarono a costituire il Servizio informazioni difesa (Sid) al servizio della Repubblica sociale al Nord. A Brindisi, dunque, mancavano uomini e mezzi, in particolare il carteggio d’archivio del Sim rimasto in buona parte a Roma. Il 10 settembre, all’arrivo di alcuni dei membri dello Smre e del Comando supremo, la formazione o ricostituzione di un ufficio informazioni risultava essere tra le priorità di quanto rimasto delle Forze armate italiane, anche e soprattutto perché i comandi anglo-americani avevano spostato i propri uffici informazione e controinformazione a Brindisi, nonché richiesto e stimolato la collaborazione degli italiani in quel settore. Al fine di facilitare l’opera di ricostruzione di un organo con il quale interfacciarsi nello scambio di informazioni, alla fine di settembre gli Alleati richiamarono dalla prigionia il colonnello Pompeo Agrifoglio per affidargli la direzione del nuovo servizio di informazioni militare. Tra i compiti che dovevano spettare alla versione ricostituita dell’ufficio informazioni figuravano la riorganizzazione e il coordinamento dei nuclei periferici esistenti degli uffici I nell’Italia liberata; l’immediato ripristino dei contatti con quanto rimaneva delle cellule ex Sim nei territori occupati; l’opera di ostacolo da frapporre alle attività dei simpatizzanti filotedeschi e filorepubblicani al Sud. Per far fronte a queste necessità nasceva il primo nucleo dell’I, l’Ufficio informazioni e collegamento, affidato al generale Silvio Rossi. In mancanza di membri del Sim disponibili, venivano arruolati ufficiali dello Stato maggiore provenienti da Roma, privi quindi di esperienza specifica nel settore. Nelle sue fasi iniziali, l’ufficio soffriva a causa di una scarsa affluenza di personale qualificato o, per essere più precisi, di personale tout court: in settembre, soltanto quattro erano i nuovi arrivi dall’Italia occupata. Le difficoltà erano inoltre acuite dalle difficili condizioni materiali in cui l’ente si ritrovava ad operare, condizioni che rispecchiavano quelle precarie in cui era costretto a lavorare il governo provvisorio guidato da Badoglio. La ristrettezza della sede, una casetta a due piani con cinque vani presso i quali si assisteva ad un viavai di ufficiali alleati e di soldati italiani rientrati dalle zone occupate, non costituiva un ambiente assai più idoneo rispetto all’appartamento nel quale mosse i primi passi il ministero degli Esteri guidato dal segretario generale Renato Prunas65.

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L’isolamento internazionale cui il ministero era soggetto veniva aggravato dalle precarie condizioni nelle quali era costretto a operare a Brindisi, cfr. E. DI NOLFO, M. SERRA, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 93, e G. BORZONI, Renato Prunas diplomatico (1892-1951), Rubbettino, Soveria Mannelli 2004.

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Ad inizio ottobre, quando poteva considerarsi terminata la sua fase di impianto, il nuovo ufficio era incaricato dal Comando supremo di occuparsi di compiti riguardanti la raccolta e la diffusione di informazioni di natura militare, logistica e operativa. All’ufficio competevano, dunque, gli interrogatori del personale militare evaso da zone controllate dai tedeschi, l’organizzazione di una rete informativa nell’Italia occupata, il ripristino delle comunicazioni con le unità militari dislocate nei Balcani e, soprattutto, il collegamento con la Missione militare alleata. Con una prima risistemazione che prendeva effetto il primo ottobre, l’ufficio I rientrava interamente nell’ambito dello Stato maggiore del Regio esercito e, un mese più tardi, si andava strutturando in quattro sezioni. Si costituiva dunque una ‘sezione situazione’ Zuretti, con a capo il tenente colonnello Revetria, avente compiti di elaborazione delle informazioni e tenuta a giorno della situazione nemica, compilazione dei documenti informativi, interrogatori degli italiani provenienti da zone occupate dai tedeschi, intercettazioni radiofoniche e coordinamento dell’attività informativa delle Grandi unità italiane; una ‘sezione offensiva’ Calderini, guidata dal ten. col. Giuseppe Massaioli, dedita alla raccolta di informazioni sulla situazione nell’Italia non liberata, all’organizzazione di sabotaggi e alla preparazione di reti di informatori nell’Italia occupata; una ‘sezione difensiva’ Bonsignore, sotto il comando del maggiore Dotti, incaricata delle attività di controspionaggio e polizia militare; una ‘sezione organizzazione’, con a capo il ten. col. Paolo Ducros, volta invece al censimento e all’assegnazione del personale specializzato I laddove ve ne fosse richiesta, all’allestimento e alla distribuzione dei cifrari ai nuclei attivi in tutta la penisola. In aggiunta a queste venivano inoltre create una sezione amministrazione e un reparto autonomo indipendente da quello del Comando supremo, oltre al collegamento con l’Aviazione e, in seguito, a quello con la Marina. Ai fini della nostra ricostruzione è la sezione Zuretti a svolgere un ruolo centrale nell’opera di collegamento incoraggiata dagli Alleati e inseguita dagli italiani nei mesi successivi all’armistizio. Sin dall’avvio delle sue attività, infatti, questa era responsabile per l’invio di un ufficiale di collegamento presso il XV Gruppo di armate, sotto il comando del generale Alexander e facente parte della missione italiana presso tale comando, e per il distaccamento di altri due nuclei presso la V Armata statunitense e l’VIII britannica. Era pertanto dall’interno della Zuretti che, nel novembre 1943, venivano inviati i nuclei in periferia presso i centri di comando militare anglo-americani attivi nel Mezzogiorno con il mandato di facilitare la collaborazione militare tra le forze occupanti e quelle occupate. I due nuclei, guidati da ufficiali dello Smre di recente rientrati dalle zone occupate dai tedeschi, i ten. 107

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col. De Marco (nome in codice Scaramuzza) e Di Villanova (Esclapon), avevano il compito di procedere agli interrogatori degli italiani provenienti dal Nord, una volta passate le linee66. L’intento iniziale era quello di estendere la propria collaborazione progressivamente anche al campo informativo; tale obiettivo era stato raggiunto presso la V Armata americana, disposta a lasciare margini di movimento sempre maggiori agli italiani, ma non presso l’VIII britannica, dove l’ambiente era sensibilmente più chiuso67. La creazione di questi nuclei itineranti al seguito delle armate anglo-americane, infatti, mentre risultava gradita al comando statunitense, che ne aveva anzi fatto richiesta per ottemperare ad alcune esigenze che la collaborazione avrebbe semplificato, incontrava la diffidenza di quello britannico, che costringeva Esclapon ad una sorta di quarantena a Foggia prima di essere pienamente integrato nel corso dei mesi successivi68. Entro la fine del 1943, insomma, l’ufficio I si presentava in una forma strutturata semidefinitiva, con 112 militari alle proprie dipendenze69. I nuclei distaccati dall’Ufficio I presso le Forze armate anglo-americane attive nella penisola intessevano intanto rapporti sempre più stretti con i paralleli servizi informativi degli Alleati, con i quali l’ufficio veniva a contatto in questa prima fase. I due servizi informativi anglo-americani si articolavano a grandi linee in modo analogo a quello italiano, favorendo così i contatti e la collaborazione tra le parti. Le diverse sezioni dei servizi di informazione italiani si trovavano ad interagire di volta in volta, a seconda delle esigenze e dei settori di competenza, con il distaccamento a Brindisi del G-2 dell’Allied Forces HeadQuarters di Algeri − il G-2 Advanced gestito dalla Zuretti 66

29 ottobre 1943, Cs, Uff. op., Formazione Nucleo I del Comando Supremo italiano presso l’8 Armata britannica, con il tenente colonnello Esclapon nominato responsabile della missione. Si veda anche I-3 b. 119, 9 novembre 1943, Cs Sim a Smre e a Cs, Uff. op., Nucleo I del Comando Supremo Italiano presso la 5° armata americana. 67 I-3, b. 230, 13 marzo 1944, Cs, Uff. op., Ufficiali di collegamento presso i comandi operanti alleati. 68 Nel racconto dello Stato maggiore, dunque, tornava nel racconto quella distinzione tipica di atteggiamenti tra americani e britannici o diffidenza italiana antibritannica. Si veda in merito A. BUCHANAN, Good Morning, Pupil!’. American Representations of Italianness and the Occupation of Italy, 1943-45, in «Journal of Contemporary History», vol. 43, n. 2 (Apr. 2008), pp. 217-240. 69 Cfr. la cartella 20bis de L’“Ufficio I” nella guerra di liberazione per uno schema completo dell’organizzazione. Si veda inoltre Cs, Uff. op., a Nucleo I Avanzato presso VIII Armata, Capitano Eugenio War, del 28 febbraio 1944, in cui il Comando supremo approvava la destinazione di War ad ufficiale di collegamento con la 3° Carpatian Division dell’VIII Armata, e Smre, Uff. op., al Comando 209 divisione, Nucleo I alle dipendenze dell’8 armata britannica del 14 dicembre 1943, che destinava il nucleo alla gestione degli interrogatori degli evasi italiani giunti nel campo prigionieri di Foggia.

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e diretto dal maggiore scozzese Cave, italofono e “animato da spiccata simpatia per l’Italia e per il suo servizio”70 −, il General Staff Intelligence (Gsi), il Field Security Service britannico e il Counter Intelligence Corps americano, e con diverse altre organizzazioni alleate distaccate su base nazionale, quali ad esempio l’Office of Strategic Services statunitense e l’Intelligence Service Liaison Department britannico71. Con l’arrivo dell’inverno 1943, lo stallo delle operazioni militari e la preparazione dell’offensiva alleata mettevano in risalto la funzione di supporto logistico fornita dai vari nuclei I dello Smre. Nelle attività propedeutiche al lancio della campagna di primavera, gli Alleati preparavano a Caserta il comando che si sarebbe dovuto trasferire a Roma una volta liberata la capitale e invitavano gli italiani, mostrando dunque apprezzamento per il lavoro fin lì svolto, ad aggiungervi dei propri nuclei I distaccati dalla centrale pugliese. Si creava così un nucleo che agiva a stretto contatto con il comando alleato incaricato di pianificare e poi mettere in atto le operazioni per il superamento della linea Gustav. Con il nome di “distaccamento avanzato”, questo era composto da ufficiali provenienti dalle sezioni Zuretti e Bonsignore, nonché da collegamenti con gli uffici dei maggiori Page e Johnstone. Lo svuotamento degli uffici rimasti in sede sarebbe stato compensato dalla promozione dei vice e l’incremento dell’organico dell’ufficio, a questa data salito oltre le mille unità72. Lo spostamento a Caserta al seguito del comando alleato avveniva in concomitanza con l’offensiva di Anzio, il 21 gennaio 1944. Lì il distaccamento avanzato si inseriva a pieno titolo nelle Special Forces alleate, capitanate dal colonnello americano Smith, al fianco di inglesi, americani e francesi. Era in questo contesto che si verificava “la prima volta dopo l’armistizio che un ufficiale italiano [poteva], in turno di servizio, assumere il comando di reparti ed ufficiali alleati”73. All’inizio di febbraio 1944, con lo stop imprevisto alle operazioni alleate all’altezza di Monte Cassino, le Special Forces si scioglievano, costringendo il distaccamento italiano a spostarsi a Napoli, dove veniva raggiunto da diversi agenti provenienti dalle sezioni originarie in Brindisi, ricostituendo le sezioni unitarie degli inizi. Nei mesi seguenti, con una collaborazione che diveniva sempre più stretta e 70

Cit. L’“Ufficio I” nella guerra di liberazione, p. 22. Ivi, p. 21. 72 Nel maggio 1944, ad esempio, fatta esclusione degli ufficiali di collegamento presso le unità alleate operanti (Italian Intelligence Liaison Officers della sezione Zuretti) erano 163 ufficiali, 319 sottoufficiali e 608 soldati a comporre l’Ufficio I, per un totale di 1090 uomini. 73 Cit. L’“Ufficio I” nella guerra di liberazione, p. 42. 71

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meno forzata, le attività di collegamento attraversavano un significativo processo di miglioramento qualitativo e quantitativo. Il nucleo attivo presso l’VIII Armata britannica che, come si è accennato in precedenza, aveva inizialmente goduto di scarsa fiducia e apertura, veniva invitato dal General Staff Intelligence ad incrementare la propria partecipazione e la propria consistenza, reclutando una cinquantina di giovani ufficiali nella nuova sezione degli Italian Intelligence Liaison Officers (Iilo); questa sarebbe arrivata a contare 550 uomini di cui 250 ufficiali, intensificando a Napoli i rapporti con il G-2 Advanced, l’Oss e l’ambasciata americana, fornendo loro informazioni di carattere militare, politico ed economico74. Con il passare dei mesi le relazioni tra le unità di collegamento italiane e le agenzie militari alleate migliorava progressivamente grazie all’instaurarsi di rapporti di fiducia e, soprattutto, alla crescita delle esigenze di supporto sul versante operativo anglo-americano con l’espansione del territorio sotto il controllo alleato. Alla liberazione di Roma nel giugno 1944, il distaccamento avanzato dell’ufficio I rappresentava l’unico ente militare italiano ufficialmente accreditato presso le forze alleate operanti nella capitale. Sciolta la S Force alleata e con l’arrivo da Napoli del personale rimanente il 13 giugno, l’ufficio I si insediava ufficialmente e stabilmente nella vecchia sede del Sim, a palazzo Baracchini, dove sarebbe rimasta fino alla fine delle sue operazioni. Le attività dell’ufficio aumentavano con lo spostamento a Roma, dove veniva recuperata parte del carteggio perduto, e con l’assunzione in forza dell’intero ufficio informazioni del fronte clandestino. Con la riorganizzazione che segue veniva creato anche l’Ispettorato censura che andrà a collaborare con gli Alleati per la formazione di “uffici militari censura guerra” italo-alleati, responsabili della censura mista per la corrispondenza delle truppe italiane. Dalla nuova sistemazione in Roma e in previsione della liberazione di Firenze veniva inoltre costituito, sempre in collaborazione con gli Alleati, un distaccamento da inserire in analoga organizzazione anglo-americana, la Intelligence Collecting Unit (Icu). In corrispondenza con il sensibile aumento del grado di coinvolgimento dell’ufficio, nello stesso periodo cresceva il numero di ufficiali di collegamento inviati dalla Zuretti alla V e VIII Armata, per essere a loro volta distaccati presso le unità più importanti dislocate sul territorio.

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Per un breve periodo, inoltre, dietro espresso desiderio di Badoglio, l’ufficio sarà chiamato a svolgere funzioni insolite di tramite tra i diversi gruppi politici italiani componenti il Cln, a Napoli, e il presidente del Consiglio, a Salerno, durante le consultazioni in vista della formazione del governo di aprile.

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La conclusione delle operazioni militari nell’aprile 1945 risultava in un forte, quanto inevitabile, ridimensionamento dei compiti e dei ranghi dell’Ufficio I. Gli Alleati, inclini a sopprimere del tutto l’ufficio in vista della sua ricostituzione all’interno del nuovo esercito italiano che doveva nascere dopo la guerra, ne risistemavano l’assetto a chiusura della campagna d’Italia. Nella primavera del 1945 era la sottocommissione di controllo ad occuparsi della ristrutturazione dell’ufficio, da quel momento avente la denominazione, nei rapporti con gli Alleati, di Italian Army Intelligence and Security Police (Iai and Sp). Al suo interno, una suddivisione dei suoi reparti in tre categorie prevedeva che alla terza categoria appartenessero i nuclei ancora in forza presso le armate alleate per la collaborazione con i due eserciti (Br-Iti e Us-Iti). Nella terza sezione veniva creata anche una Iiu (Italian Industrial Unit, composta da membri tecnici del genio e dell’intendenza), con il compito di affiancare le unità militari alleate e consigliare su modi di portare battaglia che evitassero di distruggere il patrimonio industriale italiano. Nell’estate 1945, dunque, veniva smantellata l’attrezzatura offensiva composta dalla sezione Calderini, il collegamento con l’Oss e i nuclei I presso la V Armata statunitense, il cui nucleo veniva allontanato dall’Italia; il nucleo I presso l’VIII Armata britannica avrebbe invece subìto un drastico ridimensionamento a seguito del suo passaggio al XIII Corpo di armate che la andava a sostituire. Nato con pochi uomini a Brindisi nel turbolento settembre del 1943, all’indomani dell’armistizio breve, l’ufficio I avrebbe raggiunto a pieno regime le 2709 unità sotto il suo controllo nelle fasi immediatamente precedenti l’offensiva finale della primavera 1945. Il personale complessivamente impiegato dall’ufficio sarebbe arrivato nei tre anni della sua attività in tempo di guerra ai 6459 uomini, dei quali 31 caduti, 13 feriti, 10 dispersi, e 174 decorati con ricompense al valore italiano.

Conclusioni L’occupazione alleata aveva mostrato una traiettoria consistentemente diretta verso un rilassamento del controllo e la concessione di sempre maggiori spazi di autonomia alle autorità italiane. Il ripristino graduale delle prerogative amministrative del governo italiano era accompagnato da un coinvolgimento crescente delle Forze armate regie nello sforzo bellico antitedesco che aveva fatto seguito alla resa del settembre 1943. Gli Alleati mantenevano nei confronti della cobelligeranza italiana un atteggiamento spesso ambiguo, divisi tra la necessità di avvalersi 111

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del supporto quanto meno logistico delle unità del Regio esercito sopravvissute alla disfatta e la volontà di mantenere chiara la distinzione tra eserciti vincitori e sconfitti. Gli italiani, dal canto loro, pur spingendo verso una più piena collaborazione, erano frenati dalla drammatica realtà politica, istituzionale e materiale in cui lo Stato italiano versava. All’interno di un simile quadro, la cobelligeranza assumeva un rilievo ancora maggiore. Il coordinamento delle attività militari tra due eserciti che fino a poche settimane prima si erano scontrati sul campo di battaglia presentava problematiche che andavano ben oltre le intricate dinamiche già registrate nel tormentato sviluppo della collaborazione congiunta anglo-americana75. Gli strascichi delle passate ostilità non potevano insomma essere cancellati con un colpo di spugna, e considerazioni di tipo politico in prospettiva futura remavano contro una piena ricostituzione delle Forze armate italiane. Ciononostante, e forse a maggior ragione per questo motivo, la pervasività e la stratificazione dell’opera di collegamento tra gli Stati maggiori delle tre nazioni ritrovatesi d’un tratto cobelligeranti costituisce un risultato di notevole portata. Nel quadro del ripristino di relazioni duramente compromesse dalla scelta italiana di affiancare la guerra tedesca, la partecipazione italiana alle attività antitedesche nella penisola, benché severamente limitata sia da mancanze di risorse che da imposizioni anglo-americane, rappresentava un indispensabile passo in direzione della riconquista della fiducia tanto desiderata dai governi italiani nella fase postarmistiziale. L’opera di collegamento svolta dai nuclei distaccati presso le diverse entità militari alleate dallo Stato maggiore generale, dal Comando supremo e dal rifondato Servizio informazioni aveva fornito un contributo fondamentale alla gestione e all’organizzazione delle attività italiane nella campagna d’Italia. Lo aveva fatto, tuttavia, in una situazione segnata da confusione istituzionale, tensioni latenti e rivalità incrociate che racchiudeva in sé la complessità dei rapporti italo-alleati tout court.

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Si veda sul tema dei rapporti tra i due alleati nello sviluppo di una pianificazione nei confronti dell’Italia M.M. ATERRANO, Mediterranean-First? La pianificazione strategica anglo-americana e le origini dell'occupazione alleata in Italia (1939-1943), FedOA – Federico II University Press, Napoli 2017.

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Introduzione di Francesco Anghelone a cura di Marco Maria Aterrano

La ricostituzione del Regio esercito dalla resa alla liberazione 1943-1945 Questo volume è il frutto di una ricerca collettanea che ha cercato di riflettere sulle vicende che hanno caratterizzato la ricostituzione del Regio esercito all’indomani dell’armistizio e fino alla Liberazione del paese. Nel far ciò, gli autori che si sono cimentati nell’impresa, provenienti sia dal mondo militare che da quello accademico, hanno cercato, ognuno con la propria sensibilità e inclinazione, di far luce sugli aspetti meno esplorati dalla storiografia. In tal modo, accanto a dei saggi che hanno affrontato, sotto il profilo istituzionale e militare, la ricostituzione del Comando supremo e del Regio esercito, ce ne sono altri che hanno evidenziato l’attività di intelligence oltre le linee nemiche o hanno affrontato le questioni relative alla giustizia militare e al mantenimento della disciplina. Né è mancata la riflessione su i collegamenti con le truppe anglo-americane e sull’attività dei reparti ausiliari e di pronto impiego. Infine, si è cercato di lumeggiare anche le sorti delle divisioni del Regio esercito che si trovarono ad operare sia sul fronte occidentale che su quello orientale. Il risultato è, dunque, una ricostruzione corale degli avvenimenti drammatici che investirono l’Italia nel biennio 1943-45 e, soprattutto, una riflessione innovativa e originale su quel lento cammino che, dalla dittatura, avrebbe riportato il paese e l’esercito nel solco della democrazia politica.

Francesco Anghelone (Roma, 1973) è Coordinatore dell'area di ricerca storico-politica dell'Istituto di Studi Politici "S. Pio V" di Roma. I suoi studi riguardano l'analisi storico-politica dell'area del Mediterraneo. Marco Maria Aterrano (Napoli, 1986) Ha conseguito il dottorato in Storia presso il dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Napoli Federico II, presso il quale svolge attività di ricerca. È stato borsista presso la Fondazione Einaudi a Torino e Visiting Researcher alla Georgetown University di Washington, D.C. Collabora con i gruppi di studio sulla Seconda guerra mondiale alla Strathclyde University di Glasgow e al King’s College di Londra. Ha pubblicato articoli su Italia Contemporanea, War in History, Global War Studies, e altre riviste italiane e straniere.

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