Appunti Costruzioni in acciaio.pdf

March 28, 2018 | Author: mick83_scribd | Category: Fatigue (Material), Structural Steel, Shear Stress, Hardness, Steel


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POLITECNICO DI TORINOCorso 07CPBCD - Tecnica delle Costruzioni COSTRUZIONI DI ACCIAIO Introduzione al corso 2 A. CONSIDERAZIONI GENERALI Lo scopo della progettazione strutturale riguarda i seguenti aspetti: Resistenza (con adeguati margini di sicurezza γ): • METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI: γ applicato alle resistenze R es amm m σ σ ≤ σ = γ • METODO DEL CALCOLO A ROTTURA: γ applicato alle azioni u amm s Q Q = γ • METODO AGLI STATI LIMITE ULTIMI: γ S applicato alle azioni e γ m applicato ai materiali d d R S ≤ ( ) . etc , Q , G f S k Q k G d γ γ = m k d R R γ = • INCENDIO E FATICA Efficienza funzionale • ACCIAIO: limitazione di deformazioni e spostamenti limitazione di vibrazioni ed oscillazioni (fastidiose e dannose per le finiture) • C.A.: limitazione delle tensioni limite nei materiali deformazioni, frecce fessurazione limitazione delle vibrazioni Durabilità • ACCIAIO: misure protettive (pittura etc.), dettagli costruttivi • C.A. Bassa porosità del calcestruzzo, adeguati ricoprimenti delle armature, dosaggio cemento. Modalità operative Il DM 9.1.96 prevede la possibilità di seguire diverse modalità di verifica: - TENSIONI AMMISSIBILI secondo il DM 14.2.92 - STATI LIMITE “all’italiana” secondo il DM 9.1.96 - STATI LIMITE secondo gli EuroCodici (EC2 per il cls ed EC3 per l’acciaio) purché vengano considerate le prescrizioni integrative e sostitutive presenti sul DAN (Documento di Applicazione Nazionale) riportato sul DM 9.1.96 E’ possibile anche seguire altri metodi di dimensionamento e verifica purché fondati su ipotesi teoriche e risultati sperimentali comprovati e che portino ad un livello di sicurezza non inferiore a quello prescritto dal DM. Introduzione al corso 3 Per quanto riguarda le norme sui materiali occorre fare riferimento al DM 9.1.96 o alle norme UNI ed EN quando esplicitamente richiamate sul DM stesso. Azioni di calcolo agli Stati Limite Le azioni sono definite nel DM del 16.1.96. Le verifiche vanno fatte agli stati limite ultimi e di esercizio. Le azioni vanno sommate in modo da ottenere la condizione di carico più sfavorevole. Per gli stati limite ultimi n d G K P K Q 1K 0i Q iK i 2 F G P Q Q = = γ + γ + γ + ψ γ ∑ γ G = 1.4 (1.0 se è a favore di sicurezza) γ P = 0.9 (1.2 se è a sfavore di sicurezza) γ Q =1.5 (0.0 se è a favore di sicurezza) ψ 0i è il coefficiente di combinazione Per deformazioni impresse con azioni significative γ I =1.2 (0.0 se è a favore di sicurezza) Per gli stati limite di esercizio si devono considerare tre combinazioni di carico: - Combinazione di carico rara n d K K 1K 0i iK i 2 F G P Q Q = = + + + ψ ∑ - Combinazione frequente n d K K 11 1K 2i iK i 2 F G P Q Q = = + + ψ + ψ ∑ - Combinazione quasi permanente n d K K 2i iK i 2 F G P Q = = + + ψ ∑ Di seguito si riporta il prospetto del DM 9.1.96 Prove sul materiale e caratteristiche 4 B. COSTRUZIONI IN ACCIAIO 1. INTRODUZIONE “La struttura in acciaio nasce dall’assemblaggio di pezzi monodimensionali (profilati) o bidimensionali (lamiere) prodotti per lo più in luogo diverso da quello di fabbricazione delle strutture. Semplificazioni delle giunzioni rispetto al cemento armato Fig. 1 La tendenza a semplificare le giunzioni può portare a labilità del complesso. Fig. 2 Altra caratteristica tipica delle strutture in acciaio è la snellezza, che può portare ad instabilità locali e di insieme. La maggior parte delle costruzioni metalliche sono state costruite con acciai laminati a caldo di forme e dimensioni standardizzate. Le lamiere vengono unite tra loro mediante bullonatura o saldatura (la chiodatura è caduta in disuso). Acciaieria Carpenteria (officina) Cantiere Montaggio in opera Costruzione di elementi strutturali Produzione di profilati e lamiere Vincolo mutuo tendenzialmente debole cerniera (soluz. economica) incastro (soluz. costosa) Struttura labile Struttura controventata Prove sul materiale e caratteristiche 5 La costruzione avviene in buona parte in officina (indipendenza dal clima), i montaggi e le solidarizzazioni alla struttura avvengono poi in opera. - Vantaggi: rapidità, elementi ripetitivi, uso ridotto di centine e leggerezza delle strutture - Svantaggi: costo di manutenzione elevato (vernici a base di silicone), vulnerabilità al fuoco (necessità di materiali isolanti), elevata deformabilità, instabilità degli elementi strutturali (effetti locali e globali), aste imperfette, stati di coazione. 2. I MATERIALI Gli acciai da carpenteria sono leghe di ferro-carbonio con contenuto di carbonio compreso tra 0.17% e 0.22%, raffreddati lentamente, a temperatura ordinaria risultano costituiti da ferrite e da perlite. La composizione chimica comprende inoltre Mn = 0.6-1% ; P max = 0.035% ; S max = 0.04% ; Si = 0.15-0.35% ; Ni = 0.7-1% ; Cr = 0.4-0.65% ; Mo =0.4- 0.6% ; V = 0.03-0.08% ; Cu = 0.15-0.5% La determinazione delle proprietà meccaniche degli acciai viene effettuata sperimentalmente su provette di forma e dimensioni unificate e su elementi strutturali (per la valutazione di stati di coazione ed imperfezioni). 2.1 Laminati a caldo Le lamiere si dividono in : - Lamierini: s < 1 mm - Lamiere sottili: 1 mm < s < 4mm - Lamiere medie: 4 mm < s <50 mm - Lamiere spesse: s > 50 mm I profilati (dimensioni normalizzate) invece si dividono in: - IPN sezione ad I con ali rastremate - IPE, HEA, HEB, HEM sezioni ad I ed H con ali parallele (Euronorm) altezza max 620 mm - [, T, Z, L con lati uguali e disuguali - Tubi o profili cavi a perimetro tondo, quadro o rettangolare Fig. 3 I profilati saldati hanno forma a doppio T (I) costituiti da lamiere con spessore tra i 16 ed i 26 mm ed altezze tra 300 e 1700 mm (denominazioni ISE, HSE, HSD, HSL, HSA, HSH, HSU) con caratteristiche geometriche fornite in appositi sagomari Prove sul materiale e caratteristiche 6 Fig. 4 Infine le travi ibride che sono composte da acciai con caratteristiche diverse saldati insieme. 2.2 Laminati a freddo Si ottengono i cosiddetti “profili sottili” mediante piegatrici di lamiere e nastri di acciaio di spessore 3-4 mm Fig. 5 Si ottengono lamiere grecate, ondulate, scatolate, che però danno problemi di corrosione ed instabilità locale. 2.3 Prove di trazione Dal materiale si preleva un saggio dal quale mediante lavorazione meccanica si ricava la provetta, in cui si nota una zona calibrata più stretta e due zone esterne più grosse, dette zone di afferraggio. b a S o × = 4 d S 2 o × π = Lc Lt S d a b Lo Fig. 6 Provetta di trazione Prove sul materiale e caratteristiche 7 L o = lunghezza tra i riferimenti L c = lunghezza della parte calibrata L t = lunghezza totale La provetta “proporzionale” ha lunghezza: o o o L 5d per sezione circolare L 5.65 S per altre sezioni = = La lunghezza delle provette “lunghe” è pari al doppio della lunghezza “proporzionale”. La lunghezza della parte calibrata risulta: o c o L d 2 L L 2d + < < + Nel caso di sezione rettangolare d è il diametro del cerchio circoscritto. La velocità di applicazione del carico deve essere inferiore a 10 N/mm 2 /s. Dalla prova si ricavano informazioni sulle tensioni limite e sugli allungamenti: - f y : tensione di snervamento - f 0,2 qualora gli acciai non presentino snervamento si determina la tensione di scostamento dalla proporzionalità allo 0,2 % - f t : resistenza a trazione - A: allungamento a rottura: u 0 0 L L A L − = ove L u è la lunghezza dopo rottura della base iniziale di lunghezza L 0 . L u si ottiene accostando i due spezzoni. Diagrammi tensione - deformazione σ-ε - Acciai normali Fig. 7 Diagramma tensione – deformazione acciai normali - Acciai extraduri o trattati termicamente Per questo tipo di acciai, che non presentano lo snervamento, si considera la tensione di scostamento dalla proporzionalità allo 0.2% σ = N / A ε = ∆ L / L o L u - L o L o A = σ = N / A r i d σ = N / A i n i z Prove sul materiale e caratteristiche 8 f t L u - L o L o f 0 . 2 0 . 2 ° A = ε = ∆ L / L o σ = N / A i n i z Fig. 8 Diagramma tensione -deformazione L’allungamento a rottura A rappresenta la deformazione media riferita alla base L o accostando i provini dopo rottura. Fino al raggiungimento del carico massimo la deformazione è uniforme lungo tutto il provino. Raggiunto il carico massimo la deformazione aumenta notevolmente in una zona limitata dando luogo ad un restringimento della sezione evidente anche a occhio nudo, detta zona di strizione, . Nel grafico di fig. 9 , è rappresentata in ordinata la deformazione locale lungo il provino prima della rottura. εmax εmedia Lu Fig. 9. Deformazione nel provino prima della rottura Pertanto se la rottura avviene al centro della base di misura, l’allungamento A dipende da L 0 , per valori crescenti di L 0 l’allungamento A diminuisce. Pertanto l’allungamento A 5 su una base di 5 diametri è maggiore di A 10 su una base di 10 diametri. Prove sul materiale e caratteristiche 9 2.4 Prova di piegamento E’ una prova di flessione in campo plastico con mandrino di diametro D prefissato appoggiato su due rulli distanti D+3a, dove a è lo spessore del provino. Le rotazioni in mezzeria sono: ¹ ´ ¦ ° ° = α 180 90 Si esaminano le condizioni della zona plasticizzata di mezzeria: il risultato della prova è positivo se non si notano screpolature o cricche. La prova denota l’attitudine del materiale a deformarsi plasticamente a freddo e mette in evidenza difetti di omogeneità ed isotropia. Fig. 10 Prova di piegamento 2.5 Prova di resilienza col pendolo di Charpy La rottura fragile dell’acciaio può verificarsi per: - stati di tensione pluriassiale di trazione - basse temperature - azioni di urto La prova d’urto su provini intagliati (che determinano triassialità) a basse temperature comprende le condizioni precedenti. La proprietà degli acciai di resistere a rottura fragile è detta “tenacità” ed è caratterizzata dalla “resilienza” che è data dall’energia necessaria per rompere un provino di dimensioni standard con una prova d’urto. La prova si effettua col pendolo di Charpy. Maglio di peso P Intaglio 10 mm 55 mm 30° 1 0 m m 2 m m 1 0 m m 2 m m Fig. 11 Prova di resilienza α D D+3a Pendolo di Charpy Provetta Sezione della provetta in corrispondenza dell’intaglio Prove sul materiale e caratteristiche 10 Il lavoro assorbito dalla provetta nella prova d’urto è pari a: ( ) P 1 E H H P L = − = in cui E P è l’energia utilizzata dal pendolo. La resilienza è indicata con K mentre con V si indica la forma dell’intaglio (sono possibili altre forme di intaglio). Pertanto si ha: P E KV = Le prove di resilienza si effettuano a diverse temperature ed occorre verificare che anche alle temperature più basse il valore di KV non sia inferiore al valore prefissato dalle norme. 2.6 Prova di durezza Per durezza si intende la resistenza opposta alla penetrazione di un altro corpo più duro. Facile da eseguire anche su prodotti finiti non è una prova distruttiva. La misura della durezza è data dal rapporto tra la forza applicata al penetratore e l’area della superficie d’impronta. A seconda del tipo di penetratore si ha: - HB: Durezza Brinell. Il penetratore è una sfera (carico e diametro della sfera possono variare in funzione del materiale da provare) - HV: durezza Vickers. Il penetratore è una piramide retta a base quadrata 136° Fig. 12 Penetratore Vickers - La durezza Rockwell è rappresentata invece da ”l’approfondimento rimanente” di un penetratore una volta soppresso l’incremento di carico di prova. Si hanno due scale: • scala B: il penetratore è una sfera e si ottiene la durezza HRB • scala C: il penetratore di diamante ha forma conica e si ottiene la durezza HRC Dalla durezza è possibile avere delle buone correlazioni con la resistenza. Essa ha il vantaggio di non essere una prova distruttiva e si può pertanto effetuare su pezzi finiti e anche su elementi che presentino una certa curvatura. 2.7 Comportamento a fatica La resistenza a fatica è la resistenza che il materiale offre a carichi applicati in modo ciclico. La sollecitazione è caratterizzata dall’ampiezza di oscillazione ∆σ attorno al valore medio σ m . La sollecitazione può essere altresì definita tramite il parametro R = σ min /σ max e il valore σ max Possiamo distinguere alcuni casi: - Sollecitazione pulsante (0 < R < 1) σm σmax σmin σm t ∆σ ∆σ Fig. 13 Prove sul materiale e caratteristiche 11 - Sollecitazione pulsante dallo zero (R = 0) σm σmax σmin σm t ∆σ ∆σ - Sollecitazione pulsante ad altezza simmetrica (R = -1), ad es. flessione rotante σm σmax σmin σm t ∆σ ∆σ - Sollecitazione ad altezza asimmetrica (-1 < R < 0) σm σmax σmin σm t ∆σ ∆σ Le prove di fatica danno come risultato il numero di cicli a rottura in funzione della sollecitazione ciclica definita tramite σ m e ∆σ oppure R e σ max . I risultati riportati su piano cartesiano danno la curva di Wöhler. Di seguito si riportano le curve di Wöhler rispettivamente per σ m costante e per R costante. Il limite di fatica rappresenta l’asintoto delle curve di Wöhler e corrisponde alla sollecitazione al di sotto della quale non si ha rottura per fatica. Per gli acciai il ginocchio della curva si ha per circa 2.000.000 di cicli. Le rotture nel campo tra 0 e 10000 cicli sono poco influenzate dalla fatica, per questo è detta fatica oligociclica. ∆σ log N log 10000 log 2000000 limite di fatica σm = cost σmax) Fig. 17 Curva di Wöhler Fig. 14 Fig. 15 Fig. 16 Prove sul materiale e caratteristiche 12 2.7.1 Tipi di rotture per fatica La rottura per fatica avviene per tensioni inferiori alla resistenza statica. In generale le rotture per fatica si innescano in superficie e si propagano verso l’interno. Ad esempio la rottura per flessione pulsante si presenta con una zona lucida e liscia in cui il metallo si è rotto per fatica ed una zona più ruvida in cui la rottura è avvenuta per strappo, cioè quando la sezione reagente non è più stata sufficiente a resistere alla sollecitazione. In questo tipo di rottura non c’è strizione. zona liscia e lucida in cui si ha rottura per fatica zona in cui si ha rottura per strappo ronte di avanzamento delle fessure Le curve di Wöhler non danno una idea complessiva del comportamento a fatica del materiale perché sono tracciate per parametri costanti. Una rappresentazione complessiva può essere ottenuta col diagramma di Smith-Goodman a partire da una serie di curve di . Consideriamo ad esempio le curve caratterizzate da tre diverse σ m tali che σ m1 < σ m2 < σ m3 ∆σ ∆σ ∆σ σm3 σm2 σm1 log N log N log N ∆σl1 ∆σl1 ∆σl1 Fig. 19 Curve di Wöhler per tensioni medie crescenti. Da questi diagrammi si può costruire la curva di Smith-Goodman, in cui le due curve rappresentano le σ min e σ max e la bisettrice rappresenta la linea delle σ m . Si possono costruire curve caratteristiche relative al limite di fatica o a delle resistenze a termine per un determinato numero di cicli. Fig. 18 Rottura per flessione rotante Fig. 20 Diagramma di Smith-Goodman σ max σ min Prove sul materiale e caratteristiche 13 Tempo 2.7.2Spettri di carico Nelle situazioni di esercizio i cicli di carico si ripetono con intensità diverse nel tempo. Pertanto per le verifiche a fatica occorre conoscere l’oscillogramma delle tensioni. A questo scopo si costruisce lo spettro di carico con i valori riordinati, in cui è riportato il numero di cicli che si ripetono per le varie sollecitazioni. σ σmedia 100 80000 20000 σ1 250000 300000 σ2 σ3 σ4 σ5 Fig. 21 Spettro di carico La determinazione dello spettro di carico può essere fatta con il metodo del “serbatoio” (CNR UNI 10011), immaginando di svuotarlo dal punto più fondo, il primo ∆σ equivale alla distanza DD’; si formano però dei bacini secondari e svuotandoli tutti si ottengono tutti i ∆σ a cui è sottoposto l’elemento. Fig. 22 Regola del serbatoio Regola di Miner La regola di Miner consenta di valutare la resistenza a fatica per sollecitazioni diverse. Secondo Miner la rottura si verifica per la condizione: ∑ = 1 N n i i in cui n i è il numero di cicli cui è stata sottoposta la struttura alla sollecitazione σ i e N i è il numero di cicli a rottura alla sollecitazione σ i . Il rapporto n i /N i rappresenta il danneggiamento prodotto al livello σ i , la rottura si verifica quando la somma di tutti i danneggiamenti è pari a 1. Sollecitazion Prove sul materiale e caratteristiche 14 σmax log N N1 n1 Ni ni Fig. 23 Applicazione della regola di Miner Fenomeni di sovraffaticamento e di allenamento. Sollecitazioni iniziali basse e successivamente elevate producono un effetto di allenamento e la rottura si verifica per un danneggiamento maggiore di 1. Viceversa sollecitazioni iniziali elevate e successivamente basse producono un effetto di sovraffaticamento e la rottura avviene per un danneggiamento minore di 1. Nonostante questi effetti non vengano presi in conto nella regola di Miner e pertanto sia non molto precisa, essa viene correntemente utilizzata per la sua semplicità. 2.8 Imperfezioni strutturali 2.8.1 Tensioni residue Nei laminati profilati a caldo si formano a causa del processo di raffreddamento successivo alla laminazione (finale ~600°C) degli stati di coazione conseguenti alla diversa velocità di raffreddamento (più veloce alle estremità delle ali e nel centro dell’anima che nelle zone di attacco ala-anima). Fig. 24 Tensioni residue negli elementi profilati Nella laminazione a freddo, le fibre superficiali tendono ad allungarsi mentre il centro rimane indeformato. Fig. 25 Stati di coazione negli elementi laminati a freddo Prove sul materiale e caratteristiche 15 2.8.2 Imperfezioni geometriche Variazioni di forma rispetto alla loro geometria ideale, si dividono in: - variazioni trasversali: variazioni di spessore nelle pareti, mancanza di ortogonalità - variazioni longitudinali: deviazione dell’asse (si assume una freccia iniziale convenzionale pari a L/1000). 2.9 Saldabilità La saldatura è un collegamento che realizza la continuità tra due elementi di acciaio. Il materiale di base viene fuso in corrispondenza dei lembi da saldare, unitamente al materiale di apporto: “bagno di fusione”. Dopo il raffreddamento è detta “zona fusa” che costituisce il “cordone di saldatura” ed è una “zona termicamente alterata”. Anche dopo saldatura i materiali devono avere le caratteristiche richieste e non devono essere presenti “difetti” nella zona fusa. I possibili “difetti” sono: - cricche: dovute al raffreddamento - soffiature: nell’acciaio fuso è presente monossido di carbonio disciolto, che torna allo stato gassoso durante la solidificazione dando luogo a soffiature (acciaio effervescente). Aggiungendo nella colata silicio ed allumino si sottrae ossigeno impedendo la formazione di CO e quindi di soffiature. Questi tipi di acciai vengono chiamati acciai calmati e semicalmati e sono gli unici ammessi per carpenteria saldata. Gli acciai devono avere una precisa composizione chimica (C, P, S, Mn, Si) e sono suddivisi nei gradi A, B, C, D (UNI 5132). La scelta tra le 4 classi si effettua in base alle caratteristiche di saldabilità richieste. Passando dal grado A al D diventano più severe le limitazioni (disossidazione, composizione chimica, resilienza). Il grado A è escluso dalla carpenteria; per una struttura bullonata si impiega il grado B, mentre per carpenteria saldata la scelta sarà tra B e D in funzione delle esigenze di saldabilità. 2.10 Fragilità alle basse temperature Il decreto ministeriale sancisce che: “La temperatura minima alla quale l’acciaio di una struttura saldata può essere utilizzato senza pericolo di rottura fragile, deve essere stimata sulla base della temperatura T alla quale per detto acciaio può essere garantita una resilienza KV di 27 J”. La scelta dell’acciaio fatta nei cataloghi del produttore deve soddisfare questa condizione. 2.11 Caratteristiche meccaniche degli acciai Secondo il DM 9/1/1996 gli acciai si dividono in tre tipi, Fe 360, Fe 430 e Fe 510, i quali sono poi a loro volta suddivisi in: Prove sul materiale e caratteristiche 16 - profilati, barre, larghi piatti e lamiere con le caratteristiche riportate in tabella - profilati cavi con le caratteristiche riportate in tabella Prove sul materiale e caratteristiche 17 A titolo informativo si richiamano i valori delle tensioni ammissibili riportati nella norma CNR UNI 10011 per il materiale base. Calcolo agli stati limite 18 3. METODI DI CALCOLO AGLI STATI LIMITE Il metodo considera le “azioni di calcolo” e le “resistenze di calcolo” con riferimento - allo “stato limite elastico della sezione”, oppure - allo “stato limite di collasso plastico della struttura”. Sono inoltre necessarie le verifiche agli “stati limite di esercizio”. Per le azioni di calcolo ci si riferisce al DM 16-1-96, mentre le resistenze di calcolo (f d ) sono definite dalla relazione: m y d f f γ = dove : - f y è la tensione di snervamento - γ m è un coefficiente di sicurezza definito in funzione dello stato limite considerato 3.1 Stato limite elastico Si assume che in nessun punto si abbia il superamento della “deformazione unitaria corrispondente al limite elastico del materiale”. Il coefficiente di sicurezza parziale sull’acciaio è posto pari a γ m = 1 Vale il calcolo elastico delle sollecitazioni (in caso di presollecitazioni è obbligatoria la verifica con γ Q = 0.9 per gli effetti favorevoli e γ Q = 1.2 per quelli sfavorevoli). 3.2 Stato limite di collasso plastico Si assume come stato limite ultimo il collasso per trasformazione della struttura o di una sua parte in un meccanismo ammettendo la completa plasticizzazione delle sezioni coinvolte nella formazione del meccanismo. Il coefficiente di sicurezza parziale sull’acciaio è posto pari a γ m = 1.2 Si verificherà che per le azioni di calcolo non si raggiunga le stato limite. Occorre verificare che le giunzioni abbiano una sufficiente duttilità. Tale procedimento non è applicabile quando i fenomeni di fatica sono determinanti. 3.3 Stato limite di esercizio Si assumono i seguenti coefficienti di sicurezza: γ G e γ Q = 1 Inoltre si applicano alle azioni variabili i coefficienti ψ 0 , ψ 1 e ψ 2 . 3.4 Resistenza del materiale di base 3.4.1 Stati monoassiali Per quanto riguarda lo stato limite ultimo, si verifica la resistenza di calcolo f d a trazione o a compressione per acciaio laminato. Materiale f d [N/mm 2 ] t ≤ 40 f d [N/mm2] t > 40 Fe 360 Fe 430 Fe 510 235 275 355 210 250 315 t = spessore [in mm] Calcolo agli stati limite 19 3.4.2 Stati pluriassiali Per gli stati piani si deve verificare: 2 2 2 3 id d id x y x y xy f ove σ σ σ σ σ σ τ ≤ = ± + − + e nel riferimento principale: 2 2 1 2 1 2 id σ σ σ σ σ = ± + − Nel caso in cui σ y = 0 (es. flessione e taglio) 2 2 3 id x xy σ σ τ = ± + Nel caso di sole tensioni tangenziali: 3 id xy σ τ = ± 3.4.3 Costanti elastiche (D.M. 9-1-96) Modulo elastico: E = 206000 N/mm 2 Modulo di elasticità tangenziale: G = 78400 N/mm 2 Tali valori danno luogo a ν = 0.314 Unioni chiodate e bullonate 20 4. UNIONI CHIODATE E BULLONATE 4.1 Unioni chiodate Le unioni chiodate sono cadute in disuso, anche se esistono ancora strutture in servizio. Nel passato si sono applicate regole comuni a chiodi e bulloni. Modalità esecutive: si fora la lamiera col trapano, alesatura del foro fino ad un diametro maggiore di 1 mm rispetto al gambo del chiodo. Si riportano i tipi di chiodi adottati La testa è prefabbricata da una parte sola, la seconda deve essere eseguita in opera. Il chiodo deve essere riscaldato prima di introdurlo nel foro (~ 1100÷1200°C), in seguito c’è la ribaditura del chiodo (temperatura finale ~ 950°C), il chiodo viene battuto sullo stampo con il martello o a macchina. Il raffreddamento porta in trazione il gambo del chiodo. Il chiodo lavora meglio in presenza di azioni taglianti piuttosto che in trazione. Per i chiodi da ribadire a caldo si deve impiegare acciaio Fe 40 (UNI 7365). I chiodi sono caratterizzati dal diametro nominale (d), dal diametro del foro (d 1 ) e dal tipo di testa, quest’ultima funzione del rapporto tra spessore (t) e diametro nominale: - Diametro nominale: 10, 13, 16, 19, 22, 25 mm - Diametro foro: 10.5, 14, 17, 20, 23, 26 mm - Chiodi a testa tonda ed a testa svasata piana: t/d ≤ 4.5 - Chiodi a testa svasata con calotta: 4.5 ≤ t/d ≤ 6.5 STATI LIMITE Le resistenze di calcolo dei chiodi allo stato limite ultimo sono: Resistenza di calcolo a taglio f dV = 180 N/mm 2 Resistenza di calcolo a trazione f dN = 75 N/mm 2 Fig. 1.4 Fig. 2.4 a testa tonda a testa svasata piana a testa svasata con calotta Unioni chiodate e bullonate 21 Nel caso di taglio e trazione deve risultare: 1 f f 2 dN b 2 dV b ≤ | | . | \ | σ + | | . | \ | τ TENSIONI AMMISSIBILI Le tensioni ammissibili sono: per taglio τ b,amm = 120 N/mm 2 per trazione σ b,amm = 50 N/mm 2 4.2 Unioni bullonate I bulloni sono costituiti da : - vite: con testa esagonale e gambo completamente o parzialmente filettato - dado di forma esagonale - rondelle di forma circolare (da interporre tra lamiera e dado) In caso di vibrazioni si può verificare il disserraggio dei dadi, è allora indispensabile l’uso di controdadi o rondelle di tipo elastico La bulloneria è divisa in classi a seconda del materiale (prospetto 2.III UNI 10011). Le classi di viti e dadi devono essere associate nel modo seguente NORMALI AD ALTA RESISTENZA Vite 4.6 5.6 6.6 8.8 10.9 Dado 4A 5D 5S 6S 8G Le resistenze di progetto allo stato limite sono riportate in tabella Fig. 3.4 Unioni chiodate e bullonate 22 In caso di sforzo normale e taglio deve risultare: 1 f f 2 dN b 2 dV b ≤ | | . | \ | σ + | | . | \ | τ I diametri dei bulloni sono: 12, 14, 16, 18, 20, 22, 24, 27, 30 mm Il gioco foro (φ)-bullone(d): φ - d ≤ 1 mm per d ≤ 20 mm φ - d ≤ 1.5 mm per d > 20 mm Quando l’assestamento non è ammesso, è richiesto "l’accoppiamento di precisione" ed il gioco deve essere minore di 0.3 mm per d ≤ 20 mm e 0.5 mm per d > 20 mm. La lunghezza del tratto non filettato del bullone deve essere in generale maggiore di quella delle parti da serrare e si deve sempre fare uso di rosette. I bulloni devono essere serrati in modo tale da provocare una forza di trazione N s nel gambo pari a: N s = 0.8×f k,N ×A res con A res l’area della sezione resistente della vite (all'interno del filetto) e f k,N pari al minore dei valori 0.7f t e f y . La coppia di serraggio T s necessaria per ottenere N s vale: T s = 0.2×N s ×d con d il diametro nominale di filettatura del bullone Il serraggio è vantaggioso particolarmente in esercizio perché: - riduce lo scorrimento a taglio delle piastre per la presenza del gioco foro bullone - riduce il distacco delle piastre per bulloni soggetti a trazione con eliminazione dei pericoli di corrosione 4.3 Unione bullonata soggetta a taglio Fig. 4.4 Allo stato limite ultimo sono possibili i seguenti meccanismi di collasso: Unioni chiodate e bullonate 23 a) rottura per taglio del bullone: in questo caso il bullone lavora su due facce, sulle sezioni di rottura agisce la forza F/2. la tensione tangenziale risulta: 2 1 d 4 2 F π = τ b) rottura per rifollamento della lamiera, la tensione di rifollamento risulta: ds F 2 = σ in cui s è lo spessore della lamiera c) rottura per taglio della lamiera: in via approssimata si divide F per due sezioni caratterizzate dalle dimensioni m ed s, in cui s è lo spessore della lamiera ed m è la proiezione del segmento DD’ (EE’) nella direzione della forza. Si ha la tensione tangenziale: ms 2 1 F 2 = τ d) rottura per trazione della lamiera: La tensione da valutare vale: ( )s d a F 1 − = σ Le tensioni massime nei 4 casi possono essere le seguenti: - per il tranciamento del bullone: yd max 1 f 8 . 0 = τ - per rifollamento della lamiera: yd max 2 f α = σ con α = a/d ≤ 2.5 - per taglio della lamiera: yd max 2 f 6 . 0 = τ - per trazione della lamiera: yd max 1 f = σ tale valore è accettato tenendo conto che si tratta di un fenomeno in campo plastico Fig. 5.4 Fig. 6.4 Fig. 7.4 Unioni chiodate e bullonate 24 p Il più piccolo dei 4 valori ottenuti rappresenta l’effettivo carico ultimo del collegamento. In relazione ai possibili tipi di rottura vengono definiti degli interassi minimi dei bulloni (ed anche dei chiodi) in rapporto al diametro d dei bulloni e al più piccolo spessore t 1 delle lamiere collegate (vedi DM 96 §7.2.4): ( ) irrigidito è margine il se 9 6 t / a t / a tesi elementi per 25 compressi elementi per 15 t / p 5 . 1 d / a 3 5 . 1 d / a 3 3 d / p 10 1 1 1 1 1 ≤ ≤ ) ` ¹ ¹ ´ ¦ ≤ ≥ ≥ ≥ ≥ ≥ ≥ dove: • p è la distanza tra centro e centro dei bulloni contigui • a è la distanza dal centro di un chiodo al margine degli elementi da collegare ad esso più vicino nella direzione dello sforzo • a 1 è la distanza come a, ma ortogonale alla direzione dello sforzo • t 1 è il minore degli spessori collegati Per opere non sottoposte alle intemperie valgono le seguenti: 12 t / a t / a 1 1 1 ≤ ) ` ¹ Fig. 8.4 Fig. 9.4 (fig. 10.4) p p Unioni chiodate e bullonate 25 Fig. 11.4 Fig. 10.4 Fig.11.4 ; Unioni chiodate e bullonate 26 Nelle verifiche delle giunzioni bullonate sottoposte ad tensioni tangenziali si trascurano gli sforzi trasmessi per attrito prodotto dai serraggi del bullone, è accertato infatti che col tempo si può giungere al disserraggio completo di certe giunzioni specie se sollecitate a fatica. 4.4 Verifiche a stato limite ultimo Per la combinazione delle azioni allo stato limite ultimo si dovrà verificare: - La resistenza dei bulloni - Il rifollamento del foro - La resistenza della sezione forata 12.4 b) 12.4 Fig. 12.4 Fig. 12.4 b Unioni chiodate e bullonate 27 4.4.1 Verifica del bullone Si calcola l’azione tagliante V sd e l’azione assiale N sd del bullone più sollecitato e si verifica che queste sollecitazioni soddisfino la condizione 1 N N V V 2 rd sd 2 rd sd ≤ | | . | \ | + | | . | \ | - V sd = A resV ×f dV - N sd = A resN ×f dN - A resV = area resistente per azioni di taglio - A resN = area resistente per azioni di sforzo normale - f dV , f dN dati dalle norme in funzione della classe della vite La relazione precedente è equivalente alla formula di interazione: dove: 1 f f 2 dN 2 dV ≤ | | . | \ | σ + | | . | \ | τ 4.4.2 Verifica al rifollamento del foro La pressione sul contorno del foro, riferita alla proiezione diametrale della superficie cilindrica del bullone (o del chiodo) deve risultare: d rif f α ≤ σ dove - 5 . 2 d a ≤ = α : a è la distanza dal centro di un chiodo al margine degli elementi da collegare ad esso più vicino nella direzione dello sforzo - f d è la resistenza di progetto del materiale 4.4.3 Verifica delle sezioni forate “Per la verifica di resistenza il calcolo delle tensioni di trazione si effettua con riferimento all’area netta, detratta cioè l’area dei fori, assumendo come tale quella minima corrispondente o alla sezione netta o al profilo spezzato.” Nel caso vi siano più bulloni la scelta della sezione critica può essere complessa: essa deve venire fatta sulla base della resistenza a collasso per trazione e taglio della piastra, in funzione delle possibili linee di rottura. Una regola empirica a favore di sicurezza è quella corrispondente al minimo percorso passante per uno o più fori. Ad esempio, la sezione critica della figura sotto è quella che ha il minimo valore di area tra 2L 1 + 2L 2 – 3d; 2L 1 + 2L 3 + L 4 – 4d; 2L 1 + 2L 3 + 2L 5 – 5d. L 1 L 2 L 2 L 1 L 4 L 3 L 5 Fig. 13.4 Fig. 14.4 Unioni chiodate e bullonate 28 4.5 Effetti delle sollecitazioni Le unioni bullonate possono essere sostanzialmente sollecitate in due modi diversi: - Sollecitazioni di taglio e torsione che agiscono nel piano delle lamiere collegate dai bulloni e i cui effetti ne impegnano a taglio i gambi (fig. 15.4 a) - Sollecitazioni assiali e flettenti che agiscono in piani paralleli al gambo dei bulloni e che quindi li impegnano a trazione (fig. 15.4 b) La ripartizione di tali effetti sui singoli bulloni viene eseguita sulla base di metodi convenzionali suffragati da risultati sperimentali. Nel seguito si riportano i metodi più comunemente adottati. 4.5.1 Sollecitazione di taglio e torsione Nella fig. 16.4 si ha una giunzione per sovrapposizione (fig. a1) e una giunzione con coprigiunto semplice (fig. a2), in entrambi i casi con una sola sezione resistente al taglio; nella giunzione a doppio coprigiunto (fig. a3) si hanno invece due sezioni resistenti alla recisione. Inoltre per queste ultime non si verificano le inflessioni trasversali delle lamiere indicate nelle a1 ed a2 e sono ridotte le tensioni secondarie di flessione negli elementi della giunzione. Per la determinazione degli sforzi taglianti nei bulloni si ricorre ad una ipotesi semplificativa che si dimostra a favore di sicurezza: l’unione sia costituita da lamiere infinitamente rigide e da bulloni perfettamente elastici Fig. 15.4 Fig. 16.4 Unioni chiodate e bullonate 29 Si considera la sollecitazione esterna riferita al baricentro della bullonatura costituita da una componente tagliante e da una torcente (fig. 17.4.a). Si considera la componente tagliante suddivisa in parti uguali agenti nei bulloni con la stessa direzione della forza agente (fig. 17.4 b); si considera il momento torcente suddiviso in forze agenti nei bulloni in direzione perpendicolare al segmento che unisce il bullone al baricentro della bullonatura e di entità proporzionale a questa distanza (fig. 17.4c). Per quanto riguarda la distribuzione delle due componenti si avcrà: - distribuzione della componente tagliante. Essa può essere considerata ripartita in modo uguale su tutti i bulloni. Lo sforzo per ogni faccia risulta: V v F V n n = Ove n è il numero dei bulloni presenti nel giunto n v il numero di sezioni resistenti per ogni bullone - distribuzione della componente torcente Fig. 18.4 Il momento torcente si ripartisce sui bulloni in ragione della loro distanza dal baricentro. Risulta quindi sul bullone i-esimo (fig. 18.4) , T i i V k a = Fig. 17.4 Unioni chiodate e bullonate 30 essendo ai la distanza fra il centro del bullone ed il baricentro della bullonatura. Dall'equilibrio alla rotazione si ha: 2 , 1 1 n n v T i i v i T n V a n k a = = ∑ ∑ da cui 2 1 n v i i T k n a = = ∑ e quindi V T,i. - effetti combinati. Componendo vettorialmente le forze V e V T,i , si ottiene la forza V i agente su una faccia del bullone i-esimo. Ai fini del calcolo conviene operare assumendo un sistema di riferimento x - y (Fig. 19.4) e ricavare le componenti secondo gli assi: Giunzione dei correnti ( ) ( ) , , , , , , 2 2 2 2 , , v y v x x y v v i i T i x T i y v i i v i i F F V V n n n n T y T x V V n x y n x y = = = = + + ∑ ∑ Fig.19.4 Fig.20.4 Unioni chiodate e bullonate 31 Le giunzioni correnti sono giunzioni tangenziali destinati ad unire singoli profilati e/o lamiere per formare una trave composta. Le più comuni sono destinate a formare travi a T o doppio T (rs. Fig. 20.4, a, b, c): a. che uniscono cantonali all'anima b. che uniscono piattabande ai cantonali o alle ali dei profilati c. di coprigiunto, in corrispondenza delle interruzioni dei cantonali e delle piattabande. Nelle travi ad asse rettilineo le giunzioni dei tipo a. e b. sono sollecitate soltanto in presenza del taglio. Il passo ∆x dei bulloni viene calcolato pensando che il collegamento deve trasmettere la sollecitazione di recisione dall'anima al cantonale. V Indicando con V lo sforzo tranciante nel bullone e con V sd il taglio agente, si ha per l'equilibrio alla traslazione delle tensioni che agiscono sul cantonale: ( ) ' dA V σ σ − = ∫ ( ) ' ' ' sd sd sd sd sd M M V x y y J J M y J V x y J σ σ σ σ + ∆ = = = ∆ − = sd sd V x ydA V J V x V S J ∆ = ∆ = ∫ Ove J è il momento d'inerzia dell'intera sezione rispetto all'asse baricentrico, S è il momento statico rispetto all'asse baricentrico, della porzione di sezione che si vuole collegare. Trovato lo sforzo di taglio V nel bullone occorre procedere alle verifiche alla recisione e alla verifica al rifollamento. Occorre infine verificare la sezione dell'anima indebolita dai fori. Perciò si calcola la τ come se non ci fossero fori; poi la si moltiplica per ∆x/(∆x-d) poiché lo sforzo V agente nel tratto ∆x è sopportato in realtà dall’area resistente (∆x-d), anzichè ∆x. ∆x σ’ σ V sd M sd M’ sd ∆x Fig. 21.4 Unioni chiodate e bullonate 32 Anche per le giunzioni d’anima ci sono specifiche di calcolo: r k b ⋅ = τ ∑ ∑ ∑ ω = ω = τ ω = 2 i bi a n 1 2 i bi n 1 i b bi a r 2 M k cui da kr 2 r 2 M Fig. 22.4 Fig.22.4 Unioni chiodate e bullonate 33 4.5.2 Sollecitazioni di sforzo normale e flessione la ripartizione delle sollecitazioni assiali e flettenti su un giunto bullonato è di difficile individuazione in quanto dipende dalla rigidezza della lamiera (flangia) Con riferimento alla Fig. 24.4 si consideri che lo sforzo di trazione F N sia applicato su un asse principale internamente al nocciolo centrale d’inerzia della sezione formata dai soli n bulloni. Lo sforzo N i agente sul generico bullone, nell’ipotesi di conservazione delle sezioni piane, è dato da i n 1 i 2 i N N i y y e F n F N ∑ = + = 0ve: e è l’eccentricità della forza applicata rispetto al baricentro dei bulloni y i la distanza del bullone i-esimo dall’asse baricentrico normale all’asse di sollecitazione. Fig. 24.4 b a b J r M kr = = τ dV b max a max b f J r M ≤ = τ Fig. 23.4 Unioni chiodate e bullonate 34 Fig. 22.4 Se la forza assiale di trazione è applicata esternamente al nocciolo di inerzia della sezione formata dai soli bulloni, oppure la forza assiale di compressione è applicata esternamente al nocciolo di inerzia della sezione costituita dalla flangia, la sezione risulta parzializzata. La piastra reagisce a compressione per contatto, i bulloni (tutti o in parte) a trazione. Di regola si trascura l’effetto dei fori della zona compressa. La prima operazione di calcolo consiste nel determinare la posizione dell’asse neutro, cioè dell’asse di separazione tra la zona compressa e quella tesa, - Flessione semplice L’asse neutro è asse baricentrico della sezione reagente, pertanto facendo riferimento ad una flangia di forma rettangolare e a dei bulloni di area A i posti ad una distanza y i dall’estradosso, Fig. 23.4, si ha: ( ) 0 y y A y b i m 1 i i 2 c = − + ∑ = essendo m il nnumero dei bulloni situati in zona tesa. Fig. 23.4 La soluzione dell’equazione di secondo grado permette di determinare y c . Il momento d’inerzia della sezione reagente è dato dalla relazione ( ) 2 c i m 1 i i 3 c y y A 3 y b I − + = ∑ = Le tensioni nella sezione reagente sono date dall’espressione Unioni chiodate e bullonate 35 y J M = σ e pertanto la massima compressione nella flangia risulta c c y J M = σ mentre gli sforzi di trazione nei bulloni sono dati dall’espressione ( ) c i i y y J M N − = - Sforzo normale eccentrico Nel caso di pressoflessione o tensoflessione la distanza tra il centro di pressione (punto ove passa la risultante delle sollecitazioni) e l’asse neutro è dato dalla relazione n n x S J y = ove J n e S n sono rispettivamente il momento d’inerzia e il momento statico della sezione reagente rispetto all’asse neutro, cioè della zona compressa della flangia e dei bulloni tesi, rispetto all’asse neutro. Per una flangia di forma rettangolare soggetta a sforzo normale eccentrico appartenente ad un asse di simmetria si ha: ( ) ∑ = − + = m 1 i 2 c i i 3 c n y y A 3 y b J = n S ( ) ∑ = − + m 1 i c i i 2 c y y A 2 y b Essendo c x y 2 a e y + | . | \ | − = il rapporto n n x S J y = fornisce un a equazione di terzo grado , da cui si può ricavare y c , risulta quindi definita la sezione reagente. Si indica con G (distante y G dal bordo più compresso) il baricentro di tale sezione reagente di area ∑ = = + m 1 i i c r A y b A con J G il momento d’inerzia rispetto all’asse baricentrico ( ) ( ) 2 G i m 1 i i 2 G c c 3 c G y y A y y y b y b 12 1 J − + − + = ∑ = Il momento flettente deve essere calcolato rispetto al baricentro della sezione reagente pertanto risulta ) y 2 a e ( F M G N + − = Le tensioni nella zona compressa della flangia e nei bulloni risultano: ( ) G G r N y y J M A F − + = σ Si possono infine ricercare le resistenze ultime della giunzione. In questo caso si ha una distribuzione del tipo illustrato in Fig. 24.4. Unioni chiodate e bullonate 36 Fig. 23.4 Tutti i bulloni sono soggetti alla resistenza di progetto N d0 e la pressione di contatto ha il valore di progetto f d pari alla resistenza di progetto del materiale costituente la flangia.L’incognita del problema è la posizione dell’asse neutro che è definita mediante l’equilibrio alla traslazione della sezione: N c d 0 d F b y f N m = − essendo m i bulloni reagenti a trazione. Risulta: b f F N m y d N 0 d c − = Noto y c è possibile determinare il momento ultimo di calcolo, concomitante con lo sforzo normale F N . Dall’equilibrio attorno al baricentro della flangia si ha: | . | \ | − + | . | \ | − = = ∑ = 2 a y N 2 y 2 a b y f e F M i m 1 i i , 0 d c c d N ud Tale valore non può sempre essere assunto come valore ultimo sopportabile dalla sezione. Affinchè ciò sia vero il bullone teso più vicino all’asse neutro deve poter esplicare la sua resistenza massima, senza che il bullone più lontano abbia raggiunto un allungamento pari a quello di rottura. 4.6 Verifiche agli stati limite di esercizio 4.6.2 Unioni a taglio Il collegamento di Fig. 25.4 è realizzato tramite un bullone serrato con una forza di trazione N s nel gambo Unioni chiodate e bullonate 37 Fig. 25.4 Fig. 26.4. Fig. 26.4 Unioni chiodate e bullonate 38 Nel caso si debbano impedire gli scorrimenti delle giunzioni, lo sforzo applicato è trasmesso per attrito tra le superfici a contatto. La forza V f,0 trasmissibile per attrito da ciascun bullone per ogni piano di contatto è: f s 0 , f N V γ µ = in cui: - γ f è un coefficiente di riduzione nei confronti dello slittamento e vale 1.25 - µ è il coefficiente di attrito da determinazioni sperimentali pari a 0.45 per superfici trattate e 0.30 per superfici non trattate e comunque nelle giunzioni in opera - N s è la forza di trazione sul gambo della vite. - 4.6.3 Unioni a trazione Se si vuole evitare il distacco delle piastre si deve operare un serraggio del bullone tale da indurre una forza nei bulloni pari a quella agente. 4.6.4 Unioni a trazione e taglio I bulloni sono sollecitati contemporaneamente a trazione e a taglio. Il carico tagliante V f per cui avviene lo scorrimento della giunzione, a parità di coefficiente di attrito, è proporzionale alla forza di precompressione. Il dominio della resistenza allo stato limite di esercizio è dato da. | | . | \ | − = s 0 f f N N 1 V V dove: V f0 è la resistenza allo stato limite di esercizio per azione tagliante in assenza di forza assiale N N s è la azione assiale di serraggio V f N 0 . 8 N s N s V f 0 Fig. 27.4 Fig.26.4b Unioni chiodate e bullonate 39 E’ opportuno limitare il campo di validità a N ≤ 0.8N s per avere un margine di sicurezza rispetto alla decompressione. 4.7 Unioni ad attrito con bulloni A differenza dei bulloni normali, nei quali, se ci sono forze di trazione nel gambo, non se ne tiene conto per la valutazione della capacità portante, nel caso dei bulloni ad attrito le forze di serraggio hanno un ruolo essenziale. Devono essere impiegati bulloni e viti ad alta resistenza, le rosette devono avere uno smusso a 45° sia sull’orlo interno che su quello esterno, con lo smusso rivolto verso la testa della vite e del dado. Il gambo del bullone può essere filettato per tutta la lunghezza del bullone perché non contrasta direttamente il movimento delle lamiere. Per l’interasse dei bulloni e per la distanza dai margini valgono le disposizioni dei bulloni normali. Unioni chiodate e bullonate 1 5. UNIONI SALDATE Il collegamento per saldatura si basa sul principio di creare la continuità tra due pezzi da unire mediante fusione. Vantaggi: - minor costo rispetto alla bullonatura - strutture più monolitiche e continue - semplicità e minor ingombro dell’unione - minor peso della struttura Svantaggi: - maestranze più specializzate - necessità di controlli in superficie e in profondità - apporto di calore con conseguenti stati di coazione - possibile presenza di cricche Per la difficoltà della loro esecuzione in opera le istruzioni CNR consigliano di studiare il progetto in modo tale da limitare la loro realizzazione al di fuori delle officine e da evitare la concentrazione di saldature in zone ristrette. Nella saldatura “ossiacetilenica” la fusione del materiale è prodotto dalla combustione dell’acetilene (C 2 H 2 ) con l’ossigeno (temperatura della fiamma 3100°). Il materiale di apporto per il collegamento è formato da una bacchetta metallica che viene fusa assieme al materiale base. E’ il primo procedimento industriale, oggi in disuso. Il metodo maggiormente utilizzato in tutte le applicazioni delle strutture in acciaio è la “saldatura ad arco”. La sorgente termica è costituita dall’arco elettrico che, scoccando tra l’elettrodo, manovrato dal saldatore mediante la pinza porta-elettrodi, ed il materiale base, sviluppa il calore che provoca la rapida fusione sia del materiale di base che dell’elettrodo. L’elettrodo è costituito da una bacchetta cilindrica (lunga 350-450 mm) con un rivestimento la cui fusione genera tra l’altro del gas per la protezione della zona in cui scocca l’arco e del bagno. Il materiale di rivestimento dell’elettrodo, di peso specifico minore, tende a galleggiare sul cordone di saldatura ed ha la funzione di ridurre l’ossidazione e la rapidità di raffreddamento. In funzione dei componenti del rivestimento si hanno elettrodi “basici”, “acidi” e “cellulosici” da impiegarsi per varie condizioni (UNI 5132). Durante una passata di saldatura, la profondità dello strato fuso si chiama “penetrazione della saldatura”. Per ogni passata è necessario rimuovere lo strato di scoria. Il materiale di apporto ha in genere una composizione un po’ diversa dal materiale base e nella zona fusa i due materiali sono mescolati tra loro. Fig. 1.5 Unioni chiodate e bullonate 2 5.1 Difetti della saldatura Le diverse passate producono cicli termici con elevata velocità di raffreddamento, che portano ad effetti simili alla tempera con zone ad elevata durezza che possono originare delle cricche a freddo. Le cricche a freddo possono essere ridotte preriscaldando il materiale base. Altra causa di cricche è dovuta alla presenza di impurezze nella zona fusa. Oltre alle cricche altri difetti sono le “soffiature” (inclusioni di gas all’interno del cordone), cavità localizzate, mancanze di penetrazione e di fusione al vertice degli smussi e al cuore. Il mezzo più comune per rilevare i difetti interni di una saldatura è l’esame radiografico con raggi X o raggi gamma (i difetti appaiono come macchie più scure) Altri metodi di esame sono gli ultrasuoni (riflessione delle onde), l’esame magnetoscopico (crea un campo magnetico e impiega polveri magnetizzabili), liquidi penetranti (penetrano nelle cricche e vengono evidenziate da un liquido rivelatore successivamente applicato dopo un’accurata pulizia). Il raffreddamento produce altri fenomeni: - la deformazione dei pezzi saldati - l’insorgere di stati di tensione dovuti alle deformazioni termiche impedite (tensioni residue) Fig. 2.5 Fig. 3.5 Fig. 4.5 Unioni chiodate e bullonate 3 5.2 Classificazione delle saldature Le saldature si classificano in funzione: - della posizione (fig. 6.5a) • saldature in piano • saldature frontali • saldature in verticale • saldature sopratesta (quando le passate sono effettuate su un piano sopra la testa dell’operatore) - della posizione reciproca dei pezzi (fig. 6.5b) - nei giunti testa a testa le smussature devono creare un vano accessibile su tutto lo spessore, le saldature si distinguono in funzione della preparazione dei lembi (fig. 6.5 c) - della sezione finale del cordone (fig. 6.5 e) • piana • concava • convessa - della direzione delle forze agenti (fig. 6.5 f) • laterali • frontali • obliqui Fig. 5.5 Unioni chiodate e bullonate 4 Esistono due classi di qualità per le saldature: - saldature di I classe: i giunti devono essere eseguiti con particolare accortezza e in grado di soddisfare ai controlli radiografici richiesti dalla UNI 7278 - giunti di II classe: soddisfano condizioni meno severe (UNI 7278) In ogni caso è richiesta l’eliminazione di ogni difetto al vertice prima di effettuare passate successive. I giunti a completa penetrazione realizzano la effettiva continuità tra le parti collegate. I cordoni frontali, laterali e d’angolo determinano una deviazione e una concentrazione delle isostatiche che costituiscono punti di innesco per le rotture a fatica. Fig. 6.5 Fig. 7.5 Unioni chiodate e bullonate 5 5.3 Calcolo della resistenza delle saldature Ai fini delle verifiche di resistenza le Norme fanno riferimento a due categorie: - giunti a completa penetrazione - giunti con cordoni d’angolo Fig. 8.5 Fig. 9.5 Unioni chiodate e bullonate 6 5.3.1 Giunti testa a testa od a T a completa penetrazione Per sollecitazioni composte deve risultare: ≤ + − + = ⊥ ⊥ 2 // 2 // 2 id 3τ σ σ σ σ σ dove: ⊥ σ è la tensione di trazione o compressione normale alla sezione longitudinale della saldatura // σ è la tensione di trazione o compressione parallela all’asse della saldatura τ è la tensione tangenziale nella sezione longitudinale della saldatura. 5.3.2 Giunti a cordoni d’angolo Per il calcolo delle tensioni derivanti da azioni di trazione o compressione normali all’asse della saldatura o da azioni di taglio secondo detto asse, deve essere considerata come sezione resistente la sezione di gola del cordone di saldatura; ai fini del calcolo essa ha come lunghezza L quella intera del cordone, purchè questo non abbia estremità palesemente mancanti o difettose, e come larghezza a l’altezza del triangolo iscritto nella sezione trasversale del cordone (fig. 11. 5) Eventuali tensioni σ // di tazione o di compressione presenti nella sezione trasversale del cordone, inteso come parte della sezione resistente della membratura, non devono essere prese in considerazione ai fini della verifica del cordone stesso. Fig. 10.5 f d (I classe) 0.85 fd (II classe) Unioni chiodate e bullonate 7 Fig. 11.5 Il calcolo convenzionale delle tensioni deve essere eseguito ribaltando su uno dei lati del cordone la sezione di gola. La tensione risultante dalle azioni esterne sulla sezione di gola deve essere scomposta secondo tre direzioni ortogonali nelle componenti di modulo // , , τ σ τ ⊥ ⊥ come indicato in Fig. 12.5. Per la verifica i valori assoluti delle componenti di tensione // e , τ σ τ ⊥ ⊥ devono soddisfare le seguenti limitazioni allo stato limiye ultimo: ≤ + + ⊥ ⊥ 2 // 2 2 τ σ τ ≤ + ⊥ ⊥ σ τ 5.4 Unioni per contatto E’ ammesso l’impiego di unioni per contatto nel caso di membrature semplicemente compresse, purchè, con adeguata lavorazione meccanica, venga ssicurato il combaciamento delle superfici del giunto. Fig. 12.5 0,85 f d per l’acciaio Fe 360 0,70 f d per l’acciaio Fe 430 ed Fe 510 f d per l’acciaio Fe 360 0,85 f d per l’acciaio Fe 430 ed Fe 510 Unioni chiodate e bullonate 8 5.5 Effetti delle sollecitazioni 5.5.1 Sollecitazione di trazione Le sollecitazioni si calcolano in modo diverso a seconda del tipo di saldatura: - cordoni laterali La 4 F La 2 1 2 F // = = τ - cordoni frontali σ ┴ = τ ┴ = La 2 F - cordoni inclinati: F è scomposto in N e V: N = F senθ ; V = F cosθ Se la sezione di gola viene ribaltata nel piano verticale si ha: σ ┴ = La 2 N La 2 V // = τ - combinazione di cordoni d’angolo frontali e laterali: i cordoni frontali possono risultare meno duttili di quelli laterali, pertanto non è sempre lecito sommare i loro contributi. La sperimentazione dimostra che la resistenza globale è minore della somma delle resistenze dei vari cordoni frontali e laterali. E’ prudenziale quindi affidare l’intero carico a uno solo dei due tipi di cordone. Se ciò non è possibile è opportuno che sia rispettata la condizione: (Ballio) a 60 L ≤ ∑ dove L è la lunghezza dei vari cordoni ed a l’altezza di gola Fig. 13.5 Fig. 14.5 Unioni chiodate e bullonate 9 5.5.2 Sollecitazione di flessione e taglio Anche qui ci sono diversi casi a seconda del tipo di saldatura: - cordone frontale e longitudinale FL M F V = = σ ┴max = 2 2 ah FL 3 2 ah 6 1 M W M = × = Per il taglio non si tiene conto della distribuzione reale delle τ, ma viene considerata uniformemente distribuita nella sezione di gola: ah 2 F // = τ - cordoni frontali trasversali: questo collegamento ha scarsa capacità di sopportare sforzi di taglio (fig. 17.5): M = a×b×h×σ ┴ σ ┴ = abh FL per il taglio si ha: τ ┴ = ba 2 F Fig.15.5 Fig. 16.5 Unioni chiodate e bullonate 10 - combinazione di cordoni frontali, longitudinali e trasversali: si prenda come esempio un collegamento di una trave ad I con una colonna (fig. 18.5). Si assume che lo sforzo di taglio sia sopportato dai cordoni dell’anima (τ // = cost) e che il momento sia assorbito dai cordoni sia delle ali che dell’anima (è anche possibile affidare ai soli cordoni delle ali gli effetti del momento). Per cui si ha nei cordoni A, B, C: 3 3 // L a 2 F = τ σ ┴max = W M I punti più sollecitati sono i cordoni esterni delle ali “A” e le estremità dei cordoni dell’anima “C”. 5.5.3 Sollecitazione di torsione, flessione e taglio Metodo semplificato del “momento polare” Si ribaltano le sezioni di gola sul piano di giunzione dei pezzi, si considera come centro di rotazione il baricentro G di tali sezioni ribaltate e si calcola il momento d’inerzia polare I 0 rispetto a G. Per effetto della torsione la tensione tangenziale massima agisce nel punto più distante da G e vale: 0 max max I Tr = τ Scomponendo τ max nella direzione parallela ed ortogonale all’asse della saldatura si ottengono τ // e τ ┴ . Nel caso di due cordoni paralleli si ha: Momento Torcente = L×a×τ // ×(h+a) Fig. 17.5 Fig. 18.5 Fig. 19.5 Unioni chiodate e bullonate 11 Studiamo i tre casi principali: - Cordoni laterali: Il momento torcente nelle saldature vale M = F×e La forza di taglio vale F Lah Fe // = τ τ ┴ La 2 F = - Cordoni frontali: Il momento torcente nelle saldature vale M = V×e e la relativa τ’ // = zLa Fe La forza di taglio vale F e la relative τ’’ // La 2 F = Da cui τ // = τ’ // + τ’’ // - Due cordoni laterali e due frontali: L’effetto del taglio è fatto assorbire dai cordoni frontali (verticali) e il momento è equilibrato dalle due coppie generate dai cordoni. Per il momento si ha: F×e = a 1 L 1 Lτ’ // + a 2 L 2 hτ’ // τ’ // h L a L L a Fe 2 2 1 1 + = ( la τ // dovuta alla torsione è uguale nei due cordoni). Fig. 20.5 Fig. 21.5 Fig.22.5 Unioni chiodate e bullonate 12 Per il taglio si ha: τ’’ // 1 1 a L 2 F = Quindi sui cordoni laterali (orizzontali) τ // = τ’ // sul cordone frontale (verticale) più sollecitato τ // = τ’ // + τ’’ // Questa ripartizione ha il vantaggio di equilibrare le azioni esterne con solo τ // . Altre ripartizioni sono possibili (ad esempio facendo riferimento al metodo del momento polare). - Nel caso di tre cordoni (2 orizzontali e 1 verticale) il momento è equilibrato dai due cordoni orizzontali, il cordone verticale equilibra il taglio (il momento è calcolato rispetto al cordone verticale). - Sezioni a cassone: Se il profilo a cassone è saldato lungo tutto il perimetro le tensioni tangenziali possono essere calcolate con la formula di Bredt: Aa 2 M t // = τ dove A è l’area delimitata dagli assi dei cordoni di saldatura rispetto al baricentro delle saldature G A a Fig. 23.5 Fig. 24.5 Composizione strutturale 13 6. COLLEGAMENTI Le giunzioni tra membrature possono essere interamente saldate o bullonate, oppure in parte saldate ed in parte bullonate. In base a ciò si può fare una prima distinzione tra collegamenti in base alla sua reversibilità: - sistemi scioglibili: bulloni, perni - sistemi non scioglibili: chiodi, saldature, adesivi Lo sforzo del progettista è quello di realizzare collegamenti semplici al fine di ridurre i dettagli costruttivi che incidono sul costo della giunzione e che non sono determinanti nel comportamento della giunzione. Dal punto di vista statico i collegamenti si dividono in: - articolazioni: permettono spostamenti mutui tra i pezzi collegati - giunti a parziale ripristino: consentono di trasmettere da un elemento strutturale all’altro solo una parte delle componenti di sollecitazione resistenti (M, N, T, M t ) che ha l’elemento strutturale più debole - giunti a completo ripristino: permettono di trasferire da un elemento all’altro tutte le risorse di resistenza e quindi non devono essere considerati punti di debolezza Per i giunti a parziale e completo ripristino è importante valutare la “duttilità” cioè la capacità di deformarsi in campo plastico senza giungere al collasso. La duttilità del giunto condiziona la duttilità di insieme della struttura. 6.1 Articolazioni Le articolazioni si suddividono in: - Articolazioni a perno: a. a piatto lavorato b. a piatto rinforzato con due guance saldate c. cerniera complessa Il calcolo comporta problemi di contatto tra le superfici e lo studio della diffusione degli sforzi nelle piastre. - Articolazioni per contatto: si distinguono in due tipi: d. il contatto avviene tra superfici di cui almeno una è curva (fig. 2.6. a, b) Fig. 1.6 Fig. 2.6 Composizione strutturale 14 e. il contatto avviene tra una piastra ed un piatto di coltello f. articolazioni in materiale sintetico: Tra le piastre metalliche viene interposto uno strato di gomma (neoprene). Esso permette scorrimenti e rotazioni tra i due elementi. Per realizzare articolazioni con piccolo attrito si può impiegare uno strato di teflon. Fig. 4.6 Fig. 3.6 Fig. 5.6 Composizione strutturale 15 Le pressioni di contatto, calcolate mediante le formule di Hertz, devono risultare: - per contatto lineare σ l ≤ 4 f d - per contatto puntuale σ p ≤ 5,5 f d Le formule delle pressioni di contatto sono riportate nella norma CNR-UNI 10011 (5.6.2) Nel caso in cui la localizzazione della reazione d’appoggio venga ottenuta mediante piastre piane la pressione media di contatto superficiale deve risultare σ s ≤ 1,35 f d 6.2 Giunti tesi Possono essere con saldatura a completa penetrazione (fig. 6.6.a) o con coprigiunti saldati (fig. b) o bullonati (fig. c). Nella figura d, e, f invece le giunzioni di profilati avvengono tramite fazzoletti. Gli elementi tesi possono essere collegati mediante giunti flangiati (Fig. 7.6) I possibili meccanismi di rottura sono descritti nella Fig. 8.6. Fig. 6.6 Fig. 7.6 Composizione strutturale 16 caso a: la flangia ha deformazioni flessionali piccole rispetto alla deformazione dei bulloni che saranno pertanto sollecitati dallo sforzo N = F/2 e la flangia dovrà sopportare il momento M 2 caso b, c: lo sforzo nei bulloni sarà N = F/2 + Q e la flangia sarà sollecitata dai momenti M 1 ed M 2 . Nei collegamenti con coprigiunti tra due profilati, è opportuno distribuire le varie unioni in modo da deviare il meno possibile il flusso delle tensioni. Esempi di profilati tesi: Particolare attenzione va posta con i profilati a L ed a C. 6.3 Giunti compressi Quando i collegamenti interessano profili d’anima di sezione uguale o poco diversa i giunti sono semplici e possono essere saldati a completa penetrazione (b), bullonati (c), per contatto bullonati (d) o per contatto saldati (e). Fig. 8.6 Fig. 9.6 Composizione strutturale 17 Se le sezioni delle membrature collegate sono di dimensioni diverse bisogna interporre una piastra di adeguato spessore (proporzionale a quello degli elementi da collegare). Il giunto può così risultare saldato di testa (g), con cordoni d’angolo (h), a contatto (i). In caso di variazioni di sezione importanti occorrono opportuni accorgimenti (m,n). 6.4 Giunti di base Riguardano il collegamento tra acciaio e calcestruzzo, tipico è il giunto di base delle colonne. Il collegamento può essere compresso, pressoinflesso con sforzo tagliante oppure anche teso. I problemi del giunto di base sono: g. la verifica delle dimensioni geometriche in pianta della piastra h. il dimensionamento dei tirafondi di ancoraggio i. la trasmissione delle azioni taglianti 6.4.1 Base La pianta di base è calcolata in funzione dello sforzo normale e del momento flettente. La sezione deve essere considerata reagente solo a compressione e si può ammettere una distribuzione lineare delle tensioni. Fig. 10.6 Composizione strutturale 18 Per la resistenza del calcestruzzo si fa riferimento alle regole del cemento armato. Per la regolazione in altezza degli elementi metallici è sempre necessario lasciare una tolleranza in elevazione dell’ordine di 5 cm che successivamente verrà riempita di malta espansiva. La piastra di base può essere irrigidita con costolature. Fig. 11.6 Fig. 12.6 Composizione strutturale 19 6.4.2 Tirafondi I tirafondi possono essere suddivisi in: - tirafondi annegati nel getto (a) - tirafondi ad uncino (c) - tirafondi a martello (d) 6.4.3 Equilibrio del taglio Le azioni taglianti possono essere equilibrate: - mediante tirafondi, che in questo caso devono essere verificati come bulloni - per attrito col calcestruzzo, assumendo un coefficiente di attrito dell’ordine di µ = 0.4 (deve quindi risultare taglio diviso sforzo normale pari a 0.4) - mediante dispositivi opportuni (ad esempio incastrando il profilo nel calcestruzzo). Fig. 13.6 Composizione strutturale 20 6.5 Giunti inflessi I giunti inflessi possono trovarsi in sezioni della trave oppure alle estremità. Possono essere a completo ripristino o a parziale ripristino. 6.5.1 Giunti intermedi Nella fig. 14.6 sono riportati alcuni esempi di giunti intermedi: a) giunto realizzato con cordoni di testa, è a completo ripristino sia per il momento che per il taglio b) le ali sono saldate testa a testa e l’anima è collegata con coprigiunti bullonati c) analogo a b) ma i coprigiunti sono saldati d) giunto tutto bullonato e) collegamento flangiato (può essere a completo o parziale ripristino) f) collegamento con coprigiunto bullonato nell’anima (parziale ripristino) 6.5.2 Giunti di estremità Nella figura 15.6 sono riportati alcuni esempi di giunti di estremità: a) giunto saldato ripristina completamente la resistenza flessionale e tagliante delle travi collegate b) per evitare le saldature in opera di a) si saldano alla trave principale dei “moncherini” che vengono poi collegati con giunti bullonati c) analogo a b) d) l’azione nella flangia inferiore si trasmette per contatto, mentre quella di trazione è affidata al coprigiunto bullonato, anche il taglio è affidato al coprigiunto bullonato e) a differenza del giunto d) il taglio non è trasferito con un collegamento d’anima, la trave appoggia su una sedia realizzata con due angolari bullonati sulla trave principale. Fig. 14.6 Composizione strutturale 21 Fig.15.6 Composizione strutturale 22 Nella figura sono riportati altri giunti a parziale ripristino f) giunto flangiato g) attacco bullonato con squadrette realizzate con angolari (si tiene conto della sola azione tagliante). Il giunto simula una cerniera h) come il giunto g) però saldato dal giunto i) al n) sono tutte varianti, si comportano come cerniere. - Nei giunti con coprigiunto a totale ripristino flessionale il flettente deve essere suddiviso tra ali e d anima, l’anima deve assorbire il taglio - Nel caso di giunti a parziale ripristino flessionale si attribuisce ai coprigiunti delle ali tutto il flettente ed a quelli dell’anima il taglio - Nei giunti flangiati il taglio viene trasmesso da tutti i bulloni, il flettente è equilibrato dai bulloni tesi e dalla zona compressa della flangia Fig. 17.6 Fig. 16.6 Composizione strutturale 23 6.5.3 Giunti a squadretta Sono a parziale ripristino e permettono la rotazione della trave collegata. Il calcolo del collegamento deve tenere conto delle due eccentricità e 1 ed e 2 . I bulloni che collegano l’anima della trave secondaria alle due facce 1 delle squadrette sono soggette al taglio V = R ed al momento torcente T 1 = Ve 1 . Questi inducono una componente verticale V 1 = V/2 e una componente orizzontale H 1 = Ve 1 /h 1 che impegnano su due sezioni i bulloni con la loro risultante: 2 1 2 1 1 H V R + = I bulloni che collegano le facce 2 di ognuna delle squadrette all’anima della trave principale sono soggetti al taglio V/2 e al momento torcente T 2 = (V/2)e 2 . Questi inducono una componente verticale V 2 = V/4 ed una orizzontale H 2 = 1 2 h e 2 V che impegnano su una sola sezione i bulloni con la loro risultante: 2 2 2 2 2 H V R + = 6.6 Giunti trave-colonna I giunti trave-colonna sono tipicamente sede di cerniere plastiche in un eventuale meccanismo di collasso della struttura. I nodi possono essere: - a completo ripristino - a completo ripristino delle sole capacità flessionali - a parziale ripristino con sufficiente capacità di rotazione Nella figura 19.6 sono riportati alcuni esempi di giunti trave- colonna: a) giunto a completo ripristino, interamente saldato. Sono presenti irrigidimenti b) giunto saldato, senza irrigidimenti. Può risultare insufficiente la capacità di rotazione c) giunto flangiato con irrigidimenti d) i coprigiunti sono saldati alla colonna e bullonati alle ali delle travi. L’anima è collegata con giunti a squadretta e) la squadretta del punto d) è sostituita da un appoggio a sedia e il coprigiunto in zona compressa da un giunto per contatto f) per agevolare il trasporto si possono realizzare coprigiunti bullonati sia alla trave che alla colonna come nel caso f) Fig. 18.6 Composizione strutturale 24 6.6.1 Giunti pendolari Sono nodi che possono essere assimilati a una cerniera (trasmettono momenti flettenti limitati) a) trave continua con giunti flangiati delle colonne b) attacco a squadretta c) attacco a squadretta d) attacco flangiato e) appoggio a sedia. Deve sempre essere presente la squadretta collegante l’anima o l’ala superiore della trave per prevenire il ribaltamento f) variante del giunto a sedia g) variante del giunto a sedia h) attacco trave - colonna dove convergono diagonali di controvento Fig. 19.6 Fig. 20.6 Composizione strutturale 25 6.6.2 Possibili cedimenti della colonna a) In corrispondenza del lembo compresso l’anima può cedere per snervamento o per fenomeni di instabilità locale b) in corrispondenza del lembo teso l’ala può inflettersi o l’anima può staccarsi dall’ala c) il pannello compreso tra due irrigidimenti può cedere per eccesso di taglio 6.7 Travi reticolari piane Nella forma più semplice sono composte da aste corrente e aste di parete. L’adozione di coppie di profilati collegati tra di loro con imbottiture o calastrelli mediante i fazzoletti dei nodi Fig. 21.6 Fig. 21.6 Composizione strutturale 26 Tendenza attuale è quella di realizzare reticoli semplici con il minor numero di nodi e preferenza per le travi con i correnti paralleli o ad andamento trapezio. Nel caso di travi reticolari semplicemente appoggiate, conviene assumere l’altezza della trave pari a 1/8 ÷ 1/10 della luce, al fine di limitare l’entità delle frecce. Se la trave è continua l’altezza può essere ridotta fino a 1/16 della luce. Si possono assumere le seguenti ipotesi: - le aste sono vincolate ai nodi con cerniere senza attrito - le aste sono rettilinee e le loro linee d’asse passano per i centri delle cerniere - le linee baricentriche delle bullonature e delle saldature a cordone d’angolo coincidono con le linee d’asse delle aste - le forze agenti sono applicate ai nodi Con queste ipotesi le aste sono soggette esclusivamente a sforzo normale. E’ frequente tuttavia il caso di giunzioni in cui il baricentro degli elementi di connessione (chiodi o bulloni) non si trovi sull’asse dell’asta. Nei casi in cui l’eccentricità sia elevata, bisogna tenere conto della flessione secondaria che si produce. I bulloni dovranno assorbire l’azione tagliante T 1 parallela all’asse dell’asta e quella T 2 p Ne = congruenti all’eccentricità e. Le prime travi reticolari saldate si distinguevano da quelle chiodate solo per la sostituzione delle saldature ai chiodi. La successiva eliminazione di elementi intermedi di unione ha permesso di conseguire riduzioni di peso e minori costi. Nella composizione delle aste di corrente si cerca di ottenere sviluppi laterali adeguati all’attacco delle aste di parete senza fazzoletti intermedi. Di uso abbastanza corrente sono i tubi quadri e rettangolari che permettono un elevato rendimento, determinante per il minor costo. Per i nodi una volta venivano usati i fazzoletti, attualmente è preferibile l’attacco diretto mediante saldatura. Fig. 22.6 Fig. 23.6 Fig. 24.6 Verifiche di resistenza delle membrature 1 7. VERIFICHE DI RESISTENZA DELLE MEMBRATURE Si prescinde, in questo punto, dai fenomeni di instabilità. 7.1 Trazione Deve risultare: d eff d N f A N ≤ = σ ove A eff è l’area effettiva. L’area effettiva coincide con l’area del profilo o con la sua sezione netta A n (detratta cioè l’area dei fori, assumendo come tale quella minima corrispondente o alla sezione netta o al profilo spezzato) quando il profilo è collegato simmetricamente al suo baricentro. Inoltre : 1.- Nel caso di angolari singoli collegati ad una sola ala (fig. 1.7 a) l’area effettiva può essere assunta pari a: 2 2 1 1 1 eff A A A 3 A 3 A A + + = dove A 1 è l’area netta dell’ala collegata e A 2 l’area dell’ ala non collegata. 2.- Nel caso di coppie di angolari soggetti a trazione, connessi tra loro almeno ai terzi della lunghezza e collegati al medesimo lato della piastra (fig. 1.7.b) l’area effettiva di ogni angolare risulta: 2 2 1 1 1 eff A A A 5 A 5 A A + + = 3.- Nel caso di coppie di angolari tesi, connessi almeno ai terzi della lunghezza e collegati ai due lati della piastra di nodo (fig. 1.7.c) l’area effettiva è pari all’area totale dei due angolari depurata dai fori. 4.- Nel caso di profilati a C, collegati sull’anima e a T (fig. 1.7. d, e, f, g) si applicano i criteri dei punti 2 e 3. 5.- Si deve evitare di regola l’impiego di profilati a I e a C sollecitati prevalentemente a trazione, collegati su una sola delle ali (fig. 1.7. h,i) Le indicazioni precedenti sono riportate nella norma UNI 10011 (§ 6.2.1). Fig. 1.7 Verifiche di resistenza delle membrature 2 7.2 Compressione Prescindendo dall’instabilità deve risultare, per gli stati limite: d d N f A N ≤ = σ dove A è l’area nominale del profilo al netto dei fori. 7.3 Flessione Le tensioni normali negli elementi inflessi si calcolano considerando il momento d’inerzia della sezione depurata dalla presenza dei fori. E’ possibile tenere conto di un adattamento plastico ψ ≥ 1 per aumentare il modulo di resistenza. La norma CNR UNI 10011 propone il seguente calcolo : definito il momento elastico M e =Wf y (W modulo resistente, f y tensione di snervamento dell’acciaio) si determina il valore del momento ψM e che produce una freccia residua v r in mezzeria di una trave semplicemente appoggiata soggetta a flessione uniforme, pari a: 1000 L v r = quando la trave viene scaricata. I valori di ψ dipendono dal tipo di acciaio e dal rapporto L/h tra luca ed altezza. In base a questa definizione esistono curve di ψ in funzione di h per i diversi tipi di acciaio e per le diverse forme di sezione (IPE, HE, etc.). Ammettendo una parziale plasticizzazione si ha: a. per flessione semplice: W M y J M max ψ = σ ψ = σ b. per flessione deviata: x J M y J M y y y x x x ψ + ψ = σ y y y x x x max W M W M ψ + ψ = σ In via cautelativa ψ può essere posto pari ad 1. 7.4 Taglio Le tensioni tangenziali sono date da Jb VS = τ Nella pratica progettuale si ignora il contributo delle ali e si assume che il taglio venga assorbito dall’anima di area A w valutando una tensione media: Verifiche di resistenza delle membrature 3 w m A V = τ Quando sono presenti dei fori di bulloni nell’anima la tensione viene moltiplicata per il rapporto tra l’area lorda e l’area netta dell’anima. La verifica richiede: 3 f d max ≤ τ 7.5 Torsione Secondo la teoria di De Saint Venant: c. per sezioni circolari t GJ T dz d = θ = θ & d. per sezioni aperte di spessore sottile s: t 3 i i t t GJ T s b 3 1 J s J T = θ = = τ ∑ & e. per sezioni cave a parete sottile: ∫ Ω = θ Ω = τ s df G 4 T s 2 T 2 & Tuttavia per sezioni aperte in parete sottile la resistenza è sottovalutata, infatti le sezioni trasversali non si mantengono piane ma subiscono un ingobbamento che da luogo a flessione orizzontale nelle ali e quindi a delle tensioni tangenziali nelle ali. Il momento torcente è pertanto equilibrato in parte dalle tensioni tangenziali di torsione ed in parte dalle tensioni tangenziali di taglio nelle ali. Fig. 2.7 Problemi di instabilità 4 8. PROBLEMI DI INSTABILITA’ Nella teoria del I ordine le sollecitazioni sono calcolate facendo riferimento alla configurazione indeformata della struttura. Quando gli spostamenti incrementano le sollecitazioni in modo non trascurabile occorre fare riferimento alla teoria del II ordine. In tal caso non è più lecito trascurare l’effetto delle imperfezioni quali l’eccentricità dei carichi assiali, la non regolarità dei profilati, la linea d’asse pre-deformata, gli stati di coazione presenti. La presenza di tali imperfezioni impedisce che nei casi reali si realizzi il fenomeno dell’instabilità per biforcazione, caratteristico dei sistemi perfetti. Ad esempio nel caso dell’asta incastrata alla base e libera in sommità (fig. !.8) il diagramma carico- spostamento è influenzato dall’eccentricità iniziale dei carichi e il carico massimo dipende oltre che dalla resistenza del materiale anche dagli effetti del secondo ordine. P P f e P f e=0 e1 e2 e3 e1<e2<e3 8.1 Aste compresse Sono soggette a sforzi lungo l’asse, senza presentare una eccentricità nota o senza che l’asse presenti una curvatura prestabilita o sia soggetta ad azioni flettenti. Sono considerate aste compresse quelle che si scostano dalla configurazione rettilinea di una quantità v 0 < 1/1000 della lunghezza di libera inflessione. Se queste condizioni non sono verificate si tratta di presso flessione. Possono considerarsi come aste compresse: - i pilastri di strutture pendolari in cui le azioni orizzontali sono affidate ad elementi di controvento ed i nodi tra le travi e le colonne sono realizzati a cerniera; - le aste delle strutture reticolari. Si deve avere cura che le linee d’asse delle aste concorrenti in uno stesso nodo convergano in uno stesso punto. Il collegamento fra le aste è realizzato con bullonatura o saldatura pertanto sono presenti dei momenti di continuità che vengono trascurati nelle verifiche in quanto di modesta importanza (momenti secondari). Dalla teoria delle aste compresse perfette si ricava la lunghezza di libera inflessione l 0 (distanza tra i punti di flesso della deformata sinusoidale) in funzione delle condizioni di vincolo, la definizione della snellezza limite λ lim che separa il campo delle aste snelle da quello delle aste tozze. Per le aste snelle si può applicare la formulazione di Eulero che definisce il primo carico critico: 2 2 crit 2 0 min 2 crit E l EJ P λ π = σ ====> π = Per le aste tozze le tensioni sono comprese tra il limite di proporzionalità e le tensioni di snervamento. La tensione critica è valutata con la formulazione di Tetmayer, di Enghesser e di Karman. In figura 2.8 è riportata la relazione tra la σ crit e la snellezza: Fig. 1.8 Problemi di instabilità 5 σcrit λ λlim aste tozze aste snelle Tetmayer Enghesser Karman Eulero Si consideri ora l’effetto delle imperfezioni geometriche sull’asta reale. Partendo da un’asta non perfettamente rettilinea prima dell’applicazione dei carichi la sollecitazione è di presso flessione; a causa della deformazione le tensioni pertanto non avranno un andamento lineare con il carico. Si assume la deformata iniziale di tipo sinusoidale con equazione l z sin a y 0 π = La condizione di equilibrio tra il momento esterno e il momento interno porta alla relazione: 2 2 0 dz y d J E ) y y ( P − = + da cui: 0 l z sin a EJ P y EJ P dz y d 2 2 = + + π Una soluzione particolare dell’equazione differenziale di secondo grado è del tipo: l z sin k y π = da cui si ricava per derivazione: l z sin l k dz y d 2 2 2 2 π π − = Sostituendo si ricava: 0 l z sin EJ a P l z sin k EJ P l z sin l k 2 2 = + + − π π π π Semplificando si ottiene: 0 a P k P l EJ k 2 2 = + + − π Poichè il carico critico euleriano ha espressione: 2 2 E l EJ P π = sostituendo si ricava P P a P k E − = La deformata elastica sarà pertanto: l z sin a P P P y E π − = Lo spostamento y per il carico N, risulta: 0 E y P P P y − = Nella sezione di mezzeria il momento sarà pertanto: ( ) | | | . | \ | − = | | . | \ | − + = + = E 0 0 E 0 P P 1 1 M y P P P 1 P y y P M essendo M 0 = P y 0 il momento del primo ordine. Fig. 3.8 l Fig. 2.8 z Problemi di instabilità 6 La tensione massima risulta pertanto: | . | \ | − + = + = E 0 max P P 1 W M A P W M A P σ La condizione limite per le aste snelle è p max σ = σ ove σ p è la tensione di proporzionalità minore di f y . Sostituendo si ha: ( ( ( ( ¸ ( ¸ | . | \ | − + = E 0 max P P 1 W A y 1 A P σ Ponendo ancora σ media = P/A= σ crit e σ E =P E /A si ricava: ( ( ( ( ¸ ( ¸ | . | \ | − + = E crit 0 crit p 1 A W y 1 σ σ σ σ Fissata la tensione di proporzionalità σ p e le caratteristiche geometriche, per un dato valore di λ ricaviamo 2 2 E E λ π σ = ed osserviamo che al crescere di y 0 diminuisce σ crit per cui è possibile costruire la curva σ crit - λ che tiene conto dell’imperfezione dell’asta y 0 . Ripetendo il calcolo per diversi valori di λ otteniamo la curva delle tensioni critiche σ crit , analoga a quella dell’instabilità per biforcazione, ma che tengono conto delle piccole imperfezioni geometriche. Con questo procedimento è possibile tenere conto anche della presenza di stati di coazione che riducono le σ p . Le relazioni σ c - λ sono riportate dalla CNR UNI 10011 per diverse forme di sezione(tabella e fig. 5.8.) in funzione dei rapporti σ crit / fy e λ /λ crit . Ove y crit f E π λ = è la snellezza corrispondente al limite di validità del comportamento in fase elastica dell’asta. Problemi di instabilità 7 Fig. 4.8 Valori di σ crit / f y Problemi di instabilità 8 Fig. 5.8 La snellezza dell’asta è definita come: i L 0 = λ ove L 0 è la lunghezza di libera inflessione nel piano principale considerato, i il raggio d’inerzia nello stesso piano. La lunghezza di libera inflessione L 0 = βL ove L è la lunghezza dell’asta e β è un coefficiente che dipende dalle effettive condizioni di vincolo: - β = 1 se i vincoli dell’asta possono assimilarsi a cerniere - β = 0.7 se i vincoli possono assimilarsi ad incastri - β = 0.8 se un vincolo può assimilarsi ad incastro e l’altro a cerniera - β = 2 se un vincolo è un incastro perfetto e l’altro estremo è libero Per le strutture reticolari si assume: - aste di corrente di travi reticolari piane: - β = 1 per inflessione nel piano della travatura - β = 1 nel piano normale alla travatura se esistono ritegni rigidi alle estremità dell’asta - aste di parete - β = d/L ≥ 0.8 essendo d la distanza tra i baricentri delle bullonature o saldature d’attacco ale estremità Per le colonne dei fabbricati, provvisti di ritegni trasversali rigidi si assume β = 1. In ogni caso deve risultare: - λ ≤ 200 per le membrature principali (azioni statiche) - λ ≤ 250 per le membrature secondarie (azioni statiche) - λ ≤ 150 per le membrature principali (azioni dinamiche) - λ ≤ 200 per le membrature secondarie (azioni dinamiche) Nel calcolo agli stati limite deve risultare lo sforzo normale di calcolo N sd minore dello sforzo normale critico N crit : N sd ≤ N crit e quindi 1 crit ≥ σ σ ove σ crit = N crit /A è la tensione che provoca l’inflessione laterale dell’asta nel piano che si considera e σ = N/A è la tensione assiale di compressione media corrispondente al carico N. Nel metodo alle tensioni ammissibili deve risultare: Rapporti σ crit / f y Problemi di instabilità 9 ν σ σ ≥ rit c essendo: - ν = 1.5 per la I condizione di carico - ν = 1.5 /1,125 per la II condizione di carico Ovviamente la differenza è dovuta al fatto che le azioni alo stato limite sono considerate con γ f > 1, nel metodo alle tensioni ammissibili sono considerati i carichi di esercizio. I valori di σ c si ricavano in funzione di snervamento f y (prospetto 7.I), in funzione del rapporto λ/λ crit . Metodo ω La verifica di sicurezza di un’asta compressa può effettuarsi nell’ipotesi che la sezione trasversale sia compressa da una forza assiale N sd maggiorata dal coefficiente ω: d sd f A N ≤ ω I valori di ω sono tabellati in funzione di λ per i vari tipi di acciaio e in funzione della forma della sezione trasversale (curve a, b, c, d su norma CNR UNI 10011). A titolo di esempio è riportata la tabella dei coefficienti ω per acciaio Fe 360 aventi sezione quadrata, rettangolare o tonda Problemi di instabilità 10 8.2 Aste compresse composte Si tratta di elementi in cui i correnti sono costituiti da profilati (di solito ad L o a C) e sono collegati fra loro in modo discontinuo mediante tralicci triangolati (aste tralicciate) (Fig. 6.8.a,b) oppure mediante elementi di lamiera di forma rettangolare (calastrelli) (Fig. 6.8.c) disposti ad interasse costante. Ai fini del problema dell’instabilità vengono considerate come aste semplici. Per esse non vale l’ipotesi di conservazione delle sezioni piane. Tuttavia è possibile ricondurre il caso delle aste composte a quello delle aste semplici col metodo della snellezza equivalente tenendo conto di una deformazione per flessione come se si trattasse di un’asta semplice monolitica che ha la stessa sezione trasversale dell’asta composta effettiva e tenendo inoltre conto della deformazione del collegamento dei correnti a traliccio in modo analogo a quello di una trave reticolare, mentre nel caso di collegamenti con calastrelli in modo analogo a quello di una trave Vierendeel (Fig. 7.8). M M Fig. 6.8 Fig. 7.8 a. b. a b c (CNR UNI 10011) Problemi di instabilità 11 Problemi di instabilità 12 Problemi di instabilità 13 Problemi di instabilità 14 8.3 Aste compresse a sezioni aperte e chiuse con pareti di piccolo spessore Per evitare che si manifesti un imbozzamento locale prima che l’elemento abbia esaurito la sua resistenza di insieme occorre rispettare dei limiti dimensionali (vedere CNR UNI 10011). Tali limiti dipendono dal materiale. I limiti interessano i rapporti b 1 /t 1 : Fe 360 Fe 430 Fe 510 b 1 /t 1 ≤ 15 14 12 b1 t1 Problemi di instabilità 15 8.4 Aste pressoinflesse Considerazioni più dettagliate vanno fatte per momenti variabili lungo l’asta, o per presso flessione deviata (vedere norme CNR UNI 10011 § 7.4). ν = 1 nel calcolo agli stati limite Problemi di instabilità 16 8.5 Stabilità dell’anima di elementi strutturali a parete piena Consideriamo una sezione a doppio T sollecitata da un momento M sd e taglio V sd . Le tensioni e le isostatiche sono rappresentate nella figura sottostante. Nell’anima di spessore s le tensioni medie tangenziali sono: η = τ s V sd m (in cui η è il braccio di leva interno) e le isostatiche sono inclinate di 45°. La lunghezza delle diagonali compresse pari a 2 η determina un carico di sbandamento ridotto per cui tendono ad essere più efficacemente sostituite da bielle compresse più corte che corrispondono ai montanti verticali per cui si giunge ad uno schema resistente di diagonali tesi e da montanti verticali compressi. Il carico critico Euleriano del montante compresso (che consideriamo di larghezza b), tenuto conto che ne è impedita la dilatazione trasversale risulta (detto ν il coefficiente di Poisson): ( ) 2 0 2 2 crit l 1 J E Q ν π − = essendo 3 bs 12 1 J = e 2 l 0 η ≅ . Ponendo ( ) | . | \ | = − = 2 2 2 0 mm N 186000 E 1 12 E ν π si ricava 2 0 cr cr s E 4 bs Q | | . | \ | η = = σ Problemi di instabilità 17 La σ cr diminuisce in funzione quadratica con la diminuzione del rapporto (s/η) che definisce la “sottigliezza” dell’anima, e per valori del rapporto η/s maggiori di 70-80 occorre provvedere a rinforzare l’anima con degli irrigidimenti, costituiti di norma da montanti disposti simmetricamente rispetto all’anima. In realtà il comportamento del pannello dell’anima di una trave limitata da due sezioni normali all’asse e da due parallele in corrispondenza dei correnti è condizionato dall’andamento delle tensioni normali σ e tangenziali τ agenti. I vari parametri che influenzano la resistenza all’imbozzamento dell’anima delle travi sono prese in conto nella formulazione della norma CNR UNI 10011, la quale suddivide l’anima in campi rettangolari di lunghezza “a” ed altezza “h”. Problemi di instabilità 18 Problemi di instabilità 19 Problemi di instabilità 20 La verifica all’imbozzamento dei pannelli d’anima deve essere integrata: - dalla verifica a carico di punta degli irrigidimenti verticali in corrispondenza degli appoggi e dei carichi concentrati , - dalla verifica della stabilità locale dell’anima sotto l’azion e di eventuali carichi applicati fra due irrigidimenti trasversali consecutivi. Per queste verifiche fare riferimento alle disposizioni della norma CNR UNI 10011 Composizione strutturale 21 9. Composizione strutturale di edifici multipiano e monopiano. Controventi Gli elementi fondamentali della struttura sono: f. Le fondazioni, realizzate in c.a., secondo la tipologia più opportuna (plinti, travi continue, piastre, pali) g. Le strutture in elevazione h. I solai dei vari piani, nel caso di edifici multipiano, o la copertura, nel caso di edifici monoplano 9.1 Edifici multipiano I solai possono essere realizzati in vario modo: i. Pannelli in cemento armato normale o precompresso o misto con laterizio, gettati in opera (fig. a, b) o prefabbricati (fig. c, d) j. Lamiere grecate riempite da materiale inerte (fig. e) k. Lamiere grecate riempite da calcestruzzo collaborante (fig. f) Nella prima delle figure sottostanti sono riportati alcuni esempi di sagome di lamiere grecate e nella seconda è rappresentata una lamiera recata collaborante col calcestruzzo Composizione strutturale 22 Le azioni verticali ed orizzontali sono applicate ai solai o alle pareti laterali (ad es. l’azione del vento) e dovranno essere trasferite alle fondazioni tramite il sistema resistente costituito dalle travi e dai pilastri che saranno pertanto soggetti a sollecitazioni assiali, taglianti e flettenti. l. Un sistema idoneo a trasmettere queste azioni potrebbe essere costituito da colonne e travi rigidamente collegate tra loro a formare una struttura intelaiata a molte iperstatiche. Un esempio di tali collegamenti è riportato qui sotto tali collegamenti risultano costruttivamente molto impegnativi e costosi e inoltre impegnano in modo pesante le colonne a sollecitazioni flettenti. m. E’ possibile progettare una struttura in cui le azioni orizzontali sono trasmesse ad un elemento rigido incastrato al base, ad es. un nucleo in cemento armato. I pilastri risultano pertanto semplicemente compressi e le giunzioni trave-colonna trasmettono solo sforzi di taglio In questo caso le giunzioni sono semplici Composizione strutturale 23 Le sollecitazioni flettenti nelle colonne sono molto ridotte, si ha tuttavia un aggravio del sistema fondazionale che deve fornire le reazioni ai carichi orizzontali concentrati in alcuni elementi e non distribuiti su tutta la pianta dell’edificio. n. In alternativa al nucleo di cemento armato gli sforzi orizzontali possono essere trasferiti da un sistema di controventi realizzati con strutture reticolari in acciaio. Di seguito si riportano alcuni schemi di controventature Questi si ripetono per tutti i piani a realizzare elementi di controvento che interessano 2, 3 o più ritti. La forma è legata spesso ad esigenze architettoniche. Le colonne ed i traversi di una controventatura verticale in genere hanno il compito di trasferire alle fondazioni le azioni verticali mentre le aste diagonali sono sollecitate dalle azioni orizzontali. Il sistema di controventi deve ovviamente equilibrare le azioni orizzontali agenti nelle due direzioni ortogonali. Il trasferimento delle forze orizzontali dai loro punti di applicazione alle strutture di controvento avviene attraverso la rigidità nel proprio piano dei solai, che, nella pratica costruttiva si considera infinita. Qualora i solai non diano sufficiente garanzia di rigidezza e di buon collegamento con le altre strutture (solai leggeri, solai metallici in genere) occorre prevedere strutture in acciaio di controventatura orizzontale nel piano stesso dei singoli solai. Alcuni esempi: o. Struttura a telai longitudinali con collegamenti trasversali e solai orditi in senso trasversale. Nella pianta sono evidenziati gli elementi di controvento verticali ed orizzontali Composizione strutturale 24 p. Schema statico a telai trasversali con collegamenti longitudinali e solai orditi in senso longitudinale Composizione strutturale 25 9.2 Edifici monopiano Consideriamo un edificio industriale monopiano a maglie rettangolari con un lato di dimensioni importanti (L ≥ 15 m) Con una copertura che ha per lo più funzione di protezione per il clima. Possono essere inoltre presenti vie di corsa di carri-ponte Composizione strutturale 26 Il carico verticale agente in copertura agisce sugli elementi longitudinali (inflessi), quindi su travi principali, pilastri e fondazioni. Per interassi grandi tra le travi si dispongono travi secondarie e arcarecci. Gli arcarecci è bene che siano disposti in corrispondenza dei nodi delle travi a formare delle travi continue. Poiché la lunghezza commerciale dei profilati è di circa 12 metri occorre realizzare delle giunzioni (per lo più chiodature). Le travi reticolari possono avere forma diversa e per dimensioni elevate le lunghezze delle aste compresse può ulteriormente essere divisa (schema sul lato a destra della figura) per ridurre la lunghezza di libera inflessione Le varie travi sono collegate dagli arcarecci (o da lamiere grecate) che si comportano come bielle e che non impediscono uno sbandamento contemporaneo di tutte le travi. E’ pertanto necessario un controvento trasversale (fig. a). Nella fig. b è presente anche un controvento longitudinale. Gli arcarecci oltre che trasmettere le forze assiali sono soggetti a flessione che diventa flessione deviata quando le falde sono inclinate Le azioni orizzontali sono dovute al vento , allo scorrimento dei carri ponte, alle imperfezioni costruttive, alle azioni sismiche. Esse devono essere riportatealle fondazioni tramite una apposita orditura: q. Telai in ambedue le direzioni (fig. a) r. Telai in direzione trasversale e controventi con struttura pendolare in direzione longitudinale (fig. b) s. Struttura pendolare controventata nelle due direzioni (fig. c) Composizione strutturale 27 Tali soluzioni sono schematizzate nella figura sottostante t. Schema a: la rigidezza della trave è paragonabile a quella delle colonne e si ha comportamento a portale. Le colonne sono sollecitate da un momento flettente incrociato e ciò costituisce un aggravio per le colonne, soprattutto quando sono realizzate con sezioni a I con rigidezze molto diverse nei due piani principali u. Schema b: le due forze orizzontali trasversali all’asse dell’edificio sono assorbite ancora con il comportamento a portale mentre quelle longitudinali sono equilibrate dal controvento. Questa soluzione permette di disporre le colonne con il piano di maggior rigidezza nel piano del portale. I controventi longitudinali che possono costituire disturbo funzionale nei riguardi dell’utilizzazione sono realizzati con forme diverse: v. a croce di S. Andrea w. a K o a V rovescio x. a portale Composizione strutturale 28 y. Schema c: la trave si considera incernierata alle estremità e quindi trasmette ai pilastri, oltre alle forze verticali delle forze orizzontali ma non dei momenti. Con le travi reticolari questa soluzione è possibile ovalizzando il foro delle giunzioni bullonate (punto A della fig. 1.48) (asola). Infine le colonne possono presentare forme assai diverse in funzione della presenza o meno delle vie di corsa. Per carriponte impegnativi si ricorre alle soluzioni c e d della fig. 1.47
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