Accenti provenzali sui monti Dauni

March 27, 2018 | Author: Scuola di giornalismo di Urbino | Category: France, Italy, Languages


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il Ducatodossier Distribuzione gratuita Spedizione in a.p. 45% art.2 comma 20/b legge 662/ 96 - Filiale di Urbino Accenti provenzali sui monti Dauni Come nel 1.200, a Faeto e Celle di San Vito si parla ancora francoprovenzale: non un dialetto, ma una vera lingua riconosciuta come ‘minoritaria’. Da anni, nelle due enclave in provincia di Foggia, si cerca di difendere il patrimonio linguistico dallo spopolamento e dalla perdita dell’insegnamento in famiglia di Antonio Ricucci Inchiesta ricucci_apertura 2-3_ducatoultra def.qxd 25/04/2012 11:39 Pagina 6 il Ducato Celle san Vito e Faeto: dove resistono gli ultimi 800 francoprovenzali del Sud 700 anni fa, Carlo d’Angiò... Pochi abitanti e matrimoni misti mettono a rischio l’eredità linguistica. Gli sportelli di lingua senza fondi N on sono colonie d’oltremare, ma un pezzo di Francia tra le montagne del Subappennino dauno: le isole linguistiche francoprovenzali di Faeto e Celle di San Vito, rispettivamente il Comune più alto della Puglia (primato conteso con Monteleone di Puglia) e il più piccolo, con i suoi 176 abitanti. Come 700 anni fa, qui, a più di ottocentro chilometri dall’Arpitania, si parla il francoprovenzale, una delle dodici lingue riconosciute come minoritarie dalla legge 482/1999. Le origini dei due borghi vanno indietro fino al Medioevo: per Celle, la fondazione si fa risalire a una piccola comunità monastica che aveva costruito in altezza le sue ‘cellette’ per sfuggire alla malaria che infestava il torrente Celone, poco più sotto. Sulla fondazione di Faeto, invece, la ricerca storica si divide in due ipotesi: secondo la prima, che trova fondamento in due editti del re Carlo d’Angiò (uno dell’8 luglio 1268 e l’altro del 20 ottobre 1274). Dopo la vittoria sugli Svevi nella battaglia di Benevento del 1266, Lucera è continuamente esposta alle razzie dei Saraceni, perciò il re invia soldati angioini a fortificare il feudo di ‘castrum Crepacordis’, che si trovava sulla via Traiana; a loro si uniscono maestranze di sudditi provenienti dalla Provenza e così nasce Faeto. Con l’editto successivo, Carlo d’Angiò concede agli abitanti di non tornare in Francia e restare sulle alture del Subappennino dauno. L’altra ipotesi, quella sostenuta per primo dallo storico Pierre Gilles nel XVI secolo, vorrebbe i paesi di Celle, Faeto, Monteleone, Montacuto e Motta Montecorvino, fondati da valdesi in fuga dalle persecuzioni religiose durante il ‘400. Ancora oggi, il francoprovenzale resiste, soprattutto in ambito familiare, dove si compie l’apprendimento principale dal momento che il ‘patois’, per oltre 700 anni, cioè dal 1200 a fine 1800, non è mai stata una lingua scritta; il primo documento (1875) redatto in francoprovenzale, infatti, è la traduzione della nona novella del ‘Decamerone’ di Boccaccio da parte del cellese Alfredo Perrini. Boccaccio narra la storia di Federigo degli Alberighi e del suo falcone: dopo aver speso invano tutte le sue ricchezze per conquistare la donna che ama, Federigo, ormai povero non esita a sacrificare il suo falco per pranzare con la donna che ama, che si decide a sposarlo. Nel 1892, segue la parabola del ‘Figliol prodigo’ in ‘faetar’ a cura di Giacomo Morosi. Sempre in quegli anni, nel 1873, Isaia Graziadio Ascoli, pa- Cartello bilingue all’ingresso di Faeto. Nella pagina a destra, Anna Conte e Antonietta Cocco con le ragazze dello sportello linguistico. A destra, Giovanni Agresti fonte: Arpitania.eu La nona novella del Decameron il primo testo scritto in francoprovenzale dre della glottologia italiana, stabilì con certezza che la lingua parlata a Faeto e Celle san Vito non assomigliasse a nessuno dei dialetti apulo-sannitici circostanti e neppure, come qualcuno erroneamente credeva, all’albanese: è la scoperta delle isole alloglotte di Celle e Faeto, che da allora in poi saranno oggetto di ricerche da parte di numerosi studiosi: Antonio De Salvio, Giacomo Morosi, Dieter Kattenbusch, Michele Melillo, Ernest S c h ü l e, Tu l l i o Telmon. Ma a dispetto di questa tradizione secolare di ‘trilinguismo’ (la coesistenza di francoprovenzale, italiano e dialetto pugliese del foggiano), nell’unica scuola del paese, una sezione distaccata della scuola ‘Virgilio’ di Troia, il francoprovenzale non viene insegnato nell’orario didattico. Anna Conte, docente a Faeto e fiduciaria del dirigente scolastico, spiega: “L’attività didattica d’insegnamento del francoprovenzale è prevista come extracurricolare e per farla ogni anno c’è un docente. A scuola il francoprovenzale non viene usato anche perché non tutti gli insegnanti sono del posto” e quindi non lo com- prendono. Un altro punto a sfavore dell’uso del francoprovenzale nella didattica ordinaria, per la professoressa, è il fatto che le classi siano miste per età (pluriclasse): una modalità con la quale secondo l’insegnante “è assai difficile gestire la didattica”. Terza concausa “la mancata stabilità del corpo docenti”. Il quadro nel quale il francoprovenzale sopravvive non è dei più rosei; a darci l’idea del rischio drammatico che questa lingua corre è la maestra Cinzia Cocco: “Alle elementari, su 24 iscritti solo due lo parlano; gli altri non lo conoscono”. E le cause? Le maestre spiegano che in molte famiglie resta l’idea che sia un dialetto, da evitare per parlar meglio l’italiano; inoltre, i matrimoni misti tra giovani faetani o cellesi e abitanti dei paesi limitrofi, come Roseto Valfortore, Castelluccio Valmaggiore e Troia riducono le possibilità che il francoprovenzale venga trasmesso ai figli: “In questo caso, è la lingua della madre quella vincente – spiega Conte- perchè, la lingua francoprovenzale la si succhia, esattamente come nell’allattamento”. Come detto, alla fine delle scuole medie i faetani (i ra- Una scuola e 70 alunni. Anna Conte: “Non bisogna aver paura della contaminazione” gazzi di Celle, una ventina in tutto, studiano a Castelluccio valmaggiore, con l’eccezione di due) si trasferiranno altrove per le scuole superiori, dove “parlano in faetano, all’inizio, però subito si accorgono di non essere compresi dai nuovi compagni”, aggiunge Conte. E perciò, la scuola promuove scambi culturali biennali con altre comunità di lingue minoritarie; per esempio, nel 2010-2011 con le scuole di Sassari e Aosta, quest’anno e il prossimo anche con quelli friulani di Udine. “Non è un viaggio d’istruzione perché i ragazzi vengono ospitati in famiglia potendosi così confrontare insieme ai loro coetanei che trovano le stesse barriere linguistiche”. A ciò si aggiunge che l’attività dello sportello linguistico comunale di Faeto, nato grazie ai fondi della legge sulle minoranze linguistiche (ripartiti dalla Provincia di Foggia) è sospesa, a causa del commissariamento dell’amministrazione comunale. Il lessico francoprovenzale è rimasto legato agli usi della civiltà contadina,mentreperiterminidinuovo conio c’è la contaminazione con il dialetto pugliese:“Ma non bisogna averne paura”, ragiona Conte per la quale “è necessario che la lingua venga contaminata per mantenerla viva”. A Faeto, per esempio, “la lingua è maggiormente influenzata dall’accento napoletano rispetto al cellese; questo perché siamo collegati con l’area campana, con Greci e Savignano Irpino”. Uno dei tentativi di dare sistematicità alla produzione scritta in francoprovenzale è il concorso in lingua “Abbè Cerlogne”, organizzato inVal d’Aosta, a cui partecipano, dal 1989 gli alunni della scuola faetana; quest’anno il tema scelto è quello della “Scuola cuore del villaggio”. A Faeto e Celle San Vito, invece, viene organizzato il concorso letterario “Giuseppe La Nave”, aperto anche a chi non scrive in francoprovenzale. Da parte sua, la Provincia si affida alla società Euromediterranea per la progettazione di azioni destinate alla salvaguardia delle minoranze. La stessa società cura la realizzazione dei contenuti del portale www.minoranzelinguistiche.fg.it, che funge anche da ‘Sportello linguistico’ virtuale, con documentazione e aggiornamenti sul tema. Al momento però, non è attiva la sede foggiana dello Sportello, e la ‘web tv’ tematica è “sospesa”. Pubblicata una collana di autori in lingua e una guida turistica su Chieuti e Casalvecchio, Celle e Faeto. Da Palazzo Dogana spiegano che i fondi sono ripartiti dalla Regione, ma la Provincia, da parte sua “non stanzia alcun finanziamento”. 2 Inchiesta ricucci_apertura 2-3_ducatoultra def.qxd 25/04/2012 11:39 Pagina 7 DOSSIER Giovanni Agresti, sociolinguista dell’Università di Teramo, ideatore dell’Ufe “Obiettivo normalizzazione” “Orgoglio delle origini”, con un lessico nuovo per mantenere viva la lingua. Ma non tutti sono d’accordo P er la prima volta, il 12 e 13 agosto dell’anno scorso, a Faeto si è svolta l’Università francoprovenzale d’estate (Ufe); ne abbiamo parlato con l’ideatore, Giovanni Agresti, sociolinguista e ricercatore dell’Università di Teramo. Tutto nasce dal progetto ‘Langues d’Europe et de la Méditerranée” (Lem) del Ministero della Cultura francese. “La nostra intenzione era quella di non fare una cosa accademica; perciò, abbiamo organizzato atelier di lingua francoprovenzale tenuti da insegnanti e scrittori locali, e i partecipanti andavano dagli otto ai 60 anni. La novità è che in questa occasione, per la prima volta, la lingua locale è stata insegnata a l l ’ e s t e r n o”. Parallelamente, spiega Agresti, si svolgevano delle conferenze per gli studiosi. Durante questa due giorni, si sono incontrati linguisti, residenti, emigrati faetani e cellesi in vacanza nel borgo natio; c’erano anche Ines Cavalsanti e Teresa Geminatti della Chambra d’Oc piemontese. Agresti racconta che “Geminatti e uno scrittore locale, Salvatore Carosielli, a un certo punto si sono messi a parlare, ognuno nel francoprovenzale di provenienza, e si sono compresi bene”. Una situazione privilegiata dove, a differenza che in altre isole linguistiche così piccole “fanno a gara sul dare importanza alla Il progetto europeo Tramontana ha bisogno di cofinanziamento dal Comune lingua madre; per loro è un orgoglio usare la lingua francoprovenzale”. Per Agresti, il punto cruciale per la tutela del francoprovenzale è la sua ‘normalizzazione’: “Si rende molto più servizio a una lingua locale ancestralespiega - utilizzandola, ad esempio, per redigere un verbale di contravvenzione, anziché pubblicando dei bellissimi libri di poesie. Al contrario, se l’uso della lingua è quello circoscritto alla ‘lingua del cuore’, c’è il rischio che muoia”. Trovata la soluzione per continuare a parlare francoprovenzale anche nei prossimi decenni? Non tutti i faetani sono d’accordo: secondo il sociolinguista, infatti, alcuni parlanti preferiscono “mantenere una lingua ibernata in un passato mitico e indefinito, piuttosto che una lingua ammodernata e utilizzata quotidianamente”, un atteggiamento chiamato, mutuando il termine dalla psicanalisi, ‘resistenza alla cura’. Tutto nasce dall’esigenza di creare neologismi francoprovenzali per poter parlare questa lingua ancora nel 2012 poichè il suo lessico è rimasto fermo alla società contadina e isolata così com’era fino all’unità d’Italia. Chi si oppone alla normalizzazione linguistica “crede sia ridicolo creare un neologismo e perciòcontinua Agresti- preferisce mantenere una lingua ibernata in un passato mitico e indefinito, piuttosto che una lingua ammodernata e utilizzata, su base volontaria, tutti i giorni”. Il Comune di Faeto, per favorire la normalizzazione, ha tradotto in francoprovenzale alcuni atti amministrativi: certificati di nascita e morte, matrimonio, statuto bilingue. E il francoprovenzale di Faeto, grazie al progetto ‘Tramontana’, potrebbe avere una ribalta eu- ropea. ‘Tramontana’, promosso da Lem Italia e altre associazioni francesi e portoghesi, è cofinanziato al 50% dall’Unione europea con 200.000 euro, e “prevede la creazione di un portale e l’inserimento di circa 800 interviste di un’ora ciascuna su tratti di continuità lingui- stica, tradizioni e riti religiosi, tesa anche a favorire percorsi di turismo culturale”. Al momento, però, a causa del commissariamento dell’amministrazione comunale faetana, è tutto sospeso, e c’è il rischio che questa preziosa opportunità possa scivolare via. Il corso si tiene nella scuola media di Faeto A lezione di francoprovenzale N o, imparare il francoprovenzale non mi piace”: la sincerità di una ragazzina delle medie è disarmante. Siamo alla scuola ‘Virgilio’ di Faeto e martedì pomeriggio c’è la lezione, extra orario scolastico, di francoprovenzale; ci sono otto alunni di prima e seconda media: tre ragazze tutte sedute a destra accanto alla finestra, separate dai loro compagni maschi. Entro in classe e vengo accolto dalle due docenti, Anna Conte e Maria Antonietta Cocco: è lei l’esperta di francoprovenzale che la scuola ha scelto per l’insegnamento della lingua. Gli alunni sono agitati, forse è la mia presenza a fargli quest’effetto, oppure come ricorda Cocco “sono qui da stamattina, poiché per problemi di orario in questa settimana la lezione è slittata al martedì pomeriggio”. Mi fanno vedere i loro quaderni dove traducono poesie dall’italiano al francoprovenzale: alcuni di questi lavori, sul tema della scuola come ‘cuore del villaggio’ parteciperanno al concorso ‘Cerlogne’ che quest’anno si svolge a Fénis, in Val d’Aosta, dal 16 al 18 maggio. C’è Giuseppe, che sollecitato dall’insegnante, comincia a parlare in francoprovenzale; c’è Antonietta, che è di Celle san Vito, ‘beccata’ dai suoi compagni, un coro unanime che in francoprovenzale la etichetta come la ‘Cigliaje’ (cellese, in francoprovenzale); c’è Ramona, che vive a Faeto da due anni e di francoprovenzale non conosce niente perché sua madre è rumena e suo padre polacco: “Faccio molta fatica ad impararlo”, riconosce. C’è anche Matteo, il ‘sindaco junior’ che con altri dodici ragazzi compone ‘il Consiglio comunale dei ragazzi’, sul valore del quale l’insegnante insiste; quello che però mi colpisce è che tra ragazzi e insegnante non c’è una vera comunicazione in francoprovenzale; anche fra di loro i piccoli faetani non sono a loro agio a interloquire in lingua nel contesto scolastico. L’eccezione è Miriana, un’alunna di terza media che parla volentieri la lingua dei suoi genitori: entrambi, Carmelina e Pasquale, sono faetani. Mi sembra un’altra dimostrazione del rischio paventato da Cocco che aveva individuato nei matrimoni misti tra indigeni e abitanti dei paesi limitrofi una delle cause che influiscono sul futuro di questa lingua: “I risultati che abbiamo con il corso- confessa l’insegnantenon sono ottimi. Solo quelli che hanno appreso la lingua in famiglia riescono a mantenerla pura, mentre gli altri spesso confondono pronunce diverse; un esempio è quello della parola ‘cinne’, (cane in francoprovenzale) che sento sempre più spesso pronunciare ‘cenne’, con una ‘e’ anziché la ‘i’ del vero francoprovenzale”. Infine, anche i ragazzi di terza media che avevano fatto lezione prima che arrivassi a scuola, si uniscono a noi: intonano un bellissimo coro natalizio ‘a cappella’ in francoprovenzale: ‘Il mondo che risplende di luce’. A un certo punto Mario, un ragazzino dall’aria vispa e i capelli spettinati, inizia a leggere in francoprovenzale un suo racconto, ‘Luigi’: uno scherzo del sagrestano di Faeto al suo parroco, che prima della messa sostituisce il vino destinato alla consacrazione con l’aceto. Una volta concluso il brano, alunni e insegnanti applaudono il nostro ‘Luigino’ e si scambiano complimenti e frasi ironiche in lingua locale: è una gran confusione, nella quale chi scrive perde il filo della comprensione; almeno finora, il francoprovenzale è salvo. 3 Inchiesta ricucci 4-5 foto orizzontale_ducatoultra def.qxd 25/04/2012 13:24 Pagina 2 il Ducato Nel paese più piccolo di Puglia; il sindaco: “Evitato il rischio spopolamento” Celle, la diaspora è finita Il francoprovenzale radice culturale degli emigrati. Minichelli pessimista: “Serve amore o la lingua sparirà” D i fronte a Faeto, c’è Celle di san Vito, il più piccolo comune pugliese in assoluto con i suoi 170 abitanti. Colpa soprattutto della massiccia emigrazione dal Sud al Nord negli anni ’60, in particolare a Torino, la città della Fiat. Ed è lì, nel capoluogo piemontese che si è costituita e opera l’ ‘Associazione francoprovenzale dei pugliesi in Piemonte’, fondata da Vincenzo Minichelli e presieduta da Silvano Tangi, che spiega: “La lingua francoprovenzale di Celle e Faeto è pressoché identica, con pochissime differenze, che però ci sono”. “Negli ultimi cinque annisottolinea il presidente- sono state pubblicate altrettante tesi di laurea sul francoprovenzale”: in particolare, i cellesi hanno apprezzato il lavoro di Arcangelo Martino (emigrato a Brandtford, Canada) sulle ‘Reliquie francoprovenzali nella parlata di Celle san Vito”, pubblicato anche online dal Centro studi documentazione Memoria orale (Cesdomeo) piemontese. L’associazione, che raduna 50 iscritti, dal 2000 organizza “cinque cicli d’incontri con 10 oratori sul tema del francoprovenzale”, ricevendo come contributo, ai sensi della legge 26 sul patrimonio linguistico, un migliaio di euro dalla Regione Piemonte. Il 12 agosto di ogni anno gli emigrati ritornano a Celle, “1.000 abitanti durante agosto” per ritrovarsi tutti insieme: si celebra una messa in francoprovenzale; il giorno dopo è festa patronale in onore di San Vincenzo Ferrer, mentre il 15 giugno si celebra San Vito. La diaspora cellese, spiega Tangi, è diffusa particolarmente in Canada, a Brandford e a Favria Canavese, in Piemonte. Un’emigrazione che però, sia per Tangi che per il sindaco cellese Palma Maria Giannini si è fermata: “Cinque anni fa, con il primo periodo di crisi e la chiusura di alcune aziende dell’indotto Fiat, ci sono state alcune famiglie rientrate a Celle san Vito”. Anche il primo cittadino sostiene che il rischio spopolamento è stato evitato: “Negli ultimi tre anni, sono arrivate qui una decina di famiglie. Quelli che si spostano da Celle, continua il sindaco- lo fanno perché si sposano con altre persone di fuori”. Lo sportello linguistico comunale di Celle San Vito, attualmente chiuso, riaprirà quest’estate. “Il progetto viene presentato di anno in anno-spiega il sindaco- e lo facciamo soprattutto per dare un po’ di lavoro ai giovani del posto”. Giannini spiega che il Comune è pronto a mettere 60.000 su 200.000 euro qualora “la Presidenza del Consiglio dei Ministri approvi un progetto che ci permetterebbe di tener aperto per due Una veduta di Celle San Vito. Qui sotto, l’orchestra Sparagnina di Corigliano. A destra, in alto ‘Le Faitare’, in basso Giuseppe Cocco anni di fila lo sportello, concentrandoci maggiormente sul turismo”. Purtroppo, ammette Giannini “non è la nostra lingua a portare turismo”. “I primi a uccidere la ricchezza linguistica sono stati gli intellettuali”. Vincenzo Minichelli, autore di un dizionario italia- no-francoprovenzale è pessimista sul futuro della sua lingua: “manca l’interesse affettivo per la lingua”, aggiunge. Raggiunto telefonicamente a Torino, dove vive ormai dal 1954, Minichelli ricorda che “un tempo era una vergogna parlare il dialetto francopro- venzale” e spiega che “la situazione “è peggiorata rispetto agli anni ’60, e nel giro di pochi anni la lingua si perderà, anche se è questo è fisiologico con le lingue minoritarie. Ne sono già scomparse seimila in tutto il mondo in quattro anni”. Che fare dunque? “La salvaguardia è affidata alla scrittura, visto che i giovani e i bambini non parlano più il francoprovenzale”. Per Minichelli, quello che non va nelle realtà di Celle e Faeto è “la mancanza di insegnanti di francoprovenzale, a differenza che in Piemonte”. Il 26 maggio “Suoni dalle minoranze”, progetto del Miur Corigliano, sette note in 12 lingue S arà una Babele in musica: il 26 maggio, a Corigliano d’Otranto, le minoranze linguistiche di tutta Italia si sono date appuntamento per far conoscere la loro storia e tradizione attraverso il canto. Sedici cori scolastici provenienti dalla Grecìa salentina, comunità ospitante la rassegna, oltre a francoprovenzali, occitani, arberehshe, ladini, sardi, friulani, croati, sloveni. La manifestazione ‘Suoni dalle minoranze’ è promossa dal Ministero dell’Università e della ricerca: per Tiziana Senesi, della Direzione generale Miur, “l’approccio alla lingua di minoranza tramite la musica favorisce lo sviluppo cognitivo del bambino in quanto approccio ludico alla pre-conoscenza”. Le sette note come fulcro della tradizione linguistica della comunità d’appartenenza, poiché i canti popolari da sempre fanno parte del patrimonio popolare trasmesso oralmente di padre in figlio. Tutte le scolaresche s’incontreranno nell’istituto comprensivo di Corigliano d’Otranto, accolte dal dirigente scolastico Luigi Martano, uno dei coordinatori dell’evento, “da 17 anni attivamente impegnato sul tema”. Dopo l’approvazione della legge regionale pugliese sulla tutela delle minoranze linguistiche, Martano annuncia che entro il 27 aprile verranno definite le linee guide del progetto ‘Lingue di Puglia’, un portale web interamente dedicato al plurilinguismo nel ‘tacco d’Italia’: oltre alla Grecìa salentina, infatti, la Puglia ospita insediamenti di lingua ‘francoprovenzale’ a Celle San Vito e Faeto, e di lingua ‘arbereshe’ a Chieuti e Casalvecchio. “Si spera nei fondi di questa nuova legge- continua Martanoper assumere nelle scuole docenti esterni di lingua minoritaria”. Già dal 2008, in Puglia, le scuole che ospitano comunità di minoranze linguistiche sono in rete tra di loro: in questo modo è più facile presentare al Miur progetti nel campo della tutela questa metodologia viene applicata per l’insegnamento dell’ “orienteering”, cioè di scoperta del territorio associata a contenuti di storia locale Dei francoprovenzali si è occupata anche. Naomi Nagy, ricercatrice all’Università di Toronto, che ha realizzato il progetto di ricerca ‘Parlanne faitare’: si tratta di un vero e proprio metodo di apprendimento del francoprovenzale faetano. “Tutto nasce nel 1992- racconta Nagy- quando ho incontrato John Carosielli, un immigrato faetano che viveva a Philadelfia. Lui era convinto di parlare il francese, ‘lu franceai’ come diceva lui, ma andando a lezione in una classe di francese si è reso conto di non capirlo del tutto. Dunque è venuto da me per cercare di scoprire quale fosse la lingua che parlava”. Nagy, dopo l’approvazione del suo progetto, parte per l’Italia e resta a Faeto per sei settimane; la prima volta, nel 1992, e successivamente ritorna nel 1993 e nel 1994. “Ho scoperto- continua la linguistache il faetano era all’epoca una lingua molto viva e resistente, parlato da tutto il villaggio e di cui gli abitanti andavano fieri”. Le ricerche della linguista canadese sono citate come fonte anche dal portale ‘www.ethnologue.com’ del ‘Living Tongues Institute for endangered languages’. I ‘Parlanne faitare’ è diviso in quattro sezioni: vocabolario, grammatica, attività e collaboratori che hanno preso parte al progetto. Si possono imparare termini del francoprovenzale che servono a descrivere animali, numeri, colori, oppure le forme di presentazione e i saluti. linguistica. Il metodo d’insegnamento per promuovere la lingua minoritaria è il ‘Content and Language Integrated Learning’ (Clil), cioè “apprendimento di lingua e contenuti contemporaneamente, in modo da dare più importanza alla lingua stessa”. In questo modo materie come matematica, scienze e altre, sono insegnante nella lingua da tutelare. In particolare, nella scuola media-elementare di Faeto, 4 Inchiesta ricucci 4-5 foto orizzontale_ducatoultra def.qxd 25/04/2012 13:24 Pagina 3 DOSSIER Il giornale, il gruppo folk, il coro 1 1 1 1 9 8 7 6 5 4 3 2 1 Tradizioni vive tra balli ‘faitare’ e canti provenzali C ome il blues ha raccontato al mondo la schiavitù nera nei bianchi campi di cotone, così ‘le Faitare’ rivisitano la fatica del mondo contadino arcaico a passi di danza; i loro spettacoli folcloristici, densi di riferimenti simbolici, condensano secoli di civiltà rurale nei quali affondano le radici di lingua e cultura francoprovenzale. A fondare il gruppo, nel 1994, è stata Giovanna Gallucci: “L’idea mi è venuta viaggiando molto all’estero. I balli e le coreografie rispecchiano la cultura francoprovenzale, a cominciare dal costume, una veste nera con un grembiule giallo, che ho disegnato e infine fatto approvare a Pavia Santa Maria, un’anziana centenaria custode delle tradizioni locali”. Una sorta di ‘disciplinare’, così come avviene per le produzioni alimentari ‘doc’. Tutte le danzatrici hanno una chiave appesa alla vita: “E’ il simbolo del potere della donna di casa nella società contadina- spiega la direttrice- Infatti, la donna era l’ultima a uscire di casa, perciò portava la chiave nei campi con sè. Al tramonto, invece, con la stessa chiave apriva per prima la casa preparandola per l’arrivo del marito”. Anche la ‘Ballata con il passo cadenzato’ sottolinea il ruolo cruciale della donna nell’educazione, e quindi nella trasmissione del patrimonio culturale ai figli. Le altre coreografie del gruppo, “sempre accompagnate da canti in francoprovenzale” precisa Gallucci, s’ispirano a momenti rituale del mondo contadino; come ad esempio, la ballata con il ‘cernicchio’ (“lu c-r’nicchj” in lingua francoprovenzale), un crivello in legno e metallo che serviva a tracciare i solchi dove seminare il granturco. Oppure la ballata ‘del pane e dell’Ostia’, dove i movimenti ritmati che rappresentano le fasi della mietitura, il setaccio della farina, la pasta fatta a mano, sottintendono significati religiosi legati al Vangelo e ricordi storici legati al periodo della guerra, quando le donne facevano la pasta in casa per sopravvivere alla scarsità di viveri. La compagnia si esibisce regolarmente a Faeto in due occasioni: per il 13 giugno, festa di sant’Antonio patrono del paese e nella ‘Giornata del provenzale’. Ma le manifestazioni di cui Gallucci va più orgogliosa sono “quella nel 2002, sul sagrato di Piazza San Pietro, per il papa Giovanni Paolo II, che ci ha anche ricevuto in udienza”; la direttrice sottolinea anche lo speciale legame con la Provenza, “in particolare con l’Escolo Mistralenco di Arles, dove ci siamo esibite nel 2005” e rimarca anche l’aspetto ‘socializzante’ di questo gruppo: “E’un modo per stare insieme fra noi donne, in un paese che altrimenti offre poco”. Chi preferisce cantare anziché danzare può iscriversi alla corale ‘Nuova Provenza’, fondata negli anni ’70 dall’allora parroco di Faeto, ora diventato vescovo, Raffaele Castielli. La direzione è affidata a Giulia D’Aloia, il presidente è Vito Carosielli: “Siamo circa quaranta, uomini e donne di tutte le età: si può dire che ogni famiglia faetana ha almeno un corista. Abbiamo un repertorio che comprende canti di musica classica, sacri e francoprovenzali- ci spie- ga.- Questo risponde al nostro spirito che è quello di far conoscere il francoprovenzale in punta di piedi, poiché un concerto esclusivamente in lingua potrebbe non essere compreso da chi non lo parla”. Finora i cantori faetani hanno inciso due album in francoprovenzale ‘Cumm’ un suajm’ luntan’ (Come un sogno lontano) e ‘Funtan’ d’ Fait’ (Fontane di Faeto). L’ultima esibizione della corale è stata a Faeto, in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia; e prima an- cora, Carosielli e i suoi coristi si sono esibiti in Svizzera e a Prato, dove risiedono due delle più grandi comunità di faetani emigrati. Non solo balli e canti, però. La comunità francoprovenzale di Celle e Faeto ha anche il suo giornale, “Il Provenzale”, nato nel 1969 e diretto da Aldo Genovese, “Il giornale , stampato in 1.500 copie a gennaio e agosto, viene diffuso direttamente dai suoi collaboratori- spiega Nicola Pastore, uno dei redattori-. Da quest’anno ci sarà anche la versione online , con l’archivio dei numeri cartacei”. Più della metà delle copie viene spedita all’estero dove risiedono gli emigrati faetani “a Cleveland e Bridgeburd”. Purtroppo, afferma Genovese, “sono sempre di meno quelli che ritornano durante l’estate. “Mi ricordo che grazie al cambio favorevole euro-dollaro, venivano qui anche i faetani dall’ America. Ma ora, con la crisi e l’aumento delle spese, noto che perfino gli emigrati in Germania stentano a tornare qui, figuriamoci gli americani”. A Faeto 300.000 euro di royalties bloccati da un contenzioso Cocco: la lingua va monetizzata I l 6 e 7 maggio prossimi a Faeto si vota per eleggere il primo cittadino; il sindaco uscente Giuseppe Cocco, in corsa per un nuovo mandato, ha infatti rassegnato le dimissioni alla fine del 2011 dopo che sette consiglieri su 12 si erano dimessi dall’incarico. “Uscire dal provincialismo e dare spessore internazionale a Faeto”, è la ricetta di Cocco per la salvaguardia della lingua francoprovenzale; lo stesso obiettivo per il quale durante la scorsa estate, l’ex sindaco ha organizzato l’Università francoprovenzale d’estate, finanziata “con 10.000 euro dal bilancio comunale, e altrettanti dalla Regione”. Quest’anno ci potrebbe essere una riedizione dell’evento: “Ho presentato il progetto alla Regione Puglia prima della interruzione del mandato- spiega Cocco- ma nulla può essere deciso senza che prima si insedi la nuova amministrazione. Tre mesi, da maggio a luglio, per preparare il terreno a un’eventuale replica dell’evento, il cui tema annunciato sarebbe ‘Le energie della montagna: risorse naturali e culturali per un nuovo sviluppo locale’. Attualmente, l’eolico è una delle risorse che concretamente finanziano il piccolo comune foggiano; lungo il crinale montuoso che separa Puglia e Campania, infatti, sono attive numerose pale eoliche, le cui ‘royalties’, versate da due società proprietarie degli impianti, fruttano alle casse faetane ‘circa 300.000 euro l’anno’. Ma altrettanti, ‘almeno 300.000 euro l’anno’ per Cocco, rimangono bloccati, e non pagati, a causa di un contenzioso in corso tra il piccolo Comune e la Erg. Il Comune ha destinato questi fondi “all’abbattimento dei rifiuti solidi urbani, un bonus agli over 65; sospensione del pagamento per le luci votive al cimitero, mensa scolastica gratis”. L’ex primo cittadino, “ammiratore e sostenitore del Cavaliere, Silvio Berlusconi”, non nasconde le difficoltà trovate alla guida del suo paese: “Mi sono adoperato con l’obiettivo di incrementare il decoro urbano e ho emesso 12 ordinanze per l’abbattimento di case pericolanti a spese dei proprietari; inoltre, resta irrisolta la questione della ‘Casa del Capitano’, che avrei voluto trasformare in museo civico”. Ma l’iniziativa che ha suscitato più clamore nelle valli daune è stata la visita a Faeto, il 27 settembre 2011, del Console francese Denis Barbet, con la provocatoria richiesta di Cocco di “annessione alla Francia”, motivata dai tagli economici operati dal Governo agli enti locali. In quell’occasione, “finanziata di tasca mia per 3.000 euro” afferma Cocco, è stata ribagame linguistico dei padri,noto che il 2 novembre, quando vengono per la festa dei defunti,hanno difficoltà a parlare in francoprovenzale”. Perciò, “è importante far restare a Faeto chi ha dai 20 ai 40 anni, i nostri giovani, che hanno smesso di emigrare solo perché non sanno più dove andare”. Secondo le sue stime, “oltre l’80% degli studenti, 25 alle materne e 70 nel ciclo obbligatorio, non parlano il francoprovenzale. Su 450 residenti effettivi, tutti gli over 50, e la metà di chi ha tra 20 e 50 anni parlano la lingua madre”. In particolare, secondo Cocco, quello che negli ultimi decenni sta avvenendo è la perdita della purezza della lingua, che si va contaminando “con gli orribili dialetti apulo-sannitici”. Contro il rischio che “fra un decennio il francoprovenzale si parli solo nell’intimità di alcune famiglie che lo continuano a coltivare”, Cocco invita a riappropriarsi della lingua come identità. Altrimenti, spiega, “diventeremo come quel villaggio tunisino, Matmata ), che andai a visitare diversi anni fa; invece che con la guida, io e altri amici c’avviammo in anticipo, e lì scoprimmo che il villaggio era disabitato e che alcune persone stavano preparando la messa in scena per i turisti occidentali” Residenti: Istat 2011* dito l’antico legame culturale, tramite il francoprovenzale, che lega Faeto alla Francia. Ma, a sorpresa, si scopre che sul piano normativo la legge 482/1999 tutela meglio le minoranze linguistiche dell’ordinamento francese: è questa la conclusione a cui giunge Cocco nel volume ‘Evoluzione della tutela giuridica delle minoranze linguistiche nell’Unione Europea’. A distruggere una parte del francoprovenzale, per Cocco, è stata l’emigrazione verso il nord Italia della fine anni ‘50: “1.000 dei 5.000 abitanti di Faeto sono andati via”. I contatti tra paese e figli di emigrati, “persone dai 50 anni in sù nati al Nord si fanno sempre più rarefatti .Pur mantenedo il le- 622 -7 Residenti: Istat 2001 758 Saldo nati-morti 2011 * dati Censimento forniti dall’Ufficio Anagrafe di Faeto in via provvisoria 5
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