7. La Mediazione Sociale a Roma

March 23, 2018 | Author: Gianpiero Vincenzo | Category: Competence (Human Resources), Rome, Urban Planning, Well Being, Perception


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Anno accademico 2009/10 LABORATORIO DI RICERCA SU «Valutare la partecipazione nelle politiche per l’integrazione e la sicurezza urbana: il caso delV Municipio del Comune di Roma» Materiali di documentazione n. 7 LA MEDIAZIONE SOCIALE A ROMA Una risorsa per le politiche sulla sicurezza urbana partecipata capitolo pubblicato nel libro "La Mediazione come strumento di intervento sociale" a cura di Lucio Luison, Franco Angeli, Milano, 2006 http://docs.google.com/View?docid=dgs24x6v_6dkb42mcx&hl=it Premessa Fin dalla sua ideazione, il progetto “Mediazione Sociale” a Roma si è caratterizzato come esperienza sperimentale nella ricerca di nuovi approcci alle tematiche della sicurezza urbana: il presente saggio offre inizialmente una riflessione sul rapporto tra senso di sicurezza dei cittadini e prassi di mediazione sociale e si sofferma successivamente sull’esperienza romana delineandone la storia il modello teorico di riferimento, la metodologia, gli strumenti, le finalità, i risultati conseguiti. In tale ottica, coerentemente con il mandato progettuale, l’esperienza romana non si è concretizzata esclusivamente in un’azione di mediazione a livello interindividuale, ma ha svolto un ruolo di sensibilizzazione e diffusione di una cultura della gestione creativa e non violenta dei conflitti, e di stimolo e potenziamento della comunicazione e della cooperazione all’interno delle comunità territoriali nei quartieri di competenza. Le sei zone della periferia romana, dove il progetto è stato implementato sono caratterizzate da molteplici forme di disagio e degrado sociale, ma al contempo sono ricche anche di potenzialità e risorse; il problema abitativo ha costituito storicamente il principale fattore di criticità degli attuali abitanti, provenienti prevalentemente dalle occupazioni di case e scuole, o in assistenza alloggiativa prima di divenire assegnatari di case popolari. Tali dimensioni del vissuto collettivo, accompagnate a conflitti esasperati e diffusi tra abitanti e con le istituzioni, hanno confermato la necessità di applicare i principi della mediazione a prassi operative che coinvolgessero non soltanto singoli individui, ma ampie parti delle comunità. Infatti, la conflittualità, in tali contesti, pervade interamente ogni tipologia di relazione, anche a livello transgenerazionale. La gestione aggressiva e violenta delle controversie (anche se non sempre agita) è linguaggio condiviso e spesso sintomo evidente di un malessere sociale, caratterizzato anche da un’autopercezione di estraneità al proprio territorio, e da un senso di abbandono e isolamento rispetto alle istituzioni. Tali quartieri sono inoltre per lo più caratterizzati da uno scarso livello socio – culturale ed economico. In tali contesti, le attività del progetto sono state sin dall’inizio prevalentemente di analisi e mappatura dei conflitti, nella ricerca delle cause e delle motivazioni che li hanno generati, e soprattutto della storia e delle modalità adottate dagli abitanti per gestirli. In questo modo le azioni di mediazione hanno favorito anche un lavoro sulla memoria storica dei quartieri nel tentativo di ricercare e frequentare con i cittadini le risorse e le potenzialità sia pregresse che attuali; si sono voluti mettere in evidenza gli aspetti simbolici e rituali che concorrono a definire le identità, le strategie e le modalità di rapporto con il territorio, nella ricerca di un comune e rinnovato senso di appartenenza. 1 Caratteristica dell’esperienza romana di mediazione sociale è stata infatti, la definizione, a partire da un modello comune (frutto di una riflessione costante), di percorsi specifici e diversificati, contestuali alle esigenze dei singoli territori. Risorse locali (associazioni, scuole, parrocchie, progetti sociali, enti e istituzioni, ecc.) hanno costituito interlocutori privilegiati con i quali co–progettare iniziative integrate, superando i limiti evidenti di interventi separati e autoreferenziali. Diversamente da altre tipologie di intervento, tipiche anche del privato sociale, il progetto “Mediazione Sociale” non si è proposto l’erogazione di un servizio: evitando di proposito qualunque dinamica asimmetrica o delegante: ha promosso invece l’attivazione di processi, nei quali la collettività stessa fosse co–protagonista, in risposta a bisogni ed esigenze spesso conflittuali tra loro. Nei primi anni di attività le azioni progettuali si sono caratterizzate per la loro propedeuticità alla diffusione di una cultura mediativa in un’ottica di sicurezza urbana; sono state coinvolte con diverse modalità soprattutto le scuole, integrandone il rapporto con il territorio, anche attraverso azioni simboliche di aggregazione. Attualmente le azioni progettuali sono concordate insieme ad una pluralità eterogenea di attori territoriali, che stanno sperimentando una partecipazione attiva, con una diversa consapevolezza e capacità di lettura dei fenomeni sociali e culturali, in cui il conflitto diviene parte integrante dell’esperienza umana, come una risorsa ed una occasione concreta di cambiamento. La rimessa in comunicazione degli attori territoriali (cittadini, associazioni, enti ed istituzioni locali) attraverso il confronto, il dialogo e l’ascolto attivo ha evidenziato nei sei quartieri risorse, potenzialità e interlocutori con cui condividere approcci cooperativi alla gestione dei conflitti e delle criticità locali, e costruire percorsi di progettazione urbana partecipata e di riqualificazione della vita sociale. La mediazione sociale in un’ottica di sicurezza urbana rappresenta oggi a Roma una esperienza progettuale innovativa dal punto di vista teorico e metodologico, dal momento che, non assumendo la difesa di “una parte”, promuove processi a più livelli tendenti a stimolare azioni collettive, trasversali e partecipate. Coerentemente con il ruolo del mediatore che cerca di mantenersi “equivicino” alle parti in conflitto il progetto “Mediazione Sociale” si allontana da un’idea di ‘sicurezza’ tradizionalmente diffusa, spesso in grado solo di separare ed escludere, favorendo in questo modo l’identificazione dell’“altro” come nemico e minaccia per l’ordine e per il benessere di parte. La mediazione in una ottica di Sicurezza Urbana è in grado di favorire piuttosto la promozione di una percezione dell’altro come soggetto con cui comunque relazionarsi ed eventualmente condividere e costruire percorsi di legalità e convivenza sociale. La mediazione sociale in tale ottica promuove e facilita processi di costruzione di fiducia, di legami sociali, di comunità aperte all’ibridazione e alla reciproca accoglienza, come unica base credibile per la costruzione di una vera, indivisa, sicurezza urbana partecipata. 1) Mediazione Sociale e Sicurezza Urbana Partecipata: Nonostante il progresso scientifico e lo sviluppo tecnologico, oggi chi abita le metropoli risente spesso di un diffuso senso di sfiducia e insicurezza riguardo la qualità della propria vita sociale. Al contrario di quanto si crede, la genesi di tale percezione può essere fatta risalire, come fa notare Landuzzi (1999), al XIX secolo, periodo in cui maturarono, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa concezioni fortemente critiche sia nei confronti del processo di industrializzazione sia della stessa città: M. White, per esempio, considerava le metropoli dannose per la salute, per la libertà e per la morale dei loro abitanti. A tal proposito è interessante, come ricorda Amendola (1997), che Henry Ford (il cui nome indicherà sia un modello di produzione che di città), auspicava la risoluzione del problema urbano addirittura nell’abbandono delle città 1. 2 i mutamenti degli orientamenti culturali nei confronti della temibilità di alcuni fenomeni. quanto di chi le governi. economico. Si genera così un bisogno di rassicurazione indipendente da ogni valutazione di rischio oggettivo. di cui la sussistenza di rischi oggettivi è soltanto una delle variabili implicate). alla percorribilità delle stesse strade cittadine) e l’adattamento dei cittadini ad una convivenza forzata con essi genera una continua richiesta di tutela e sicurezza da parte di una “city in stress” permanente (G. infatti. Landuzzi (1999) sostiene che il variare della sensibilità sociale. Gottmann (1970) introdusse il concetto di “megalopoli”. L’aumento della preoccupazione per il diffondersi di situazioni potenzialmente pericolose pare infatti non sempre direttamente correlato all’andamento crescente dei tassi di atti delittuosi o all’aumento della propensione denunciataria dei cittadini. Il 3 . costituiscono alcuni tra gli elementi che possono contribuire a determinare la percezione dell’esposizione dei cittadini al pericolo. sia soggettivamente (attraverso la condivisione di una percezione sociale della realtà. Sempre Landuzzi (1999) sottolinea come tali fattori di rischio acquistino un carattere di diffusività e di pervasività nel tessuto sociale. ma non sempre permette la reale costruzione di un senso collettivo di sicurezza. tanto da farli percepire a volte come “irreali”. In tale contesto. o personale. Possiamo dire che attualmente non c’è nessuno che possa dichiararsi estraneo o non coinvolto nei rischi connessi al vivere urbano. Inoltre le caratteristiche stesse della globalizzazione favoriscono una percezione soggettiva talvolta sovradimensionata rispetto alla effettiva entità del rischio. tuttavia aumenta la percezione dell’esposizione a possibili pericoli. difficilmente quantificabile e descrivibile in termini concreti e oggettivi. Fattori che generano ansia e insicurezza permangono quotidianamente nella vita sociale urbana (si pensi ai problemi legati all’inquinamento. Infatti solitamente la ricerca di sicurezza secondo un “pensare per emergenze” risponde esclusivamente all’esigenza di trovare risposte immediate a situazioni divenute socialmente insostenibili. La nozione di sicurezza può essere. Ciò consente di arginare e contenere alcuni aspetti disfunzionali alla coesione e alla qualità della vita sociale. dei cambiamenti e dei molteplici rischi insiti a livello ambientale. delineando così una città che genera e favorisce condizioni di paura e insicurezza. La loro stessa natura di minaccia generalizzata sembrerebbe comportare che se ne potrebbe avere una chiara percezione soltanto nel caso in cui si verificassero. 1993). connota lo stesso spazio fisico delle città con significati simbolici inediti. che scaturisce da una crescente sensazione diffusa di sofferenza e di disagio. Martinotti. foriero di ansia e paura nell’immaginario collettivo dell’uomo metropolitano. alla presenza di diverse forme di violenza e criminalità. a livello di impatto sociale. concepita e indagata sia oggettivamente (nel senso di esame e valutazione di rischi di eventi quantificabili e descrivibili). Tale richiesta viene generalmente affrontata a seguito del verificarsi di eventi “critici o destabilizzanti”. Il patto sociale (che legittima gli stati moderni come garanti di sicurezza attraverso una gestione solitamente preventiva e repressiva delle situazioni di insicurezza e rischio) si fonda infatti per molti aspetti proprio sulla promessa rivolta alla società civile di rassicurazione e tutela. e fungere da “anestetico” nei cittadini. 1994). Attualmente il permanere di ricerca di fiducia e sicurezza accanto a diffusi elementi di rischio e disagio sociale. e si differenzia progressivamente dal timore di subire personalmente un reato. alla disoccupazione. sociale. la necessità talvolta strumentale di consenso politico. Spesso è inoltre difficile prevedere e quantificare oggettivamente le ripercussioni e le possibili conseguenze. tanto reale quanto percepita. e questo approccio influisce e condiziona le abilità di negoziazione e di gestione dei rischi e dei conflitti connessi al vivere sociale. costituisce una dimensione prioritaria tanto di chi abiti o lavori nelle metropoli.Riferendosi alle strutture urbanistiche polinucleari dell’area Nord Est degli Stati Uniti. Ancora oggi è presente il “lato oscuro” della modernità urbana (Giddens. Questa percezione soggettiva. dei soggetti individuali e della originalità contestuale degli specifici ambienti urbani. del quartiere. secondo Landuzzi (1999) possono in questo modo divenire casse di risonanza dell’allarme sociale e occasione di “acquisto di consenso politico”. che si inseriscono in una realtà urbana dagli equilibri assai precari. che si attraversano velocemente. soprattutto nelle zone più periferiche delle metropoli.territorio urbano. In alcuni contesti si riscontra l’esigenza di uscire dall’indistinto sociale urbano. Attualmente soprattutto il fenomeno migratorio esplode con forza a livello di opinione pubblica e inquieta. E’ la diversità che spaventa: la chiusura alla diversità corrisponde all’apice dell’etnocentrismo. Secondo tale dimensione locale. da patrimonio pubblico sta diventando privilegio individuale legato al potere di negoziazione di ciascuno. di insicurezza. percepiti come incompatibili con l’ordine sociale auspicato. propria degli enti periferici. Di volta in volta. 4 . ma di un fenomeno che influisce sulle trasformazioni urbanistiche. di recente costruzione. di modelli di convivenza. vengono modificati da una progettazione orientata al controllo e alla sorveglianza da parte dei residenti o di strumenti di controllo elettronico. Non si tratta semplicemente di un puro ritorno al“villaggio”. In alcuni contesti urbani infatti la costruzione di un ordine sociale tutelante e rassicurante sembra spesso fondarsi su parametri sempre più rigidi e criteri di inclusione o esclusione radicale. ma anche stazioni). partendo dal proprio territorio e dalla capacità di designare “buone prassi” di socialità urbana comune. se da un lato rientrano nell’appeal della città. è sempre più rilevante l’azione dei comitati di cittadini nello scegliere le modalità più idonee per la costruzione e per la tutela di un senso di sicurezza collettivo. sono divenuti luoghi deboli. questi fattori si materializzano e si identificano nei tossicodipendenti. sottolinea sempre Landuzzi (1999) diviene così risorsa su cui investire in termini di identità locale. Al contrario i “luoghi aperti” pubblici (piazze. Gli spazi residenziali. delimitati e per questo forse più percepibili della zona. di consumi. Secondo Landuzzi (1999) ne sono stati sminuiti l’identità sociale ed il riconoscimento pubblico. architettoniche e sociali delle città e dei loro quartieri. negli zingari. dall’altro costituiscono presenze inquietanti. nota Bonvecchio (1999). sottolinea Amendola (1997). nello “straniero”. la dimensione spaziale e territoriale sembrerebbe affermarsi come risorsa da riconquistare. da liberare e da proteggere. I gruppi sociali e le diverse “culture” succitati. La sicurezza. che operano per la trasformazione di comportamenti ritenuti devianti e disfunzionali. Infatti. della città. ecc. e sono stati colpiti quasi sempre da un progressivo degrado. nei graffitari. in opposizione ad un’esclusione indiscriminata. e da tutelare da fattori esogeni ritenuti cause di disagio. poiché mette in discussione un ordine urbano ed una percezione dello spazio preesistenti e condivisi. per spaventare non è necessario che “l’altro” faccia qualcosa: è sufficiente che sia visibile nella sua diversità. ossia all’affermazione più coerente che non è possibile ipotizzare una società diversa. le cui attività appaiono spesso facilmente identificabili e sanzionabili sul piano della considerazione sociale. diventando luoghi di pressione a favore di risposte di natura prevalentemente repressiva. In questo contesto. rispetto a precedenti iniziative politiche a livello centrale. Le dimensioni locali.. come valore della qualità urbana e principio di convivenza2. orientandoli ad un recupero identitario di chi li agisce. in grado di generare sicurezza proprio perché partecipate e condivise. Anche Guidicini (1995) sottolinea come oggi la gestione della sicurezza/insicurezza si caratterizzi per il suo riferirsi ad una dimensione “locale”. A tale orientamento si contrappongono in altri contesti ipotesi diverse di costruzione di convivenza sociale. e di legittimazione o meno ad abitare lo spazio urbano. L’emergere della dimensione locale sposta l’attenzione dai confini dello Stato a quelli più intelligibili. Viene così rivendicata l’esclusione di quelle categorie di soggetti ritenuti responsabili di “tutti i mali” e quindi. di degrado. parchi. con l’imposizione di simboli forti ed estranei. La comunicazione delle prassi attuate si basa su una unica concezione di sicurezza. Gli assessorati di recente istituzione (dagli anni ‘90) sono stati invece la risposta talvolta tardiva a esigenze manifestate dalla popolazione. Le attuali percezioni di sicurezza/insicurezza attivano sistemi organizzativi sempre più orientati a esigenze di interazioni rassicuranti sia sul piano oggettivo che simbolico Alle radici della questione “sicurezza “ così come oggi si configura c’è un problema di capacità di ascolto e di descrizione adeguata delle situazioni di conflitto. c’era una tradizione di politica sociale che si è andata perdendo nel corso del tempo. ma deve misurarsi con una sfida progettuale di lungo periodo. Questo significa distorcere la spesa pubblica verso interessi privati: questo è l’elemento inquinante dell’impostazione politica prevalente: l’imprenditorialità securitaria. un aggettivo che si aggiungeva sempre alla sicurezza: “sicurezza sociale”. dall’inquietudine sociale legata alle nuove povertà. Attualmente si registra. che investa pienamente anche la dimensione culturale. Si è assistito e tutt’ora si assiste così ad una gestione centrale e locale. capacità di analisi etnografica dettagliata dei processi e progetti sociali in atto sono le nuove competenze sempre più necessarie per far fronte al diffuso e radicale disagio urbano che sta alla base del senso di sicurezza o della sua assenza. Arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti. intesa per esempio come congegni elettronici a difesa delle proprietà private. Sempre l’autrice sostiene che la formazione di classi dirigenti capaci di ascoltare è il primo punto all’ordine del giorno in una società complessa. tanto di emergenze connesse alla criminalità. la mentalità. la città oggi si gioca il suo futuro. che fa coincidere il benessere dei 5 . Nel corso degli anni ’90 il tema della sicurezza è andato assumendo un peso crescente nell’agenda politica e governativa nazionale e locale. Tutte queste tematiche in questi ultimi anni hanno conquistato una inedita rilevanza. la sua strategia di riorganizzazione non può limitarsi a rispondere all’immediato delle singole emergenze. la cultura delle politiche sociali (che così denuncerebbero tutti i loro limiti). Marinella Sclavi (2000) a tale proposito sostiene che per descrivere in modo adeguato le situazioni in cui un conflitto si perpetua o subisce una escalation è indispensabile possedere una competenza nelle dinamiche della comunicazione in sistemi complessi. In quegli anni la questione sicurezza è stata declinata insieme ad un ampio spettro di problematiche che vanno dalla microcriminalità predatoria alle nuove forme di conflittualità giovanile. è come se non si riuscisse più a ragionare in termini di sicurezza anche con gli strumenti. già a partire dagli anni ‘70. sia nella costruzione di concreti programmi d’azione da parte dei governi locali. Come sottolineano Milanesi e Naldi (2001) nelle politiche di quegli anni c’era anche una parola. successivamente rimossi. sia soprattutto nelle strategie di comunicazione e competizione politica. Fino agli anni ‘70. quanto di problematiche di competenza delle politiche sociali. la sua nuova fisionomia. Si guardava cioè alla sicurezza in termini collettivi.In uno spazio molto angusto tra il rimpianto di una sicurezza che non c’è più. si istituirono Assessorati alla Sicurezza. Diventa necessario allora far riferimento ad agenzie private che si occupino dei meccanismi della sicurezza. infatti. anche a livello architettonico e urbanistico. produttiva e di mercato in cui la vita sociale è pienamente inserita. una retorica inconfutabile e le iniziative “fai da te”. economica. secondo la medesima prospettiva. A tale proposito c’è da sottolineare inoltre che a livello istituzionale in alcuni comuni e soprattutto in alcune province italiane. tendente solitamente alla repressione degli atti di volta in volta ritenuti devianti e all’emarginazione dei soggetti coinvolti. cioè una strumentazione teorica capace di discernere quali dinamiche conoscitive e dell’accoglienza vengano messe in atto negli episodi che viceversa si risolvono in un “felice ascolto reciproco”. dall’emarginazione ai problemi di integrazione degli immigrati. per giunta una sorta di inquinamento di prospettiva politica. dalla prostituzione allo spaccio di droga. spesso non comunicanti e autoreferenziali. sia per le periferie che per la sicurezza delle città nel loro complesso. in ciascuna delle quali dovrà essere verificato l’impatto sociale sui fattori di sicurezza/insicurezza dei cittadini. sia in ambito nazionale che locale. ma si rischia tuttavia che permangano comunque sub aree in cui si addensino altri fattori di insicurezza (in modo particolare dal centro alla periferia). ispirato ai principi dell’inclusione. superando. fondamentale sciogliere il nodo confusivo che accomuna tali tematiche a livello teorico. Da una concezione di sicurezza intesa e declinata esclusivamente come ordine pubblico.). Accade così che sovente alcuni dei soggetti destinatari di politiche sociali vengano additati in primo luogo come unici responsabili dell’insicurezza dei cittadini. Da tali considerazioni e analisi negli ultimi anni stanno comunque sorgendo stagioni di sperimentalismo che vedono soprattutto gli Enti Locali investiti di nuove responsabilità nella produzione del “bene pubblico – sicurezza”. ha evidenziato in questi ultimi anni non solo la multidimensionalità del problema della sicurezza urbana ma soprattutto il fatto che essa si genera attraverso approcci integrati e multi settoriali. trasporti. coinvolgimento e co-protagonismo di tutte le fasce della popolazione ecc. L’attuazione esclusiva di dispositivi di repressione e deterrenza può infatti estendere l’area della popolazione “rassicurata”. politico. di un nemico da combattere. in merito ad una corretta concettualizzazione della sicurezza che distingua la dimensione di ordine pubblico da quella della “sicurezza urbana”. intesa come promozione dell’abitabilità delle città e della cura di tutti gli aspetti ad essa correlati (ambiente. Per affrontare con serietà il tema della sicurezza urbana appare quindi.cittadini esclusivamente con l’identificazione di un capro espiatorio. 6 . attraverso l’elaborazione di politiche che. ascoltare (attivamente) le persone coinvolte e delineare. (che non dovrebbero confondere questi ambiti a livello istituzionale e progettuale). sociale. si giungerebbe così alla concettualizzazione su esposta di “sicurezza urbana” e alla sua applicazione attraverso azioni politico amministrative trasversali e integrate. almeno in parte il punto di vista tradizionale. anche quando si profili una dimensione di ordine pubblico. e come tali divengano soggetti su cui indirizzare prima le ansie e le preoccupazioni degli abitanti e quindi gli interventi di ordine pubblico. In quest’ottica. ancora non si sono sviluppate a sufficienza una riflessione e una cultura mediativa in grado di conoscere e comprendere i fenomeni. del rafforzamento dei legami sociali sul territorio. Infatti. come principio organizzatore nelle varie fasi della programmazione. E’ forte il ritardo da parte degli Enti Locali. L’implementazione di politiche locali sperimentali (di carattere partecipato). urbanistica. sembra invece necessario aprire una riflessione critica sulle modalità di costruzione e definizione dell’ “emergenza sicurezza” e sul suo impatto sulle politiche pubbliche urbane. del trattamento integrato delle cause di insicurezza. dell’allargamento dei diritti di cittadinanza. L’esclusione e la separazione da specifici soggetti e specifiche zone della città divengono poi modalità attraverso cui creare sistemi (spesso mediatici) rassicuranti. alludono ad un paradigma alternativo. recupero e riqualificazione aree verdi. Metodologie operative intersettoriali possono ulteriormente promuovere una reale ed efficace integrazione sociale se vengono favorite e valorizzate le funzioni mediative degli attori coinvolti e interconnessi tra loro i diversi ambiti amministrativi. Una nuova concezione di “sicurezza” può inserirsi nelle politiche di gestione della città. Se infatti l’attualità del tema non ha certo bisogno di essere ulteriormente illustrata. in grado di generare fiducia tra i cittadini. ambiti di intervento integrati. di un conflitto da “controllare” ed eventualmente da allontanare. e non costituisca un problema tra i tanti da affrontare o al peggio da negare e/o reprimere. sono altrettante dimensioni che entrano nel gioco della complessa articolazione di cui si compone il concetto sicurezza. infatti. ecc. peraltro. Attualmente. e pertanto. nella ritrovata e rinnovata partecipazione al bene pubblico della democrazia. rassegnazione. l’accessibilità e la praticabilità di un giardino o un parco giochi. nella possibilità di ognuno di generare processi di legalità condivisi. è in grado di promuovere tra gli stessi abitanti processi comunicativi bidirezionali e conseguenti pratiche quotidiane in cui una gestione “creativa” dei conflitti tragga un valore aggiunto dalla partecipazione dei cittadini. di fronte ai quali sono spesso inefficaci modalità difensive e di protezione analoghe a quelle sperimentate nel passato. possono modificarsi i rapporti tra le persone. potrebbero non rivelarsi del tutto adeguate. come sostiene Matilde Callari Galli (1996) non ci sarebbe più violenza nella società contemporanea. si basa invece sulla comunicazione. La fiducia tra i cittadini. conflitti. senza una reale integrazione di azioni di carattere sociale. ma richiede la strutturazione di percorsi integrati e partecipati 7 . si può contribuire a gestirli in modo non distruttivo. se in un quartiere non si instaurano. L’opinione pubblica. a differenza di quanto un giudizio comune ritiene. Le soluzioni proposte in questi ultimi anni. Tali iniziative. e dunque la si noterebbe di più che nel passato. peraltro. come nelle piccole città di provincia. solitudine e assenza partecipazione sociale. fa notare Forni (2002). scontri o peggio ancora in violenza. In tale prospettiva la gestione della sicurezza urbana di una città non può essere demandata ad un solo soggetto istituzionale. su un ambiente strutturato in modo da facilitare l’interazione. terrorismo. al vivere comune nelle metropoli. la esposizione ai rischi non è percepita in diminuzione e neppure l’indifferenza psicologica o la superficialità riescono a garantire sicurezza. Interventi di ordine pubblico. e di questi nei confronti delle istituzioni. ma al contrario contribuiscono a generare passività. possono non essere in grado di rispondere ad una percezione soggettiva di insicurezza che coinvolge sempre più i cittadini. come per esempio il tentativo di restituire sicurezza ai cittadini attraverso la costituzione della polizia di prossimità. la raccolta dei rifiuti. Il presupposto di fondo è che i conflitti degenerano e diventano distruttivi anche a causa di chiusure comunicative e di difficoltà nelle relazioni. Anche curando i “luoghi feriti” o del degrado di un quartiere. tra le parti in conflitto un dialogo e un’assunzione di responsabilità collettiva rispetto ad un bisogno condiviso: senza che si “attraversi “ insieme la domanda di come sia possibile che una divergenza di vedute o di interessi degeneri in litigi. oltre ad una integrazione con la sicurezza di ordine pubblico. anziché sul principio del divieto di contatto tra le persone. sottolinea Landuzzi (1999). così come e soprattutto la comunicazione (e l’“ascolto attivo”) di esigenze quotidiane che i cittadini esprimono in vario modo. ma più reattività e rifiuto della violenza.3). Non va dimenticato inoltre che il controllo sociale informale è stato sempre parte integrante del senso di appartenenza alla comunità.anche l’illuminazione di una strada. Ciò restituirebbe dignità e valore alla parola cittadino. A tal proposito malgrado comportamenti selettivi e filtri psicologici. quando. criminalità ecc. Forse questo è il dato saliente che andrebbe maggiormente valorizzato:il bisogno di fiducia e coesione sociale. il trasporto urbano. aumentando le occasioni di comunicazione e migliorandone la qualità. Una città può essere in grado di restituire ai propri abitanti una nuova percezione di sicurezza. contengono anche un forte carattere simbolico poiché aspirano e chiedono un rinnovamento della vita pubblica e della comunità basato sul benessere sociale oltre che sulla protezione. è bombardata quotidianamente da segnali di pericolo (guerre. a livello sociale e soprattutto istituzionale. agli atteggiamenti antisociali e alla devianza giovanile (nomadi. oltre che sulla criminalità. barboni. Il processo di criminalizzazione della povertà e dell’emarginazione non può che produrre un numero sempre crescente di devianti”.che valorizzino le funzioni mediative e i contributi di ciascun attore sociale e politico. e si è costretti a vivere in un ambiente urbano nel quale il “capitale sociale” (Cfr. ingiustizia e violenza.). A tal proposito la Forni (2002) sottolinea che “ad essere colpiti sono innanzitutto coloro i quali è stata negata la condizione stessa di bambini. prevalentemente sugli aspetti più problematici legati alla emarginazione sociale. separati e di conseguenza parziali ed inefficaci a cogliere l’ampiezza delle problematiche legate alla multidimensionalità e multifattorialità dei processi inerenti alla percezione di insicurezza dei cittadini. di cui rappresenta una delle prime esperienze che il Comune di Roma ha avviato nel 1999. purtroppo. il verificarsi di incidenti. Ciò consentirebbe di lavorare contemporaneamente sia sulle cause (o per meglio dire sulla storia dei conflitti) che sui segnali premonitori. sfiducia. per cui il concetto di “bene-essere” si amplia e include anche le risposte al bisogno di sicurezza urbana. il progetto “Mediazione Sociale” ha tra l’altro affrontato sin dall’inizio con tutti i suoi interlocutori una riflessione. evitando interventi emergenziali. e richiedono modalità di intervento. ma come attenzione preventiva e riequilibratrice di un sempre più diffuso disagio sociale. non appartiene alle analisi e alle strategie di tali interventi spesso sanzionatori e repressivi. Putnam 20004) è particolarmente scarso. In tal senso. Attualmente si assiste. Tali fenomeni. Quanta violenza (culturale. si tende ad attribuire alla casualità. che anche nell’accezione “urbana” e “urbana partecipata” sembra da più parti voler inglobare e concentrarsi. comunicativi e di capacità sociali. ad un spostamento semantico della stessa parola “sicurezza”. si può modificare utilmente la stessa concezione di welfare. purtroppo quantitativamente considerevoli e rilevanti (per non parlare delle omissioni di soccorso). perché aver visto troppo o troppo poco genera diffidenza. perché per essere bambini bisogna da un lato non avere visto troppa disuguaglianza. psicologica. come accadeva già nel passato. non solo come protezione da fatti criminosi. paura dell’altro. Così come la conflittualità e il disagio sociale. quando non anche alla fatalità. per esempio. apparati e strumentazioni diverse da quelle tradizionalmente concepite e istituzionalizzate a livello di Stato centrale. Quando si diventa precocemente adulti si sa troppo poco ma anche troppo. il miglioramento dei servizi e (perché no?) la sicurezza sulle strade. sovente problematica e controversa. su tutti i fattori che contribuiscono a generare o meno insicurezza a livello cittadino: ancora infatti non si ragiona in termini di “sicurezza” 8 . In tale contesto e all’interno di nuova stagione di politiche sulla sicurezza. laddove troppo spesso. deficit relazionali.Coleman. proprio sul carattere eterogeneo e multidimensionale degli aspetti legati alla definizione concettuale di “sicurezza urbana”. 1990. Abbiamo già accennato come la costruzione di quest’ultima coinvolga tutta la complessità dell’abitare lo spazio urbano: entrano dunque a buon diritto nella sfera della tutela e della promozione del benessere dei cittadini anche la difesa e la cura dell’ambiente. le ragioni oggettive e soggettive della percezione del rischio non possono essere ricondotte a schemi interpretativi univoci. politico e culturale. vengono analizzati e trattati attraverso interventi che non considerano ed evidenziano il rapporto e la relazione biunivoca tra questi e i contesti territoriali di appartenenza: vengono considerati come un “corpo malato ed estraneo” alle comunità e come tali sono da “estirpare” dalla società stessa. fisica o strutturale) abbia generato tali “mali” e quanta passività si nasconda e permanga nella paura dei cittadini. Si è ritenuto così necessario promuovere e sostenere un’attenta riflessione. bande giovanili ecc. ma dall’altro occorre essere nella condizione di ricevere molti stimoli positivi dall’ambiente fisico e sociale esterno. anche a livello istituzionale. NAE. l’importanza della dimensione locale e la convinzione che anche le comunità possano trovare al proprio interno le risposte ai conflitti. quanto ai cittadini. alle violenze e al disordine sociale. infatti. semplicemente di implementare diversificate azioni di sicurezza urbana. della criminalità economica. vigili urbani. L’esperienza maturata dal progetto nei territori di competenza ha riscontrato il valore di azioni sinergiche. ma come risorsa da costruire secondo prassi partecipate. I processi attivati sono pertanto di tipo integrato e partecipativo e includono azioni ed 9 . Sia le concrete pratiche dei soggetti a vario titolo impegnati sul territorio (assistenti sociali. 1995). ma anche e soprattutto delle risorse relazionali e culturali) delle singole realtà locali. Nell’ottica di tale trasversalità ed integrazione di interventi. ma di comprendere e valutare gli effetti che queste determinano e soprattutto se esse sono in grado di aprire un dialogo sul ruolo dell’”ascolto attivo” e della “gestione creativa dei conflitti”. progettate e condivise da tutti gli attori locali.quando si parla di violazione dei beni collettivi. In tale ottica. ecc. la mediazione può infatti contribuire alla creazione di un linguaggio comune. dedicati tanto agli operatori municipali e comunali dei servizi pubblici. ma anche delle associazioni. Nell’accezione di sicurezza urbana si inserisce d’altra parte anche l’aspetto relativo ai diritti di cittadinanza e della tutela delle categorie sociali più vulnerabili. come sottolineano Milanesi e Naldi (2001). che permettano un trattamento dei fenomeni di insicurezza rispettoso delle specificità (dei problemi. l’attenzione alle categorie più esposte al rischio della criminalizzazione e della vittimizzazione. agendo a livello comunitario e non soltanto interindividuale. in una ricaduta nella realizzazione di condizioni oggettive di vivibilità e nelle rappresentazioni collettive di sicurezza. In tutti questi casi forse manca la percezione di un “bene collettivo” che deve essere fatto oggetto di tutela e forse manca anche una “vittima” specifica e ben definita in cui la cosiddetta “opinione pubblica” si possa identificare. Non si tratta. di metodologie e saperi di tipo “context – sensitive”. (Comitato scientifico di “Città Sicure”. percependo così l’atto delittuoso come una violazione dell’altrui e anche della propria sicurezza. delle criticità di un quartiere. In questa ottica la promozione della sicurezza urbana. che unisca e innervi rapporti costanti di compartecipazione tra cittadini e istituzioni. o delle aggressioni all’ambiente. ivi compresi i rappresentanti degli enti e degli uffici pubblici municipali (vigili urbani.) sia le fasi di progettazione delle politiche degli Enti Locali necessitano. urbanisti. che si può evitare l’isolamento e il carattere temporaneo di interventi separati e inevitabilmente parziali o settoriali. dei comitati di cittadini. Su tale base si può ricostruire la motivazione di ciascun attore territoriale a collaborare valorizzando e mettendo a disposizione della comunità il proprio contributo e le proprie risorse. con la consapevolezza che ogni azione di governo si traduce in un effetto di ecologia sociale. il progetto ha promosso corsi di sensibilizzazione alla mediazione sociale. Il progetto “Mediazione Sociale” a Roma ha contemplato così la dimensione della sicurezza urbana non come problema. E’ infatti soltanto attraverso una gestione trasversale ed integrata. dei servizi. può divenire un compito prioritario delle amministrazioni locali. Secondo quanto sperimentato nei quattro anni circa dal progetto “Mediazione Sociale” il grado di sicurezza urbana reale e percepita è rafforzato sensibilmente dal riconoscimento della popolazione di legami e relazioni di coesione sociale fondati sulla fiducia. E’ necessario che tra i principi che guideranno le nuove strategie di sicurezza urbana trovino luogo anche una seria considerazione per le paure della gente. Servizi Sociali ecc.). E’ necessaria una forte azione culturale per colmare il “vuoto” di questo rapporto tra vantaggio individuale e identificazione del bene pubblico. Ponte di Nona (VIII). esperti in forme di mediazione. ed ebbe come interlocutore anche l’allora nascente Commissione Consiliare sulla Sicurezza. educativo. nel marzo del 2001. in ambito sociale. quando non anche tecniche. La supervisione e la formazione dell’équipe del progetto ha visto il coinvolgimento di figure di rilevo in ambito professionale. per trovare soluzioni comuni e condivise. sotto la direzione del Dipartimento XVIII – Sicurezza. gestito dalle medesime strutture con capofila Eureka I. in cui poter apprendere a gestire il conflitto come risorsa efficace e funzionale di cambiamento per tutte le parti coinvolte. Nel maggio del 2001. e di gestire in forma incruenta. nei territori di Pietralata (V). Magliana ’80. il progetto passò sotto il nuovo Assessorato alla Sicurezza. a cui si riconoscono competenze legate alla quotidianità di vita nei quartieri. Il co – protagonismo degli abitanti di un territorio. localizzati tra le zone Nord (Largo Sperlonga. Il progetto fu inizialmente finanziato dall’Assessorato alle Politiche Sociali. nazionale ed internazionale. parchi. tra gli obiettivi principali della mediazione sociale si annovera “il contribuire alla prevenzione della violenza”5. collaborativa e creativa i propri conflitti. secondo la prospettiva di tutti gli attori coinvolti. ed i territori in cui venne dapprima implementato furono Largo Sperlonga (XX Municipio). antropologi. promossa dall’Ufficio Roma Sicura del Comune di Roma. promovendo processi di comunicazione e collaborazione volontari e partecipati. in cui si afferma che “l’ambiente urbano. restituendo alla cittadinanza la capacità di contribuire da protagonista alla cogestione del vivere sociale. fu promosso un secondo progetto di Mediazione Sociale. Bastogi). istituzionale. familiare e scolastico. 2) Le origini del Progetto di Mediazione Sociale a Roma L’esperienza romana di Mediazione Sociale è nata nel luglio del 1999. è considerato fondamentale: ristrutturazioni di edifici. Quartaccio (XIX). L’attuazione del progetto fu affidata ad un’Associazione Temporanea di Impresa composta da tre Cooperative Sociali Parsec. sociologi. Non sostituisce. di centri sportivi o parchi gioco. interventi su spazi comuni. educatori professionali e di comunità. soprattutto attraverso l’apporto della partecipazione diretta dei cittadini. che stimolino le persone ed i gruppi a confrontarsi sulla natura. interculturale. La mediazione sociale fornisce infatti un contesto sicuro e protetto. culturale. su piazze.Sono tutti territori caratterizzati da una pluralità eterogenea di forme di disagio sociale. Circa un anno più tardi. Pur nel rispetto della storia individuale di ciascun quartiere. reale e percepita. Tale funzione della mediazione sociale è ben riconosciuta nelle Raccomandazioni degli esperti europei in materia. accademico. scolastico. I quartieri in cui è attivo il progetto sono come già detto periferici. sulle cause e sugli effetti collegati alle tensioni sociali. In tal senso la mediazione sociale favorisce la costruzione di processi di sicurezza urbana. Eureka 1°. perché siano soddisfatte le esigenze di tutte le parti coinvolte. Lo sviluppo del progetto nei singoli quartieri è stato coordinato da équipe multiprofessionali. e che. la gestione della sicurezza urbana diviene parte di un più generale processo di riqualificazione della città e paradigma della convivenza civile. i mediatori hanno riscontrato in essi alcuni elementi comuni. composte da psicologi. costruzione di aree attrezzate. Secondo tale prospettiva. coinvolgono gli abitanti in prima persona ed acquistano valore reale se sono progettati e realizzati “con” loro e non soltanto “per” loro. che sottolinea e valorizza la complessità del tema. ma integra altre forme di amministrazione della giustizia. Est (Pietralata e Ponte di Nona) e Sud (Tor Fiscale) di Roma. è uno dei crocevia privilegiati della mediazione sociale”. e strade. Quartaccio. tra cui la presenza di conflitti legati all’assegnazione o 10 . Bastogi (XVIII) e Tor Fiscale (IX).interventi a tutti i livelli: sociale. quale luogo di naturale coabitazione delle diversità. inadeguata a rispondere efficacemente al mandato progettuale. evitati. a episodi di prevaricazione e bullismo nelle scuole e nelle altre agenzie educative. delle scuole. delle parrocchie. la rimessa in comunicazione dei cittadini. al degrado di spazi comuni quali piazze e giardini pubblici. come pericolosi. D’altra parte le stesse istituzioni presentano a volte anche delle lacune di conoscenza approfondita dei dati socio anagrafici e delle informazioni relative ai problemi e ai bisogni degli abitanti delle zone di competenza del progetto. presenti spesso da molti anni all’interno dei diversi quartieri. spazi temuti. Sono territori che si autopercepiscono e sono fortemente connotati dallo stereotipo del degrado e del disagio sociale. una condizione in cui l’operatore della mediazione era connotato dall’aver 11 . allo spaccio e al consumo di sostanze stupefacenti. terzo neutrale. e modalità proprie di risoluzione dei conflitti. in tali contesti si è cercato di conoscere le comunità al di là degli stereotipi di disagio sociale che li connotavano. ricettacoli e focolai esclusivamente di devianza. non – sicuri. si è rivelata. All’interno delle stesse comunità territoriali si è riscontrata spesso una difficoltà di convivenza tra settori sociali che aspiravano alla normalizzazione dei quartieri e al loro affrancamento dal degrado e nuclei di abitanti appartenenti generalmente a ceti più disagiati (spesso dal problema della disoccupazione. al fine di esplorare invece le potenzialità latenti. e come soggetti di cui diffidare. consolidata. Come vedremo meglio più avanti . e certamente la particolare natura sociale dei territori ha condizionato le scelte operative. spesso non valorizzate.). spesso latenti e non immediatamente percepibili. risorse inaspettate in termini di potenziale attivazione dei soggetti e delle competenze esistenti. In questi quartieri è stata generalmente riscontrata una scarsa coesione sociale. quanto di “internità imparziale” allo stesso e alle sue dinamiche. degrado e marginalità sociale. criminalità. con la progressiva acquisizione di informazioni. delle associazioni. al difficile rapporto tra cittadini appartenenti a diverse culture. Gli abitanti appartengono per lo più a ceti medio bassi e spesso disagiati. ma in alcuni casi anche nell’immaginario collettivo romano. anche dei conflitti e delle risorse presenti. L’opzione dell’apertura immediata di uno sportello di mediazione sociale. a forme diffuse di illegalità.all’occupazione delle abitazioni. aiutasse i cittadini a gestire i propri conflitti. percepiti dalle popolazioni limitrofe. la cui condizione è spesso aggravata dal problema della disoccupazione. in cui un professionista. Internamente al progetto si è discusso a lungo sulla metodologia più idonea per realizzare tali obiettivi. radicata e trasmessa nel vissuto degli abitanti. Sono territori che comunque presentano accanto a problemi irrisolti. condividerne la quotidianità e ricevere dai cittadini stessi la credibilità per proporsi come interlocutori e mediatori nella gestione di situazioni conflittuali. Secondo questa ottica gli operatori del progetto hanno iniziato a lavorare in questi quartieri ponendosi alcuni obiettivi: innanzitutto conoscere i territori e le comunità che li abitano. e una comunicazione spesso assente tra gli attori sociali e istituzionali presenti sul territorio. Ci si è accorti della possibilità di cominciare a lavorare veramente sui conflitti con il quartiere. la sensibilizzazione della popolazione alla mediazione nella gestione dei conflitti. Sono quartieri che hanno un proprio linguaggio. Il maggior risultato conseguito nei primi due anni di lavoro è stata la legittimazione da parte della popolazione della presenza degli operatori nel territorio. E’ stato prima necessario conoscere e farsi conoscere dalla comunità locale. una propria storia (a volte relativamente recente). Le istituzioni sono generalmente percepite come assenti. le capacità di trovare comunque soluzioni e risorse proprie. quindi la storia. quando si è raggiunta non tanto la condizione di “neutralità”. ecc. e delle istituzioni presenti sono stati obiettivi perseguibili solo dopo la prima fase preliminare conoscitiva e in realtà effettuata costantemente durante tutte le fasi progettuali. ideologici o religiosi Conflitti di interessi: o Una competizione percepita o reale o Differenti interessi sostantivi o Differenti interessi di procedura o Differenti interessi psicologici Conflitti strutturali: o Modelli di comportamento o di interazione di tipo distruttivo o Disuguaglianze nel controllo. generati da una pluralità di concause. sia dalla lettura complessiva della storia e delle dinamiche sociali tipiche di ciascun quartiere. di seguito classificate secondo le categorie della sfera del conflitto individuate da Christopher Moore (1986)6 • Conflitti riguardanti dati e informazioni o Assenza o carenza di informazioni o Informazioni erronee o Differenze di opinione sull’importanza delle informazioni o Differenze nell’interpretazione dei dati o Differenze nei procedimenti di valutazione Conflitti relazionali: o Emozioni intense delle parti coinvolte o Percezioni diffuse e condivise e stereotipi o Bassi livelli di comunicazione o errori nella comunicazione o Comportamenti negativi ripetitivi Conflitti tra valori: o Differenti criteri di valutazione delle idee o dei comportamenti o Mete valoriali mutuamente escludentesi o Differenti modelli di vita.raggiunto lo status di “meticcio”. e costantemente rivista alla luce del mutare delle condizioni dei quartieri e del ruolo dei mediatori del progetto al loro interno. L’apertura dello spazio di mediazione. i suoi obiettivi e le sue finalità. Da tali premesse è scaturita la prassi operativa sperimentata durante i quattro anni dell’esperienza romana. meglio delineata nel paragrafo dedicato agli “Sportelli Arcobaleno” integrati con la comunità e spesso aperti in collaborazione con le associazioni del quartiere è scaturita sia da questo processo di accreditamento e di fiducia reciproca. 3) Modello teorico e approccio metodologico Tutte le attività del progetto hanno privilegiato lo studio e l’analisi della dimensione dei conflitti. fisici o ambientali che impediscono la cooperazione o Limiti di tempo • • • • Nei territori coinvolti dal progetto. nella proprietà o nella distribuzione delle risorse o Disuguaglianza di potere o autorità o Fattori geografici. una persona con una sua storia particolare. riconosciuta dalla comunità nel suo ruolo di mediatore inviato comunque da una istituzione. Essi sono stati percepiti come eventi sociali. i mediatori hanno rilevato conflitti o situazioni conflittuali o di disagio tutte riconducibili a tali categorie: per quanto riguarda la convivenza tra comunità 12 . una persona divenuta parte della comunità pur essendone in parte estranea. e vittime: tuttavia la violenza è soltanto uno dei possibili modi in cui è possibile gestire una disputa. Ciò che noi indichiamo comunemente come conflitto è quindi in realtà il litigio. danni inflitti e sofferti. Generalmente l’idea di conflitto evoca invece violenza. che stimolasse le parti coinvolte a individuare soluzioni innovative e soddisfacenti per tutti. ed il conflitto adempie a funzioni sociali come la cooperazione. e costituisce una presenza necessaria alla formazione stessa della cultura sociale (M. Nel 1971 Ralph Dahrendorf scriveva: “Non esiteremmo a esprimere una forte preferenza per una concezione della società che riconosce che il conflitto è una caratteristica essenziale della struttura e dei processi della società. che impediva di fatto cambiamenti e trasformazioni: nel fare insieme una esperienza. ma anche di dati. partecipativa ed esperienziale nella gestione delle controversie. si riscopre il piacere della partecipazione. valoriali e d interessi. di dissociazione come di associazione e i conflitti nel loro ambito non sono fonti di disgregazione”8. i conflitti presenti nelle agenzie scolastiche e educative sono per lo più relazionali. all’interno delle relazioni delle reti formali e informali. Il rischio stesso (e la paura) è una forma di simbolizzazione presente in ogni società. vincitori. Tali azioni sono state propedeutiche anche al fine di riuscire a trovare “conveniente” superare lo status quo causato da un pregresso pregiudizio tra diversi cittadini.). una modalità collaborativa. in quest’ottica ha acquisito un carattere simbolico. Simmel scriveva che “il conflitto è una forma di socializzazione. cioè una delle modalità possibili di agirlo. La gestione ad esempio di un carnevale da parte di diversi componenti di una comunità spesso in conflitto (e non comunicanti). e tra differenti generazioni. Il conflitto è solitamente indice che lo status quo finora accettato è divenuto insoddisfacente per almeno una delle parti coinvolte: è dunque la modalità scelta per gestire tale insorgenza che determina la positività o meno degli sviluppi. Le équipe dei mediatori sociali hanno promosso nelle comunità. North Whitehead7 aveva già sottolineato come lo scontro di idee non sia necessariamente distruttivo. così come le iniziative di animazione territoriale tese al recupero di una piazza “degradata”. I gruppi hanno bisogno di armonia come di disarmonia. vinti. Douglas 1991). Il conflitto è stato interpretato nella prassi operativa come elemento sociale. della socializzazione e della mobilità. lo scontro. Le società sono essenzialmente delle creazioni storiche e 13 . la cui permanenza non è desiderabile. I fattori negativi. Il conflitto presenta due facce. ma un’occasione di sviluppi positivi. l’approccio teorico e metodologico promosso dalle équipe di Mediazione Sociale percepisce il conflitto come una forma insita nelle relazione sociale: “la pace non è nient’altro che un mutamento del tipo di conflitto quanto agli antagonisti o quanto agli oggetti. non solo nell’attuale. informazioni ed ancora di interessi. e promuovesse evoluzioni funzionali nella storia sociale della comunità. e cioè quella di contribuire all’integrazione dei sistemi sociali e quella di provocare dei mutamenti. i conflitti sono generalmente relazionali. come uno dei processi “tollerabili” che rafforzano la stabilità dei sistemi sociali anziché metterla in pericolo. D’accordo con quanto affermato anche da Weber.multiculturali. contribuiscono a strutturare le relazioni di gruppo. o quanto ai metodi di soluzione” (1958). ritenuto precedentemente un nemico. come quelli positivi. Lungi dall’essere antifunzionale. ecc. della collaborazione. che modifica la percezione dell’altro (del vicino di casa. il cui ristagno ed involuzione sono controproducenti. Nel 1976 G. altresì il suo sviluppo e la sua evoluzione possono favorire cambiamenti significativi e funzionali rispetto alle relazioni e alle dinamiche interpersonali e comunitarie. un pericolo da combattere. il gusto di una reciproca relazione e di uno scambio. Il conflitto può considerarsi al pari dell’attribuzione dei ruoli. la cui esistenza è strutturale all’agire umano. un certo grado di conflitto è un elemento essenziale nella formazione del gruppo e nella persistenza della vita del gruppo. e della relativa percezione da parte dei cittadini. ove possibile e utile.proprio in quanto tali esse necessitano della forza propulsiva del conflitto. Ricorda a tal proposito Franco La Cecla (1992): “Quello che distingue il processo di apprendimento individuale rispetto ad un luogo. La mappatura dei conflitti e il rilevamento dei bisogni del territorio 14 . Tale processo ha comportato che gli operatori del progetto trascorressero del tempo insieme agli abitanti dei quartieri. rispetto e fiducia reciproca. e di cercare di assumere la prospettiva di ciascuna parte coinvolta. si sono configurati come figure “meticce”. Il connubio. Lo sforzo degli operatori non è stato quello di promuovere interventi “risolutori” (fatti da esperti esterni al quartiere e che si assumono la delega di risolvere le controversie in vece dei cittadini). delle dinamiche e dei rapporti sociali. di sottolineare la ricerca di un’equivicinanza piuttosto che dell’equidistanza dei mediatori dell’equipe di mediazione sociale. Favorisce infatti una “de – patologizzazione” del conflitto. di sofferenza diffusa. ma la fuga. allo stesso tempo esterne e interne alla comunità locale. di ricerca partecipata di soluzioni all’interno della comunità. o viceversa proprio perché vi è conflitto vi è anche mutamento ed evoluzione storica”9 . L’opposto dell’ordine sociale. di ricostruzione di forme di appartenenza positiva. La mediazione sociale in tale ottica si è rilevato strumento privilegiato nella gestione costruttiva dei conflitti. I mediatori sociali hanno consapevolmente scelto di non giudicare preventivamente le dinamiche territoriali e le realtà presenti nei quartieri. Le équipe di mediazione sociale hanno condiviso con gli abitanti proprio questa “frequentazione collettiva ed assidua nel tempo” del territorio. mutuando quest’ultima definizione dalla prassi della teoria della terapia della famiglia. è la frequentazione collettiva ed assidua nel tempo. in incontri generalmente informali volti a costruire gradualmente conoscenza. Spesso le figure del “polo conflittuale”e dell’attore di conflitto in tali contesti non sono così chiare e delineate. così presenti nelle realtà urbane contemporanee. ma l’immobilismo dettato da una conflittualità diffusa. presente fin dall’inizio nell’esperienza romana. di comunicazione sociale bloccata. e di una parzialità multidirezionale. facilitando e stimolando anche l’individuazione di risorse ancora inesplorate. non è il conflitto. le prime fasi operative del progetto di mediazione sociale sono state imperniate sul rilevamento dei conflitti agiti e latenti presenti nei territori. si recassero. di cecità ed inconsapevolezza di soluzioni in realtà spesso vicine e praticabili. tra mediazione sociale e sicurezza urbana ha contribuito poi anche a sperimentare percorsi innovativi di modalità di gestione condivisa di aree critiche comuni. la conoscenza è legata ad un qui”. a partire dalla presenza dei conflitti da gestire. anche nelle loro abitazioni. Si noti la scelta. tanto da comprenderne la storia ed i conflitti. non soltanto terminologica. i mediatori si sono visti riconoscere un ruolo dalla comunità. ed una sua trasformazione in occasione propulsiva di mutamenti funzionali al benessere sociale delle comunità e degli individui. ma di accompagnare processi di rimessa in comunicazione.Come meglio delineato successivamente. affermava Simmel. l’allontanamento. provoca una forte situazione di stallo. La mediazione sociale è stata così concepita come un processo di riconnessione delle relazioni interne alle comunità. Con il tempo. li incontrassero nei luoghi di aggregazione spontanea. In tale ottica i mediatori si sono posti come terzi equivicini a tutte le parti coinvolte nel conflitto. dalla mente locale di un luogo. da una atteggiamento di ostilità di tutti verso tutti. l’indifferenza. 4) Le attività progettuali Il progetto ha lavorato secondo le seguenti fasi: 1. gli operatori ecologici). difficoltà e desideri legati al vivere quotidianamente nel proprio contesto urbano: in base a tali riscontri. aspirazioni. gli operatori dei servizi pubblici (i vigili urbani. a delineare un primo processo di costruzione di una comunità partecipante relativamente ai luoghi interessati e ai conflitti espressi. i negozianti. a) La mappatura dei conflitti ed il rilevamento dei bisogni del territorio Gli operatori del progetto hanno inizialmente effettuato in ogni territorio operazioni di scouting al fine di rilevarne le esigenze. Tali attività di mappatura del territorio sono state condotte attraverso: • • • Somministrazione di questionari. L’apertura di spazi integrati di mediazione (Sportelli Arcobaleno) Tra le attività più significative nel presente contributo si farà cenno anche alle azioni progettuali realizzate sia in ambito scolastico. L’importanza che assume tra le varie tecniche d’indagine deriva soprattutto dal fatto che essa si serve di quell’elemento specificamente umano che è il linguaggio”. insieme ad associazioni. Tale strumento si è rivelato poi particolarmente efficace nel rilevare la percezione degli abitanti riguardo lo spazio urbano abitato e i comportamenti agiti. e a comprendere quanto le varie fasi abbiano contribuito alla attuale dimensione sociale del territorio.. i parroci. La sensibilizzazione alla mediazione 3. i consiglieri e gli amministratori municipali. I tavoli sociali e la progettazione partecipata 4. forme efficaci di socializzazione e gestione delle esigenze collettive. Attraverso tali attività di ricerca (costantemente aggiornate in ogni fase progettuale) gli operatori del progetto di Mediazione Sociale sono generalmente riusciti a ricostruire la storia del quartiere esplorato. Gli abitanti hanno avuto infatti la possibilità di esprimere esigenze. Uno dei cardini delle azioni di mediazione sociale è stata infatti la promozione della partecipazione dei cittadini alla co. Come sottolineano Pellicciari e Tinti (1984) “l’intervista è uno degli strumenti fondamentali della ricerca di carattere sociologico.progettazione dello spazio urbano abitato. i gestori di centri sportivi ecc. e l’identificazione dei soggetti e delle realtà territoriali che 15 . i responsabili del volontariato e dell’associazionismo locale. gli insegnanti. Tali attività hanno facilitato altresì la contestualizzazione delle azioni promosse nei singoli territori. tra cui i dirigenti scolastici. che in contesti multiculurali. istituzioni e cittadini.2. I risultati di tali azioni di ricerca sono stati elaborati in modalità tese a garantire la più ampia partecipazione dei cittadini. Le interviste ed i colloqui realizzati in questa fase hanno contribuito. e la loro disponibilità a collaborare per soddisfare le esigenze comuni. il progetto di mediazione sociale ha iniziato a costruire e ricercare. la percezione che i cittadini hanno della qualità della vita sociale e della sicurezza nel loro quartiere. La restituzione dei dati e delle analisi del territorio in termini di conflitti agiti e latenti ha successivamente offerto elementi di discussione all’interno dei tavoli sociali e nei gruppi tematici attivati con i cittadini. attraverso incontri individuali e di gruppo. a condividerla con gli abitanti. ad abitanti del quartiere Interviste informali con gli abitanti nei luoghi di aggregazione spontanea Interviste in profondità a figure significative per gli obiettivi progettuali. quindi. i conflitti presenti. gli assistenti sociali. specificamente strutturati. le forze dell’ordine. Gli incontri aperti ai cittadini si sono svolti in luoghi di aggregazione significativi. le équipe di “Mediazione Sociale” hanno promosso. “il superamento delle tensioni e l’aiuto nella risoluzione dei conflitti coinvolge tutta la società. Tali incontri hanno coinvolto i partecipanti nella discussione di alcuni dei principali aspetti della prassi della mediazione sociale: la metodologia. b) La sensibilizzazione alla mediazione Successivamente (e in parte anche parallelamente) alla fase iniziale di conoscenza e mappatura dei territori. Tali percorsi sono stati strutturati in due distinte tipologie di incontri. le tecniche. parrocchie o sedi dei comitati di quartiere e dell’associazionismo e del volontariato locale.hanno nel quartiere un ruolo di mediazione (naturale). sono state quindi valorizzate le “funzioni mediative” di tali soggetti.) attivi nei rispettivi territori. Servizi Sociali). URP. Tutti gli incontri di sensibilizzazione alla mediazione sociale sono stati coordinati e gestiti da docenti e ricercatori della Cattedra di Psicologia Giuridica della Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. dei servizi sociali municipali. un ampio spazio è stato dedicato alla partecipazione attiva dei cittadini. Durante questi incontri e successivamente ad essi. A tal proposito. in un secondo momento. sulle esigenze e sulle possibili azioni condivise in un’ottica di riqualificazione urbana partecipata. In tale ottica il mediatore si è definito nel tempo sempre più come un operatore “di processo” che “di intervento”. del privato sociale. Il progetto di mediazione sociale ha teso a promuovere l’utilizzo di tale approccio nei diversi ambiti della vita sociale delle comunità. NAE. ASL. Vigili Urbani. in particolare le autorità locali e regionali”. ha costruito con gli abitanti momenti specifici in cui gestire insieme i conflitti relativi ai problemi che di volta emergevano. condividendone la teoria e la prassi con i cittadini stessi. e le relative risorse. e. generalmente scuole. Il progetto di mediazione sociale ha voluto promuovere tale approccio trasversale ed integrato rispetto alle strutture e alle istituzioni decentrate del Comune di Roma. durante gli incontri conclusivi si sono esplorate con i cittadini diverse possibilità di intervento in relazione ai bisogni evidenziati dai territori. che hanno avuto la possibilità di confrontarsi sulla storia. Da tali 16 . Partendo dal vissuto conflittuale degli abitanti il progetto ha attivato processi tesi allo sviluppo delle capacità mediative presenti in ogni comunità e. gli argomenti affrontati sono stati incentrati sulla metodologia della mediazione sociale e sulla possibilità di un suo utilizzo anche come integrazione dell’attività degli operatori dei servizi pubblici e degli enti locali in un’ottica condivisa di partecipazione e dialogo interistituzionale. AMA. Come ricordano infatti le raccomandazioni degli esperti europei. delle parrocchie ecc. L’azione di sensibilizzazione in questo modo coincide con momenti di partecipazione diretta alla ricerca di risoluzioni delle criticità del quartiere stesso. affinché si possa instaurare un dialogo coerente e condiviso tra cittadini e istituzioni. le strategie di intervento e di lavoro di rete. nei singoli quartieri. percorsi di sensibilizzazione alla metodologia della mediazione sociale e della progettazione partecipata nella riqualificazione urbana. in una prospettiva condivisa di collaborazione e co – protagonismo. I mediatori sociali hanno consapevolmente scelto di non svolgere una funzione di erogazione di servizi. coinvolgendo inizialmente soprattutto cittadini e operatori (scolastici. al fine di renderle maggiormente esplicite. ma di facilitare e costruire insieme ai cittadini e alle istituzioni percorsi di mediazione e promozione della convivenza sociale. gli operatori dei servizi pubblici dei sei municipi (Ufficio Tecnico. che scaturissero dalle caratteristiche specifiche di ciascuna realtà urbana. il progetto “Mediazione Sociale” ha promosso insieme agli abitanti la realizzazione di azioni di riqualificazione urbana e l’organizzazione di eventi aggregativi. favorendo un passaggio degli abitanti da utenti o destinatari di interventi a soggetti attivi e promotori di operazioni progettuali e iniziative concrete. La memoria individuale e collettiva si è legata così a processi di manutenzione e riqualificazione del contesto urbano. rivisitazioni delle tradizioni e dei miti dei territori. con l’intento di promuovere la collaborazione e la cooperazione tra le parti. L’ascolto attivo degli abitanti di un quartiere. L’obiettivo ultimo di tali attività è infatti la trasmissione e la condivisione della metodologia. associazioni. dal rilevante valore simbolico per la popolazione. ha rappresentato un approccio olistico ed ecologico al territorio urbano e ne ha consentito una conoscenza più profonda. compresi i più giovani. svolgendo un ruolo di co. I mediatori in tali occasioni hanno mantenuto la propria imparzialità. Nell’ambito della metodologia progettuale. Il tentativo è stato dunque quello di contribuire ad una dimensione di co – protagonismo dei cittadini nel contesto territoriale. Tali incontri hanno visto tanto la partecipazione di cittadini privati quanto di rappresentanti tecnici o politici degli enti locali.gestione dei lavori. è una fase delicata. In tal modo si intende favorire un protagonismo degli abitanti di un quartiere anche nella gestione della conflittualità quotidiana legata alla convivenza sociale. Nelle più volte citate raccomandazioni ci si augura infatti che la mediazione sociale possa favorire una maggiore vicinanza tra le istituzioni e il pubblico. collaborando con il progetto in qualità di interlocutori privilegiati. attraverso la ricerca di un dialogo più costruttivo ed efficace con gli Enti Locali. Nei quartieri di competenza. e ha stimolato processi di cittadinanza attiva. Insieme ai cittadini sono stati ricercati nuovi orizzonti di senso. che hanno stimolato gli abitanti ad uscire da una dimensione spesso individualistica e autocentrata del vivere nel proprio quartiere. istituzioni ed enti pubblici) attraverso l’apertura di tavoli sociali di discussione finalizzati alla gestione condivisa di obiettivi territoriali comuni. avendo condiviso con gli operatori del progetto e tra loro la natura. di partecipazione e rimessa in comunicazione tra i soggetti che abitano un territorio. degli strumenti e degli obiettivi della mediazione. sono i cittadini stessi chiamati a svolgere funzioni mediative nel proprio contesto urbano. I percorsi di sensibilizzazione rivolti agli abitanti sono stati finalizzati anche ad individuare cittadini. facendo emergere anche fattori e agenti disfunzionali spesso sconosciuti ai più. secondo quanto suggeriscono anche gli esperti europei al riguardo.occasioni di confronto sono spesso scaturite narrazioni collettive dei luoghi. al fine di individuare con gli abitanti la possibilità di 17 . quella dell’individuazione delle persone con cui rapportarsi in tale ottica: tuttavia essa si è rivelata assai efficace nella diffusione della cultura della mediazione sociale. ed un progressivo adattamento degli enti pubblici ai nuovi bisogni dei cittadini. Gli incontri periodici di tali tavoli sono stati coordinati da almeno due mediatori. che possano eventualmente svolgere funzioni mediative spontanee e naturali. c) Il rapporto con il territorio: i tavoli sociali e la progettazione partecipata Successivamente al rilevamento delle esigenze del quartiere e alla promozione di percorsi di sensibilizzazione alla mediazione sociale. Il coinvolgimento dei cittadini ha voluto promuovere anche un rinnovato senso di appartenenza. in contesti metropolitani caratterizzati spesso da una mancanza di storia e identità collettiva. i mediatori sociali hanno favorito la rimessa in comunicazione tra i vari attori locali (cittadinanza attiva. congiuntamente percorsi di riqualificazione contestuali alle esigenze dei territori e dei cittadini che li abitano. le finalità e le modalità di attuazione di tale approccio. Secondo le finalità progettuali. al fine di costruire. La finalità ancora una volta non è tanto l’erogazione esclusivamente assistenzialistica di un servizio. le associazioni. il problem – solving. in un rinnovato senso di appartenenza e di convivenza sociale. le équipe territoriali hanno condiviso con i cittadini il valore del rispetto e del “prendersi cura” dei luoghi di aggregazione e del vissuto quotidiano. in cui un operatore specificamente preparato accoglie ed ascolta i cittadini. utilizzando alcune tecniche e strategie derivate dalle discipline psicologiche e sociologiche (la riformulazione. ma “contribuisce alla costruzione del progetto delle parti”10. Attraverso un’attenta e accurata pianificazione. alle associazioni e alle istituzioni. diverse associazioni hanno trovato negli “Sportelli Arcobaleno” uno spazio per esprimersi e contribuire ad esempio al coinvolgimento degli adolescenti e dei giovani nelle attività del territorio. in particolar modo con i Servizi Sociali. Sono aree in cui matura una pluralità eterogenea di esperienze. che non eroga semplicemente servizi o assistenza. scaturite dalla stretta cooperazione tra il progetto di mediazione sociale. contribuisce sensibilmente a generare e radicare dinamiche relazionali e comunicative durature e funzionali all’interno della comunità. le istituzioni e la cittadinanza attiva dei quartieri. In alcuni contesti. Inoltre. e li aiuta a gestire in modo cooperativo le controversie di quartiere o di vicinato. Tale possibilità è il frutto di una stretta collaborazione del progetto di mediazione sociale con i servizi pubblici e gli enti locali. o di nuovi eventi collettivi destinati a rimanere nella memoria comune. Inoltre all’interno degli “Sportelli Arcobaleno” è presente uno spazio apposito per la mediazione dei conflitti interindividuale. 18 . gli URP e gli Uffici dell’Accoglienza Unica. ma la promozione della conoscenza e della consapevolezza da parte dei cittadini di quanto le istituzioni possano offrire. d) L’apertura degli spazi integrati di mediazione sociale: gli “Sportelli Arcobaleno” Tali spazi nella maggior parte dei territori in cui sono stati attivati hanno rappresentato la naturale evoluzione del percorso che il progetto di mediazione sociale ha effettuato negli anni insieme alle comunità locali. in un’ottica di progressivo “empowerment” territoriale e sociale. E’ stato rilevato infatti dall’esperienza progettuale che quando partecipano alle decisioni circa il proprio quartiere. ritrovando e rigenerando relazioni significative con essi. il percorso per rispondere alle proprie esigenze: anche azioni tradizionali di lavoro sociale vengono così reinterpretate in una dimensione “maieutica”.ricostruire significato e dignità nei luoghi abitati. anziani. nei tempi e nelle azioni. Al loro interno le associazioni territoriali hanno modo di incontrarsi. L’accesso a tale spazio è libero e gratuito. la ristrutturazione. bambini). Sono state organizzate insieme ai cittadini iniziative pubbliche tese al coinvolgimento di fasce differenziate di popolazione (adulti. Parimenti si è sperimentato che la costruzione insieme ai cittadini di occasioni di riscoperta della memoria storica del quartiere. strutturata o semi – strutturata. Attraverso la riqualificazione e la manutenzione di una piazza. lo scambio dei ruoli. discutere. i cittadini costruiscono insieme agli operatori. o di altri spazi comuni. senza necessità di fissare un appuntamento: in esso i cittadini possono ad esempio ricevere informazioni sulle opportunità offerte dal Comune e dal Municipio di appartenenza. che prevenga possibilmente episodi di vandalismo e di incuria per i luoghi e per i beni pubblici. l’intervista libera. unendo il bisogno di socialità al recupero urbano delle aree degradate e stimolando un’attenzione condivisa allo spazio urbano. all’interno degli “Sportelli Arcobaleno” i mediatori sociali del progetto sono a disposizione dei cittadini per azioni di sostegno nella risoluzione di esigenze individuali e collettive.. l’analisi contestuale). i cittadini tendono a sentirsi maggiormente responsabili circa la qualità sociale della vita al suo interno. giovani. collaborare e progettare insieme ipotesi integrate di intervento in risposta alle esigenze del quartiere. Il setting per gli incontri di mediazione prevede una sedia o una poltroncina per ciascun partecipante.Tali incontri di mediazione prevedono la possibilità tanto che il mediatore possa effettuare incontri individuali con le parti. e della relativa percezione. che veicola il messaggio di uguale valore di tutti coloro che collaborano nella gestione del conflitto esaminato. da cui scaturiscono gli accordi conclusivi. psicoterapeutici. in un’ottica più ampia di partecipazione e co – protagonismo dei cittadini alla costruzione della sicurezza urbana dei quartieri abitati. 19 . dal momento che anche fisicamente non sono più l’una contro l’altra. In tal senso la mediazione diviene prassi sociale responsabilizzante e strumento attraverso il quale promuovere cambiamenti nelle relazioni all’interno della comunità. Il ricorso alla mediazione nella gestione dei conflitti è ovviamente volontario e scelto dalle parti. ed un tavolo rotondo. al brain storming per individuare tutte le possibili soluzioni. Coerentemente con il mandato progettuale e con la natura stessa del processo. Il servizio di mediazione sociale garantisce la confidenzialità circa i dati emersi durante gli incontri e l’esito del percorso stesso. e si opera perché la loro gestione risulti infine soddisfacente per entrambe le parti. La cadenza preferibilmente settimanale lascia tempo alle parti di sperimentare gli accordi presi e di verificare se realmente soddisfino le reciproche esigenze. socio – sanitari e assistenziali). così come il numero complessivo degli incontri.30. condivisa e riconosciuta da tutti gli attori del conflitto. ma rivolte entrambe ad affrontare il medesimo problema rappresentato sulla lavagna. ed hanno una cadenza per lo più settimanale. ma semplicemente di integrarle. Anche l’organizzazione dello spazio a disposizione per la mediazione interindividuale dei conflitti tende a differenziarsi da altri contesti ai quali può essere abituato il cittadino (giudiziari. protetto ovviamente dalla più stretta confidenzialità. dalla creazione di una storia comune. Essa inoltre permette di visualizzare agevolmente tutte le fasi del percorso di mediazione sociale. La mediazione non si propone certo di sostituire altre modalità. Gli incontri di mediazione sociale hanno generalmente la durata di 1 h. Inoltre la permanenza dei fogli utilizzati consente alle parti l’immediata visualizzazione del percorso compiuto. La lavagna elettronica consente inoltre la stampa immediata del lavoro svolto durante gli incontri di mediazione: tale materiale. che tuttavia può variare. dalla valutazione delle opzioni alla scelta della soluzione più soddisfacente per tutte le parti coinvolte. a seconda dei singoli casi. alla definizione congiunta del problema. e le competenze necessarie per risolvere cooperativamente le controversie. Tuttavia si è sperimentato che un percorso di mediazione concluso con successo lascia ai partecipanti non soltanto accordi pratici ed immediati raggiunti insieme. e a sottolineare l’importanza predominante dei contributi offerti dai partecipanti al processo. – 1. ivi compreso il mediatore. ma la consapevolezza che l’esperienza sia riproponibile anche autonomamente in altre situazioni. quanto incontri congiunti. in alcuni casi giustamente preventive e repressive di forme di criminalità. rafforzandone la fiducia nel processo e nella possibilità di lavorare reciprocamente. Si evita infatti la delega ad altri della cura dei conflitti caratteristici della quotidianità. può essere consegnato alle parti come restituzione simbolica ad un tempo e concreta del frutto dei reciproci sforzi. che possono decidere liberamente di interromperlo in qualsiasi momento. L’utilizzo di strumenti quali la lavagna a fogli mobili contribuisce ad abbassare il tasso di conflittualità tra le persone coinvolte nella disputa. gli operatori che si occupano di mediazione dei conflitti non intervengono in controversie che implichino il ricorso al codice penale o più generalmente a violazioni della legge. dai dati emersi dalle interviste. ma attraverso la propria attività di informazione. contribuisce a promuovere una maggiore conoscenza da parte dei cittadini di aspetti sociali che li riguardano. nelle scuole come nelle città. Tale professionista non gestisce naturalmente cause o vertenze. lo scambio e l’interconnessione tra la pluralità eterogenea dei soggetti presenti nei territori. gestito da un professionista del diritto. Pertanto in alcune scuole della capitale il progetto ha attivato percorsi di mediazione scolastica integrata ed educazione tra pari (peer education).E’ noto che un processo di mediazione è generalmente impraticabile se è eccessivo il divario di potere tra le parti in conflitto. in un’ottica di “empowerment” delle parti socialmente più deboli. e) La mediazione scolastica Secondo quanto espresso dalle più volte citate Raccomandazioni degli esperti europei sulla mediazione sociale. è un mezzo privilegiato per promuovere il senso di cittadinanza e per mantenere la pace e deve essere incoraggiata nell’ambito dell’Unione Europea”. “l’educazione alla gestione dei conflitti. ad individuare soluzioni alternative ad alcune delle più comuni situazioni conflittuali che possono vivere nella loro esperienza quotidiana. di rispetto del turno di parola. Gli operatori coinvolti nei percorsi di mediazione scolastica hanno inoltre condiviso con i ragazzi gli strumenti ed i mezzi (macchine fotografiche. abbia favorito la costruzione di spazi polivalenti dove trovassero luogo anche alcuni servizi informativi e di orientamento. dove si è costruita nel tempo una efficace cooperazione sia con i Servizi Sociali di zona sia con un’associazione riconosciuta a livello mondiale. e ad uscire da impasse di conflitti generati dall’assenza o dal carattere di erroneità delle informazioni e dei dati disponibili11. nella gestione di conflitti tra coetanei. Tali attività hanno teso prevalentemente a facilitare l’apprendimento e l’esercizio da parte dei ragazzi di capacità di ascolto attivo. E’ probabile che la stessa particolarità dei territori di competenza del progetto. In tale contesto la mediazione oltre a gestire un proprio ambito specifico ha favorito la comunicazione. caratterizzati in alcuni casi da una totale assenza di servizi e istituzioni. Anziché dire “vengo da Pietralata” o “da Ponte di Nona”. stimolandoli ad esprimere liberamente la propria visione e la propria percezione su quanto li circonda. una risorsa importante in un contesto prettamente multiculturale. Gli “Sportelli Arcobaleno” sono per loro natura aperti a collaborazioni da parte degli operatori dei servizi pubblici. piuttosto che il nome del quartiere. presso alcuni degli “Sportelli Arcobaleno”. indicando genericamente il settore della città o le vie che lo attraversano. di associazioni locali e della cittadinanza attiva: è emblematica a tal proposito l’esperienza maturata a Largo Sperlonga. è possibile usufruire di un servizio di consulenza legale. tecnologie multimediali) per rappresentare la realtà urbana. I laboratori nelle classi sono stati centrati inoltre sulle capacità di problem solving dei partecipanti. stimolati. Medici Senza Frontiere. In tal caso verrebbero meno le condizioni necessarie perché tutti abbiano pari capacità negoziale: a tal proposito. Generalmente i ragazzi che abitano le aree più disagiate di Roma tendono a non menzionare la loro zona provenienza. telecamere. Tali percorsi hanno cercato di facilitare lo sviluppo da parte dei ragazzi di competenze mediative. 20 . La localizzazione di tali servizi integrando le attività e le azioni dei progetti e delle realtà associative presenti nei territori ha consentito di avvicinare maggiormente i cittadini sia alle offerte municipali sia ad un potenziamento delle risorse locali. di riformulazione di quanto espresso dai compagni. di comprensione dei bisogni degli altri dietro le posizioni assunte. che eroga informazioni in base a specifiche esigenze dell’utenza. attraverso simulate. che ha offerto occasioni di informazione e orientamento in ambito sanitario e contribuito a promuovere corsi di italiano per stranieri. strumenti musicali. Attraverso i laboratori visuali e l’utilizzo delle macchine fotografiche e delle telecamere. le équipe di mediazione sociale hanno teso a favorire nei ragazzi lo sviluppo del proprio senso di appartenenza rispetto al contesto urbano abitato.preferiscono dire “sto sulla Tiburtina” o “sulla Prenestina”. Particolare rilievo assumono in quest’ottica i laboratori di arteterapia. Coordinati da professionisti specificamente preparati. Ulteriori momenti dei percorsi di mediazione scolastica integrata sono stati i laboratori di gestione del conflitto in classe riservati agli insegnanti. In tale prospettiva. non verbale. L’“altro” può generare insicurezza semplicemente con la sua presenza. il ragazzo che agisce comportamenti in vario modo “disturbanti” è visto come colui che manifesta e si fa sintomo di un disagio che attraversa tutta la classe. particolarmente significativi in quartieri considerati degradati anche da questo punto di vista. ma anche le risorse presenti per una riqualificazione del territorio. che non colga soltanto gli elementi negativi che confermino lo stigma sociale e il pregiudizio. di musicoterapia e di danzomovimentoterapia. con la sua diversità culturale e valoriale rispetto al contesto sociale cui si appartiene e con cui ci si identifica. tali laboratori stimolano nei partecipanti lo sviluppo di modalità relazionali più autentiche e congrue. Non si può non comunicare. personale e critica. Lavorando insieme ad insegnanti e studenti. sia sul piano umano che didattico. f) Il progetto di Mediazione Sociale in contesti multiculturali La presenza di comunità con diverse culture d’appartenenza rischia generalmente di favorire processi di rafforzamento delle rispettive identità e di chiusura all’altro. gli operatori del progetto di mediazione sociale hanno stimolato e accompagnato la realizzazione da parte delle scuole di eventi culturali. ricorda Watzlavick (1971). Attraverso un progressivo riconoscimento e una presa di contatto con le proprie emozioni. attraverso una comunicazione empatica ed emozionale. soprattutto se insediatosi successivamente nel contesto urbano rispetto alle comunità stanziatevisi in precedenza. emotiva ed affettiva. in un clima di rispetto reciproco e fiducia. fenomeni attualmente oggetto di riflessione come il bullismo. secondo tale approccio. del proprio corpo e delle proprie modalità di comunicazione. inoltre. 21 . come quelli su cui è attivo il progetto di mediazione. destinati tanto agli insegnanti quanto agli studenti. Attraverso laboratori ludico – espressivi di arte –terapia centinaia di bambini delle scuole materne ed elementari sono stati coinvolti nella costruzione di villaggi ideali. Essi infatti promuovono percorsi di maggiore consapevolezza di sé. spesso sopite o sepolte. Tali fenomeni sono acuiti in quartieri caratterizzati da un profondo disagio sociale. sia di lasciarli esprimere la propria percezione dello spazio in cui si muovono quotidianamente. e possono generare contrapposizioni tanto più polarizzate quanto più sensibile è la diversità culturale tra le comunità che vi abitano. citando le strade più importanti che percorrono il loro quartiere. Gli operatori del progetto di mediazione scolastica hanno collaborato attivamente con gli insegnanti alla costruzione progressiva di relazioni significative ed efficaci con i ragazzi. vengono affrontati attraverso l’esplorazione dei significati che tali comportamenti assumono nel contesto -classe. tali laboratori teorico – esperienziali hanno stimolato gli insegnanti ad osservare le dinamiche interne alla classe secondo una prospettiva sistemico relazionale. e tali laboratori promuovono una ri – scoperta della comunicazione corporea. attraverso soprattutto l’ascolto empatico e l’accettazione incondizionata del vissuto degli studenti. psicologi e psicoterapeuti specialisti in mediazione scolastica. e di una percezione. al fine sia di leggere le dinamiche conflittuali vissute all’interno o all’esterno delle loro abitazioni. ha stimolato un dibattito interno agli operatori coinvolti nel progetto di mediazione sociale. intesa non solo come modificazione della percezione del grado di sicurezza. 22 . indipendentemente dalla cultura di appartenenza. Così è accaduto per la progettazione della piazza di Largo Sperlonga. secondo quanto espresso dalle già citate “Raccomandazioni degli esperti”: “la mediazione sociale deve aiutare le persone a vivere assieme in maggior armonia facilitando la comunicazione tra tutti i membri della società” e “la mediazione sociale deve alimentare i legami. La collaborazione di tutti gli abitanti alla gestione di obiettivi comuni e condivisi testimonia concretamente la possibilità di cooperare per la loro realizzazione. attraverso la presentazione di varie ipotesi progettuali e nuove idee. Ci si è interrogati sul valore effettivo dei concetti di “integrazione”. ma anche come sostegno a processi di crescita collettiva ed emancipazione. di informazioni circa il loro permanere nel contesto territoriale abitato. come in particolar modo a Largo Sperlonga. Inoltre le équipe territoriali in contesti multiculturali hanno favorito l’acquisizione da parte degli abitanti. articolati su più livelli: sociale. ma al contrario riconoscano concretamente a tutti pari diritti e la possibilità di cooperare. in stretta collaborazione con i servizi sociali territoriali. Il progetto ha facilitato quindi processi di conoscenza reciproca ed espressione dell’identità culturale da parte delle comunità di un quartiere: un esempio di tale prassi è stato il sostegno dato all’organizzazione dei festeggiamenti del Capodanno sri – lankese. contestuali ai bisogni quotidiani e del vivere comune. Tali azioni rientrano d’altronde pienamente nelle finalità della mediazione sociale. i mediatori del progetto hanno promosso e stimolato la conoscenza da parte degli abitanti delle agevolazioni e delle possibilità offerte dagli enti locali. di “inclusione” ed “esclusione”. svolgendo funzioni in tal caso di mediazione interculturale e nell’accesso ai servizi. nel dialogo e nella condivisione di ipotesi di azioni di progettazione partecipata e riqualificazione urbana del territorio. la comprensione tra gli individui ed i gruppi sociali e deve facilitare l’integrazione sociale ed il riconoscimento delle culture. per lo più stranieri.L’opportunità di lavorare in contesti caratterizzati dalla presenza di comunità culturalmente eterogenee. economico e culturale. al miglioramento della qualità della vita sociale dei quartieri. sostenendo gli abitanti di un quartiere. che hanno contribuito a mutare la percezione di esclusivo ed estremo degrado dei quartieri fino ad allora presente nell’immaginario collettivo. In tale ottica si inseriscono ad esempio il sostegno che il progetto ha offerto al sorgere di iniziative di autoimprenditorialità locale e di riqualificazione partecipata degli spazi urbani comuni. nel corso della loro applicazione dovranno assicurare soprattutto il rispetto del principio di uguaglianza in modo da evitare l’isolamento e l’esclusione”. insieme ai cittadini. fantasma o raffigurazione sociale. I processi di mediazione sociale. Attraverso tali scelte metodologiche il progetto ha contribuito. il progetto “Mediazione Sociale” ha teso a favorire nel tempo l’attraversabilità delle singole comunità. Tali attività hanno rivestito un ruolo di particolare importanza con l’entrata in vigore della nuova normativa sull’immigrazione. Soprattutto nei territori caratterizzati da una rilevante pluralità di culture. di “tolleranza”. Attraverso la discussione sulla gestione e l’utilizzo dei medesimi spazi. che ha visto anche la partecipazione attiva degli abitanti del quartiere. si possono favorire relazioni che non minaccino le rispettive identità culturali. Parimenti. sul significato della propria presenza e sulle finalità del proprio lavoro. e di parità di diritti di cittadinanza. valorizzando le differenze come risorse. Successivamente gli operatori del progetto di mediazione sociale hanno sperimentato l’utilizzo della dimensione del territorio abitato come luogo e spazio di mediazione. al di là di qualunque forma di pregiudizio. talvolta purtroppo anche violenta. strappandola al degrado e ai rifiuti: essa non solo rappresenta il luogo principale della vita sociale del quartiere. proprio perché l’ascolto attivo. il rispetto reciproco. la mediazione sociale può assumere una doppia funzione: quella di “fare società” 12 e quella di promuovere una gestione creativa e non violenta dei conflitti. Conclusioni Secondo l’esperienza delineata. In un’ottica di sicurezza urbana. di riconquistare uno spazio pubblico. comunicative e relazionali. soprattutto attraverso la riscoperta e la valorizzazione del legame con l’ambiente urbano di appartenenza. Le équipe territoriali hanno svolto un intenso lavoro con gli abitanti dei quartieri di competenza. In tale prospettiva. in cui il territorio. cercando di stimolarne il senso di permeabilità. sia come approccio per ri – creare e mantenere un tessuto sociale funzionale alle esigenze degli abitanti di un quartiere. con le sue problematiche e le sue risorse è diventato il principale degli alleati: si è voluto così evitare che un lavoro condotto esclusivamente sul senso di appartenenza a vincoli comunitari pregiudicasse la comunicazione tra le persone appartenenti a diverse culture. Ciò ha permesso a Largo Sperlonga. la comunicazione efficace. Ne è scaturito un percorso condiviso di progressiva responsabilizzazione delle comunità locali riguardo alla gestione dei conflitti relativi agli aspetti legati al vivere quotidianamente lo spazio urbano.mediante percorsi di scambio e contaminazione. attraverso una pluralità di occasioni ed eventi. I mediatori hanno lavorato al confine delle comunità. il progetto “Mediazione Sociale” a Roma ha esteso il proprio ambito di intervento anche alle scuole. in quelle linee interstiziali che le percorrono. La mediazione è stata interpretata sia come una pratica per la gestione dei conflitti. relativamente alla conoscenza reciproca. finalizzato soprattutto alla rimessa in comunicazione di tutti gli attori locali. la cooperazione diventino risorse e competenze che le persone possano 23 . e tra questi e le istituzioni. ma anche il confine di uno spazio percepito (e che spesso si autopercepisce) come estraneo al contesto urbano. una metodologia attraverso la quale favorire la comunicazione. il progetto ha curato in ogni sua azione la promozione di una cultura della mediazione. in particolare. la condivisione di regole. anche a livello intergenerazionale. e alla gestione di conflitti ed aree critiche contestuali ai quartieri stessi. A livello interindividuale. Nell’ottica suesposta. alla condivisione di esigenze ed obiettivi. associazioni ed istituzioni divenissero co – protagonisti nel ri-pensare e ri-progettare insieme le relazioni e gli spazi abitati. negli sportelli di mediazione attivati dal progetto. la piazza. nella convinzione che sia possibile apprendere approcci diversi dal tentativo di sopraffazione reciproca. la costruzione di patti di cittadinanza efficaci tra i cittadini. soprattutto perché segue le comunità locali in un’ottica di sicurezza urbana partecipata. La mediazione è divenuta quindi. L’obiettivo ultimo è stata la diffusione e la condivisione della mediazione come “buona prassi” per la gestione dei conflitti legati alla quotidianità. attraverso lo sviluppo e l’utilizzo delle capacità di ascolto attivo. favorendo l’insorgere di dinamiche di chiusura ed esclusione una percezione del territorio più vicina al luogo di possesso che a quella di condivisione. i cittadini sono stati accolti in uno spazio in cui poter esprimere i conflitti vissuti e le emozioni ad essi collegate. cercando di sottolineare le differenze e di valorizzarne il ruolo in un contesto comune. In tale spazio gli operatori hanno sollecitato le persone ad elaborare la propria esperienza e a trovare insieme soluzioni creative e soddisfacenti per tutte le parti coinvolte nella disputa. nella prassi operativa. Il progetto di Mediazione Sociale a Roma tende a muoversi lungo entrambi gli assi. il progetto ha favorito inoltre la costruzione di occasioni in cui cittadini. La mediazione offre infatti un processo in cui tutte le parti “vincono”.Sicurezza nella primavera del 2003) testimoniano non solo la capacità di presenza e visibilità del progetto ma soprattutto una sua condivisione da parte di una pluralità di attori che comprendono cittadini. seppur limitatamente. ma soprattutto la partecipazione dei cittadini ad ogni fase di sviluppo progettuale e inoltre la stessa implementazione congiunta di microprogetti di educazione alla legalità (promossi dal Comune di Roma e dal Dipartimento XVIII. gli approcci. operatori scolastici e sociali. la copiosa progettualità di interventi nelle scuole. servizi e istituzioni municipali e centrali. Segnali al riguardo si rilevano in una maggiore cura degli spazi pubblici o nella loro difesa da attacchi vandalici. ma si riscontra soprattutto il riconoscimento da parte dei diversi attori coinvolti del valore aggiunto della proposta progettuale: attualmente essa 24 . rispetto a consuetudini conflittuali basate sulla sopraffazione. nell’adozione di modalità di convivenza pacifica rispetto a dinamiche precedenti improntate all’aggressività. Resistenze. non solo la parola mediazione è entrata sempre più nel lessico comune.sviluppare e di cui possano disporre fin da giovani. che hanno fatto proprio tale approccio. Attualmente. Altre azioni significative si registrano nella partecipazione attiva dei cittadini a progetti di riqualificazione di piazze o giardini pubblici. rifiuti e difficoltà non sono mancate e possono manifestarsi anche quando i cittadini. L’attenzione in quest’ottica non è posta sul potenziamento di chi ricopre già. nella reazione non violenta ad atti provocatori e violenti. collaborando reciprocamente. Attualmente sono attivi in diverse scuole di ogni ordine e grado dei sei territori percorsi di mediazione scolastica integrata con il coinvolgimento di centinaia di giovani e di insegnanti. tali processi rafforzano l’assertività degli abitanti e la fiducia di poter contribuire realmente alla espressione e alla definizione delle proprie idee e dei propri bisogni. Altri attori entrano così nel gioco delle relazioni sociali. anche solo a livello informale. e realizzano per quanto possibile i propri obiettivi. l’apertura di sportelli polivalenti integrati. In tal modo la mediazione manifesta le proprie potenzialità nel sostegno e nell’orientamento ad una progettazione in una ottica di sicurezza urbana strutturata nel medio e lungo periodo e non soltanto a seguito di eventi emergenziali. divengono progressivamente sempre più evidenti. Gli effetti della partecipazione ormai triennale di molti giovani si riverberano anche nei contesti territoriali. un ruolo decisionale nel territorio. e in una nuova modalità di organizzazione e gestione collettiva della risposta a simili episodi. ma sul coinvolgimento e sullo stimolo alla partecipazione dei cittadini. restituendo un valore aggiunto prima inespresso. La costituzione di tavoli sociali. Nei territori dove il progetto è presente da circa quattro anni tali dimensioni hanno conosciuto fasi e dinamiche evolutive legate alla storia stessa della comunità e al tempo necessario perché la popolazione locale facesse proprio tale approccio mediativo. Cambiano gli strumenti. Attraverso una gestione mediativa il conflitto può divenire altresì strumento di cambiamento di uno status quo ormai insoddisfacente e non funzionale per l’evoluzione e la crescita dinamica della vita sociale. appartenenti ad ogni fascia di età. generalmente ritenuti soggetti passivi nel vivere i quartieri. lo utilizzano. E’ necessario infatti un tempo maggiore affinché il progetto possa rilevare effetti moltiplicatori che comunque. Centrale in tutta l’articolazione progettuale sin qui delineata è la (“rimessa in) comunicazione” attivata in ogni fase del percorso al fine di rimettere dapprima in contatto tra loro diversi attori del medesimo territorio e successivamente di strutturare reti formali e informali di coordinamento a livello comunitario e istituzionale per una gestione integrata degli aspetti relativi alla vita sociale. rilevabili attraverso la presenza dei ragazzi in diverse iniziative che il progetto ha stimolato anche con gli adulti. ma rimane inalterato l’obiettivo centrale del progetto nel suo complesso: trasformare l’idea che il conflitto sia necessariamente qualcosa di negativo da evitare e da reprimere o al massimo da agire in modo esclusivamente violento. le tematiche trattate. Ricordiamo che l’esperienza sin qui descritta.attraversa trasversalmente anche servizi municipali e competenze amministrative sino a qualche anno fa impensabili nell’ottica di una gestione integrata della sicurezza urbana. non è automatica. il riconoscimento di questa differenziazione è necessario per arrivare davvero a coinvolgere le comunità nel processo. nasce come una sperimentazione. che spesso hanno evidenziato ritardi e limiti nelle modalità di gestione dei conflitti e nel rapporto tra i cittadini e di questi con le istituzioni. la mediazione dei conflitti richiede una paziente costruzione delle condizioni necessarie perché il dialogo sociale possa essere attivato e gestito in maniera creativa. E’ la staticità. per esempio pur arrecando senso di insicurezza. Tale processo ha bisogno di un fondamento collettivo. ne è contemporaneamente la condizione preliminare e il prodotto finale: non possesso. La partecipazione dei cittadini diviene in questo modo un passaggio fondamentale ai processi di mediazione. figlia di situazioni conflittuali bloccate. un dato che accomuna la quasi totalità delle esperienze del progetto a Roma è stato il tentativo di dare una risposta metodologica alla carenza di comunicazione registrata tra la popolazione e le istituzioni locali e centrali. Va ricordato altresì che i processi avviati sono dinamici. ma continuare a svolgere il lavoro di rimessa in comunicazione garantendo lo spazio di confronto. La comunità risulta essere così un campo a volte di conflitto. del riconoscimento della sua necessità e della convenienza da parte della comunità. conoscere significa attivare canali comunicativi. Il processo di costruzione di una comunità partecipante (che alimenta un senso di sicurezza della popolazione) richiede risorse e capacità che non sono distribuite uniformemente tra tutta la popolazione. Tale concezione trasversale ancora non trova pienamente la sua corrispondenza a livello istituzionale. indurre atteggiamenti positivi nei confronti dei problemi sociali. eventi sportivi. e nel periodo considerato (1999-2003) ha dovuto continuamente confrontare le proprie azioni e conseguenti analisi e valutazioni con modelli preesistenti. gli strumenti utilizzati e la costante ricerca di una comunicazione efficace. ecc. ma necessita di un intervento attivo che sblocchi le relazioni. motore di mediazioni e di nuove e ulteriori conflittualità.ma condivisione di sicurezza urbana. all’interno del campo di confronto. evitando la stabilizzazione di punti di vista egemonici che soffochino la conversazione sociale. Le analisi effettuate in questi anni hanno evidenziato la forte presenza di conflitti e di processi comunicativi spesso insufficienti o interrotti: la semplice mancanza di illuminazione di un’area urbana. mostre fotografiche e da una cospicua produzione di giornalini di quartiere comprovano la tipologia delle iniziative implementate. rischiava non solo di rimanere tale nel tempo ma anche di non essere valutata come una delle componenti essenziali di un intervento che possa favorire una maggiore sicurezza urbana. E’ importante per il mediatore non dare al concetto di conflitto connotati negativi e percepire la dinamica del conflitto come potenzialmente virtuosa. Tali attività generalmente documentate attraverso la realizzazione di video. la diffidenza e l’ansia conseguenti al non sapere. La possibilità di uscire dalla staticità delle relazioni bloccate. sentirsi parte del corpo sociale. Dalle attività maturate emerge infatti come il senso di insicurezza della popolazione riguardo il degrado e l’abbandono dei quartieri sia anche causato dalle difficoltà di accedere alla informazioni riguardanti il funzionamento dei servizi e ai canali di comunicazione formale con le istituzioni. rappresentazioni e percezioni della realtà sociale. attività di recupero di luoghi e piazze. il vero ostacolo alla dinamica del “campo di confronto”.. Infatti. Occorre infatti non fermarsi ai risultati acquisiti. del senso di insicurezza e del senso di “poter fare”. a volte di dialogo in cui occorre non ignorare mai differenze e processi di occultamento. mentre nei sei territori entrano sempre più in tale concezione anche le feste di quartiere. 25 . La padronanza delle informazioni aiuta a rimuovere pregiudizi. (1970) Megalopoli. e Naldi A. (1971). Franco Angeli Milano.W. Franco Angeli. Torino. Insicurezza e sicurezza urbana. Il ruolo dell’ascolto attivo e della gestione creativa dei conflitti nell’amministrazione del territorio. Bollati Boringhieri. Studi sui Comitati di cittadini. Milano Landuzzi C. Feltrinelli Forni E.Bibliografia Amendola G. Tre percorsi per leggere il cambiamento. Jossey-Bass. Bari. Insicurezza e sicurezza urbana. una strada e un’idea assieme. (2001) Etnografia della sicurezza urbana. Milano Marinotti G. Per una antropologia dell’abitare. (2003) Un mese di sociale: i nuovi termini della coesione sociale 3. Il Mulino Bologna Gottman J. Second Edition. Lo spazio dell’incontro. Mediazione sociale e sociologia. Funzioni e relazioni di una pluricittà. Feltrinelli Ed. Le funzioni del conflitto scoiale.. (1986) The Mediation Process. (1997) La città postmoderna. C. Luison. (1991) Come percepiamo il rischio. Garzanti. Cagliari Dahrendorf R. Riferimenti teorici ed esperienze. e Naldi A. L. In Milanesi E. Elèuthera. (1999) Un quartiere. e Sclavi M. Censis. Mente locale. 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Roma. capacità di protezione dai rischi e supporto alle immagini di insicurezza.101. Il conflitto nella cultura moderna.Pellicciari G. (1984). conflitti. trad. Roma NOTE 1 Caratteri di invivibilità emergono anche nelle analisi di Booth. in L. Astrolabio. Luison (2000) Tali Raccomandazioni saranno citate più volte nel corso del seguente contributo. p. p.Landuzzi . cit. Arte di ascoltare e mondi possibili. Milano Regione Emilia Romagna (2000) Le politiche di sicurezza nelle città e nelle regioni italiane. Tecniche di ricerca sociale. p. evidenziando come siano state recepite ed attuate dal progetto di Mediazione Sociale promosso dal Comune di Roma 6 Cit. Berlino 1958. Roma. Malthus e di Engels sulle aree degradate di Londra. 2002 5 Tali raccomandazioni sono state redatte a conclusione del Seminario Europeo sulla Mediazione Sociale e sui nuovi modi di risolvere i conflitti nella vita quotidiana. 27 . Le Vespe. Le citazioni sono state tratte da L. 1908. 1971).38.. Bollati Boringhieri. 2000. Der Streit in Soziologie. Torino. Bambini. Quaderni di città sicure Sclavi M. Sesto rapporto annuale 2000. Watzlawick. suddivisione dei conflitti proposta a p. Il conflitto nella cultura moderna.27. (2000). in Silvia Laici. 8 Simmel. Morgandini (a cura). 10 Cfr. sicurezza urbana. P. Lipsia. 7 Cit. italiana in C. e Tinti G. G. (1976). italiana in C. (2000). 3 Censis 2003 4 Cit in Elisabetta Forni. p. 1999. Luison. (1976) Der streit in Soziologie.. organizzato per iniziativa della Presidenza francese dell’Unione Europea e tenutosi a Creteil il 22 settembre del 2000. Franco Angeli. da parte degli abitanti.2-3 12 De Briant e Palau. G. cit. p. trad. La città di Barman. Luison. Morgandini (a cura). Lipsia 1908. Situazione e sviluppo della mediazione in Italia. Berlino 1958.(Cfr. Luison (2000).222 11 Cfr. (1971) Pragmatica della comunicazione umana. Luison (2000). in Luison (2000).(2002) Avventure urbane: progettare la città con gli abitanti. Milano Sclavi M. 9 Dahrendorf. Roma Simmel. 1999) 2 Anche per J.
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